ha pronunciato la seguente 
 
                              ORDINANZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 222,  commi
2, quarto periodo, e 3-ter del decreto legislativo 30 aprile 1992, n.
285 (Nuovo codice della strada), promosso dal Tribunale ordinario  di
Bologna, nel procedimento penale a carico di P. C., con ordinanza del
14 gennaio 2019, iscritta al n. 122 del  registro  ordinanze  2020  e
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della  Repubblica  n.  39,  prima
serie speciale, dell'anno 2020. 
    Udito nella camera di consiglio del  7  luglio  2021  il  Giudice
relatore Giovanni Amoroso; 
    deliberato nella camera di consiglio del 7 luglio 2021. 
    Ritenuto che il Tribunale ordinario di Bologna, con ordinanza del
14 gennaio 2019 (r. o. n. 122 del 2020), ha sollevato, in riferimento
agli artt. 3 e 27,  terzo  comma,  della  Costituzione  questioni  di
legittimita' costituzionale dell'art. 222, commi 2, quarto periodo, e
3-ter, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285  (Nuovo  codice
della strada), nella parte in  cui  prevedono  «l'applicazione  della
medesima sanzione accessoria della revoca quinquennale della  patente
di guida a fronte di condanne per reati a condotte diverse  sotto  il
profilo della colpa, della offensivita' e della pericolosita'»; 
    che il rimettente premette di procedere nei confronti di  P.  C.,
imputato del reato di cui agli artt. 590-bis,  primo  comma,  e  583,
primo comma, numero 1), del codice  penale,  perche'  alla  guida  di
un'autovettura, per colpa generica, consistita in imprudenza,  e  per
colpa specifica, consistita nella violazione dell'art. 191, comma  1,
del d.lgs. n. 285 del 1992,  cagionava  lesioni  personali  gravi  al
pedone V. R. e, in particolare, una malattia ed  una  incapacita'  di
attendere alle ordinarie occupazioni per  un  tempo  superiore  a  40
giorni; 
    che, in punto di rilevanza, il rimettente afferma che in caso  di
condanna,  ai  sensi  delle  disposizioni   censurate,   all'imputato
dovrebbe essere  inevitabilmente  comminata  la  sanzione  accessoria
della revoca della  patente  di  guida  con  divieto  di  conseguirla
nuovamente prima che siano decorsi cinque anni dalla revoca stessa; 
    che   l'applicazione   automatica   della   sanzione   accessoria
costituisce  diretta  conseguenza  dell'introduzione  del  reato   di
omicidio stradale e di lesioni personali stradali per  effetto  della
legge 23 marzo 2016,  n.  41  (Introduzione  del  reato  di  omicidio
stradale  e  del  reato  di  lesioni  personali   stradali,   nonche'
disposizioni di coordinamento al decreto legislativo 30 aprile  1992,
n. 285, e al decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274); 
    che, ad avviso del giudice a quo, il legislatore, ha previsto una
sanzione accessoria eccessivamente grave in relazione a condotte  che
sul piano dell'offensivita' e del grado della colpa si  differenziano
da «altre piu' biasimevoli», con  cio'  disattendendo  i  criteri  di
ragionevolezza e di proporzione delle pene; 
    che, in particolare,  la  sanzione  amministrativa  della  revoca
della patente e' applicata in modo  indistinto  «tanto  a  chi  abbia
semplicemente arrecato una  lesione  personale  grave,  con  semplice
violazione delle norme del codice della strada, quanto  a  chi  abbia
causato tale situazione con una condotta piu' grave»; 
    che, dunque, l'applicazione della stessa sanzione accessoria  per
reati diversi per gravita', determinerebbe una  punizione  eccessiva,
che lederebbe il principio di proporzionalita' della pena rispetto al
fatto commesso e che sarebbe in contrasto con gli artt. 3 e 27, terzo
comma, Cost. 
    Considerato che,  successivamente  all'ordinanza  di  rimessione,
questa  Corte  con  la  sentenza  n.  88  del  2019   ha   dichiarato
l'illegittimita'  costituzionale  dell'art.  222,  comma  2,   quarto
periodo, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice
della strada), nella parte  in  cui  non  prevede  che,  in  caso  di
condanna, ovvero di applicazione della pena su richiesta delle  parti
a norma dell'art. 444 del codice di procedura penale, per i reati  di
cui  agli  artt.  589-bis  (Omicidio  stradale)  e  590-bis  (Lesioni
personali stradali gravi o gravissime) del codice penale, il  giudice
possa disporre, in alternativa alla revoca della patente di guida, la
sua sospensione ai sensi del secondo e  terzo  periodo  dello  stesso
comma 2 dell'art. 222 del d.lgs. n. 285 del 1992  (d'ora  in  avanti:
cod.  strada),  allorche'  non  ricorra  alcuna   delle   circostanze
aggravanti previste dai rispettivi commi secondo e terzo degli  artt.
589-bis e 590-bis cod. pen.; 
    che,  quindi,  la  questione   di   legittimita'   costituzionale
dell'art. 222, comma 2, quarto  periodo,  cod.  strada,  e'  divenuta
priva di oggetto ed  e'  pertanto  manifestamente  inammissibile  (ex
multis, ordinanze n. 203 e n. 91 del 2019, n. 137, n. 38 e n. 34  del
2017, n. 181 e n. 4 del 2016); 
    che manifestamente inammissibile e' anche la questione avente  ad
oggetto  l'art.  222,  comma  3-ter,  cod.  strada,  per  difetto  di
rilevanza, atteso che nel giudizio a quo non  vengono  in  rilievo  i
presupposti perche' il condannato possa chiedere una nuova patente di
guida dopo la sua revoca in ipotesi applicata dal giudice penale; 
    che, infatti, come gia' ritenuto da questa Corte (ancora sentenza
n. 88 del 2019 e ordinanza n. 203 del 2019), il  giudice  a  quo,  in
caso di pronuncia di condanna  per  il  reato  di  lesioni  personali
stradali  gravi,  e'  chiamato  solo   ad   applicare   la   sanzione
amministrativa  della  revoca  della  patente,  non  determinando  il
periodo di tempo necessario per conseguire una nuova patente di guida
che e', invece, predeterminato dalla legge; 
    che, dunque, soltanto in sede di eventuale contestazione, innanzi
al giudice competente, della legittimita' dell'eventuale diniego  del
provvedimento autorizzatorio, perche' richiesto prima del decorso dei
cinque  anni,  puo'  aver  ingresso  la  questione  di   legittimita'
costituzionale della norma che tale periodo prevede; 
    che,  in  conclusione,  le  questioni  devono  essere  dichiarate
manifestamente inammissibili. 
    Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953,  n.
87, e 9, comma 2, delle Norme integrative per i giudizi davanti  alla
Corte costituzionale.