ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale degli artt. 3,  comma
2, lettera b), 9, comma 3, 18, comma 1, 8, commi 1,  2  e  3,  e  13,
comma 2, lettere d), e), g) e i), della legge della Regione Veneto 23
giugno 2020, n. 24 (Normativa regionale in materia di polizia  locale
e politiche di sicurezza), promosso dal Presidente del Consiglio  dei
ministri con ricorso notificato il 24-28 agosto 2020,  depositato  in
cancelleria il 3 settembre 2020,  iscritto  al  n.  76  del  registro
ricorsi 2020 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale  della  Repubblica
n. 43, prima serie speciale, dell'anno 2020. 
    Visto l'atto di costituzione della Regione Veneto; 
    udito nell'udienza pubblica del 6 luglio 2021 il Giudice relatore
Stefano Petitti; 
    uditi l'avvocato dello Stato Wally Ferrante per il Presidente del
Consiglio dei ministri e gli avvocati Andrea Manzi e  Franco  Botteon
per la Regione Veneto, questi ultimi in collegamento  da  remoto,  ai
sensi del punto 1) del decreto del  Presidente  della  Corte  del  18
maggio 2021; 
    deliberato nella camera di consiglio del 6 luglio 2021. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ricorso notificato il 24-28 agosto 2020, depositato il  3
settembre 2020 e iscritto al n. 76 del reg. ric. 2020, il  Presidente
del Consiglio dei ministri, rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura
generale dello Stato, ha promosso  in  via  principale  questioni  di
legittimita' costituzionale degli artt. 3, comma 2,  lettera  b),  9,
comma 3, 18, comma 1, 8, commi 1, 2 e 3, e 13, comma 2,  lettere  d),
e), g), e i), della legge della Regione Veneto 23 giugno 2020, n.  24
(Normativa regionale in materia di  polizia  locale  e  politiche  di
sicurezza), per contrasto con gli artt. 3, 97,  117,  secondo  comma,
lettere h) ed l), e 118, quarto comma, della Costituzione. 
    1.1.- Il ricorrente premette che  la  legge  regionale  impugnata
detta norme in materia di polizia locale e  politiche  di  sicurezza,
definendo i principi generali riguardanti l'esercizio delle  funzioni
di  polizia  locale  e  disciplinando  lo  svolgimento  dei  relativi
servizi,  l'organizzazione  territoriale  nonche'  la  valorizzazione
della formazione degli operatori. 
    Con le disposizioni impugnate, tuttavia, il legislatore regionale
avrebbe ecceduto dalle proprie competenze, ponendosi in contrasto con
la normativa statale di cui al decreto legislativo 3 luglio 2017,  n.
117, recante «Codice del Terzo  settore,  a  norma  dell'articolo  1,
comma 2, lettera b), della legge 6 giugno 2016, n. 106» e alla  legge
7 marzo 1986, n.  65  (Legge-quadro  sull'ordinamento  della  polizia
municipale), «che fungono da norme interposte  nella  violazione  dei
parametri costituzionali stabiliti dall'articolo 117, secondo  comma,
lettere l) e h), in materia di ordinamento civile e ordine pubblico e
sicurezza, nonche' dall'articolo 118,  ultimo  comma  (sussidiarieta'
orizzontale), dall'articolo 3 (principio di uguaglianza) e  dall'art.
97   della    Costituzione    (buon    andamento    della    pubblica
amministrazione)». 
    2.- Cio' premesso, il ricorrente impugna innanzi tutto l'art.  3,
comma 2, lettera b), della legge reg. Veneto n. 24 del 2020, il quale
prevede che la Regione, per il perseguimento delle finalita'  di  cui
al comma 1 (relative alla razionalizzazione e al potenziamento  degli
apparati di polizia locale nonche' alla promozione delle politiche di
sicurezza integrata), sostiene «la collaborazione istituzionale con i
vari enti e organismi pubblici, territoriali e statali, o  anche  con
privati e organismi del terzo settore, mediante  la  stipulazione  di
intese o accordi per  favorire,  nel  rispetto  delle  competenze  di
ciascun soggetto, l'attuazione,  l'integrazione  e  il  coordinamento
delle politiche di sicurezza». 
    La disposizione impugnata lederebbe l'art.  117,  secondo  comma,
lettera l), Cost. in relazione  alla  materia  «ordinamento  civile»,
perche' essa utilizza «locuzioni espressamente riferibili  agli  enti
del terzo settore ma impiegate verso soggetti aventi  caratteristiche
diverse da quelle individuate dal d.lgs. n. 117 del 2017». 
    Essa e' ritenuta altresi' lesiva della riserva di  competenza  in
capo allo Stato nella materia «ordine  pubblico  e  sicurezza»  (art.
117, secondo comma, lettera h, Cost.),  perche'  disciplinerebbe  non
solo le modalita' di esercizio delle funzioni di  pubblica  sicurezza
da parte della polizia locale, ma anche le forme della collaborazione
con le forze di polizia dello Stato (sono richiamate le  sentenze  di
questa Corte n. 35 del 2011 e n. 167 del 2010). Cio', in particolare,
si porrebbe in contrasto con le diverse modalita'  di  coinvolgimento
delle forze di polizia nell'espletamento delle  funzioni  di  polizia
amministrativa locale, previste dalla legge n. 65 del 1986 (artt. 3 e
5) e dall'art.  7  del  decreto  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri 12 settembre 2000 (Individuazione delle risorse finanziarie,
umane, strumentali e organizzative da trasferire alle regioni ed agli
enti  locali  per  l'esercizio   delle   funzioni   e   dei   compiti
amministrativi in materia di polizia amministrativa). 
    3.- Oggetto di impugnazione e' poi l'art. 9, comma 3, della legge
reg. Veneto n. 24 del 2020, il quale prevede che  «[n]ei  regolamenti
di polizia locale puo' anche essere previsto l'impiego di istituti di
vigilanza e delle associazioni di volontariato  di  cui  all'articolo
18, con compiti di affiancamento e supporto all'azione della  polizia
locale e la possibilita' di effettuare servizi per  conto  terzi,  in
coerenza con quanto previsto agli articoli 16 e  17  [successivamente
sostituiti dagli artt. 18 e 19 per effetto dell'avviso  di  rettifica
pubblicato nel Bollettino Ufficiale della Regione del Veneto  del  12
febbraio 2021, n. 22] e  nel  rispetto  della  normativa  statale  in
materia». 
    Anche tale disposizione si porrebbe in contrasto con l'art.  117,
secondo comma, lettera l), Cost., sia perche' consente agli enti  del
terzo settore lo svolgimento in via primaria  (e  non  residuale)  di
attivita' diverse  da  quelle  individuate  dall'art.  5  cod.  terzo
settore, sia perche',  riconoscendo  la  possibilita'  di  effettuare
servizi in conto terzi, essa non rispetta la previsione dell'art.  33
dello  stesso  codice,  secondo  il  quale   le   organizzazioni   di
volontariato possono ricevere, per l'attivita' di interesse  generale
prestata, solo il rimborso delle  spese  effettivamente  sostenute  e
documentate, «salvo che tale attivita'  sia  svolta  quale  attivita'
secondaria e strumentale nei limiti di cui all'articolo 6». 
    4.- L'art. 18, comma 1, della legge reg. Veneto n.  24  del  2020
attribuisce  alla  Giunta  regionale  il  compito  di  promuovere   e
sostenere la partecipazione  delle  associazioni  di  volontariato  a
varie  iniziative  ivi  indicate,   «[a]l   fine   di   favorire   la
partecipazione  dei  cittadini   alla   progettazione,   gestione   e
valutazione delle politiche di sicurezza». Ad avviso del  ricorrente,
tale previsione denoterebbe un'assenza di  autonomia  della  funzione
ausiliaria demandata alle associazioni di volontariato, in  contrasto
con l'art. 118, quarto comma, Cost., secondo  il  quale  l'iniziativa
dei cittadini singoli o associati per lo svolgimento di attivita'  di
interesse generale deve essere autonoma rispetto ai pubblici poteri e
porsi in rapporto di sussidiarieta' con essi. 
    Sarebbe poi lesivo dell'art. 3 Cost. il fatto che  tale  facolta'
di partecipazione sia limitata alle associazioni  di  volontariato  e
non si estenda a tutti gli  enti  del  terzo  settore,  che  «possono
svolgere le attivita' di cui all'articolo  5  del  Codice  del  Terzo
settore  e  sono  strumento  di  partecipazione  dei  cittadini  allo
svolgimento  delle  attivita'  di  interesse  comune».  Peraltro,  il
legislatore regionale non avrebbe fatto riferimento, nell'individuare
le varie tipologie di soggetti privati, alla normativa nazionale  che
definisce  gli  enti  del  terzo  settore  e  le  organizzazioni   di
volontariato e prevede quale requisito ai fini  della  partecipazione
degli stessi l'iscrizione al Registro unico nazionale o  ai  registri
comunque regolati dal cod. terzo settore, con conseguente  violazione
dell'art. 117, secondo comma, lettera l), Cost. 
    Infine, quest'ultimo  parametro  costituzionale  sarebbe  violato
anche  perche'  l'impugnato  art.   18,   comma   1,   prefigura   la
partecipazione  delle  associazioni  di  volontariato  ad  iniziative
finalizzate,  tra  l'altro,  ad  assistere  la  «polizia  locale   in
occasione di eventi pubblici di particolare rilievo» (lettera a) e  a
«svolgere  attivita'  di  ausilio  nella  sorveglianza   dei   luoghi
pubblici, finalizzate ad  allertare  tempestivamente  gli  organi  di
polizia locale o nazionale per i necessari interventi»  (lettera  b).
Tali attivita', ad avviso  del  ricorrente,  non  sarebbero  tuttavia
riconducibili a quelle che possono costituire oggetto delle attivita'
istituzionali degli enti del terzo settore ai sensi dell'art. 5  cod.
terzo settore. 
    5.- E' poi impugnato l'art. 8, commi 1  e  2,  della  legge  reg.
Veneto n. 24 del 2020,  che  disciplina  la  struttura  organizzativa
della polizia  locale,  prevedendo  determinati  ruoli  funzionali  e
distintivi di grado per il personale di polizia locale, anche al fine
dell'individuazione dei rapporti gerarchici interni. 
    Il ricorrente deduce la violazione dell'art. 117, secondo  comma,
lettera l), Cost., in riferimento alla materia «ordinamento  civile»,
perche' il legislatore regionale avrebbe invaso un  ambito  riservato
alla competenza  esclusiva  dello  Stato  (e'  richiamata  ancora  la
sentenza di questa  Corte  n.  35  del  2011),  come  comprovato  dal
contrasto tra le disposizioni impugnate e gli artt. 6 e 7,  comma  3,
della richiamata legge n. 65  del  1986,  che  disciplinano  in  modo
diverso le qualifiche  ordinamentali  per  il  personale  di  polizia
locale. 
    Un'invasione del medesimo ambito  di  competenza  riservato  allo
Stato viene poi fatta discendere dal fatto che una diversa disciplina
dei ruoli e  delle  qualifiche  potrebbe  avere  ripercussioni  sulla
disciplina prevista dal contratto collettivo nazionale  del  comparto
enti locali. Sotto tale profilo,  aggiunge  il  ricorrente,  verrebbe
leso anche l'art. 3 Cost. perche' la norma  sarebbe  foriera  di  una
disparita'   di   trattamento,   «con   presumibili   effetti   anche
sull'articolo 97 della Costituzione in quanto altera il principio del
buon andamento». 
    6.- Strettamente connesso al  motivo  d'impugnazione  di  cui  al
punto precedente e' poi quello che ha ad oggetto l'art. 8,  comma  3,
della medesima  legge  reg.  Veneto  n.  24  del  2020,  con  cui  e'
attribuito alla Giunta il potere di definire le caratteristiche delle
uniformi e dei distintivi di grado  nonche'  le  caratteristiche  dei
mezzi e degli strumenti operativi e di autotutela in  dotazione  alla
polizia locale. 
    Anche tale disposizione contrasterebbe con  l'art.  117,  secondo
comma, lettera l), Cost., in riferimento  alla  materia  «ordinamento
civile», perche' l'art. 6, comma 2, numeri 4) e 5), della legge n. 65
del 1986 prevede  che  le  Regioni  debbano  disciplinare  con  legge
regionale (e non, quindi, con  atto  di  Giunta)  le  caratteristiche
delle uniformi, dei distintivi, dei mezzi e degli strumenti operativi
in dotazione. 
    7.- Con l'ultimo motivo di ricorso, il Presidente  del  Consiglio
dei   ministri   promuove   distinte   questioni   di    legittimita'
costituzionale nei confronti dell'art. 13, comma 2, lettere  d),  e),
g) e i), della medesima legge reg. Veneto n. 24 del 2020. 
    Tali previsioni individuano, nell'ambito del  «Sistema  regionale
di politiche integrate  per  la  sicurezza»,  gli  obiettivi  che  la
Giunta, anche mediante accordi sottoscritti ai sensi dell'art. 2  del
decreto-legge 20  febbraio  2017,  n.  14  (Disposizioni  urgenti  in
materia di sicurezza delle citta'),  convertito,  con  modificazioni,
nella legge 18 aprile 2017, n. 48, nonche'  cooperando  con  soggetti
pubblici e privati, e' chiamata a perseguire realizzando o sostenendo
iniziative di interesse regionale. 
    In particolare, la lettera d) individua quale obiettivo  di  tali
iniziative quello di «rafforzare e  valorizzare  l'azione  coordinata
della polizia locale secondo i principi  della  presente  legge,  con
azioni  e  progetti  finalizzati  al  potenziamento   strumentale   e
operativo e alla  condivisione  degli  strumenti  e  delle  procedure
necessarie al  coordinamento  degli  apparati  di  sicurezza  per  la
gestione di specifici servizi e per obiettivi comuni;  promuovere  il
potenziamento e l'ampliamento degli organici di polizia  locale».  Ad
avviso del ricorrente, tale previsione confliggerebbe con il  sistema
delineato  dal  legislatore  statale  in  materia  di  presidio   del
territorio, pianificazione e coordinamento delle forze di polizia  di
cui  alla  legge  1°  aprile  1981,   n.   121   (Nuovo   ordinamento
dell'Amministrazione della pubblica sicurezza), e in particolare  con
l'art. 6, primo comma, lettera e), che attribuisce al Dipartimento di
pubblica sicurezza la «pianificazione generale e coordinamento  delle
pianificazioni operative della dislocazione delle forze di polizia  e
dei relativi servizi tecnici», nonche' con gli artt.  13  e  14,  che
conferiscono rispettivamente al prefetto e al questore la facolta' di
disporre della forza pubblica e «la direzione, la  responsabilita'  e
il coordinamento, a livello tecnico operativo, dei servizi di  ordine
e di sicurezza  pubblica  e  dell'impiego  a  tal  fine  della  forza
pubblica». 
    Nel momento in cui  la  disposizione  impugnata  prevede  che  la
Giunta  regionale  rafforzi  e  valorizzi   azioni   finalizzate   al
potenziamento e alla condivisione degli strumenti e  delle  procedure
necessarie al coordinamento degli  apparati  di  sicurezza,  essa  si
porrebbe in contrasto con la riserva  di  competenza  allo  Stato  in
materia di ordine pubblico e sicurezza di cui all'art.  117,  secondo
comma, lettera h), Cost. 
    Analoghe  considerazioni  dovrebbero  valere,   ad   avviso   del
ricorrente,  nei  confronti  delle  restanti  disposizioni  impugnate
dell'art. 13. Esse prevedono, nell'ambito di cui al  gia'  richiamato
comma 2, che la Giunta possa: 
    - «promuovere e programmare  azioni  di  sistema  sul  territorio
regionale, coinvolgendo gli enti locali, le Polizie locali  ma  anche
le  forze  dell'ordine  per  l'ammodernamento  delle  metodologie  di
intervento, la lotta ad ogni forma di illegalita' e di  infiltrazione
criminale nel  tessuto  produttivo  e  sociale  della  Regione  anche
attraverso  la  partecipazione  a  specifici  programmi   comunitari»
(lettera e); 
    - «razionalizzare e potenziare i presidi  di  sicurezza  presenti
sul territorio regionale» (lettera g); 
    - «costituire tavoli a livello provinciale per la  definizione  e
l'implementazione continua delle politiche per la sicurezza» (lettera
i). 
    Lo svolgimento di tali attivita',  per  quanto  subordinate  alla
stipula di accordi con organi e autorita' di pubblica sicurezza,  non
sarebbe   compatibile   con   i   processi   di   pianificazione    e
razionalizzazione dei presidi di polizia  che  l'ordinamento  rimette
alla competenza statale in materia di ordine pubblico e sicurezza  di
cui all'art. 117, secondo comma, lettera h), Cost. 
    Ne'  la   normativa   impugnata   potrebbe   rinvenire   la   sua
giustificazione nel fatto che  essa  si  riferisce  a  iniziative  di
sicurezza integrata, perche' anch'esse non si  realizzano  attraverso
un trasferimento di funzioni, presupponendo al contrario il  rispetto
delle competenze dei diversi livelli di governo. 
    In questo quadro, il ricorrente rileva che al legislatore statale
spetta una competenza esclusiva in materia di  presidio  e  controllo
del territorio (e' richiamata la sentenza di questa Corte n. 285  del
2019),  mentre  al  legislatore  regionale,  nell'esercitare  la  sua
competenza in materia di «polizia amministrativa»,  residuano  quelle
sfere di  attivita'  riguardanti  la  prevenzione  o  repressione  di
attivita' funzionalmente connesse ad ambiti rimessi  alla  competenza
legislativa regionale (e' estesamente citata la sentenza n.  218  del
1988). 
    8.- Con atto depositato il 5 ottobre 2020  si  e'  costituita  in
giudizio la Regione Veneto, in persona del  Presidente  della  Giunta
regionale, chiedendo che i motivi  di  ricorso  proposti  avverso  le
disposizioni impugnate della legge reg. Veneto n. 24 del 2020 vengano
dichiarati inammissibili e comunque infondati. 
    La  difesa  della  Regione  osserva  preliminarmente  come   tale
disciplina trovi il suo fondamento,  secondo  quanto  ribadito  anche
dall'art.  1  della  stessa   legge   regionale,   nella   competenza
legislativa  esclusiva  delle   Regioni   in   materia   di   polizia
amministrativa locale e sia  coerente  con  le  norme  e  i  principi
stabiliti dalla legge n. 65 del 1986 «per quanto riguarda gli aspetti
ancora vincolanti della  stessa  in  materia  di  ordine  pubblico  e
sicurezza».  L'ambito  della  competenza  regionale  in  discussione,
quindi,  non  include  solamente   l'attivita'   di   prevenzione   o
repressione diretta ad evitare danni o pregiudizi a  persone  e  cose
nello svolgimento di attivita' rientranti in  materie  affidate  alla
competenza regionale (e' richiamata la sentenza n. 285 del 2019),  ma
si  estende  anche,  secondo  la  difesa  regionale,  alle  ulteriori
declinazioni di essa prodottesi  a  seguito  dell'introduzione  degli
strumenti di "sicurezza integrata" di cui al d.l.  n.  14  del  2017,
come convertito, e alla conseguente necessita' di  coordinamento  tra
le competenze dei diversi soggetti  istituzionali  coinvolti,  «anche
con riferimento alla collaborazione tra le  forze  di  polizia  e  la
polizia locale» (art. 2, comma 1, del  d.l.  n.  14  del  2017,  come
convertito). 
    9.- Cosi' ricostruite, in linea generale, le coordinate normative
entro le quali si collocano la legge reg. Veneto n. 24 del 2020 e, in
particolare, le disposizioni di essa impugnate, la  difesa  regionale
eccepisce innanzi tutto l'inammissibilita' della questione avente  ad
oggetto l'art. 3, comma 2,  lettera  b),  di  tale  legge  regionale,
perche' non sarebbe dato  comprendere  i  motivi  del  contrasto  con
l'art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., non avendo  il  ricorso
chiarito come  la  generica  previsione  di  una  collaborazione  con
privati e organismi del terzo settore possa «incidere o, addirittura,
alterare la disciplina statale in materia», che continuerebbe  quindi
a trovare piena applicazione nel caso di specie. 
    Ne' la disposizione impugnata invaderebbe la riserva  allo  Stato
della  competenza  legislativa  in  materia  di  ordine  pubblico   e
sicurezza (art. 117, secondo comma, lettera h, Cost.),  perche'  essa
si limita a promuovere  e  non  a  imporre  forme  di  collaborazione
istituzionale con i vari enti  e  organismi  pubblici  finalizzate  a
favorire  l'attuazione,  l'integrazione  e  il  coordinamento   delle
politiche di sicurezza. La natura consensuale e  non  unilaterale  di
tali forme di coinvolgimento sarebbe del resto avvalorata  dal  fatto
che la disposizione stessa prevede che  esse  debbano  avvenire  «nel
rispetto  delle  competenze  di  ciascun  soggetto»  e,  quanto  alla
promozione  delle  politiche  di  sicurezza  integrata,   «ai   sensi
dell'articolo 1 comma 2, del decreto-legge 20 febbraio 2017, n. 14». 
    10.- Anche i motivi di censura rivolti nei confronti dell'art. 9,
comma 3, della legge reg. Veneto n. 24 del 2020, sarebbero infondati. 
    Con riguardo  alla  dedotta  violazione  dell'art.  117,  secondo
comma, lettera l), Cost., derivante dall'affidamento in via  primaria
alle associazioni di volontariato  di  attivita'  diverse  da  quelle
individuate dall'art. 5  cod.  terzo  settore,  la  difesa  regionale
osserva  che  in  realta'  la  disposizione  impugnata  consente   lo
svolgimento sia di «attivita' che, in via accessoria, si assommano  e
affiancano le attivita' proprie di  ciascuna  associazione»,  sia  di
altre attivita', come ad esempio  l'ausilio  nella  sorveglianza  dei
luoghi pubblici e altre attivita' ausiliarie, che possono accedere  a
diverse delle attivita' contemplate dal richiamato art. 5 cod.  terzo
settore (con riferimento, a titolo esemplificativo,  agli  ambiti  di
cui alle lettere d, e, f, i,  k,  r,  y  del  comma  1  del  medesimo
articolo).  Inoltre,  agli  enti  del  terzo  settore  e'  consentito
dall'art. 6 del suddetto codice di «esercitare attivita'  diverse  da
quelle di cui all'articolo 5, a condizione che l'atto  costitutivo  o
lo statuto lo consentano e siano secondarie  e  strumentali  rispetto
alle attivita' di interesse generale». 
    Sarebbe poi manifestamente infondata anche l'ulteriore  questione
riguardante la possibilita' di impiegare le predette associazioni  in
attivita' di affiancamento e supporto all'azione della polizia locale
al fine di effettuare servizi per conto terzi. Oltre a far valere una
diversa lettura della norma, secondo  la  quale  sarebbe  in  realta'
esclusa la possibilita'  di  remunerare  tali  associazioni  mediante
attivita' svolte in conto terzi, la difesa regionale osserva comunque
che ad escludere questa possibilita' di remunerazione  e'  lo  stesso
art. 20 della legge reg. Veneto  n.  24  del  2020,  che  riserva  le
tariffe previste per tali attivita' unicamente ai compiti svolti  dal
personale di polizia locale secondo le richieste di soggetti pubblici
e privati. 
    11.- Prive di fondamento, secondo la difesa regionale,  sarebbero
anche le censure del ricorrente aventi ad oggetto l'art. 18, comma 1,
della legge regionale impugnata.  Non  vi  sarebbe,  in  particolare,
alcuna violazione dell'art. 118,  quarto  comma,  Cost.,  perche'  lo
svolgimento di attivita' di interesse generale da parte dei cittadini
non  puo'  avvenire  in  modo  «autonomo  e  disarticolato   rispetto
all'attivita' dell'amministrazione pubblica», dovendosi al  contrario
coordinare con quest'ultima (e' evocata la sentenza n. 131 del 2020),
tanto piu' che l'autonomia predicata dal principio costituzionale che
si assume leso e' riferita alla sola "iniziativa" dei cittadini e non
anche alla conseguente attivita' posta in essere. 
    Alla disposizione impugnata, inoltre, non potrebbe  imputarsi  di
violare l'ambito delle  funzioni  previsto  dall'art.  5  cod.  terzo
settore, considerato che essa  non  attribuisce  in  via  diretta  lo
svolgimento di tali attivita'  alle  associazioni,  ma  si  limita  a
identificare una serie di attivita' (non estranee agli ambiti di  cui
alla  norma  statale)  «nello  svolgimento  delle   quali   s'intende
sollecitare  e  favorire  la   partecipazione   collaborativa   delle
associazioni di volontariato». 
    Secondo la difesa regionale, infine, il fatto che il citato  art.
18, comma 1,  pur  non  escludendo  il  coinvolgimento  di  qualunque
cittadino, in forma singola o associata,  nelle  predette  attivita',
privilegi «alcuni  soggetti  in  considerazione  della  natura  delle
associazioni  in  parola,  che  si  avvalgono  in   modo   prevalente
dell'attivita'  di  volontariato»  deve  ricondursi  a   una   scelta
esercitata discrezionalmente,  ma  in  modo  non  irragionevole,  dal
legislatore regionale. 
    12.- Le censure rivolte nei confronti dell'art. 8, commi 1  e  2,
della legge reg. Veneto n. 24 del 2020, sono ritenute infondate dalla
difesa regionale. 
    La disciplina dei ruoli, dei distintivi e  delle  caratteristiche
delle  dotazioni  del  personale  di  polizia  locale   non   sarebbe
ascrivibile ad alcun titolo  di  competenza  esclusiva  dello  Stato,
avendo essa - e in particolare quella contenuta nell'art. 8, comma 1,
- un contenuto riconducibile alla materia  dell'organizzazione  della
polizia  locale,  anche  perche'   la   disposizione   impugnata   fa
espressamente  salvi  i  ruoli  funzionali  previsti  dalla  legge  e
l'inquadramento  derivante  dai  contratti  collettivi  nazionali  di
lavoro, nonche' le qualifiche  attribuite  al  personale  di  polizia
locale secondo il vigente ordinamento. 
    Sarebbe poi inammissibile la censura consistente nella violazione
dell'art. 97  Cost.,  in  quanto  oscura  e  prospettata  in  termini
meramente dubitativi,  mentre  sarebbe  da  ritenersi  manifestamente
infondata quella riguardante la lesione dell'art. 3 Cost., poiche' la
disposizione  impugnata,  lungi  dall'introdurre  una  disparita'  di
trattamento all'interno dell'ordinamento, fa  salvo,  secondo  quanto
detto, l'inquadramento derivante dai  contratti  collettivi  ed  anzi
esclude che i distintivi  di  grado  possano  incidere  sul  rapporto
giuridico ed economico del personale. 
    13.- Muovendo dall'assunto che la disciplina  dei  distintivi  di
grado degli appartenenti alla polizia locale afferisca  alla  materia
dell'organizzazione della polizia  locale,  di  competenza  residuale
delle Regioni, la difesa regionale ritiene di conseguenza che non sia
fondata neanche la censura promossa nei confronti dell'art. 8,  comma
3, della legge reg. Veneto n. 24 del 2020. La compatibilita' di  tale
previsione con l'art. 6, comma 2, numeri 4) e 5), della legge  n.  65
del 1986 e con il principio della riserva  di  legge  ivi  contenuto,
infatti, dovrebbe ritenersi «conformata» dal nuovo quadro  scaturente
dalla riforma del Titolo V della parte  seconda  della  Costituzione,
cosi' che «la riserva di legge in parola deve considerarsi  priva  di
effetti vincolanti,  non  sussistendo,  in  materia,  una  competenza
esclusiva dello Stato,  ma,  per  converso,  operando  la  competenza
residuale ed esclusiva delle regioni». In ogni caso, tale riserva  di
legge dovrebbe intendersi in termini relativi e  non  assoluti,  cio'
che consentirebbe il ricorso (come in questo caso) ad atti  normativi
secondari, tanto piu' che essi sono  subordinati  a  un  procedimento
rafforzato  di  adozione,  mediante  l'intervento  delle  Commissioni
consiliari. 
    14.- Sarebbero, infine, infondate anche le  questioni  aventi  ad
oggetto l'art. 13, comma 2, lettere d), e), g)  ed  i),  della  legge
reg. Veneto n. 24 del 2020. 
    In particolare,  la  disposizione  contenuta  nella  lettera  d),
contrariamente agli assunti del ricorrente, non sottrarrebbe in alcun
modo competenze pianificatorie e gestorie al prefetto o al  questore,
essendo unicamente rivolta a sollecitare iniziative serventi rispetto
all'azione di pubblica sicurezza, che resta «di esclusivo appannaggio
dei competenti organi statali». 
    Da un'analoga finalita' sarebbe contrassegnata, secondo la difesa
regionale, la disposizione  contenuta  nella  lettera  e),  che,  nel
favorire il coinvolgimento delle forze dell'ordine  per  i  fini  ivi
indicati,  sottintende  che  cio'   avvenga   in   uno   spirito   di
collaborazione, su base volontaria e nel  rispetto  delle  reciproche
competenze, come sarebbe comprovato  dal  richiamo,  tra  gli  ambiti
oggetto  delle  azioni  di  sistema,  ai  programmi  comunitari,  che
denoterebbero il perseguimento di finalita'  di  sicurezza  integrata
territoriale. 
    Analoga  natura  «meramente   sollecitatoria   e   programmatica»
avrebbero infine le iniziative menzionate nelle lettere g) e  i)  del
citato art. 13, comma 2, che, nel riferirsi ai presidi  di  sicurezza
presenti sul territorio regionale e alla costituzione  di  «tavoli  a
livello provinciale per  la  definizione  e  l'implementazione  delle
politiche  per  la  sicurezza»,  rinvierebbero  agli   strumenti   di
"prevenzione situazionale" richiamati  dalle  «Linee  generali  delle
politiche pubbliche  per  la  sicurezza  integrata»  approvate  nella
seduta della Conferenza unificata del 24 gennaio 2018  in  attuazione
di quanto previsto dall'art. 2 del d.l. n. 14 del 2017. 
    15.- In prossimita' dell'udienza pubblica, la Regione  Veneto  ha
depositato memoria insistendo nelle ragioni di inammissibilita' e  di
infondatezza del ricorso. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Con ricorso notificato il 24-28 agosto 2020, depositato il  3
settembre 2020 e iscritto al n. 76 del reg. ric. 2020, il  Presidente
del Consiglio dei ministri, rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura
generale dello Stato, ha promosso in via principale,  in  riferimento
agli artt. 3, 97, 117, secondo comma, lettere h) ed l), e 118, quarto
comma, della Costituzione, questioni di  legittimita'  costituzionale
degli artt. 3, comma 2, lettera b), 9, comma 3, 18, comma 1, 8, commi
1, 2 e 3, e 13, comma 2, lettere d), e), g), e i), della legge  della
Regione Veneto 23 giugno 2020, n. 24 (Normativa regionale in  materia
di polizia locale e politiche di sicurezza). 
    1.1.- La legge regionale oggetto  delle  censure  governative  e'
intervenuta a riformare  organicamente  l'ordinamento  della  polizia
locale in Veneto -  in  precedenza  disciplinato  dalla  legge  della
Regione Veneto 9 agosto 1988, n. 40  (Norme  in  materia  di  polizia
locale), abrogata per effetto dell'art.  24,  comma  1,  lettera  a),
della legge regionale in  esame  -  e  a  regolare  le  politiche  di
sicurezza. 
    Gli obiettivi da essa perseguiti, come  ricavabili  dall'art.  1,
commi 2 e 3, sono di «promuovere una disciplina unitaria e coordinata
delle  funzioni  e  dei  compiti  di  polizia  locale»,  nonche'   di
privilegiare, «nel pieno rispetto dei principi  di  sussidiarieta'  e
ragionevolezza nonche' valorizzando la specificita' ed il  ruolo  dei
soggetti pubblici  e  privati  interessati,  [...]  il  metodo  della
concertazione per  creare  un  sistema  integrato  di  sicurezza  nel
territorio regionale». 
    A quanto emerge  dai  lavori  preparatori,  con  tale  intervento
normativo si e' inteso non solo adeguare le competenze  e  i  profili
organizzativi  della  polizia  locale  al  quadro  costituzionale   e
normativo  piu'  recente,  ma  anche   operare   un   piu'   generale
rafforzamento del sistema territoriale di sicurezza, alla  luce,  tra
l'altro, delle novita' introdotte dal decreto-legge 20 febbraio 2017,
n. 14 (Disposizioni urgenti in materia di  sicurezza  delle  citta'),
convertito, con modificazioni, nella legge 18 aprile 2017, n. 48. 
    1.2.- Ad avviso del ricorrente, con le disposizioni impugnate  la
Regione Veneto avrebbe tuttavia ecceduto  dalle  proprie  competenze,
invadendo la sfera riservata allo Stato dall'art. 117, secondo comma,
lettere l) ed h), Cost. (in materia, rispettivamente, di  ordinamento
civile e  di  ordine  pubblico  e  sicurezza),  come  dimostrato  dal
contrasto  delle  previsioni  oggetto  di  censura  con  i  parametri
interposti contenuti nel decreto legislativo 3 luglio 2017,  n.  117,
recante «Codice del Terzo settore, a norma dell'articolo 1, comma  2,
lettera b), della legge 6 giugno 2016, n. 106» e nella legge 7  marzo
1986, n. 65 (Legge-quadro sull'ordinamento della polizia municipale),
nonche' violando gli artt. 3, 97 e 118, ultimo comma, Cost. 
    Pur se riferiti ad ambiti  e  a  profili  eterogenei,  i  diversi
motivi di censura di  cui  al  ricorso  introduttivo  possono  essere
suddivisi in tre distinti ordini di questioni, aventi ad oggetto:  a)
le  forme  e  i  termini  del  coinvolgimento  di  soggetti   privati
nell'espletamento dei compiti di polizia locale e nella progettazione
e attuazione delle politiche di sicurezza (art. 3, comma  2,  lettera
b; art. 9, comma 3, e art. 18 della legge  regionale  impugnata);  b)
l'ordinamento e le  caratteristiche  organizzative  del  servizio  di
polizia locale (art. 8, commi 1, 2 e 3); c) le intese e  gli  accordi
in tema di sicurezza integrata promossi  dalla  Regione,  nonche'  la
promozione e il sostegno alle politiche integrate  per  la  sicurezza
sul territorio regionale (art. 3, comma 2, lettera b e art. 13, comma
2, lettere d, e, g e i). 
    2.- L'art. 3, comma 2, lettera b), della legge reg. Veneto n.  24
del 2020 stabilisce  che  la  Regione,  per  il  perseguimento  delle
finalita' di cui al comma 1  del  medesimo  articolo  (relative  alla
razionalizzazione e al potenziamento degli apparati di polizia locale
nonche' alla  promozione  delle  politiche  di  sicurezza  integrata)
sostiene «la collaborazione istituzionale con i vari enti e organismi
pubblici, territoriali e statali, o anche con privati e organismi del
terzo settore, mediante la  stipulazione  di  intese  o  accordi  per
favorire,  nel  rispetto  delle  competenze  di   ciascun   soggetto,
l'attuazione, l'integrazione e il coordinamento  delle  politiche  di
sicurezza». 
    2.1.- Con una prima ragione di censura,  l'Avvocatura  deduce  la
violazione dell'art.  117,  secondo  comma,  lettera  l),  Cost.,  in
riferimento   alla   materia   «ordinamento   civile»,   perche'   la
disposizione impiegherebbe «locuzioni espressamente  riferibili  agli
enti  del  terzo  settore  ma   impiegate   verso   soggetti   aventi
caratteristiche diverse da quelle individuate dal d.lgs. n.  117  del
2017». 
    La difesa della  Regione  eccepisce  l'inammissibilita'  di  tale
censura, perche' essa sarebbe  formulata  in  modo  assertivo  e  non
spiegherebbe in alcun modo  le  ragioni  della  lamentata  violazione
dell'ambito di competenza statale. 
    2.1.1.- L'eccezione e' fondata. 
    La doglianza statale appare, sul punto, lacunosa oltre che di non
agevole comprensione. Il ricorrente,  infatti,  non  spiega  in  cosa
consisterebbe la lesione dedotta e, in particolare, in quale  aspetto
debba ravvisarsi  la  lamentata  diversita'  di  caratteristiche  dei
soggetti in questione rispetto alla disciplina del codice  del  terzo
settore. Si deve pertanto ritenere che il ricorso sia  in  parte  qua
inammissibile  perche'  non  contiene   una   specifica   e   congrua
indicazione delle ragioni per le quali vi sarebbe il contrasto con il
parametro evocato e una, sia pur sintetica, argomentazione di  merito
a sostegno delle censure (ex plurimis, sentenze n. 91, n. 88 e n.  42
del 2021, n. 199, n. 194 e n. 174 del 2020, n. 197 del 2017). 
    2.2.-  A  supporto  della  illegittimita'  costituzionale   della
medesima  previsione,  il  ricorso  deduce  altresi'  la   violazione
dell'art.  117,  secondo  comma,  lettera  h),  Cost.,  perche'  essa
disciplinerebbe non solo modalita' di  esercizio  delle  funzioni  di
pubblica sicurezza da parte della polizia locale, ma anche  le  forme
della collaborazione con le forze di polizia dello Stato. 
    2.2.1.-  Le  intese  e  gli  accordi  di  cui  alla  disposizione
impugnata   risultano   strumentalmente    rivolti    all'attuazione,
all'integrazione e al coordinamento  delle  politiche  di  sicurezza,
intendendosi  per  tali  le  «politiche   di   sicurezza   integrata»
richiamate nel comma 1 del medesimo art. 3, che la Regione Veneto  si
impegna a promuovere sulla base di quanto previsto dall'art. 1, comma
2, del d.l. n. 14 del 2017, come convertito. 
    La previsione statale da ultimo richiamata qualifica la sicurezza
integrata come «l'insieme degli interventi  assicurati  dallo  Stato,
dalle Regioni, dalle Province autonome di Trento e  Bolzano  e  dagli
enti locali, nonche' da altri  soggetti  istituzionali,  al  fine  di
concorrere,  ciascuno  nell'ambito   delle   proprie   competenze   e
responsabilita', alla  promozione  e  all'attuazione  di  un  sistema
unitario e integrato di sicurezza per il  benessere  delle  comunita'
territoriali». Il successivo art. 2 del d.l. n.  14  del  2017,  come
convertito, ha affidato ad  apposite  linee  generali,  adottate  con
accordo sancito in Conferenza unificata, il compito  di  «coordinare,
per lo svolgimento di  attivita'  di  interesse  comune,  l'esercizio
delle competenze dei  soggetti  istituzionali  coinvolti,  anche  con
riferimento alla collaborazione tra le forze di polizia e la  polizia
locale» nei settori di intervento ivi indicati. 
    La finalita' di coordinamento perseguita da tali  previsioni,  in
diretta attuazione dell'art. 118, terzo comma, Cost., si traduce  poi
nella possibilita' che Stato, Regioni e Province autonome  stipulino,
sulla base dell'art. 3, comma 1,  del  d.l.  n.  14  del  2017,  come
convertito, «specifici accordi  per  la  promozione  della  sicurezza
integrata, anche diretti a disciplinare  gli  interventi  a  sostegno
della formazione e dell'aggiornamento professionale del personale  di
polizia locale». 
    2.2.2.- Come questa Corte ha gia'  chiarito  in  piu'  occasioni,
l'insieme degli strumenti  e  delle  procedure  che  presiedono  alla
stipula di tali accordi e, piu' in generale, alla condivisione  delle
scelte tra livelli di governo  in  materia  di  sicurezza  integrata,
risponde a una «rinnovata declinazione legislativa  del  concetto  di
sicurezza» (sentenze n. 177 del 2020 e n. 285 del 2019), che affianca
ad  un  ambito  immediatamente  connesso  alla  prevenzione  e   alla
repressione dei reati, di competenza esclusiva statale (sicurezza «in
senso  stretto»  o  sicurezza  primaria),  un  «fascio  di   funzioni
intrecciate, corrispondenti a plurime e diversificate  competenze  di
spettanza anche regionale» (sentenza n. 285  del  2019),  in  cui  si
compendia la sicurezza «in senso lato», o sicurezza secondaria. 
    In  questo  scenario,  che  guarda  alle  Regioni  come  a   enti
rappresentativi   di   interessi   teleologicamente   connessi   alla
competenza  esclusiva  statale  in  materia  di  ordine  pubblico   e
sicurezza, per quanto ad  essa  non  direttamente  afferenti,  queste
ultime sono chiamate ad assicurare  «le  precondizioni  per  un  piu'
efficace esercizio delle classiche funzioni di ordine  pubblico,  per
migliorare  il  contesto  sociale  e  territoriale  di   riferimento,
postulando l'intervento dello Stato in  relazione  a  situazioni  non
altrimenti correggibili se non tramite l'esercizio  dei  tradizionali
poteri coercitivi» (sentenza n. 285 del 2019). 
    2.3.- E' alla luce di tali  premesse  che  deve  essere  pertanto
esaminata la questione di legittimita'  costituzionale  dell'art.  3,
comma 2, lettera b), della legge reg. Veneto n. 24 del 2020, promossa
in riferimento all'art. 117, secondo comma, lettera h), Cost. 
    Essa non e' fondata. 
    Da un lato, la disposizione in esame  va  chiaramente  ricondotta
agli ambiti operativi e alle scansioni procedimentali delineati dagli
artt. 2 e 3 del d.l. n. 14 del 2017, come anche alle  Linee  generali
delle politiche pubbliche per la sicurezza integrata, adottate  dalla
Conferenza unificata a seguito dell'accordo raggiunto il  24  gennaio
2018, essendo rivolta proprio a impegnare la  Regione  a  dare  avvio
alle forme di collaborazione istituzionale che si traducono, rispetto
agli organismi statali, nelle trattative  volte  alla  stipula  degli
accordi e delle intese in materia di sicurezza integrata. 
    Da un altro lato, a ulteriormente escludere qualsiasi profilo  di
invasione nella materia dell'ordine pubblico e della  sicurezza,  sta
la circostanza che la stipula di tali intese o accordi deve, per  sua
natura, ritenersi facoltativa per  l'autorita'  statale,  che  potra'
aderirvi solo ove ne abbia condiviso  i  contenuti  e  verificato  la
corrispondenza alle proprie esigenze organizzative e strumentali.  In
questo senso, come in altri casi analoghi decisi da questa Corte,  e'
agevole rilevare che la disposizione assume un valore  programmatico,
che non denota alcuna  capacita'  lesiva  delle  competenze  statali,
perche' essa non determina alcuna interferenza,  neanche  potenziale,
sull'autonomo esercizio dei compiti delle autorita' statali  preposte
alla cura dell'ordine pubblico e della sicurezza (sentenze n. 161 del
2021, n. 177 del 2020 e n. 208 del 2018). 
    3.- Il ricorrente ha impugnato anche l'art.  9,  comma  3,  della
legge reg. Veneto n.  24  del  2020,  il  quale  prevede  che  «[n]ei
regolamenti di polizia locale puo' anche essere previsto l'impiego di
istituti di vigilanza e delle associazioni  di  volontariato  di  cui
all'articolo 18, con compiti di affiancamento e  supporto  all'azione
della polizia locale e la  possibilita'  di  effettuare  servizi  per
conto terzi, in coerenza con quanto previsto agli articoli 18 e 19  e
nel rispetto della normativa statale in materia». 
    L'Avvocatura deduce la violazione dell'art. 117,  secondo  comma,
lettera l), Cost., in riferimento alla materia «ordinamento  civile»,
perche' la norma impugnata avrebbe previsto per  le  associazioni  di
volontariato  lo  svolgimento  di  attivita'  diverse  da  quelle  di
interesse  generale  individuate  dall'art.  5  cod.  terzo  settore.
Inoltre, prefigurando la possibilita' che tali associazioni,  per  il
fatto di svolgere compiti  di  affiancamento  e  supporto  all'azione
della polizia locale, possano effettuare servizi per conto terzi,  la
norma violerebbe anche il principio, contenuto nell'art. 33, comma 3,
cod. terzo settore, secondo il quale, per  l'attivita'  di  interesse
generale prestata, le organizzazioni di volontariato possono ricevere
soltanto  il  rimborso  delle  spese   effettivamente   sostenute   e
documentate, «salvo che tale attivita'  sia  svolta  quale  attivita'
secondaria e strumentale  nei  limiti  di  cui  all'articolo  6»  del
medesimo codice. 
    3.1.- Benche' non eccepita dalla difesa regionale,  deve  essere,
d'ufficio,  dichiarata  inammissibile  la  doglianza  relativa   alla
violazione  dell'art.  117,  secondo  comma,   lettera   l),   Cost.,
relativamente al parametro interposto di cui all'art.  5  cod.  terzo
settore. 
    Tale censura, come quella analoga avente  ad  oggetto  l'art.  3,
comma 2, lettera b), della legge impugnata, si mostra  affetta  dalle
medesime lacune argomentative, poiche' il  ricorrente  si  limita  ad
asserire il contrasto della disposizione impugnata con le  norme  del
codice del terzo settore (e, segnatamente, con l'art. 5,  che  elenca
le «[a]ttivita' di interesse generale» che gli enti del terzo settore
esercitano «in via esclusiva o principale»),  senza  addurre  ragioni
quanto alla consistenza del vizio  lamentato  e,  ancor  prima,  alla
pertinenza del richiamo a  tale  parametro  interposto  in  relazione
all'ambito disciplinato dalla normativa in esame. 
    Limitatamente a tale motivo  di  ricorso,  non  e'  stata  quindi
raggiunta quella «soglia minima di chiarezza e  di  completezza»  che
rende ammissibile l'impugnativa proposta (sentenze n. 95, n. 52 e  n.
42 del 2021). 
    3.2.- Non e' invece fondato il motivo di  censura  relativo  alla
violazione, ad opera del medesimo art. 9,  comma  3,  dell'art.  117,
secondo  comma,  lettera  l),  Cost.,  in  relazione   al   parametro
interposto di  cui  all'art.  33  cod.  terzo  settore.  Quest'ultimo
prevede, in  particolare  al  comma  3,  che  «[p]er  l'attivita'  di
interesse generale prestata le organizzazioni di volontariato possono
ricevere soltanto il rimborso delle spese effettivamente sostenute  e
documentate, salvo che tale  attivita'  sia  svolta  quale  attivita'
secondaria e strumentale nei limiti di cui all'articolo 6». 
    In disparte  il  quesito  sulla  riconducibilita'  dell'attivita'
svolta dalle associazioni  di  volontariato,  ai  sensi  della  norma
impugnata, alle regole del codice del terzo settore, e'  decisiva  la
circostanza, correttamente rilevata dalla difesa  regionale,  che  il
ricorrente muove da un erroneo presupposto interpretativo  quanto  al
significato  da  ascrivere  alla   disposizione   in   esame.   Dalla
formulazione letterale del citato art. 9, comma 3, infatti, si ricava
pianamente che il coinvolgimento delle associazioni  di  volontariato
«con compiti di affiancamento e supporto  dell'azione  della  polizia
locale» e la possibilita'  di  effettuare  servizi  per  conto  terzi
costituiscono  distinti  ambiti  di  intervento  dei  regolamenti  di
polizia locale, cio' che esclude che si  possa  riferire  a  soggetti
privati, come le  associazioni  di  volontariato,  una  modalita'  di
remunerazione che la  disposizione  in  esame  riserva  all'attivita'
svolta  dalla  polizia  locale  al  di   fuori   dei   suoi   compiti
istituzionali. Tale esito, del  resto,  e'  ulteriormente  avvalorato
dall'art. 20 della  medesima  legge  reg.  Veneto  n.  24  del  2020,
rubricato proprio «[s]ervizi per conto di terzi», secondo  il  quale,
al  comma  1,  «[g]li  enti  locali  possono   prevedere   l'utilizzo
straordinario ed occasionale  di  personale  e  mezzi  della  polizia
locale, per attivita' o  servizi  richiesti  da  soggetti  privati  e
pubblici». 
    4.-  Il  ricorso  denuncia  poi  l'illegittimita'  costituzionale
dell'art. 18, comma 1, della legge reg. Veneto n.  24  del  2020,  il
quale stabilisce che, «[a]l fine di favorire  la  partecipazione  dei
cittadini alla progettazione, gestione e valutazione delle  politiche
di sicurezza e previa concertazione con gli enti  locali  nell'ambito
dei tavoli di cui all'articolo 12, la  Giunta  regionale  promuove  e
sostiene la partecipazione delle associazioni  di  volontariato»  per
iniziative rivolte a una pluralita' di obiettivi ivi indicati. 
    Ad avviso della difesa statale, la disposizione in esame, per  il
fatto di attribuire a soggetti privati compiti ausiliari  rispetto  a
quelli della polizia locale,  lederebbe  innanzi  tutto  l'art.  118,
quarto comma, Cost., secondo  il  quale  l'iniziativa  dei  cittadini
singoli o associati per lo  svolgimento  di  attivita'  di  interesse
generale deve essere «autonoma  rispetto  ai  pubblici  poteri  e  in
rapporto di sussidiarieta' con essi». 
    La disposizione  sarebbe  parimenti  lesiva  dell'art.  3  Cost.,
perche' tutti gli enti del terzo settore (e non solo le  associazioni
di volontariato) dovrebbero poter svolgere le attivita' di  interesse
generale di cui all'art. 5 cod. terzo settore. Inoltre, vi sarebbe un
contrasto con l'art. 117, secondo comma, lettera l),  Cost.,  perche'
il legislatore regionale avrebbe omesso di  richiamare  la  normativa
nazionale  che  prevede,   quale   requisito   costitutivo   per   la
qualificazione degli enti del terzo settore, l'iscrizione al Registro
unico nazionale.  Inoltre,  le  singole  iniziative  richiamate  alle
lettere a) e b) dell'art. 18, comma 1, della legge reg. Veneto n.  24
del 2020 - rivolte rispettivamente a «fornire assistenza alla polizia
locale in occasione di eventi pubblici di particolare  rilievo»  e  a
«svolgere  attivita'  di  ausilio  nella  sorveglianza   dei   luoghi
pubblici, finalizzate ad  allertare  tempestivamente  gli  organi  di
polizia locale o nazionale per i necessari interventi, in conformita'
alle norme vigenti» - sarebbero estranee al novero delle attivita' di
interesse generale di cui al piu' volte richiamato art. 5 cod.  terzo
settore,  con  conseguente  invasione  nella   materia   «ordinamento
civile». 
    4.1.-  Tutti  i  motivi  di  ricorso  devono  essere   dichiarati
inammissibili d'ufficio. 
    Il ricorrente, senza operarne alcuna  graduazione,  pone  infatti
alla base dei propri motivi di impugnazione  assunti  contraddittori,
perche' rivolti - allo stesso tempo -  a  sostenere  l'illegittimita'
del  coinvolgimento  delle   associazioni   di   volontariato   nelle
iniziative previste dall'articolo in esame (in  virtu'  dell'asserito
contrasto con l'art. 118, quarto comma,  Cost.)  e  a  dolersi  della
mancata estensione di tale possibilita' agli  enti  costituiti  nelle
ulteriori forme associative previste dal  codice  del  terzo  settore
(cio' che si tradurrebbe in una violazione dell'art. 3  Cost.).  Tale
andamento contraddittorio e perplesso del ricorso  (sentenze  n.  232
del 2019 e n. 206 del 2001) si traduce nell'inidoneita' del  medesimo
a «evidenziare e spiegare il quomodo del  preteso  vulnus»  lamentato
(sentenza n. 135 del 2017), perche' esso formula  una  censura  -  la
mancata estensione dell'ambito di operativita' della disposizione  in
esame a tutti gli enti del terzo settore - che «smentisce  la  stessa
premessa da cui muove il ricorrente» (sentenza n. 297 del 2009), vale
a dire l'illegittimita' del coinvolgimento nelle attivita' in  parola
delle associazioni di cittadini (analogamente, sentenza  n.  325  del
2010). 
    Un'analoga  contraddittorieta'  mina  alla  radice  i  motivi  di
ricorso connessi alla temuta  invasione  della  materia  «ordinamento
civile», rendendoli parimenti inammissibili. Sul  punto,  tale  esito
deriva dal fatto che il ricorrente  postula  che  la  violazione  del
parametro costituzionale discenda, all'un tempo, dall'aver assimilato
alla disciplina del  terzo  settore  attivita'  che  ad  esso  devono
restare estranee (perche' non  rientranti  tra  quelle  di  interesse
generale di cui all'art. 5  cod.  terzo  settore),  e  dal  non  aver
rispettato le forme e i procedimenti che il codice stesso impone  per
lo svolgimento delle medesime attivita' ad opera  delle  associazioni
di volontariato (in particolare, per quanto riguarda l'iscrizione  al
registro unico nazionale di cui all'art. 11 cod. terzo settore). 
    5.- Con il secondo gruppo di censure, il Presidente del Consiglio
dei ministri impugna le previsioni contenute nei tre commi  dell'art.
8 della legge reg.  Veneto  n.  24  del  2020,  con  cui  sono  stati
disciplinati i profili organizzativi del servizio di polizia  locale,
relativi  ai  ruoli,  ai  distintivi  e  alle  caratteristiche  delle
dotazioni del personale di polizia locale. 
    6.- Con un autonomo motivo di ricorso, e' innanzi tutto impugnato
l'art. 8, commi 1 e 2, della legge regionale in  esame.  Il  comma  1
disciplina  la  struttura   organizzativa   della   polizia   locale,
articolando i ruoli funzionali sulla base di  quanto  previsto  dalla
legge  e  suddividendo   i   distintivi   di   grado   «fatto   salvo
l'inquadramento derivante dai contratti collettivi di lavoro», mentre
il comma 2 stabilisce che «[i] distintivi di grado di cui al comma  1
individuano i rapporti gerarchici  interni  all'apparato  di  polizia
locale, cui vanno ricondotte le qualifiche attribuite al personale di
polizia locale secondo il vigente ordinamento e non possono  incidere
sul rapporto giuridico ed economico del personale stesso». 
    Secondo il ricorrente, tali previsioni  lederebbero  l'art.  117,
secondo  comma,  lettera  l),  Cost.,  in  riferimento  alla  materia
«ordinamento  civile»,  perche'  attribuirebbero  la   qualifica   di
«ufficiale  o  agente  di  polizia  giudiziaria»  (e'  richiamata  la
sentenza di questa Corte n. 35 del  2011)  e  perche'  si  porrebbero
comunque in contrasto con gli artt. 6 e 7, comma 3, della legge n. 65
del 1986,  che  delimitano  gli  ambiti  di  intervento  della  legge
regionale in materia di polizia  locale  e  stabiliscono  un  diverso
regime di articolazione interna dei corpi di polizia  municipale.  Il
medesimo parametro costituzionale sarebbe, inoltre,  violato  perche'
la diversa articolazione in ruoli funzionali degli appartenenti  alla
polizia locale e l'individuazione di ulteriori  distintivi  di  grado
inciderebbero, soprattutto per i profili economici, sulla  disciplina
prevista dal contratto collettivo nazionale del comparto enti locali,
con la conseguente lesione anche dell'art. 3 Cost., per la disparita'
di trattamento che in questo modo verrebbe introdotta, e dell'art. 97
Cost., in riferimento al principio del buon andamento della  pubblica
amministrazione. 
    6.1.- Le questioni non sono fondate in relazione  ad  alcuno  dei
parametri evocati. 
    I profili di censura  riconducibili  alla  diversa  articolazione
strutturale del servizio di polizia locale rispetto a quanto previsto
dalla legge n. 65 del  1986  risultano  infatti  estranei  all'ambito
dell'ordinamento civile, perche' involgono con tutta evidenza profili
attinenti all'organizzazione del servizio e alla  suddivisione  degli
incarichi e dei ruoli funzionali, cio' che esclude ogni  interferenza
con i profili privatizzati del rapporto di lavoro,  in  relazione  ai
quali, secondo la costante giurisprudenza di questa  Corte  (sentenze
n. 42 del 2021, n. 189 e n. 128  del  2020),  assume  invece  rilievo
l'esigenza di una uniforme disciplina a livello statale. 
    Parimenti non pertinente  e'  l'evocazione  di  una  lesione  del
medesimo  parametro  costituzionale   in   ragione   della   asserita
attribuzione al personale della polizia  locale  della  qualifica  di
ufficiale o agente di polizia giudiziaria. Ancor  prima  di  rilevare
l'erroneita'  del  presupposto  interpretativo  da   cui   muove   il
ricorrente, posto  che  la  disposizione  in  esame  non  attribuisce
affatto tale qualifica agli  operatori  della  polizia  locale,  deve
essere infatti evidenziata l'inconferenza del richiamo  al  parametro
dell'ordinamento civile  (come,  del  resto,  attestato  anche  dalla
sentenza n. 35 del 2011, che il ricorso  pone  alla  base  delle  sue
censure  ma  che  era  riferita  al  diverso  ambito  di   competenza
dell'«ordinamento penale» di cui al medesimo art. 117, secondo comma,
lettera l, Cost.). 
    Ma non fondata e' anche la censura con  cui  il  ricorso  lamenta
l'invasione  della  riserva  di   competenza   statale   in   materia
civilistica,  derivante  dalle  ripercussioni   che   dalla   diversa
disciplina dei ruoli organizzativi e funzionali della polizia  locale
si ricaverebbero con riguardo a quanto previsto dalla  contrattazione
collettiva. 
    Ad escludere qualsiasi profilo di  contrasto  stanno,  in  questo
caso, le previsioni contenute nei  commi  oggetto  di  censura,  che,
all'atto di disporre la  riorganizzazione  del  servizio  di  polizia
locale, fanno esplicitamente  salvo  «l'inquadramento  derivante  dai
contratti collettivi nazionali di lavoro» (comma 1) ed escludono  che
la  nuova  suddivisione  dei  gradi  possa  «incidere  sul   rapporto
giuridico ed economico del personale» (comma 2). 
    Del resto, la riorganizzazione dei ruoli del servizio di  polizia
locale  prevista  dalle  disposizioni  in  esame  incide   unicamente
sull'attribuzione dei  distintivi  di  grado  (suddivisi  in  agenti,
sottufficiali,  ufficiali  e  comandanti)  e  si  limita  alla   sola
individuazione  dei  rapporti  gerarchici  interni  all'apparato   di
polizia locale (secondo quanto prevede il comma 2 dell'art. 8), senza
che  cio'  determini  alcuna  conseguenza  sui   profili   funzionali
dell'organizzazione del servizio, che restano incardinati  nei  ruoli
gia' previsti dalla legge (art. 8, comma 1). 
    L'insussistenza del vizio di violazione  dell'art.  117,  secondo
comma,  lettera  l),  Cost.  determina,  conseguentemente,   la   non
fondatezza delle censure consistenti nella lesione degli artt. 3 e 97
Cost., che hanno,  nell'impianto  del  ricorso  introduttivo,  natura
meramente ancillare rispetto a quella ora esaminata. 
    7.- Oggetto di censura e', inoltre,  l'art.  8,  comma  3,  della
legge reg. Veneto n. 24 del  2020,  ai  sensi  del  quale  la  Giunta
regionale  «definisce  con  proprio  atto  le  caratteristiche  delle
uniformi  e  dei  distintivi  di  grado  e   di   specialita'   degli
appartenenti alla polizia locale, valorizzandone  l'operativita'.  La
Giunta  regionale   definisce   altresi',   sentita   la   competente
commissione  consiliare,  le  caratteristiche  dei  mezzi   e   degli
strumenti operativi e di autotutela in dotazione». 
    Il ricorrente lamenta un contrasto con l'art. 6, comma 2,  numeri
4) e 5), della legge n. 65 del 1986, il quale prevede che le  Regioni
disciplinino  con  legge  le  caratteristiche  delle  uniformi,   dei
distintivi, dei mezzi e degli strumenti  operativi  in  dotazioni  ai
Corpi o ai servizi di polizia locale. Da questo  si  ricaverebbe  una
violazione dell'art. 117, secondo comma, lettera  l),  Cost.,  sempre
con riferimento alla materia «ordinamento civile». 
    7.1.- La questione e' inammissibile. 
    Il  ricorrente  formula,   infatti,   una   censura   logicamente
contraddittoria, perche' da un lato deduce  l'assenza  di  competenza
della Regione a intervenire in una materia riservata alla  competenza
esclusiva statale, ma dall'altro lato  si  duole  del  fatto  che  la
Regione non sia intervenuta proprio con legge, anziche'  autorizzando
l'adozione di un atto  della  Giunta  regionale,  a  disciplinare  le
uniformi  e  i  distintivi.  Ne  discende  l'inammissibilita'   della
questione, «non potendo  coesistere  -  se  non  in  un  rapporto  di
subordinazione, non dedotto nel ricorso - una censura  attinente  sia
all'an, sia  al  quomodo  dell'esercizio  della  potesta'  regionale»
(sentenze n. 35 del 2011 e n. 391 del 2006). 
    8.- Con il terzo e ultimo gruppo di censure,  il  Presidente  del
Consiglio dei ministri  impugna  le  disposizioni  della  legge  reg.
Veneto n. 24 del 2020 che prevedono, oltre alle intese e agli accordi
in tema di sicurezza integrata promossi dalla Regione (art. 3,  comma
2, lettera b, gia' esaminato supra, punti 2.2. e seguenti, in ragione
della connessione con altre censure), la  promozione  e  il  sostegno
alle politiche integrate per la sicurezza  sul  territorio  regionale
(art. 13, comma 2, lettere d, e, g e i). 
    8.1.- In vista della realizzazione di un  «sistema  integrato  di
sicurezza  nel  territorio  regionale»  (art.  13,   comma   1),   le
disposizioni impugnate prevedono  che  «la  Giunta  regionale  agisce
anche  mediante  accordi  sottoscritti  con  organi  e  autorita'  di
pubblica sicurezza ed enti locali, nel rispetto delle linee  generali
adottate ai sensi dell'articolo 2 del decreto-legge 20 febbraio 2017,
n. 14 convertito, con modificazioni dalla legge 18 aprile 2017, n. 48
nonche' cooperando con soggetti pubblici o privati, per realizzare  o
sostenere iniziative di interesse regionale volte in  particolare  a:
[...] 
    d) rafforzare e valorizzare  l'azione  coordinata  della  polizia
locale secondo i principi della presente legge, con azioni e progetti
finalizzati  al  potenziamento  strumentale  e   operativo   e   alla
condivisione  degli  strumenti  e  delle  procedure   necessarie   al
coordinamento  degli  apparati  di  sicurezza  per  la  gestione   di
specifici servizi e per obiettivi comuni; promuovere il potenziamento
e l'ampliamento degli organici di polizia locale; 
    e) promuovere e programmare  azioni  di  sistema  sul  territorio
regionale, coinvolgendo gli enti locali, le Polizie locali  ma  anche
le  forze  dell'ordine  per  l'ammodernamento  delle  metodologie  di
intervento, la lotta ad ogni forma di illegalita' e di  infiltrazione
criminale nel  tessuto  produttivo  e  sociale  della  Regione  anche
attraverso la partecipazione a specifici programmi comunitari; [...] 
    g) razionalizzare e potenziare i presidi  di  sicurezza  presenti
sul territorio regionale; [...] 
    i) costituire tavoli a livello provinciale per la  definizione  e
l'implementazione continua delle politiche per la sicurezza». 
    8.1.1.- Il  ricorrente  deduce  la  violazione  della  competenza
esclusiva statale in materia di ordine  pubblico  e  sicurezza  (art.
117, secondo comma, lettera h, Cost.), perche' il sistema  introdotto
dal legislatore veneto (e in particolare la previsione  di  cui  alla
lettera d) si porrebbe in contrasto con  la  normativa  nazionale  in
materia di presidio del territorio e di coordinamento delle forze  di
polizia di cui alla legge 1° aprile 1981, n. 121  (Nuovo  ordinamento
dell'Amministrazione  della  pubblica   sicurezza).   Le   iniziative
previste dalle lettere e), g) e i), oltre a non mostrarsi conformi  a
quanto previsto dall'art. 2 del d.l. n. 14 del 2017, come convertito,
che prevede il coinvolgimento dei prefetti dei Comuni capoluogo,  non
sarebbero  compatibili  «con   i   processi   di   pianificazione   e
razionalizzazione dei presidi di polizia, che  l'ordinamento  rimette
alla competenza strettamente statale». 
    Ad avviso della difesa regionale, le disposizioni  in  esame  non
mirerebbero in alcun modo a sottrarre competenze di pianificazione  e
gestione degli  interventi  di  ordine  pubblico  al  prefetto  o  al
questore,  essendo  rivolte  unicamente  a   sollecitare   iniziative
serventi rispetto all'espletamento dei compiti di pubblica sicurezza,
che restano in capo agli organi statali. Cio' varrebbe in relazione a
tutti gli ambiti di  intervento  di  cui  alle  singole  disposizioni
impugnate, per i quali il legislatore regionale ha  inteso  prevedere
forme di coinvolgimento da realizzare in  un'ottica  collaborativa  e
con una valenza meramente sollecitatoria e programmatica. 
    8.2.- Il ricorso deve ritenersi parzialmente fondato in relazione
all'art. 13, comma 2, lettera d), e fondato in relazione alle lettere
e) e g) del medesimo comma. 
    Come questa Corte ha  costantemente  ribadito,  a  partire  dalla
sentenza n. 285 del 2019, l'approdo a una  «declinazione  pluralista»
del concetto di sicurezza  fa  si'  che  «[l]a  potesta'  legislativa
regionale puo' essere esercitata non solo per  disciplinare  generici
interessi pubblici, come pure affermato nella  sentenza  n.  290  del
2001, ma anche per  garantire  beni  giuridici  fondamentali  tramite
attivita' diverse dalla prevenzione e repressione dei  reati»,  anche
in considerazione della circostanza che «l'endiadi "ordine pubblico e
sicurezza" [...] allude a una materia in senso proprio, e cioe' a una
materia  oggettivamente  delimitata  che  di  per  se'  non   esclude
l'intervento regionale in settori ad essa liminari» (sentenze n.  236
e n. 177 del 2020). 
    Ad  assumere  un  valore  dirimente,  nella   valutazione   della
legittimita' di interventi regionali nella materia de qua, e'  quindi
la circostanza che la Regione, pur dettando una disciplina  idonea  a
ripercuotersi sulla sicurezza dei cittadini in senso lato,  curi  pur
sempre interessi  riconducibili  ad  ambiti  di  competenza  ad  essa
attribuiti e, in ogni caso, non giunga in alcun  modo  a  interferire
con la  riserva  alla  legge  statale  del  compito  di  prevenire  e
reprimere i reati, che  identifica  l'ambito  della  materia  «ordine
pubblico e sicurezza» (art. 117, secondo  comma,  lettera  h,  Cost.)
indeclinabilmente connesso alla necessita' di una disciplina uniforme
sul territorio nazionale. 
    In applicazione di tali principi,  la  giurisprudenza  di  questa
Corte ha di recente ritenuto che non interferisse con l'esercizio  di
competenze statali nella materia in  questione  ne'  «l'attivita'  di
conoscenza, formazione e  ricerca»  posta  in  essere  dalla  Regione
(sentenza n. 208 del 2018), ne' la  promozione  della  cultura  della
legalita' (sentenza n. 177 del 2020, e, ancora prima, sentenza n.  35
del 2012), e neanche la predisposizione di  programmi  di  promozione
culturale  e  finanziamenti  regionali  nell'ambito   dell'educazione
scolastica, volti a contrastare il cyberbullismo (sentenza n. 116 del
2019). 
    Per altro verso,  questa  Corte  non  ha  mancato  di  dichiarare
l'illegittimita'  costituzionale  di   leggi   regionali   idonee   a
determinare un'interferenza, anche solo  potenziale,  nell'azione  di
prevenzione  e  repressione  dei  reati,  riservata  alla  competenza
esclusiva statale.  Con  la  sentenza  n.  177  del  2020,  e'  stata
dichiarata costituzionalmente illegittima una disposizione  di  legge
regionale (l'art. 6, comma 2, lettera k, della  legge  della  Regione
Puglia 28 marzo 2019, n. 14,  recante  «Testo  unico  in  materia  di
legalita', regolarita' amministrativa e sicurezza») che, per il fatto
di prevedere l'istituzione di una «banca  dati  dei  beni  confiscati
alla criminalita' organizzata esistenti  sul  territorio  regionale»,
determinava un'interferenza con la funzione riservata alla banca dati
nazionale istituita presso l'Agenzia nazionale per  l'amministrazione
e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalita'
organizzata ai sensi dell'art. 96 del decreto legislativo 6 settembre
2011, n.  159  (Codice  delle  leggi  antimafia  e  delle  misure  di
prevenzione, nonche' nuove disposizioni in materia di  documentazione
antimafia, a norma degli articoli 1 e 2 della legge 13  agosto  2010,
n. 136). 
    Successivamente, con la sentenza n. 236 del 2020, questa Corte ha
dichiarato l'illegittimita' costituzionale della legge della  Regione
Veneto istitutiva del controllo  di  vicinato  (legge  della  Regione
Veneto 8 agosto 2019, n. 34, recante «Norme per il riconoscimento  ed
il  sostegno  della  funzione  sociale  del  controllo  di   vicinato
nell'ambito  di  un  sistema   di   cooperazione   interistituzionale
integrata per la promozione  della  sicurezza  e  della  legalita'»),
perche' - tra l'altro - essa pretendeva di assegnare a tali forme  di
organizzazione  e  mobilitazione  dei   cittadini   il   compito   di
contribuire   funzionalmente    «all'attivita'    istituzionale    di
prevenzione generale e controllo del territorio»,  cio'  che  rientra
nella specifica finalita' di prevenzione  dei  reati,  estranea  alle
competenze della Regione.  Oltre  a  cio',  la  stessa  possibilita',
prevista dall'art. 2, comma 4, della legge regionale ora  citata,  di
stipulare accordi o protocolli di intesa tra Uffici territoriali  del
Governo ed enti locali «in materia di tutela dell'ordine e  sicurezza
pubblica», e' stata ritenuta in contrasto  con  l'art.  117,  secondo
comma, lettera h), Cost., in ragione dell'estraneita' delle attivita'
riconducibili  al  controllo  di  vicinato  rispetto   alle   ipotesi
disciplinate dal legislatore statale con il gia' citato  d.l.  n.  14
del 2017, come convertito, e dalle Linee generali con cui ad esso  si
e' data attuazione. 
    8.3.- Le disposizioni contenute nell'art.  13  della  legge  reg.
Veneto n. 24 del 2020 attribuiscono alla Giunta regionale  il  potere
di agire, anche mediante accordi sottoscritti ai sensi del d.l. n. 14
del 2017, come  convertito,  e  nel  rispetto  delle  Linee  generali
adottate  sulla  base  dell'art.  2  di  questo,  per  «realizzare  o
sostenere» una serie di iniziative rivolte a finalita'  riconducibili
ad ambiti di intervento eterogenei. 
    Talune  di  queste  finalita',  incluse  nelle  disposizioni  non
oggetto di impugnazione,  possono  essere  ricondotte  a  settori  di
intervento che  rientrano  nel  novero  delle  competenze  regionali,
perche' connesse al perseguimento di finalita'  culturali  (come  nel
caso della lettera a, riguardante la diffusione della «cultura  della
legalita' e della cittadinanza responsabile per combattere ogni forma
di criminalita' e  di  corruzione»),  allo  svolgimento  dei  servizi
sociali (in relazione alla  lettera  b,  concernente  le  cause  e  i
processi «di esclusione,  devianza  e  instabilita'  sociale»)  o  al
coordinamento tra enti  locali  e  cittadini  «per  l'elaborazione  e
valutazione condivisa delle politiche di sicurezza» (lettera c). 
    Per queste finalita',  deve  pertanto  ritenersi  che  la  Giunta
regionale  possa  operare  autonomamente,  realizzando  o  sostenendo
iniziative di  interesse  regionale  che  possono  prescindere  dalla
stipula degli  accordi  regolati  dal  d.l.  n.  14  del  2017,  come
convertito, perche' le attivita' ivi previste risultano  estranee  ai
settori di  intervento  riservati  a  tali  accordi,  secondo  quanto
previsto anche dalle Linee generali delle politiche pubbliche per  la
sicurezza integrata. 
    8.4.- Lo stesso non e' a dirsi per le finalita' richiamate  nelle
disposizioni oggetto di impugnazione di cui alle  lettere  d)  -  con
l'esclusione del richiamo al  «potenziamento  e  l'ampliamento  degli
organici di polizia locale» -, e) e g) del comma in esame. 
    A  differenza  delle  previsioni   contenute   in   altre   parti
dell'articolo impugnato, prima  menzionate,  quelle  contenute  nelle
lettere d), e) e g) dell'art. 13, comma 2, della legge reg. Veneto n.
24 del 2020 mostrano, pur dietro una formulazione talvolta  oscura  e
ridondante, l'impiego di formule chiaramente espressive  dell'intento
del legislatore regionale di intervenire in ambiti riconducibili alla
«sicurezza  primaria».   Il   richiamo   a   espressioni   quali   la
«condivisione  degli  strumenti  e  delle  procedure  necessarie   al
coordinamento  degli  apparati  di  sicurezza  per  la  gestione   di
specifici  servizi  e  per  obiettivi  comuni»,   la   promozione   e
programmazione  di  «azioni  di  sistema  sul  territorio  regionale,
coinvolgendo gli enti locali, le Polizie locali  ma  anche  le  forze
dell'ordine per l'ammodernamento delle metodologie di intervento,  la
lotta ad ogni forma di illegalita' e di infiltrazione  criminale  nel
tessuto produttivo e sociale della Regione»,  nonche'  l'esigenza  di
«razionalizzare e potenziare i  presidi  di  sicurezza  presenti  sul
territorio regionale», denota innanzi tutto una  censurabile  tecnica
legislativa, consistente nell'alternare formule e stilemi chiaramente
riconducibili ad aree di  intervento  sottratte  alla  disponibilita'
della Regione (come quelle ora richiamate), con previsioni invece non
esorbitanti dalle sue attribuzioni, come quella  che,  nella  lettera
d), individua quale iniziativa da perseguire da  parte  della  Giunta
«promuovere  il  potenziamento  e  l'ampliamento  degli  organici  di
polizia locale». 
    Cio'  che  tuttavia  e'  decisivo,  al  di  la'   della   tecnica
legislativa  impiegata,  e',  per  un  verso,   l'estraneita'   delle
iniziative in parola  ad  ambiti  funzionalmente  riconducibili  alle
competenze devolute alla cura della Regione nonche', per altro  verso
e specularmente, l'assenza di qualsiasi continuita' tra il  contenuto
di tali iniziative e i settori nei quali, per effetto  dell'opera  di
coordinamento posta in essere, ai sensi dell'art.  118,  terzo  comma
Cost., dal legislatore statale con l'adozione  del  d.l.  n.  14  del
2017, come convertito, possono essere stipulati gli accordi tra Stato
e Regioni nell'ambito della sicurezza integrata. 
    Dal primo punto di vista, le previsioni di cui alle lettere d)  -
con l'esclusione della finalita' di «promuovere  il  potenziamento  e
l'ampliamento  degli  organici  di  polizia  locale»  -,  e)   e   g)
attribuiscono alla Giunta  regionale  il  compito  di  «realizzare  o
sostenere» iniziative in settori per  i  quali,  se  e'  evidente  il
rischio di un'interferenza sui compiti istituzionali delle  autorita'
statali preposte alla pubblica sicurezza  (dal  «coordinamento  degli
apparati di sicurezza» al coinvolgimento delle forze dell'ordine «per
l'ammodernamento  delle  metodologie  di   intervento»,   fino   alla
razionalizzazione e al potenziamento dei presidi di  sicurezza),  non
risulta, ancora prima, affatto chiaro «quali siano i  precisi  ambiti
materiali, distinti appunto dall'ordine pubblico e dalla sicurezza, e
in  ipotesi  riconducibili  alla  sfera  di   competenza   regionale,
interessati dalla disciplina all'esame» (sentenza n. 236 del 2020). 
    Ad  aggravare  il   rischio   di   una   possibile   interferenza
sull'autonoma assunzione  delle  scelte  organizzative  e  funzionali
delle autorita' statali in materia di ordine  pubblico  e  sicurezza,
inoltre,  sta  la  circostanza  che  le  «iniziative   di   interesse
regionale» in esame non sono univocamente ricondotte  a  una  cornice
pattizia (come e' nel caso deciso di recente dalla  sentenza  n.  161
del  2021),  perche'  alla  Giunta  viene  attribuito  il  potere  di
«realizzare o  sostenere»  tali  iniziative,  cosi'  prefigurando  la
possibilita' di un intervento diretto, che si spinga al di la'  della
semplice attivita' di stimolo o di impulso in vista della conclusione
di accordi con le autorita' statali. 
    Dal secondo punto di vista, le previsioni impugnate non risultano
in ogni caso riconducibili alle forme di coordinamento  fra  Stato  e
Regioni in materia di ordine pubblico  e  sicurezza  contemplate  dal
d.l. n. 14 del  2017,  come  convertito,  e  dalle  richiamate  Linee
generali  delle  politiche  pubbliche  per  la  sicurezza  integrata,
previste dall'art. 2 di esso e approvate dalla  Conferenza  unificata
in esito all'accordo ivi raggiunto il 24 gennaio 2018. 
    A  quanto  gia'  osservato  supra,  al  punto  2.2.1.,  si   deve
aggiungere che il perimetro operativo  degli  accordi  nella  materia
della sicurezza integrata si identifica con i «settori di intervento»
previsti dall'art. 2, comma 1, del d.l. n. 14 del 2017, come piu' nel
dettaglio individuati dalle Linee generali.  Tali  settori,  relativi
specificamente allo scambio informativo tra polizia locale e Forze di
polizia, all'interconnessione delle sale operative e all'utilizzo  in
comune di sistemi di sicurezza tecnologica, nonche' all'aggiornamento
professionale  integrato   del   personale,   non   mostrano   alcuna
connessione con quelli oggetto di disciplina ad opera del legislatore
veneto,  che  prevedono  invece  un  insieme   ben   piu'   ampio   e
indeterminato di iniziative: cio'  che  determina,  anche  da  questo
punto di  vista,  il  concreto  rischio  di  un'interferenza  con  lo
svolgimento di compiti riservati nella materia de qua alle  autorita'
statali. 
    Deve, pertanto, essere dichiarata l'illegittimita' costituzionale
dell'art.  13,  comma  2,  lettera  d),  limitatamente  alle   parole
«rafforzare e valorizzare l'azione coordinata  della  polizia  locale
secondo i principi  della  presente  legge,  con  azioni  e  progetti
finalizzati  al  potenziamento  strumentale  e   operativo   e   alla
condivisione  degli  strumenti  e  delle  procedure   necessarie   al
coordinamento  degli  apparati  di  sicurezza  per  la  gestione   di
specifici servizi e per obiettivi comuni;», e lettere e) e g),  della
legge reg. Veneto n. 24 del 2020. 
    8.5.-  Non  e'  invece  fondata  la  questione  di   legittimita'
costituzionale  dell'art.  13,  comma  2,  lettera  i),  della  legge
regionale impugnata. 
    Tale disposizione prevede che la  Giunta  regionale,  secondo  le
modalita' gia' esaminate, possa realizzare o sostenere iniziative  di
interesse  regionale  rivolte  a   «costituire   tavoli   a   livello
provinciale per la definizione  e  l'implementazione  continua  delle
politiche per la sicurezza». 
    Le  ravvisate  ragioni  di  contrasto  tra  le  altre  previsioni
impugnate del medesimo art. 13 e la riserva di competenza allo  Stato
in materia di ordine pubblico e sicurezza non sussistono con riguardo
alla disposizione ora in esame, poiche' essa  -  a  differenza  dalle
precedenti - non determina alcuno sconfinamento  rispetto  ad  ambiti
riservati alla «sicurezza primaria» e,  pertanto,  non  si  presta  a
determinare alcuna interferenza, neanche  potenziale,  sull'esercizio
delle relative attribuzioni ad opera delle autorita' statali e  delle
forze di polizia. 
    I «tavoli» che essa prefigura, infatti, costituiscono delle  sedi
di coordinamento contemplate dalle  gia'  richiamate  Linee  generali
attuative dell'art. 2 e seguenti  del  d.l.  n.  14  del  2017,  come
convertito, nelle quali si prevede che, a valle della  stipula  degli
accordi  ivi  previsti,  debbano  essere  istituiti  «tavoli  tecnici
composti da rappresentanti della Prefettura Capoluogo  di  Regione  e
della  Regione,  con  la  partecipazione,  di  volta  in  volta,  dei
rappresentanti  dei  Comuni  capoluogo  e  degli  altri  enti  locali
interessati», i quali operano, ai sensi dell'art.  3,  comma  4,  del
d.l. n. 14 del 2017, come  «strumenti  e  modalita'  di  monitoraggio
dell'attuazione degli accordi» sulla sicurezza integrata. 
    La loro previsione ad  opera  del  legislatore  regionale  appare
dunque finalizzata, in prima battuta,  a  creare  le  condizioni  per
l'istituzione di tali sedi di monitoraggio, cui  sara'  demandato  il
compito di verificare  l'attuazione  degli  accordi  che  la  Regione
potra' sottoscrivere ai sensi delle richiamate disposizioni del  d.l.
n. 14 del 2017, come convertito, con  riferimento  quanto  meno  alle
iniziative contemplate dalle lettere f) e h) del  medesimo  art.  13,
comma 2, della legge reg. Veneto n.  24  del  2020,  non  oggetto  di
censura, relative ad ambiti di intervento  afferenti  alla  sicurezza
integrata come, rispettivamente, l'attivazione  e  l'adeguamento  dei
sistemi informativi e  tecnologici  per  la  sicurezza  «al  fine  di
realizzare sistemi integrati che favoriscano l'interoperabilita' e lo
scambio informativo, nonche' l'attivita' di raccolta, elaborazione  e
utilizzo delle banche dati», e la pianificazione e  la  realizzazione
di «attivita' di  formazione  sia  al  lavoro  che  sul  lavoro,  per
selezionare  nuovi  operatori  di  polizia  locale  e  aggiornare   o
riqualificare il personale gia' in servizio». 
    La disposizione contenuta nell'art.  13,  comma  2,  lettera  i),
della legge reg. Veneto n. 24  del  2020  e',  dunque,  immune  dalle
censure contenute nel ricorso introduttivo del presente giudizio.