ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nei giudizi di legittimita' costituzionale degli artt.  2,  comma
1, secondo periodo; 3, commi 1, 2 e 3; 4, commi 1, 2 e 3, della legge
della Regione Liguria 24 dicembre 2019,  n.  30  (Disciplina  per  il
riutilizzo di locali accessori, di  pertinenza  di  fabbricati  e  di
immobili non utilizzati) e degli artt. 8, comma 1, lettera b), e  24,
commi 2 e 3, della legge della Regione Liguria 6 febbraio 2020, n.  1
(Adeguamento della legislazione regionale in  materia  di  disciplina
edilizia per le attivita' produttive alla disciplina statale e  altre
disposizioni in materia di  governo  del  territorio),  promossi  dal
Presidente del Consiglio dei ministri con ricorsi  notificati  il  29
febbraio-6 marzo e il 10-17 aprile 2020, depositati in cancelleria il
6 marzo e il 16 aprile 2020, iscritti, rispettivamente, ai numeri  35
e 41 del registro ricorsi 2020 e pubblicati nella Gazzetta  Ufficiale
della Repubblica numeri 17 e  20,  prima  serie  speciale,  dell'anno
2020. 
    Visti gli atti di costituzione della Regione Liguria; 
    udito  nell'udienza  pubblica  del  27  aprile  2021  il  Giudice
relatore Silvana Sciarra; 
    uditi gli  avvocati  dello  Stato  Giammario  Rocchitta  e  Maria
Gabriella Mangia per il  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri  e
l'avvocato Aurelio Domenico Masuelli per la Regione  Liguria,  questi
ultimi in collegamento da remoto, ai sensi del punto 1)  del  decreto
del Presidente della Corte del 16 marzo 2021; 
    deliberato nella camera di consiglio del 27 aprile 2021. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.-  Con  ricorso  notificato  il  29  febbraio-6   marzo   2020,
depositato il 6 marzo 2020 e iscritto al n. 35 del  registro  ricorsi
per  l'anno  2020,  il  Presidente  del   Consiglio   dei   ministri,
rappresentato e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  ha
promosso, in riferimento agli artt. 3, 9,  32,  117,  commi  secondo,
lettera s), e terzo, della Costituzione,  questioni  di  legittimita'
costituzionale degli artt. 2, comma 1, secondo periodo; 3, commi 1, 2
e 3; 4, commi 1, 2 e 3, della legge della Regione Liguria 24 dicembre
2019, n. 30 (Disciplina per il riutilizzo  di  locali  accessori,  di
pertinenza di fabbricati e di immobili non utilizzati). 
    2.- Con ricorso notificato il 10-17 aprile 2020, depositato il 16
aprile 2020 e iscritto al n. 41 del registro ricorsi per l'anno 2020,
il Presidente del Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e  difeso
dall'Avvocatura generale dello Stato,  ha  promosso,  in  riferimento
agli artt. 3, 9, 117, commi secondo,  lettera  s),  e  terzo,  Cost.,
questioni di legittimita' costituzionale  degli  artt.  8,  comma  1,
lettera b), e 24, commi 2 e 3, della legge della  Regione  Liguria  6
febbraio 2020, n. 1  (Adeguamento  della  legislazione  regionale  in
materia di disciplina  edilizia  per  le  attivita'  produttive  alla
disciplina statale e altre disposizioni in  materia  di  governo  del
territorio). 
    3.- Con il primo motivo del ricorso iscritto al reg. ric.  n.  35
del 2020, il  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri  impugna,  in
riferimento all'art. 117, terzo comma,  Cost.,  l'art.  2,  comma  1,
secondo periodo, della legge reg. Liguria n. 30 del 2019. 
    3.1.- La disposizione prevede  che,  per  il  mero  mutamento  di
destinazione d'uso di pertinenze e locali accessori che non  comporta
opere edilizie, sia sufficiente la segnalazione certificata di inizio
attivita' (SCIA) di cui all'art. 13-bis  della  legge  della  Regione
Liguria 6 giugno 2008, n. 16 (Disciplina dell'attivita' edilizia). 
    3.2.-  Il  ricorrente  ravvisa  la   violazione   dei   «principi
fondamentali dettati dallo Stato nella  materia  edilizia,  che  come
tali devono valere su tutto il territorio nazionale».  Tali  principi
imporrebbero,  nel  caso  di  «cambio  di   destinazione   d'uso   da
cantina/garage a civile abitazione» e di  conseguente  «passaggio  da
una categoria urbanistica ad un'altra», il rilascio del  permesso  di
costruire.  Ne'  si  potrebbe  ritenere  che  tale  prescrizione  sia
superata dall'odierna disciplina, che, in alternativa al permesso  di
costruire, prevede anche la SCIA,  poiche'  si  tratta  di  una  SCIA
caratterizzata da «un procedimento aggravato». 
    3.3.- La Regione  Liguria  si  e'  costituita  in  giudizio,  per
chiedere  di  dichiarare  inammissibile  o  comunque   infondata   la
questione in esame, alla  luce  di  argomenti  ribaditi  anche  nella
memoria illustrativa depositata in vista dell'udienza. 
    3.3.1.- In linea preliminare, la parte resistente osserva  che  i
vizi denunciati con il ricorso non sono riconducibili alla previsione
impugnata, ma all'art. 13-bis della legge  reg.  Liguria  n.  16  del
2008, che regola i mutamenti di destinazione d'uso senza opere. 
    3.3.2.-  Nel  merito,  il  motivo  di  ricorso  sarebbe  comunque
infondato. 
    L'art. 10, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica 6
giugno  2001,  n.  380,  recante  «Testo  unico  delle   disposizioni
legislative  e  regolamentari  in  materia   edilizia   (Testo   A)»,
consentirebbe alle Regioni di stabilire quali mutamenti,  connessi  o
non connessi a trasformazioni fisiche, dell'uso di immobili o di loro
parti, siano subordinati a permesso di  costruire  o  a  segnalazione
certificata d'inizio attivita'. 
    L'art. 22, comma 4, del d.P.R. n. 380 del 2001 consentirebbe  poi
alle Regioni di ampliare o circoscrivere il novero  degli  interventi
subordinati a segnalazione certificata d'inizio attivita'. 
    La disposizione impugnata, in coerenza con  le  previsioni  della
legge statale, avrebbe subordinato i meri mutamenti  di  destinazione
d'uso senza opere alla segnalazione certificata d'inizio attivita'. 
    4.- Con il secondo motivo del ricorso iscritto al reg. ric. n. 35
del 2020, il Presidente del Consiglio dei  ministri  censura,  sempre
per contrasto con l'art. 117, terzo comma, Cost., l'art. 3, comma  1,
della legge reg. Liguria n. 30 del 2019. 
    4.1.-   Tale   previsione   e'   sospettata   di   illegittimita'
costituzionale, in quanto consente «il riutilizzo per i fini di legge
di locali accessori e di pertinenze di un fabbricato, anche collocati
in piani seminterrati, nonche'  di  immobili  non  utilizzati,  anche
diroccati, [...] in deroga alla disciplina dei  vigenti  strumenti  e
piani urbanistici comunali, nonche' alla disciplina del vigente Piano
territoriale di  coordinamento  paesistico  regionale,  approvato  ai
sensi della legge regionale 22 agosto 1984,  n.  39  (Disciplina  dei
piani territoriali di coordinamento)  e  successive  modificazioni  e
integrazioni». 
    4.2.- La previsione impugnata, nel dettare «una  regola  diversa,
piu' lasca e piu' permissiva» che disciplina i «titoli abilitativi in
modo difforme dalla regola generale», confliggerebbe sotto molteplici
profili «con le norme statali in materia edilizia» e, in particolare,
con l'art. 14 del d.P.R. n. 380 del 2001. 
    Ad avviso del  ricorrente,  la  normativa  statale  «consente  il
permesso di costruire in deroga agli strumenti urbanistici  solo  per
edifici ed impianti di interesse pubblico  previa  deliberazione  del
Consiglio  comunale,  comunque  nel   rispetto   delle   disposizioni
contenute nel decreto legislativo 29 ottobre 1999, n.  490,  e  delle
altre  normative  di  settore  aventi  incidenza   sulla   disciplina
dell'attivita' edilizia». 
    La disciplina in esame, peraltro, subordinerebbe «il permesso  di
costruire in deroga alle destinazioni d'uso  per  gli  interventi  di
ristrutturazione  edilizia,  attuati  anche   in   aree   industriali
dismesse» a una «previa deliberazione del Consiglio comunale  che  ne
attesta l'interesse pubblico» e alla condizione che dal mutamento  di
destinazione d'uso non derivi «un aumento  della  superficie  coperta
prima dell'intervento di ristrutturazione, fermo restando,  nel  caso
di insediamenti commerciali, quanto disposto dall'art. 31,  comma  2,
del  decreto-legge  6  dicembre  2011,  n.   201,   convertito,   con
modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011,  n.  214,  e  successive
modificazioni». 
    Il ricorrente evidenzia, inoltre, che la  deroga,  «nel  rispetto
delle norme igieniche, sanitarie e  di  sicurezza»,  puo'  riguardare
soltanto «i limiti di densita' edilizia, di altezza e di distanza tra
i  fabbricati  di  cui  alle  norme  di  attuazione  degli  strumenti
urbanistici generali ed esecutivi, nonche' nei casi di cui  al  comma
1-bis, le destinazioni d'uso»,  nell'osservanza  di  quanto  previsto
dagli «articoli 7, 8 e 9 del decreto ministeriale 2 aprile  1968,  n.
1444». 
    4.3.- Con il ricorso di cui al reg.  ric.  n.  41  del  2020,  il
Presidente del Consiglio dei ministri impugna anche le  modificazioni
apportate all'art. 3, comma 1, della legge reg.  Liguria  n.  30  del
2019 dall'art. 24, comma 2, della legge reg. Liguria n. 1 del 2020. 
    4.3.1.-  Lo  ius  superveniens  ha  escluso  la  possibilita'  di
derogare alla disciplina degli ambiti di rigenerazione urbana di  cui
al Capo II della legge della Regione Liguria 29 novembre 2018, n.  23
(Disposizioni  per  la  rigenerazione  urbana  e  il   recupero   del
territorio agricolo). 
    4.3.2.- Anche la nuova formulazione  si  porrebbe,  tuttavia,  in
contrasto  con  l'art.   117,   terzo   comma,   Cost.,   in   quanto
contravverrebbe alla disciplina del permesso di costruire in  deroga,
di cui all'art. 14 del  d.P.R.  n.  380  del  2001,  che  costituisce
principio fondamentale nella materia del governo del territorio. 
    4.4.- La Regione, nelle memorie di costituzione e  nelle  memorie
illustrative  depositate  in  entrambi  i  giudizi,  ha  chiesto   di
dichiarare inammissibili o comunque  infondate  le  censure  relative
all'art. 3, comma 1, della legge reg. Liguria n. 30 del  2019,  anche
nella versione modificata dall'art. 24, comma  2,  della  legge  reg.
Liguria n. 1 del 2020. 
    4.4.1.- La questione sarebbe, anzitutto, inammissibile, in quanto
non sarebbe pertinente  il  richiamo  all'istituto  del  permesso  di
costruire in deroga, concernente le ipotesi in cui i Comuni  «possono
rilasciare  il  titolo  edilizio  in  difformita'  dalla   disciplina
pianificatoria». 
    La disposizione impugnata,  per  contro,  perseguirebbe  la  sola
finalita'  di  individuare  «il  campo  di  applicazione»  di  alcuni
«interventi  di  limitata  portata»,  riguardanti  principalmente  il
«recupero,  mediante  riutilizzo,  di   immobili   esistenti».   Tale
previsione rappresenterebbe, pertanto, il legittimo  esercizio  della
competenza spettante al legislatore regionale. 
    4.4.2.- Nel merito, la questione non sarebbe fondata,  in  quanto
il sistema della pianificazione non assurgerebbe  a  principio  cosi'
assoluto  e  stringente  da  precludere  le  deroghe  agli  strumenti
urbanistici locali,  apportate  dalla  legge  regionale,  pur  sempre
sovraordinata (si richiama la sentenza di questa  Corte  n.  245  del
2018). 
    5.- Oggetto d'impugnazione - con  il  terzo  motivo  del  ricorso
iscritto al reg. ric. n. 35 del 2020 - sono anche gli artt. 3,  comma
1, e 4, commi 1 e 2, della legge reg. Liguria n.  30  del  2019,  per
contrasto con gli artt. 9 e 117, secondo comma, lettera s), Cost. 
    5.1.- Le disposizioni impugnate incentiverebbero «gli  interventi
su una pluralita' di fabbricati, anche vetusti, disseminati su  tutto
il territorio regionale», anche quando  si  tratti  di  «immobili  di
interesse culturale e paesaggistico, sottoposti  a  tutela  ai  sensi
della Parte II e della Parte III del Codice dei beni culturali e  del
paesaggio di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42». 
    L'art. 3, comma 1, della  legge  reg.  Liguria  n.  30  del  2019
consente il  riutilizzo  di  locali  accessori  e  pertinenze  di  un
fabbricato, anche collocati in piani seminterrati, e di immobili  non
utilizzati, anche diruti,  in  deroga  alla  disciplina  dei  vigenti
strumenti e piani urbanistici comunali e alla disciplina del  vigente
Piano territoriale di coordinamento paesistico regionale. 
    L'art. 4, commi 1 e 2, della legge reg. Liguria n.  30  del  2019
«demanda unicamente ai Comuni» la scelta di escludere  l'applicazione
delle disposizioni della legge regionale, in relazione  a  specifiche
esigenze  di  tutela   paesaggistica   e   nelle   sole   fattispecie
tassativamente indicate (il riutilizzo di locali contigui alla strada
pubblica,  e  con  esclusivo  riguardo  al   riutilizzo   per   l'uso
residenziale dei locali accessori e di pertinenze di  un  fabbricato,
anche   collocati   in   piani   seminterrati).    Tale    disciplina
incentiverebbe  in  maniera  indiscriminata,  al   di   fuori   delle
attribuzioni regionali, «gli interventi di modifica» e  il  mutamento
della destinazione d'uso di immobili di interesse culturale. 
    5.2.- Le censure muovono  dal  presupposto  che  le  disposizioni
impugnate siano applicabili  anche  ai  beni  culturali,  oggetto  di
tutela ai sensi del  decreto  legislativo  22  gennaio  2004,  n.  42
(Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell'articolo 10
della legge 6 luglio 2002, n. 137), e che, quanto ai beni  sottoposti
a  vincolo  paesaggistico,   non   prevedano   alcuna   clausola   di
salvaguardia «in favore del piano paesaggistico o  di  uno  specifico
stralcio  di  esso».  Esse  ometterebbero,  dunque,  di   subordinare
«l'applicazione della medesima normativa alla previa introduzione  di
un'apposita  disciplina  d'uso  dei  beni   paesaggistici   tutelati,
elaborata d'intesa con  il  Ministero  per  i  beni  e  le  attivita'
culturali». 
    Sarebbe  cosi'  svuotata   la   «funzione   propria   del   piano
paesaggistico»,  che  e'  chiamato  a  dettare,  «nell'ambito   della
considerazione complessiva del contesto tutelato» e nel quadro di una
elaborazione congiunta con il Ministero per i  beni  e  le  attivita'
culturali, «i criteri di gestione del vincolo», «la  tipologia  delle
trasformazioni compatibili e di quelle vietate, nonche' le condizioni
delle eventuali trasformazioni». 
    Sarebbe violata, pertanto,  «la  potesta'  legislativa  esclusiva
dello Stato in materia di tutela del paesaggio», rispetto alla  quale
costituiscono norme interposte le  previsioni  del  codice  dei  beni
culturali  e  del  paesaggio  e,  in  particolare,  quanto  ai   beni
sottoposti a vincolo paesaggistico, gli artt. 135, 143 e 145. 
    Sarebbe violato anche l'art. 9 Cost.,  in  quanto  le  previsioni
censurate,  nel  consentire  un  indiscriminato  "riutilizzo"   degli
immobili,  anche  di  quelli  culturali  e  «sottoposti   a   vincolo
paesaggistico»,  recherebbero  un  «potenziale  pregiudizio  ai  beni
tutelati» e si porrebbero in «contrasto con il principio fondamentale
della tutela del paesaggio e del patrimonio storico e artistico della
Nazione». 
    5.3.- Con il ricorso di cui al reg.  ric.  n.  41  del  2020,  il
Presidente del Consiglio dei ministri  impugna  l'art.  3,  comma  1,
della  legge  reg.  Liguria  n.  30  del  2019,  nella   formulazione
modificata dall'art. 24, comma 2, della legge reg. Liguria n.  1  del
2020. 
    5.3.1.- Lo ius superveniens ha  sancito  l'inderogabilita'  della
disciplina regionale degli ambiti di rigenerazione urbana. 
    Ad avviso del  ricorrente,  tale  modificazione  non  varrebbe  a
superare i vizi di illegittimita' costituzionale gia' denunciati  con
il ricorso iscritto al reg. ric. n. 35 del 2020. 
    5.3.2.- Il ricorrente assume  che  anche  la  nuova  formulazione
dell'art. 3, comma 1, della legge reg. Liguria n. 30 del  2019  violi
gli artt. 9 e 117, secondo comma, lettera s), Cost. 
    Ad avviso del ricorrente, la previsione impugnata, nel consentire
anche  per  «i  beni  sottoposti  a   tutela»   il   «riutilizzo   in
generalizzata deroga senza il necessario rispetto delle  disposizioni
di  tutela  dettate  dallo  Stato  (con  inclusi  gli  interventi  di
mutamento fisico della loro integrita') compromette il rispetto della
tutela stessa, e invade» la sfera di competenza esclusiva dello Stato
nella materia della tutela del paesaggio e del patrimonio  storico  e
artistico, in contrasto con gli artt. 9 e 117, secondo comma, lettera
s), Cost. 
    5.4.- Nelle memorie di costituzione e nelle memorie  illustrative
depositate in ambedue i giudizi la  Regione  Liguria  ha  chiesto  di
dichiarare la non fondatezza delle censure. 
    Le  disposizioni  impugnate,  in  quanto  volte  a   disciplinare
interventi comunque soggetti alle procedure autorizzative di  cui  al
d.lgs. n. 42 del 2004, non inciderebbero «sui vincoli paesaggistici e
monumentali» e non interferirebbero con la competenza dello Stato «in
materia di tutela dei beni culturali e del paesaggio». 
    In mancanza di espressa deroga, le disposizioni del d.lgs. n.  42
del 2004 si imporrebbero a tutte le amministrazioni e ai  privati,  a
prescindere dal loro espresso  recepimento  in  fonti  legislative  e
regolamentari. 
    Gli interventi in esame non potrebbero travalicare  la  categoria
della  ristrutturazione  edilizia  e,  per  altro  verso,   sarebbero
comunque vincolati a conservare  sia  la  volumetria  sia  la  sagoma
«dell'edificio eventualmente soggetto a demolizione e ricostruzione».
Essi   non   determinerebbero,   pertanto,    alcuna    modificazione
apprezzabile «dell'assetto paesaggistico esistente». 
    In un'ottica di  particolare  tutela,  il  legislatore  regionale
avrebbe escluso gli edifici rurali di valore testimoniale dall'ambito
applicativo degli interventi in esame e, con  le  novita'  introdotte
dalla  legge  reg.  Liguria  n.  1  del  2020,  avrebbe   negato   la
possibilita' di derogare agli strumenti urbanistici comunali  per  le
fattispecie previste dalla legge reg.  Liguria  n.  23  del  2018  in
materia di rigenerazione urbana e recupero del  territorio  agricolo.
Le  disposizioni   derogatorie   della   legge   impugnata   non   si
applicherebbero  nelle  parti  del  territorio  urbano   e   agricolo
individuate dai Comuni mediante una procedura semplificata.  In  tali
aree,  l'attivita'  edilizia  sarebbe  improntata  a  «finalita'   di
recupero e di valorizzazione  del  patrimonio  storico,  culturale  e
paesaggistico»   e   a   criteri   rigorosi,   nel   rispetto   della
pianificazione territoriale  regionale,  compresa  quella  del  Piano
territoriale di coordinamento paesistico. 
    Non si potrebbe ravvisare, pertanto,  il  paventato  «svuotamento
del piano paesistico». La disciplina impugnata, in  quanto  «riferita
ad interventi di limitata importanza» e coerente  con  le  previsioni
del d.lgs. n. 42 del 2004, non  potrebbe  interferire  con  il  Piano
paesaggistico in corso di elaborazione, chiamato a  disciplinare  gli
interventi paesaggisticamente rilevanti nelle zone vincolate. 
    6.- Con il quarto motivo di ricorso (reg. ric. n. 35  del  2020),
il Presidente del Consiglio dei ministri censura, in riferimento agli
artt. 32 e 117, terzo comma, Cost., l'art. 3,  commi  2  e  3,  della
legge reg. Liguria n. 30 del 2019. 
    6.1.- L'art. 3, comma 2, della citata legge regionale  prescrive,
per i locali destinati alla permanenza di persone, un'altezza interna
non inferiore a 2,40 metri e attribuisce rilievo  all'altezza  media,
nel caso di altezze diverse dei locali da recuperare. 
    In virtu' dell'art. 3, comma 3,  il  rispetto  dei  parametri  di
aeroilluminazione e dell'altezza minima interna e'  assicurato  anche
con opere edilizie che possono interessare i prospetti del fabbricato
o mediante l'installazione di impianti e attrezzature tecnologiche. 
    6.2.- Il ricorrente assume che tali disposizioni contrastino,  in
primo luogo, con l'art. 1 del  decreto  ministeriale  5  luglio  1975
(Modificazioni  alle   istruzioni   ministeriali   20   giugno   1896
relativamente all'altezza minima ed  ai  requisiti  igienico-sanitari
principali dei locali d'abitazione), che definisce  l'altezza  minima
interna utile dei locali adibiti ad abitazione. Tale altezza, pari  a
2,70 metri, puo' essere ridotta a 2,40 metri per corridoi, disimpegni
in genere, bagni, gabinetti e ripostigli. 
    Nei Comuni montani al di sopra dei mille metri  sul  livello  del
mare, e' consentita una  riduzione  dell'altezza  minima  dei  locali
abitabili a 2,55 metri, in considerazione delle condizioni climatiche
locali e della locale tipologia edilizia. 
    Regole peculiari si applicano alle altezze minime  degli  edifici
situati in ambito di comunita' montane,  quando  siano  sottoposti  a
interventi  di   recupero   edilizio   e   di   miglioramento   delle
caratteristiche    igienico-sanitarie    e    l'edificio     presenti
caratteristiche  tipologiche  specifiche  del  luogo  meritevoli   di
conservazione. 
    Ad   avviso   del    ricorrente,    le    previsioni    regionali
contrasterebbero anche con l'Allegato 1, punto  2.3.  «Prescrizioni»,
numero 4, del decreto interministeriale 26 giugno 2015  (Applicazione
delle  metodologie  di  calcolo  delle  prestazioni   energetiche   e
definizione delle prescrizioni e dei requisiti minimi degli edifici),
che consente di derogare in  alcuni  casi  alle  altezze  minime  dei
locali di abitazione previste dal d.m. 5 luglio 1975. 
    Il ricorrente ritiene, inoltre, che le previsioni  impugnate  non
siano coerenti con l'art. 5 del d.m. 5 luglio  1975,  che  prescrive,
per tutti i locali degli alloggi, a eccezione di quelli  destinati  a
servizi igienici, disimpegni, corridoi, vani-scala e ripostigli,  una
«illuminazione naturale diretta, adeguata alla destinazione d'uso»  e
regola, per ciascun locale di abitazione, l'ampiezza della finestra. 
    Il ricorrente evidenzia che le norme  in  materia  di  altezza  e
aeroilluminazione, pur dettate da una fonte regolamentare, riguardano
la salubrita' e la vivibilita' degli ambienti e sanciscono  requisiti
inderogabili ai fini del rilascio dell'abitabilita', nell'intento  di
«tutelare  condizioni  protette  direttamente  da  norme  primarie  e
costituzionali». Esse sarebbero dettate in diretta  attuazione  delle
prescrizioni degli artt. 218, 344 e 345 del regio decreto  27  luglio
1934, n. 1265 (Approvazione del testo unico delle leggi sanitarie). 
    Pertanto, ad avviso del  ricorrente,  le  disposizioni  impugnate
sarebbero lesive dell'art. 32 Cost., in quanto contrasterebbero  «con
i parametri interposti rappresentati dalle  citate  disposizioni  del
D.M. 5 luglio 1975», dirette a tutelare  la  salute  e  la  sicurezza
degli ambienti. 
    Sarebbe violato, inoltre, l'art.  117,  terzo  comma,  Cost.,  in
quanto le disposizioni impugnate si porrebbero  in  contrasto  con  i
«principi fondamentali dettati dallo Stato a tutela  della  salute  e
del governo del territorio». 
    6.3.- La Regione Liguria, nel costituirsi in giudizio, ha chiesto
di  dichiarare  inammissibili  o  comunque  infondate  le   questioni
promosse con riguardo all'art. 3, commi  2  e  3,  della  legge  reg.
Liguria n. 30 del 2019, sulla base di rilievi  ribaditi  anche  nella
memoria illustrativa depositata in vista dell'udienza. 
    6.3.1.- In linea preliminare, la parte resistente contesta che le
disposizioni del d.m. 5 luglio 1975 e del d.m.  26  giugno  2015,  in
quanto  racchiuse  in  una  fonte   regolamentare,   configurino   un
«parametro idoneo a supportare  la  dedotta  violazione  dell'assetto
delle competenze  legislative  come  delineato  dalla  Costituzione».
Soltanto le disposizioni regolamentari  dettate  dallo  Stato,  nelle
materie nelle quali e' titolare di competenza legislativa  esclusiva,
potrebbero vincolare le Regioni. 
    Non  sarebbe  convincente  la  prospettazione  che  riconduce  le
previsioni regolamentari all'attuazione del r.d. n. 1265 del 1934. 
    Se l'art. 344  di  tale  fonte  primaria  definisce  soltanto  le
materie oggetto di disciplina da  parte  dei  regolamenti  locali  di
igiene e sanita', l'art. 345 del citato regio decreto fissa le regole
procedurali per l'approvazione dei regolamenti. 
    Quanto all'art. 218, si limiterebbe a  demandare  ai  regolamenti
degli enti locali il compito di stabilire le norme per la  salubrita'
dell'aggregato urbano, nel rispetto  delle  istruzioni  del  Ministro
dell'interno, che qualifica come mere «istruzioni  di  massima»,  ben
diverse, dunque, dalle «previsioni costituenti principi fondamentali,
inderogabili da parte delle  Regioni  nell'esercizio  della  potesta'
legislativa concorrente». 
    Quanto  al  dedotto  contrasto  con  l'art.  32  Cost.,  dovrebbe
riguardare, a tutto concedere, «il risultato del concreto  esercizio»
della competenza legislativa concorrente della Regione nella  materia
«governo del territorio». 
    L'impugnazione dell'art. 3, comma 3, della legge reg. Liguria  n.
30 del 2019 non sarebbe sorretta da alcuna argomentazione. 
    6.3.2.- Nel merito, le  questioni  promosse  dal  Presidente  del
Consiglio dei ministri non sarebbero fondate. 
    Altre leggi  regionali,  non  impugnate,  avrebbero  previsto  in
termini analoghi il recupero dei vani e dei locali seminterrati. 
    La Regione ricorda, inoltre, che questa Corte, con la sentenza n.
245 del 2018, ha respinto il ricorso contro la  legge  della  Regione
Abruzzo 1° agosto 2017, n.  40  (Disposizioni  per  il  recupero  del
patrimonio edilizio  esistente.  Destinazioni  d'uso  e  contenimento
dell'uso del suolo, modifiche alla  legge  regionale  n.  96/2000  ed
ulteriori  disposizioni),  che  farebbe  pur  sempre  riferimento   a
un'altezza minima di 2,40 metri. 
    Secondo  la  sentenza  citata,  le   prescrizioni   della   legge
abruzzese, nel regolare in termini dettagliati l'altezza  minima  dei
locali seminterrati  e  le  modalita'  di  misurazione  dell'altezza,
rappresenterebbero esercizio della competenza legislativa concorrente
nella  materia  «governo  del  territorio»  e  si   limiterebbero   a
incentivare  il  recupero  dei   vani   seminterrati   e   accessori,
nell'osservanza   della   normativa   ambientale   e   dei   principi
fondamentali della disciplina urbanistica e edilizia. 
    Le previsioni impugnate dal Presidente del Consiglio dei ministri
si prefiggerebbero, in ultima analisi,  di  contemperare  in  maniera
ragionevole gli interessi coinvolti, in  armonia  con  la  disciplina
dettata da altre leggi regionali non impugnate o giudicate  legittime
da questa Corte. Da tali rilievi discenderebbe  l'infondatezza  delle
questioni promosse. 
    7.- Con l'ultimo motivo del ricorso di cui al reg. ric. n. 35 del
2020, e' impugnato, in riferimento all'art. 3 Cost., l'art. 4,  comma
3, della legge  reg.  Liguria  n.  30  del  2019,  che  racchiude  la
disciplina intertemporale. 
    7.1.- Il ricorrente lamenta che  la  previsione  citata  sancisca
l'applicazione della normativa derogatoria  non  solo  agli  immobili
esistenti, ma anche, «con valenza retroattiva, ad immobili per la cui
costruzione sia gia' stato conseguito il titolo abilitativo  edilizio
o l'approvazione dell'eventuale programma integrato di intervento». 
    Tale previsione consentirebbe «la  regolarizzazione  ex  post  di
opere che, al momento della loro realizzazione,  erano  in  contrasto
con gli strumenti  urbanistici  di  riferimento,  dando  corpo  a  un
intervento che esula dalle competenze regionali  e  risulta  pertanto
illegittimo». 
    7.2.- Il ricorrente, nel prospettare la  violazione  dell'art.  3
Cost., censura la mancanza di «un'adeguata giustificazione sul  piano
della ragionevolezza» e di «ragioni costituzionalmente accettabili». 
    Sarebbe leso, inoltre, l'affidamento che la collettivita'  ripone
nella sicurezza giuridica e sarebbe imposto un arbitrario  sacrificio
alle  «posizioni  soggettive  dei  potenziali  controinteressati  che
facevano affidamento sulla stabilita' dell'assetto normativo  vigente
all'epoca delle singole condotte». 
    7.3.- Con il ricorso di cui al reg.  ric.  n.  41  del  2020,  il
Presidente del Consiglio dei ministri impugna, sempre in  riferimento
all'art. 3 Cost., le modifiche introdotte all'art. 4, comma 3,  della
legge reg. Liguria n. 30 del 2019, dall'art. 24, comma 3, della legge
reg. Liguria n.  1  del  2020,  che  ha  parzialmente  ridefinito  la
descritta disciplina intertemporale. 
    7.3.1.- Tale ultima disposizione,  pur  sopprimendo  il  richiamo
all'approvazione dell'eventuale programma  integrato  di  intervento,
lascerebbe  inalterata  «la  previsione   dell'applicabilita'   delle
disposizioni regionali  anche  ai  locali,  alle  pertinenze  e  agli
immobili per i quali sia stato gia'  conseguito  il  titolo  edilizio
abilitativo». 
    7.3.2.- Il ricorrente prospetta la violazione dell'art. 3  Cost.,
sulla base del rilievo che la disposizione impugnata,  nell'estendere
la deroga «con valenza retroattiva  agli  immobili  gia'  abilitati»,
lederebbe l'affidamento che la collettivita' ripone  nella  «certezza
dei rapporti».  Anche  in  questo  caso,  sarebbero  sacrificate  «le
posizioni dei controinteressati che si sono  determinati  sulla  base
dell'assetto  normativo   previgente»   e   non   si   riscontrerebbe
«un'adeguata giustificazione sul piano della ragionevolezza». 
    7.4.- La Regione Liguria, nella memoria di costituzione  e  nella
memoria  illustrativa  depositata  in  prossimita'  dell'udienza,  ha
eccepito in linea preliminare l'improcedibilita' del ricorso proposto
con riguardo all'originaria versione  dell'art.  4,  comma  3,  della
legge reg.  Liguria  n.  30  del  2019,  e  ha  comunque  chiesto  di
dichiararlo inammissibile o infondato. 
    7.4.1.- La disposizione  impugnata  sarebbe  stata  sostituita  a
«pochissimi giorni» di distanza dalla sua  entrata  in  vigore  e  si
potrebbe dunque ipotizzare  che  non  abbia  nel  frattempo  ricevuto
«concreta applicazione». Di qui l'improcedibilita' del ricorso. 
    7.4.2.- Il motivo di ricorso  sarebbe  comunque  inammissibile  e
infondato. 
    La disciplina  in  esame  si  applicherebbe  esclusivamente  agli
immobili «legittimamente assentiti» e non  determinerebbe,  pertanto,
alcun effetto di regolarizzazione «di interventi edilizi abusivamente
realizzati». 
    7.5.- Quanto all'impugnazione dell'art. 4, comma 3,  della  legge
reg. Liguria n. 30 del 2019, nella versione oggi  vigente,  la  parte
resistente, sia nella  memoria  di  costituzione  sia  nella  memoria
illustrativa, ha chiesto  di  dichiararla  inammissibile  o  comunque
infondata. 
    7.5.1.- Il motivo di ricorso  sarebbe  inammissibile,  in  quanto
formulato in termini meramente assertivi. Il ricorrente, difatti, non
avrebbe illustrato le ragioni che inducono  a  escludere  la  portata
satisfattiva  dello  ius  superveniens  e  a  ravvisare  una  lesione
dell'affidamento dei controinteressati. 
    7.5.2.- Nel merito, esso sarebbe comunque infondato, in quanto la
disposizione, anche nella versione modificata, si riferirebbe ai soli
immobili «legittimamente assentiti». 
    8.- Con il ricorso di cui  al  reg.  ric.  n.  41  del  2020,  il
Presidente del Consiglio dei ministri  ha  promosso,  in  riferimento
agli artt. 9 e 117, secondo comma, lettera s),  Cost.,  questioni  di
legittimita' costituzionale dell'art. 8, comma 1, lettera  b),  della
legge reg. Liguria n. 1 del 2020. 
    8.1.- Nel sostituire  l'art.  12,  comma  2,  della  legge  della
Regione Liguria 5 aprile 2012,  n.  10  (Disciplina  per  l'esercizio
delle attivita' produttive e  riordino  dello  sportello  unico),  la
disposizione impugnata consente la realizzazione degli interventi  di
ampliamento degli  insediamenti  produttivi  destinati  ad  attivita'
artigianali, industriali e agrituristiche, ad alberghi  tradizionali,
a strutture turistico ricettive e ad attivita' socio-assistenziali  e
commerciali  in  deroga  alla  disciplina  dei  piani  urbanistici  e
territoriali vigenti e/o in salvaguardia. E' fatto salvo il  rispetto
degli standard urbanistici, della necessaria dotazione di parcheggi e
delle opere di urbanizzazione. 
    8.2.- Il ricorrente denuncia, in primo luogo,  il  contrasto  con
l'art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., per  l'invasione  della
«sfera di potesta' legislativa dello Stato in materia di  tutela  dei
beni culturali e del paesaggio, come esercitata con gli articoli 20 e
21 del Codice di settore, e con le  norme  dello  stesso  Codice  che
impongono la pianificazione congiunta (artt. 135, 143 e 145)». 
    Con  riguardo  a  «interventi  modificativi  -   addirittura   di
sostituzione edilizia -», la disposizione  impugnata  sancirebbe  una
«deroga generalizzata agli strumenti di pianificazione urbanistica  e
territoriale, anche se operanti in  salvaguardia»,  in  mancanza  «di
prescrizioni che impongano comunque il rispetto delle norme contenute
nella Parte II del Codice dei Beni Culturali e del  Paesaggio,  o  in
ogni caso del piano paesaggistico sovraordinato». 
    Nel  consentire  «in  modo  generalizzato   (ed   indiscriminato)
sull'intero  territorio   regionale   l'ampliamento   dei   complessi
immobiliari, e quindi anche  di  quelli  sottoposti  a  vincolo»,  la
previsione impugnata svuoterebbe la funzione del Piano paesaggistico,
chiamato a «dettare, per ciascuna area tutelata, le prescrizioni  del
caso, le trasformazioni compatibili  e  quelle  vietate,  nonche'  le
condizioni  delle  eventuali  trasformazioni»,  nell'ambito  di   una
pianificazione congiunta tra lo Stato e le Regioni. 
    Sarebbe violato anche l'art. 9 Cost., «che attribuisce allo Stato
la tutela del paesaggio e del patrimonio  storico  e  artistico».  Ad
avviso  del   ricorrente,   l'esecuzione   di   lavori   «in   deroga
generalizzata  agli  strumenti  di   pianificazione,   e   senza   il
contestuale limite del rispetto delle norme statali»,  recherebbe  un
«potenziale pregiudizio» ai «beni  tutelati  (soprattutto  quelli  di
interesse culturale)» interessati da tali lavori. 
    8.3.- La Regione Liguria, nella memoria di costituzione  e  nella
memoria  illustrativa  depositata  in  prossimita'  dell'udienza,  ha
chiesto  di  dichiarare  le  questioni   inammissibili   o   comunque
infondate. 
    8.3.1.- In linea preliminare, la parte resistente ha  evidenziato
che la  disposizione  impugnata  non  modifica  i  presupposti  degli
interventi di ampliamento, disciplinati dall'art. 12, comma 1,  della
legge reg. Liguria n. 10 del  2012,  ma  si  prefigge  unicamente  di
adeguare la normativa  regionale  al  nuovo  procedimento  unico.  Il
profilo  di  illegittimita'  costituzionale  non  risiederebbe  nella
previsione impugnata e la questione sarebbe, pertanto, inammissibile. 
    8.3.2.- Nel merito, le questioni non sarebbero fondate. 
    L'impugnato art. 8, comma 1, lettera b), della legge reg. Liguria
n. 1 del 2020  non  contemplerebbe  alcuna  deroga  alla  «disciplina
statale posta a presidio dei beni soggetti a tutela» e farebbe  salva
anche  l'applicazione  del  Piano   territoriale   di   coordinamento
paesistico regionale, che rappresenta  -  fino  all'approvazione  del
Piano paesaggistico  -  l'atto  di  pianificazione  preordinato  alla
tutela del paesaggio. 
    La mancanza di un espresso richiamo alle  norme  del  codice  dei
beni  culturali  e  del  paesaggio,  provviste  di  «autonoma   forza
precettiva» a prescindere da un apposito  atto  di  recepimento,  non
equivarrebbe a una deroga. Sarebbero le  stesse  leggi  regionali  di
settore (art. 1, comma 2, della legge della Regione Liguria 6  giugno
2014, n. 13,  recante  «Testo  unico  della  normativa  regionale  in
materia di paesaggio», e art. 34 della legge della Regione Liguria 31
ottobre 2006, n. 33, recante «Testo unico in materia di  cultura»)  a
imporre ex professo il rispetto delle prescrizioni inderogabili della
normativa statale. 
    Il legislatore regionale  avrebbe  inoltre  dettato  prescrizioni
specifiche, volte a migliorare l'aspetto esteriore delle  costruzioni
e a salvaguardare le  alberature  di  pregio  presenti  nell'area  di
intervento, e avrebbe imposto di mettere a dimora alberature ad  alto
fusto, al fine di mitigare l'impatto visivo prodotto dagli interventi
di ampliamento. 
    9.- All'udienza del 27 aprile 2021, le parti hanno insistito  per
l'accoglimento delle conclusioni  formulate  nei  rispettivi  scritti
difensivi. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Con il ricorso iscritto al n. 35 del registro  ricorsi  2020,
il Presidente del Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e  difeso
dall'Avvocatura generale dello Stato,  ha  promosso,  in  riferimento
complessivamente agli artt. 3, 9, 32, 117, commi secondo, lettera s),
e terzo, della Costituzione, questioni di legittimita' costituzionale
degli artt. 2, comma 1, secondo periodo; 3, commi 1, 2 e 3; 4,  commi
1, 2 e 3, della legge della Regione Liguria 24 dicembre 2019,  n.  30
(Disciplina per il riutilizzo di locali accessori, di  pertinenza  di
fabbricati e di immobili non utilizzati). 
    Con successivo ricorso, iscritto al n. 41  del  registro  ricorsi
2020, il Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e
difeso  dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  ha  impugnato,   in
riferimento complessivamente agli artt. 3,  9,  117,  commi  secondo,
lettera s), e terzo, Cost., gli artt. 8, comma 1, lettera b),  e  24,
commi 2 e 3, della legge della Regione Liguria 6 febbraio 2020, n.  1
(Adeguamento della legislazione regionale in  materia  di  disciplina
edilizia per le attivita' produttive alla disciplina statale e  altre
disposizioni in materia di governo del territorio). 
    2.- Il ricorso iscritto al reg. ric.  n.  41  del  2020  promuove
questioni relative all'art. 24, commi 2 e 3, della legge reg. Liguria
n. 1 del 2020, che modifica rispettivamente gli artt. 3, comma  1,  e
4, comma 3, della legge reg. Liguria n. 30 del 2019,  gia'  impugnati
con il ricorso di cui al  reg.  ric.  n.  35  del  2020,  e  investe,
altresi', l'art. 8, comma 1, lettera b), della legge reg. Liguria  n.
1 del 2020, censurato per ragioni in gran  parte  analoghe  a  quelle
illustrate con riguardo alla disciplina di cui all'art. 3,  comma  1,
della legge reg. Liguria n. 30 del 2019. 
    In ragione della stretta connessione  che  lega  le  disposizioni
oggetto dei due ricorsi e dell'analogia che  si  ravvisa  tra  alcune
delle censure proposte, i giudizi vanno riuniti, per essere  trattati
congiuntamente e definiti con un'unica pronuncia. 
    3.- Con il primo motivo del ricorso di cui al reg. ric. n. 35 del
2020, e' impugnato, per violazione dell'art. 117, terzo comma, Cost.,
l'art. 2, comma 1, secondo periodo, della legge reg.  Liguria  n.  30
del 2019. 
    3.1.- Con riguardo ai locali accessori e alle  pertinenze  di  un
fabbricato, anche collocati in piani seminterrati, la  disciplina  in
esame assoggetta gli interventi di «mero  mutamento  di  destinazione
d'uso senza opere» alla segnalazione certificata  d'inizio  attivita'
prevista dall'art. 13-bis della legge della Regione Liguria 6  giugno
2008, n. 16 (Disciplina dell'attivita' edilizia),  che  a  sua  volta
richiama l'art. 19 della legge 7 agosto 1990, n. 241 (Nuove norme  in
materia di procedimento amministrativo e di  diritto  di  accesso  ai
documenti  amministrativi),  con  le   successive   modificazioni   e
integrazioni. 
    3.2.- Il ricorrente prospetta il contrasto con l'art. 117,  terzo
comma, Cost. e, in particolare, con il principio  fondamentale  nella
materia  «governo  del  territorio»,  che,  per   il   mutamento   di
destinazione  d'uso  idoneo  a  determinare  «il  passaggio  da   una
categoria  urbanistica  ad  un'altra»,  richiede  «il  rilascio   del
permesso di costruire» o comunque la «SCIA [segnalazione  certificata
d'inizio  attivita']   alternativa   al   permesso   di   costruire»,
contraddistinta da «un procedimento aggravato». 
    Il regime dei titoli abilitativi per i diversi interventi edilizi
non potrebbe variare da Regione a Regione e dovrebbe essere  omogeneo
«su tutto il territorio nazionale». 
    3.3.-  La   Regione   Liguria   ha   eccepito,   preliminarmente,
l'inammissibilita' della questione. 
    3.3.1.- Il contrasto con  l'art.  117,  terzo  comma,  Cost.  non
deriverebbe dalla disposizione impugnata, ma dall'art.  13-bis  della
legge reg. Liguria  n.  16  del  2008,  che  regola  i  mutamenti  di
destinazione d'uso senza opere. L'impugnato art. 2, comma 1,  secondo
periodo, della legge reg. Liguria n. 30 del  2019  si  limiterebbe  a
richiamare tale disposizione. 
    3.3.2.- L'eccezione non e' fondata. 
    Non rileva che il Presidente del Consiglio dei ministri non abbia
impugnato l'art. 13-bis della legge reg. Liguria n. 16 del  2008,  in
quanto  nei  giudizi  in  via   principale   non   opera   l'istituto
dell'acquiescenza. La disposizione oggi sottoposta allo scrutinio  di
questa Corte, nel richiamare la previsione anteriore, ha l'effetto di
reiterare la lesione che fonda l'interesse a ricorrere  (di  recente,
sentenza n. 107 del 2021, punto 2.3. del Considerato in diritto). 
    La questione, pertanto, e' ammissibile. 
    3.4.- Essa e' fondata, nei limiti  e  per  i  motivi  di  seguito
precisati. 
    3.4.1.- Occorre ricostruire,  nell'evoluzione  piu'  recente,  il
contesto normativo in cui la disposizione impugnata si colloca. 
    La  destinazione  d'uso  connota   l'immobile   sotto   l'aspetto
funzionale, condiziona il carico urbanistico, legato al fabbisogno di
strutture e di spazi pubblici, e incide sull'ordinata  pianificazione
del  territorio.  Il  legislatore  statale  ha  avvertito,  pertanto,
l'esigenza di disciplinare i mutamenti rilevanti  della  destinazione
d'uso,  proprio  per  gli  effetti  pregiudizievoli  che   potrebbero
produrre sull'assetto urbanistico. 
    A tale riguardo, viene in rilievo l'art. 23-ter del  decreto  del
Presidente della Repubblica 6 giugno 2001,  n.  380,  recante  «Testo
unico delle  disposizioni  legislative  e  regolamentari  in  materia
edilizia (Testo A)», inserito dall'art. 17, comma 1, lettera n),  del
decreto-legge  12  settembre  2014,  n.  133  (Misure   urgenti   per
l'apertura dei cantieri, la realizzazione delle opere  pubbliche,  la
digitalizzazione   del   Paese,   la   semplificazione   burocratica,
l'emergenza  del  dissesto  idrogeologico  e  per  la  ripresa  delle
attivita' produttive), convertito, con modificazioni, nella legge  11
novembre 2014, n. 164. 
    Nel far salve le diverse previsioni  delle  leggi  regionali,  la
disposizione  citata   identifica   i   mutamenti   rilevanti   della
destinazione d'uso in «ogni forma di utilizzo dell'immobile  o  della
singola unita' immobiliare diversa da  quella  originaria,  ancorche'
non accompagnata dall'esecuzione di opere edilizie, purche'  tale  da
comportare l'assegnazione  dell'immobile  o  dell'unita'  immobiliare
considerati ad una diversa categoria funzionale» (comma  1).  Tra  le
categorie funzionali, il  legislatore  enumera  quella  residenziale,
quella turistico-ricettiva, quella produttiva e  direzionale,  quella
commerciale, quella rurale. 
    Il passaggio a una categoria funzionale  autonoma,  anche  quando
non sia accompagnato dall'esecuzione di opere edilizie, e' rilevante,
in quanto implica un piu' elevato impatto sul carico urbanistico, che
si configura come  rapporto  di  proporzione  quali-quantitativa  tra
insediamenti  e  standard  per  servizi  di  una   determinata   zona
territoriale. 
    L'art. 23-ter,  comma  2,  del  d.P.R.  n.  380  del  2001,  come
sostituito dall'art. 10, comma 1, lettera m),  del  decreto-legge  16
luglio  2020,  n.  76  (Misure  urgenti  per  la  semplificazione   e
l'innovazione digitale), convertito, con modificazioni,  nella  legge
11 settembre 2020, n. 120, conferisce rilievo alla destinazione d'uso
stabilita dal titolo  abilitativo  che  ha  previsto  la  costruzione
dell'immobile o che l'ha legittimata e dal titolo abilitativo che  ha
disciplinato  l'ultimo  intervento  edilizio   riguardante   l'intero
immobile o unita' immobiliare, «integrati con  gli  eventuali  titoli
successivi che hanno abilitato interventi parziali». 
    L'art. 23-ter, comma 3, del d.P.R. n. 380 del 2001 dispone che le
Regioni adeguino la propria legislazione ai principi stabiliti  dalla
normativa  statale  in  tema  di  mutamenti  d'uso   urbanisticamente
rilevanti, entro novanta giorni dalla sua entrata in vigore.  Decorso
inutilmente tale  termine,  i  principi  in  esame  trovano  comunque
applicazione. 
    L'ultimo  periodo  dell'art.  23-ter,  comma  3,  t.u.   edilizia
consente  in  ogni  caso  il  mutamento  della   destinazione   d'uso
all'interno della stessa categoria funzionale  e  fa  salve,  a  tale
riguardo,  le  diverse  previsioni  delle  leggi  regionali  e  degli
strumenti urbanistici comunali. 
    L'art. 10, comma 2, del  d.P.R.  n.  380  del  2001  completa  la
disciplina dei mutamenti di destinazione d'uso. 
    Sono le Regioni a stabilire  «quali  mutamenti,  connessi  o  non
connessi a trasformazioni fisiche, dell'uso di  immobili  o  di  loro
parti»,  siano  subordinati  a  permesso  di  costruire  e  quali   a
segnalazione certificata di inizio attivita'. 
    La disciplina  di  dettaglio  elaborata  dalle  Regioni  si  deve
coordinare con l'art. 10, comma 1, t.u. edilizia, che  individua  gli
interventi di trasformazione urbanistica ed edilizia  del  territorio
subordinati  a  permesso  di   costruire.   Essi   consistono   negli
«interventi di nuova costruzione» (lettera a), negli  «interventi  di
ristrutturazione  urbanistica»  (lettera  b),  negli  «interventi  di
ristrutturazione edilizia che portino ad  un  organismo  edilizio  in
tutto o in parte diverso dal precedente, nei casi in  cui  comportino
anche modifiche della volumetria  complessiva  degli  edifici  ovvero
che, limitatamente agli immobili  compresi  nelle  zone  omogenee  A,
comportino mutamenti della destinazione d'uso, nonche' gli interventi
che  comportino  modificazioni  della  sagoma  o   della   volumetria
complessiva degli edifici o dei prospetti di  immobili  sottoposti  a
tutela ai sensi del Codice dei beni culturali e del paesaggio di  cui
al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42» (lettera c). 
    Gli interventi di ristrutturazione edilizia di cui al citato art.
10, comma 1, lettera c), del d.P.R. n. 380 del  2001  possono  essere
realizzati  mediante  segnalazione  certificata  d'inizio   attivita'
alternativa al permesso di costruire (art. 23, comma 01,  lettera  a,
del d.P.R. n. 380 del 2001), secondo un procedimento  aggravato,  che
impone, tra l'altro,  al  proprietario  dell'immobile  o  agli  altri
soggetti  legittimati  di  presentare   allo   sportello   unico   la
segnalazione almeno trenta giorni  prima  dell'effettivo  inizio  dei
lavori, «accompagnata da una dettagliata  relazione  a  firma  di  un
progettista abilitato e dagli opportuni  elaborati  progettuali,  che
asseveri la conformita' delle  opere  da  realizzare  agli  strumenti
urbanistici approvati e non in contrasto con quelli  adottati  ed  ai
regolamenti edilizi vigenti,  nonche'  il  rispetto  delle  norme  di
sicurezza e di quelle igienico-sanitarie»  (art.  23,  comma  1,  del
d.P.R. n. 380 del 2001). 
    3.4.2.- La definizione  dei  titoli  abilitativi  per  i  diversi
interventi edilizi costituisce principio fondamentale  nella  materia
di legislazione concorrente «governo del  territorio»  e  vincola  la
normativa regionale di dettaglio (con specifico riguardo ai mutamenti
di destinazione d'uso, sentenza n.  2  del  2021,  punto  2.3.2.  del
Considerato in diritto). 
    Dall'art. 10, comma 2, t.u.  edilizia,  si  evince  il  principio
fondamentale che prescrive, per i  mutamenti  di  destinazione  d'uso
degli  immobili  o  di   loro   parti,   un   vaglio   dell'autorita'
amministrativa,  rimesso  alle  piu'  puntuali  determinazioni  della
Regione, nel rispetto della  normativa  statale  di  principio.  Tale
vaglio si esplica nella segnalazione certificata d'inizio  attivita',
con l'attivazione di controlli successivi, oppure, con piu' pregnante
carattere preventivo, nel permesso di costruire, «fermo  il  vincolo,
stabilito dall'art. 10, comma 1, t.u. edilizia, della necessita'  del
permesso (tra l'altro) per i  mutamenti  di  destinazione  d'uso  nei
centri storici (permesso eventualmente  sostituibile  con  la  "super
SCIA", ex art. 23, comma 01, lettera a, dello  stesso  testo  unico)»
(sentenza n. 2 del 2021, punto 17.3. del Considerato in diritto). 
    Con particolare riguardo ai locali accessori e  alle  pertinenze,
anche collocati in  piani  seminterrati,  la  disposizione  impugnata
disciplina i mutamenti della destinazione d'uso senza opere,  che  si
traducono in «forme di utilizzo dell'immobile o della singola  unita'
immobiliare  comportanti  il  passaggio  ad  una  diversa   categoria
funzionale», tra quelle indicate dallo stesso legislatore  regionale:
residenziale,   turistico-ricettiva,   produttiva   e    direzionale,
commerciale, rurale, autorimesse  e  rimessaggi,  servizi  (art.  13,
comma 1, della legge reg. Liguria n.  16  del  2008,  richiamato  dal
successivo art. 13-bis della medesima legge regionale,  a  sua  volta
richiamato dall'impugnato art. 2, comma  1,  secondo  periodo,  della
legge reg. Liguria n. 30 del 2019). 
    Nel prevedere la segnalazione certificata d'inizio attivita',  la
normativa in esame si allinea all'art. 10, comma  2,  t.u.  edilizia,
che, in via generale, consente  alle  Regioni  di  determinare  quali
mutamenti, connessi o non connessi a trasformazioni fisiche, dell'uso
di immobili, o di loro parti, richiedano il permesso di  costruire  e
quali siano sottoposti alla mera SCIA. 
    Dalla normativa statale di principio,  la  disciplina  regionale,
tuttavia, si discosta, nella  parte  in  cui,  in  virtu'  della  sua
formulazione generale e onnicomprensiva, ritiene sufficiente la  SCIA
ordinaria anche per i mutamenti di destinazione d'uso degli  immobili
posti nei centri storici,  in  contrasto  con  le  esigenze  di  piu'
incisiva tutela che presiedono a tale normativa. 
    Questa Corte ha affermato di recente che la disciplina del  testo
unico dell'edilizia,  interpretata  alla  luce  della  giurisprudenza
amministrativa e di legittimita', «impone il  permesso  di  costruire
per i mutamenti di destinazione d'uso nei  centri  storici  anche  in
assenza  di  opere»  (sentenza  n.  2  del  2021,  punto  2.3.1.  del
Considerato in diritto). 
    Dall'art.  10,  comma  1,  lettera  c),  t.u.  edilizia  si  puo'
desumere,  difatti,  che  il  legislatore   statale   considera   con
particolare  rigore,  assoggettandoli  al  preventivo  rilascio   del
permesso  di  costruire,  gli  interventi  idonei  a  determinare  un
mutamento di destinazione d'uso nelle zone territoriali omogenee A di
cui all'art. 2 del decreto  ministeriale  2  aprile  1968,  n.  1444,
recante «Limiti inderogabili di densita'  edilizia,  di  altezza,  di
distanza fra i fabbricati e rapporti massimi tra spazi destinati agli
insediamenti residenziali e produttivi e spazi pubblici  o  riservati
alle attivita'  collettive,  al  verde  pubblico  o  a  parcheggi  da
osservare ai fini della formazione dei nuovi strumenti urbanistici  o
della revisione di quelli esistenti,  ai  sensi  dell'art.  17  della
legge 6 agosto 1967, n. 765». 
    Si tratta delle «parti del territorio interessate da  agglomerati
urbani che rivestano carattere storico, artistico  e  di  particolare
pregio  ambientale  o  da  porzioni  di  essi,   comprese   le   aree
circostanti, che possono  considerarsi  parte  integrante,  per  tali
caratteristiche, degli agglomerati stessi». La peculiarita'  di  tali
zone territoriali omogenee e dunque le piu' gravi  ripercussioni  dei
mutamenti di destinazioni d'uso  sull'armonico  sviluppo  urbanistico
impongono una piu' energica tutela, vanificata da una  normativa  che
ritiene sufficiente la SCIA ordinaria e  prevede  soltanto  controlli
successivi. 
    3.4.3.-   Si   deve   dichiarare,   pertanto,    l'illegittimita'
costituzionale dell'art. 2, comma 1,  secondo  periodo,  della  legge
reg. Liguria n. 30  del  2019,  nella  parte  in  cui  subordina  gli
interventi consistenti nel mero mutamento di destinazione d'uso senza
opere alla segnalazione certificata d'inizio  attivita'/SCIA  di  cui
all'art. 13-bis della legge reg. Liguria n. 16 del  2008,  anche  con
riguardo agli immobili posti nelle zone territoriali omogenee  A,  di
cui all'art. 2 del d.m. n. 1444 del 1968. 
    4.- Con il secondo motivo del ricorso di cui al reg. ric.  n.  35
del 2020, il Presidente del Consiglio dei ministri impugna l'art.  3,
comma 1, della legge reg. Liguria n.  30  del  2019,  in  riferimento
all'art. 117, terzo comma, Cost. 
    4.1.- La disposizione in esame consente il riutilizzo per i  fini
di legge di locali accessori e di pertinenze di un fabbricato,  anche
collocati in piani seminterrati, e di immobili non utilizzati,  anche
diroccati, in deroga alla disciplina dei vigenti  strumenti  e  piani
urbanistici comunali. 
    4.2.- Il ricorrente argomenta che tale disposizione contrasta con
l'art. 117, terzo comma,  Cost.  e  con  il  principio  fondamentale,
espresso dall'art. 14 del d.P.R. n. 380 del  2001,  che  sottopone  a
rigorose condizioni il rilascio del permesso di costruire  in  deroga
agli strumenti urbanistici generali. 
    Tale permesso potrebbe essere rilasciato soltanto «per edifici ed
impianti pubblici o di interesse pubblico, previa  deliberazione  del
consiglio  comunale,  nel  rispetto   comunque   delle   disposizioni
contenute nel decreto legislativo 29 ottobre 1999, n.  490»,  recante
«Testo unico  delle  disposizioni  legislative  in  materia  di  beni
culturali e ambientali, a norma dell'articolo 1 della legge 8 ottobre
1997, n. 352», e nel  rispetto  «delle  altre  normative  di  settore
aventi incidenza sulla disciplina dell'attivita' edilizia» (art.  14,
comma 1, t.u. edilizia). 
    Per gli interventi di ristrutturazione edilizia attuati  in  aree
industriali dismesse,  potrebbe  essere  rilasciato  il  permesso  di
costruire in deroga alle destinazioni d'uso solo previa deliberazione
del Consiglio comunale e a condizione che non vi sia un aumento della
superficie coperta (art. 14, comma 1-bis, t.u.  edilizia).  Nel  caso
degli insediamenti commerciali, il  legislatore  impone  l'osservanza
dell'art. 31, comma 2, del decreto-legge  6  dicembre  2011,  n.  201
(Disposizioni urgenti per la crescita, l'equita' e il  consolidamento
dei conti pubblici), convertito, con modificazioni,  dalla  legge  22
dicembre 2011,  n.  214,  che  riconduce  a  un  «principio  generale
dell'ordinamento nazionale la liberta' di apertura di nuovi  esercizi
commerciali sul territorio senza contingenti, limiti  territoriali  o
altri vincoli di qualsiasi altra natura, esclusi quelli connessi alla
tutela della  salute,  dei  lavoratori,  dell'ambiente,  ivi  incluso
l'ambiente urbano, e dei beni culturali». 
    Il ricorrente evidenzia che  la  deroga  sarebbe  subordinata  al
«rispetto  delle  norme  igieniche,  sanitarie  e  di  sicurezza»   e
riguarderebbe i soli «limiti di densita' edilizia, di  altezza  e  di
distanza tra i fabbricati di  cui  alle  norme  di  attuazione  degli
strumenti urbanistici  generali  ed  esecutivi»  e,  nei  casi  degli
interventi di ristrutturazione edilizia, le destinazioni  d'uso.  Non
potrebbero essere derogati i limiti di densita' edilizia, di  altezza
degli  edifici   e   di   distanza   tra   i   fabbricati,   sanciti,
rispettivamente, dagli artt. 7, 8 e 9 del d.m. n. 1444 del 1968 (art.
14, comma 2, t.u. edilizia). 
    Il legislatore regionale avrebbe dettato una diversa  disciplina,
«piu' lasca e piu' permissiva», e regolerebbe i titoli abilitativi in
modo difforme dalla normativa statale, «che non  puo'  ammettere  per
sua natura differenziazioni territoriali». 
    4.3.- Con il ricorso di cui al reg.  ric.  n.  41  del  2020,  il
Presidente del Consiglio  impugna,  inoltre,  sempre  in  riferimento
all'art. 117, terzo comma, Cost., l'art. 3, comma 1, della legge reg.
Liguria n. 30 del 2019, nella versione modificata dall'art. 24, comma
2, della legge reg. Liguria n. 1 del 2020. 
    4.3.1.- La disposizione citata  ha  escluso  la  possibilita'  di
derogare alla «disciplina degli ambiti di rigenerazione urbana di cui
al Capo II della legge della Regione Liguria 29 novembre 2018, n.  23
(Disposizioni  per  la  rigenerazione  urbana  e  il   recupero   del
territorio agricolo)». 
    4.3.2.- Lo ius  superveniens  non  varrebbe,  tuttavia,  a  porre
rimedio ai vizi di illegittimita'  costituzionale  censurati  con  il
ricorso di cui al  reg.  ric.  n.  35  del  2020  e  alla  violazione
dell'art. 117, terzo comma, Cost.,  per  contrasto  «con  i  principi
fondamentali dettati  dallo  Stato  nella  materia  del  governo  del
territorio». 
    4.4.- In primo luogo, occorre esaminare le eccezioni  preliminari
formulate dalla parte resistente. 
    4.4.1.- Secondo la difesa della  Regione  Liguria,  le  questioni
sarebbero inammissibili, in quanto non sarebbe pertinente il richiamo
all'istituto del permesso di costruire in deroga. 
    4.4.2.- L'eccezione non e' fondata. 
    Il  motivo  di  ricorso  e'   avvalorato   da   un'argomentazione
sufficiente a superare il vaglio di ammissibilita'.  Se  sia  o  meno
appropriato il riferimento al permesso di  costruire  in  deroga,  e'
profilo che attiene al merito delle questioni. 
    Non vi sono, dunque, ostacoli all'esame del merito. 
    4.5.- Le questioni, promosse con riguardo all'art.  3,  comma  1,
della  legge  reg.  Liguria  n.  30  del  2019,  nella   formulazione
originaria e in quella introdotta dall'art. 24, comma 2, della  legge
reg. Liguria n. 1 del 2020,  oggi  vigente,  non  sono  fondate,  nei
termini di seguito indicati. 
    4.5.1.- Le censure si appuntano sulla deroga ai vigenti strumenti
e piani urbanistici comunali, deroga che l'art. 24,  comma  2,  della
legge reg. Liguria n. 1 del 2020 ha inteso delimitare, escludendo dal
suo campo applicativo la disciplina  degli  ambiti  di  rigenerazione
urbana. 
    Nella  prospettiva  del  ricorrente,  tale  deroga,   pur   cosi'
circoscritta, si porrebbe in contrasto con l'art. 117,  terzo  comma,
Cost. e, in particolare, con i principi fondamentali  espressi  nella
materia del governo del territorio dall'art. 14 del d.P.R. n. 380 del
2001. 
    La normativa interposta e' stata modificata dall'art. 10 del d.l.
n. 76 del 2020, come convertito. 
    Con riguardo agli interventi di ristrutturazione edilizia, l'art.
14, comma 1-bis, del d.P.R.  n.  380  del  2001,  nella  formulazione
introdotta dall'art. 10, comma 1, lettera f), numero 1), del d.l.  n.
76 del 2020, come convertito, ammette la  richiesta  di  permesso  di
costruire previa deliberazione del Consiglio comunale che ne  attesti
l'interesse pubblico e circoscrive quest'ultimo  «alle  finalita'  di
rigenerazione urbana, di contenimento del  consumo  del  suolo  e  di
recupero  sociale  e   urbano   dell'insediamento».   Nel   caso   di
insediamenti commerciali, permane  la  necessita'  di  rispettare  le
disposizioni dell'art. 31, comma 2, del d.l. n. 201  del  2011,  come
convertito. 
    Quanto all'art. 14, comma 3, del d.P.R.  n.  380  del  2001,  che
definisce l'ampiezza della deroga, l'art. 10, comma  1,  lettera  f),
numero 2), del d.l. n. 76 del 2020 puntualizza  che  la  deroga  puo'
riguardare le destinazioni d'uso, sempre che tali destinazioni  siano
ammissibili. 
    Le richiamate modificazioni della normativa interposta non mutano
i termini delle questioni, che si  incentrano  sull'inosservanza  dei
presupposti di legittimita' del permesso di costruire in deroga. 
    4.5.2.-  La  giurisprudenza   di   questa   Corte   e'   costante
nell'affermare che il regime dei titoli abilitativi per le  categorie
dei vari interventi edilizi costituisce principio fondamentale  della
materia  di  legislazione  concorrente  «governo  del  territorio»  e
vincola cosi' la legislazione regionale di dettaglio (fra  le  molte,
sentenze n. 54 del 2021, punto 4.1. del Considerato in diritto, n.  2
del 2021, punto 2.3.2. del Considerato in diritto, e n. 68 del  2018,
punto 10.1. del Considerato in diritto). 
    La disciplina impugnata, tuttavia, non ha introdotto  una  deroga
non consentita al regime statale dei  titoli  abilitativi  e  non  ha
delineato - come nella fattispecie scrutinata da questa  Corte  nella
sentenza n. 282 del 2016 - una peculiare  tipologia  di  permesso  di
costruire in deroga, svincolata dal preventivo vaglio  del  Consiglio
comunale e volta a legittimare qualsiasi difformita'. 
    La disposizione in esame ha il fine precipuo di definire il campo
di applicazione degli interventi di riutilizzo dei locali accessori e
delle  pertinenze  di  un  fabbricato,  anche  collocati   in   piani
seminterrati, e  degli  immobili  non  utilizzati,  anche  diruti,  e
concerne i profili eminentemente urbanistici degli interventi,  senza
alterare il regime dei titoli abilitativi. 
    Le deroghe alla pianificazione comunale devono essere  inquadrate
nella finalita' sottesa alla disciplina impugnata, che si prefigge di
«incentivare il riuso del patrimonio edilizio esistente e ridurre  il
consumo di  suolo,  incentivare  l'inserimento  di  funzioni  per  lo
sviluppo economico dei territori montani,  di  retro-costa  e  urbani
interni, nonche' favorire l'installazione di impianti tecnologici  di
contenimento dei consumi energetici e delle emissioni  in  atmosfera»
(art. 1, comma 1, della legge reg. Liguria  n.  30  del  2019).  Tale
finalita' fonda e al tempo  stesso  delimita  la  deroga  prevista  e
impone di intenderla in modo coerente con  gli  obiettivi  perseguiti
dal legislatore  ligure,  senza  estenderne  la  portata  ad  aspetti
estranei  all'intervento  riformatore,  come  quelli  concernenti  la
disciplina dei titoli abilitativi. 
    E' in tale contesto che  la  legge  regionale,  «fonte  normativa
primaria sovraordinata rispetto agli  strumenti  urbanistici  locali»
(sentenza n. 245 del 2018, punto 9.1. del Considerato in  diritto  e,
nello stesso senso,  sentenza  n.  179  del  2019,  punto  12.4.  del
Considerato in diritto), statuisce  una  deroga  alla  pianificazione
comunale, senza stravolgere il regime dei titoli abilitativi, che  si
sostanzia in un principio fondamentale  nella  materia  «governo  del
territorio». 
    Prospettata con riguardo  al  contrasto  con  la  disciplina  del
permesso di costruire in deroga, la  censura  si  rivela  dunque  non
fondata, nei termini sopra indicati. 
    5.- Con il terzo motivo del ricorso di cui al reg. ric. n. 35 del
2020 sono impugnati gli artt. 3, comma 1, e 4, commi  1  e  2,  della
legge reg. Liguria n. 30 del 2019, per violazione  degli  artt.  9  e
117, secondo comma, lettera s), Cost. 
    5.1.- L'art. 3, comma 1, della legge reg. Liguria n. 30 del  2019
e' impugnato in quanto, nel disciplinare gli interventi di riutilizzo
di vani accessori, pertinenze, immobili non utilizzati, non  sancisce
alcuna clausola  di  salvaguardia  «a  favore  del  Codice  dei  beni
culturali e del paesaggio». 
    Quanto all'art. 4, commi 1 e 2, della legge reg.  Liguria  n.  30
del 2019, le censure vertono sul fatto  che  tale  disciplina  affidi
soltanto ai Comuni, in relazione  a  specifiche  esigenze  di  tutela
paesaggistica e soltanto nelle  fattispecie  tassativamente  indicate
(il  riutilizzo  per  l'uso  residenziale  di  locali   accessori   e
pertinenze di un fabbricato, anche collocati in piani seminterrati  e
contigui  alla  strada  pubblica),  «la  limitazione  dell'ambito  di
applicazione della disciplina introdotta dalla  stessa  legge,  senza
parimenti  escludere  dall'ambito  applicativo  della  legge  i  beni
sottoposti a tutela ai sensi della Parte II  [del  codice]  dei  beni
culturali e del paesaggio». 
    5.2.- Le censure muovono dal presupposto che le  leggi  regionali
impugnate, nel promuovere gli interventi di  riutilizzo  di  un  gran
numero  di  «fabbricati,  anche  vetusti,  disseminati  su  tutto  il
territorio regionale», riguardino anche gli  «immobili  di  interesse
culturale e paesaggistico, sottoposti a tutela ai sensi  della  Parte
II e della Parte III del Codice dei beni culturali e del paesaggio di
cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42». 
    Sarebbe consentito, in particolare,  il  generale  riutilizzo  di
«immobili  potenzialmente,  per  la  loro  vetusta',   di   interesse
culturale» e «di immobili, anche sottoposti a vincolo paesaggistico»,
senza la «previa introduzione di un'apposita disciplina  d'uso  [...]
elaborata d'intesa con  il  Ministero  per  i  beni  e  le  attivita'
culturali, ai sensi degli articoli 135, comma 1, e 143, comma 2,  del
Codice di settore». 
    Ne deriverebbe il «sostanziale svuotamento della funzione propria
del piano paesaggistico», chiamato a dettare, per ogni area tutelata,
«i  criteri  di  gestione   del   vincolo»   e   a   individuare   le
«trasformazioni compatibili» e «quelle vietate». Sarebbe compromessa,
inoltre,  l'impronta  unitaria  della  pianificazione  paesaggistica,
peraltro  oggetto  di  un  obbligo  di  elaborazione  congiunta   con
riferimento ai beni vincolati. 
    Alla luce di tali premesse, il ricorrente denuncia la  violazione
dell'art. 117, secondo comma, lettera s), poiche'  sarebbe  lesa  «la
potesta' legislativa esclusiva dello Stato in materia di  tutela  del
paesaggio», rispetto alla quale «le previsioni del  Codice  dei  beni
culturali e del paesaggio costituiscono norme interposte». 
    La disciplina impugnata, inoltre, si porrebbe  in  contrasto  con
l'art. 9 Cost., che sancisce «il principio fondamentale della  tutela
del paesaggio e del patrimonio storico e artistico della  Nazione»  e
«pone la tutela del paesaggio quale interesse primario  e  assoluto»,
in quanto gli interventi che incentiva arrecherebbero un  «potenziale
pregiudizio ai beni tutelati». 
    5.3.- Con il ricorso di cui al reg.  ric.  n.  41  del  2020,  il
Presidente del Consiglio dei ministri censura la disciplina dell'art.
3,  comma  1,  della  legge  reg.  Liguria  n.  30  del  2019,  nella
formulazione modificata dall'art.  24,  comma  2,  della  legge  reg.
Liguria n. 1 del 2020. 
    5.3.1.- Lo ius superveniens ha  sancito  l'inderogabilita'  della
disciplina regionale relativa agli ambiti di rigenerazione urbana. 
    5.3.2.- Pur modificata  in  senso  restrittivo,  la  disposizione
impugnata presenterebbe i medesimi vizi di  incostituzionalita'  gia'
denunciati con il ricorso iscritto al reg. ric. n. 35 del 2020. 
    Essa violerebbe gli artt. 9 e 117,  secondo  comma,  lettera  s),
Cost.,  che  riservano  rispettivamente  allo  Stato  la  tutela  del
paesaggio e del patrimonio storico e artistico e la connessa potesta'
legislativa esclusiva. 
    5.4.- Occorre esaminare, in  via  prioritaria,  la  questione  di
legittimita' costituzionale relativa alla violazione del  riparto  di
competenze tra Stato e Regioni, promossa in riferimento all'art. 117,
secondo comma, lettera s), Cost. 
    Con riguardo sia all'art. 3, comma 1, della legge reg. Liguria n.
30 del 2019, nella formulazione originaria  e  in  quella  modificata
dall'art. 24, comma 2, della legge reg. Liguria n. 1 del  2020,  oggi
vigente, sia all'art. 4, commi 1 e 2, della medesima legge regionale,
la questione non e' fondata, nei termini di seguito indicati. 
    5.4.1.-  Il  ricorrente  ritiene  che  entrambe  le  disposizioni
impugnate deroghino alle previsioni di tutela delineate dal d.lgs. n.
42 del 2004 in tema di beni culturali e paesaggistici. 
    Gli  interventi  di  riutilizzo   incentivati   dal   legislatore
regionale riguarderebbero - senza eccezioni di sorta - anche immobili
di interesse culturale e paesaggistico e cosi'  vanificherebbero,  in
particolare, l'impronta unitaria della relativa pianificazione  e  il
vincolo della elaborazione congiunta del Piano paesaggistico  tra  lo
Stato e le Regioni. 
    La violazione della competenza legislativa esclusiva dello  Stato
nella materia  «tutela  dell'ambiente,  dell'ecosistema  e  dei  beni
culturali» e' dedotta sotto questo specifico profilo ed e' avvalorata
dal puntuale richiamo  alla  "normativa  interposta"  del  Codice  di
settore in tema di beni culturali (artt. 20 e 21 del d.lgs. n. 42 del
2004) e di beni paesaggistici (artt. 135,  143  e  145  del  medesimo
decreto legislativo). 
    5.4.2.-  Questa  Corte,  anche  di  recente,  ha   ribadito   che
«[a]ffinche' sia preservato il valore  unitario  e  prevalente  della
tutela paesaggistica (sul quale, fra le molte,  sentenze  n.  11  del
2016, n.  64  del  2015  e  n.  197  del  2014),  deve  [...]  essere
salvaguardata  la  complessiva  efficacia  del  Piano  paesaggistico,
ponendola al riparo dalla pluralita' e dalla  parcellizzazione  degli
interventi delle amministrazioni locali (sentenza n. 182  del  2006)»
(sentenza n. 74 del 2021, punto 3.2.2. del Considerato in diritto). 
    5.4.3.- Il ricorrente muove dall'assunto  che  l'omesso  richiamo
delle previsioni di tutela del codice  di  settore  equivalga  a  una
deroga, con la conseguente violazione  della  competenza  legislativa
esclusiva dello Stato. 
    A tale assunto si contrappongono argomenti di ordine  testuale  e
sistematico. 
    5.4.3.1.- Il legislatore regionale ha inteso derogare ex professo
alla sola  disciplina  dei  vigenti  strumenti  e  piani  urbanistici
comunali e  a  quella  fissata  dal  vigente  Piano  territoriale  di
coordinamento paesistico regionale. 
    A fronte di un'indicazione  espressa,  che  circoscrive  l'ambito
applicativo delle deroghe, non si puo' attribuire al mancato richiamo
delle prescrizioni del codice di settore la  portata  di  una  deroga
indiscriminata, che esula dalle specifiche finalita' della  normativa
regionale e contraddice la forza imperativa della disciplina statale,
ribadita anche dal legislatore ligure con riguardo ai beni  culturali
(art. 34 della legge della Regione Liguria 31 ottobre  2006,  n.  33,
recante «Testo unico in materia di cultura») e a quelli paesaggistici
(art. 1, comma 2, della legge della Regione Liguria 6 giugno 2014, n.
13, recante «Testo unico della  normativa  regionale  in  materia  di
paesaggio»). 
    Alla luce di tali elementi, il silenzio del legislatore regionale
non consente di affermare, come fa il  ricorrente,  che  vi  sia  una
deroga generalizzata. 
    5.4.3.2.- Gli interventi edilizi di recupero di locali accessori,
pertinenze e immobili non utilizzati  devono  essere  realizzati  nel
rispetto delle prescrizioni sui beni culturali e  dei  vincoli  posti
dal Piano paesaggistico in corso  di  elaborazione.  Tale  disciplina
mantiene intatta la sua forza precettiva,  in  difetto  di  esplicite
indicazioni di segno contrario, tanto piu' necessarie in  ragione  di
fondamentali  esigenze  di  certezza  e  del  rango  primario   degli
interessi coinvolti. 
    La normativa regionale, pertanto,  deve  essere  interpretata  in
termini  compatibili  con  il  dettato  costituzionale   e   con   le
prescrizioni del codice dell'ambiente e del  paesaggio,  come  questa
Corte ha affermato anche di recente con  riguardo  a  una  disciplina
veneta finalizzata al recupero dei sottotetti  (sentenza  n.  54  del
2021, punto 3.2. del Considerato in diritto). 
    Cosi'   intesa,   la   disciplina   impugnata   non    pregiudica
l'unitarieta' e la vincolativita' della pianificazione paesaggistica,
ne' mette a repentaglio l'obbligatorieta' dell'elaborazione congiunta
del Piano paesaggistico. 
    5.4.4.- Le medesime considerazioni privano di fondamento anche le
censure relative all'art. 4, commi 1 e 2, della legge reg. Liguria n.
30 del 2019, che attribuisce ai  Comuni  il  potere  di  individuare,
entro la data del 30 aprile 2020,  «limitatamente  al  riutilizzo  di
locali contigui alla strada pubblica» parti  del  territorio  escluse
dall'applicazione della normativa sul recupero di locali accessori  e
pertinenze,  in  funzione   di   «specifiche   esigenze   di   tutela
paesaggistica o igienico-sanitaria e nel  rispetto  della  disciplina
dei piani di bacino e dei piani dei parchi» o anche  in  presenza  di
«fenomeni di risalita della falda». 
    Tale normativa non demanda ai Comuni il potere di  individuare  i
beni oggetto di tutela, in un contesto di deroga  generalizzata  alle
previsioni del d.lgs. n. 42  del  2004,  sia  con  riguardo  ai  beni
culturali, sia con riguardo ai beni paesaggistici. La  forza  cogente
di tali disposizioni rimane intatta e i Comuni - in un'ottica di piu'
elevata tutela e in relazione a esigenze  specifiche,  tassativamente
indicate e connesse agli interessi  affidati  alla  cura  degli  enti
territoriali - possono individuare porzioni del territorio in cui  la
legge in esame non trova applicazione. 
    Per le medesime ragioni, non risulta violato l'art. 9 Cost. 
    5.5.- La questione di legittimita'  costituzionale  dell'art.  3,
comma 1, della legge reg. Liguria n. 30 del 2019  e'  invece  fondata
per violazione dell'art. 9 Cost. con riferimento  a  un  ulteriore  e
autonomo precetto contenuto nella disposizione impugnata, che  deroga
«alla disciplina del  vigente  Piano  territoriale  di  coordinamento
paesistico regionale, approvato ai sensi  della  legge  regionale  22
agosto  1984,  n.  39   (Disciplina   dei   piani   territoriali   di
coordinamento) e successive modificazioni e integrazioni». 
    5.5.1.- L'art. 9 Cost. sancisce il principio  fondamentale  della
tutela del paesaggio, che assurge a  valore  primario  e  assoluto  e
investe i contenuti ambientali e culturali connessi alla  «morfologia
del  territorio»,  dunque  all'«ambiente  nel  suo  aspetto   visivo»
(sentenza n. 367 del 2007, punto 7.1. del Considerato in diritto). 
    La disposizione impugnata entra in conflitto con  tale  principio
fondamentale, nella parte in  cui  consente  la  realizzazione  degli
interventi di riutilizzo di  locali  accessori  e  pertinenze  di  un
fabbricato, anche collocati in piani seminterrati, e di immobili  non
utilizzati,  anche  diruti,  in  deroga  alla  disciplina  del  Piano
territoriale di coordinamento paesistico regionale. 
    5.5.2.- Per la disamina del merito della questione, e' necessario
inquadrare tale piano nell'evoluzione normativa che ha caratterizzato
la pianificazione regionale con riguardo alla tutela dell'ambiente  e
del paesaggio. 
    In base alla legge reg.  Liguria  n.  39  del  1984,  la  Regione
provvede alla «formazione di piani territoriali di  coordinamento  in
coerenza con gli indirizzi della programmazione  regionale  e  di  un
quadro unitario  di  pianificazione»,  allo  scopo  di  disciplinare,
coordinare e orientare le attivita' di trasformazione del territorio,
considerate nel loro complesso o con riguardo a specifici settori  di
intervento (art. 1). 
    I piani territoriali di coordinamento provvedono a indicare anche
i  termini  di  destinazione  d'uso,  l'organizzazione  spaziale  dei
sistemi insediativi  e  infrastrutturali  nonche'  gli  interventi  a
protezione dell'ambiente in relazione alla potenzialita' d'uso  delle
risorse territoriali e ai  loro  valori  storico-culturali  (art.  2,
primo comma). 
    Tra   i   possibili   contenuti   dei   piani   territoriali   di
coordinamento, il legislatore regionale enumera: «a) l'individuazione
e/o il coordinamento dei piu' rilevanti interventi  infrastrutturali;
b) la definizione dei  sistemi  delle  attrezzature  per  servizi  di
livello sovracomunali e degli impianti  speciali,  sotto  il  profilo
della  loro  organizzazione  territoriale  ed   eventualmente   della
localizzazione;  c)  la  disciplina  dei  modi  e  delle   forme   di
utilizzazione del patrimonio ambientale nelle sue diverse espressioni
insediativa, ecologica,  naturalistica,  paesistica,  archeologica  e
storico-artistica,  ai  fini  della   sua   conoscenza   sistematica,
valorizzazione  e   tutela;   d)   l'indicazione   degli   interventi
preordinati alla  difesa  del  suolo  nonche'  alla  salvaguardia  ed
utilizzazione delle risorse idriche, con  particolare  riguardo  alle
opere   di    sistemazione    idraulica,    idraulico-forestale    ed
idraulico-agraria; e)  la  definizione  degli  assetti  costieri  nei
diversi rapporti strutturali  e  funzionali  corrispettivi  territori
retrostanti; f) l'indicazione in termini qualitativi  e  quantitativi
delle direttrici di sviluppo residenziale,  produttivo,  commerciale,
turistico ed agricolo; g) l'individuazione di zone idonee anche sotto
il   profilo   dell'impatto   ambientale   alla   concentrazione   di
insediamenti produttivi, entro le quali delimitare le  aree  ad  esso
destinate, nonche' l'indicazione del relativo dimensionamento»  (art.
2, secondo comma, della legge reg. Liguria n. 39 del 1984). 
    Il Piano territoriale di coordinamento, per l'ambito territoriale
e per i settori di intervento ai quali si riferisce, costituisce, tra
l'altro, sede  di  coordinamento  «dei  piani  relativi  alla  tutela
diretta dell'ambiente, quali il piano di risanamento delle  acque  di
cui all'articolo 4 della legge 10 giugno 1976, n. 319 e il  piano  di
risanamento per il miglioramento della qualita' dell'aria adottato in
conseguenza del provvedimento di cui  all'articolo  4,  ultimo  comma
della legge 23 dicembre 1978, n. 833» (art. 3, primo  comma,  lettera
c, della legge reg. Liguria n. 39 del 1984). 
    I piani territoriali di  coordinamento  sono  sovraordinati  agli
strumenti urbanistici comunali (art. 5, primo comma, della legge reg.
Liguria n. 39 del 1984). 
    Il Piano territoriale  di  coordinamento  paesistico  coniuga  le
funzioni di disciplina urbanistica con quelle di  tutela  dei  valori
paesistici  ed  ambientali  ed  e'  riconducibile,   pertanto,   alla
categoria dei piani tematici,  che  adempiono  a  una  funzione  piu'
complessa  di  quella  di  coordinamento   dell'assetto   urbanistico
regionale, caratteristica dei piani territoriali. 
    Tale piano incide non solo sulla regolamentazione urbanistica  di
ordine generale, con efficacia vincolante verso  i  Comuni,  ma  puo'
contenere,  altresi',  la   puntuale   indicazione   di   vincoli   e
prescrizioni volti  alla  tutela  del  paesaggio  e  dell'ambiente  e
provvisti di forza cogente anche  verso  i  privati  proprietari.  La
molteplicita'  degli  interessi  coinvolti  dalla  pianificazione  si
riflette nella complessita' delle funzioni, che  non  si  esauriscono
nel vincolo di direttiva verso il Comune (Consiglio di Stato, sezione
quarta, decisione 26 settembre 2001, n. 5038). 
    Nella  legislazione  ligure  il  sistema   della   pianificazione
paesaggistica ha registrato un'evoluzione continua,  culminata  nella
transizione, non ancora compiuta, verso il Piano paesaggistico. 
    L'art. 3, comma 1, della legge della Regione Liguria 4  settembre
1997, n. 36 (Legge urbanistica regionale) definisce le funzioni della
pianificazione territoriale di livello regionale, deputata a  fornire
«il quadro generale di riferimento per le  scelte  pianificatorie  ai
diversi livelli relativamente alle componenti paesistica, ambientale,
insediativa ed infrastrutturale, in coerenza con gli obiettivi  ed  i
contenuti della programmazione economica-sociale regionale». 
    L'art. 3, comma 2, della legge reg. Liguria n. 36 del 1997, nella
formulazione modificata dall'art.  2,  comma  1,  della  legge  della
Regione Liguria 18 novembre 2016, n. 29, recante «Prime  disposizioni
in materia urbanistica e di attivita' edilizia  in  attuazione  della
legge regionale 16 febbraio  2016,  n.  1  (Legge  sulla  crescita)»,
individua gli strumenti della pianificazione  territoriale  regionale
nel Piano territoriale regionale (PTR) e nel Piano paesaggistico. 
    L'art. 3, comma 3-bis, della legge reg. Liguria n. 36  del  1997,
aggiunto dall'art. 2, comma 2, della legge reg.  Liguria  n.  29  del
2016 e poi modificato dall'art. 2, comma 1, della legge della Regione
Liguria 7 agosto 2018, n. 15, recante «Modifiche alla legge regionale
4 settembre  1997,  n.  36  (Legge  urbanistica  regionale)  e  altre
disposizioni di adeguamento in materia di  governo  del  territorio»,
attribuisce  al  Piano  paesaggistico  «i  contenuti  e  gli  effetti
previsti negli articoli 135, 143  e  145  del  d.lgs.  n.  42/2004  e
successive  modificazioni  e  integrazioni»  e   ne   stabilisce   la
predisposizione «con  modalita'  di  elaborazione  congiunta  con  il
Ministero per i beni e le attivita' culturali e secondo le  procedure
previste dall'articolo 14-bis». 
    L'art. 68, comma 1, della legge  reg.  Liguria  n.  36  del  1997
regola la fase transitoria e dispone che, fino  all'approvazione  del
Piano paesaggistico, operino le previsioni del Piano territoriale  di
coordinamento paesistico approvato con  deliberazione  del  Consiglio
regionale del 26 febbraio  1990,  n.  6,  «limitatamente  all'assetto
insediativo del livello locale, con le relative norme  di  attuazione
in quanto applicabili». 
    Nella memoria di costituzione depositata nel giudizio  introdotto
dal ricorso di cui al reg. ric. n. 41 del 2020,  la  Regione  Liguria
evidenzia che  il  Piano  territoriale  di  coordinamento  paesistico
rappresenta  «l'atto  di  pianificazione  preordinato   alla   tutela
paesaggistica» nelle more dell'approvazione del Piano  paesaggistico,
che e' «in corso di elaborazione congiunta». 
    5.5.3.- Il ricorrente argomenta che l'impugnato art. 3  «mantiene
salva solo una parte del PTRC regionale» e pone l'accento  sul  fatto
che - nell'attesa dell'approvazione del Piano paesaggistico, in corso
di elaborazione congiunta con il Ministero per i beni e le  attivita'
culturali - una deroga strutturata in termini generali  possa  recare
pregiudizio ai valori tutelati dall'art. 9 Cost. 
    Tali argomenti colgono nel segno. 
    La disposizione impugnata  sancisce  una  deroga  di  particolare
ampiezza  al  Piano   territoriale   di   coordinamento   paesistico,
preordinato a tutelare  il  paesaggio  e  l'ambiente  e  destinato  a
trovare applicazione - come la stessa difesa  regionale  riconosce  -
fino all'approvazione definitiva del Piano paesaggistico. 
    A fronte di una  deroga  di  tale  latitudine,  che  peraltro  si
affianca  alla  deroga  alla  pianificazione  comunale,  non  esclude
l'illegittimita' costituzionale il fatto che sia inderogabile la sola
«disciplina dell'Assetto Insediativo  di  Livello  Locale  del  Piano
territoriale di coordinamento paesistico regionale  relativamente  ai
regimi normativi "PU" (parchi urbani) e "ANI-CE" (aree non  insediate
- conservazione)». Si tratta di un  aspetto  di  dettaglio,  che  non
attenua la portata lesiva della deroga disposta in via generale dalla
normativa regionale. 
    Neppure si puo' ritenere  sufficiente  che  sia  fatta  salva  la
disciplina degli ambiti di rigenerazione urbana o che l'art. 1  della
legge reg. Liguria n. 30 del  2019  escluda  dall'ambito  applicativo
della disciplina gli edifici rurali di valore testimoniale (comma  4)
e prescriva l'osservanza dei vigenti piani di bacino e dei piani  dei
parchi (comma 5). 
    Non basta  a  tutelare  i  valori  affermati  dall'art.  9  Cost.
l'attribuzione ai Comuni del potere di individuare  le  aree  escluse
dall'ambito applicativo della nuova  disciplina  regionale  (art.  4,
commi 1 e 2, della legge reg. Liguria n. 30 del 2019). 
    Nelle more dell'approvazione del Piano  paesaggistico  e  per  un
arco temporale che non e' possibile predeterminare con  certezza,  il
legislatore regionale deroga alle previsioni del  Piano  territoriale
di coordinamento paesistico, che si ispira al medesimo  metodo  della
pianificazione, in quanto funzionale alla salvaguardia piu' ampia  ed
efficace dell'ambiente e del paesaggio e dei molteplici interessi  di
risalto  costituzionale  che  convergono  nella  tutela  riconosciuta
dall'art. 9 Cost. 
    Proprio la mancanza di un Piano paesaggistico avrebbe imposto  in
modo piu' stringente la salvaguardia  delle  prescrizioni  del  Piano
territoriale   di   coordinamento   paesistico,   caratterizzato   da
un'analoga vocazione di tutela, riconosciuta dal  legislatore  ligure
(art. 68 della legge reg. Liguria n. 36  del  1997)  e  dalle  difese
della stessa parte resistente. 
    La  deroga  censurata,  nel  consentire  singoli  e   frammentari
interventi di riutilizzo al di fuori del contesto delineato dal Piano
territoriale di  coordinamento  paesistico,  collide  con  il  valore
primario del paesaggio e  dell'ambiente  e  frustra  le  esigenze  di
tutela organica e unitaria,  immanenti  al  sistema,  pur  variamente
declinato, della pianificazione. 
    5.5.4.-    Si    deve    dunque    dichiarare    l'illegittimita'
costituzionale, per violazione dell'art. 9 Cost., dell'art. 3,  comma
1, della legge reg. Liguria n. 30 del 2019, nel testo originario e in
quello modificato dall'art. 24, comma 2, della legge reg. Liguria  n.
1 del 2020, nella parte in cui dispone che il  riutilizzo  di  locali
accessori e di pertinenze di un fabbricato, anche collocati in  piani
seminterrati, nonche' di immobili non utilizzati, anche  diruti,  sia
ammesso in deroga alla disciplina del vigente Piano  territoriale  di
coordinamento paesistico regionale, approvato ai  sensi  della  legge
reg. Liguria n. 39 del 1984. 
    6.- Con il quarto motivo del ricorso iscritto al reg. ric. n.  35
del 2020, e' impugnato, in riferimento agli artt.  32  e  117,  terzo
comma, Cost., l'art. 3, commi 2, secondo periodo, e  3,  della  legge
reg. Liguria n. 30 del 2019. 
    6.1.- L'art. 3, comma 2, secondo periodo, della  legge  regionale
citata stabilisce che l'altezza interna  dei  locali  destinati  alla
permanenza di persone non possa essere inferiore a 2,40 metri. 
    Quanto all'art. 3, comma 3, prevede che il rispetto dei parametri
di aeroilluminazione e dell'altezza  minima  interna  sia  assicurato
anche  mediante  opere  edilizie  che  interessano  i  prospetti  del
fabbricato  oppure  mediante  l'installazione  di   impianti   e   di
attrezzature tecnologiche. 
    6.2.- Il ricorrente lamenta che tali disposizioni contrastino con
quanto prescrive il decreto ministeriale 5 luglio 1975 (Modificazioni
alle istruzioni ministeriali 20 giugno 1896 relativamente all'altezza
minima  ed  ai  requisiti  igienico-sanitari  principali  dei  locali
d'abitazione) con riguardo alle altezze minime interne (art. 1) e  ai
requisiti di aeroilluminazione (art. 5). 
    Il citato decreto ministeriale  fissa  in  2,70  metri  l'altezza
minima interna utile dei locali destinati ad abitazione e consente di
ridurre tale altezza a 2,40 metri «per i corridoi,  i  disimpegni  in
genere, i  bagni,  i  gabinetti  ed  i  ripostigli».  Operano  regole
peculiari per i Comuni montani posti al di sopra dei mille metri  sul
livello  del  mare  e  per  gli  edifici  situati  nell'ambito  delle
comunita' montane, sottoposti a interventi di recupero edilizio e  di
miglioramento delle caratteristiche igienico-sanitarie. 
    La disciplina delle altezze minime dei locali  di  abitazione  e'
stata  integrata  dal  decreto  interministeriale  26   giugno   2015
(Applicazione  delle  metodologie  di   calcolo   delle   prestazioni
energetiche e definizione delle prescrizioni e dei  requisiti  minimi
degli edifici),  che,  all'Allegato  1,  punto  2.3.  «Prescrizioni»,
numero  4,  consente  di  derogarle  fino  a  un  massimo  di   dieci
centimetri, nel caso di installazione di impianti termici  dotati  di
pannelli radianti a pavimento o a soffitto e nel caso  di  intervento
di isolamento dall'interno. 
    Quanto ai requisiti di aeroilluminazione, e' l'art. 5 del d.m.  5
luglio 1975 a imporre per tutti i locali degli alloggi,  a  eccezione
di  quelli  destinati  a  servizi  igienici,  disimpegni,   corridoi,
vani-scala  e  ripostigli,  una  «illuminazione   naturale   diretta,
adeguata alla destinazione d'uso»,  e  a  regolare  l'ampiezza  della
finestra e la superficie finestrata apribile. 
    Il ricorrente sostiene che le disposizioni riguardanti  l'altezza
minima e i requisiti di aeroilluminazione, pur contenute in una fonte
regolamentare, rappresentino diretta attuazione degli artt. 218,  344
e 345 del regio decreto 27 luglio 1934,  n.  1265  (Approvazione  del
testo unico delle leggi sanitarie)  e  si  configurino  come  «limiti
invalicabili nel rilascio dell'abitabilita'»,  proprio  perche'  sono
improntate a finalita' di «tutela  della  salute  e  sicurezza  degli
ambienti». 
    Poste  tali  premesse,  il  ricorrente  ravvisa   la   violazione
dell'art.  32  Cost.,  «per  contrasto  con  i  parametri  interposti
rappresentati dalle citate disposizioni del D.M.  5  luglio  1975»  e
dell'art.  117,  terzo  comma,  Cost.,   sul   presupposto   che   le
disposizioni  impugnate  travalichino   «il   limite   dei   principi
fondamentali dettati dallo Stato a tutela della salute e del  governo
del territorio». 
    6.3.- Occorre esaminare le eccezioni preliminari formulate  dalla
Regione Liguria. 
    6.3.1.- Ad avviso della parte resistente, le questioni  sarebbero
inammissibili. 
    La normativa statale invocata dalla parte ricorrente non  sarebbe
idonea, in quanto contenuta in una fonte regolamentare, «a supportare
la dedotta violazione dell'assetto delle competenze legislative  come
delineato dalla Costituzione». 
    Ne'  si  potrebbe  sostenere  che  le  previsioni   regolamentari
rappresentino diretta attuazione degli artt. 218, 344 e 345 del  r.d.
n. 1265 del 1934. 
    Quanto agli artt. 218 e 344 del r.d. n. 1265 del  1934,  essi  si
limiterebbero,  rispettivamente,  a  individuare   le   materie   dei
regolamenti di igiene e sanita' e a  disciplinare  la  procedura  per
l'approvazione di tali regolamenti. 
    L'art. 345  del  r.d.  n.  1265  del  1934,  d'altro  canto,  pur
imponendo la conformita' dei  regolamenti  citati  alle  disposizioni
ministeriali, attribuirebbe a tali disposizioni  il  rango  di  «mere
istruzioni  di  massima»,  inidonee,  in  quanto  tali,  a  enunciare
«principi  fondamentali,  inderogabili   da   parte   delle   Regioni
nell'esercizio della potesta' legislativa concorrente». 
    Peraltro, le disposizioni regolamentari potrebbero  vincolare  le
Regioni, soltanto quando siano dettate dallo Stato nelle  materie  in
cui lo stesso e' titolare di competenza legislativa esclusiva. 
    Il vaglio di conformita' all'art. 32  Cost.  potrebbe  riguardare
soltanto la normativa in concreto adottata dal legislatore regionale. 
    Inammissibile sarebbe l'impugnazione dell'art. 3, comma 3,  della
legge reg. n. 30  del  2019,  in  quanto  carente  di  ogni  supporto
argomentativo in merito ai  profili  di  contrasto  con  i  parametri
costituzionali invocati. 
    6.3.2.- Le eccezioni preliminari non meritano di essere accolte. 
    6.3.2.1.- Questa Corte ha affermato di  recente,  nel  respingere
analoga eccezione di inammissibilita' (sentenza n. 54 del 2021, punto
2.1. del Considerato in diritto), che gli atti statali di  normazione
secondaria possono vincolare  la  normativa  regionale  di  dettaglio
nelle  materie  di   competenza   legislativa   concorrente,   quando
definiscano e  specifichino,  in  un  ambito  contraddistinto  da  un
rilevante coefficiente tecnico, il  precetto  posto  dalla  normativa
primaria e formino cosi' una unita' inscindibile con le previsioni di
tale normativa. 
    Le prescrizioni del d.m. 5 luglio 1975, come integrate  dal  d.m.
26  giugno  2015  con  specifico  riguardo  alle   altezze   interne,
presentano una evidente natura tecnica. Adottate  previo  parere  del
Consiglio superiore di sanita', esse fanno  corpo  unico  con  quanto
sancisce l'art. 218 del  r.d.  n.  1265  del  1934,  che  demanda  al
Ministro competente il potere di emanare «le istruzioni di  massima»,
affinche' i «regolamenti locali di igiene e sanita'» assicurino,  tra
l'altro, «che nelle abitazioni: a) non vi sia difetto di  aria  e  di
luce». 
    Legate da un nesso evidente alla normativa primaria e chiamate  a
specificarne sul versante tecnico i precetti generali, le  previsioni
contenute nella fonte regolamentare sono idonee a esprimere  principi
fondamentali, vincolanti per la normativa di dettaglio adottata dalla
Regione Liguria. 
    6.3.2.2.-  Sorretta   da   adeguata   motivazione,   e   pertanto
ammissibile, e' anche la censura di violazione dell'art. 32 Cost.  Il
ricorrente  argomenta  che  la   normativa   regolamentare   mira   a
salvaguardare la salubrita' e l'abitabilita'  degli  ambienti  ed  e'
dunque inscindibilmente connessa con l'attuazione dell'art. 32 Cost. 
    6.3.2.3.- Ammissibile e' anche il motivo di  ricorso  riguardante
l'art. 3,  comma  3,  della  legge  reg.  Liguria  n.  30  del  2019,
previsione che si  correla  all'impugnato  art.  3,  comma  2,  della
medesima legge regionale e disciplina le modalita' con  le  quali  si
puo' assicurare il rispetto dei parametri di aeroilluminazione  e  di
altezza minima interna. 
    Dal  punto  di  vista   del   ricorrente,   tali   parametri   si
discosterebbero  dalle  prescrizioni  della  normativa   statale   e,
pertanto, anche la normativa sulle modalita' utili ad assicurarne  il
rispetto  sarebbe  affetta  dai  medesimi  vizi   di   illegittimita'
costituzionale. 
    6.4.- La questione, promossa con riguardo all'art.  3,  comma  2,
secondo periodo, della legge reg. Liguria n. 30 del 2019, e' fondata. 
    6.4.1.- Le previsioni in tema di altezze interne  degli  edifici,
dettate dal d.m. 5 luglio 1975, si  prefiggono  di  salvaguardare  le
condizioni  di  abitabilita'  e  di  agibilita'   degli   edifici   e
rappresentano diretta attuazione  delle  prescrizioni  stabilite  dal
r.d. n. 1265 del 1934, fonte normativa di rango  primario  (Consiglio
di Stato, sezione seconda, sentenza 23 dicembre 2020,  n.  8289).  La
norma secondaria attua e specifica l'imperativo contenuto nella norma
primaria e ne definisce il contenuto minimo inderogabile,  dal  quale
la verifica dell'abitabilita'  non  puo'  prescindere  (Consiglio  di
Stato, sezione sesta, sentenza 26 marzo 2021, n. 2575). 
    L'inderogabilita' dei requisiti di altezza  minima,  ribadita  da
questa Corte  (sentenza  n.  256  del  1996)  nello  scrutinio  della
disciplina del condono (art. 35 della legge 28 febbraio 1985, n.  47,
recante   «Norme   in    materia    di    controllo    dell'attivita'
urbanistico-edilizia, sanzioni,  recupero  e  sanatoria  delle  opere
edilizie»), risponde a esigenze  di  tutela  della  salubrita'  degli
ambienti e della salute delle persone che vi dimorano. 
    Le prescrizioni riguardanti l'altezza interna degli  edifici,  al
pari dei  parametri  di  aeroilluminazione,  perseguono  l'essenziale
finalita' di conformare  l'attivita'  edilizia  e,  in  tale  ambito,
apprestano misure volte anche a garantire il diritto alla salute  nel
contesto dell'abitazione, spazio di importanza vitale  nell'esistenza
di ogni persona. Tali prescrizioni  si  configurano,  pertanto,  come
principi  fondamentali  nella  materia  «governo   del   territorio»,
vincolanti per la legislazione regionale di dettaglio. 
    6.4.2.- Nel fissare requisiti  di  altezza  interna  inferiori  a
quelli prescritti dalla fonte statale, la normativa regionale si pone
in contrasto con il richiamato principio fondamentale. 
    6.4.2.1.- Non serve invocare - come fa la parte resistente  -  la
circostanza che altre leggi regionali  che  hanno  fissato  requisiti
analoghi non siano state impugnate. Tale circostanza e' ininfluente e
non offre  argomenti  decisivi  a  sostegno  dell'infondatezza  delle
questioni promosse. 
    6.4.2.2.- Non inducono  a  diverse  conclusioni  le  affermazioni
della sentenza di questa Corte n. 245 del  2018,  richiamata  a  piu'
riprese dalla Regione Liguria negli scritti difensivi. 
    Tale pronuncia non ha analizzato  il  tema  della  compatibilita'
delle previsioni della legge della Regione Abruzzo 1° agosto 2017, n.
40 (Disposizioni per il recupero del patrimonio  edilizio  esistente.
Destinazioni d'uso e contenimento dell'uso del suolo, modifiche  alla
legge  regionale  n.  96/2000  ed  ulteriori  disposizioni)  con   la
normativa inderogabile posta dal d.m. 5 luglio 1975. 
    La legge abruzzese, finalizzata a promuovere il recupero di  vani
e locali accessori e di vani e locali  seminterrati,  nell'ottica  di
uno sviluppo sostenibile e del contenimento del consumo di suolo,  e'
stata scrutinata da questa Corte in riferimento  a  diversi  profili,
attinenti, in particolare, alla  normativa  di  principio  del  testo
unico  dell'edilizia,   che   assegna   ai   Comuni   la   disciplina
dell'attivita' edilizia (art. 2), attribuisce ai Comuni  la  potesta'
pianificatoria urbanistica (artt. 4  e  7)  e  individua  l'attivita'
edilizia realizzabile in assenza degli  strumenti  urbanistici  (art.
9). 
    6.4.2.3.- Quanto alla sentenza di questa Corte n.  54  del  2021,
menzionata  dalla  difesa  regionale  nel  corso  della   discussione
all'udienza  pubblica,  essa  si  confronta  espressamente   con   le
prescrizioni   del   d.m.   5    luglio    1975,    per    affermarne
l'inapplicabilita' alla speciale normativa in tema di sottotetti. 
    La pronuncia ricordata, tuttavia, non collima con la  fattispecie
oggi sottoposta al vaglio di questa Corte. 
    La  ratio  decidendi  della  sentenza  citata  si   fonda   sulla
«peculiare morfologia»  dei  sottotetti  e  non  puo'  essere  estesa
all'eterogenea   categoria   degli   immobili   disciplinati    dalla
disposizione  impugnata.  Quest'ultima  include  locali  accessori  e
pertinenze e, per tale vasta gamma di  immobili,  che  non  risultano
accomunati da caratteristiche e  morfologie  peculiari,  di  per  se'
incompatibili per la loro conformazione  con  l'osservanza  integrale
dei limiti di altezza interna, non puo' che imporsi la forza  cogente
delle disposizioni invocate come parametro interposto. 
    Dettate a salvaguardia della salubrita' degli  ambienti  e  della
salute di chi li abita  e  calibrate  anche  sulla  specificita'  dei
diversi  locali  abitativi  e  del  contesto  in  cui  sorgono,  tali
disposizioni rispondono a scelte  statali,  che  non  possono  essere
vanificate dalla disciplina regionale di dettaglio. 
    6.4.3.-   Si   deve   dichiarare,   pertanto,    l'illegittimita'
costituzionale dell'art. 3, comma 2,  secondo  periodo,  della  legge
reg. Liguria n. 30 del 2019. 
    Restano assorbite le censure di violazione degli artt. 32 e  117,
terzo comma, Cost., quest'ultimo evocato con riferimento al contrasto
con i principi fondamentali nella materia di legislazione concorrente
«tutela della salute». 
    6.4.4.-  Non  sono,  per  contro,   fondate   le   questioni   di
legittimita' costituzionale dell'art. 3, comma 3,  della  legge  reg.
Liguria n. 30 del 2019. 
    6.4.4.1.- Quanto all'altezza minima interna,  la  previsione  che
impone di assicurarne  il  rispetto  anche  con  opere  edilizie  che
possono  interessare  i   prospetti   del   fabbricato   o   mediante
l'installazione di impianti  e  attrezzature  tecnologiche  deve  ora
essere  letta  alla  luce  dell'appena  pronunciata  declaratoria  di
illegittimita' costituzionale dell'art. 3, comma 2, secondo  periodo,
della legge reg. Liguria n. 30 del 2019. 
    I requisiti di altezza interna  sono  ora  quelli  imposti  dalla
normativa  statale,  illegittimamente   derogati   dalla   disciplina
regionale dichiarata costituzionalmente illegittima. Pertanto, non si
ravvisa il denunciato contrasto e la questione non e' fondata. 
    6.4.4.2.-  Anche  la  questione  concernente   i   parametri   di
aeroilluminazione non e' fondata. 
    Il legislatore regionale non deroga all'art. 5 del d.m. 5  luglio
1975. Tale previsione, richiamata dal ricorrente, impone per tutti  i
locali degli alloggi una  illuminazione  naturale  diretta,  adeguata
alla destinazione d'uso e detta anche  una  disciplina  di  dettaglio
sull'ampiezza delle finestre e sul fattore luce diurna da garantire. 
    Non sussiste, pertanto, il contrasto con la normativa statale  di
principio che il ricorrente ha censurato. 
    Da tali  rilievi  discende  la  non  fondatezza  delle  questioni
promosse. 
    7.- Con il quinto motivo di ricorso, il  ricorrente  impugna,  in
riferimento all'art. 3 Cost., l'art. 4, comma  3,  della  legge  reg.
Liguria n. 30 del 2019, poi censurato, con il ricorso di cui al  reg.
ric. n. 41 del 2020,  nella  formulazione  modificata  dall'art.  24,
comma 3, della legge reg. Liguria n. 1 del 2020. 
    7.1.-  Nell'originaria  formulazione  la  disposizione  impugnata
stabilisce  che  la  legge  regionale  si  applichi  «agli   immobili
esistenti o per la cui  costruzione  sia  gia'  stato  conseguito  il
titolo abilitativo edilizio o l'approvazione dell'eventuale programma
integrato di intervento richiesto alla  data  di  approvazione  della
delibera del Consiglio comunale di cui al comma 1». 
    Si  tratta  della  delibera  con  cui  il   Consiglio   comunale,
«limitatamente  al  riutilizzo  di  locali   contigui   alla   strada
pubblica», puo' individuare «parti del proprio territorio nelle quali
non trovano applicazione  le  disposizioni»  della  legge  in  esame,
riguardanti  il  «riutilizzo  per  l'uso  residenziale   dei   locali
accessori e di pertinenze di un fabbricato, anche collocati in  piani
seminterrati», e puo'  altresi'  determinare  «specifici  ambiti  del
territorio comunale nei quali, in presenza di  fenomeni  di  risalita
della falda, e' esclusa la  possibilita'  di  riutilizzo  dei  locali
accessori e delle pertinenze di  un  fabbricato  collocate  in  piani
seminterrati». 
    Le previsioni  della  legge  reg.  Liguria  n.  30  del  2019  si
applicano agli immobili realizzati  successivamente,  decorsi  cinque
anni dall'ultimazione dei lavori. 
    7.2.- Il  motivo  di  ricorso  verte  sull'asserita  applicazione
retroattiva delle deroghe previste dalla legge regionale «ad immobili
per  la  cui  costruzione  sia  gia'  stato  conseguito   il   titolo
abilitativo  edilizio  o  l'approvazione   dell'eventuale   programma
integrato di intervento». 
    Ad avviso del ricorrente, il «carattere innovativo, con efficacia
retroattiva» della previsione censurata «potrebbe  rendere  legittime
condotte  che,  non  considerate   tali   al   momento   della   loro
realizzazione (perche' non conformi  agli  strumenti  urbanistici  di
riferimento), lo divengono per effetto dell'intervento successivo del
legislatore». Si determinerebbe cosi' la «regolarizzazione ex post di
opere che, al momento della loro realizzazione,  erano  in  contrasto
con gli strumenti urbanistici di riferimento». 
    La previsione retroattiva dell'art. 4, comma 3, della legge  reg.
Liguria  n.  30  del  2019   sarebbe   sprovvista   di   «un'adeguata
giustificazione  sul  piano  della  ragionevolezza»  e  lederebbe  in
maniera arbitraria «l'affidamento che la collettivita'  ripone  nella
sicurezza  giuridica»,  meritevole  di  particolare  tutela  «[n]ella
specifica materia urbanistica». 
    Alla luce di tali rilievi, il ricorrente prospetta  il  contrasto
con il principio di ragionevolezza enunciato dall'art. 3 Cost. 
    7.3.- Il medesimo contrasto  e'  denunciato  dal  Presidente  del
Consiglio dei ministri con il ricorso di cui al reg. ric. n.  41  del
2020, con riguardo all'art. 4, comma 3, della legge reg.  Liguria  n.
30 del 2019, nella formulazione modificata  dall'art.  24,  comma  3,
della legge reg. Liguria n. 1 del 2020. 
    La disposizione impugnata, nella versione oggi  vigente,  prevede
l'applicazione della legge reg. Liguria n. 30 del  2019  «ai  locali,
alle pertinenze  e  agli  immobili,  come  definiti  all'articolo  1,
esistenti alla data  della  sua  entrata  in  vigore  o  per  la  cui
costruzione sia stato conseguito il titolo abilitativo edilizio prima
della data di approvazione della deliberazione del Consiglio comunale
di cui al comma 1». 
    Le modifiche apportate dalla legge reg. Liguria  n.  1  del  2020
hanno soppresso il richiamo all'approvazione del programma  integrato
di intervento. 
    7.4.- Il ricorrente evidenzia che l'eliminazione del richiamo  al
programma integrato di intervento non sana i vizi  di  illegittimita'
costituzionale dedotti con il ricorso di cui al reg. ric. n.  35  del
2020. 
    Difatti, la portata  derogatoria  della  disciplina  sarebbe  pur
sempre «estesa con valenza retroattiva agli immobili gia'  abilitati»
e   sacrificherebbe   in   modo   arbitrario    l'affidamento    «dei
controinteressati che si sono  determinati  sulla  base  dell'assetto
normativo previgente». 
    7.5.-  Le  questioni,  promosse  con   riguardo   alla   versione
originaria e a quella oggi vigente dell'art. 4, comma 3, della  legge
reg. Liguria  n.  30  del  2019,  possono  essere  esaminate  in  una
prospettiva  unitaria,  poiche'  identiche  sono  le   argomentazioni
addotte dal ricorrente e dalla Regione Liguria e  identiche  sono  le
censure. 
    7.6.- Occorre, in primo luogo, esaminare le eccezioni preliminari
formulate dalla Regione Liguria. 
    7.6.1.- Con riguardo  all'originaria  formulazione  dell'art.  4,
comma 3, della legge reg. Liguria n. 30 del 2019,  impugnata  con  il
ricorso di cui al reg. ric. n. 35 del 2020, la  parte  resistente  ha
eccepito l'improcedibilita' delle censure.  La  disposizione  sarebbe
stata tempestivamente modificata dall'art. 24, comma 3,  della  legge
reg. Liguria n. 1 del 2020 e, pertanto, si  potrebbe  escludere,  con
ogni verosimiglianza, che nel frattempo essa abbia ricevuto  concreta
applicazione. 
    Da tali considerazioni si potrebbe  evincere,  nella  prospettiva
della parte resistente, il sopravvenuto venir meno dell'interesse  al
ricorso. 
    7.6.2.- L'eccezione non puo' essere accolta. 
    L'art. 4, comma 3, della legge  reg.  Liguria  n.  30  del  2019,
nell'originaria  versione,  che  includeva  anche  il   richiamo   al
programma integrato di intervento, e' entrato in vigore il 15 gennaio
2020. La legge regionale, difatti, e' stata pubblicata il 31 dicembre
2019 sul Bollettino Ufficiale della Regione, n. 19, parte  prima,  e,
in difetto di disposizioni di segno diverso, e' entrata in vigore  il
quindicesimo giorno  successivo  alla  pubblicazione,  in  base  alle
previsioni dell'art. 49, comma 2, della  legge  statutaria  3  maggio
2005, n. 1, recante «Statuto della Regione Liguria». 
    Quanto alla legge reg. Liguria n. 1 del 2020, che  ha  modificato
la disposizione previgente e ha abrogato la previsione riguardante il
programma integrato di intervento, e' stata pubblicata il 12 febbraio
2020 sul Bollettino Ufficiale della Regione, n. 1, parte prima, ed e'
dunque entrata in vigore il 27  febbraio  2020,  quindicesimo  giorno
successivo alla pubblicazione. 
    La vigenza della norma per un apprezzabile arco di tempo - dal 15
gennaio 2020 al 27 febbraio  2020  -  non  avvalora  la  sua  mancata
applicazione. Peraltro, nel regolare l'ambito di  applicazione  della
nuova normativa, le previsioni impugnate producono effetti  immediati
e la parte resistente  non  ha  allegato  elementi  circostanziati  a
sostegno della mancata applicazione nel periodo, non trascurabile, di
vigenza. 
    Ne' tale sopravvenuta carenza di interesse si  puo'  desumere  in
maniera univoca dal contegno della parte ricorrente, che ha  mostrato
di  coltivare  l'impugnazione  anche  con   riguardo   all'originaria
formulazione dell'art. 4, comma 3, della legge reg. Liguria n. 30 del
2019. 
    7.6.3.- Con riguardo alla vigente formulazione della disposizione
impugnata, la parte  resistente  ha  eccepito  l'inammissibilita'  in
ragione della genericita' delle argomentazioni svolte nel ricorso. 
    Il Presidente del Consiglio  dei  ministri,  in  particolare,  si
sarebbe limitato a escludere la natura satisfattiva delle innovazioni
e  a  configurare  una  lesione  dell'affidamento,   senza   offrire,
tuttavia, argomenti persuasivi. 
    7.6.4.- Neppure tale eccezione puo' essere accolta. 
    Il ricorrente ha osservato che le sopravvenienze non hanno inciso
sul nucleo precettivo della disposizione impugnata e non hanno  posto
rimedio al vulnus denunciato, che  non  risiede  nell'inclusione  del
programma   integrato   di    intervento,    ma    nella    paventata
regolarizzazione di abusi preesistenti. 
    Quanto alla lesione  dell'affidamento,  la  parte  ricorrente  ha
mostrato di evincerla dalla natura retroattiva della  disposizione  e
ha svolto - anche a tale riguardo - un'argomentazione  adeguata,  che
consente di cogliere il senso delle censure. 
    I  rilievi  del  ricorso  non  presentano,  pertanto,  le  lacune
segnalate  dalla  difesa  regionale  a  sostegno  dell'eccezione   di
inammissibilita'. 
    7.7.-  Le  questioni  promosse  con  riguardo  all'originaria   e
all'odierna  formulazione  della  disposizione  impugnata  non   sono
fondate. 
    7.7.1.- Le censure di irragionevolezza, per arbitraria lesione di
un affidamento meritevole di tutela, si incentrano sulla premessa che
la  disposizione  impugnata,  con   la   sua   valenza   retroattiva,
regolarizzi gli abusi preesistenti. 
    7.7.2.- Tale regolarizzazione deve essere esclusa, alla luce  del
dato letterale della normativa impugnata e  delle  finalita'  che  la
ispirano. 
    7.7.2.1.- Nel promuovere il riutilizzo -  per  vari  scopi  -  di
locali accessori e di pertinenze di un fabbricato, anche collocati in
piani seminterrati, e di immobili, anche diruti,  non  utilizzati  da
almeno cinque anni, la legge reg. Liguria n. 30 del  2019  pone  come
requisito imprescindibile la legittima realizzazione  o  la  regolare
legittimazione alla data di entrata in vigore della  legge  (art.  1,
comma 3, della legge regionale citata, per i locali  accessori  e  le
pertinenze, e comma 4, per gli immobili non utilizzati). 
    Il legislatore regionale estende, inoltre, le misure di incentivo
anche agli immobili per la cui costruzione sia stato gia'  conseguito
il titolo abilitativo edilizio - o, nella  versione  previgente,  sia
stato approvato il programma integrato di intervento  -  prima  della
delibera del Consiglio comunale che individua le  aree  escluse,  per
esigenze di particolare tutela, dall'applicazione della legge. 
    Gli interventi disciplinati dal legislatore regionale  riguardano
dunque immobili legittimamente assentiti o comunque  immobili  per  i
quali si e' positivamente concluso il vaglio dell'amministrazione che
conduce al rilascio del titolo abilitativo  o  alla  conclusione  del
programma integrato di intervento. 
    Alla luce del suo inequivocabile tenore letterale la disposizione
impugnata non si risolve, quindi, nella regolarizzazione degli  abusi
gia' perpetrati. 
    7.7.2.2.- Tale asserita regolarizzazione  e'  contraddetta  anche
dalla considerazione delle finalita' perseguite  dalla  normativa  in
esame. 
    Essa si prefigge, all'art. 1, comma 1, della legge  reg.  Liguria
n. 30 del 2019, di promuovere  gli  interventi  di  riutilizzo,  «con
l'obiettivo di incentivare il riuso del patrimonio edilizio esistente
e ridurre il consumo di suolo» e, secondo i principi  generali  (art.
11 delle disposizioni preliminari  al  codice  civile),  dispone  per
l'avvenire e si applica dunque alle opere ancora da realizzare. 
    Esula dalla finalita'  di  una  disciplina  cosi'  congegnata  la
regolarizzazione di preesistenti condotte abusive, che non potrebbero
essere  ricondotte  -  da  un  punto  di  vista  sia  semantico   sia
finalistico -  agli  interventi  di  riutilizzo  che  il  legislatore
regionale intende favorire con misure mirate (negli  stessi  termini,
per una fattispecie e per censure in gran parte analoghe, sentenza n.
118 del 2021, punto 3.2.1. del Considerato in diritto). 
    7.7.3.-  La  fattispecie  sottoposta  all'odierno  scrutinio   di
costituzionalita' non puo'  essere  assimilata,  pertanto,  a  quella
esaminata nella sentenza n. 73 del 2017, che il ricorrente richiama a
fondamento delle censure. 
    Con  la  pronuncia   indicata,   questa   Corte   ha   dichiarato
l'illegittimita' costituzionale di alcune  disposizioni  della  legge
della Regione Basilicata 4 marzo 2016, n. 5 (Collegato alla Legge  di
stabilita'    regionale    2016),    che,    dietro    lo     schermo
dell'interpretazione autentica, avevano legittimato  retroattivamente
interventi difformi dagli strumenti urbanistici  vigenti  al  momento
della loro realizzazione, in contrasto con il principio della  doppia
conformita'. 
    Alle stesse conclusioni questa Corte e' giunta nella sentenza  n.
70 del 2020, con riguardo all'art. 2 della legge della Regione Puglia
17 dicembre 2018, n. 59, recante «Modifiche e integrazioni alla legge
regionale 30 luglio 2009, n. 14 (Misure  straordinarie  e  urgenti  a
sostegno  dell'attivita'  edilizia  e  per  il  miglioramento   della
qualita' del patrimonio edilizio residenziale)». 
    Anche in tale ipotesi la  previsione  impugnata,  nel  dichiarato
intento  di  fornire  l'interpretazione  autentica  della  disciplina
previgente, presentava nondimeno  una  portata  innovativa,  tale  da
rendere irragionevolmente legittime, in virtu'  della  sua  efficacia
retroattiva, condotte  che  tali  non  erano  allorche'  erano  state
attuate. Per questa via, il legislatore regionale aveva introdotto in
maniera surrettizia una sanatoria,  in  contrasto  con  il  principio
fondamentale della doppia conformita'. 
    La disposizione impugnata nell'odierno giudizio, per  contro,  si
applica agli interventi di riutilizzo successivi alla sua entrata  in
vigore,  a  condizione   che   riguardino   immobili   legittimamente
realizzati o che sia stata vagliata  la  conformita'  alla  normativa
edilizia, con il rilascio del titolo abilitativo o l'approvazione del
programma integrato di intervento. 
    Essa delimita in senso restrittivo i presupposti degli interventi
di  riutilizzo  che  intende  promuovere,  senza  introdurre   alcuna
sanatoria extra ordinem delle irregolarita' preesistenti. 
    8.- Con ricorso  iscritto  al  reg.  ric.  n.  41  del  2020,  il
Presidente del Consiglio dei ministri censura,  in  riferimento  agli
artt. 9 e 117, secondo comma, lettera s), l'art. 8, comma 1,  lettera
b), della legge reg. Liguria n. 1 del 2020, che ha sostituito  l'art.
12, comma 2, della legge della Regione Liguria 5 aprile 2012,  n.  10
(Disciplina per l'esercizio delle  attivita'  produttive  e  riordino
dello sportello unico). 
    8.1.- In virtu' della disposizione impugnata, gli  interventi  di
ristrutturazione edilizia, di nuova  costruzione  e  di  sostituzione
edilizia, finalizzati all'ampliamento degli «insediamenti  produttivi
esistenti destinati ad attivita' artigianali,  industriali,  agricole
ed agrituristiche, ad alberghi tradizionali,  a  strutture  turistico
ricettive e  ad  attivita'  socio-assistenziali  e  commerciali,  con
esclusione delle grandi strutture di  vendita»,  non  possono  essere
cumulati con «gli ampliamenti consentiti dagli strumenti  urbanistici
comunali entro soglie percentuali predeterminate»  e  possono  essere
realizzati, mediante il procedimento unico disciplinato dall'art.  10
della legge reg. Liguria n.  10  del  2012,  «anche  in  deroga  alla
disciplina dei piani urbanistici e territoriali vigenti e/o  operanti
in salvaguardia». 
    La legge regionale fa salvo  in  ogni  caso  «il  rispetto  della
dotazione  dei  parcheggi  pertinenziali  previsti  dalla  disciplina
urbanistico  comunale,  nonche'   della   dotazione   di   opere   di
urbanizzazione primaria e/o secondaria per il  soddisfacimento  degli
standard urbanistici necessari». 
    8.2.- Il ricorrente assume  che  «la  deroga  generalizzata  agli
strumenti di pianificazione  urbanistica  e  territoriale,  anche  se
operanti in salvaguardia», in mancanza di «prescrizioni che impongano
comunque il rispetto delle norme contenute nella Parte II del  Codice
dei Beni Culturali  e  del  Paesaggio,  o  in  ogni  caso  del  piano
paesaggistico  sovraordinato»,   invada   «la   sfera   di   potesta'
legislativa dello Stato in materia di tutela dei beni culturali e del
paesaggio, come esercitata con gli articoli 20 e  21  del  Codice  di
settore, e  con  le  norme  dello  stesso  Codice  che  impongono  la
pianificazione congiunta (artt. 135, 143 e 145)». 
    In violazione dell'art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., la
disciplina   regionale   in   esame   incentiverebbe   «l'ampliamento
generalizzato dei complessi  immobiliari  in  deroga  agli  strumenti
pianificatori», senza salvaguardare  l'applicazione  della  normativa
statale riguardante i beni sottoposti a tutela. 
    La  disposizione  impugnata  finirebbe  cosi'  per  «svuotare  la
funzione propria del piano paesaggistico», chiamato a  «dettare,  per
ciascuna area tutelata, le prescrizioni del caso,  le  trasformazioni
compatibili e quelle vietate, nonche' le condizioni  delle  eventuali
trasformazioni»,  e   infrangerebbe   l'obbligo   di   pianificazione
congiunta tra Stato e Regioni. 
    Sarebbe violato anche l'art. 9 Cost., «che attribuisce allo Stato
la tutela del paesaggio e del patrimonio storico e artistico». 
    8.3.- La Regione  Liguria  ha  eccepito,  in  linea  preliminare,
l'inammissibilita'  delle  questioni  promosse  dal  Presidente   del
Consiglio dei ministri. 
    8.3.1.-  La  disposizione  impugnata  non  avrebbe  innovato   la
disciplina degli interventi di ampliamento, gia' dettata dall'art. 12
della legge reg. Liguria n. 10 del 2012. 
    La previsione che il ricorrente reputa  lesiva  della  competenza
legislativa esclusiva dello Stato e dell'art. 9 Cost. sarebbe  dunque
«in vigore dal 2012» e non sarebbe stata introdotta dalla legge  reg.
Liguria n. 1 del 2020, che avrebbe soltanto raccordato  la  normativa
previgente  con  il  nuovo   procedimento   unico.   Questi   rilievi
indurrebbero a ritenere la questione inammissibile. 
    8.3.2.- L'eccezione deve essere disattesa. 
    Nell'adeguare la disciplina dell'ampliamento  degli  insediamenti
produttivi al procedimento autorizzatorio unico  regionale  (art.  10
della legge reg. Liguria n. 10  del  2012),  la  legislazione  ligure
conferma la deroga agli strumenti urbanistici, gia' contemplata dalla
normativa previgente. 
    Tale circostanza, tuttavia, non preclude l'esame del  merito,  in
quanto  nei  giudizi  in  via   principale   non   opera   l'istituto
dell'acquiescenza  e  -  nella  prospettiva  del  ricorrente   -   la
disposizione oggi sottoposta al vaglio di  questa  Corte  reitera  la
lesione insita nella disciplina anteriore (fra le molte, sentenze  n.
25 del 2021, punto 17 del Considerato in diritto, e n. 106 del  2020,
punto 2.1. del Considerato in diritto). 
    Sussiste, pertanto, l'interesse a ricorrere contro una disciplina
che riproduce l'originario contenuto lesivo in  un  sistema  peraltro
contraddistinto da un nuovo e peculiare procedimento autorizzatorio. 
    8.4.- Le questioni, promosse nei confronti dell'art. 8, comma  1,
lettera b), della legge reg. Liguria n. 1 del  2020,  possono  essere
scrutinate nel merito. 
    Esse non sono fondate, nei termini di seguito precisati. 
    8.4.1.- Il ricorrente  muove  dall'assunto  che  la  disposizione
impugnata,  nel  derogare  in  via   generale   agli   strumenti   di
pianificazione urbanistica e territoriale, non  imponga  il  rispetto
delle prescrizioni del codice dei beni culturali e  del  paesaggio  e
cosi'  consenta  l'ampliamento   anche   di   complessi   immobiliari
sottoposti a vincolo. Una disciplina cosi' congegnata  svilirebbe  il
ruolo essenziale del Piano paesaggistico, frutto di una  elaborazione
congiunta tra lo Stato e le Regioni. 
    8.4.2.- La disposizione  impugnata  ben  puo'  essere,  tuttavia,
interpretata in termini compatibili col dettato costituzionale. 
    8.4.2.1.- La deroga prevista dal  novellato  art.  12,  comma  2,
della legge  reg.  Liguria  n.  10  del  2012  e'  circoscritta  alla
pianificazione urbanistica e, peraltro, anche in tale ambito, non  ha
un'estensione indeterminata, come si  evince  dalle  indicazioni  del
comma 1, che valgono a  delimitarne  l'ampiezza.  E'  prescritto,  in
termini generali, il  rispetto  della  «destinazione  d'uso  prevista
dalla pianificazione  urbanistica  comunale»  (lettera  b),  e  delle
«distanze  minime  dalle  costruzioni   esistenti   stabilite   dalla
strumentazione urbanistica comunale o dalla vigente  legislazione  in
materia» (lettera d). 
    Alla luce del dato testuale, la deroga censurata non  investe  la
disciplina di tutela prevista nel codice dei  beni  culturali  e  del
paesaggio. 
    Il fatto che tale disciplina, provvista di valenza generale e  di
autonoma forza precettiva,  non  sia  richiamata,  non  comporta  una
deroga implicita, per le ragioni gia' illustrate nei punti 5.4.3.1. e
5.4.3.2. nello scrutinio dell'art.  3,  comma  1,  della  legge  reg.
Liguria n. 30 del 2019. 
    8.4.2.2.- Anche il contesto complessivo, in cui  la  disposizione
impugnata si colloca, avvalora tali conclusioni. 
    In una  prospettiva  di  piu'  efficace  tutela,  il  legislatore
regionale si e' premurato di salvaguardare anche la «conformita'  con
la disciplina del Piano Territoriale  di  Coordinamento  Paesistico»,
deputato a svolgere la funzione di pianificazione del paesaggio nelle
more dell'approvazione del Piano paesaggistico  (art.  12,  comma  1,
lettera e, della legge reg. Liguria n. 10 del 2012). 
    Nella fattispecie ora sottoposta allo scrutinio di  questa  Corte
non si ravvisa quella deroga alle prescrizioni del Piano territoriale
di coordinamento paesistico, che e' a fondamento  della  declaratoria
di illegittimita' costituzionale dell'art. 3, comma  1,  della  legge
reg. Liguria n. 30 del 2019. 
    La legge regionale citata  ha  dettato  ulteriori  previsioni  di
dettaglio,  allo  scopo  di  preservare   i   valori   ambientali   e
paesaggistici. A tali  finalita'  si  ispirano,  in  particolare,  la
salvaguardia  delle  alberature  di  pregio  presenti  nell'area   di
intervento (lettera f), la messa a dimora di alberature di alto fusto
«negli ampliamenti degli  insediamenti  industriali  ed  artigianali,
lungo i confini a contatto  con  insediamenti  a  destinazione  d'uso
diversa da quella produttiva» (lettera g),  l'obbligo  di  assicurare
«un armonico inserimento rispetto alla costruzione esistente» per gli
ampliamenti degli alberghi tradizionali,  delle  strutture  turistico
ricettive  e  delle  strutture   socio-assistenziali   (lettera   h),
l'obbligo  di  rispettare  «le  tipologie  edilizie   degli   edifici
esistenti» con riguardo agli ampliamenti degli edifici  adibiti  alle
attivita' di agriturismo (lettera i). 
    8.4.3.- La disciplina regionale, intesa alla  luce  di  tutte  le
previsioni  in  cui  si  articola,  non  si  risolve  nell'indistinta
approvazione degli interventi di ampliamento di  beni  vincolati,  in
contrasto con i principi enunciati dall'art. 9 Cost., e non entra  in
conflitto con il Piano paesaggistico e con le regole  che  presiedono
alla  sua  elaborazione  congiunta,  nel  quadro   della   competenza
legislativa esclusiva statale sancita dall'art. 117,  secondo  comma,
lettera s), Cost. 
    Nei termini indicati, pertanto, la questione non e' fondata.