ha pronunciato la seguente 
 
                              ORDINANZA 
 
    nel  giudizio  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.   628,
secondo comma, del codice penale, promosso dal Tribunale ordinario di
Torino nel procedimento penale a carico di A. D.F., con ordinanza del
18 novembre 2019, iscritta al n. 41 del  registro  ordinanze  2020  e
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della  Repubblica  n.  20,  prima
serie speciale, dell'anno 2020. 
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nella camera di consiglio del 28  aprile  2021  il  Giudice
relatore Nicolo' Zanon; 
    deliberato nella camera di consiglio del 28 aprile 2021. 
    Ritenuto che, con ordinanza del 18 novembre 2019 (reg. ord. n. 41
del  2020),  il  Tribunale  ordinario  di  Torino  ha  sollevato,  in
riferimento agli artt. 3, 25, secondo comma, e 27, terzo comma, della
Costituzione, questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 628,
secondo comma, del codice penale; 
    che il rimettente deve definire,  mediante  rito  abbreviato,  il
giudizio nei confronti  di  persona  accusata  del  reato  di  rapina
cosiddetta impropria (art. 628, secondo comma, cod. pen.), per avere,
appena uscita da un supermercato con merce non pagata,  esercitato  a
piu' riprese violenza e minacce nei confronti di un sorvegliante,  al
fine di conseguire l'impunita' per il reato commesso; 
    che il giudice a quo, condivisa la qualificazione  giuridica  del
fatto   enunciata   nell'imputazione,   evidenzia   l'identita'    di
trattamento sanzionatorio tra il reato in contestazione e il  delitto
di rapina cosiddetta propria (art.  628,  primo  comma,  cod.  pen.),
ponendo in luce la crescita esponenziale dei valori edittali di  pena
che accomuna i due reati; 
    che egli ricorda, in particolare, come il valore  minimo  per  la
sanzione detentiva sia stato elevato da tre a quattro anni ex art. 1,
comma 8, lettera a), della legge 23 giugno 2017, n. 103 (Modifiche al
codice penale,  al  codice  di  procedura  penale  e  all'ordinamento
penitenziario), e da quattro a  cinque  anni  ex  art.  6,  comma  1,
lettera a), della legge 26 aprile 2019, n. 36  (Modifiche  al  codice
penale e altre disposizioni in materia di legittima difesa); 
    che l'equiparazione tra le pene comminate per la rapina propria e
per quella impropria, secondo il rimettente,  contrasterebbe  con  il
principio di uguaglianza, data l'asserita disomogeneita'  strutturale
delle due figure di reato; 
    che, infatti, nella rapina propria, l'azione  si  incentra  sulla
violenza alla persona  quale  mezzo  finalizzato  all'impossessamento
della cosa mobile altrui, rivelandosi  per  questo  -  a  parere  del
rimettente - quale reato soggettivamente e oggettivamente piu'  grave
della rapina impropria, in occasione della  quale  l'agente,  invece,
non programma l'uso della violenza  quale  mezzo  essenziale  per  la
commissione del reato, e vi fa ricorso dopo l'impossessamento e  solo
eventualmente, per effetto di una «tensione istintiva alla liberta'»; 
    che la parificazione del trattamento  sanzionatorio  risulterebbe
ingiustificata anche considerando che, mentre la  rapina  propria  si
consuma solo quando  la  sottrazione  della  cosa  mobile  altrui  e'
seguita da un effettivo impossessamento, con la  possibilita'  dunque
che il delitto sia integrato  nella  sola  forma  del  tentativo,  la
rapina impropria e' consumata  gia'  con  l'atto  della  sottrazione,
anche quando il  reo  non  sia  riuscito  a  conseguire  il  possesso
indisturbato del bene; 
    che, inoltre, il rimettente osserva come la condotta  violenta  o
minacciosa, tenuta allo scopo di conseguire l'impunita' o il profitto
del reato di furto, integri il delitto punito ex art. 628  cod.  pen.
solo quando sia attuata «immediatamente» dopo la sottrazione, e  come
altrimenti l'agente subisca un trattamento sanzionatorio  assai  piu'
mite, dato dal cumulo delle pene per il furto  e  per  il  successivo
reato, strumentale a conservare il possesso della cosa o a conseguire
l'impunita' (ad esempio, resistenza a pubblico ufficiale  o  violenza
privata); 
    che, ad avviso del Tribunale rimettente la sussistenza,  o  meno,
del carattere di immediatezza della violenza  o  della  minaccia  non
inciderebbe sulla sostanziale analogia dei due  comportamenti  appena
posti in comparazione,  i  quali  dunque  meriterebbero  un  identico
trattamento sanzionatorio, per entrambi assai meno severo  di  quello
riservato alla rapina propria; 
    che la disciplina censurata, secondo  il  rimettente,  violerebbe
anche  il  principio  di  offensivita',  desunto  dal  secondo  comma
dell'art.  25  Cost.,  posto  che  differenti  livelli  di   gravita'
dell'offesa esigerebbero risposte  sanzionatorie  difformi,  sia  sul
piano edittale, sia in termini di  adeguata  regolazione,  attraverso
cornici edittali sufficientemente articolabili con  riferimento  alle
peculiarita' dei casi concreti; 
    che   l'attuale   trattamento   della   rapina   impropria    non
corrisponderebbe  al  modello  indicato,  mentre  la  qualifica   del
medesimo fatto come  furto  (tentato  o  consumato)  seguito  da  una
condotta violenta  o  minacciosa,  consentirebbe  di  considerare  le
fattispecie concrete con la necessaria duttilita'; 
    che infine, secondo il giudice a  quo,  la  disciplina  censurata
contrasterebbe anche con il secondo (recte: terzo) comma dell'art. 27
Cost., poiche' la  funzionalita'  rieducativa  della  pena  esige  un
rapporto di adeguata proporzione tra il fatto e la pena  medesima,  e
tale rapporto sarebbe squilibrato, a fronte delle condotte di  rapina
impropria, considerando che il minimo edittale, per la reclusione, e'
ora pari a cinque anni; 
    che, sulla base delle premesse indicate, il Tribunale  di  Torino
sollecita un intervento di ablazione del secondo comma dell'art.  628
cod. pen.; 
    che l'eliminazione della norma  comporterebbe,  per  gli  attuali
casi di rapina impropria, l'applicazione congiunta della  fattispecie
di furto e  della  figura  di  reato  di  volta  in  volta  integrata
dall'azione successiva alla sottrazione della cosa  altrui  (violenza
privata, ad  esempio,  o  resistenza  a  pubblico  ufficiale),  cosi'
delineandosi una reazione sanzionatoria  proporzionata  ai  fatti,  e
doverosamente distinta da  quella  riservata  al  delitto  di  rapina
propria; 
    che il Presidente del Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e
difeso dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  e'  intervenuto  nel
giudizio con atto depositato il  3  giugno  2020,  chiedendo  che  la
questione sia dichiarata  «inammissibile,  improcedibile  e  comunque
infondata»; 
    che  infatti  sarebbe  infondato  il   principale   assunto   del
rimettente,  secondo  cui  il  ricorso  premeditato   alla   violenza
costituirebbe un profilo necessario ed  esclusivo  delle  ipotesi  di
rapina propria, ben potendo una reazione violenta o minacciosa essere
programmata anche per il caso di resistenze opposte alla consumazione
di un furto; 
    che,  dunque,  le  fattispecie  di  rapina  in  comparazione   si
distinguerebbero solo per  il  momento  nel  quale  il  comportamento
violento o minaccioso si inserisce all'interno di una  serie  causale
sostanzialmente analoga:  prima  della  sottrazione  ed  al  fine  di
realizzarla, oppure dopo la sottrazione ed al fine di  conseguirne  i
vantaggi; 
    che sarebbe di contro evidente la maggior gravita' dei  fatti  di
rapina impropria rispetto a quelli in  cui  la  condotta  violenta  o
minacciosa, non seguendo immediatamente la sottrazione, sarebbe ormai
estranea all'aggressione patrimoniale, e  calata  per  questo  in  un
contesto normativo del tutto diverso  (cessata  legittimazione  della
vittima  alla  difesa  personale  e  possibilita'  per  l'agente   di
utilizzare gli strumenti della tutela possessoria); 
    che le ragioni indicate - sempre secondo l'Avvocatura generale  -
varrebbero ad escludere anche il fondamento delle  censure  costruite
sul principio di offensivita', in assoluto e  nel  confronto  con  la
previsione concernente la rapina propria, la  quale  disegnerebbe  un
reato di capacita' lesiva del tutto analoga  a  quella  della  rapina
impropria; 
    che, infine, parimenti non fondate sarebbero le censure  relative
alla carenza di proporzionalita' del trattamento sanzionatorio, anche
tenuto conto dell'ampiezza della forbice edittale, e della  correlata
possibilita' dell'applicazione di  circostanze  attenuanti,  tale  da
consentire, nei casi di minor gravita', un trattamento  sanzionatorio
proporzionato e dunque efficace in chiave  di  risocializzazione  del
reo. 
    Considerato che, con ordinanza del 18 novembre 2019 (reg. ord. n.
41 del 2020), il Tribunale  ordinario  di  Torino  ha  sollevato,  in
riferimento agli artt. 3, 25, secondo comma, e 27, terzo comma, della
Costituzione, questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 628,
secondo comma, del codice penale; 
    che  la  norma  censurata,   secondo   il   rimettente,   sarebbe
costituzionalmente illegittima in quanto  prevede  per  il  reato  di
rapina impropria la  stessa  pena  stabilita  per  quello  di  rapina
propria, di cui al primo comma dello stesso art. 628 cod. pen.; 
    che l'anzidetta parificazione  sarebbe  ingiustificata,  a  mente
dell'art. 3 Cost., per la minor gravita'  del  primo  reato  (ove  il
ricorso alla violenza o alla minaccia non sarebbe  programmato,  come
tipicamente accadrebbe, invece, nel  caso  di  rapina  propria),  per
l'anticipazione del momento consumativo alla fase di mera sottrazione
della cosa  altrui  (mentre  la  consumazione  della  rapina  propria
richiede anche l'impossessamento), per  la  sproporzione  della  pena
rispetto al caso, ritenuto analogo, in cui la violenza o la  minaccia
non si verificano  immediatamente  dopo  la  sottrazione  della  cosa
mobile altrui (caso per  il  quale  il  cumulo  delle  pene  -  avuto
riguardo al  furto  e  ai  reati  successivi  come,  ad  esempio,  la
resistenza a pubblico ufficiale o la violenza privata - puo' condurre
all'irrogazione di pene assai piu' moderate); 
    che per le  stesse  ragioni,  secondo  il  Tribunale  rimettente,
sarebbe violato anche il principio di  offensivita',  come  stabilito
all'art. 25, secondo comma, Cost., non corrispondendo il  trattamento
sanzionatorio all'entita' dell'offesa tipica del reato in  questione,
ne'  in  assoluto  ne'  in  rapporto  alle  fattispecie  evocate   in
comparazione; 
    che, sempre a parere del giudice a quo, sarebbe violato anche  il
disposto del secondo (recte: terzo) comma dell'art. 27  Cost.,  posto
che la necessaria finalizzazione rieducativa  della  pena  impone  un
rapporto di proporzionalita' tra la sanzione inflitta e  la  gravita'
del reato commesso, non ottenibile alla  luce  degli  elevati  valori
edittali della norma censurata; 
    che tutte le censure indicate sono gia' state valutate da  questa
Corte, con esito di non fondatezza, con la sentenza n. 190 del  2020,
concernente tra l'altro  un'ordinanza  dell'odierno  rimettente,  dal
tenore analogo a quella ora in esame; 
    che non e' fondato,  in  primo  luogo,  l'assunto  della  diversa
gravita' soggettiva e  oggettiva  dei  fatti  di  rapina  propria  ed
impropria, considerati nella  loro  fisionomia  tipica,  che  infatti
comprende  per  entrambi,  nella  rappresentazione  dell'agente,  sia
l'impossessamento della cosa  mobile  altrui,  sia  il  ricorso  alla
violenza o alla minaccia,  nel  contesto  unitario  di  una  medesima
aggressione patrimoniale; 
    che, in particolare, il ricorso alla  violenza  puo'  non  essere
preordinato nel caso della rapina propria,  cosi'  come  puo'  essere
invece preordinato nella programmazione di un furto, per il  caso  si
renda necessario al fine di mantenere il possesso  della  cosa  o  di
conseguire l'impunita'; 
    che, dunque, la solo parziale simmetria  tra  le  due  figure  di
rapina (data dalla sufficienza della sottrazione della cosa a fini di
consumazione  della  rapina  impropria)  non   impone   affatto   una
previsione sanzionatoria differenziata, poiche'  le  due  fattispecie
condividono il tratto essenziale del ricorso alla violenza o minaccia
in un contesto attuale di aggressione patrimoniale; 
    che, a tale ultimo proposito, la sequenza tra  sottrazione  della
cosa e ricorso alla condotta violenta o  minacciosa,  quando  segnata
dal connotato di immediatezza, distingue la rapina impropria dal caso
del furto cui pure conseguano condotte analoghe; 
    che, nel caso di violenza o minaccia immediata, il fatto presenta
una piu' marcata gravita' in termini di capacita' criminale del  reo,
nonche' di offesa per la vittima e per la  sua  sicurezza,  tanto  da
giustificare risolutive differenze  di  disciplina  sul  piano  della
difesa pubblica e privata  (possibilita'  di  arresto  in  flagranza,
ammissibilita' della legittima difesa); 
    che per tali ragioni, riguardo al trattamento sanzionatorio della
rapina impropria, va  esclusa  tanto  la  necessita'  di  ridurne  la
portata rispetto ai valori edittali fissati per  la  rapina  propria,
tanto la necessita' di assimilare il livello della pena  rispetto  al
caso  del  furto  seguito  da  condotte  strumentali  di  violenza  o
minaccia; 
    che, per le stesse ragioni, vanno respinte le censure riferite al
secondo comma dell'art. 25 Cost.; 
    che  risultano  altresi'  infondati  i  rilievi  concernenti   il
principio  di  proporzionalita',  sia  nella  dimensione  comparativa
proposta dal ricorrente, sia in termini assoluti; 
    che a tale ultimo proposito -  pur  dovendosi  ribadire  come  la
pressione punitiva attualmente esercitata riguardo ai delitti  contro
il patrimonio sia divenuta assai rilevante, tanto da  richiedere  che
il legislatore  ne  riconsideri  l'assetto,  anche  alla  luce  della
protezione penale attualmente assicurata a beni diversi -  resta  che
la severa previsione edittale concernente la rapina impropria non  e'
disallineata rispetto al trattamento delle  fattispecie  omologhe,  e
non presenta dunque connotati di anomalia  o  sintomi  di  intrinseca
irragionevolezza; 
    che le odierne questioni, sollevate prima della  citata  sentenza
n. 190 del 2020, non apportano nuovi argomenti rispetto a quelli gia'
vagliati in tale pronuncia e devono di conseguenza essere  dichiarate
manifestamente infondate (ex multis, ordinanze n. 204  e  n.  93  del
2020). 
    Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953,  n.
87, e 9, comma 2, delle Norme integrative per i giudizi davanti  alla
Corte costituzionale.