ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nei giudizi di legittimita' costituzionale dell'art. 79, comma 2,
del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002,  n.  115,
recante «Testo unico delle disposizioni legislative  e  regolamentari
in materia di spese di giustizia (Testo A)», promossi  dal  Tribunale
amministrativo regionale per il  Piemonte,  sezione  prima,  con  due
ordinanze del 14 giugno 2020, iscritte,  rispettivamente,  ai  numeri
142 e 143 del registro ordinanze 2020  e  pubblicate  nella  Gazzetta
Ufficiale della Repubblica n. 42,  prima  serie  speciale,  dell'anno
2020. 
    Visti gli atti di intervento del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udita nella camera di consiglio del  9  giugno  2021  la  Giudice
relatrice Emanuela Navarretta; 
    deliberato nella camera di consiglio del 10 giugno 2021. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con  due  ordinanze  del  14  giugno  2020,  identiche  nella
motivazione ed iscritte, rispettivamente, ai numeri 142  e  143  reg.
ord. del 2020, il Tribunale amministrativo regionale per il Piemonte,
sezione prima, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24,  113  e
117, primo comma, della Costituzione - quest'ultimo in relazione  sia
all'art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione  europea
(CDFUE),  proclamata  a  Nizza  il  7  dicembre  2000  e  adattata  a
Strasburgo il 12 dicembre 2007, sia all'art. 3, comma 3, del  decreto
del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, concernente
«Disposizioni legislative in materia di documentazione amministrativa
(Testo A)» - questioni di legittimita' costituzionale  dell'art.  79,
comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio  2002,
n.  115,  recante  «Testo  unico  delle  disposizioni  legislative  e
regolamentari in materia di spese  di  giustizia  (Testo  A)»,  nella
parte in cui non prevede che,  nei  casi  di  impossibile  produzione
dell'attestazione  consolare,  i  cittadini  di  Stati  non  aderenti
all'Unione   europea   possano   produrre   «forme   sostitutive   di
certificazione, in analogia agli istituti  previsti  dall'ordinamento
nazionale»,  qualora  dimostrino  «di  aver  compiuto  tutto   quanto
esigibile secondo l'ordinaria  diligenza  per  ottenere  la  prevista
attestazione consolare». 
    2.- In punto di fatto, il giudice rimettente riferisce di doversi
pronunciare, in entrambi i  giudizi  a  quibus,  sulla  richiesta  di
ammissione al  patrocinio  a  spese  dello  Stato  di  due  cittadini
indiani, G. S. e B. S. 
    Nelle due ordinanze, il TAR Piemonte espone  che  le  istanze  di
ammissione  a  tale  beneficio  erano  state  avanzate  dinanzi  alla
Commissione  competente  e  che,  a  seguito   della   richiesta   di
integrazione documentale  ai  sensi  della  norma  censurata,  i  due
ricorrenti  avevano  prodotto  nei  rispettivi  giudizi:  copie   del
messaggio  di  posta  elettronica   certificata   e   della   lettera
raccomandata,  inviati  all'Ambasciata  e  al  Consolato  indiano  in
Italia,  con  i  quali   avevano   richiesto   l'attestazione   della
veridicita' di  quanto  dichiarato  in  ordine  ai  redditi  prodotti
all'estero; nonche' una  autodichiarazione,  con  la  quale  ciascuno
affermava di non disporre di tali redditi e dava  atto  di  non  aver
avuto riscontro da parte dell'autorita' consolare. 
    In  ambedue  i  provvedimenti  introduttivi   del   giudizio   di
legittimita' costituzionale, il Collegio rimettente riferisce che  il
giudice delegato per i  rispettivi  procedimenti,  visto  il  verbale
della Commissione per l'ammissione al patrocinio a spese dello Stato,
rigettava le istanze,  dal  momento  che  i  ricorrenti  non  avevano
prodotto la certificazione dell'autorita' consolare  competente  che,
ai sensi dell'art. 79, comma 2,  t.u.  spese  di  giustizia,  avrebbe
dovuto attestare la veridicita' di quanto indicato  relativamente  ai
redditi prodotti all'estero. 
    Il  rimettente,  infine,  riferisce  che  i  ricorrenti   avevano
proposto  reclamo  per  la  revoca  del  decreto  di  esclusione  dal
patrocinio a spese dello Stato. 
    3.-  In  punto  di  rilevanza,  il  rimettente  espone  che  «una
pedissequa  applicazione  della  littera   legis   comporterebbe   la
reiezione del  reclamo  con  conferma  della  mancata  ammissione  al
patrocinio  a  spese  dello  Stato»,  sicche'  la   norma   censurata
condizionerebbe la decisione sul ricorso presentato dagli istanti. 
    3.1.- Il giudice a quibus non ritiene, d'altro  canto,  possibile
un'interpretazione della disposizione  costituzionalmente  orientata,
in quanto non reputa praticabile l'estensione analogica dell'art. 94,
comma 2, t.u. spese di giustizia, difettando sia la lacuna  normativa
sia l'eadem ratio fra le due norme. In particolare, questa Corte, con
la sentenza n. 237  del  2015,  avrebbe  rimarcato  l'intenzione  del
legislatore di differenziare i regimi  di  accesso  al  patrocinio  a
spese dello Stato, in ragione della diversita' di interessi coinvolti
nel processo penale rispetto agli altri giudizi. 
    4.- Tanto premesso, e passando ad argomentare sulla non manifesta
infondatezza, il Collegio rimettente sostiene che la norma  censurata
comporterebbe un irragionevole vulnus  al  principio  di  eguaglianza
nell'accesso alla tutela giurisdizionale, in  quanto  condizionerebbe
il beneficio del patrocinio a spese dello Stato, per i  cittadini  di
Paesi non aderenti all'Unione  europea,  al  rispetto  di  incombenze
documentali, non sostituibili, neanche in  caso  di  «inerzia  di  un
soggetto  pubblico  terzo»,  «con  gli  istituti  di  semplificazione
amministrativa e decertificazione documentale, previsti, invece,  per
i cittadini italiani e dell'Unione europea». 
    4.1.- In particolare, il giudice a quibus ritiene che l'art.  79,
comma 2, t.u. spese di giustizia priverebbe di effettivita' l'art. 24
Cost., che, al terzo comma, richiede, viceversa, di assicurare ai non
abbienti, con appostiti istituti, i mezzi  per  agire  e  difendersi,
onde   salvaguardare   la   pienezza   del   diritto   alla    tutela
giurisdizionale consacrato nel suo primo comma. 
    4.2.- L'«effettivita' dell'accesso alla tutela giurisdizionale» -
secondo il rimettente -  «sarebbe  [in  particolare]  svuotata  della
propria portata sostanziale [in quanto si farebbe gravare il rischio]
dell'inerzia degli apparati amministrativi degli uffici consolari dei
Paesi  non  appartenenti  all'Unione  europea  [su]   stranieri   non
abbienti». La disposizione violerebbe, dunque, l'art. 3  Cost.  sotto
il profilo della ragionevolezza, in  quanto,  in  contrasto  «con  un
naturale e immanente principio di auto-responsabilita'», non  prevede
«un meccanismo alternativo che consenta al richiedente di prescindere
dalla mancata collaborazione delle proprie Autorita' consolari». Tale
rilievo  e'  aggravato,  secondo   il   giudice   a   quibus,   dalla
considerazione   che   alcuni   ordinamenti    potrebbero    finanche
«disconoscere un obbligo di conclusione del procedimento a istanza di
parte». 
    4.3.- Il vulnus risulterebbe, inoltre, confermato dal riferimento
all'art.  113  Cost.,  secondo  cui  «e'  sempre  ammessa  la  tutela
giurisdizionale dei diritti e degli interessi  legittimi  contro  gli
atti  della  pubblica  amministrazione».  «L'effettivita'  di  questa
tutela» - rileva  il  giudice  a  quibus  in  riferimento  al  citato
parametro  costituzionale  -   «corre   sul   filo   della   concreta
accessibilita' su un [piano] di  eguaglianza  sostanziale  per  tutti
[...] non tollerando discriminazioni - dirette o indirette, de iure o
de facto - fondate sullo status civitatis». 
    4.4.- Parimenti, il diritto a un accesso effettivo alla giustizia
per coloro che  non  dispongano  di  sufficienti  risorse  troverebbe
ulteriore protezione nell'art. 117, primo comma, Cost., relativamente
all'art. 47 CDFUE, secondo cui «[o]gni persona i cui diritti e le cui
liberta' garantiti dal diritto dell'Unione  siano  stati  violati  ha
diritto a un ricorso effettivo dinanzi a  un  giudice,  nel  rispetto
delle condizioni previste nel presente articolo» (paragrafo 1);  «[a]
coloro che  non  dispongono  di  mezzi  sufficienti  e'  concesso  il
patrocinio a spese dello  Stato,  qualora  cio'  sia  necessario  per
assicurare un accesso effettivo alla giustizia» (paragrafo 3). 
    4.5.- Giunto alla conclusione che la norma censurata si ponga  in
contrasto  con  i  citati  parametri  costituzionali,  il  rimettente
ritiene che,  onde  recuperare  «[l]a  tenuta  costituzionale»  della
disposizione, basterebbe che essa «prevedesse, in  via  additiva,  il
soddisfacimento dell'onere documentale», «tramite  forme  sostitutive
di   certificazione,   in    analogia    agli    istituti    previsti
dall'ordinamento nazionale», «nei casi di impossibilita', comprovando
di aver compiuto tutto quanto esigibile secondo l'ordinaria diligenza
per  ottenere  la  prevista   attestazione   consolare,   valutazione
quest'ultima da rimettersi al prudente apprezzamento del giudicante». 
    4.6.- Alla denuncia della violazione dell'art. 3 Cost.  sotto  il
profilo della ragionevolezza, che sfocia nella  citata  richiesta  di
pronuncia additiva, si aggiunge, ancora, la censura, sempre  rispetto
al medesimo parametro costituzionale, di una irragionevole disparita'
di trattamento fra stranieri di diverse nazionalita', a seconda della
reattivita' e dell'efficienza dei rispettivi apparati burocratici. 
    4.7.- Infine, il giudice a quibus rileva un «profilo di tensione»
della norma censurata  in  riferimento  all'art.  117,  primo  comma,
Cost.,  relativamente  a  «tutte   le   convenzioni   internazionali,
stipulate  e  stipulande  dallo  Stato  [i]taliano,   che   prevedano
bilateralmente e multilateralmente l'estensione degli istituti  della
decertificazione amministrativa». L'art. 3, comma 3,  del  d.P.R.  n.
445 del  2000,  prevede,  infatti,  che  i  cittadini  di  Stati  non
appartenenti  all'Unione  europea  autorizzati  a   soggiornare   nel
territorio  dello  Stato   «possono   utilizzare   le   dichiarazioni
sostitutive di cui agli articoli 46 e 47» dello  stesso  d.P.R.,  nei
casi in cui la produzione delle stesse  avvenga  in  applicazione  di
convenzioni internazionali fra l'Italia ed il  Paese  di  provenienza
del dichiarante». 
    5.- E' intervenuto in giudizio il Presidente  del  Consiglio  dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, chiedendo che le questioni vengano dichiarate inammissibili o,
comunque, infondate. 
    5.1.-  Secondo  la  difesa  erariale,  le   questioni   sarebbero
inammissibili, innanzitutto, per difetto di  rilevanza,  dal  momento
che il ricorso avverso il decreto prefettizio, che  aveva  negato  la
conversione del permesso di soggiorno per lavoro stagionale, e' stato
accolto con le sentenze n. 253  e  n.  254  del  2020  dall'autorita'
giurisdizionale  rimettente.  Di  conseguenza,   la   rilevanza   non
sussisterebbe per un duplice motivo: da un lato, se il ricorrente  ha
ottenuto il bene della vita a cui aspirava, cio' significa - a parere
dell'Avvocatura generale - che l'accesso alla tutela e'  stato  pieno
ed effettivo; dall'altro  lato,  «se  il  giudice  amministrativo  ha
deciso il ricorso in relazione al quale era stato chiesto il gratuito
patrocinio, non puo', poi, con successiva ordinanza  [...]  sollevare
questione di legittimita' costituzionale». 
    5.2.- Una  seconda  eccezione  di  inammissibilita'  riguarda  il
carattere manipolativo della sentenza invocata  dal  rimettente,  che
non sarebbe praticabile nel contesto normativo di riferimento. 
    L'istituto del patrocinio  a  spese  dello  Stato  rientra  nella
disciplina processuale, per la quale il  legislatore  gode  di  ampia
discrezionalita', con il solo limite della manifesta irragionevolezza
o   arbitrarieta'    delle    scelte.    Nell'esercizio    di    tale
discrezionalita', il legislatore avrebbe  individuato  alcune  regole
valide per il solo  processo  penale,  tra  cui  quella  che  ammette
l'autodichiarazione,   qualora   sia    impossibile    ottenere    la
certificazione  da  parte  dell'autorita'   consolare.   Nell'ottica,
dunque, della differenziazione tra distinti giudizi,  tale  norma,  a
parere dell'Avvocatura generale, sarebbe espressione  della  volonta'
di escludere la possibilita' di autodichiarazione nei giudizi diversi
da quello penale. 
    Di conseguenza,  nel  descritto  quadro  normativo,  risulterebbe
inammissibile  una  pronuncia,  come  quella  proposta  dal  Collegio
rimettente, connotata da un elevato tasso di manipolativita'. 
    6.- In ogni caso, le  questioni  di  legittimita'  costituzionale
risulterebbero, a parere dell'Avvocatura, non fondate. 
    In relazione ai primi due parametri evocati - gli artt. 24 e  113
Cost. - la difesa erariale afferma che la diversa disciplina prevista
dal legislatore per alcune  fattispecie,  quali  il  processo  penale
(art. 94 t.u. spese di giustizia) o quello avverso  il  provvedimento
di  espulsione  (art.  142  t.u.  spese  di  giustizia),   troverebbe
giustificazione nella loro peculiarita', mentre  la  norma  censurata
non priverebbe di effettivita' l'accesso alla tutela giurisdizionale,
ma realizzerebbe un indispensabile contemperamento  fra  contrapposti
interessi, in un sistema a risorse economiche limitate. 
    In riferimento all'art. 3 Cost., l'Avvocatura generale  considera
che  l'autocertificazione  rinviene  il  proprio   fondamento   nella
disciplina  di  cui  al  d.P.R.  n.  445  del  2000,   ovvero   nella
verificabilita'  d'ufficio   delle   dichiarazioni   sostitutive   di
certificazione. Per il cittadino di uno Stato che non possa  invocare
neppure una convenzione bilaterale con l'Italia non sarebbe possibile
un controllo di questo tipo; di conseguenza, non  sarebbe  consentito
autocertificare il possesso dei requisiti per l'accesso al beneficio. 
    A  parere  dell'Avvocatura  generale,  infine,  non  risulterebbe
sviluppato adeguatamente il richiamo al  parametro  di  cui  all'art.
117, primo comma, Cost., in relazione all'art. 47  CDFUE,  che  trova
applicazione nei soli settori ascrivibili alla competenza del diritto
dell'Unione  europea.  Il  giudice   rimettente   non   avrebbe,   in
particolare, motivato perche' il diritto che il ricorrente  intendeva
tutelare in sede giudiziale ricadrebbe nel raggio di applicazione del
parametro interposto, tanto piu' che la fattispecie - la  conversione
di un permesso di soggiorno per motivi di lavoro  -  non  sembrerebbe
rientrare ne' nell'ambito riconducibile all'art. 15  CDFUE  (Liberta'
professionale e  diritto  di  lavorare),  ne'  in  quello  riferibile
all'art.  19  CDFUE  (Protezione  in  caso  di   allontanamento,   di
espulsione e di estradizione). 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Con  due  ordinanze  del  14  giugno  2020,  identiche  nella
motivazione ed iscritte, rispettivamente, ai numeri 142  e  143  reg.
ord. del 2020, il Tribunale amministrativo regionale per il Piemonte,
sezione prima, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24,  113  e
117, primo comma, della Costituzione - quest'ultimo in relazione  sia
all'art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione  europea
(CDFUE),  proclamata  a  Nizza  il  7  dicembre  2000  e  adattata  a
Strasburgo il 12 dicembre 2007, sia all'art. 3, comma 3, del  decreto
del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, concernente
«Disposizioni legislative in materia di documentazione amministrativa
(Testo A)» - questioni di legittimita' costituzionale  dell'art.  79,
comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio  2002,
n.  115,  recante  «Testo  unico  delle  disposizioni  legislative  e
regolamentari in materia di spese  di  giustizia  (Testo  A)»,  nella
parte in cui non prevede che,  nei  casi  di  impossibile  produzione
dell'attestazione consolare, i cittadini di  Stati  non  appartenenti
all'Unione   europea   possano   produrre   «forme   sostitutive   di
certificazione, in analogia agli istituti  previsti  dall'ordinamento
nazionale»,  qualora  dimostrino  «di  aver  compiuto  tutto   quanto
esigibile secondo l'ordinaria  diligenza  per  ottenere  la  prevista
attestazione consolare». 
    1.1.- L'art. 79, comma 2, t.u.  spese  di  giustizia  stabilisce,
infatti, che «[p]er i redditi prodotti all'estero,  il  cittadino  di
Stati non appartenenti all'Unione europea correda l'istanza  con  una
certificazione dell'autorita' consolare competente,  che  attesta  la
veridicita' di quanto in essa indicato». 
    2.- Il giudice rimettente riferisce di  doversi  pronunciare,  in
entrambi  i  giudizi  a  quibus,  sul  rigetto  della  richiesta   di
ammissione al  patrocinio  a  spese  dello  Stato  di  due  cittadini
indiani, la cui istanza era  stata  respinta  dal  giudice  delegato,
visto il verbale della commissione  competente,  proprio  in  ragione
della  mancata  presentazione  della  certificazione   dell'autorita'
consolare, richiesta dalla norma censurata. 
    In punto di rilevanza, il TAR Piemonte evidenzia,  pertanto,  che
l'applicazione di tale disposizione condiziona l'esito dei giudizi  a
quibus. 
    3.- Secondo il Collegio, se l'esclusione dal patrocinio  a  spese
dello Stato di uno straniero non abbiente, cittadino di un Paese  non
appartenente all'Unione europea, «viene a dipendere  dall'inerzia  di
un soggetto pubblico terzo, non sopperibile [...] con gli istituti di
semplificazione   amministrativa   e   decertificazione   documentale
previsti, invece, per i cittadini italiani e dell'Unione europea», si
verrebbe a creare un irragionevole vulnus al principio di eguaglianza
nell'accesso alla tutela giurisdizionale. 
    In particolare, la norma censurata si porrebbe  irragionevolmente
in   contrasto   con   l'effettivita'   del   diritto   alla   tutela
giurisdizionale, violando gli artt. 3, 24, 113 e  117,  primo  comma,
Cost.,  quest'ultimo  in  relazione  all'art.   47   CDFUE,   poiche'
«svuoterebbe  tale  diritto]  della  [sua]  portata  sostanziale   in
conseguenza dell'inerzia degli apparati amministrativi  degli  uffici
consolari  dei  Paesi  non  appartenenti  all'Unione   europea».   La
disposizione,  pertanto,   contrasterebbe   con   il   principio   di
autoresponsabilita', riconducibile alla  ragionevolezza,  di  cui  al
citato  art.  3  Cost.,  la'  dove  addosserebbe  al  richiedente  le
conseguenze sfavorevoli di un comportamento a lui non riferibile. 
    Infine, il rimettente denuncia una  irragionevole  disparita'  di
trattamento fra cittadini di differenti Paesi non aderenti all'Unione
europea, in ragione della possibile diversa efficienza dei rispettivi
apparati burocratici, nonche' - in relazione all'art. 3, comma 3, del
d.P.R. n. 445 del 2000 - una violazione dell'art. 117,  primo  comma,
Cost.,  relativamente  a  «tutte   le   convenzioni   internazionali,
stipulate  e  stipulande  dallo   Stato   Italiano,   che   prevedano
bilateralmente e multilateralmente l'estensione degli istituti  della
decertificazione amministrativa». 
    4.-  Secondo  il   rimettente   per   recuperare   «[la]   tenuta
costituzionale»  della  disposizione  sarebbe  necessario  che   essa
«prevedesse,  in  via   additiva,   il   soddisfacimento   dell'onere
documentale»,  tramite  «forme  sostitutive  di  certificazione,   in
analogia agli istituti  previsti  dall'ordinamento  nazionale»,  «nei
casi  di  impossibilita'  [ad  ottenere  la   prevista   attestazione
consolare], comprovando  di  aver  compiuto  tutto  quanto  esigibile
secondo l'ordinaria  diligenza  [...],  valutazione  quest'ultima  da
rimettersi al prudente apprezzamento del giudicante». 
    5.-  Le   due   ordinanze   di   rimessione   pongono   questioni
sostanzialmente identiche in relazione alle disposizioni censurate  e
ai parametri evocati: pertanto, i giudizi vanno  riuniti  per  essere
congiuntamente esaminati e decisi con un'unica sentenza. 
    6.- E' intervenuto in giudizio il Presidente  del  Consiglio  dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, chiedendo che le questioni vengano dichiarate inammissibili o,
comunque, infondate. 
    6.1.- Con una prima eccezione, l'Avvocatura generale fa  presente
che i giudizi principali, per i quali gli istanti  avevano  richiesto
l'accesso al patrocinio a spese dello Stato, sono stati decisi con le
sentenze  n.  253  e  n.  254  del  2020,  dalla   stessa   autorita'
giurisdizionale  rimettente.  Di  conseguenza,  secondo   la   difesa
erariale,  la  rilevanza  non  sussisterebbe,  avendo  i   ricorrenti
ottenuto il bene della vita a cui aspiravano, il che dimostrerebbe un
accesso pieno ed effettivo alla tutela giurisdizionale. Inoltre,  «se
il giudice amministrativo ha deciso il ricorso in relazione al  quale
era  stato  chiesto  il  gratuito  patrocinio,  non  puo'  poi,   con
successiva  ordinanza  [...]  sollevare  questione  di   legittimita'
costituzionale», in quanto si sarebbe «spogliato del processo». 
    L'eccezione non e' fondata. 
    La decisione sul patrocinio a spese  dello  Stato  e'  diversa  e
indipendente rispetto a quella relativa al merito della controversia,
il che rende possibile una sua  adozione  «in  ogni  tempo  [...]  e,
dunque, sia prima che la causa pervenga alla  sentenza  sia  dopo  la
pronuncia definitiva» (Corte di  cassazione,  sezioni  unite  civili,
sentenza 20 febbraio 2020, n. 4315, nello stesso senso anche Corte di
cassazione, sezione prima civile,  ordinanza  15  novembre  2018,  n.
29462). 
    D'altro canto, i giudizi sull'ammissione al  patrocinio  a  spese
dello Stato incidono sull'imputazione dei costi relativi al  compenso
dovuto al difensore per l'opera prestata nell'ambito del processo. Il
TAR Piemonte, con le sentenze n. 253 e n. 254 del 2020, con le  quali
ha  deciso  le  questioni  relative  all'annullamento   del   decreto
prefettizio di rigetto della domanda di conversione del  permesso  di
soggiorno,  si  e'  riservato,  non  a  caso,  di  pronunciarsi   sia
sull'ammissione al patrocinio a spese dello Stato sia sulle spese  di
giudizio. Non puo', pertanto, ritenersi che  si  sia  «spogliato  del
processo». 
    Per le ragioni esposte  cade  il  dubbio  sulla  rilevanza  delle
questioni di legittimita' costituzionale relative all'art. 79,  comma
2, t.u. spese di giustizia, norma che trova sicura  applicazione  nei
giudizi a quibus, dal momento che i soggetti istanti  sono  cittadini
di uno Stato non appartenente all'Unione europea. Secondo la costante
giurisprudenza di questa Corte,  ai  fini  dell'ammissibilita'  delle
questioni, e' sufficiente che la norma impugnata sia applicabile  nel
giudizio a quo (sentenze n. 253 del 2019, n. 46 e n. 5 del 2014 e  n.
294 del 2011) e che  la  pronuncia  di  accoglimento  possa  influire
«sull'esercizio della funzione giurisdizionale, quantomeno  sotto  il
profilo del percorso argomentativo  che  sostiene  la  decisione  del
processo  principale  (tra  le  molte,  sentenza  n.  28  del  2010)»
(sentenza n. 20 del 2016; in senso conforme sentenza n. 84 del 2021). 
    6.2.-  L'Avvocatura  generale  ha  sollevato,  poi,  una  seconda
eccezione di inammissibilita', adducendo che  il  rimettente  avrebbe
invocato una sentenza manipolativa non  costituzionalmente  obbligata
in una materia riservata alle scelte discrezionali del legislatore. 
    Anche questa eccezione non e' fondata. 
    Vero e' che questa Corte ha piu' volte  ribadito  che  le  scelte
adottate dal legislatore nel regolare  l'istituto  del  patrocinio  a
spese dello Stato sono connotate da una  rilevante  discrezionalita',
che e' doveroso preservare (sentenza n. 47 del 2020; ordinanze  n.  3
del 2020 e n. 122 del 2016). 
    Tuttavia, questo non sottrae tale normazione  al  giudizio  sulla
legittimita'  costituzionale,   in   presenza   di   una   «manifesta
irragionevolezza o arbitrarieta' delle scelte  adottate  (da  ultimo,
sentenze n. 97 del 2019 e n. 81 del 2017; ordinanza n. 3  del  2020)»
(sentenza n. 47 del 2020), in  quanto  e'  necessario  «evitare  zone
franche immuni dal sindacato di  legittimita'  costituzionale,  tanto
piu' ove siano coinvolti i diritti fondamentali  e  il  principio  di
eguaglianza, che incarna il modo di essere di tali diritti» (sentenza
n. 63 del 2021). 
    Deve poi aggiungersi che la «ammissibilita'  delle  questioni  di
legittimita' costituzionale  risulta  [...]  condizionata  non  tanto
dall'esistenza di un'unica  soluzione  costituzionalmente  obbligata,
quanto dalla  presenza  nell'ordinamento  di  una  o  piu'  soluzioni
costituzionalmente adeguate, che si inseriscano nel tessuto normativo
coerentemente con la logica perseguita dal legislatore (si  veda,  da
ultimo, la sentenza n. 252 del 2020 e in senso conforme  le  sentenze
n. 224 del 2020; n. 99 del 2019; n. 233, n. 222 e n. 41 del 2018;  n.
236 del 2016)» (sentenza n. 63 del 2021). In tale  prospettiva,  onde
non sovrapporre la propria discrezionalita' a quella del  Parlamento,
la valutazione della Corte deve essere condotta attraverso  «"precisi
punti di riferimento e soluzioni gia' esistenti" (ex multis, sentenze
n. 224 del 2020 e n. 233 e n.  222  del  2018;  n.  236  del  2016)».
(sentenza n. 63 del 2021). 
    Nello specifico contesto,  il  giudice  rimettente  sollecita  un
intervento  additivo  di  questa  Corte,  che  in  effetti   rinviene
nell'ordinamento «precisi punti di  riferimento»  sia  nell'art.  94,
comma 2, t.u.  spese  di  giustizia  sia  nell'art.  16  del  decreto
legislativo 28  gennaio  2008,  n.  25  (Attuazione  della  direttiva
2005/85/CE recante norme minime  per  le  procedure  applicate  negli
Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca  dello  status
di rifugiato), che richiama espressamente il citato art. 94. 
    7.- Nel merito, occorre, innanzitutto, verificare se  l'art.  79,
comma 2, t.u. spese di giustizia contrasti con  l'art.  3  Cost.,  in
coordinamento con gli artt. 24 e 113 Cost., nella parte  in  cui  non
prevede che i cittadini di  Stati  non  aderenti  all'Unione  europea
possano   presentare   «forme   sostitutive    di    certificazione»,
«comprovando  di  aver  compiuto  tutto  quanto   esigibile   secondo
l'ordinaria  diligenza  per   ottenere   la   prevista   attestazione
consolare», la cui allegazione risulta, pertanto, impossibile. 
    8.- Le questioni sono fondate. 
    8.1.- La norma censurata si inquadra nell'ambito della disciplina
sul patrocinio a spese dello Stato,  volto  a  dare  attuazione  alla
previsione costituzionale, secondo cui devono essere  assicurati  «ai
non abbienti [...] i mezzi per agire e  difendersi  davanti  ad  ogni
giurisdizione» (art. 24, terzo comma, Cost.). 
    L'istituto serve, dunque, a rimuovere, in armonia con  l'art.  3,
secondo comma, Cost. (sentenza n. 80 del 2020),  «le  difficolta'  di
ordine economico  che  possono  opporsi  al  concreto  esercizio  del
diritto di difesa» (sentenza n. 46 del 1957, di seguito citata  dalla
sentenza n. 149 del 1983; in senso analogo, le  sentenze  n.  35  del
2019, n. 175 del 1996 e n. 127 del 1979), assicurando  l'effettivita'
del diritto ad agire e a difendersi in giudizio, che il secondo comma
del medesimo art.  24  Cost.  espressamente  qualifica  come  diritto
inviolabile (sentenze n. 80 del 2020, n. 178 del  2017,  n.  101  del
2012 e n. 139 del 2010; ordinanza n. 458 del 2002). 
    «L'azione in giudizio per  la  difesa  dei  propri  diritti»,  ha
osservato questa Corte, «e' essa stessa il contenuto di  un  diritto,
protetto dagli articoli 24 e 113 della Costituzione e da  annoverarsi
tra quelli inviolabili, riconducibili all'art. 2  della  Costituzione
[...] e caratterizzanti lo stato democratico di diritto» (sentenza n.
26 del 1999; in senso conforme sentenze n. 238 del 2014, n.  120  del
2014 e ordinanza n. 386 del 2004). Esso e' riconosciuto a tutti,  dal
primo comma dell'art. 24 Cost., e a tutti spetta, com'e' proprio  dei
diritti ascrivibili all'alveo dell'art. 2 Cost., riferito in  maniera
cristallina all'uomo. 
    8.2.-  D'altro  canto,  la  natura  inviolabile  del  diritto  ad
accedere ad una tutela effettiva, ai sensi dell'art. 24, terzo comma,
Cost., non lo sottrae al bilanciamento di interessi che, per  effetto
della scarsita' delle risorse,  si  rende  necessario  rispetto  alla
molteplicita' dei diritti che ambiscono alla medesima tutela. 
    Questa Corte «ha sottolineato che, in tema di patrocinio a  spese
dello Stato, e' cruciale l'individuazione di un punto  di  equilibrio
tra garanzia del diritto di difesa per i non abbienti e necessita' di
contenimento della spesa pubblica in materia di  giustizia  (sentenza
n. 16 del 2018)» (sentenza n. 47 del 2020). 
    In tale «prospettiva si spiega», prosegue la sentenza n.  47  del
2020, «che per tutti i processi diversi  da  quello  penale  (civile,
amministrativo, contabile, tributario e di volontaria  giurisdizione)
per il riconoscimento del beneficio e' richiesto [...] che le ragioni
di chi agisce o resiste "risultino  non  manifestamente  infondate"»,
onde evitare che i non abbienti  siano  indotti  «a  intentare  cause
palesemente  infondate  senza  dover  tener  conto  del   loro   peso
economico». Diversamente, «[a]ppare giustificato [che, nel  caso  del
processo penale, in cui  l'azione  viene  subita  da  chi  aspira  al
patrocinio a spese dello Stato],  venga  assicurata  [...]  una  piu'
intensa protezione, sganciando l'ammissione al beneficio  de  quo  da
qualsiasi filtro di non  manifesta  infondatezza  delle  ragioni  del
soggetto interessato» (ancora sentenza n. 47 del 2020). 
    Appare allora  evidente  la  motivazione  che  puo'  rendere  non
irragionevole il variare di talune regole in  funzione  dei  processi
interessati dalla richiesta di accesso al patrocinio  a  spese  dello
Stato (si vedano, in senso analogo, anche le  ordinanze  n.  270  del
2012,  n.  201  del  2006  e  350  del  2005,  con  riferimento  alla
liquidazione degli onorari  e  dei  compensi  ai  difensori,  di  cui
all'art. 130, t.u. spese di giustizia, e la sentenza n. 237 del 2015,
relativa alla quantificazione dei limiti di reddito, di cui  all'art.
92, t.u. spese di giustizia). Non viene in considerazione un presunto
diverso rango assiologico del diritto  alla  tutela  giurisdizionale,
associato  ai  differenti  processi,   quanto   piuttosto   sono   le
caratteristiche  di   questi   ultimi   a   poter   condizionare   il
bilanciamento di interessi rispetto a specifiche disposizioni. 
    «Va  da  se'»,  ha  rilevato  sempre  questa  Corte,  «che   [la]
diversita' fra "gli interessi civili" e le "situazioni  tutelate  che
sorgono per effetto dell'esercizio della azione penale"  implica  non
gia' la determinazione di una improbabile gerarchia di valori fra gli
uni  e  le  altre,  ma  soltanto  l'affermazione  dell'indubbia  loro
distinzione, tale da escludere una valida comparabilita' fra istituti
che concernano ora gli uni ora le altre (in particolare, le ordinanze
n. 270 del 2012; n. 201 del 2006 e n. 350 del 2005)» (sentenza n. 237
del 2015). 
    8.3.- Tanto premesso, il testo  unico  in  materia  di  spese  di
giustizia introduce, nell'art. 119, con riferimento al  patrocinio  a
spese dello Stato nei processi civile,  amministrativo,  contabile  e
tributario,  una  equiparazione  al  trattamento  previsto   per   il
cittadino italiano di quello relativo  allo  «straniero  regolarmente
soggiornante sul territorio nazionale  al  momento  del  sorgere  del
rapporto o del fatto oggetto del processo da instaurare». 
    Sennonche', a fronte di tale equiparazione, l'art. 79,  comma  2,
t.u. spese di giustizia stabilisce che, per i soli cittadini di Paesi
non aderenti  all'Unione  europea,  «i  redditi  prodotti  all'estero
[debbano essere certificati dalla]  autorita'  consolare  competente,
che attest[i] la veridicita'  di  quanto  in  essa  indicato»,  senza
contemplare alcun rimedio all'eventuale condotta non collaborativa di
tale autorita' e, dunque, all'impossibilita' di produrre la  relativa
certificazione. 
    Per converso, nella  disciplina  riservata  al  processo  penale,
l'art. 94, comma 2, t.u. spese di giustizia prevede che «in  caso  di
impossibilita'  a  produrre  la  documentazione  richiesta  ai  sensi
dell'art. 79,  comma  2,  il  cittadino  di  Stati  non  appartenenti
all'Unione europea, la sostituisce, a pena di  inammissibilita',  con
una dichiarazione sostitutiva di certificazione». 
    8.4.- Orbene, deve rilevarsi, innanzitutto, che l'art. 79,  comma
2, t.u. spese di giustizia  palesa  rilevanti  distonie,  posto  che,
avvalendosi del mero criterio della  cittadinanza,  richiede,  stando
alla  sua  lettera,  la   certificazione   dell'autorita'   consolare
competente per i redditi prodotti all'estero  solo  ai  cittadini  di
Stati non aderenti all'Unione europea e non anche a quelli italiani o
ai cittadini europei, che pure possano aver prodotto redditi in Paesi
terzi  rispetto  all'Unione  europea;  al   contempo,   la   medesima
disposizione sembra pretendere dai cittadini degli Stati non aderenti
all'Unione  europea  la  certificazione  consolare  per  qualsivoglia
reddito prodotto all'estero,  compresi  quelli  realizzati  in  Paesi
dell'Unione. 
    Ma soprattutto, anche a voler prescindere da tali  anomalie,  non
puo' tacersi la manifesta irragionevolezza che deriva  dalla  mancata
previsione, nell'art. 79, comma 2, t.u. spese  di  giustizia,  per  i
processi  civile,  amministrativo,  contabile  e  tributario,  di  un
meccanismo che - come, viceversa, stabilisce per il  processo  penale
l'art. 94, comma 2, t.u. spese di giustizia  -  consenta  di  reagire
alla   mancata   collaborazione   dell'autorita'   consolare,   cosi'
bilanciando la necessita' di richiedere un piu' rigoroso accertamento
dei redditi prodotti in Paesi non aderenti all'Unione europea, per  i
quali e' piu' complesso accertare la veridicita' di quanto dichiarato
dall'istante,  con  l'esigenza  di   non   addebitare   al   medesimo
richiedente anche il rischio  dell'impossibilita'  di  procurarsi  la
specifica certificazione richiesta. 
    8.5.-  La  distinzione  tra  processo  penale  e  altri  processi
(civile, amministrativo, contabile e tributario)  puo'  giustificare,
dunque,  -  come  sopra  illustrato  -  che  vengano   ritenute   non
irragionevoli,  se   correlate   alle   diverse   caratteristiche   e
implicazioni  dei  vari  processi,  talune   differenziazioni   nella
disciplina  del  patrocinio  a  spese  dello  Stato.  Tuttavia,  tale
dicotomia non puo' in alcun modo legittimare, rispetto  ai  parametri
costituzionali invocati, la  mancata  previsione  di  un  correttivo,
nell'art. 79, comma 2, t.u.  spese  di  giustizia,  che  permetta  di
superare l'ostacolo creato dalla condotta omissiva, o in generale non
collaborativa, dell'autorita' consolare. 
    8.5.1.- La disposizione censurata, infatti, in contrasto  con  la
ragionevolezza e con il principio di autoresponsabilita', inficia  la
possibilita' di un accesso  effettivo  alla  tutela  giurisdizionale,
facendo gravare sullo straniero proveniente da un Paese non  aderente
all'Unione europea il rischio dell'impossibilita' di produrre la sola
documentazione ritenuta necessaria, a pena di  inammissibilita',  per
comprovare i redditi prodotti all'estero. 
    Piu'  precisamente,  la  norma  censurata  sottende,  secondo  il
diritto vivente, una  presunzione  che  lo  straniero  abbia  redditi
all'estero (si  vedano  Tribunale  amministrativo  regionale  per  la
Campania, sezione di Napoli, sentenze 3  maggio  2021,  n.  2913,  30
aprile  2021,  n.  2887,  28  aprile   2021,   n.   2777;   Tribunale
amministrativo regionale per il Lazio, sezione di Roma,  sentenza  13
gennaio 2020, n. 298, decreti 22 ottobre 2018, n. 10237 e  19  luglio
2018, n. 8135; Tribunale amministrativo  regionale  per  la  Toscana,
sentenza 11 ottobre 2019,  n.  1350;  Corte  di  cassazione,  sezione
seconda civile, sentenza 30  luglio  2020,  n.  16424;  con  la  sola
eccezione della sentenza della Corte di  cassazione,  sezione  quarta
penale, sentenza 9 febbraio 2018, n. 6529). Tale presunzione  implica
un onere gravoso, specie quando la prova abbia un contenuto negativo,
poiche' tali redditi in effetti non sussistono, il che puo' ritenersi
ipotesi non rara, se e' vero  che  spesso  e'  proprio  lo  stato  di
indigenza ad indurre le persone ad emigrare. Inoltre, sempre la norma
censurata consente di  vincere  la  presunzione  solo  con  le  forme
documentali da essa previste,  vale  a  dire  con  la  certificazione
dell'autorita'  consolare  competente,  prescindendo   dall'eventuale
esistenza di altre prove circa  l'effettiva  consistenza  dei  propri
redditi all'estero. Ma soprattutto, e questo e' il profilo che palesa
nella maniera piu' evidente  il  vulnus  costituzionale,  l'art.  79,
comma 2, t.u. spese di giustizia fa gravare sull'istante  il  rischio
del fatto del terzo (ossia l'autorita' consolare), la  cui  eventuale
inerzia o  inadeguata  collaborazione  rendano  impossibile  produrre
tempestivamente la corretta certificazione richiesta. 
    Questa  Corte,  viceversa,  anche   di   recente   ha   ribadito,
relativamente alla documentazione necessaria ad accedere ai  benefici
dell'edilizia residenziale pubblica, che  non  possono  «gravare  sul
richiedente  le  conseguenze  del   ritardo   o   delle   difficolta'
nell'acquisire la documentazione in parola, cio'  che  la  renderebbe
costituzionalmente   illegittima    in    quanto    irragionevolmente
discriminatoria» (sentenza n. 9 del 2021). 
    Gli stessi principi sono stati, del resto, affermati  in  materia
di  notifiche,  la'  dove   la   Corte   ha   ritenuto   «palesemente
irragionevole,  oltre  che  lesivo  del   diritto   di   difesa   del
notificante, che un effetto di decadenza possa discendere  [...]  dal
ritardo nel compimento di un'attivita'  riferibile  non  al  medesimo
notificante, ma a soggetti diversi [...] e  che,  percio'  resta  del
tutto estranea alla sfera di disponibilita' del primo»  (sentenza  n.
447 del 2002, che estende a tutte le notifiche quanto  gia'  previsto
per le notifiche  all'estero  dalla  sentenza  n.  69  del  1994.  Il
principio generale e' stato poi ripreso dalle sentenze n. 3 del 2010,
n. 318 del 2009, n. 28 del 2004 e dalle ordinanze n. 154 del 2005, n.
118 del 2005 e n. 153, n. 132 e n. 97 del 2004). 
    In definitiva, contrasta con gli artt. 3,  24  e  113  Cost.  una
previsione,  come  quella  della  norma  censurata,  che  fa  gravare
sull'istante  il  rischio  della  impossibilita'  di   produrre   una
specifica prova documentale richiesta per ottenere il  godimento  del
patrocinio a spese dello Stato; essa, infatti, impedisce - a  chi  e'
in una condizione di non abbienza - l'effettivita' dell'accesso  alla
giustizia, con conseguente  sacrificio  del  nucleo  intangibile  del
diritto alla tutela giurisdizionale. 
    8.5.2.- Tanto considerato, risulta meritevole di accoglimento  la
richiesta del rimettente di una  pronuncia  additiva,  che  eviti  il
contrasto con il principio di autoresponsabilita', tramite l'aggiunta
di una previsione che gia' trova riscontro nella  disciplina  dettata
dall'art. 94, comma 2, t.u.  spese  di  giustizia,  per  il  processo
penale,  nonche'  dall'art.  16  del  d.lgs.  n.  25  del  2008,  per
l'impugnazione in sede giurisdizionale delle decisioni  sullo  status
di rifugiato, che al  medesimo  art.  94  si  richiama.  Il  problema
relativo alla  documentazione  dei  redditi  prodotti  in  Paesi  non
aderenti all'Unione europea non  presenta,  infatti,  a  ben  vedere,
alcuna ragionevole correlazione con la natura dei processi, nei quali
si richiede il beneficio del patrocinio a spese dello Stato. 
    In linea, dunque, con le  citate  disposizioni,  la  legittimita'
costituzionale dell'art. 79, comma 2, t.u. spese  di  giustizia  puo'
essere ricostituita, integrando la previsione sull'onere  probatorio,
con  la  possibilita'  per  l'istante  di   produrre,   a   pena   di
inammissibilita', una «dichiarazione sostitutiva  di  certificazione»
relativa  ai  redditi  prodotti  all'estero,  una  volta   dimostrata
l'impossibilita' di presentare la richiesta certificazione. 
    In tal modo, analogamente  a  quanto  previsto  per  il  processo
penale e per l'impugnazione in sede giurisdizionale dello  status  di
rifugiato, la disposizione censurata puo' essere resa  conforme  alla
disciplina    generale    che    concretizza    il    principio    di
autoresponsabilita'. 
    Tale principio, che implica quale corollario quello  secondo  cui
ad impossibilia nemo tenetur, non  solo  esclude  che  si  possa  far
gravare sull'istante il rischio dell'impossibilita' di procurarsi  la
documentazione consolare, ma oltretutto impedisce  di  pretendere  la
probatio  spesso  diabolica  del  fatto  oggettivo   costitutivo   di
un'impossibilita' in termini assoluti.  Questo  sposta  la  categoria
dell'impossibilita' verso una accezione relativa, che  si  desume  in
controluce rispetto al comportamento esigibile, suscettibile cioe' di
essere preteso in base  alla  regola  di  correttezza,  nella  misura
dell'impegno derivante  dal  canone  di  diligenza:  l'impossibilita'
relativa inizia (ed e' implicitamente dimostrata) la' dove finisce il
comportamento esigibile  (ex  fide  bona  e)  secondo  diligenza  (in
termini simili sentenza n. 9 del 2021). 
    Non a caso, anche nell'interpretazione che dell'art. 94, comma 2,
t.u. spese di giustizia offre la Corte di cassazione, il cittadino di
Paesi   non   aderenti   all'Unione   europea   non   deve    provare
un'impossibilita'     in     senso     assoluto     di      avvalersi
dell'autocertificazione,   ma    e'    sufficiente    che    dimostri
un'impossibilita' in senso relativo,  desumibile  in  via  presuntiva
dalla  circostanza  che  «il   richiedente   si   sia   utilmente   e
tempestivamente attivato per  ottenere  le  previste  certificazioni»
(Corte di cassazione, sezione quarta penale, sentenza 26 maggio 2009,
n. 21999). La  prova  dell'impossibilita'  assoluta  viene,  infatti,
ritenuta «di per  se'  incompatibile  con  un  procedimento  teso  ad
assicurare la difesa al non abbiente» (Corte di  cassazione,  sezione
quinta penale, sentenza 22 febbraio 2018, n. 8617). 
    A fronte, dunque, dell'impossibilita' di ottemperare all'onere di
esibire la documentazione  consolare,  deve  riespandersi,  a  favore
dell'istante,  l'opportunita'  di   avvalersi   della   dichiarazione
sostitutiva di certificazione. 
    9.- In conclusione, l'art. 79, comma 2, t.u. spese  di  giustizia
risulta  costituzionalmente  illegittimo  nella  parte  in  cui   non
consente al cittadino di uno Stato non aderente all'Unione europea di
presentare, a pena di inammissibilita', una dichiarazione sostitutiva
di certificazione sui redditi prodotti all'estero, qualora dimostri -
nei termini sopra illustrati, ossia provando di aver  compiuto  tutto
quanto esigibile secondo correttezza e diligenza  -  l'impossibilita'
di produrre la richiesta documentazione. 
    10.-   Restano   assorbite   le   questioni    di    legittimita'
costituzionale poste  in  riferimento  all'art.  3  Cost.,  sotto  il
profilo della disparita' di trattamento tra stranieri  di  Paesi  non
appartenenti all'Unione europea, nonche' in riferimento all'art. 117,
primo  comma,  Cost.,  relativamente  all'art.  47   CDFUE,   nonche'
relativamente  alle   convenzioni   internazionali,   che   prevedano
l'estensione degli istituti della decertificazione amministrativa.