ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato
sorto a seguito della deliberazione del Senato della  Repubblica  del
10 gennaio 2017 (doc. IV-quater, n. 4) promosso dalla Corte d'appello
di Brescia, con ordinanza-ricorso, depositata in  cancelleria  il  19
dicembre 2019, iscritta al n. 8 del  registro  conflitti  tra  poteri
dello  Stato  2019  e  pubblicato  nella  Gazzetta  Ufficiale   della
Repubblica n. 30, prima  serie  speciale,  dell'anno  2020,  fase  di
merito. 
    Visto l'atto di costituzione del Senato della Repubblica; 
    udito  nell'udienza  pubblica  del  27  aprile  2021  il  Giudice
relatore Nicolo' Zanon; 
    udito l'avvocato Francesco Saverio Bertolini per il Senato  della
Repubblica 
    deliberato nella camera di consiglio del 28 aprile 2021. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza-ricorso (d'ora in avanti:  ricorso)  depositata
il 19 dicembre 2019, la  Corte  d'appello  di  Brescia  ha  sollevato
conflitto di attribuzioni tra poteri dello Stato  nei  confronti  del
Senato della Repubblica, in riferimento  alla  deliberazione  del  10
gennaio 2017, con cui e' stato approvato il  doc.  IV-quater,  n.  4,
recante  «Applicabilita'  dell'articolo  68,   primo   comma,   della
Costituzione, nell'ambito di un procedimento penale nei confronti del
senatore Gabriele Albertini (procedimento penale n. 7061/13RG)». 
    Con tale atto, il Senato della Repubblica  ha  affermato  che  le
dichiarazioni rese dal senatore  Gabriele  Albertini,  per  le  quali
pende  giudizio  di   fronte   alla   Corte   d'appello   ricorrente,
costituiscono  opinioni  espresse  da  un   membro   del   Parlamento
nell'esercizio  delle  sue  funzioni  e  ricadono,  pertanto,   nella
garanzia di insindacabilita' di cui all'art. 68, primo  comma,  della
Costituzione. 
    Il ricorso della Corte d'appello e'  stato  proposto  nell'ambito
del giudizio di  impugnazione  promosso  dalla  parte  civile,  dott.
Alfredo Robledo, avverso  la  sentenza  del  Tribunale  ordinario  di
Brescia del 3 febbraio 2017, che  ha  assolto  il  senatore  Gabriele
Albertini dai due reati di calunnia aggravata (artt. 368 e 61, numero
10, del codice penale) a lui contestati e di cui la  Corte  d'appello
di Brescia riporta per esteso i capi di imputazione. 
    Secondo il primo di  essi,  la  condotta  attribuita  a  Gabriele
Albertini,  e  posta  in  essere  in  Milano  il  22  ottobre   2012,
consisterebbe nell'aver falsamente  accusato  il  magistrato  Alfredo
Robledo di aver compiuto una serie di reati - tra i quali  quelli  di
soppressione, distruzione e occultamento di atti pubblici e di  abuso
di ufficio - nel corso delle indagini preliminari e  del  conseguente
processo  celebrato  davanti  al  giudice  monocratico  della  quarta
sezione penale del tribunale di Milano a carico di C.  A.  ed  altri.
Nel  corso  di  tale  giudizio,  Gabriele  Albertini  sarebbe   stato
ascoltato  in  qualita'  di   testimone,   acquisendo   cosi'   piena
consapevolezza dei fatti, delle circostanze oggetto del dibattimento,
nonche' delle relative risultanze probatorie. 
    Quanto  al  secondo  reato  contestato,  dal  capo  d'imputazione
riprodotto per  esteso  nell'ordinanza  della  Corte  di  appello  di
Brescia emerge che, con esposto indirizzato il  22  ottobre  2012  al
Ministro della giustizia  quale  titolare  dell'azione  disciplinare,
Gabriele Albertini, pur consapevole dell'innocenza del dott.  Alfredo
Robledo, avrebbe accusato quest'ultimo della commissione di una serie
di reati - «tra cui abusi  d'ufficio,  omissioni,  violenze  private,
intralcio alla giustizia  ed  altro»  -  durante  lo  svolgimento  di
indagini nell'ambito di  altri  procedimenti  a  carico  di  soggetti
diversi dall'esponente. 
    Riferisce  la  ricorrente  che,  nonostante   il   Senato   della
Repubblica, nella seduta del  10  gennaio  2017,  avesse  assunto  la
delibera oggetto dell'odierno conflitto, il Tribunale di Brescia, con
sentenza  del  3  febbraio  2017,  ha  proseguito   il   processo   e
riconosciuto, per il primo addebito, l'insussistenza  del  fatto,  e,
per la seconda contestazione, che il fatto non costituisce reato. 
    Tale sentenza e' stata appellata, in qualita'  di  parte  civile,
dal dott. Alfredo Robledo, che ha chiesto di sollevare  conflitto  di
attribuzione avanti alla Corte costituzionale,  poiche',  al  momento
delle  descritte  dichiarazioni,  Gabriele  Albertini  non  rivestiva
ancora la carica di senatore della Repubblica e comunque  perche'  si
tratterebbe  di  condotte  estranee  all'esercizio   della   funzione
parlamentare. 
    Secondo la Corte d'appello di Brescia, «effettivamente  Albertini
Gabriele all'epoca dei fatti, ovvero alla data del 22  ottobre  2012,
non rivestiva ancora la  carica  di  senatore,  avendo  assunto  tale
carica dal marzo 2013». Difetterebbe anche «il nesso funzionale delle
opinioni manifestate dall'Albertini»  con  l'attivita'  parlamentare,
atteso  che  «tali  dichiarazioni  riguardano  processi   penali   in
relazione ai quali non  vi  e'  alcuna  connessione  con  l'attivita'
legislativa». 
    Tale  nesso  funzionale,  osserva  ancora  la  Corte  ricorrente,
consisterebbe «non gia' in una  semplice  forma  di  collegamento  di
argomenti  o  di  contesto  con  l'attivita'  parlamentare,  ma  piu'
precisamente  nella  identificabilita'  delle   dichiarazioni   quali
espressione e forma divulgativa di tale attivita'»,  sicche'  occorre
che  nell'opinione  manifestata  all'esterno  sia  riscontrabile  una
corrispondenza  sostanziale  di  contenuti  con  l'atto  parlamentare
(vengono citate le pronunce di questa Corte n. 82, n. 56 e n. 10  del
2000). 
    La Corte d'appello di Brescia  evidenzia  ancora  che  il  Senato
della Repubblica, nella seduta del 4 dicembre 2014,  aveva  «ritenuto
la propria incompetenza a deliberare su alcuni dei  fatti  in  esame,
sia pur nell'ambito di un processo civile» e che, successivamente, il
Parlamento europeo aveva  escluso  che  nei  predetti  fatti  potesse
«configurarsi  la  insindacabilita'  delle  opinioni   espresse   dal
parlamentare europeo Albertini». 
    Ritenendo, in conclusione, che  ai  fini  della  valutazione  dei
motivi  di  appello  proposti  dalla  parte  civile  sia   necessario
«investire la Corte Costituzionale del conflitto di attribuzione», la
Corte d'appello di Brescia ha disposto la  sospensione  del  giudizio
penale per la sollevazione del conflitto di attribuzione  tra  poteri
dello Stato. 
    2.- Il conflitto e' stato dichiarato ammissibile con ordinanza n.
82 del 2020. Questa Corte, in base all'art. 24, comma 3, delle  Norme
integrative per i  giudizi  davanti  alla  Corte  costituzionale,  ha
assegnato alla ricorrente Corte d'appello di Brescia  il  termine  di
sessanta giorni, con decorso dalla comunicazione dell'ordinanza,  per
notificare al Senato della Repubblica, in persona del suo Presidente,
il ricorso e  l'ordinanza  dichiarativa  dell'ammissibilita',  ed  e'
stato  assegnato  l'ulteriore  termine   di   trenta   giorni   dalla
notificazione per il deposito dei medesimi atti nella cancelleria. 
    L'ordinanza n. 82 del 2020 e' stata comunicata dalla  cancelleria
di questa Corte alla ricorrente il 5 maggio 2020. 
    Il ricorrente ha provveduto alla notifica  in  data  8-16  giugno
2020, e ha poi  restituito  il  ricorso  e  l'ordinanza,  debitamente
notificati, alla cancelleria in data 8 luglio 2020. Il 10 luglio 2020
e' pervenuto anche l'originale della prova dell'avvenuta notifica  al
Senato. 
    3.- Il Senato della Repubblica, in persona del suo Presidente, ha
depositato in data 4 agosto 2020 atto di  costituzione  in  giudizio,
eccependo l'inammissibilita' del conflitto  e,  nel  merito,  la  non
fondatezza dei motivi di ricorso. 
    Secondo   il   Senato,   il   conflitto   sarebbe   «radicalmente
inammissibile» perche' mancherebbe «l'interesse ad agire,  necessario
"a  conferire  al  conflitto  gli  indispensabili   caratteri   della
concretezza e  dell'attualita'"».  La  Corte  costituzionale  sarebbe
infatti chiamata a giudicare solo conflitti attuali  e  concreti,  in
applicazione  del  generale  principio  per  cui  non  e'  consentito
chiedere al giudice che sia accertata una attribuzione se non  quando
quell'attribuzione e' lesa o minacciata (viene citata la sentenza  n.
1 del 2013). 
    Evidenzia   la   difesa   del   Senato   che   la   delibera   di
insindacabilita'  oggetto  del  presente  conflitto   sarebbe   stata
adottata con riferimento ad opinioni che costituivano oggetto  di  un
procedimento penale che in quel momento pendeva, in primo  grado,  di
fronte  al  Tribunale  di  Brescia.  Nonostante  tale  delibera,   il
Tribunale avrebbe  comunque  proseguito  l'esercizio  della  funzione
giurisdizionale assolvendo il senatore Albertini, cosi' svolgendo  le
proprie attribuzioni «a dispetto della delibera di insindacabilita'». 
    A  fronte  di  cio',  il  Senato  non   ha   fin   qui   reagito.
Conseguentemente,  la  Corte  di  appello  di  Brescia  non  potrebbe
«assumere   la   stessa   delibera   quale   fonte   di   impedimento
dell'attribuzione giurisdizionale il cui esercizio essa  e'  chiamata
puramente a proseguire, in secondo  grado,  nel  medesimo  giudizio».
Mancherebbe infatti  un  interesse  concreto  e  attuale  valevole  a
sostenere il conflitto. 
    Secondo la difesa del Senato, la disciplina contenuta nell'art. 3
della legge 20 giugno 2003, n.  140  (Disposizioni  per  l'attuazione
dell'articolo 68 della Costituzione nonche' in  materia  di  processi
penali nei confronti delle alte cariche dello Stato), in relazione ai
rapporti tra la Camera di appartenenza del parlamentare e il  giudice
che procede nei confronti del parlamentare  stesso,  muoverebbe  «dal
presupposto che il rapporto conflittuale viene a determinarsi fra  la
camera  di  appartenenza  e  l'autorita'  giudiziaria  investita  del
procedimento  promosso  nei  confronti  del  parlamentare».  Poiche',
secondo la consolidata giurisprudenza costituzionale, ciascun singolo
organo  giurisdizionale  sarebbe  legittimato  ad  essere  parte  dei
conflitti di attribuzione (vengono citate la sentenza n. 231 del 1975
e le ordinanze n. 228 e n.  229  del  1975),  «ogni  singolo  giudice
[potrebbe] ricorrere solo in difesa delle proprie  attribuzioni,  non
gia' per conto di giudici diversi» (viene evocata l'ordinanza  n.  77
del 1981). 
    L'approvazione della delibera di insindacabilita' delle  opinioni
del senatore Albertini avrebbe dunque  fatto  insorgere  in  capo  al
Tribunale  di  Brescia  l'obbligo  di  attenersi  a  quanto  previsto
dall'art. 3, comma 3, della  legge  n.  140  del  2003,  obbligo  che
tuttavia non sarebbe stato rispettato: il Tribunale bresciano avrebbe
infatti consapevolmente «"trascurato" [tale] delibera [...],  venendo
meno ai suoi obblighi  di  posizione  nei  confronti  del  Senato  in
un'area di riconosciuta interferenza  con  le  funzioni  proprie  del
potere legislativo». 
    Il Senato segnala che, invece, secondo lo stesso  Tribunale,  «la
pronuncia liberatoria  per  ragioni  di  merito  [...]  puo'  e  deve
prevalere sulla causa personale di non punibilita' quale e',  secondo
la piu'  recente  giurisprudenza  di  legittimita',  la  riconosciuta
insindacabilita' ex art. 68 Cost.». Cio' perche', sempre  secondo  il
Tribunale, «non adottare una pronuncia di assoluzione  nel  merito  -
qualora il giudice disponga di una base conoscitiva adeguata ed abbia
procedut[o] ad  ascoltare  le  parti  -  e  sollevare  in  tali  casi
conflitto di attribuzione, significherebbe esercizio vuoto,  utile  a
imporre aggravi inutili  all'imputato  e  a  consentire  una  abnorme
durata del processo, con chiara violazione dei  principi  del  giusto
processo e della ragionevole durata dello  stesso».  Di  conseguenza,
per il Tribunale di Brescia, «l'accertamento della  non  colpevolezza
dell'imputato [...] deve e puo' prevalere sulla  constatazione  della
delibera di insindacabilita'» (Tribunale di Brescia, seconda  sezione
penale, sentenza 3 febbraio 2017, n. 567). 
    Pur essendo  la  scelta  del  Tribunale  bresciano  lesiva  delle
attribuzioni parlamentari, costituendo cosi' «ragione di conflitto da
parte della Camera di appartenenza del parlamentare» (viene citata la
sentenza di questa Corte n. 329 del 1999), il Senato avrebbe  «sinora
ritenuto di non reagire». Cio'  avrebbe  determinato,  «nel  rapporto
costituitosi fra  i  due  poteri  in  relazione  al  giudizio  penale
instaurato nei confronti del Senatore Albertini,  un  assetto  avente
carattere oggettivamente compositivo  [...]  allo  stato  tacitamente
realizzato dalle parti». Siffatto assetto non potrebbe essere  inciso
neppure  dalla  circostanza  che  il  Senato   stesso,   in   ragione
dell'assenza  di  termini  decadenziali  -  assenza  dalla  quale  si
evincerebbe il «livello  precipuamente  politico-costituzionale»  dei
conflitti e l'intento di favorire «la ricerca  e  la  conclusione  di
intese extragiudiziarie» (viene evocata la sentenza di  questa  Corte
n. 116 del 2003) - possa ancora sollevare conflitto di attribuzioni. 
    In definitiva, nel presente  caso,  si  sarebbe  realizzata  -  a
fronte della sentenza assolutoria di  primo  grado  e  della  mancata
reazione da parte del Senato - una «[i]ntesa  extragiudiziaria  [...]
in via di fatto» tra i poteri coinvolti. 
    Alla luce di quanto  sopra,  la  Corte  d'appello  bresciana  non
potrebbe pertanto  reputare  lesiva  delle  proprie  attribuzioni  la
delibera di insindacabilita' approvata  dal  Senato:  la  valutazione
degli effetti della citata delibera andrebbe  infatti  svolta  «sulla
base degli atti non solo  compiuti,  ma  anche  omessi  dagli  stessi
poteri nello svolgimento di tale rapporto  insorto  fra  di  essi  in
dipendenza del giudizio instaurato  nei  confronti  dell'appartenente
alla Camera». Poiche' l'atto di appello sarebbe «privo  di  qualsiasi
portata "esterna" rispetto allo specifico alveo processuale in cui si
iscrive» (viene citata la sentenza di questa Corte n. 163 del  2001),
la fase d'appello costituirebbe infatti «soltanto  una  prosecuzione»
del giudizio di primo grado. 
    La Corte d'appello di Brescia non potrebbe dunque agire a  difesa
di attribuzioni giudiziarie di  altri  organi  (viene  ancora  citata
l'ordinanza n. 77 del 1981), circostanza che si verificherebbe invece
nel presente caso, poiche' la  soluzione  nel  merito  del  conflitto
sollevato dalla  stessa  Corte  di  appello  finirebbe  per  incidere
inammissibilmente sulla sentenza di primo grado. A dire della  difesa
del Senato, «[l]a decisione del Tribunale [...] sarebbe destinata  ad
essere, per cosi' dire, "convalidata" in  caso  di  accoglimento  del
conflitto della Corte d'Appello, cosi' come, per converso, ad  essere
indirettamente "invalidata", nell'ipotesi del rigetto  del  conflitto
medesimo». In entrambi i casi, comunque, si avrebbe «un non evitabile
giudizio sulla sentenza del Tribunale, in assenza  pero'  dell'organo
che, rappresentante dell'intero potere  giurisdizionale,  ne  risulta
essere l'autore». 
    In  definitiva,  la  delibera  del  Senato   non   lederebbe   le
attribuzioni della Corte d'appello, sia perche' l'insindacabilita' e'
stata deliberata mentre era pendente il giudizio di primo grado,  sia
perche' lo stesso giudice di primo grado ha  comunque  esercitato  la
funzione giurisdizionale, senza che il Senato abbia fatto  valere  il
«carattere indebito della relativa condotta». 
    4.- Nel merito, il ricorso non sarebbe comunque fondato. 
    Ricorda in primo luogo la  difesa  del  Senato  che  il  senatore
Albertini avrebbe sovente denunciato - prima da  sindaco  di  Milano,
poi da parlamentare europeo, infine da  senatore  -  episodi  in  cui
avrebbe rinvenuto «il difetto  del  giusto  equilibrio  fra  esigenze
dell'indagine giudiziaria e garanzie dei soggetti coinvolti». 
    Il Senato - «[a]ccedendo ad una  concezione  della  garanzia  che
rifugge   dalla   parcellizzazione   dell'attivita'    del    singolo
parlamentare» - avrebbe allora riconosciuto «nei reiterati interventi
parlamentari del Senatore Albertini un tema complessivo di  sindacato
ispettivo», coperto dalla tutela di cui  all'art.  68,  primo  comma,
Cost., assicurando cosi' la garanzia dell'insindacabilita'  «a  tutti
gli  atti  della  serie  complessiva»  in  cui  si  e'   estrinsecata
l'attivita' parlamentare del  senatore.  Diversamente,  un  approccio
volto a valutare isolatamente i singoli atti espressivi  dell'impegno
politico del senatore Albertini avrebbe completamente  vanificato  la
prerogativa dell'insindacabilita' garantita dall'art. 68, primo comma
Cost. 
    5.- Con ulteriore memoria depositata il 1° aprile 2021, il Senato
ha  nuovamente  argomentato  sull'inammissibilita'   del   conflitto,
sottolineando, in particolare,  come,  attraverso  la  decisione  del
Tribunale,  il  potere  oggetto  del  conflitto   risulterebbe   gia'
esercitato. 
    Ricorda la difesa  del  Senato  che,  secondo  la  giurisprudenza
costituzionale, l'adozione di una  delibera  di  insindacabilita'  da
parte della Camera di appartenenza avrebbe come conseguenza «non gia'
la preclusione di una sentenza di condanna, ma molto piu'  in  radice
la   preclusione   del   procedimento   rivolto   ad   accertare   la
responsabilita'» (vengono citate le sentenze n. 371 del 2006 e n. 265
del  1997).  Pertanto,  il  Tribunale  di  Brescia  avrebbe  leso  la
prerogativa del Senato, che pero', «nonostante  il  tempo  trascorso,
non ha fatto valere la lesione subita». 
    Non sarebbe qui applicabile la giurisprudenza costituzionale  che
ritiene ammissibili i ricorsi sollevati dai giudici di secondo  grado
(sentenze n. 371 del 2006 e n. 235 del 2005), perche' in quei casi  i
conflitti  sarebbero  stati  promossi  all'esito  di   decisioni   di
improcedibilita' da parte dei giudici di primo  grado.  Nel  presente
caso, invece, non essendosi il Tribunale di Brescia  uniformato  alla
delibera parlamentare, «[l]'omessa adesione consumata in primo  grado
non consent[irebbe], per il  tempo  trascorso  senza  che  la  Camera
reagisca, la promozione del conflitto in sede di gravame». 
    Infatti, «dall'indebito uso del potere giurisdizionale  consumato
dal Tribunale  di  Brescia  [sarebbe]  derivata  la  materia  di  uno
specifico conflitto, distinto ed ulteriore rispetto a quello  che  il
Tribunale avrebbe dovuto sollevare, secondo Costituzione, per opporsi
alla  limitazione  della  funzione  derivante   dalla   delibera   di
insindacabilita'» (viene citata nuovamente la  sentenza  n.  265  del
1997). 
    Pertanto, sarebbe il  Senato  la  «parte  lesa  dal  procedimento
giudiziario»   proseguito   a   dispetto   della    delibera    sulla
insindacabilita'. Conseguentemente, il giudice di appello non avrebbe
piu' titolo per far valere le lesioni delle  proprie  attribuzioni  e
dovrebbe essere rispettata la posizione del Senato di «non far valere
in sede giudiziale la menomazione subita». 
    A dire della difesa del Senato, la Corte d'appello di Brescia non
potrebbe piu' promuovere conflitto «in relazione ad una  delibera  di
insindacabilita'  non  rispettata  nel  relativo  processo,   essendo
paradossale che il potere giudiziario, che non ha appunto  rispettato
tale delibera, insorga pure contro il Senato che non reagisce  contro
la menomazione delle proprie attribuzioni». 
    Poiche' il rapporto tra i poteri risulterebbe «ormai attestato su
di  un  assetto  diverso  da  quello  generato  dalla   delibera   di
insindacabilita'»,  l'interesse  del   giudice   di   secondo   grado
sorgerebbe soltanto qualora venisse sollevato conflitto da parte  del
potere  legislativo  «in  relazione  all'omessa   ottemperanza   alla
dichiarazione di insindacabilita'» (viene di nuovo citata la sentenza
n. 329 del 1999). 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- La Corte d'appello  di  Brescia  ha  sollevato  conflitto  di
attribuzioni tra poteri dello Stato nei confronti  del  Senato  della
Repubblica, in riferimento alla deliberazione del  10  gennaio  2017,
con la quale l'Assemblea del Senato - approvando la proposta, assunta
a  maggioranza,  della  Giunta  delle  elezioni  e  delle   immunita'
parlamentari   (doc.   IV-quater,    n.    4)    -    ha    affermato
l'insindacabilita',  ai  sensi  dell'art.  68,  primo  comma,   della
Costituzione,  delle  opinioni   espresse   dal   senatore   Gabriele
Albertini. 
    Per  aver  manifestato  tali  opinioni,  il  senatore  Albertini,
assolto in primo grado dal Tribunale ordinario di Brescia,  e'  parte
del giudizio innanzi alla Corte di  appello  della  medesima  citta',
promosso, ai sensi dell'art. 576  del  codice  di  procedura  penale,
dalla parte civile al fine di  chiedere  al  giudice  di  appello  di
affermare la responsabilita' dell'imputato, sia pure  incidentalmente
e ai soli fini dell'accoglimento della domanda  di  risarcimento  del
danno. In primo grado, il Tribunale di Brescia  aveva  prosciolto  il
senatore dall'accusa di aver commesso due distinti reati di  calunnia
aggravata ai sensi degli artt.  368  e  61,  numero  10,  del  codice
penale. 
    In particolare, in base al primo capo d'imputazione, il  senatore
Albertini avrebbe falsamente accusato il magistrato  Alfredo  Robledo
di  una  serie  di  reati  -  tra  cui  i  delitti  di  soppressione,
distruzione e occultamento di atti pubblici e di abuso di  ufficio  -
nel corso delle  indagini  preliminari  e  del  conseguente  processo
celebrato davanti al giudice monocratico della quarta sezione  penale
del Tribunale ordinario di Milano, a carico di C. A. ed  altri.  Tali
accuse sarebbero state mosse con una memoria  depositata  nell'ambito
del suddetto processo, nella consapevolezza  da  parte  del  senatore
Albertini dell'innocenza del dott. Robledo. 
    Il secondo reato di calunnia sarebbe stato commesso attraverso un
esposto a firma del senatore in questione - indirizzato il 22 ottobre
2012  al  Ministro  della  giustizia   quale   titolare   dell'azione
disciplinare - in cui l'esponente, pur consapevole dell'innocenza del
dott. Robledo, avrebbe accusato quest'ultimo della commissione di una
serie di reati  («tra  cui  abusi  di  ufficio,  omissioni,  violenze
private, intralcio alla giustizia ed altro») durante  lo  svolgimento
di indagini nell'ambito di altri procedimenti a  carico  di  soggetti
diversi dall'esponente. 
    Pur a fronte della  delibera  di  insindacabilita'  adottata  dal
Senato il 10 gennaio 2017, il Tribunale di Brescia, con sentenza  del
3 febbraio 2017, proseguiva il processo  e  pronunciava  sentenza  di
merito assolvendo il senatore.  Per  il  primo  addebito  riconosceva
l'insussistenza del fatto e, per l'ulteriore contestazione, stabiliva
che il fatto non costituisce reato. 
    A  seguito  dell'impugnazione  della   parte   civile   e   della
conseguente  instaurazione  del  secondo  grado   di   giudizio,   la
ricorrente  Corte  d'appello  -  preso   atto   della   delibera   di
insindacabilita'  adottata  dal  Senato,   reputata   ostativa   alla
prosecuzione del processo -  ha  ritenuto  di  dover  preliminarmente
investire questa Corte del presente conflitto di attribuzione. 
    Due sono le contestazioni mosse dalla Corte d'appello ricorrente. 
    In primo luogo, le opinioni oggetto della delibera  risalgono  al
22 ottobre 2012, ovvero ad un momento in cui Albertini «non rivestiva
ancora la carica di senatore, avendo assunto tale  carica  dal  marzo
2013». 
    In  secondo  luogo,  difetterebbe  «il  nesso  funzionale   delle
opinioni manifestate dall'Albertini»  con  l'attivita'  parlamentare,
atteso  che  «tali  dichiarazioni  riguardano  processi   penali   in
relazione ai quali non  vi  e'  alcuna  connessione  con  l'attivita'
legislativa». 
    2.- Va confermata, ai sensi dell'art. 37  della  legge  11  marzo
1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte
costituzionale), l'ammissibilita' del conflitto, gia'  dichiarata  da
questa  Corte,  in  sede  di  prima  e  sommaria   delibazione,   con
l'ordinanza n. 82 del 2020. 
    La  forma  dell'ordinanza  rivestita  dall'atto  introduttivo  e'
idonea a instaurare il giudizio ove  sussistano,  come  nel  caso  di
specie, gli estremi sostanziali di  un  valido  ricorso  (ex  multis,
sentenza n. 133 del 2018, nonche' ordinanze n. 155 del 2017,  n.  139
del 2016 e n. 271 del 2014). 
    Devono poi confermarsi le statuizioni dell'ordinanza  n.  82  del
2020 in ordine all'ammissibilita' del conflitto, sia con  riferimento
al profilo soggettivo, sia a quello oggettivo. 
    Nessun dubbio sussiste  in  effetti  sulla  legittimazione  della
Corte d'appello di Brescia a promuovere conflitto di attribuzione tra
poteri  dello  Stato,  trattandosi  di  organo  giurisdizionale,   in
posizione di indipendenza costituzionalmente garantita, competente  a
dichiarare definitivamente la  volonta'  del  potere  cui  appartiene
nell'esercizio   delle   funzioni   attribuitegli   (con    specifico
riferimento agli organi giurisdizionali di secondo grado, sentenze n.
334 del 2011 e n. 331 del 2006, nonche' ordinanze n. 271 e n. 161 del
2014). 
    Analogamente, e' pacifica la legittimazione passiva  del  Senato,
quale organo competente a dichiarare in modo  definitivo  la  propria
volonta' in ordine all'applicazione dell'art. 68, primo comma,  Cost.
(ex multis, sentenze n. 133 e n. 59 del 2018 e n. 144 del 2015). 
    3.-  Il  Senato,   costituendosi   in   giudizio,   ha   eccepito
l'inammissibilita' del ricorso, sostenendo che  in  capo  alla  Corte
d'appello di Brescia mancherebbe «l'interesse ad agire, necessario "a
conferire al conflitto gli indispensabili caratteri della concretezza
e dell'attualita'"». 
    La carenza di attualita' deriverebbe, in tesi, dal fatto  che  il
Tribunale di primo grado, pur essendo a  conoscenza  dell'intervenuta
delibera di insindacabilita' assunta  dal  Senato,  ha  adottato  una
sentenza sul merito dell'accusa  mossa  nei  confronti  del  senatore
Albertini. Indipendentemente dall'esito del processo, conclusosi  con
l'assoluzione dell'imputato, il Tribunale di  Brescia  avrebbe  cosi'
leso le attribuzioni costituzionali del Senato stesso. Ciononostante,
quest'ultimo ha deciso di «non reagire», e tale  circostanza  avrebbe
determinato, secondo la difesa del Senato,  una  sorta  di  «[i]ntesa
extragiudiziaria [...] in via di fatto» tra i poteri coinvolti. 
    In questa situazione, la Corte d'appello di Brescia  non  avrebbe
titolo per far valere la  lesione  delle  proprie  attribuzioni,  sia
perche' l'insindacabilita' e' stata deliberata mentre era pendente il
giudizio di primo grado, sia  perche'  il  giudice  di  primo  grado,
volutamente   ignorando   gli   effetti   della    declaratoria    di
insindacabilita', avrebbe comunque esercitato le proprie funzioni. 
    In definitiva, secondo la difesa del Senato, la  Corte  d'appello
di Brescia non potrebbe promuovere un conflitto «in relazione ad  una
delibera di insindacabilita' non rispettata  nel  relativo  processo,
essendo paradossale che il potere giudiziario,  che  non  ha  appunto
rispettato tale delibera, insorga  pure  contro  il  Senato  che  non
reagisce  contro  la  menomazione  delle  proprie  attribuzioni».  Di
conseguenza, poiche' il rapporto tra  i  poteri  risulterebbe  «ormai
attestato su di un assetto diverso da quello generato dalla  delibera
di  insindacabilita'»,  l'interesse  del  giudice  di  secondo  grado
sorgerebbe soltanto qualora venisse sollevato conflitto da parte  del
potere  legislativo  «in  relazione  all'omessa   ottemperanza   alla
dichiarazione di insindacabilita'». 
    L'eccezione, pur accuratamente argomentata, non e' fondata. 
    Va infatti ricordato che,  secondo  quanto  stabilito  da  questa
Corte sin dalla sentenza n. 1150 del 1988, la  prerogativa  dell'art.
68, primo comma, Cost. «attribuisce alla Camera  di  appartenenza  il
potere di valutare la condotta addebitata a un  proprio  membro,  con
l'effetto, qualora sia  qualificata  come  esercizio  delle  funzioni
parlamentari, di inibire in ordine ad  essa  una  difforme  pronuncia
giudiziale di responsabilita', sempre che [...] il potere  sia  stato
correttamente esercitato». 
    Qualora il giudice ritenga  che  «la  delibera  della  Camera  di
appartenenza,  affermante  l'irresponsabilita'  del  proprio   membro
convenuto in giudizio, sia il risultato di un  esercizio  illegittimo
(o,  come  altri  si  esprime,  di  "cattivo  uso")  del  potere   di
valutazione, puo' provocare il controllo della  Corte  costituzionale
sollevando davanti a questa conflitto di attribuzione». 
    Nel presente caso, e' vero che il giudice di primo grado  ne'  ha
dichiarato improcedibile il giudizio,  ne'  ha  sollevato  conflitto,
scegliendo  invece  consapevolmente  di   non   dare   rilievo   alla
deliberazione  di  insindacabilita'  adottata  dal  Senato.   Ed   e'
altrettanto vero che il Senato  stesso  non  ha  finora  ritenuto  di
investire la Corte costituzionale del compito di verificare  se  tale
condotta  abbia  determinato  una   menomazione   dei   suoi   poteri
costituzionali. 
    Tali circostanze non rendono pero' il presente conflitto privo di
concretezza e attualita'. 
    Va premesso che la composizione spontanea della  controversia,  a
differenza di quanto sostiene il Senato, non si e' nel presente  caso
verificata: e' infatti proprio il deposito del ricorso della Corte di
appello di Brescia ad attestare  in  punto  di  fatto  che  una  tale
composizione spontanea non si e' verificata (analoga valutazione, pur
in vicenda diversa, nella sentenza n. 116 del 2003). 
    Deve inoltre ricordarsi che questa Corte ha gia' avuto  occasione
di  affermare  che  il  giudice  d'appello,  in  forza   dell'effetto
devolutivo dell'impugnazione, «ha rilevanti poteri di cognizione e di
decisione e, quindi,  ha  il  potere  di  porsi  ogni  questione  non
preclusa che ritenga rilevante ai fini del decidere». Di conseguenza,
«anche il  giudice  d'appello  e'  competente  ad  esprimere  in  via
definitiva  la  volonta'  del  potere  cui  appartiene  [...]  ed  e'
legittimato a proporre un conflitto  non  sollevato  dal  giudice  di
primo grado» (sentenza n. 235 del 2005; nello stesso senso,  sentenze
n. 371 e n. 331 del 2006). Cio', in virtu' del carattere diffuso  del
potere  giudiziario   quale   tradizionalmente   riconosciuto   dalla
giurisprudenza di questa Corte (ordinanza n. 229 del 1975), e secondo
una valutazione ben  diversa  da  quella  operata  dalla  difesa  del
Senato. 
    Del resto, nei precedenti appena richiamati, si  e'  escluso  che
possa sussistere un  effetto  preclusivo  a  sollevare  conflitto  di
attribuzione nei confronti del giudice  di  appello,  sia  quando  il
giudice  di   primo   grado   abbia   adottato   una   decisione   di
improcedibilita'  (sentenza  n.  235  del  2005),  sia  quando  abbia
pronunciato una sentenza di condanna (sentenza n. 331 del  2006).  Ad
analoga conclusione questa Corte era «a fortiori» pervenuta anche con
riferimento al conflitto sollevato dal giudice civile, pur  a  fronte
di una sentenza che  in  sede  penale  aveva  stabilito  non  doversi
procedere, per gli stessi  fatti,  in  ragione  di  una  delibera  di
insindacabilita' (sentenza n. 371 del 2006). 
    Questo indirizzo merita di essere ribadito. 
    Ritenere preclusa  al  giudice  di  appello  la  possibilita'  di
sollevare conflitto tra poteri, esclusivamente in  conseguenza  della
diversa  opzione   privilegiata   dal   giudice   di   primo   grado,
significherebbe,  come   s'e'   visto,   impedirgli   di   esercitare
attribuzioni   che   gli   appartengono,   secondo   la    richiamata
giurisprudenza  costituzionale,  laddove   investito   del   giudizio
d'impugnazione ad opera di una delle parti processuali. 
    Deve inoltre essere sottolineato quali conseguenze  avrebbe,  sia
nel caso odierno, che in termini  sistematici,  l'accoglimento  della
tesi difensiva del Senato. 
    Affermare, per le  ragioni  invocate  dalla  difesa  del  Senato,
l'inammissibilita' del conflitto non potrebbe certamente  precludere,
nella specie, alla Corte d'appello di Brescia di procedere oltre  nel
giudizio instaurato dalla parte civile,  proprio  perche',  in  tesi,
difetterebbe  l'attualita'  dell'interesse  a  ricorrere  nonche'  la
stessa materia di un conflitto. 
    Tuttavia, in termini generali,  riconoscere  per  quelle  ragioni
l'inammissibilita' del conflitto significherebbe altresi' riconoscere
che l'imputato non potrebbe  piu'  beneficiare  degli  effetti  della
delibera d'insindacabilita': ma  non  in  conseguenza  del  controllo
operato  dalla  Corte  costituzionale   sull'esercizio   del   potere
valutativo del Senato, bensi' a causa della  scelta  del  giudice  di
primo grado  di  ignorare  proprio  il  risultato  dell'apprezzamento
parlamentare. Un esito paradossale,  la  neutralizzazione  del  quale
sarebbe, a quel punto, rimessa ad una nuova valutazione della  Camera
d'appartenenza,  volta  a  sollevare  un  diverso  conflitto   contro
l'esercizio del  potere  giurisdizionale  ad  opera  del  giudice  di
secondo grado: evenienza, tuttavia, nient'affatto  scontata.  Con  il
risultato  finale,  in  termini   sistematici,   di   una   possibile
diminuzione della garanzia  della  funzione  parlamentare  assicurata
dall'art. 68 Cost. 
    4.- Nel merito, il ricorso e' fondato. 
    La difesa del Senato sottolinea la  necessita'  di  ricorrere  ad
un'interpretazione dell'art.  68,  primo  comma,  Cost.  che  rifugga
«dalla parcellizzazione dell'attivita' del singolo parlamentare».  In
questa prospettiva, da' atto  che  il  senatore  Albertini,  gia'  da
sindaco di  Milano  e  da  parlamentare  europeo,  aveva  piu'  volte
pubblicamente censurato episodi in cui aveva  rinvenuto  «il  difetto
del  giusto  equilibrio  fra  esigenze  dell'indagine  giudiziaria  e
garanzie dei  soggetti  coinvolti».  Aggiunge  che  egli,  una  volta
«[e]letto senatore, ha proseguito, con  numerosi  atti  [...],  nella
relativa attivita' ispettiva e nella medesima linea di rappresentanza
politica».  Nei  reiterati  interventi  del  senatore  Albertini   si
rinverrebbe cosi' «un tema complessivo di  sindacato  ispettivo»  che
richiederebbe «di  assicurare  la  garanzia  dell'insindacabilita'  a
tutti gli atti della serie complessiva in cui si e'  estrinsecata  la
pertinente attivita' di denuncia e di impulso, di comunicazione e  di
informazione sui temi che il Senatore Albertini  ha  prescelto  quale
oggetto tipico di esplicazione del proprio mandato». 
    A conforto di questa tesi, il Senato allega le interrogazioni del
senatore Albertini al Ministro della  Giustizia  n.  4-01571  del  29
gennaio 2014; n. 4-02297 del 10 giugno  2014  e  n.  4-02501  del  16
luglio 2014, con le relative risposte del Ministro. 
    A prescindere dal contenuto degli evocati atti  parlamentari,  e'
tuttavia  decisivo  constatare  che  le  dichiarazioni  oggetto   del
procedimento penale sono  state  pronunciate  da  Gabriele  Albertini
nell'ottobre del 2012, quando egli ancora non ricopriva la carica  di
senatore. In quel momento,  infatti,  Albertini  era  componente  del
Parlamento europeo, mentre sarebbe stato eletto senatore soltanto nel
marzo del 2013. 
    Di conseguenza, le opinioni in questione non sono state  espresse
nell'esercizio  delle  funzioni  parlamentari  e   la   deliberazione
impugnata e' da annullare. 
    Questo orientamento e' gia' stato seguito in un caso  precedente,
in cui questa  Corte  -  chiamata  a  decidere  su  un  conflitto  di
attribuzione  tra   poteri   relativo   ad   una   deliberazione   di
insindacabilita' adottata con riferimento ad opinioni espresse da  un
senatore in un periodo pero' antecedente  all'elezione  al  Senato  -
dopo aver dichiarato ammissibile il conflitto (ordinanza n.  530  del
2000), nella fase a contraddittorio integro lo ha risolto nel merito,
accogliendo il ricorso «sia per i caratteri materiali della  condotta
addebitata, sia - decisivamente - per la sua inerenza ad  un  periodo
anteriore  all'assunzione  dello   status   di   parlamentare»,   con
conseguente annullamento della deliberazione del Senato (sentenza  n.
270 del 2002). 
    Vero che, in precedenti casi (in cui il parlamentare, in corso di
giudizio, era stato successivamente eletto nell'altra  Camera),  sono
stati ritenuti inammissibili  conflitti  di  attribuzione  aventi  ad
oggetto delibere di insindacabilita' assunte dal ramo del  Parlamento
cui il parlamentare non apparteneva all'epoca dei fatti (sentenze  n.
30 del 2002 e n. 252 del 1999). Si  era  allora  ritenuto  che  «[l]a
inesistenza [...] di una delibera della Camera  di  appartenenza  del
parlamentare, facendo mancare la materia stessa  del  conflitto,  non
puo' non comportarne la dichiarazione di  inammissibilita'».  Si  era
altresi' specificato che  sarebbe  rimasto  impregiudicato,  sia  «il
potere della Camera  competente  di  deliberare  in  argomento»,  sia
«quello dell'autorita' giudiziaria di giudicare sui fatti, e anche di
valutare  autonomamente  la  loro  riconducibilita'   alle   funzioni
parlamentari e di contrastare eventualmente una  diversa  valutazione
della Camera stessa, se e quando essa sopravvenga, con  lo  strumento
del conflitto di attribuzione» (sentenza n. 252 del 1999). 
    In disparte la circostanza che, nel caso presente, il senatore in
questione, al momento dei fatti, non era membro dell'altra Camera del
Parlamento nazionale bensi' del  Parlamento  europeo,  questi  ultimi
precedenti vanno rivisitati, proprio alla luce di quanto deciso nella
pure  ricordata  sentenza  n.  270  del  2002.  Infatti,  il  rilievo
istituzionale da riconoscere a una  deliberazione  del  Senato  della
Repubblica comporta che essa, quand'anche adottata in  situazione  di
incompetenza, sia idonea a radicare, in ogni caso, un  conflitto  tra
poteri, che non puo' percio' esser  ritenuto  inammissibile  ma  deve
essere deciso nel merito. 
    5.- In definitiva, poiche' la impugnata delibera risulta adottata
in  riferimento  ad  opinioni  espresse  da  chi,  in  quel  momento,
all'assemblea del Senato non apparteneva, il ricorso va accolto,  non
spettando al Senato della Repubblica deliberare che le  dichiarazioni
in esame costituiscono opinioni espresse da un membro del  Parlamento
nell'esercizio delle sue funzioni.