ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art.  17,  comma
1, del decreto legislativo 13  aprile  1999,  n.  112  (Riordino  del
servizio nazionale della  riscossione,  in  attuazione  della  delega
prevista dalla legge 28 settembre  1998,  n.  337),  come  sostituito
dall'art. 32, comma 1, lettera  a),  del  decreto-legge  29  novembre
2008, n. 185 (Misure urgenti per  il  sostegno  a  famiglie,  lavoro,
occupazione e impresa e per ridisegnare  in  funzione  anti-crisi  il
quadro strategico nazionale), convertito,  con  modificazioni,  nella
legge 28 gennaio 2009, n. 2, promosso  dalla  Commissione  tributaria
provinciale di Venezia nel procedimento vertente tra l'Azienda unita'
locale socio sanitaria (ULSS) 12 Veneziana e  Equitalia  Nord  spa  -
agente di riscossione Venezia,  con  ordinanza  del  5  giugno  2019,
iscritta al n. 85 del registro  ordinanze  2020  e  pubblicata  nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica  n.  29,  prima  serie  speciale,
dell'anno 2020. 
    Visti l'atto di  costituzione  dell'Azienda  ULSS  12  Veneziana,
nonche'  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito  nell'udienza  pubblica  del  25  maggio  2021  il  Giudice
relatore Luca Antonini; 
    uditi gli avvocati Massimo Luciani e  Loris  Tosi  per  l'Azienda
ULSS 12 Veneziana e l'avvocato dello Stato Gianni De  Bellis  per  il
Presidente del Consiglio dei ministri, questi ultimi in  collegamento
da remoto, ai sensi del punto 1) del  decreto  del  Presidente  della
Corte del 18 maggio 2021; 
    deliberato nella camera di consiglio del 25 maggio 2021. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza del 5 giugno 2019 (reg. ord. n. 85  del  2020),
la Commissione tributaria provinciale (CTP) di Venezia ha  sollevato,
in riferimento agli artt. 3, 23, 24, 53, 76 e 97 della  Costituzione,
questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 17, comma  1,  del
decreto legislativo 13 aprile 1999, n.  112  (Riordino  del  servizio
nazionale della riscossione,  in  attuazione  della  delega  prevista
dalla legge 28 settembre 1998, n. 337), come sostituito dall'art. 32,
comma 1, lettera a), del  decreto-legge  29  novembre  2008,  n.  185
(Misure urgenti per il sostegno a  famiglie,  lavoro,  occupazione  e
impresa e per ridisegnare in funzione anti-crisi il quadro strategico
nazionale), convertito, con modificazioni,  nella  legge  28  gennaio
2009, n. 2. 
    La disposizione censurata, nella versione applicabile, ad  avviso
del rimettente, al caso di specie, disponeva (in  combinato  disposto
con l'art. 5, comma 1, primo  periodo,  del  decreto-legge  6  luglio
2012, n. 95, recante «Disposizioni urgenti  per  la  revisione  della
spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini nonche' misure
di rafforzamento patrimoniale delle imprese  del  settore  bancario»,
convertito, con modificazioni, nella legge 7 agosto 2012, n. 135, che
ha ridotto di un punto la percentuale dell'aggio) che  «[l']attivita'
degli agenti della riscossione e' remunerata con un  aggio,  pari  al
nove [otto] per cento delle somme iscritte a  ruolo  riscosse  e  dei
relativi interessi di mora e che e' a  carico  del  debitore:  a)  in
misura del 4,65 per cento delle somme iscritte a ruolo,  in  caso  di
pagamento entro il sessantesimo giorno dalla notifica della cartella.
In tal caso, la restante  parte  dell'aggio  e'  a  carico  dell'ente
creditore; b) integralmente, in caso contrario». 
    1.1.- Le questioni sono sorte nel corso di un  giudizio  proposto
dall'Azienda ULSS 12 Veneziana contro Equitalia Nord spa avverso  una
cartella di pagamento dell'importo di complessivi euro  4.249.745,75,
di cui euro 188.838,07 a titolo di «compensi (aggio) di riscossione»,
notificata il 3 settembre 2014 ed emessa a seguito  di  iscrizione  a
ruolo del 16 giugno 2014 per imposte, sanzioni, interessi e  compensi
della riscossione dovuti per gli anni dal 1998 al 2001, in  relazione
ad avvisi di  accertamento  divenuti  definitivi  per  effetto  della
sentenza della Corte di cassazione,  sezione  quinta  civile,  del  9
aprile 2014, n. 8320. 
    Il giudice a quo  riferisce  che  l'impugnazione  della  predetta
cartella «riguarda unicamente i compensi di riscossione»  e  che  con
essa la ricorrente ha chiesto: a) in via pregiudiziale, di  sollevare
questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 17, comma  1,  del
d.lgs. n. 112 del 1999 per contrasto con gli artt. 3, 23, 24, 53,  76
e 97 Cost.; b) in via principale, di dichiarare illegittima in  tutto
o in parte la cartella di  pagamento  con  riferimento  alla  pretesa
dell'aggio di riscossione;  c)  in  via  subordinata,  di  dichiarare
illegittima in tutto o in  parte  la  cartella  medesima  per  errata
determinazione dell'aggio della riscossione. 
    Illustrate nel dettaglio le ragioni esposte dall'Azienda ULSS nel
ricorso  introduttivo  del  2014  a  sostegno  della   richiesta   di
rimessione, la CTP fa  proprie  tali  doglianze  della  contribuente,
precisando che debbono considerarsi recepite nonche' trascritte  «per
extenso in  questa  sede»,  e  aggiunge  ulteriori  argomentazioni  e
osservazioni. 
    1.2.- In punto di diritto, il  giudice  a  quo  premette  che  la
suddetta censurata normativa e' applicabile ratione temporis al  caso
di specie, data la mancanza di efficacia delle modifiche, in  difetto
dell'apposito decreto attuativo  da  esse  previsto,  successivamente
apportate all'art. 17, comma 1, del d.lgs. n. 112 del 1999  dall'art.
10, comma 13-quater,  del  decreto-legge  6  dicembre  2011,  n.  201
(Disposizioni urgenti per la crescita, l'equita' e il  consolidamento
dei conti pubblici), convertito, con modificazioni,  nella  legge  22
dicembre 2011, n. 214. 
    1.3.- Quanto alle ragioni della non  manifesta  infondatezza,  il
rimettente ritiene che la disciplina denunciata violerebbe  l'art.  3
Cost., perche' la previsione di un aggio di riscossione, pari  a  una
percentuale  fissa  delle  somme  riscosse,   irragionevolmente   non
consentirebbe  di  commisurare  la   remunerazione   dell'agente   di
riscossione al  costo  effettivo  del  servizio,  tanto  che  l'aggio
sarebbe dovuto anche in assenza di costi. 
    Inoltre, nel caso di tributi di importo  esiguo  o  di  ammontare
elevato,  la  stessa  disciplina  determinerebbe  una  remunerazione,
rispettivamente, largamente inferiore o  superiore  ai  costi,  senza
neppure  il  ragionevole  correttivo  costituito  da   un   opportuno
prefissato tetto massimo e minimo,  come  nell'ipotesi  esaminata  da
questa Corte nella sentenza di rigetto n.  480  del  1993,  idoneo  a
determinarne un ancoraggio ai costi del servizio. Secondo il  giudice
a quo, da tale precedente si dovrebbe concludere  che  l'introduzione
di una disposizione che preveda  la  remunerazione  del  servizio  di
riscossione  in   misura   percentuale   al   tributo   sarebbe   non
irragionevole  soltanto  a  condizione  «che  venga  prestabilito  un
importo minimo e  massimo  entro  cui  l'aggio  deve  necessariamente
essere  contenuto»  e   «un   rapporto   inversamente   proporzionale
all'ammontare della somma da riscuotere». 
    La mancanza di  un  ancoraggio  al  costo  del  servizio  farebbe
perdere  al  compenso  per  la  riscossione  il  suo   carattere   di
controprestazione economica, creando un'ingiustificata «disparita' di
trattamento tra i contribuenti» che, a parita' di servizio reso -  ad
esempio la compilazione della  cartella  di  pagamento  -,  sarebbero
tenuti al pagamento di un aggio diverso  in  relazione  agli  importi
dovuti. 
    La  norma  censurata  sarebbe  infine  irragionevole   sotto   un
ulteriore profilo,  relativo  alla  circostanza  che  detti  compensi
maturerebbero  anche  in  relazione  a  voci  accessorie  (come   gli
interessi di mora) che nulla avrebbero a  che  fare  con  la  pretesa
tributaria. 
    1.4.- L'art. 17, comma 1, del d.lgs. n. 112 del 1999, applicabile
ratione temporis, violerebbe poi l'art. 23 Cost. 
    Non sarebbe rispettato, infatti, il principio  della  riserva  di
legge espresso  dall'evocato  parametro  in  quanto,  ad  avviso  del
rimettente,  i  compensi  di   riscossione,   proprio   perche'   non
commisurati ai costi  del  servizio,  costituirebbero  «in  concreto»
prestazioni patrimoniali imposte rispetto alle quali  il  legislatore
non avrebbe individuato il presupposto e la misura della  prestazione
ovverosia, rispettivamente, gli atti  esecutivi  o  in  generale  gli
oneri a carico del contribuente e la misura del costo dell'esecuzione
coattiva. 
    1.5.- La disposizione censurata  contrasterebbe  inoltre  con  il
diritto di difesa sancito all'art. 24 Cost. 
    Non  imponendo  al  concessionario  «di  indicare  nella  sezione
"dettaglio degli  addebiti"  gli  atti  esecutivi  compiuti  in  ogni
singolo procedimento di riscossione», essa impedirebbe,  infatti,  di
rendere  conosciute  o  conoscibili  al  contribuente  le   effettive
attivita' esecutive, precludendo un «controllo della proporzionalita'
(o addirittura della effettiva necessita') delle attivita'  poste  in
essere dall'ente riscossione». 
    1.6.-   Il    rimettente    lamenta    ancora    l'illegittimita'
costituzionale della norma indubbiata  per  violazione  dell'art.  53
Cost. 
    Sarebbe compromesso, in particolare, il  principio  di  capacita'
contributiva  da  esso  enunciato  perche'  l'imposizione  tributaria
aumentata dei compensi per  la  riscossione  «non  risulterebbe  piu'
commisurata  al  potere  del  cittadino  di  concorrere  alle   spese
pubbliche con la propria redditivita'», ma alle  imposte  dovute  dal
contribuente ovverosia a debiti che per loro  natura  non  potrebbero
mai «essere indici di ricchezza». 
    Peraltro, le prescritte modalita' di determinazione dei  compensi
contrasterebbero anche con il criterio di progressivita' del  sistema
tributario, «che [...] in relazione ad  esborsi  economici  correlati
all'esercizio di un'attivita' istituzionale dovrebbe trasformarsi  in
"regressivita'"». 
    Inoltre,   tale   disciplina   dell'aggio    discriminerebbe    i
contribuenti, i quali si vedrebbero «privati del diritto a dosare  la
propria contribuzione in base al reddito, scegliendo in  questo  modo
l'intensita' delle proprie prestazioni lavorative». 
    1.7.- Secondo la CTP, il censurato art. 17, comma 1,  del  d.lgs.
n. 112 del 1999, «non prescrivendo alcuna verifica puntuale e precisa
dei costi realmente sostenuti per la riscossione dei  ruoli  affidati
dall'ente creditore», violerebbe altresi' l'art. 76 Cost.  in  quanto
eccederebbe i limiti della legge 28 settembre 1998, n 337 (Delega  al
Governo per il riordino della disciplina relativa alla  riscossione),
che all'art. 1, comma 1, lettera e), aveva  delegato  il  Governo  ad
adottare  un  decreto  legislativo  che  prevedesse  «un  sistema  di
compensi  collegati  alle  somme  iscritte  a  ruolo   effettivamente
riscosse, alla tempestivita'  della  riscossione  e  ai  costi  della
riscossione». 
    Precisa il rimettente che cio' varrebbe «sia in generale, sia con
specifico riferimento ai costi sostenuti  per  la  riscossione  delle
imposte dovute dal singolo contribuente». 
    1.8.-  La  norma  indubbiata  lederebbe  infine  i  principi   di
imparzialita' e buon andamento della pubblica amministrazione sanciti
all'art. 97 Cost., sotto distinti profili. 
    Innanzitutto, secondo il  rimettente,  l'assenza  di  un  preciso
dettato normativo che individui in modo specifico le procedure  della
riscossione, la tipologia degli atti e i relativi costi,  nonche'  la
mancanza di una forma di responsabilita' del concessionario in ordine
alle scelte operate, esporrebbe il contribuente al rischio di  essere
«onerato da costi ingenti per azioni inutili (inesistenza di beni  da
aggredire) o eccessivamente dispendiose», in pregiudizio dei  cennati
principi. 
    Inoltre, la norma censurata contrasterebbe con  il  principio  di
buon andamento della pubblica amministrazione in  quanto,  disponendo
criteri  e  modalita'  di  riscossione   irrazionali,   non   sarebbe
finalizzata ad assicurare l'efficienza  del  servizio.  Tale  lesione
troverebbe ulteriore conferma nella circostanza che, a differenza del
sistema previgente, per effetto della riforma attuata con  il  d.lgs.
n.  112  del  1999,  Equitalia  spa  non  assumerebbe  alcun  rischio
d'impresa per la mancata riscossione delle imposte iscritte  a  ruolo
dall'Ufficio finanziario (dato che  puo'  esercitare  il  diritto  di
discarico  per  inesigibilita'  di  cui  all'art.  19  del   medesimo
decreto),  non  subendo  «alcun  danno   patrimoniale   per   effetto
dell'inadempimento del contribuente». Cio' renderebbe dunque evidente
la sproporzione dell'aggio, che la legge riconosce  all'agente  della
riscossione anche qualora l'attivita' svolta risulti infruttuosa  per
inesigibilita' del credito erariale. 
    1.9.- Secondo  il  giudice  a  quo,  infine,  le  questioni  sono
rilevanti, in quanto la sorte del  giudizio  dipenderebbe  unicamente
dall'applicazione della norma censurata. La modifica intervenuta  per
effetto dell'art. 5 del d.l. n. 95 del  2012,  come  convertito,  non
riguarderebbe,  poi,  «la  quota  parte  a  carico  del   ricorrente»
(giacche' - come nel caso di specie  -  anche  qualora  il  pagamento
avvenga entro il termine di  sessanta  giorni  dalla  notifica  della
cartella detta quota rimarrebbe comunque pari al 4,65 per cento). 
    2.- Con atto depositato il  4  agosto  2020,  e'  intervenuto  in
giudizio il Presidente del Consiglio dei  ministri,  rappresentato  e
difeso  dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  chiedendo  che   le
questioni siano dichiarate inammissibili o comunque non fondate. 
    2.1.- La difesa statale eccepisce la  manifesta  inammissibilita'
delle questioni ritenendo di poter estendere all'odierno incidente le
ragioni gia' indicate da questa Corte nell'ordinanza n. 65 del  2018.
Il  giudice  a  quo  avrebbe,  infatti,  denunciato   «una   generica
irrazionalita' del sistema» dolendosi «dell'aggio non in quanto tale,
ma in quanto  questo  non  [verrebbe]  ancorato  al  costo  effettivo
dell'attivita' di riscossione». Pertanto, l'intervento richiesto  non
sarebbe in senso totalmente caducatorio, ma «teso  a  ridisegnare  la
disciplina del compenso dell'agente di riscossione in maniera tale da
garantire tale ancoraggio». 
    In  mancanza  di  criteri  da  seguire  per  la   quantificazione
dell'aggio, la richiesta sarebbe irrimediabilmente ambigua in  quanto
la prospettazione dell'ordinanza si presterebbe a una duplice lettura
dell'asserita  sproporzione  del   compenso,   nell'alternativa   tra
riferirla al costo della  specifica  procedura  esecutiva  oppure  ai
costi   complessivi   dell'attivita'   svolta    dall'agente    della
riscossione. 
    Da qui l'indeterminatezza e oscurita' del petitum, che resterebbe
irrisolta anche nelle conclusioni dell'ordinanza con cui si pone  una
generica richiesta di declaratoria di  illegittimita'  costituzionale
dell'art. 17, comma 1, del d.lgs. n. 112 del 1999. 
    2.2.-  A  sostegno  della   non   fondatezza   delle   questioni,
l'Avvocatura generale premette che la norma censurata, laddove  pone,
in tutto o in parte, a carico del  debitore  l'onere  generato  dalla
riscossione, costituirebbe frutto di una precisa scelta  di  politica
fiscale finalizzata a far gravare tale  onere  sui  soggetti  morosi,
piuttosto che farlo ricadere interamente  sulla  fiscalita'  generale
(e, dunque, anche sui contribuenti  in  regola  con  gli  adempimenti
fiscali). In base  a  tale  prospettazione,  sarebbero  morosi  anche
coloro che, raggiunti da una cartella  di  pagamento,  adempiano  nel
termine di sessanta giorni dalla  sua  notifica,  in  quanto  ciascun
contribuente puo'  sempre  evitarla,  adempiendo  tempestivamente  ai
propri obblighi fiscali e contributivi. 
    Ad avviso della difesa statale, dall'ordinanza resterebbe  quindi
del  tutto  indimostrato  l'assunto  del  rimettente   per   cui   la
determinazione della remunerazione stabilita dal censurato  art.  17,
comma  1,  del   d.lgs.   n.   112   del   1999   comporterebbe   una
sovracompensazione del servizio. 
    A  confutazione  di  cio',  l'Avvocatura   generale   rileva   in
particolare che il rischio della «mancata esazione» costituirebbe uno
dei principali «fattori di  costo  del  sistema  della  riscossione»,
cosicche'  sarebbe  ragionevole  che  «il  costo   delle   esecuzioni
infruttuose»  venga  ripartito  sui   «contribuenti   solventi»   che
comunque,  con  il  loro  inadempimento,  hanno  concorso  a  rendere
necessaria l'istituzione di uno specifico servizio della riscossione;
cio' in quanto «la legge parte dal presupposto che una parte di  quel
compenso va a remunerare  i  costi  che  l'Agente  della  riscossione
sconta in relazione alle operazioni che si rivelano infruttuose». 
    Dunque, non potrebbe ritenersi sindacabile, in sede  di  giudizio
di costituzionalita' la mancata previsione di un  limite  massimo  di
compenso, in quanto  esso  potrebbe  pregiudicare  la  copertura  dei
predetti costi di struttura, con la conseguenza di  dover  trasferire
nuovamente una parte  degli  oneri  della  riscossione  dai  debitori
inadempienti alla fiscalita' generale, secondo scelte  che  sarebbero
tuttavia riservate alla discrezionalita' del legislatore. 
    La difesa statale si sofferma poi, ampiamente, sulle ragioni  per
le quali  sarebbe  impossibile  trasferire  in  modo  automatico  sul
censurato art. 17, comma  1,  del  d.lgs.  n.  112  del  1999,  nella
versione  applicabile  nel  giudizio   principale,   i   principi   -
asseritamente - enucleati da questa Corte costituzionale nella citata
sentenza n. 480 del 1993, emessa in  relazione  ad  altre,  risalenti
disposizioni  di  legge,  di  contenuto  oggettivamente   diverso   e
collocate in un quadro di riferimento profondamente mutato a  seguito
di  articolati  e  complessi  interventi   legislativi,   che   hanno
riguardato  sia  l'assetto  generale  della   riscossione,   sia   la
disciplina dei singoli strumenti di recupero coattivo. 
    2.3.- Secondo l'Avvocatura generale le ragioni  sopra  illustrate
condurrebbero  altresi'  alla  non  fondatezza  delle  questioni   di
legittimita' sollevate in riferimento agli artt. 23, 24 e  97  Cost.,
muovendo tutte dal medesimo ed erroneo presupposto interpretativo  in
forza del quale l'aggio debba remunerare  il  costo  della  specifica
attivita' di riscossione relativa al singolo contribuente in concreto
inciso dalla procedura. 
    2.4.- Anche la censura formulata in riferimento al  principio  di
capacita' contributiva sarebbe manifestamente infondata. Ed  infatti,
questa  Corte  avrebbe  gia'  chiarito  che  «va  esclusa  in  radice
l'adombrata violazione dell'art.  53  Cost.,  atteso  che  con  detto
precetto -  che  attiene  al  momento  sostanziale  dell'imposizione,
quanto alla individuazione del  presupposto  economico  del  tributo,
(che   deve   appunto   rispecchiare   la   capacita'    contributiva
dell'obbligato)  -  non  puo'  collidere  norma  [sulla   riscossione
regionale dei tributi], quale e' quella in oggetto, che  ha  riguardo
solo al diverso e successivo aspetto della  riscossione  del  tributo
stesso» (sentenza n. 480 del 1993; in  senso  conforme  viene  citata
anche la sentenza n. 7 del 1993). 
    2.5.- L'Avvocatura generale ritiene infine altresi' insussistente
il vulnus asseritamente arrecato all'art. 76  Cost.  per  eccesso  di
delega in relazione ai criteri previsti dalla legge n. 337 del  1998.
Da  un   lato,   infatti,   la   norma   indubbiata   sarebbe   stata
successivamente oggetto di interventi legislativi, rispetto ai  quali
non sussisterebbero piu' i vincoli che astringono  solo  l'emanazione
del decreto legislativo attuativo;  dall'altro  lato,  l'assunto  del
rimettente per cui essa sarebbe eccedente il criterio di remunerare i
costi della riscossione, costituirebbe  «al  piu',  un'illazione  non
dimostrata». 
    3.- Con atto depositato il 10 agosto 2020, si  e'  costituita  la
contribuente Azienda ULSS 12 Veneziana, chiedendo  che  le  questioni
siano accolte. 
    La   parte   privata   preliminarmente   argomenta   a   sostegno
dell'ammissibilita' di tutte le sollevate questioni, evidenziando che
il rimettente  avrebbe:  a)  puntualmente  ricostruito  i  «fatti  di
causa»; b) identificato la norma oggetto di censura; c)  motivato  in
ordine alla rilevanza e alla non manifesta infondatezza; d) formulato
un chiaro petitum. 
    In  particolare,  secondo   l'Azienda   ULSS,   il   petitum   si
identificherebbe  chiaramente  nella  richiesta  di   una   pronuncia
additiva, in quanto il rimettente avrebbe inteso censurare proprio la
«assenza di un prefissato tetto massimo e di un rapporto inversamente
proporzionale  all'ammontare  della  somma  da  riscuotere».  Il  che
differenzierebbe il caso di specie da quello dichiarato inammissibile
con l'ordinanza n. 65 del 2018 della Corte costituzionale. 
    Una tale richiesta non impingerebbe  nella  discrezionalita'  del
legislatore, sia in ragione di un nuovo indirizzo di questa Corte che
non subordinerebbe piu'  le  sentenze  additive  all'esistenza  delle
cosiddette rime obbligate (viene citata la sentenza n. 99 del  2019),
sia per la circostanza che,  in  riferimento  alla  norma  censurata,
sarebbero  proprio  l'assenza  di  un  limite  massimo  alla   misura
dell'aggio e di una proporzionalita'  inversa  del  suo  ammontare  a
determinare i lamentati vulnera. 
    Ne' infine si verserebbe in un caso di petitum  ambiguo,  poiche'
il rimettente avrebbe  precisato  che  le  doglianze  attengono  alla
disciplina dell'«aggio in quanto esso non risulta piu' ancorato  alla
effettiva  remunerazione  dell'attivita'  effettuata  e   dei   costi
sostenuti  dall'Agente  della  riscossione»,   con   cio'   palesando
inequivocabilmente  il  riferimento  ai  costi   sostenuti   per   la
«specifica procedura esecutiva». 
    3.1.- La  contribuente,  infine,  in  adesione  all'ordinanza  di
rimessione, ribadisce  le  ragioni  della  fondatezza  delle  singole
censure  gia'  illustrate  nel  ricorso  introduttivo  del   giudizio
principale. 
    In particolare, la violazione del principio di  ragionevolezza  e
di  non  discriminazione  sarebbero  accomunate  dal  fatto  che,  in
entrambi i casi, a difettare sarebbe «il sinallagma  fra  la  modesta
prestazione   resa    dall'esattore    e    l'enormita'    dell'aggio
riconosciutogli», non essendo il compenso ancorato in alcun  modo  ai
costi reali del servizio. Il contrasto con  l'art.  3  Cost.  sarebbe
dunque  palese,  tanto  che  la  somma  dovuta  non  potrebbe  essere
qualificata «ne' come rimborso o congrua remunerazione di un servizio
specifico, ne' copertura del servizio generale, ma come  una  vera  e
propria sanzione indiretta,  se  non  addirittura,  un  aggravio  del
carico fiscale o soprattassa», peraltro corrisposta all'agente  della
riscossione  quale  soggetto  privato,  ancorche'  a   partecipazione
pubblica. 
    A cio' aggiunge che dalle motivazioni della  sentenza  di  questa
Corte n. 269 del 2017 (pur  relativa  alla  diversa  fattispecie  del
contributo  per  il  finanziamento   dell'Autorita'   garante   della
concorrenza  e  del  mercato,  AGCM,  avente  natura  tributaria)  si
dovrebbe trarre il principio di una generale esigenza equitativa  per
cui sarebbe necessario contenere il carico dei singoli  contribuenti,
evitando - per traslato - che taluni di  essi  siano  trasformati  in
«"super-finanziatori" dell'agente di riscossione». 
    4.- A ridosso dell'udienza l'Avvocatura  generale  ha  depositato
memoria  insistendo  per  la  dichiarazione  di  inammissibilita'   e
comunque di non fondatezza delle questioni. 
    La difesa statale precisa, tra l'altro, che la richiesta additiva
formulata dal rimettente al fine  di  «introdurre  un  tetto  massimo
all'aggio del concessionario della riscossione e la  proporzionalita'
inversa tra la percentuale dell'aggio e l'importo da recuperare»  non
sarebbe stata supportata - secondo la giurisprudenza di questa  Corte
(e' citata la sentenza n.  99  del  2019)  -  dall'indicazione  della
presenza nell'ordinamento di una o piu' soluzioni  costituzionalmente
adeguate, che possano considerarsi coerenti con la logica  perseguita
dal legislatore nella disciplina censurata. 
    L'Avvocatura, inoltre, ritiene che il rimettente muoverebbe da un
erroneo presupposto laddove intende che un livello  di  remunerazione
rapportato  all'onerosita'   dell'attivita'   debba   necessariamente
significare un ancoraggio al costo minuto della singola operazione  e
non anche «alle responsabilita', al tempo, alle risorse  impiegate  e
al costo opportunita' delle alternative» in  considerazione,  quindi,
dell'attivita' dell'agente della riscossione nel suo complesso. 
    5.-  Anche  la  parte  privata  ha  depositato  memoria  fornendo
argomenti  a  contestazione  della  dedotta  inammissibilita'   delle
questioni per contraddittorieta' del petitum, che - a  suo  avviso  -
sarebbe, invece, chiaramente da  riferire  «ai  costi  della  singola
procedura esecutiva». 
    La  contribuente  sostiene  poi  che  la  denunciata  assenza  di
meccanismi che consentano di agganciare il compenso di riscossione ai
costi della procedura e, in particolare, l'«assenza di un  prefissato
tetto  massimo  e   di   un   rapporto   inversamente   proporzionale
all'ammontare della somma da riscuotere» indicherebbe chiaramente  il
«verso» della richiesta in via da addizione, cui questa Corte,  sulla
base della propria giurisprudenza, potrebbe rispondere  sia  mediante
una pronuncia additiva di principio, sia attraverso  un'ordinanza  di
rinvio della  trattazione  della  causa  con  contestuale  monito  al
legislatore (sono citate le ordinanze n. 132 del 2020 e  n.  207  del
2018). 
    Quanto al merito, la difesa ribadisce sostanzialmente quanto gia'
precedentemente illustrato nell'atto di costituzione precisando,  che
«a seguire la tesi dell'Avvocatura dello Stato, sarebbero i  soggetti
piu' virtuosi a dover rispondere per i  soggetti  morosi  o  comunque
incapienti»,  con  cio'  determinando  una  trasposizione  dell'onere
tributario dal soggetto che ne dovrebbe essere per  legge  attinto  a
quello che, invece, semplicemente puo' essere di fatto aggredito  dal
riscossore. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Con ordinanza del 5 giugno 2019 (reg. ord. n. 85  del  2020),
la Commissione tributaria provinciale (CTP) di Venezia ha  sollevato,
in riferimento agli artt. 3, 23, 24, 53, 76 e 97 della  Costituzione,
questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 17, comma  1,  del
decreto legislativo 13 aprile 1999, n.  112  (Riordino  del  servizio
nazionale della riscossione,  in  attuazione  della  delega  prevista
dalla legge 28 settembre 1998, n. 337), come sostituito dall'art. 32,
comma 1, lettera a), del  decreto-legge  29  novembre  2008,  n.  185
(Misure urgenti per il sostegno a  famiglie,  lavoro,  occupazione  e
impresa e per ridisegnare in funzione anti-crisi il quadro strategico
nazionale), convertito, con modificazioni,  nella  legge  28  gennaio
2009, n. 2. 
    La disposizione censurata, nella versione ritenuta applicabile al
caso di specie, disponeva - per effetto del  combinato  disposto  con
l'art. 5, comma 1, primo periodo, del decreto-legge 6 luglio 2012, n.
95, recante  «Disposizioni  urgenti  per  la  revisione  della  spesa
pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini  nonche'  misure  di
rafforzamento  patrimoniale  delle  imprese  del  settore  bancario»,
convertito, con modificazioni, nella legge 7 agosto 2012, n. 135 (che
ha  ridotto  di  un  punto   la   percentuale   dell'aggio)   -   che
«[l']attivita' degli agenti della riscossione e'  remunerata  con  un
aggio, pari al nove [otto] per cento delle  somme  iscritte  a  ruolo
riscosse e dei relativi interessi di mora  e  che  e'  a  carico  del
debitore: a) in misura del 4,65 per  cento  delle  somme  iscritte  a
ruolo, in caso  di  pagamento  entro  il  sessantesimo  giorno  dalla
notifica della cartella. In tal caso, la restante parte dell'aggio e'
a carico dell'ente creditore; b) integralmente, in caso contrario». 
    Il giudice a quo correttamente premette che la suddetta censurata
normativa e' applicabile ratione temporis al caso di specie, data  la
mancanza di  efficacia  delle  modifiche,  in  difetto  del  previsto
apposito decreto attuativo, successivamente  apportate  all'art.  17,
comma 1, del d.lgs. n. 112 del 1999 dall'art.  10,  comma  13-quater,
del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni  urgenti  per
la crescita, l'equita'  e  il  consolidamento  dei  conti  pubblici),
convertito, con modificazioni, nella legge 22 dicembre 2011, n. 214. 
    1.1.-  Ad  avviso  del  rimettente   la   disciplina   denunciata
violerebbe l'art. 3 Cost., in quanto la previsione  di  un  aggio  di
riscossione, pari a  una  percentuale  fissa  delle  somme  riscosse,
irragionevolmente non consentirebbe di commisurare  la  remunerazione
dell'agente di riscossione al costo effettivo del servizio, tanto che
l'aggio sarebbe dovuto anche in assenza di costi. Inoltre,  nel  caso
di tributi di importo esiguo o di ammontare  elevato,  determinerebbe
una remunerazione, rispettivamente, largamente inferiore o  superiore
ai costi, senza neppure il ragionevole correttivo  costituito  da  un
tetto massimo e minimo (come nell'ipotesi esaminata da  questa  Corte
nella sentenza n. 480 del 1993), idoneo a determinarne un  ancoraggio
ai  costi  del  servizio,  nonche'  da   un   rapporto   inversamente
proporzionale all'ammontare della somma da riscuotere. 
    La mancanza di tale ancoraggio farebbe perdere al compenso per la
riscossione il suo carattere di controprestazione economica,  creando
un'ingiustificata disparita' di trattamento tra i contribuenti che, a
parita' di servizio reso (ad esempio la compilazione  della  cartella
di pagamento), sarebbero tenuti al pagamento di un aggio  diverso  in
relazione agli importi dovuti. 
    Dal  presupposto  interpretativo  per  cui   i   compensi   della
riscossione non sarebbero commisurati ai costi  dell'attivita'  della
riscossione, il  rimettente  fa  discendere,  quindi,  la  violazione
dell'art.  23  Cost.,  in  quanto  l'aggio  si  risolverebbe  in  una
prestazione patrimoniale imposta, per la quale, tuttavia, mancherebbe
una previsione legislativa volta a determinarne il presupposto  e  la
misura  e,  quindi,  a   limitare   la   discrezionalita'   dell'ente
impositore. 
    La disciplina indubbiata contrasterebbe poi con l'art. 24  Cost.,
poiche' non imporrebbe all'agente di  riscossione  di  indicare,  nel
dettaglio degli addebiti, gli atti esecutivi compiuti in ogni singolo
procedimento di riscossione, cosi' non  consentendo  di  valutare  la
proporzionalita' o la necessita' dell'attivita' svolta dall'agente e,
conseguentemente, limitando i diritti di difesa del contribuente. 
    Sulla base dei medesimi presupposti, sarebbe  violato  l'art.  53
Cost., in quanto i previsti compensi di riscossione si risolverebbero
in una prestazione patrimoniale imposta non proporzionale  al  dovere
del cittadino di concorrere  alle  spese  pubbliche  con  il  proprio
reddito,  peraltro  contrastando  anche   con   il   criterio   della
progressivita'. 
    Sarebbe poi leso l'art. 76 Cost., in quanto la  norma  censurata,
nel fissare un aggio in una  misura  percentuale  fissa  delle  somme
dovute dal contribuente, senza prevedere alcuna verifica  puntuale  e
precisa dei costi realmente sostenuti per la riscossione  dei  ruoli,
avrebbe violato il  principio  di  delega  disposto  dalla  legge  28
settembre 1998, n 337  (Delega  al  Governo  per  il  riordino  della
disciplina relativa alla riscossione), che aveva previsto un  sistema
di compensi collegati alle  somme  iscritte  a  ruolo  effettivamente
riscosse, alla tempestivita'  della  riscossione  e  ai  costi  della
riscossione, normalizzati secondo criteri individuati  dal  Ministero
delle finanze. 
    La norma censurata lederebbe, infine, i principi di imparzialita'
e buon andamento della pubblica amministrazione di  cui  all'art.  97
Cost. 
    L'assenza di un preciso dettato normativo che individui  in  modo
specifico le procedure della riscossione, la tipologia degli atti e i
relativi costi, nonche' la mancanza di una forma  di  responsabilita'
del  concessionario  in  ordine  alle  scelte  operate,   esporrebbe,
infatti, il contribuente  al  rischio  di  essere  onerato  da  costi
ingenti per azioni inutili o eccessivamente dispendiose. 
    Inoltre, tale  disciplina,  disponendo  criteri  e  modalita'  di
riscossione  irrazionali,  non  sarebbe  finalizzata  ad   assicurare
l'efficienza del servizio e in ogni caso l'agente della  riscossione,
ancorche'  ormai  «ente  pubblico»,  si   troverebbe   a   esercitare
un'attivita'  imprenditoriale   sostanzialmente   priva   di   rischi
d'impresa,  non  subendo  «alcun  danno  patrimoniale   per   effetto
dell'inadempimento del contribuente». 
    2.- Il Presidente del  Consiglio  dei  ministri,  intervenuto  in
giudizio tramite l'Avvocatura dello Stato, nel richiedere nel  merito
la   dichiarazione   di   non   fondatezza   delle   questioni,    ha
preliminarmente sollevato varie eccezioni di inammissibilita'. 
    In particolare, tra l'altro, ha  eccepito  che  la  richiesta  e'
diretta a una riforma  di  sistema  senza  che  risultino  precedenti
normativi o giurisprudenziali adeguati (e' citata la sentenza  n.  99
del 2019). 
    2.1.- L'eccezione e' fondata nei termini di seguito precisati. 
    2.1.1.- Nella disciplina censurata l'aggio e' strutturato come il
meccanismo  di  finanziamento  ordinario  dell'intera  attivita'   di
riscossione,  la  quale,  secondo  quanto  osservato  dall'Avvocatura
generale, vede nel rischio della  «mancata  esazione»  uno  dei  suoi
principali   «fattori   di   costo».   Tale   istituto   e'   rimasto
sostanzialmente invariato anche nella normativa attualmente  vigente,
a seguito  della  riforma  operata  con  il  decreto  legislativo  24
settembre 2015, n. 159, recante  «Misure  per  la  semplificazione  e
razionalizzazione  delle  norme  in  materia   di   riscossione,   in
attuazione dell'articolo 3, comma 1, lettera a), della legge 11 marzo
2014, n. 23». 
    Il rilievo dell'Avvocatura e' esatto: la suddetta  disciplina  e'
effettivamente funzionale «a remunerare i costi  che  l'Agente  della
riscossione sconta in  relazione  alle  operazioni  che  si  rivelano
infruttuose» e cio' in base, continua la  difesa  dello  Stato,  alla
«precisa  scelta  di  politica  fiscale»  di  far   gravare   l'onere
complessivo della riscossione «sui  soggetti  morosi,  piuttosto  che
farlo ricadere interamente  sulla  fiscalita'  generale  (e,  dunque,
anche sui contribuenti in regola con gli adempimenti fiscali)». 
    In forza di tale logica sono quindi  considerati  «morosi»  anche
coloro che, raggiunti da una cartella  di  pagamento,  adempiono  nel
termine di sessanta giorni dalla sua  notifica,  nonche'  quelli  che
decidono di ricorrere per contestare  la  correttezza  della  pretesa
tributaria e assolvono l'esecuzione provvisoria: a tali "contribuenti
solventi" viene quindi addossato, attraverso l'aggio, il costo  delle
esecuzioni infruttuose. 
    2.1.2.-  Sulla  dimensione  di  tali  esecuzioni  infruttuose  e'
preliminarmente opportuno soffermarsi. 
    I costi complessivi della riscossione, infatti, costituiscono  la
premessa di fatto sulla cui base, nella disposizione impugnata, si e'
stabilito che l'aggio dovesse essere pari «al nove [otto]  per  cento
delle somme iscritte a ruolo riscosse e  dei  relativi  interessi  di
mora e che e' a carico del debitore: a) in misura del 4,65 per  cento
delle  somme  iscritte  a  ruolo,  in  caso  di  pagamento  entro  il
sessantesimo  giorno  dalla  notifica  della   cartella   [...];   b)
integralmente, in caso contrario» (percentuali che  nella  disciplina
attualmente vigente, nella specie  non  applicabile,  risultano  solo
ridotte, rispettivamente al 3 per cento e al 6 per cento). 
    Come  si  vedra'  qui  di  seguito,  tuttavia,  tali  costi  sono
fortemente  condizionati  dall'abnorme  dimensione  delle  esecuzioni
infruttuose,  che  quindi  incidono  altrettanto   fortemente   sulla
proporzionalita' dell'onere riversato sul contribuente  che,  sebbene
inadempiente (o ricorrente avverso la pretesa tributaria), assolve il
proprio debito tributario. 
    2.1.3.- La Corte dei conti, sezioni riunite in sede di controllo,
nella Relazione sul rendiconto generale dello Stato  per  l'esercizio
2019, ha evidenziato che «il volume complessivo delle  riscossioni  a
mezzo ruoli fra il 2000 e il 2019  e'  stato  di  133,4  miliardi,  a
fronte di un carico netto di  1.002,8  miliardi,  con  un  indice  di
riscossione del 13,3 per  cento»,  precisando,  peraltro,  come  tale
«affievolirsi delle azioni di riscossione coattiva» risulti di dubbia
compatibilita' con «il conseguimento  degli  obiettivi  di  contrasto
all'evasione  fiscale  e  con  la  complessiva  tenuta  del   sistema
tributario» (Corte dei conti, sezioni riunite in sede  di  controllo,
decisione 24 giugno 2020, n. 10, relazione annessa, volume I, tomo I,
pagine 23 e 24). 
    Un'ulteriore conferma dell'insufficiente  indice  di  riscossione
che ha caratterizzato l'ultimo ventennio si  rinviene  nella  recente
audizione del Direttore dell'Agenzia delle entrate presso  la  Camera
dei deputati (VI Commissione finanze, Individuazione delle  priorita'
nell'utilizzo  del  Recovery  Fund,  con  particolare  riferimento  a
possibili  interventi  di  riforma  del  sistema  fiscale   e   della
riscossione, Roma, 14 settembre 2020, pagina 17), dove si precisa che
«[a]lla data del 30 giugno  2020,  il  valore  del  carico  contabile
residuo,  affidato  dai  diversi  enti  creditori  all'Agente   della
riscossione dal 1° gennaio 2000, ammonta  a  circa  987  miliardi  di
euro». 
    Tale dimensione  delle  entrate  pubbliche  non  riscosse,  nella
medesima  audizione  viene   quindi   definita   la   piu'   evidente
«particolarita'» (ma ben si dovrebbe parlare di grave  anomalia)  che
«emerge dal confronto del sistema della riscossione italiano  con  il
panorama internazionale». 
    2.1.4.- In  base  al  consolidato  orientamento  della  Corte  di
cassazione l'aggio deve essere inteso come «finalizzato non  tanto  a
remunerare le singole  attivita'  compiute  dal  soggetto  incaricato
della riscossione, ma a coprire i  costi  complessivi  del  servizio»
(Corte di cassazione, sezione  quinta  civile,  sentenza  3  dicembre
2020, n. 27650) e assume «natura retributiva e non tributaria» (Corte
di cassazione, sezione quinta civile, sentenza 12 febbraio  2020,  n.
3416), «trattandosi del compenso per l'attivita' esattoriale»  (Corte
di cassazione, sezione quinta civile, sentenza  11  maggio  2020,  n.
8714). 
    E' del  tutto  evidente,  pero',  che  tale  remunerazione,  deve
restare coerente con la sua funzione  e  non  assumere  un  carattere
arbitrario, come invece puo' facilmente  verificarsi  nel  caso  (non
infrequente, per le ragioni sopra viste)  di  eccessiva  entita'  del
costo del non riscosso addossato al contribuente "solvente". 
    In questa situazione, infatti,  il  meccanismo  di  finanziamento
della funzione di riscossione degenera nel paradosso di addossare  su
una limitata platea di contribuenti,  individuati  in  ragione  della
loro solvenza  (tardiva  rispetto  alla  fase  dell'accertamento  dei
tributi),  il  peso  di  una  solidarieta'  ne'  proporzionata,   ne'
ragionevole, perche' originata, in realta', dall'ingente costo  della
«sostanziale impotenza dello Stato a  riscuotere  i  propri  crediti»
(Corte dei conti, sezioni riunite in sede di controllo, deliberazione
8 aprile 2021,  n.  4,  pagina  9)  nei  confronti  dei  contribuenti
insolventi. 
    2.1.5.-  E'  opportuno  precisare  che   questa   situazione   di
inefficienza della riscossione coattiva, che incide negativamente  su
una  fase  essenziale  della  dinamica  del  prelievo  delle  entrate
pubbliche, non solo si  riflette  di  fatto  sulla  ragionevolezza  e
proporzionalita'  dell'aggio,  ma  determina   altresi'   una   grave
compromissione, in particolare, del dovere tributario. 
    Questa Corte ha gia' precisato che tale dovere, riconducibile  al
valore inderogabile della solidarieta' di cui all'art.  2  Cost.,  e'
«preordinato al finanziamento del sistema dei diritti costituzionali,
i  quali  richiedono  ingenti  quantita'  di  risorse  per   divenire
effettivi» (sentenza n. 288 del 2019). 
    Si deve ora ribadire che un'adeguata  riscossione  e'  essenziale
non solo per la tutela dei diritti sociali, ma anche di gran parte di
quelli civili, data l'ingente  quantita'  di  risorse  necessaria  al
funzionamento degli apparati sia  della  tutela  giurisdizionale  sia
della pubblica sicurezza, entrambi indispensabili per la garanzia  di
tali diritti. 
    Da questo punto di vista, la descritta, grave  inadeguatezza  dei
meccanismi legislativi della riscossione coattiva  nel  nostro  Paese
concorre a impedire «di  fatto»  alla  Repubblica  di  rimuovere  gli
ostacoli di cui all'art. 3, secondo comma, Cost.: la  funzione  della
riscossione, infatti,  e'  essenziale  «condizione  di  vita  per  la
comunita'», al  punto  da  esprimere  un  interesse  «protetto  dalla
Costituzione  (art.  53)  sullo  stesso   piano   di   ogni   diritto
individuale» (sentenza n. 45 del 1963). 
    E' quindi urgente che il legislatore statale provveda a riformare
tali meccanismi. 
    2.1.6.- Le modalita' con cui cio' potrebbe avvenire - superando i
profili di irragionevolezza  della  censurata  disciplina  dell'aggio
(sostanzialmente  riprodotta,  come  detto,  nella   sua   essenziale
struttura  anche  nella  disciplina  vigente)  e  garantendo  risorse
adeguate alla funzione pubblica della  riscossione  -  possono  pero'
essere  molteplici   e   sono   rimesse   in   prima   battuta   alla
discrezionalita' del legislatore. 
    Il rimettente,  del  resto,  non  invoca  affatto  una  pronuncia
ablativa della norma censurata, ma richiede una  soluzione  additiva,
ovvero la previsione sia di  un  minimo  e  un  massimo,  sia  di  un
rapporto inversamente proporzionale alla somma da riscuotere, che non
e' certo l'unica astrattamente compatibile con la  Costituzione  (ove
fosse determinabile  in  precisi  parametri  numerici,  peraltro  non
indicati dal giudice a quo). 
    Ne' quanto prospettato dalla CTP  indica  un  adeguato  punto  di
riferimento (nel senso affermato, ex multis, dalla  sentenza  n.  222
del 2018). La sentenza n. 480 del 1993 di questa Corte,  evocata  dal
rimettente, atteneva, infatti, a un meccanismo legislativo  regionale
che stabiliva esclusivamente un  minimo  e  un  massimo,  mentre  una
soluzione analoga a quella richiesta venne prevista solo  nella  fase
iniziale della storia della riscossione  italiana,  nella  cosiddetta
«legge Sella» del 20  aprile  1871,  n.  192,  serie  seconda  (Sulla
riscossione delle imposte dirette). 
    In quel contesto la previsione di un limite minimo e massimo alla
percentuale dell'aggio rappresentava un sostanziale ancoraggio  della
misura ai costi del sistema di riscossione; la contestuale previsione
che tale percentuale fosse inversamente proporzionale al gettito  dei
ruoli affidati si giustificava invece al fine di  rendere  funzionale
il  servizio  del  concessionario  privato,   organizzato   in   modo
competitivo su base territoriale, e di  ridurre  il  divario  tra  le
esattorie che gestivano un maggior gettito e quelle che ne  gestivano
uno minore. 
    E' chiaro che tali ragioni sono oggi del tutto venute meno:  cio'
esclude   la   possibilita'    di    convalidare    come    soluzione
costituzionalmente adeguata quella prefigurata dal rimettente. 
    2.1.7.- La circostanza che  il  servizio  della  riscossione  sia
ormai sostanzialmente accentrato, salve limitate eccezioni in  ambito
locale, presso l'ente pubblico Agenzia delle entrate - Riscossione (e
gia' al tempo  della  disciplina  censurata,  presso  Equitalia  spa,
societa'  a  totale  partecipazione  pubblica),  potrebbe,  peraltro,
essere considerata dal legislatore al fine di valutare se  l'istituto
dell'aggio mantenga ancora, in tale contesto, una sua ragion d'essere
- posto che rischia di far ricadere (o fa attualmente ricadere,  come
si e' visto) su alcuni contribuenti, in  modo  non  proporzionato,  i
costi complessivi di  un'attivita'  ormai  svolta  quasi  interamente
dalla stessa amministrazione finanziaria e non piu' da  concessionari
privati -; o non sia piuttosto divenuto anacronistico  e  costituisca
una delle cause di inefficienza del sistema. 
    Infatti, se il  finanziamento  della  riscossione,  da  un  lato,
finisce per  gravare  prevalentemente  sui  cosiddetti  "contribuenti
solventi" e, dall'altro, fornisce risorse insufficienti  al  corretto
esercizio della funzione pubblica di riscossione, si determina  anche
un disincentivo alla lotta della cosiddetta "evasione da riscossione"
nei confronti di chi riesce a sfuggire  in  senso  totale  ai  propri
obblighi, soprattutto se di importo relativamente modesto. 
    Risulta del resto enorme il numero  dei  ruoli  relativi  a  tali
importi e che, in ogni caso, contribuisce alla genesi delle imponenti
cifre che caratterizzano la massa  del  non  riscosso  (come  risulta
dalla memoria del Presidente dell'Ufficio parlamentare  del  bilancio
sul disegno di legge AS 2144, dell'8 aprile 2021, Commissioni riunite
V e VI del Senato della Repubblica): cio' anche per l'effetto  di  un
quadro normativo che impone lo svolgimento  di  attivita'  pressoche'
indistinte per tutte le tipologie di somme iscritte a ruolo. Su  tale
aspetto, peraltro, questa Corte ha gia' sollecitato il legislatore  a
una revisione  dei  criteri  di  riscossione  in  modo  da  garantire
maggiore efficacia e tempestivita' (sentenza n. 51 del 2019). 
    Anche un obbligo  tributario  di  ridotto  ammontare,  come  puo'
essere  spesso  quello  derivante  da  imposte  locali,   concretizza
l'inderogabile dovere di solidarieta' di cui all'art. 2  Cost.  e  in
quanto tale deve essere considerato dall'ordinamento, pena  non  solo
la perdita di rilevanti quote di gettito ma altresi' il  determinarsi
di  «disorientamento  e  amarezza  per  coloro  che   tempestivamente
adempiono e ulteriore spinta a sottrarsi al pagamento  spontaneo  per
molti altri» (Corte dei conti, sezioni riunite in sede di  controllo,
deliberazione 8 aprile 2021, n. 4, pagina 31). 
    Peraltro,  la  necessita'  di  «un'ampia  e  organica   revisione
dell'intero  sistema  della  riscossione  per  individuare  soluzioni
idonee a potenziare l'efficienza  della  struttura  amministrativa  e
tutelare adeguatamente l'interesse dello Stato» e'  stata  nuovamente
evidenziata dalla Corte dei conti anche sotto  l'ulteriore  punto  di
vista della dimensione dei residui attivi, impropriamente ritenuti di
riscossione certa - anche  a  causa  di  difetti  di  gestione  e  di
comunicazione dei dati -, che si riflettono in termini negativi anche
sulla stessa affidabilita' dei bilanci  pubblici  (Corte  dei  conti,
sezioni riunite in sede  di  controllo,  Rapporto  sul  coordinamento
della finanza pubblica approvato il 24 maggio 2021, pagina 140). 
    2.1.8.- Il servizio della riscossione coattiva deve quindi essere
messo in condizioni di funzionare correttamente secondo i principi di
efficienza  e  buon  andamento,  anch'essi  evocati  dal  rimettente:
tuttavia le modalita' con  cui  cio'  puo'  avvenire  sono  ben  piu'
complesse e varie rispetto alla soluzione dallo stesso richiesta. 
    I principali  Paesi  europei  (Germania,  Francia,  Spagna,  Gran
Bretagna) hanno, del resto, da tempo superato l'istituto dell'aggio e
posto  a  carico  della  fiscalita'  generale  le   ingenti   risorse
necessarie al corretto funzionamento della riscossione. 
    Tale soluzione, peraltro, e' stata in vigore per  circa  quindici
anni anche nel nostro ordinamento con il d.P.R. 29 settembre 1973, n.
603 (Modifiche ed integrazioni al testo unico delle leggi sui servizi
della riscossione delle  imposte  dirette  approvato  con  d.P.R.  15
maggio 1963, n. 858). Quest'ultimo, sebbene  in  un  contesto  ancora
legato  alla  concessione  a  soggetti  privati   dell'attivita'   di
riscossione, all'art. 3, primo comma, gia' disponeva  che  «[p]er  le
riscossioni  effettuate   sia   mediante   versamenti   diretti   dei
contribuenti sia mediante ruoli l'esattore e' retribuito con un aggio
a carico degli enti destinatari del gettito dei tributi». 
    Non e' marginale rilevare che la piu' autorevole dottrina  avesse
ritenuto tale soluzione particolarmente efficace, sia in  termini  di
trasparenza contabile, sia al fine  di  eliminare  le  disparita'  di
trattamento tra i contribuenti. 
    2.1.9.- Al riscontrato vulnus degli evocati valori costituzionali
questa Corte non puo', allo stato,  porre  rimedio,  dato  che,  come
detto, il  quomodo  delle  soluzioni  attinge,  in  ogni  caso,  alla
discrezionalita' del legislatore, secondo uno spettro di possibilita'
che varia dalla fiscalizzazione degli oneri della riscossione  (cosi'
come lo sono  gia',  del  resto,  quelli  relativi  all'attivita'  di
controllo e di  accertamento),  eventualmente  escluse  le  spese  di
notifica della  cartella  e  quelle  esecutive,  alla  previsione  di
soluzioni, anche miste, che prevedano criteri e limiti  adeguati  per
la determinazione di un "aggio" proporzionato. 
    Le questioni sollevate dal rimettente  vanno  percio'  dichiarate
inammissibili, perche' le esigenze  prospettate,  pur  meritevoli  di
considerazione (nei sensi sopra precisati),  implicano  una  modifica
rientrante nell'ambito delle scelte riservate  alla  discrezionalita'
del legislatore (sentenza n. 219 del 2019). 
    Nel pervenire a tale conclusione  questa  Corte  ritiene,  pero',
opportuno  rimarcare,  ancora  una  volta,  l'indifferibilita'  della
riforma,  al  fine  sia  di  superare  il  concreto  rischio  di  una
sproporzionata  misura  dell'aggio,  sia  di  rendere  efficiente  il
sistema della riscossione.