ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 656,  comma
9, lettera a), del codice di procedura penale,  nella  parte  in  cui
richiama il secondo comma dell'art. 572 del codice  penale,  inserito
dall'art. 9, comma 2, lettera b), della legge 19 luglio 2019,  n.  69
(Modifiche al codice penale, al codice di procedura  penale  e  altre
disposizioni in materia di tutela delle vittime di violenza domestica
e  di  genere),  promosso  dalla  Corte  d'appello  di  Bologna   nel
procedimento penale a carico di F. P., con ordinanza del 16  dicembre
2019, iscritta al n. 9 del registro ordinanze 2021 e pubblicata nella
Gazzetta Ufficiale della  Repubblica  n.  6,  prima  serie  speciale,
dell'anno 2021. 
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nella camera di consiglio del  7  luglio  2021  il  Giudice
relatore Stefano Petitti; 
    deliberato nella camera di consiglio del 7 luglio 2021. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza del 16 dicembre 2019,  iscritta  al  n.  9  del
registro ordinanze 2021, la Corte d'appello di Bologna  ha  sollevato
questioni di legittimita'  costituzionale  dell'art.  656,  comma  9,
lettera a), del codice di  procedura  penale,  nella  parte  in  cui,
richiamando  il  secondo  comma  dell'art.  572  del  codice  penale,
inserito dall'art. 9, comma 2, lettera  b),  della  legge  19  luglio
2019, n. 69 (Modifiche al  codice  penale,  al  codice  di  procedura
penale e altre disposizioni in materia di  tutela  delle  vittime  di
violenza  domestica  e  di  genere),  «prevede  che   il   reato   di
maltrattamenti in famiglia commesso in presenza di minori e' ostativo
alla sospensione dell'ordine di esecuzione, senza prevedere un regime
transitorio  che  dichiari  applicabile  tale  norma  solo  ai  fatti
commessi successivamente» all'entrata in vigore della legge medesima. 
    Considerate la «natura afflittiva o intrinsecamente  punitiva»  e
la «rilevanza sostanziale» della disposizione  censurata,  in  quanto
incidente sulla «portata della  pena»,  il  rimettente  sospetta  che
l'applicazione  della  stessa   ai   fatti   commessi   anteriormente
all'entrata in vigore della legge n. 69 del 2019 violi gli  artt.  3,
13, 25, secondo  comma,  e  117,  primo  comma,  della  Costituzione,
quest'ultimo  in  relazione  all'art.  7  della  Convenzione  per  la
salvaguardia dei diritti  dell'uomo  e  delle  liberta'  fondamentali
(CEDU), firmata  a  Roma  il  4  novembre  1950,  ratificata  e  resa
esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848. 
    1.1.- La Corte d'appello di Bologna riferisce di dover provvedere
sull'istanza con la quale F. P. ha chiesto  sospendersi  l'ordine  di
carcerazione emesso nei  suoi  confronti  il  23  settembre  2019  in
esecuzione di una sentenza passata in giudicato  il  26  luglio  2019
recante condanna inflittagli per il reato aggravato di cui agli artt.
572 e 61, primo comma, numero 11-quinquies),  cod.  pen.,  avente  ad
oggetto maltrattamenti in danno della moglie commessi in presenza  di
minori «dal 2011 al mese di maggio 2017». 
    Sull'assunto che questo titolo di  reato  sia  divenuto  ostativo
alla sospensione dell'ordine di esecuzione della pena detentiva  solo
con l'entrata in vigore della legge n. 69 del 2019, quindi solo il  9
agosto 2019, il giudice a quo reputa che un'applicazione  retroattiva
della modifica normativa, seppur conforme al diritto vivente ispirato
al principio  tempus  regit  actum  in  materia  esecutiva,  oltre  a
rimettere  la   maggiore   o   minore   severita'   del   trattamento
sanzionatorio al  dato  casuale  del  diverso  tempo  di  attivazione
dell'organo esecutivo,  sia  lesiva  della  garanzia  sostanziale  di
irretroattivita' delle norme penali  (viene  richiamata  la  sentenza
della Corte europea dei diritti dell'uomo, grande camera, 21  ottobre
2013, Del Rio Prada contro Spagna). 
    1.2.- In ordine alla rilevanza delle questioni, il giudice a  quo
osserva che «l'assenza di una disciplina  transitoria  ha  comportato
l'emissione dell'ordine di esecuzione per la carcerazione e, in  caso
di  dichiarata  incostituzionalita',  il  P.  otterrebbe  l'immediata
sospensione dell'ordine di esecuzione, aprendosi per lui  il  termine
per  proporre  richiesta,  da  libero,  di  misure  alternative  alla
detenzione». 
    D'altro  canto,  «[l]'esistenza  di  un  diritto  vivente   cosi'
granitico in tema di applicazione del principio tempus regit actum in
materia  esecutiva»   renderebbe   impraticabile   un'interpretazione
adeguatrice della disposizione censurata. 
    2.- E' intervenuto in giudizio il Presidente  del  Consiglio  dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, che ha chiesto dichiararsi le questioni  inammissibili,  sotto
due convergenti profili, entrambi  riferiti  all'asserita  erroneita'
della mancata sospensione dell'ordine di carcerazione, emendabile dal
giudice dell'esecuzione con l'immediata declaratoria  di  inefficacia
dell'ordine stesso. 
    2.1.- In primo luogo, il titolo di reato per cui e' stata  emessa
la condanna di F. P.,  cioe'  maltrattamenti  in  famiglia  aggravati
dalla presenza di minore, non avrebbe avuto effetto ostativo al tempo
della  sospensione  dell'ordine  di  esecuzione,  effetto   viceversa
correlato al solo delitto di maltrattamenti in danno di minore. 
    2.2.- Inoltre, la sospensione dell'ordine di carcerazione avrebbe
dovuto essere disposta in base alla disciplina vigente alla data  del
passaggio in giudicato della condanna, cioe' al 26 luglio 2019, senza
che potesse venire in rilievo la modifica normativa di cui alla legge
n. 69 del 2019, entrata in vigore solo  il  9  agosto  2019,  essendo
irrilevante che l'ordine  stesso  sia  stato  emesso  posteriormente,
ossia  in  data  23  settembre  2019,  giacche'  «eventuali   ritardi
nell'esecuzione   non   possono   avere   alcuna   incidenza    sulla
individuazione della normativa applicabile al caso concreto». 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- La Corte d'appello di Bologna (reg. ord. n. 9  del  2021)  ha
sollevato questioni di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  656,
comma 9, lettera a), del codice di procedura penale, nella  parte  in
cui, richiamando il secondo comma dell'art. 572  del  codice  penale,
inserito dall'art. 9, comma 2, lettera  b),  della  legge  19  luglio
2019, n. 69 (Modifiche al  codice  penale,  al  codice  di  procedura
penale e altre disposizioni in materia di  tutela  delle  vittime  di
violenza  domestica  e  di  genere),  «prevede  che   il   reato   di
maltrattamenti in famiglia commesso in presenza di minori e' ostativo
alla sospensione dell'ordine di esecuzione, senza prevedere un regime
transitorio  che  dichiari  applicabile  tale  norma  solo  ai  fatti
commessi successivamente» all'entrata in vigore della legge medesima. 
    Il rimettente prospetta la violazione  degli  artt.  3,  13,  25,
secondo comma, e 117, primo comma, della  Costituzione,  quest'ultimo
in relazione all'art. 7 della Convenzione  per  la  salvaguardia  dei
diritti dell'uomo e delle liberta'  fondamentali  (CEDU),  firmata  a
Roma il 4 novembre 1950, ratificata e  resa  esecutiva  con  legge  4
agosto  1955,  n.  848,  in  quanto  l'applicazione  del  divieto  di
sospensione  dell'ordine  di  esecuzione  della  pena  detentiva  per
maltrattamenti aggravati dalla  presenza  di  minore  commessi  prima
dell'entrata in vigore della legge n. 69  del  2019  -  che  ha  reso
questo titolo di reato  ostativo  alla  sospensione  -  lederebbe  la
garanzia costituzionale e  convenzionale  di  irretroattivita'  delle
norme penali ad effetti sostanziali,  quelle  incidenti  cioe'  sulla
portata effettiva della pena. 
    1.1.- Il giudice a quo riferisce di dover provvedere sull'istanza
con la quale F. P. ha chiesto sospendersi  l'ordine  di  carcerazione
emesso nei suoi confronti il 23 settembre 2019 in esecuzione  di  una
sentenza passata in giudicato il  26  luglio  2019  recante  condanna
inflittagli per il reato aggravato di cui agli artt. 572 e 61,  primo
comma,  numero  11-quinquies),   cod.   pen.,   avente   ad   oggetto
maltrattamenti in danno della moglie commessi in presenza  di  minori
«dal 2011 al mese di maggio 2017». 
    Le questioni sarebbero  rilevanti  poiche'  l'accoglimento  delle
stesse consentirebbe a F. P. di ottenere la  sospensione  dell'ordine
di carcerazione e chiedere quindi, da libero, una misura  alternativa
alla detenzione; effetto che il rimettente dichiara non  conseguibile
altrimenti, attesa  la  sussistenza  di  «un  diritto  vivente  cosi'
granitico in tema di applicazione del principio tempus regit actum in
materia esecutiva» da impedire ogni interpretazione adeguatrice della
norma censurata. 
    2.- Intervenuto in giudizio,  il  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri ha chiesto dichiararsi le questioni  inammissibili,  poiche'
la mancata sospensione dell'ordine di carcerazione di F.  P.  sarebbe
frutto  di  errori  interpretativi  e  applicativi,  che  il  giudice
dell'esecuzione potrebbe emendare da se', senza alcuna necessita'  di
sollevare incidente di costituzionalita'. 
    Ad avviso dell'interveniente, sarebbe stato  erroneo  considerare
ostativo alla sospensione  dell'ordine  di  esecuzione  il  reato  di
maltrattamenti in presenza di  minori,  giacche'  l'effetto  ostativo
andrebbe  correlato  ai  soli  maltrattamenti  in  danno  di  minori;
inoltre, la sospensione dell'ordine di  carcerazione  avrebbe  dovuto
essere disposta  in  base  alla  disciplina  vigente  alla  data  del
passaggio in giudicato della condanna, cioe' al 26 luglio 2019, senza
applicare la modifica normativa di cui alla legge  n.  69  del  2019,
entrata in vigore solo il 9 agosto 2019, non avendo alcuna  rilevanza
che l'ordine stesso sia stato emesso posteriormente, ossia in data 23
settembre 2019. 
    3.- Tali eccezioni di inammissibilita' non sono fondate. 
    Il giudice a quo ha ritenuto che, malgrado il carattere  ostativo
del titolo di reato  dei  maltrattamenti  familiari  in  presenza  di
minori sia sopravvenuto al fatto-reato commesso da F. P.,  e  persino
alla formazione del giudicato nei confronti  dello  stesso,  tuttavia
l'ordine di esecuzione  della  condanna  non  avrebbe  potuto  essere
sospeso  in  ragione  del  principio  tempus  regit  actum,  la   cui
operativita' in materia esecutiva era imposta dal diritto vivente. 
    3.1.- Questi argomenti sono tutt'altro che incoerenti rispetto al
quadro  interpretativo  consolidato  al  momento  dell'ordinanza   di
rimessione, effettivamente dominato dal principio tempus regit  actum
in materia esecutiva, fermo  che  l'actus  di  riferimento  temporale
avrebbe  dovuto   individuarsi,   per   l'appunto,   nell'ordine   di
carcerazione della  cui  sospensione  trattasi,  elemento  essenziale
della fattispecie  complessa  destinata  a  culminare  nell'eventuale
concessione delle misure alternative (Corte  di  cassazione,  sezione
prima penale, sentenza 6 giugno 2019, n. 25212). 
    Tanto  basta  ad  escludere  l'eccepita  inammissibilita'   delle
questioni in scrutinio, atteso che il sindacato di questa  Corte  sul
giudizio  di  rilevanza  della  questione  incidentale  ha  carattere
«esterno», si arresta cioe' alla soglia della  «non  implausibilita'»
della motivazione dell'ordinanza di rimessione (ex plurimis, sentenze
n. 59, n. 32, n. 22 e n. 15 del 2021,  n.  267  e  n.  32  del  2020;
ordinanze n. 117 del 2017 e n. 47 del 2016). 
    4.- Nel merito, le questioni non sono fondate, nei sensi  di  cui
appresso. 
    5.- Con la sentenza n.  32  del  2020,  questa  Corte,  ritenendo
necessaria «una complessiva rimeditazione della portata  del  divieto
di retroattivita' sancito dall'art.  25,  secondo  comma,  Cost.,  in
relazione alla disciplina dell'esecuzione della pena»,  ha  affermato
che la regola di diritto vivente secondo cui le  pene  devono  essere
eseguite in base alla legge in vigore al momento  dell'esecuzione,  e
non in base a quella in vigore al tempo della commissione del  reato,
soffre «un'eccezione allorche' la normativa sopravvenuta non comporti
mere modifiche delle modalita' esecutive della  pena  prevista  dalla
legge al momento del reato, bensi' una  trasformazione  della  natura
della pena, e della sua concreta incidenza sulla  liberta'  personale
del condannato». 
    Cio' la sentenza medesima ha affermato anche per  il  divieto  di
sospensione dell'ordine di esecuzione della  pena  detentiva  di  cui
all'art. 656, comma 9, lettera  a),  cod.  proc.  pen.,  non  essendo
decisiva in senso contrario la collocazione  della  disposizione  nel
codice di  rito,  atteso  che  quel  divieto  «produce  l'effetto  di
determinare l'inizio dell'esecuzione  della  pena  stessa  in  regime
detentivo, in attesa  della  decisione  da  parte  del  tribunale  di
sorveglianza  sull'eventuale  istanza  di  ammissione  a  una  misura
alternativa; e dunque comporta che una parte almeno  della  pena  sia
effettivamente  scontata  in  carcere,  anziche'  con  le   modalita'
extramurarie che erano consentite - per l'intera  durata  della  pena
inflitta  -  sulla  base  della  legge  vigente  al   momento   della
commissione del fatto». 
    Enunciata a proposito dell'art. 1, comma  6,  lettera  b),  della
legge 9 gennaio 2019, n. 3 (Misure per il contrasto dei reati  contro
la pubblica amministrazione, nonche' in materia di  prescrizione  del
reato e in materia di trasparenza dei partiti e movimenti  politici),
la medesima ratio non puo' che valere in ogni ipotesi nella quale  il
legislatore estenda il novero dei  reati  ostativi  alla  sospensione
dell'ordine di esecuzione della pena detentiva senza  una  disciplina
transitoria  mirata  ad  escludere  dall'inasprimento   normativo   i
condannati che abbiano  commesso  il  fatto  anteriormente  alla  sua
entrata in vigore. 
    5.1.- Al cospetto di un diritto  vivente  univocamente  orientato
all'indiscriminata applicazione del principio tempus regit  actum  in
materia esecutiva, questa Corte,  nella  sopra  citata  sentenza,  ha
ritenuto di  non  poter  adottare  una  pronuncia  interpretativa  di
rigetto, e ha cosi' dichiarato l'illegittimita' costituzionale -  per
contrasto con l'art. 25, secondo comma, Cost. - dell'art. 1, comma 6,
lettera b), della legge n. 3 del 2019, «in quanto  interpretato»  nel
senso imposto da quel medesimo diritto vivente. 
    Modificando il quadro interpretativo  del  regime  intertemporale
delle novelle incidenti sulla disciplina dell'esecuzione della  pena,
tale declaratoria di illegittimita' costituzionale ha  restituito  ai
giudici comuni la possibilita' - e quindi il dovere - di interpretare
in senso costituzionalmente adeguato  ogni  sopravvenienza  normativa
che muti quella disciplina in peius. 
    5.2.- Per dette ragioni, con la sentenza n. 193 del 2020,  questa
Corte, chiamata a pronunciarsi su questioni analoghe alle  odierne  -
sollevate, in riferimento agli artt. 25, secondo comma, e 117,  primo
comma, Cost., quest'ultimo in relazione all'art. 7 CEDU, nei riguardi
dell'art. 3-bis, comma 1, del decreto-legge 18 febbraio  2015,  n.  7
(Misure urgenti per il contrasto del  terrorismo,  anche  di  matrice
internazionale, nonche' proroga delle missioni  internazionali  delle
Forze armate e di polizia, iniziative di cooperazione allo sviluppo e
sostegno  ai  processi  di  ricostruzione   e   partecipazione   alle
iniziative delle Organizzazioni internazionali per il  consolidamento
dei  processi  di  pace  e  di  stabilizzazione),   convertito,   con
modificazioni, nella legge 17 aprile 2015, n. 43, nella parte in cui,
stabilendo l'esclusione della sospensione dell'ordine  di  esecuzione
per il reato di favoreggiamento dell'immigrazione  clandestina,  «non
prevede una norma  transitoria  al  fine  di  evitare  l'applicazione
retroattiva del divieto» -, ha dichiarato  le  questioni  stesse  non
fondate «nei sensi di cui in motivazione». 
    Infatti, sulla premessa che tale norma, sancendo  il  divieto  di
sospensione dell'ordine di esecuzione per il reato di favoreggiamento
dell'immigrazione clandestina, nulla dispone circa i  fatti  commessi
anteriormente alla sua entrata in vigore, la sentenza n. 193 del 2020
ha osservato che «nessun ostacolo si oppone piu' a che il  giudice  a
quo adotti, rispetto a  tali  reati,  l'unica  interpretazione  della
disposizione censurata compatibile  con  il  principio  di  legalita'
della pena di cui all'art.  25,  secondo  comma,  Cost.,  cosi'  come
declinato da questa Corte nella sentenza n. 32 del 2020». 
    Le questioni  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  3-bis,
comma 1, del  d.l.  n.  7  del  2015,  come  convertito,  sono  state
dichiarate non fondate, quindi, «potendo e  dovendo  la  disposizione
censurata essere interpretata in modo conforme a Costituzione», cioe'
nel senso che essa potra' trovare applicazione - con  riferimento  al
divieto di sospensione dell'ordine di esecuzione della pena detentiva
di cui all'art. 656, comma 9, lettera a), cod. proc. pen. -  ai  soli
fatti di reato commessi successivamente alla sua entrata in vigore. 
    6.- A conclusioni analoghe deve pervenirsi per le  questioni  ora
in scrutinio, una volta constatato che  il  reato  di  maltrattamenti
familiari in presenza di minori e' entrato a far parte del novero dei
reati ostativi alla sospensione dell'ordine di esecuzione della  pena
detentiva solo per effetto della modifica introdotta dalla  legge  n.
69 del  2019,  che  non  puo'  peggiorare  il  regime  esecutivo  nei
confronti di un condannato il quale - come F. P. - abbia commesso  il
reato medesimo prima dell'entrata in vigore di quella legge. 
    6.1.-  La  menzione  dell'art.  572,  secondo  comma,  cod.  pen.
nell'elenco dei titoli di reato per i  quali  l'art.  656,  comma  9,
lettera a), cod. proc. pen. esclude  la  sospensione  dell'ordine  di
esecuzione della pena detentiva  e'  stata  introdotta  dall'art.  1,
comma 1,  lettera  b),  del  decreto-legge  1°  luglio  2013,  n.  78
(Disposizioni  urgenti  in  materia  di   esecuzione   della   pena),
convertito, con modificazioni, nella legge 9 agosto 2013, n. 94. 
    A quel tempo, l'art. 572, secondo comma, cod. pen., a  sua  volta
introdotto dall'art. 4, comma 1, lettera d), della legge  1°  ottobre
2012, n. 172 (Ratifica ed esecuzione della Convenzione del  Consiglio
d'Europa per la  protezione  dei  minori  contro  lo  sfruttamento  e
l'abuso sessuale, fatta a Lanzarote il 25 ottobre 2007, nonche' norme
di adeguamento dell'ordinamento interno), prevedeva un'aggravante  ad
effetto comune del reato di maltrattamenti, se commesso «in danno  di
persona minore degli anni quattordici». 
    6.2.- Su tale quadro normativo e' intervenuto il decreto-legge 14
agosto 2013, n. 93 (Disposizioni urgenti in materia  di  sicurezza  e
per il contrasto  della  violenza  di  genere,  nonche'  in  tema  di
protezione civile e di commissariamento delle province),  convertito,
con modificazioni, nella legge 15 ottobre 2013, n. 119. 
    L'art.  1,  comma  1,  del  testo  originario  di  tale   decreto
sostituiva  il  secondo  comma  dell'art.  572  cod.  pen.  riferendo
l'aggravante - sempre ad effetto comune - al fatto commesso «in danno
o  in  presenza  di  minore  degli  anni  diciotto»,  quindi  con  un
ampliamento concernente non  soltanto  l'eta'  del  minore,  giacche'
venivano inclusi anche gli ultraquattordicenni, ma anche la  condotta
del maltrattante, estesa  a  comprendere  i  maltrattamenti  (non  in
danno, ma) in presenza del minore, tipo di lesione indiretta,  basata
sulla percezione della violenza in ambito domestico, anche nota  come
"violenza assistita". 
    In sede di conversione, tuttavia, l'art. 1 del  d.l.  n.  93  del
2013 e' stato modificato nel senso che, tramite il  comma  1-bis,  e'
stato abrogato il secondo comma dell'art. 572 cod. pen.  e,  mediante
il comma 1, il relativo contenuto e' stato trasferito  nell'art.  61,
primo comma, numero 11-quinquies),  cod.  pen.,  prevedendo,  tra  le
circostanze aggravanti comuni, l'«avere  [...]  nel  delitto  di  cui
all'articolo 572, commesso il fatto in presenza  o  in  danno  di  un
minore di anni diciotto [...]». 
    6.3.- Da ultimo, l'art. 9, comma 1, della legge n. 69 del 2019 ha
espunto il riferimento all'art. 572 cod.  pen.  dall'art.  61,  primo
comma, numero 11-quinquies), cod. pen. 
    L'art. 9, comma 2, lettera b), della legge medesima  ha  tuttavia
inserito nell'art. 572 cod. pen.  un  nuovo  secondo  comma,  che  ha
recuperato l'aggravante, questa volta configurandola alla stregua  di
una circostanza ad effetto speciale, giacche' vi si prevede che «[l]a
pena e' aumentata fino alla meta' se il fatto e' commesso in presenza
o in danno di persona minore [...]». 
    6.4.- Questo excursus evidenzia che, anteriormente alla  modifica
introdotta dalla legge n. 69 del 2019,  l'art.  572,  secondo  comma,
cod. pen. non ha mai contemplato la circostanza  della  presenza  del
minore quale aggravante del reato di maltrattamenti. 
    Esso e' stato formalmente veicolo dell'aggravante della «presenza
di  minore  degli  anni  diciotto»   nell'arco   temporale   che   va
dall'entrata in vigore del d.l. n. 93 del 2013 (17 agosto 2013)  sino
all'entrata in vigore della legge di conversione (16 ottobre 2013), e
tuttavia l'effetto caducatorio spiegato da quest'ultima -  che,  come
si e' visto, ha abrogato quel secondo comma  tramite  un  emendamento
modificativo del testo originario del decreto -  impedisce  che  cio'
possa avere un qualche  rilievo  (meno  che  mai  in  malam  partem),
giacche'  il  decreto-legge  convertito  in  legge  con   emendamenti
implicanti mancata conversione  in  parte  qua  perde  efficacia  sin
dall'inizio ex art. 77, terzo comma, Cost. (sentenze n. 367 del  2010
e n. 51 del 1985). 
    6.5.-  La  giurisprudenza  di  legittimita'  ha   potuto   quindi
constatare che tra l'originaria forma aggravata ex art. 572,  secondo
comma, cod. pen. e quella inserita nell'art. 61, primo comma,  numero
11-quinquies), cod. pen. vi e' continuita' normativa soltanto per  le
condotte tenute in  danno  dei  minori  di  anni  quattordici,  unico
terreno comune ad  entrambe,  mentre  non  rientrano  nell'originaria
previsione di aggravamento, e non possono quindi ritenersi richiamate
in forma "mobile" dall'art. 656, comma  9,  lettera  a),  cod.  proc.
pen., le ulteriori ipotesi aggravate introdotte nell'art.  61,  primo
comma, numero 11-quinquies), cod. pen., ipotesi  nuove,  ispirate  da
maggior rigore punitivo, quindi soggette ai principi di  tassativita'
e  irretroattivita'  (Corte  di  cassazione,  sezione  prima  penale,
sentenza 21 marzo 2019, n. 12653). 
    6.6.- Insussistente in rapporto all'aggravante ad effetto  comune
ex art. 61, primo comma, numero 11-quinquies), cod.  pen.,  l'effetto
ostativo  della  "violenza  assistita"  e'   da   intendersi   quindi
introdotto ex novo con l'aggravante ad effetto  speciale  di  cui  al
secondo comma dell'art. 572 cod. pen., come inserito dalla  legge  n.
69 del 2019. 
    7.- In definitiva, le questioni  vanno  dichiarate  non  fondate,
poiche', contrariamente a quanto sostenuto dal giudice a quo, pur  in
conformita' al diritto vivente al tempo dell'ordinanza di rimessione,
l'art. 656, comma 9, lettera a), cod. proc. pen. puo' e  deve  essere
oggi interpretato - in linea con la sopravvenuta sentenza  di  questa
Corte n. 32 del 2020 -  nel  senso  che  il  divieto  di  sospensione
dell'ordine di esecuzione della  pena  detentiva  nei  confronti  del
condannato per il delitto di maltrattamenti aggravato dalla  presenza
di minori non si applica  alla  condanna  per  fatti  commessi  prima
dell'entrata in vigore della legge n. 69 del 2019.