LA CORTE DEI CONTI 
            Sezione regionale di controllo per l'Abruzzo 
 
    composta dai magistrati: 
        Stefano Siragusa, presidente di Sezione; 
        Marco Villani, consigliere; 
        Luigi Di Marco, consigliere (relatore); 
        Francesca Paola Anelli, consigliere; 
        Antonio Dandolo, consigliere; 
        Giovanni Guida, primo referendario; 
    ha  pronunciato   la   seguente   ordinanza   nel   giudizio   di
parificazione del  rendiconto  generale  della  Regione  Abruzzo  per
l'esercizio finanziario 2019. 
    Visti gli articoli 81, 97, 100, comma 2, 103, comma 2, 117, comma
1 e 136 della Costituzione; 
    Visto il testo unico delle leggi sulla Corte dei conti, approvato
con  regio  decreto  12  luglio   1934,   n.   1214,   e   successive
modificazioni; 
    Vista la  legge  11  marzo  1953,  n.  87,  recante  norme  sulla
costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale; 
    Vista la legge 14 gennaio 1994, n. 20,  recante  disposizioni  in
materia di giurisdizione e controllo della Corte dei conti; 
    Visto il decreto-legge 10 ottobre 2012, n. 174,  convertito,  con
modificazioni,  in  legge  7  dicembre  2012,  n.  213  e  successive
modifiche ed integrazioni; 
    Visti gli articoli 38 e 40  del  decreto  legislativo  26  agosto
2016, n. 174, recante il codice di giustizia contabile,  adottato  ai
sensi dell'art. 20 della legge 7 agosto 2015, n. 124; 
    Vista la legge 27 dicembre 2017, n. 205, in particolare  i  commi
779, 780 e 782 dell'art. 1; 
    Vista la legge della Regione  Abruzzo  31  gennaio  2019,  n.  2,
recante:  «Bilancio  di  previsione  finanziario  2019/2021»  ed   in
particolare l'art. 8, comma 1; 
    Vista la deliberazione della giunta regionale del 30 giugno 2020,
n. 363/C, con la quale  e'  stato  approvato  il  «Disegno  di  legge
regionale recante il Rendiconto  Generale  per  l'esercizio  2019»  e
relativi allegati; 
    Uditi nella pubblica udienza del 21 gennaio 2021  il  relatore  e
gli altri magistrati componenti il collegio, il procuratore regionale
dott. Antonio Giuseppone, il Presidente della  giunta  della  Regione
Abruzzo dott. Marco Marsilio; 
    Vista la decisione  della  Sezione  regionale  di  controllo  per
l'Abruzzo della Corte dei conti del 21 gennaio 2021, n. 4/2021/PARI; 
    Ritenuto in 
 
                                FATTO 
 
    Con nota prot. regionale n. RA/0296024/20 del 12 ottobre 2020  il
direttore  generale   della   Regione   Abruzzo   ha   trasmesso   la
deliberazione della giunta regionale del 30 giugno  2020,  n.  363/C,
con la quale e'  stato  approvato  il  «Disegno  di  legge  regionale
recante il Rendiconto Generale per l'esercizio 2019». 
    Questa  Sezione  regionale  di  controllo  ha,  quindi,   avviato
l'attivita'  istruttoria  sul  disegno  di   legge   del   rendiconto
dell'esercizio  finanziario   2019,   ai   fini   del   giudizio   di
parificazione. 
    Terminata  l'istruttoria  e  le  verifiche  di  competenza,   con
ordinanza presidenziale del 3 dicembre 2020, n. 49/2020, tra l'altro,
e' stata trasmessa la relazione del magistrato  istruttore  prot.  n.
387 del 2 dicembre 2020 con cui, in vista del successivo giudizio  di
parificazione,   si   instaurava    formale    contraddittorio    con
l'amministrazione regionale in ordine al dubbio di  costituzionalita'
inerente ai commi 779, 780 e 782 dell'art. 1 della legge 27  dicembre
2017, n. 205 ed all'art. 8, comma 1 della legge della Regione Abruzzo
31 gennaio 2019, n. 2,  gia'  peraltro  sollevato  in  occasione  del
giudizio  di  parificazione  del  precedente  esercizio  2018  giusta
ordinanza di remissione n. 42/2020/PARI. 
    La Regione  Abruzzo  con  nota  prot.  n.  450275/DPB014  del  17
dicembre 2020, ha depositato apposita memoria in cui  ha  preso  atto
della rideterminazione operata dalla relazione istruttoria di  questa
Corte del disavanzo di partenza,  riquantificato  in  88  milioni  di
euro, in luogo dei 79,2 milioni di euro  ed  ha  comunicato  che,  in
presenza  di  un  pronunciamento   di   legittimita'   costituzionale
sfavorevole (in quanto  su  analoga  questione  gia'  pende  giudizio
presso la Corte costituzionale), provvedera' a rideterminare la quota
di ripiano nella misura proposta. 
    Con ordinanza presidenziale del 17 dicembre 2020, n. 52/2020,  e'
stata convocata, con modalita' di collegamento da remoto,  la  camera
di consiglio per  la  disamina  orale  ed  in  contraddittorio  delle
reciproche conclusioni e controdeduzioni, in data 22 dicembre 2020. 
    Nella camera di consiglio del  22  dicembre  2020,  ai  fini  del
contraddittorio, sono state illustrate le risultanze istruttorie e le
criticita' rilevate nell'attivita' di controllo del  rendiconto  2019
ed i rappresentanti dell'amministrazione  regionale  hanno  formulato
oralmente le proprie considerazioni. Il procuratore regionale  si  e'
riservato di far pervenire le proprie conclusioni prima del  giudizio
di parificazione. 
    Con ordinanza del 7 gennaio 2021, n. 1/2021 il  presidente  della
Sezione regionale di controllo ha disposto la fissazione dell'udienza
per il 21 gennaio 2021, con  modalita'  di  collegamento  da  remoto,
prevedendo, altresi', che il procuratore regionale  e  il  Presidente
della Regione Abruzzo potessero depositare presso la segreteria della
Sezione eventuali note conclusive entro il 14 gennaio 2021. 
    Con nota acquisita al protocollo della  Sezione  n.  108  del  14
gennaio 2021 il procuratore regionale ha  trasmesso  la  requisitoria
conclusiva. 
    All'udienza del 21 gennaio 2021 nel  richiamarsi  alle  relazioni
istruttorie integrative, il magistrato  istruttore  ha  illustrato  i
dubbi di costituzionalita' inerenti ai commi  779,  780,  781  e  782
dell'art. 1 della legge 27 dicembre 2017, n. 205, con il  quale  sono
state definite le modalita' di recupero del  disavanzo  arretrato  ed
all'art. 8, comma 1 della legge  della  Regione  Abruzzo  31  gennaio
2019, n. 2, recante «Bilancio di previsione  finanziario  2019/2021».
Le disposizioni censurate prolungano, in modo  anomalo,  i  tempi  di
rientro di ben due disavanzi ordinari e  consecutivi  (quello  al  31
dicembre 2014 e quello al 31 dicembre 2015),  ledendo  una  serie  di
principi consustanziali alla sana gestione finanziaria dell'ente.  La
legge regionale di approvazione del bilancio previsionale,  recependo
la normativa nazionale, ne condivide i medesimi vizi. 
    Il procuratore regionale ha concluso chiedendo, tra l'altro, alla
Sezione regionale di controllo per l'Abruzzo di volere,  ritenuta  la
rilevanza e la non manifesta  infondatezza,  sollevare  questione  di
legittimita' costituzionale delle seguenti norme: 
        art. 1, commi 779, 780 e 782 della legge 27 dicembre 2017, n.
205; 
        art. 8, comma 1 della legge della Regione Abruzzo 31  gennaio
2019, n. 2. 
    Il Presidente  della  Regione  Abruzzo  ha  invece  sostenuto  la
infondatezza  dei   dubbi   di   costituzionalita'   richiedendo   la
parificazione del disegno di legge  di  approvazione  del  rendiconto
finanziario 2019. 
    Le  considerazioni  svolte  dalla  Regione  Abruzzo   non   hanno
consentito di superare gli evidenziati  dubbi  di  costituzionalita'.
Pertanto, all'esito dell'udienza pubblica del 21 gennaio 2021, questo
collegio  ha  adottato  la  deliberazione  n.  4/2021/PARI  con   cui
sospendeva il giudizio sul rendiconto generale della Regione  Abruzzo
per l'esercizio 2019 in quanto inciso, nella complessita'  della  sua
rappresentazione, dall'art. 1, commi 779, 780 e 782  della  legge  27
dicembre 2017, n. 205 e  dall'art.  8,  comma  1  della  legge  della
Regione  Abruzzo  31  gennaio  2019,  n.  2,  recante:  «Bilancio  di
previsione finanziario 2019/2021», in relazione ai quali disponeva di
sollevare  con  separata   ordinanza,   questione   di   legittimita'
costituzionale in riferimento al combinato  disposto  degli  articoli
97, 81, 2, 3, 1  della  Costituzione;  al  combinato  disposto  degli
articoli 97, 81 e 41 della Costituzione e degli  articoli  3  e  117,
comma 1 della Costituzione, per violazione del  parametro  interposto
dell'art.  1,  Protocollo  1  della  Convenzione   europea   per   la
salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali. 
 
                               DIRITTO 
 
1. Indicazione delle norme statali e regionali della cui legittimita'
costituzionale si dubita 
    Preliminarmente e' utile segnalare che nell'ambito  del  giudizio
di parificazione dello schema di rendiconto della Regione Abruzzo per
l'esercizio finanziario 2018, la Sezione regionale di  controllo  per
l'Abruzzo della Corte dei conti ha ritenuto di sollevare,  d'ufficio,
pregiudiziale questione di legittimita' costituzionale  sull'art.  1,
commi 779, 780 e 782 della legge 27 dicembre 2017, n.  205,  recante:
«Bilancio di previsione dello Stato per  l'anno  finanziario  2018  e
bilancio pluriennale per il  triennio  2018-2020»,  pubblicata  nella
Gazzetta Ufficiale n. 302 del 29 dicembre 2017, Supplemento ordinario
n. 62 e sull'art. 8, comma 1, lettera a) della  legge  della  Regione
Abruzzo 5 febbraio 2018,  n.  7,  recante:  «Bilancio  di  previsione
finanziario 2018/2020», pubblicata  nel  Bollettino  Ufficiale  della
Regione Abruzzo n. 22, Serie speciale, del 16 febbraio  2018,  giusta
ordinanza  di  questa  Sezione  n.  42/2020/PARI,  pubblicata   nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica  italiana  -  1ª  Serie  speciale
«Corte costituzionale» - n. 8 del 24 febbraio 2021. 
    Pendente la segnalata questione di  legittimita'  costituzionale,
questa  Sezione  ha  avviato  e  concluso  anche   il   giudizio   di
parificazione dello schema di rendiconto della Regione Abruzzo per il
successivo esercizio finanziario  2019,  nell'ambito  del  quale,  ha
parimenti ritenuto di sollevare, d'ufficio,  pregiudiziale  questione
di legittimita' costituzionale sul medesimo art. 1, commi 779, 780  e
782 della legge 27 dicembre  2017,  n.  205,  recante:  «Bilancio  di
previsione  dello  Stato  per  l'anno  finanziario  2018  e  bilancio
pluriennale per il triennio  2018-2020»,  pubblicata  nella  Gazzetta
Ufficiale n. 302 del 29 dicembre 2017, Supplemento ordinario n. 62  e
sull'art. 8, comma 1, lettera a)  e  lettera  c)  della  legge  della
Regione  Abruzzo  31  gennaio  2019,  n.  2,  recante  «Bilancio   di
previsione finanziario 2019/2021». 
    Come  gia'   fatto   rilevare   nella   predetta   ordinanza   n.
42/2020/PARI, le norme statali oggetto della  questione  intervengono
sull'art. 9, comma  5  del  decreto-legge  19  giugno  2015,  n.  78,
convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2015, n. 125, che
gia' consentiva alle regioni il ripiano del disavanzo al 31  dicembre
2014 in dieci esercizi a quote costanti, in deroga all'art. 42, comma
12 del decreto legislativo 23  giugno  2011,  n.  118,  e  successive
modifiche. 
    Il richiamato comma 5 dell'art. 9, in particolare, prevedeva che:
«In deroga all'articolo 42, comma  12,  del  decreto  legislativo  23
giugno 2011, n. 118, e  successive  modifiche,  il  disavanzo  al  31
dicembre 2014 delle regioni, al netto del debito  autorizzato  e  non
contratto, puo' essere ripianato  nei  dieci  esercizi  successivi  a
quote  costanti,  contestualmente  all'adozione   di   una   delibera
consiliare avente ad oggetto  il  piano  di  rientro  dal  disavanzo,
sottoposto al parere  del  collegio  dei  revisori,  nel  quale  sono
individuati i provvedimenti necessari a ripristinare il pareggio.  La
deliberazione di cui al presente comma contiene l'impegno formale  di
evitare la formazione di ogni ulteriore potenziale disavanzo,  ed  e'
allegata al bilancio di previsione  e  al  rendiconto,  costituendone
parte integrante. Con periodicita' almeno  semestrale  il  Presidente
della  giunta  regionale  trasmette  al   Consiglio   una   relazione
riguardante lo stato di attuazione del piano di rientro». 
    L'art. 42, comma 12 del decreto legislativo 23  giugno  2011,  n.
118, prevede che: «L'eventuale disavanzo di amministrazione accertato
ai sensi del comma 1, a seguito dell'approvazione del rendiconto,  al
netto del debito autorizzato e non  contratto  di  cui  all'art.  40,
comma 1, e' applicato al primo esercizio del bilancio  di  previsione
dell'esercizio  in  corso  di  gestione.  La  mancata  variazione  di
bilancio che, in corso di gestione, applica il disavanzo al  bilancio
e' equiparata a tutti  gli  effetti  alla  mancata  approvazione  del
rendiconto di gestione. Il disavanzo di  amministrazione  puo'  anche
essere  ripianato  negli  esercizi  considerati   nel   bilancio   di
previsione, in ogni  caso  non  oltre  la  durata  della  legislatura
regionale, contestualmente all'adozione di  una  delibera  consiliare
avente ad oggetto il piano di rientro dal disavanzo nel  quale  siano
individuati i provvedimenti necessari a ripristinare il pareggio.  Il
piano di rientro e' sottoposto al parere del collegio  dei  revisori.
Ai fini del rientro, possono essere utilizzate le economie di spesa e
tutte le entrate, ad eccezione di quelle provenienti  dall'assunzione
di prestiti e  di  quelle  con  specifico  vincolo  di  destinazione,
nonche' i proventi derivanti  da  alienazione  di  beni  patrimoniali
disponibili e da  altre  entrate  in  c/capitale  con  riferimento  a
squilibri di parte capitale». 
    Le norme statali della cui legittimita' costituzionale si dubita,
invece, prevedono che: 
        «779.  Il  ripiano  del  disavanzo  al  31   dicembre   2014,
disciplinato dall'articolo 9, comma 5, del  decreto-legge  19  giugno
2015, n. 78, convertito, con  modificazioni,  dalla  legge  6  agosto
2015, n. 125, puo' essere rideterminato in  quote  costanti,  in  non
oltre venti esercizi, per le regioni che si impegnano a riqualificare
la  propria  spesa  attraverso  il   progressivo   incremento   degli
investimenti. Il disavanzo di cui al  periodo  precedente  e'  quello
risultante  dal  consuntivo  o,  nelle  more  dell'approvazione   del
rendiconto da parte del consiglio regionale,  quello  risultante  dal
consuntivo approvato dalla giunta regionale. Le disposizioni  di  cui
ai periodi precedenti si applicano anche con riferimento al disavanzo
al 31 dicembre 2015. 
        780. Le regioni di cui al comma 779, per gli anni dal 2018 al
2026, incrementano i pagamenti complessivi per investimenti in misura
non inferiore al  valore  dei  medesimi  pagamenti  per  l'anno  2017
rideterminato  annualmente   applicando   all'anno   base   2017   la
percentuale del 2 per cento per l'anno 2018, del 2,5  per  cento  per
l'anno 2019, del 3 per cento per l'anno 2020 e del 4  per  cento  per
ciascuno degli anni dal 2021  al  2026.  Ai  fini  di  cui  al  primo
periodo, non rilevano gli investimenti aggiuntivi di cui all'articolo
1, commi 140-bis e 495-bis, della legge 11 dicembre 2016, n. 232,  e,
per il solo calcolo relativo all'anno 2018, i  pagamenti  complessivi
per investimenti relativi all'anno 2017  da  prendere  a  riferimento
possono essere desunti anche dal preconsuntivo. 
        781. Le regioni di cui al comma  779  certificano  l'avvenuta
realizzazione degli investimenti di cui al  comma  780  entro  il  31
marzo dell'anno successivo a quello di riferimento, mediante apposita
comunicazione  al  Ministero  dell'economia   e   delle   finanze   -
Dipartimento della  Ragioneria  generale  dello  Stato.  In  caso  di
mancata o parziale realizzazione degli investimenti, si applicano  le
sanzioni di cui all'articolo 1, comma 475, della  legge  11  dicembre
2016, n. 232. 
        782. Le regioni di cui al comma  779  adeguano  il  piano  di
rientro del disavanzo 2014, approvato ai sensi dell'articolo 9, comma
5,  del  decreto-legge  19  giugno  2015,  n.  78,  convertito,   con
modificazioni, dalla legge 6 agosto 2015, n. 125, in  attuazione  del
comma 779, a decorrere dal  2018,  con  riferimento  alla  quota  non
ancora  ripianata  del  disavanzo  2014.  Il  piano  di  rientro  del
disavanzo 2015 decorre dal  2018,  con  riferimento  alla  quota  non
ancora ripianata. Nel caso in cui i piani di rientro  siano  definiti
sulla base dei  consuntivi  approvati  dalla  giunta  regionale,  gli
stessi sono adeguati a seguito dell'approvazione dei rendiconti  2014
e 2015 da parte del consiglio regionale». 
    L'art. 8, comma 1 della legge della Regione  Abruzzo  31  gennaio
2019, n. 2, recante: «Bilancio di previsione  finanziario  2019/2021»
infine, in applicazione delle richiamate norme statali,  ha  previsto
che: «E' iscritta nello stato di previsione della spesa una quota del
disavanzo  di  amministrazione  presunto  per  ciascuna   delle   tre
annualita' di bilancio (2019-2020-2021), cosi' determinata: 
        a) euro  25.544.172,01  quale  annualita'  del  disavanzo  di
amministrazione presunto  al  31.12.2014,  in  attuazione  di  quanto
previsto dall'articolo  1,  comma  779  e  seguenti  della  legge  27
dicembre 2017, n. 205; 
        b)  euro  617.942,13  quale  accantonamento  trentennale  del
maggior disavanzo da riaccertamento straordinario dei residui di  cui
all'articolo  3,  comma  7,  del  decreto  legislativo   118/2011   e
successive modifiche  ed  integrazioni  cosi'  come  provvisoriamente
determinato con Delibera G.R. n. 692 del 24 novembre 2017; 
        c)  euro  4.404.075,67  quale  annualita'  del  disavanzo  di
amministrazione presunto al 31.12.2015, ai sensi dell'ultimo  periodo
del comma 779, articolo 1, legge 27 dicembre 2017, n. 205». 
    La Sezione quindi, nelle  more  della  discussione  del  giudizio
costituzionale sulla medesima norma statale e sulla  legge  regionale
di approvazione del bilancio previsionale per  l'esercizio  2018,  ha
sospeso il giudizio  di  parificazione  sullo  schema  di  rendiconto
generale  della  Regione  Abruzzo  per  l'esercizio  2019  il   quale
risultava  inciso  anch'esso,   al   pari   di   quello   precedente,
dall'attuazione finanziaria delle predette disposizioni. 
    In  via  preliminare,   appare   necessario   soffermarsi   sulla
legittimazione di questa  Corte  a  adire  il  Giudice  delle  leggi,
nonche' sulla rilevanza della questione nel giudizio in corso. 
2. La legittimazione delle Sezioni regionali di controllo della Corte
dei conti a sollevare questioni  di  legittimita'  costituzionale  in
sede di parificazione 
    La legittimazione delle  Sezioni  regionali  di  controllo  della
Corte dei conti a sollevare questioni di legittimita'  costituzionale
in  sede  di  parificazione  dei  rendiconti   regionali   e'   stata
riconosciuta in  piu'  occasioni  dalla  Corte  costituzionale  (cfr.
sentenze n.  181/2015,  n.  89/2017  e  n.  196/2018),  la  quale  ha
sottolineato la peculiare natura del giudizio di parificazione che si
svolge con le formalita' della giurisdizione contenziosa (art. 40 del
regio decreto n. 1214/1934, testo unico delle leggi sulla  Corte  dei
conti),  prevede  la  partecipazione  del  procuratore  generale   in
contraddittorio  con  i  rappresentanti  dell'amministrazione  e   si
conclude con una pronunzia adottata  in  esito  a  pubblica  udienza.
Sulla base di tali considerazioni la Corte costituzionale  ha  esteso
ai giudizi di parificazione dei rendiconti delle  regioni  a  statuto
ordinario le medesime conclusioni cui era pervenuta con  riguardo  al
giudizio di parificazione del rendiconto generale dello  Stato  o  di
quelli  delle  regioni  ad  autonomia  differenziata   (sentenze   n.
165/1963, n. 121/1966, n. 142/1968, n. 244/1995 e n. 213/2008). 
    Il giudizio di parificazione dei rendiconti regionali si risolve,
infatti, in una valutazione di  «conformita'  (...)  alle  norme  del
diritto oggettivo, ad esclusione di qualsiasi apprezzamento  che  non
sia di ordine strettamente giuridico». Una funzione cioe' di garanzia
dell'ordinamento, di «controllo  esterno,  rigorosamente  neutrale  e
disinteressato (...) preordinato  a  tutela  del  diritto  oggettivo»
(sentenza n. 384 del 1991). 
    Detti   caratteri   costituiscono   indubbio   fondamento   della
legittimazione  della  Corte  dei  conti  a  sollevare  questioni  di
costituzionalita',   atteso   che   il   riconoscimento    di    tale
legittimazione, legata alla specificita' dei suoi compiti nel  quadro
della finanza  pubblica,  «si  giustifica  anche  con  l'esigenza  di
ammettere  al  sindacato  costituzionale  leggi   che,   come   nella
fattispecie in esame, piu' difficilmente verrebbero per altra via, ad
essa sottoposte» (sentenza n. 226 del 1976). 
    Proprio in relazione a siffatte ipotesi la  Corte  costituzionale
ha auspicato (sentenza n. 406 del 1989) che, quando l'accesso al  suo
sindacato sia reso poco agevole, come accade in relazione ai  profili
attinenti all'osservanza di norme poste a tutela della sana  gestione
finanziaria e degli equilibri di bilancio, i  meccanismi  di  accesso
debbano essere arricchiti. La Corte dei conti e' la sede piu'  adatta
a far valere quei profili, e cio' in ragione della  peculiare  natura
dei suoi compiti,  essenzialmente  finalizzati  alla  verifica  della
gestione secundum legem delle risorse finanziarie. 
    Sul  punto,  occorre  infatti  ricordare  che  il   giudizio   di
parificazione, allo stato  della  legislazione  vigente,  e'  l'unica
possibilita' offerta dall'ordinamento per sottoporre a  scrutinio  di
costituzionalita' in via  incidentale,  in  riferimento  ai  principi
costituzionali  in  materia  di  finanza  pubblica,  le  disposizioni
legislative statali e regionali che, incidendo sui singoli  capitoli,
modificano l'articolazione del bilancio e  ne  possono  alterare  gli
equilibri  complessivi.  Conseguentemente,  ove  si   escludesse   la
legittimazione   di   questa   Corte   a   sollevare   questioni   di
costituzionalita' in riferimento ai parametri sopra  individuati,  si
verrebbe a creare, di fatto, una sorta di spazio  legislativo  immune
dal controllo di costituzionalita' attivabile in via incidentale. 
    Coerentemente,   nelle   piu'   recenti   pronunce,   la    Corte
costituzionale   (sentenza   n.   181/2015   e   n.    89/2017)    ha
progressivamente ampliato  i  parametri  costituzionali  rispetto  ai
quali la Corte dei conti puo' accedere al sindacato  di  legittimita'
costituzionale delle norme che vengono in  rilievo  nel  giudizio  di
parificazione.  La   legittimazione   di   questa   Corte,   infatti,
originariamente limitata al solo parametro  costituito  dall'art.  81
della  Costituzione,  e'  ora  riconosciuta   su   tutte   le   norme
costituzionali tese a presidiare gli equilibri di finanza pubblica e,
dunque, anche con riferimento all'art. 119, comma 6  (in  materia  di
indebitamento) e all'art.  97  (in  merito  alla  necessita'  che  le
pubbliche amministrazioni, in coerenza con l'ordinamento  dell'Unione
europea, assicurino l'equilibrio dei bilanci e la sostenibilita'  del
debito pubblico), della Costituzione. 
    Tale ampliamento risulta, peraltro,  in  linea  con  l'evoluzione
delle funzioni di controllo assegnate  alla  Corte  dei  conti,  alla
quale, in particolare a partire dal decreto-legge n.  174/2012  e  in
corrispondenza con l'entrata in vigore della legge costituzionale  20
aprile 2012, n.  1,  e'  stato  riconosciuto  il  ruolo  di  «garante
imparziale  dell'equilibrio  economico  -  finanziario  del   settore
pubblico». Dette forme di controllo, nella ricostruzione operata  dal
Giudice delle leggi (sentenza n. 60/2013), riposano su una pluralita'
di principi costituzionali, che non si esauriscono nell'art. 81 della
Costituzione. 
    E' stato, al riguardo, affermato che «alla  Corte  dei  conti  e'
attribuito il  controllo  sull'equilibrio  economico-finanziario  del
complesso  delle  amministrazioni  pubbliche  a  tutela   dell'unita'
economica della Repubblica, in riferimento a parametri costituzionali
(artt. 81, 119 e 120 Cost.) e ai vincoli derivanti  dall'appartenenza
dell'Italia all'Unione europea (artt. 11 e 117, primo comma,  Cost.)»
(sentenza n. 60/2013). Un ruolo centrale nell'ambito dei controlli di
legittimità-regolarita'   a   presidio   dei   richiamati   parametri
costituzionali e' svolto proprio dal  giudizio  di  parifica  per  le
regioni a statuto ordinario introdotto, come precisa il  primo  comma
dell'art. 1  del  citato  decreto-legge  n.  174/2012,  «al  fine  di
rafforzare il coordinamento della finanza  pubblica,  in  particolare
tra i livelli di governo statale  e  regionale,  e  di  garantire  il
rispetto   dei   vincoli   finanziari   derivanti   dall'appartenenza
dell'Italia all'Unione europea ... omissis». Sussiste, pertanto,  una
corrispondenza tra i parametri costituzionali in  base  ai  quali  il
legislatore ha intestato alla Corte dei conti determinate funzioni di
controllo e i parametri  costituzionali  che  la  stessa  Corte  puo'
prendere  a  riferimento  per   sollevare   dubbi   di   legittimita'
costituzionale delle norme che, di volta in volta, vengono in rilievo
proprio nell'esercizio dei medesimi controlli. 
    La Sezione, quindi, ritiene di essere  legittimata,  in  sede  di
giudizio di parificazione,  a  sollevare  questioni  di  legittimita'
costituzionale. 
3. Rilevanza della questione ai fini della  decisione  della  Sezione
remittente   sul   giudizio   di   parificazione    del    rendiconto
dell'esercizio 2019 della Regione Abruzzo 
    Quanto alla rilevanza della questione, pare opportuno  premettere
che l'essenza del giudizio di parificazione risiede sul raffronto fra
gli stanziamenti di entrata e di spesa ed i relativi  presupposti  di
diritto. 
    Nella fattispecie, occorre accertare se l'atto di imputazione  al
bilancio  previsionale  (parte  spesa)  del  quantum   di   disavanzo
pregresso sia compatibile con l'attuale assetto costituzionale e, per
quanto piu' qui  interessa,  se  l'esito  del  predetto  giudizio  di
compatibilita' condizioni, in  tutto  o  in  parte,  il  giudizio  di
parificazione della Sezione sul rendiconto dell'esercizio 2019  della
Regione Abruzzo. 
    Ebbene,   tenuto   conto   che    le    norme    sospettate    di
incostituzionalita' hanno consentito un  rilevante  ridimensionamento
dell'ammortamento del deficit pregresso, si osserva  che  qualora  le
stesse dovessero essere espunte dall'ordinamento giuridico, la  posta
di  disavanzo  iscritto  in  spesa  nel   bilancio   preventivo,   si
appaleserebbe illegittima in quanto gravemente sottostimata,  con  la
immediata conseguenza della compromissione del  principale  saldo  di
bilancio, ovvero il risultato di amministrazione  a  fine  esercizio,
nella parte in cui quest'ultimo non registra, in termini di  recupero
del deficit, il miglioramento altrimenti imposto dall'art. 9, comma 5
del decreto-legge n. 78/2015. 
    Ed anzi le conseguenze  della  rilevante  sottostima  della  rata
annuale  di  rientro  dal  deficit,  a  ben  vedere,  travolgerebbero
l'intera programmazione di entrata e di spesa  nella  misura  in  cui
quest'ultima non tiene conto degli incrementi di  entrata  e/o  delle
riduzioni di spesa altrimenti necessari a garantire  il  pareggio  in
tutte le fasi del ciclo di bilancio. 
    D'altra parte, se l'oggetto del  giudizio  di  parificazione  dei
rendiconti  regionali  risiede,  ormai  pacificamente,  anche   nella
verifica del perseguimento  degli  obiettivi  intermedi  di  recupero
previsti dai piani di rientro in essere, e' evidente che  la  Sezione
remittente risulti impossibilitata a compiere tale controllo  laddove
permanga incertezza sulla compatibilita' costituzionale  delle  norme
di legge statali e regionali che quegli stessi obiettivi concorrono a
determinare. 
    Sotto altro, ma comunque connesso  profilo,  le  norme  censurate
consentono un  considerevole  incremento  della  capacita'  di  spesa
dell'amministrazione regionale  che,  allo  stesso  modo,  incide  in
maniera determinante sui saldi  finali  della  gestione  oggetto  del
giudizio di parificazione. 
    Per   effetto   delle   norme   sospettate   di    illegittimita'
costituzionale, infatti,  gli  stanziamenti  di  spesa  a  titolo  di
recupero del disavanzo al 31 dicembre 2014 ed  al  31  dicembre  2015
sono stati parametrati su un orizzonte temporale ventennale piuttosto
che decennale per il 2014 (come  avrebbe  invece  imposto  l'art.  9,
comma 5 del decreto-legge n.  78/2015)  e  ventennale  piuttosto  che
triennale per il 2015 (come avrebbe  invece  imposto  l'art.  42  del
decreto legislativo n. 118/2011). 
    Piu' nel dettaglio, al momento dell'entrata in vigore delle norme
della cui legittimita' costituzionale si dubita, il disavanzo  al  31
dicembre 2014 della Regione Abruzzo, cosi' come esposto nello  schema
di rendiconto 2014, approvato con deliberazione giuntale n. 536/C del
29  settembre  2017,  era  pari  a  euro  510.883.440,00,  al   netto
dell'anticipazione di liquidita' di cui al decreto-legge  n.  35  del
2013. 
    L'ulteriore disavanzo ascrivibile  alla  gestione  dell'esercizio
2015 era invece pari a euro 88.081.513,53. Infatti, con deliberazione
giuntale n. 79/C del 12 febbraio 2018, di approvazione del disegno di
legge del rendiconto 2015, al netto dell'anticipazione di liquidita',
il disavanzo e' stato determinato in euro 598.964.953,68. 
    Con specifico riferimento al disavanzo 2015 poi, va rilevato  che
il primo anno di applicazione della rateizzazione ventennale  non  e'
stato il 2016, come ha ritenuto la Regione Abruzzo (cfr.  verbale  n.
114/2 del 31 dicembre 2018), ma il 2019, atteso che la legge  n.  205
e' stata emanata in data 27 dicembre 2017 (pubblicata nella  Gazzetta
Ufficiale n. 302 del 29 dicembre 2017) e che la  legge  regionale  di
approvazione del  bilancio  previsionale  2018/2020  da  parte  della
Regione e' stata emanata in data  5  febbraio  2018  (pubblicata  nel
Bollettino Ufficiale della Regione Abruzzo  n.  22  Speciale  del  16
febbraio 2018). 
    D'altra parte, il secondo periodo del comma 782 dell'art. 1 della
legge di stabilita' per il 2018 prevede espressamente che: «Il  piano
di rientro del disavanzo 2015 decorre dal 2018, con riferimento  alla
quota non ancora ripianata». 
    Inoltre, come fatto rilevare in sede di giudizio di parificazione
del rendiconto 2018, la legge regionale di approvazione del  bilancio
previsionale  di  quell'esercizio,  ometteva  di  stanziare  la  rata
ventennale di ripiano del deficit 2015, con la conseguenza che questa
Sezione si vedeva costretta, come sopra indicato,  a  contestarne  la
legittimita' costituzionale, per violazione dei parametri  interposti
degli articoli 42 e 50 del decreto legislativo n. 118/2011. Pertanto,
fino all'esercizio  2018  compreso,  nessun  recupero  poteva  essere
imputato  al  disavanzo  2015  come  invece  indicato  dalla  Regione
Abruzzo. 
    Il primo esercizio in cui il ripiano del deficit  2015  ha  avuto
realmente inizio quindi, non puo' che essere il  2019,  mentre  negli
esercizi pregressi (compreso il  2018),  il  recupero  effettivamente
realizzatosi va attribuito al piu' risalente deficit derivante  dagli
esercizi 2014 e precedenti. 
    Gli aspetti sopra illustrati sono stati accertati nell'ambito del
giudizio  di  parificazione  del   rendiconto   dell'esercizio   2019
conclusosi con la citata decisione  n.  4/2021/PARI  del  21  gennaio
2021, e sono rimasti incontestati dall'amministrazione regionale  che
anzi, con nota n. 450275 del 17 dicembre 2020, sempre con riferimento
al deficit 2015, «prendeva atto della  rideterminazione  dell'importo
del disavanzo di partenza riquantificato in € 88 milioni di euro,  in
luogo dei 79,2 stimati». 
    Ne consegue che, proprio come per il precedente  esercizio  2018,
anche per il 2019, in assenza  delle  norme  contestate,  l'ammontare
della rata del piano  decennale  di  rientro  dal  deficit  2014,  da
applicare all'esercizio 2019 ed agli esercizi successivi, in base  al
previgente art. 9, comma 5 del decreto-legge n. 78 del 2015,  avrebbe
dovuto  essere  pari  a  euro  51.088.344  (510.883.440/10);   mentre
l'ammontare della rata del piano triennale  di  rientro  dal  deficit
2015, da applicare  all'esercizio  2019,  in  base  all'art.  42  del
decreto legislativo n. 118 del 2011, atteso il mancato  recupero  nel
corso del successivo triennio (il 2016, il 2017 ed appunto  anche  il
2018), avrebbe dovuto essere pari a euro 88.081.513. 
    Al momento dell'emanazione  della  legge  regionale  di  bilancio
2019/2021, l'importo totale del deficit  da  applicare  all'esercizio
2019, ed oggetto di recupero a consuntivo,  avrebbe  dovuto  pertanto
essere pari ad euro 139.169.858 [(510.883.440/10) + 88.081.514]. 
    Di  contro,  per  effetto  delle  norme  qui  in   contestazione,
l'amministrazione ha  potuto  stanziare,  in  parte  spesa,  il  solo
importo di euro 25.544.172  (1/20  del  disavanzo  2014)  e  di  euro
4.404.076 (1/20 del disavanzo 2015). 
    Ne' potrebbe trovare accoglimento la tesi volta ad  ammettere  la
possibilita'  di  una  rimodulazione  al  ribasso   dell'ammortamento
annuale  in  considerazione  dei  maggiori   recuperi   del   deficit
registrati  successivamente  all'entrata  in   vigore   delle   norme
contestate  ed  alla   definizione   dell'importo   delle   rate   di
ammortamento del recupero dei disavanzi rinvenienti dal  2014  e  dal
2015. 
    Il secondo periodo del comma 782 del comma 1 della legge  n.  205
del 2017 prevede, infatti, che «Il piano  di  rientro  del  disavanzo
2015  decorre  dal  2018,  con  riferimento  alla  quota  non  ancora
ripianata». 
    Ne  consegue   che   la   determinazione   della   rata   annuale
dell'ammortamento del deficit 2015 avrebbe  dovuto  essere  posta  in
essere  in  occasione  del  bilancio  previsionale  2018/2020,  anche
attraverso una variazione di bilancio. 
    Ebbene, il disegno di legge di approvazione del  rendiconto  2015
ed il conseguente disavanzo di euro 88.081.514 sono  stati  approvati
con deliberazione della giunta regionale n. 79 del 12 febbraio  2018,
ovvero  in  un  tempo  ampiamente  sufficiente  per   consentire   la
necessaria variazione del bilancio 2018 che tenesse conto della nuova
rilevante posta passiva. 
    E' appena il caso di rammentare che  la  mancata  modifica  della
programmazione  2018/2020  a  seguito  dell'emersione   del   maggior
disavanzo  2015  ha  indotto   questa   Sezione   a   contestare   la
compatibilita' costituzionale  della  legge  regionale  come  risulta
dall'ordinanza di remissione n. 42/2020/PARI. 
    Ma quello che in questa sede rileva e' che il  piano  di  rientro
dal disavanzo e' stato correttamente definito  in  data  31  dicembre
2018 come risulta dalla deliberazione consiliare di  cui  al  verbale
114/2  del  31  dicembre  2018  allegata  al  bilancio   previsionale
2019/2021 che ad essa si e' conformato. 
    Con il provvedimento in questione l'amministrazione regionale  ha
in particolare confermato l'importo della rata  di  ammortamento  del
deficit 2014 in euro 25.544.172  (1/20  del  disavanzo  2014)  ed  ha
previsto, per la prima volta, a  decorrere  dall'esercizio  2019,  la
rata di ammortamento del deficit 2015 di  euro  4.404.076  (1/20  del
disavanzo 2015). 
    Ne  consegue  che  i   maggiori   recuperi   emersi   a   seguito
dell'approvazione dello schema di rendiconto 2017,  avvenuto  con  la
deliberazione di giunta regionale n. 918/C del 3 dicembre  2018,  non
potevano certo  determinare  una  modificazione  dell'ormai  definito
piano di rientro. 
    Diversamente  opinando  si  aprirebbe  la  strada  ad   una   non
consentita facolta', in quanto priva di limiti temporali di scadenza,
di rimodulazione continua delle rate di  ammortamento  del  piano  di
rientro  ogni  qual  volta   l'amministrazione   dovesse   perseguire
l'obiettivo - peraltro connaturale alle finalita' stesse del medesimo
piano  - di  riduzione   del   deficit   originario,   con   continue
rideterminazioni al ribasso delle stesse quote di ammortamento. 
    D'altra parte, l'unica possibilita' di adeguamento dei  piani  di
rientro definiti in sede di approvazione del  documento  previsionale
2018, e' espressamente prevista proprio dall'ultimo periodo del comma
782 che la circoscrive  all'ipotesi  in  cui  i  piani  stessi  siano
definiti sulla base dei consuntivi approvati dalla giunta regionale a
seguito dell'approvazione dei rendiconti 2014 e  2015  da  parte  del
consiglio regionale e  non  certo  a  seguito  dell'approvazione  dei
rendiconti delle annualita' successive. 
    Vale al contrario la regola secondo cui  gli  eventuali  maggiori
recuperi della quota  di  disavanzo  rispetto  a  quella  programmata
determinano la formazione di un avanzo libero. 
    Considerando che l'art. 42, comma 6 del  decreto  legislativo  n.
118 del 2011, nello stabilire  l'ordine  con  il  quale  puo'  essere
impiegata la quota libera dell'avanzo di amministrazione, la  destina
prioritariamente  alle   misure   di   salvaguardia,   deve   dedursi
l'esistenza di un principio implicito che fa divieto di sfruttare  il
vantaggio derivante da un'accelerazione del recupero ottenuto  in  un
esercizio  in  occasione  degli  esercizi  successivi,  potendo  tale
vantaggio  determinare  esclusivamente  una   riduzione   dei   tempi
originari del risanamento. 
    Gli  eccessi  di  recupero  rispetto  agli  obiettivi   intermedi
predeterminati nel piano di rientro,  pertanto,  non  possono  essere
portati in compensazione con le quote di  deficit  da  stanziare  nei
bilanci preventivi dei successivi esercizi finanziari. 
    Solo  con   l'emanazione   dell'art.   111,   comma   4-bis   del
decreto-legge n.  18  del  2020,  e'  stata  dettata  una  deroga  al
suesposto principio consistente nella possibilita' di  non  applicare
al bilancio degli esercizi successivi il disavanzo di amministrazione
ripianato (di importo superiore di  quello  applicato  al  bilancio),
scomputando  il  maggiore  recupero  effettuato  in  un   determinato
esercizio, dal disavanzo gia' iscritto a  bilancio  sulle  annualita'
successive,  secondo  le   previsioni   del   piano   originariamente
approvato, e portando cosi' ad una maggiore capacita' di spesa. 
    Si tratta tuttavia di una disposizione  derogatoria  dettata  per
fronteggiare le esigenze  connesse  all'emergenza  epidemiologica  da
COVID-19 e che trova fondamento nell'art. 11 della legge n.  243  del
2012 recante: «Concorso dello Stato nelle fasi avverse del ciclo o al
verificarsi di eventi eccezionali» secondo cui «Fermo restando quanto
previsto dall'articolo 9, comma 5, e dall'articolo 12,  comma  1,  lo
Stato, in ragione dell'andamento del ciclo economico o al verificarsi
di  eventi  eccezionali,  concorre  al  finanziamento   dei   livelli
essenziali delle prestazioni e delle funzioni  fondamentali  inerenti
ai diritti civili e sociali, secondo  modalita'  definite  con  leggi
dello Stato, nel  rispetto  dei  principi  stabiliti  dalla  presente
legge». 
    La norma in commento  non  fa  che  confermare,  a  contrario,  i
principi  generali  sopra  ricostruiti  e  naturalmente  non  risulta
applicabile ratione temporis al  caso  di  specie.  Inoltre,  la  sua
attuazione  resta  subordinata  alla   circostanza,   anch'essa   non
ricorrente nella fattispecie, che il maggior recupero  del  disavanzo
discenda da maggiori entrate e spese minori collegate all'anticipo di
attivita' e azioni programmate per le annualita' successive,  fissate
nel piano di rientro. 
    In  conclusione,   il   giudizio   non   puo'   essere   definito
indipendentemente dalla risoluzione della questione qui prospettata. 
    La  verifica  di  compatibilita'  costituzionale  e'  logicamente
preliminare   al   giudizio   di   parificazione    del    rendiconto
dell'esercizio 2019 in quanto le  norme  impugnate,  modificando  gli
«obbiettivi intermedi»  e  «finali»  da  perseguire,  consentono  una
rilevante espansione della capacita' di spesa altrimenti  illegittima
perche'  priva  di  coperture  ed  in  violazione  del  principio  di
equilibrio di bilancio. 
    Infatti, in caso di conferma  della  loro  costituzionalita',  la
verifica dell'andamento del recupero dei deficit dovra' tenere  conto
della  correttezza  della  riduzione   degli   obbiettivi   intermedi
intervenuta per effetto della  ridetta  rimodulazione/riformulazione;
in  caso  di  declaratoria  di  illegittimita'  costituzionale,   gli
obiettivi di rientro concretamente perseguiti a consuntivo oltre  che
l'intera articolazione delle entrate e delle spese si  rivelerebbero,
di contro, radicalmente incompatibili con i principi di equilibrio di
bilancio e copertura delle spese. 
    «La' dove vengano denunciate, per  contrarieta'  con  l'art.  81,
quarto comma, della Costituzione, leggi che determinino veri e propri
effetti modificativi dell'articolazione del bilancio dello Stato, per
il  fatto  stesso  di  incidere,  in  senso  globale,  sulle   unita'
elementari dello stesso, vale a dire sui capitoli, con riflessi sugli
equilibri  di  gestione  disegnati  con  il  sistema  dei   risultati
differenziali di cui all'art. 6 della  legge  n.  468  del  1978,  le
questioni sollevate non possono non assumere rilevanza ai fini  della
decisione di competenza della Corte dei conti, donde l'ammissibilita'
delle medesime» (Corte costituzionale n.  244/1995.  Sul  punto  cfr.
anche Corte costituzionale n. 213/2008). 
    Per questi motivi la Sezione ritiene la questione «rilevante»  ai
sensi e per gli effetti degli articoli 23 e 24 della legge n. 87  del
1953. 
4. Inesistenza di una interpretazione secundum  Constitutionem  delle
norme contestate 
    Prima di passare alla  trattazione  in  dettaglio  dei  ravvisati
motivi di contrasto, occorre  tuttavia  verificare,  nell'ambito  dei
compiti e delle valutazioni che la legge e la  Costituzione  affidano
al giudice a quo (Corte  costituzionale,  sentenze  n.  221/2015,  n.
262/2015, n. 45/2016, n. 95/2016,  n.  240/2016),  se  sia  possibile
attribuire  alle  norme  contestate  un'applicazione   «conforme»   a
Costituzione,  attraverso  una  mera  operazione   esegetica   (Corte
costituzionale,  ex  plurimis,  sentenza  n.  356/1996;  sentenze  n.
219/2008 e n. 1/2013). 
    E' costante, infatti, l'orientamento della  Corte  costituzionale
secondo cui «anche le norme finanziario-contabili afferenti agli enti
territoriali - ancorche' connotate da un peculiare  rapporto  con  il
parametro  costituzionale  dell'equilibrio  dinamico  (ex   plurimis,
sentenza    n.    155/2015)    - sono    soggette     alla     regola
"dell'interpretazione conforme a Costituzione, secondo la  quale,  in
presenza di ambiguita' o anfibologie del relativo contenuto,  occorre
dar loro il significato compatibile con i parametri  costituzionali"»
(Corte costituzionale, sentenza n. 115/2020). 
    Sotto questo profilo pare alla Sezione che la formulazione  delle
norme contestate sia talmente chiara nel riconoscere  la  dilatazione
temporale  dei  deficit  pregressi  da  risultare  incompatibile  con
qualsiasi  interpretazione  diversa  da   quella   letterale   (Corte
costituzionale, sentenza n. 36/2016). 
    Infatti,  la  rimodulazione  si  sostanzia  univocamente,   nella
facolta',  concretamente  esercitata  dalla   Regione   Abruzzo,   di
estensione della durata originaria dei piani  di  rientro  (raddoppio
per il deficit 2014 e moltiplicazione  esponenziale  per  il  deficit
2015), attraverso la riduzione della quota di  disavanzo  complessivo
applicabile  su  ogni  annualita'  di   bilancio,   con   conseguente
dilatazione dell'obiettivo finale di riequilibrio. 
    Non e' quindi  possibile  fornire  un'interpretazione  diversa  e
comunque conforme  all'art.  81  della  Costituzione  ed  agli  altri
precetti finanziari di rango costituzionale di seguito richiamati. 
5. Art. 1, commi 779, 780, 781 e 782 della legge 27 dicembre 2017, n.
205 ed art. 8, comma 1, lettera a) e lettera  c)  della  legge  della
Regione Abruzzo 31 gennaio 2019, n. 2 - Violazione degli articoli 81,
97  primo  e  secondo  comma  e  119,  primo  e  sesto  comma   della
Costituzione, in combinato disposto con gli articoli 2, 3 e  1  della
Costituzione sia sotto il profilo  della  lesione  dell'equilibrio  e
della sana gestione finanziaria del bilancio, sia per  contrasto  con
gli interdipendenti principi di copertura pluriennale della  spesa  e
di responsabilita' nell'esercizio del mandato elettivo 
    Nel  merito,  la  Sezione  ravvisa  a  carico  delle   richiamate
disposizioni, innanzitutto, la violazione degli articoli 81, 97 e 119
della Costituzione, in combinato disposto con gli articoli 2, 3  e  1
della   Costituzione,   sia   sotto   il   profilo   della    lesione
dell'equilibrio e della sana gestione finanziaria del  bilancio,  sia
per  contrasto  con  gli  interdipendenti   principi   di   copertura
pluriennale della  spesa  e  di  responsabilita'  nell'esercizio  del
mandato elettivo. 
    5.1. Sul punto, va in primo luogo ricordato, in  linea  generale,
che la Corte costituzionale, a seguito della legge costituzionale  n.
1 del 2012, ha rafforzato il precetto dell'equilibrio arricchendo  la
sua fattispecie e trasformandolo in una  «clausola  generale»  (Corte
costituzionale, sentenza n. 192/2012). 
    Invero,   «nel   sindacato   di   costituzionalita',    copertura
finanziaria ed equilibrio integrano una clausola generale in grado di
operare pure in assenza di norme interposte quando  l'antinomia  [con
le  disposizioni  impugnate]  coinvolga  direttamente   il   precetto
costituzionale: infatti "la  forza  espansiva  dell'art.  81,  quarto
[oggi terzo]  comma,  Cost.,  presidio  degli  equilibri  di  finanza
pubblica, si sostanzia in una vera e  propria  clausola  generale  in
grado di colpire tutti  gli  enunciati  normativi  causa  di  effetti
perturbanti la sana gestione finanziaria e  contabile"  (sentenza  n.
192 del 2012)» (Corte costituzionale, sentenza n. 184/2016). 
    Quest'ultima, per effetto delle indicazioni fornite  dalla  Corte
costituzionale, risulta articolarsi  su  due  principali  coordinate:
l'una quantitativa, afferente alla proporzione  della  spesa  con  le
risorse economiche, finanziarie e patrimoniali disponibili, e l'altra
temporale, coincidente  con  l'orizzonte  cronologico  del  bilancio,
entro il quale devono essere corretti gli eventuali squilibri emersi.
Tali coordinate (quantitativa e temporale)  devono  sussistere  anche
sul piano della disciplina  «rimediale»  per  la  «salvaguardia»  del
bilancio e dei suoi equilibri. 
    Con precipuo riferimento al secondo degli  aspetti  sottolineati,
quello cronologico, l'arco temporale entro  il  quale  perseguire  la
salvaguardia non puo' che essere quello  del  medesimo  bilancio,  in
corso o immediatamente successivo;  coerentemente,  nella  disciplina
vigente degli enti  territoriali,  il  termine  e'  quello  triennale
(articoli 162, 188, 193 e 194 Tuel per gli enti locali  ed  art.  42,
comma 12 del decreto legislativo n. 118/2011  per  le  regioni)  come
confermato, in piu' occasioni, dalla Corte costituzionale secondo cui
«il recupero dello squilibrio deve avvenire attraverso i  bilanci  di
previsione immediatamente  successivi;  cio'  in  considerazione  del
principio della continuita' di bilancio e degli esercizi  finanziari»
(sentenza n. 274/2017). Il principio della continuita',  infatti,  e'
«essenziale  per  garantire   nel   tempo   l'equilibrio   economico,
finanziario e patrimoniale» (sentenza n. 155/2015). 
    Pertanto, il precetto dell'equilibrio o, come nella  fattispecie,
del riequilibrio di  bilancio,  non  puo'  che  essere  declinato  in
stretta correlazione con l'aspetto temporale. 
    Il tempo del riequilibrio assurge in pratica a suo  indefettibile
predicato. In assenza di un ben  definito  ancoraggio  temporale,  in
effetti,  il  principio  dell'equilibrio  rischia  di  perdere   ogni
concreto significato ed efficacia precettiva. 
    Collegare il principio dell'equilibrio, come  pretenderebbero  di
fare le norme censurate, ad un lasso di tempo a tal  punto  dilatato,
ne  determinerebbe  un  suo  significativo  svuotamento   consentendo
un'ingiustificata espansione della capacita' di spesa corrente  coeva
ad una situazione di squilibrio strutturale, per la durata del  piano
di rientro. 
    5.2. E' stato inoltre sostenuto che il bilancio si configuri come
un bene  giuridico  «pubblico»  (Corte  costituzionale,  sentenze  n.
184/2016, n. 228/2017 e  n.  247/2017),  costituzionalmente  tutelato
(articoli 81 e 97 della  Costituzione),  di  cui  occorre  preservare
effettivita' e funzionalita' tramite il suo equilibrio.  Il  precetto
dell'equilibrio,    infatti,     presidia     fondamentali     valori
costituzionali, espressi dagli articoli, 3, 2 e 1 della Costituzione,
che del medesimo precetto costituiscono la ratio. 
    Il rispetto tendenziale dell'equilibrio di bilancio  con  risorse
effettive garantisce  in  effetti  la  concreta  realizzazione  delle
politiche   pubbliche   democraticamente   determinate,    necessarie
affinche' la Repubblica  possa  rimuovere  «gli  ostacoli  di  ordine
economico  e  sociale,  che,  limitando  di  fatto  la   liberta'   e
l'eguaglianza dei cittadini,  impediscono  il  pieno  sviluppo  della
persona umana», realizzando l'uguaglianza sostanziale  dei  cittadini
(art. 3, comma  2  della  Costituzione:  cfr.  sentenze  della  Corte
costituzionale n. 10/2016 e n. 70/2015). 
    Tale uguaglianza, tra l'altro, proprio  grazie  allo  strutturale
carattere temporale del bilancio, deve realizzarsi  anche  in  chiave
trans-generazionale. 
    Poiche' l'equilibrio «economico, finanziario e patrimoniale» deve
essere realizzato «nel tempo» - attesa la gia' richiamata continuita'
degli esercizi finanziari e del bilancio (cfr. Corte  costituzionale,
sentenza  n.  155/2015  cit.)  -  esso  costituisce  un   dovere   di
«solidarieta'  politica,  economica  e  sociale»  delle   generazioni
presenti con quelle future (art. 2 della Costituzione). 
    D'altra  parte,  la  questione  della  responsabilita'  verso  le
generazioni future si inquadra  nella  necessita'  di  affermare  una
giustizia  sociale  che  si  dispiega  in  senso   diacronico   nella
consapevolezza che il dettato costituzionale non puo' che contemplare
una prospettiva anche intergenerazionale  tendendo  a  perseguire  il
benessere collettivo presente senza detrimento per quello futuro. 
    Le norme contestate consentono  di  contro  di  accedere  ad  una
disciplina di  ripiano  che  vanifica  la  dimensione  temporale  del
bilancio  e  la  necessita'  che  entro  tale  orizzonte  questo  sia
ripristinato in equilibrio. 
    5.3. Il precetto  di  equilibrio,  infine,  riguardato  sotto  il
profilo della «salvaguardia di bilancio», costituisce  uno  strumento
di  verifica  e  misurazione  della  responsabilita'   dei   soggetti
investiti  di  cariche  pubbliche:  la  violazione   dell'equilibrio,
infatti, attiva un sistema di responsabilita' giuridiche e politiche,
attraverso cui il principio della  legittimazione  democratica  delle
istituzioni si rende effettivo (art. 1 della Costituzione). 
    Come evidenziato dal Giudice delle leggi nella  sentenza  n.  228
del 2017, la disciplina di salvaguardia  si  pone  come  «strumentale
all'effettivita' di adempimenti primari del  mandato  elettorale  [e]
indissolubilmente legata alla cura dei sottesi interessi  finanziari.
Tale disciplina si ricollega [...] a un'esigenza  sistemica  unitaria
dell'ordinamento,  secondo  cui  sia  la  mancata  approvazione   dei
bilanci, sia l'incuria del loro squilibrio strutturale interrompono -
in virtu' di una presunzione assoluta  -  il  legame  fiduciario  che
caratterizza il mandato elettorale e  la  rappresentanza  democratica
degli eletti». 
    La   contestata   dilatazione   temporale,    quindi,    «finisce
inevitabilmente  per  pregiudicare  il   potere   programmatorio   di
risanamento della situazione  finanziaria  ereditata  dalle  gestioni
pregresse  con  violazione  dell'art.  81,  Cost.,  e  impedisce   di
esercitare pienamente il mandato elettorale, confinando la  posizione
dei  subentranti  in  una  condizione  di  responsabilita'   politica
oggettiva, con pregiudizio dell'art. 1 Cost»  (Corte  costituzionale,
sentenza n. 34 del 9 febbraio 2021). 
    Allo stesso  modo  non  consente  agli  amministratori  eletti  o
eligendi di «presentarsi  al  giudizio  degli  elettori  separando  i
risultati direttamente raggiunti dalle  conseguenze  imputabili  alle
gestioni  pregresse.  Lo   stesso   principio   di   rendicontazione,
presupposto fondamentale del circuito democratico rappresentativo, ne
risulta quindi gravemente compromesso. E' stato affermato  da  questa
Corte che "[i]l carattere funzionale del  bilancio  preventivo  e  di
quello  successivo,  alla  cui  mancata  approvazione,  non  a  caso,
l'ordinamento collega il venir meno del consenso della rappresentanza
democratica, [risiede essenzialmente nell'assicurare] ai membri della
collettivita' la cognizione delle modalita' [di impiego delle risorse
e i risultati conseguiti da chi e' titolare del mandato elettorale]"»
(sentenze n. 184/2016 e n. 228/2017). 
    5.4. Ricostruita  nei  termini  suesposti  la  regola,  non  puo'
naturalmente      sottacersi      l'esistenza,       nell'ordinamento
finanziario-contabile  degli  enti  territoriali,   di   deroghe   al
principio. 
    In caso di crisi della finanza  territoriale,  ove  «i  disavanzi
emersi non possano essere riassorbiti in un solo ciclo di  bilancio»,
la Corte costituzionale ha ritenuto  «inevitabili»  «misure  di  piu'
ampio  respiro  temporale.  Cio'  anche  al  fine  di  assicurare  lo
svolgimento delle funzioni della regione in ossequio al "principio di
continuita' dei  servizi  di  rilevanza  sociale  [affidati  all'ente
territoriale, che deve essere] salvaguardato"» (sentenza  n.  10  del
2016)» (sentenza n. 107/2016). 
    Ed  anzi  l'ordinamento  giuscontabile  degli  enti  territoriali
conosce molteplici ipotesi di riequilibrio pluriennale dei deficit. 
    A mero titolo esemplificativo, per gli  enti  locali,  rispondono
certamente alla logica della  crisi  della  finanza  territoriale  le
norme del piano di riequilibrio pluriennale (art. 243-bis  e  ss.)  e
del  dissesto  (art.  244  e  ss.  Tuel)  che,  in  caso   di   crisi
«strutturale» della finanza dell'ente locale, gia'  definiscono  piu'
ampi orizzonti per il rientro da situazioni di squilibrio. 
    La  disciplina  del  ripiano  trentennale  prevista  dal  decreto
legislativo n. 118 del 2011, poi,  applicabile  anche  alle  regioni,
appare giustificata dal passaggio  alla  nuova  disciplina  contabile
realizzatosi attraverso il «riaccertamento straordinario dei residui»
e dal conseguente «disavanzo tecnico» di cui all'art. 3, comma 13 del
decreto legislativo n. 118/2011, e/o dal «maggiore disavanzo», di cui
all'art. 3, comma 16 del decreto legislativo n. 118/2011 (cfr.  Corte
costituzionale, sentenza n. 107/2016). 
    Le richiamate norme derogatorie, tuttavia, sono tutte  il  frutto
di  un  bilanciamento  secondo   ragionevolezza   con   il   precetto
dell'equilibrio di bilancio. 
    Con riferimento al riaccertamento straordinario  dei  residui  la
Corte costituzionale non ha escluso la possibilita' di un'eccezionale
misura legislativa ampliativa dei  tempi  del  recupero  del  maggior
disavanzo in quanto giustificata dall'esigenza  di  far  fronte,  una
tantum, alle conseguenze del passaggio al nuovo sistema contabile  ed
alle complesse operazioni di riaccertamento dei residui finalizzate a
far emergere la reale situazione finanziaria degli enti e  che  hanno
generato disavanzi non riassorbili  in  un  solo  ciclo  di  bilancio
(Corte costituzionale, sentenza n. 107/2016). 
    Ne' ignora il collegio l'ulteriore tesi che  vorrebbe  ricondurre
anche  la  rateizzazione  prevista   dall'art.   9,   comma   5   del
decreto-legge 19 giugno 2015, n. 78 - ovvero dalla norma  su  cui  si
innesta   la   disciplina   sospettata   di   incostituzionalita'   -
all'esigenza di fronteggiare i disavanzi antecedenti  al  1°  gennaio
2015  in  quanto  derivanti  dall'introduzione   della   contabilita'
armonizzata. 
    Occorre  tuttavia  sottoporre  ad  un  attento   vaglio   critico
l'opzione interpretativa in parola per poi, in ogni  caso,  delineare
le differenze, quali-quantitative, tra le disposizioni in questa sede
sospettate di incostituzionalita' e quelle pregresse. 
    Ad un piu' approfondito esame, infatti,  la  fase  del  passaggio
alla   nuova   contabilita',    plasticamente    rappresentata    dal
riaccertamento straordinario dei residui, non si  fa  in  alcun  modo
carico di porre rimedio ai deficit preesistenti, giacche'  presuppone
l'avvenuta approvazione del rendiconto  2014  che,  seppur  coeva  al
riaccertamento stesso, avviene in un momento logicamente antecedente.
La finalita'  dichiarata  e',  in  effetti,  quella  di  adeguare  al
principio generale della competenza finanziaria i  residui  attivi  e
passivi  risultanti   al   1°   gennaio   2015   ovvero   i   residui
«sopravvissuti»    al    riaccertamento     ordinario     strumentale
all'approvazione del rendiconto 2014. 
    L'interpretazione letterale delle norme in commento, in  realta',
impone di concludere che il disavanzo generato dal passaggio al nuovo
sistema contabile, non a caso espressamente qualificato in termini di
maggior disavanzo (rispetto a quello  precedente  eventualmente  gia'
accertato con l'approvazione consiliare  del  rendiconto  2014),  sia
solo quello generato dall'introduzione delle nuove  regole  contabili
quali, a titolo esemplificativo, quelle che hanno introdotto il fondo
crediti di dubbia esigibilita'  o  altri  vincoli  ed  accantonamenti
precedentemente  non  obbligatori  che   hanno   ridotto   la   parte
disponibile del risultato. 
    Qualsiasi tentativo interpretativo difforme da  quello  letterale
rischia di generare una non consentita sostituzione  dell'interprete,
operatore del diritto, al legislatore. 
    D'altra  parte  la  Corte  costituzionale   ha   precisato   come
l'originario piano di rientro decennale previsto dal decreto-legge n.
78/2015, «proprio in quanto rivolt[o] ai disavanzi riferiti a passate
gestioni ed accertati con riferimento agli esercizi antecedenti al 1°
gennaio 2015, ha implicita  valenza  retroattiva,  poiche'  viene  di
fatto a colmare [in modo sostanzialmente coerente con la disposizione
impugnata] l'assenza di previsioni specifiche che  caratterizzava  il
contesto normativo nel quale si e'  trovata  ad  operare  la  Regione
[Molise]  nel  dicembre  2014»  (Corte  costituzionale,  sentenza  n.
107/2016). 
    In altri termini,  il  Giudice  delle  leggi  si  e'  limitato  a
chiarire - peraltro solo incidentalmente - che il  piano  di  rientro
decennale di cui all'art. 9, comma 5 del decreto-legge n. 78 del 2015
puo'   essere   considerato   compatibile   con   l'attuale   assetto
costituzionale in ragione  di  situazioni  di  emergenza  finanziaria
generate  dalle  consolidate  prassi  patologiche  di   alcuni   enti
territoriali  e  che  hanno  portato  all'accertamento  di  disavanzi
antecedenti al 1° gennaio 2015. 
    Puo' ragionevolmente concludersi, pertanto, che l'intervento  del
legislatore del 2015 sul recupero dei disavanzi ante  armonizzazione,
sia stato  solo  «occasionato»  dall'introduzione  della  riforma  ma
certamente da esso non dipendente o ad esso funzionalmente collegato. 
    La ratio ed al  tempo  stesso  la  compatibilita'  costituzionale
dell'art. 9, comma 5 del decreto-legge n. 78 del  2015  vanno  quindi
ricercate nell'esigenza che i disavanzi pregressi, per via della loro
consistenza quantitativa, non potendo essere riassorbiti in  un  solo
ciclo di bilancio richiedevano inevitabilmente misure di  piu'  ampio
respiro temporale e come tali, necessariamente una tantum. 
    La Corte costituzionale in altri termini ha ritenuto  conforme  a
Costituzione l' intervento de quo in quanto  presentava  i  caratteri
dell'eccezionalita' e, soprattutto della  «definitivita'»  nel  senso
della idoneita' a porre rimedio  una  volta  per  tutte  ed  in  modo
risolutivo, agli squilibri finanziari emersi. 
    La norma statale in questa sede contestata di contro, oltre  alla
rilevante ulteriore estensione temporale da dieci a  venti  anni  del
piano di rientro dal deficit 2014, estende  la  dilazione  ventennale
del recupero del disavanzo anche a quello rinveniente dalla  gestione
2015, ovvero ad un esercizio  in  cui  tra  l'altro  la  contabilita'
armonizzata, ampiamente conosciuta in quanto emanata gia'  nel  2011,
aveva trovato compiuta applicazione. 
    In  definitiva,  trascorsi  meno  di  due  anni  dal   precedente
intervento ritenuto legittimo perche' «eccezionale», il  legislatore,
e' tornato nuovamente ad allentare le maglie gia' larghe dei piani di
rientro.  E  cio',  non  solo  attraverso  un  considerevole  aumento
dell'orizzonte temporale per il rientro dal deficit 2014 che passa da
dieci a venti anni, ma soprattutto attraverso  l'estensione  di  tale
possibilita' anche al deficit al 31 dicembre 2015 non interessato dal
processo  di  riaccertamento  straordinario  dei   residui   che   ha
traghettato le amministrazioni verso la contabilita' armonizzata. 
    L'intervento legislativo  in  commento  pertanto  contraddice  il
principio della eccezionalita' delle misure derogatorie  dell'obbligo
di   copertura   delle   spese   e   dell'equilibrio   di    bilancio
cristallizzato, per la finanza regionale, nell'art. 42, comma 12  del
decreto legislativo n. 118 del 2011. 
    A titolo  meramente  esemplificativo  e'  sufficiente  richiamare
l'arresto della Corte costituzionale che, nel riferirsi al  piano  di
rientro  trentennale  previsto  dall'art.  3,  comma  16  del  citato
decreto, infatti, aveva  espressamente  chiarito  che  «L'eccezionale
ipotesi legislativa era sorretta dal convincimento  che  in  sede  di
riaccertamento straordinario sarebbero emersi, una volta per tutte, i
consistenti disavanzi reali, cui si sarebbe  posto  rimedio,  in  via
definitiva, con un rientro pluriennale». 
    Al contrario, la norma censurata ammette, con un  intervento  del
tutto asistematico, un'ulteriore duplice possibilita' di  ampliamento
dei tempi del rientro, cosi' ingenerando l'affidamento che le  misure
adottate possano assumere carattere ordinario anziche' eccezionale ed
isolato. 
    In definitiva, ritiene il collegio che «non  possa  disconoscersi
la problematicita' delle richiamate normative continuamente  mutevoli
come quelle precedentemente  evidenziate,  le  quali  prescrivono  il
riassorbimento dei disavanzi in  archi  temporali  molto  vasti,  ben
oltre il ciclo di bilancio ordinario, con possibili ricadute negative
anche  in  termini  di  equita'  intergenerazionale»   (sentenze   n.
279/2016, n. 6/2017, n. 107/2016, n.  274/2017  e  n.  18/2019  della
Corte costituzionale). 
    In conclusione, l'ulteriore  estensione  temporale  prevista  dai
commi 779 e ss. dell'art. 1 della legge n. 205 del 2017,  in  assenza
di  interessi  costituzionalmente  rilevanti  legati   a   situazioni
eccezionali e/o emergenziali che ne giustifichino l'adozione,  appare
integrare proprio la fattispecie da ultimo stigmatizzata dalla  Corte
costituzionale e come tale  si  rivela  incompatibile  con  l'attuale
assetto  costituzionale,  salvo   a   generare   una   indiscriminata
deresponsabilizzazione delle gestioni pubbliche contraria ai precetti
costituzionali innanzi richiamati. 
    5.5. In effetti,  al  di  fuori  di  un  contesto  giustificativo
compatibile  con  i  precetti  costituzionali  sopra  richiamati,  la
copertura di disavanzi con regole straordinarie quanto  ai  tempi  di
rientro «diventerebbe un veicolo per un indebito  allargamento  -  in
contrasto con l'art. 81 Cost - della spesa di enti gia'  gravati  dal
ripiano  pluriennale  di  disavanzi  di  amministrazione   pregressi»
(sentenza n. 279/2016). 
    Dalla ricognizione  delle  norme  che  disciplinano  i  disavanzi
ordinari degli enti territoriali (art. 9,  comma  2  della  legge  24
dicembre 2012, n. 243; art. 42 del decreto  legislativo  n.  118  del
2011; l'art. 188 del decreto legislativo n. 267  del  2000),  infatti
puo' estrarsi un principio generale, consustanziale all'  ordinamento
finanziario-contabile, secondo cui in via gradata e' necessaria:  «a)
l'immediata copertura del deficit  entro  l'anno  successivo  al  suo
formarsi; b) il rientro  entro  il  triennio  successivo  (in  chiaro
collegamento con la programmazione triennale) all'esercizio in cui il
disavanzo viene alla  luce;  c)  il  rientro  in  un  tempo  comunque
anteriore alla scadenza del mandato elettorale nel  corso  del  quale
tale disavanzo si e' verificato. In sostanza, la  fattispecie  legale
di base stabilisce che: a) al deficit si deve  porre  rimedio  subito
per  evitare  che  eventuali  squilibri  strutturali  finiscano   per
sommarsi nel tempo  producendo  l'inevitabile  dissesto;  b)  la  sua
rimozione non puo' comunque superare il  tempo  della  programmazione
triennale e quello della scadenza del mandato  elettorale,  affinche'
gli  amministratori  possano  presentarsi  in  modo  trasparente   al
giudizio dell'elettorato al termine del loro mandato, senza  lasciare
"eredita'" finanziariamente onerose e indefinite ai loro successori e
ai futuri amministrati; c) l'istruttoria  relativa  alle  ipotesi  di
risanamento deve essere congrua e coerente sotto il profilo  storico,
economico e giuridico» (Corte costituzionale, sentenza n. 18/2019). 
    La compatibilita' delle norme censurate,  dunque,  dipende  dalla
ragionevolezza del bilanciamento  tra  l'esigenza  di  assicurare  il
riequilibrio entro l'orizzonte temporale del bilancio e gli interessi
costituzionalmente  rilevanti   di   volta   in   volta   sottostanti
all'esigenza di dilatazione temporale dei  tempi  di  recupero  degli
squilibri. 
    Tale ragionevolezza non sussiste, ad  avviso  della  Sezione,  in
relazione ai tempi di ripiano dei disavanzi previsti dalle norme  qui
contestate. 
    Cio' in quanto il deficit, ed anzi i deficit,  oggetto  del  piu'
ampio lasso temporale previsto per il loro  ripiano,  sono  disavanzi
«ordinari», determinati da mera inadeguatezza di risorse  disponibili
rispetto alla spesa contratta che l'ente e' obbligato a colmare. 
    Si  tratta,  a  ben  vedere,  di  deficit  generati  da  ripetute
violazioni delle norme e principi consustanziali alla  sana  gestione
finanziaria, sia precedenti (per il deficit al 31 dicembre 2014)  che
successive (per il deficit al 31 dicembre  2015)  al  passaggio  alla
nuova contabilita' armonizzata, e che presiedono tutte  le  fasi  del
ciclo del bilancio: attendibilita'  delle  previsioni  di  entrata  e
congruita' degli stanziamenti di spesa  nel  rispetto  del  principio
autorizzatorio,  salvaguardia  degli  equilibri   nel   corso   della
gestione, rendicontazione veritiera e trasparente. 
    La    facolta'    prevista    dalle    norme    sospettate     di
incostituzionalita', in definitiva, non appare rispondere  a  nessuna
esigenza sistemica della finanza pubblica, quanto piuttosto a  quelle
contingenti  di  taluni  enti  di  accedere  ad  un   minore   rigore
finanziario. 
    In  conclusione,  al  di  fuori  di  un  contesto  giustificativo
compatibile  con  i  precetti  costituzionali  sopra  richiamati,  la
copertura di disavanzi con regole straordinarie quanto  ai  tempi  di
rientro «diventerebbe un veicolo per un indebito  allargamento  -  in
contrasto con l'art. 81 Cost. - della spesa di enti gia' gravati  dal
ripiano pluriennale di disavanzi di amministrazione pregressi (in tal
senso, Corte cost. sentenza n.  279/2016).  In  quanto  eccezione  al
principio  generale  dell'equilibrio   del   bilancio   infatti,   la
disciplina straordinaria per il ripiano di tali disavanzi e' comunque
di stretta interpretazione  e  deve  essere  circoscritta  alla  sola
irripetibile ipotesi normativa del riaccertamento  straordinario  dei
residui nell'ambito della  prima  applicazione  del  principio  della
competenza  finanziaria  potenziata,  in  ragione  delle  particolari
contingenze che hanno caratterizzato la  situazione  di  alcuni  enti
territoriali» (Corte costituzionale, sentenza n. 6/2017). 
    5.6. Appaiono pertanto pienamente sovrapponili al caso di  specie
le considerazioni di  recente  espresse  dalla  Corte  costituzionale
secondo  cui,  «la  lunghissima  dilazione  temporale   finisce   per
confliggere   anche    con    elementari    principi    di    equita'
intergenerazionale, atteso che sugli amministrati futuri  verranno  a
gravare  sia  risalenti  e  importanti  quote  di  deficit,  sia   la
restituzione dei prestiti autorizzati nel corso  della  procedura  di
rientro dalla norma  impugnata.  Cio'  senza  contare  gli  ulteriori
disavanzi che potrebbero maturare negli esercizi intermedi,  i  quali
sarebbero  difficilmente  separabili  e  imputabili  ai  sopravvenuti
responsabili [omissis]. Al contrario, [le norme censurate  tracciano]
uno scenario incognito e imprevedibile  che  consente  di  perpetuare
proprio quella situazione di disavanzo che l'ordinamento nazionale  e
quello  europeo  percepiscono  come   intollerabile»   (sentenza   n.
18/2019). 
    L'incremento del deficit strutturale e dell'indebitamento per  la
spesa corrente ha gia' indotto la Corte  costituzionale  a  formulare
chiari  ammonimenti  circa  l'impraticabilita'   di   soluzioni   che
trasformino il rientro  dal  deficit  e  dal  debito  in  una  deroga
permanente e progressiva al principio dell'equilibrio  del  bilancio:
«La  tendenza  a  perpetuare  il  deficit  strutturale   nel   tempo,
attraverso  uno  stillicidio  normativo  di   rinvii,   finisce   per
paralizzare qualsiasi ragionevole progetto  di  risanamento,  in  tal
modo  entrando  in  collisione  sia  con  il  principio  di   equita'
intragenerazionale che intergenerazionale. Quanto al primo, e'  stata
gia' sottolineata  da  questa  Corte  la  pericolosita'  dell'impatto
macroeconomico di misure che determinano  uno  squilibrio  nei  conti
della finanza pubblica  allargata  e  la  conseguente  necessita'  di
manovre finanziarie restrittive che possono gravare piu' pesantemente
sulle fasce deboli della popolazione (sentenza n. 10 del 2015).  Cio'
senza contare che il succedersi di norme  che  diluiscono  nel  tempo
obbligazioni passive  e  risanamento  sospingono  inevitabilmente  le
scelte degli amministratori verso politiche di "corto  respiro",  del
tutto subordinate alle contingenti disponibilita' di cassa. L'equita'
intergenerazionale comporta, altresi', la necessita' di  non  gravare
in  modo  sproporzionato  sulle  opportunita'   di   crescita   delle
generazioni  future,  garantendo  loro  risorse  sufficienti  per  un
equilibrato sviluppo. 
    E' evidente che, nel caso della norma in esame, l'indebitamento e
il  deficit  strutturale  operano  simbioticamente  a  favore  di  un
pernicioso allargamento  della  spesa  corrente.  E,  d'altronde,  la
regola aurea contenuta nell'art. 119,  sesto  comma,  Cost.  dimostra
come l'indebitamente debba essere finalizzato e riservato  unicamente
agli investimenti in modo da determinare  un  tendenziale  equilibrio
tra la dimensione dei suoi costi e i benefici recati nel  tempo  alle
collettivita' amministrate [omissis]. Il perpetuarsi di  sanatorie  e
situazioni interlocutorie, oltre  che  entrare  in  contrasto  con  i
precetti  finanziari  della  Costituzione,   disincentiva   il   buon
andamento dei servizi e non incoraggia le buone  pratiche  di  quelle
amministrazioni che si ispirano  a  un'oculata  e  proficua  spendita
delle risorse della collettivita'» (Corte costituzionale, sentenza n.
18/2019). 
    Gli stessi principi  sono  stati  poi  ulteriormente  riaffermati
dalla Corte costituzionale con le sentenze n. 4/2020 e n. 115/2020. 
    Con la prima,  e'  stato  ribadito  che  «i  deficit  causati  da
inappropriate gestioni devono essere recuperati in tempi  ragionevoli
e nel rispetto del principio di responsabilita', secondo cui  ciascun
amministratore democraticamente eletto deve  rispondere  del  proprio
operato agli amministrati». 
    Con la seconda e' stato confermato che l'illegittimita' dell'art.
1, comma 714 della  legge  n.  208  del  2015,  riconosciuta  con  la
precedente sentenza n. 18 del 2019, non fosse dipesa  dall'intrinseca
durata del piano di  riequilibrio  quanto  piuttosto  dai  meccanismi
contabili previsti dalla disposizione  viziata  che  consentivano  di
destinare, per un trentennio, in ciascun esercizio  relativo  a  tale
periodo, alla spesa di parte corrente somme vincolate al rientro  dal
disavanzo. 
    Ebbene, proprio come nel caso dei due precedenti esaminati  dalla
Corte costituzionale, anche nella fattispecie, il  prolungamento  del
piano di recupero del deficit 2014 e  di  quello  del  2015,  integra
proprio quel meccanismo di manipolazione  del  disavanzo  complessivo
che consente di sottostimare l'accantonamento annuale finalizzato  al
risanamento e, conseguentemente, di peggiorare, anziche'  migliorare,
nel tempo del preteso riequilibrio, il risultato di  amministrazione.
Tale meccanismo manipolativo permette, tra l'altro,  una  dilatazione
della spesa corrente - pari alla differenza  tra  la  giusta  rata  e
quella sottostimata - che finisce per  incrementare  progressivamente
l'entita' del disavanzo effettivo. 
    Anche  nel  caso  delle  disposizioni  in  esame,  il   descritto
meccanismo di manipolazione si  realizza  attraverso  la  strumentale
tenuta di piu' disavanzi, ovvero quello rinveniente dal 2014 e quello
ascrivibile al 2015 che si assommano a quello ordinario ex  art.  42,
comma 12 del  decreto  legislativo  n.  118  del  2011  ed  a  quello
afferente  alla  rateizzazione  del  rimborso   delle   anticipazioni
necessarie  a   fronteggiare   il   ritardo   nei   pagamenti   delle
amministrazioni pubbliche previste dal decreto-legge 8  aprile  2013,
n. 35, convertito, con modificazioni,  dall'art.  1,  comma  1  della
legge 6 giugno 2013, n. 64. 
    Le norme contestate in  ultima  analisi,  «autorizzano  a  tenere
separati disavanzi di amministrazione ai fini  del  risanamento  e  a
ricalcolare la quota di accantonamento indipendentemente dall'entita'
complessiva  del  deficit.  E'  fuor  di  dubbio  che  ogni  bilancio
consuntivo puo' avere un solo risultato di amministrazione, il  quale
deriva dalla sommatoria delle situazioni giuridiche e contabili degli
esercizi precedenti fino a  determinare  un  esito  che  puo'  essere
positivo o negativo. Consentire di avere piu' disavanzi significa, in
pratica, permettere di tenere piu'  bilanci  consuntivi  in  perdita»
(Corte costituzionale, sentenza n. 115/2020). 
    «E'  evidente»  - prosegue  la  sentenza   n.   115/2020   - «che
consentire per un trentennio - ma il  principio  vale  per  qualsiasi
deroga all'immediato rientro che consenta di allargare l'entita'  del
disavanzo anziche' ridurlo - all'ente territoriale di  "vivere  ultra
vires" comporta l'aggravio del deficit strutturale, anziche'  il  suo
risanamento. Cio' e' tanto vero che la regola fisiologica del rientro
dal disavanzo e' quella del rientro annuale, al massimo  triennale  e
comunque non superiore allo scadere del mandato elettorale  (art  42,
comma 12, del decreto legislativo 23 giugno  2011,  n.  118,  recante
"Disposizioni in materia di armonizzazione dei  sistemi  contabili  e
degli schemi di bilancio delle Regioni, degli enti locali e dei  loro
organismi, a norma degli articoli 1 e 2 della legge 5 maggio 2009, n.
42", e art. 188 del d.lgs. n. 267 del 2000)». 
    5.7. Ne' si puo' ritenere che tale ampliamento sia giustificato o
giustificabile per l'esigenza di evitare  il  default  delle  regioni
caratterizzate da maggiore difficolta' economica. 
    Vero  e',  al  contrario,  che  spetta  al  legislatore   trovare
soluzioni,  nell'alveo  dei  vigenti  principi  costituzionali,  alle
situazioni di crisi finanziarie degli enti territoriali, ammesso  che
quelle su cui le norme  sospettate  di  incostituzionalita'  incidono
siano effettivamente tali. 
    Di fronte all'impossibilita' di risanare  strutturalmente  l'ente
in disavanzo, non possono essere procrastinati in modo  irragionevole
uno o piu' piani di  rientro,  dovendosi  necessariamente  porre  una
cesura con il passato cosi' da consentire ai nuovi amministratori  di
svolgere il loro mandato senza gravose eredita'. 
    «Diverse soluzioni possono essere adottate  per  assicurare  tale
discontinuita',  e   siffatte   scelte   spettano,   ovviamente,   al
legislatore» (Corte costituzionale, sentenza n. 18/2019). 
    Ne  consegue  che,  escludendo  i  disavanzi   ascrivibili   alle
patologie   organizzative,   quelli   strutturali   imputabili   alle
caratteristiche socioeconomiche della collettivita' e del territorio,
meritano l'intervento diretto dello  Stato  attraverso  l'attivazione
dei meccanismi di solidarieta' previsti dal terzo,  quarto  e  quinto
comma dell'art. 119 della Costituzione. 
    «Il quadro costituzionale e normativo vigente avrebbe  consentito
- e consente - di affrontare le situazioni patologiche in  modo  piu'
appropriato di quel che e' avvenuto negli esercizi piu' recenti». 
    «Quando  le  risorse  proprie  non  consentono  ai  comuni,  alle
province, alle citta' metropolitane  e  alle  regioni  di  finanziare
integralmente le funzioni pubbliche loro attribuite  deve  essere  lo
Stato ad intervenire con apposito fondo perequativo, senza vincoli di
destinazione, per  i  territori  con  minore  capacita'  fiscale  per
abitante e con ulteriori risorse aggiuntive  ai  fini  di  promozione
dello  sviluppo  economico,  della  coesione  e  della   solidarieta'
sociale,  per  rimuovere  gli  squilibri  economici  e  sociali,  per
favorire l'effettivo esercizio  dei  diritti  della  persona,  o  per
provvedere a scopi diversi dal normale esercizio delle loro  funzioni
(art.  119,  terzo,  quarto  e  quinto  comma,  Cost.).  Le   risorse
necessariamente stanziate per tali finalita' - proprio in virtu'  dei
superiori precetti costituzionali -  devono  essere  prioritariamente
destinate  dallo  Stato  alle  situazioni  di  accertato   squilibrio
strutturale dei bilanci degli [territoriali]»  (Corte  costituzionale
n. 4/2020). 
    Il  legislatore  ha  d'altra  parte  mostrato  di  adeguarsi   al
principio in commento con l'emanazione  dell'art.  53,  comma  1  del
decreto-legge del l4 agosto 2020, n.  104,  con  cui,  in  attuazione
della sentenza n. 115 del 2020 della Corte costituzionale,  e'  stata
prevista l'istituzione  di  un  fondo  per  favorire  il  risanamento
finanziario dei comuni il cui deficit  strutturale  e'  imputabile  a
caratteristiche socioeconomiche della collettivita' e del  territorio
e non a patologie organizzative in luogo  delle  ordinarie  e  spesso
inefficaci modalita' di gestione del percorso  di  risanamento  degli
enti in riequilibrio. 
    Conclusivamente,  assodato  che  gli  squilibri   ascrivibili   a
inefficienze  organizzative  debbano  trovare  rimedio   secondo   le
ordinarie modalita' di recupero previste dall'ordinamento  contabile,
anche nell'ipotesi in cui si dovesse ritenere che le norme contestate
siano intervenute su situazioni di squilibrio strutturale  imputabili
alle  caratteristiche  socioeconomiche  della  collettivita'  e   del
territorio,  l'intervento  diretto   dello   Stato   avrebbe   dovuto
concretizzarsi  con  l'attivazione  dei  meccanismi  di  solidarieta'
previsti dal  terzo,  quarto  e  quinto  comma  dell'art.  119  della
Costituzione. 
    5.8. In conclusione, la disciplina introdotta dall'art. 1,  commi
779, 780, 781 e 782 della legge n. 208/2017 e dall'art. 8,  comma  1,
lettera a) della legge della Regione Abruzzo n. 2/2019 non  ha  altra
finalita' e giustificazione se non quella di consentire  di  spalmare
disavanzi ordinari e rinvenienti da due esercizi finanziari (il  2014
ed il 2015) in un orizzonte temporale di venti anni. 
    Ad avviso  della  Sezione  cio'  risulta  incompatibile  con  una
gestione di bilancio equilibrata, in quanto ha l'esclusivo  scopo  di
spostare su generazioni successive il peso  finanziario  di  gestioni
prive di coperture, in danno del principio di cui agli  articoli  97,
119, 81, 3, 2 e 1 della Costituzione, sottraendo  gli  amministratori
al vaglio della loro responsabilita' politica e amministrativa. 
6. Art. 1, commi 779, 780, 781 e 782 della legge 27 dicembre 2017, n.
205 ed art. 8 comma 1, lettera a) e  lettera  c)  della  legge  della
Regione Abruzzo 31 gennaio 2019,  n.  2  -  Violazione  del  precetto
dell'equilibrio di bilancio ai sensi  del  combinato  disposto  degli
articoli 97, 81 e 41 della Costituzione e degli  articoli  3  e  117,
comma 1 della Costituzione,  in  relazione  al  parametro  interposto
dell'art.  1,  Protocollo  1  della  Convenzione   europea   per   la
salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali 
    6.1. La Sezione  ravvisa  altresi',  a  carico  delle  richiamate
disposizioni, la violazione del precetto dell'equilibrio di  bilancio
ai sensi del combinato disposto  degli  articoli  97,  81,  41  della
Costituzione. 
    Si ravvisano nell'ordinamento, in effetti, una serie di interessi
finanziari  adespoti,  costituzionalmente  rilevanti,  ascrivibili  a
tutti coloro che, a vario titolo, entrano in potenziale contatto  col
bilancio,  ed  in  particolare  a  coloro   che   con   la   pubblica
amministrazione hanno relazioni di mercato. 
    Invero, l'eccessivo protrarsi dei tempi di perfezionamento  e  di
definitivo assetto del ripiano  dei  deficit,  favorito  da  continui
interventi normativi  di  dubbia  razionalita'  e  coerenza,  possono
innescare ulteriori ritardi nei pagamenti e la  crisi  delle  imprese
che hanno fornito alla pubblica amministrazione beni e servizi. 
    La dilatazione temporale del ripiano del disavanzo  determina  in
effetti  una  proporzionale  espansione  della  capacita'  di   spesa
corrente coeva al prolungato permanere  dello  squilibrio,  con  cio'
assurgendo a prerequisito di ulteriori crisi di liquidita'. 
    Sotto questo aspetto, pertanto, le  censurate  disposizioni,  non
tenendo in alcuna considerazione gli interessi dei  creditori,  oltre
che  irragionevoli,  si   appalesano   contradditorie   rispetto   ad
innumerevoli  ulteriori  interventi  legislativi  volti   invece   al
soddisfacimento proprio di quegli interessi. 
    Ci si riferisce alle ripetute «iniezioni» di liquidita' poste  in
essere a partire dal decreto-legge n. 35 del 2013 che, per far fronte
ai pagamenti dei debiti certi liquidi ed esigibili ovvero dei  debiti
per i quali sia stata  emessa  fattura  o  richiesta  equivalente  di
pagamento maturati a causa di carenza di liquidita', hanno consentito
la   richiesta   al   Ministero   dell'economia   e   delle   finanze
dell'anticipazione di somme da destinare ai predetti pagamenti. 
    Parallelamente, la mancata previsione,  quale  precondizione  per
l'esercizio della facolta' di rimodulazione del piano,  del  rispetto
dei «tempi medi  di  pagamento»,  pone  i  presupposti  per  un  loro
inesorabile deterioramento. 
    Infatti, l'ampliamento  della  capacita'  di  spesa  da  un  lato
consente di aggirare l'obbligo di reperire  la  reale  copertura  dei
debiti gia' esigibili, per altro  verso  getta  le  premesse  di  una
inevitabile crisi di cassa che nel tempo e' destinata  a  scaricarsi,
in termini di costi, sulla collettivita' degli utenti dei servizi  ed
in particolare sulle imprese gia'  creditrici  di  un'amministrazione
inadempiente in quanto gia' in condizione di squilibrio. 
    In ultima  analisi,  si  pregiudica  la  capacita'  dell'ente  di
rispondere alle ragioni dei creditori autorizzando l'amministrazione,
attraverso  l'ampliamento  della  capacita'  di  spesa,  ad  assumere
ulteriori  impegni  ancor  prima  di  aver  soddisfatto,   in   tempi
ragionevoli, quelli gia' contratti. 
    6.2. In secondo luogo, le disposizioni di legge  statali  oggetto
della rimessione, cui quella regionale si adegua, inserendosi in  una
produzione  legislativa  di  continua  concessione  di  facolta'   di
rimodulazione  dei  recuperi   dei   deficit   pregressi,   determina
incertezza sulla misura del disavanzo  annuale  oggetto  del  ripiano
(l'obbiettivo intermedio) e sulla disciplina  giuridica  applicabile,
ponendosi cosi' in contrasto sia con l'art. 3 della Costituzione,  su
cui si fonda l'esigenza di un diritto «certo», che  con  l'art.  117,
comma 1 della Costituzione, per violazione dei  parametri  interposti
dell'art.  1,  Protocollo  1  della  Convenzione   europea   per   la
salvaguardia dei diritti  dell'uomo  e  delle  liberta'  fondamentali
(diritto al rispetto della  proprieta',  tra  cui  rientra  anche  la
tutela dei diritti di credito). 
    Basti pensare che la prima deroga al principio generale posto  in
tema di riequilibrio della finanza regionale scolpito nel  richiamato
comma 12 dell'art. 42 del decreto legislativo n. 118/2011, risale  al
2015 con l'emanazione del decreto-legge n. 78/2015 che,  in  base  al
comma 5 dell'art.  9,  consentiva  il  recupero  del  deficit  al  31
dicembre 2014 in sette annualita'. 
    Successivamente, a seguito delle modifiche apportate dalla  legge
di conversione 6 agosto 2015, n. 125 e dall'art. 1, comma  691  della
legge 28 dicembre 2015, n. 208, a  decorrere  dal  1°  gennaio  2016,
l'orizzonte  temporale  del  recupero  e'  stato  ampliato  a   dieci
annualita'. 
    Infine, con le norme ora  contestate  il  tempo  massimo  per  il
recupero del disavanzo al 31 dicembre  2014  e'  stato  ulteriormente
prolungato  fino  a  giungere  al  ventennio  e,  parallelamente,  la
medesima possibilita' (di recupero ventennale) e' stata estesa  anche
all'ulteriore disavanzo generatosi nel corso del 2015. 
    Nel dipanarsi dei predetti inorganici ed asistematici  interventi
normativi, si ravvisa pertanto una palese  violazione  del  principio
della certezza del diritto inteso come possibilita' di  stabilire  in
maniera ragionevolmente  attendibile  le  conseguenze  giuridiche  di
determinati atti o fatti. 
    A ben vedere infatti, le disposizioni contestate incidono su  una
normativa gia' derogatoria rispetto al principio base ampliando,  per
la terza volta consecutiva  nel  corso  di  un  biennio,  l'orizzonte
temporale del ripiano di deficit effettivi rinvenienti dagli esercizi
2014 e 2015. 
    Le  norme  contestate   pertanto   concorrono   a   deframmentare
l'indefettibile criterio alla luce del quale sia possibile effettuare
valutazioni ragionevolmente attendibili sulle conseguenze  giuridiche
di  determinati  atti  o  fatti  e  che,  come  tale,   presiede   al
funzionamento dell'intero ordinamento giuridico, in quanto funzionale
alla   realizzazione   di   tutti   gli   altri   valori   perseguiti
dall'ordinamento  quali  la  tutela  dell'autonomia  individuale,  la
sicurezza dei traffici, l'uguaglianza, ponendosi, invece, a premio di
chi  la  legge  abbia  violato,   ed   addirittura   costituendo   un
disincentivo, per il futuro, alla sua osservanza. 
    La violazione dei principi generali della certezza  del  diritto,
del legittimo affidamento e della giustizia  effettiva  determina,  a
sua volta, la conseguente prevaricazione dei diritti dei creditori in
nome di asserite esigenze di bilancio. 
    In altri termini la soddisfazione delle  pretese  di  tali  terzi
viene esposta ad un sacrificio temporalmente indeterminato,  a  causa
del continuo dubbio e  dell'incertezza  sul  regime  di  riequilibrio
applicabile. 
    In modo siffatto, dunque, il legislatore priva  continuamente  di
stabilita' la legge, impedendo che si costituisca il presupposto  per
la soddisfazione effettiva delle ragioni di terzi (in particolare dei
creditori),  oltre  che  l'interesse  dei  cittadini  destinatari  di
servizi  pubblici  ad  un  utilizzo  razionale  ed  efficiente  delle
risorse, vale a dire ad un bilancio riequilibrato. 
    6.3. Non va da ultimo tralasciata la circostanza che le censurate
norme, nell'introdurre l'estensione temporale del piano di rientro in
essere e, soprattutto, nell'estendere la facolta' in questione  anche
a disavanzi rinvenienti dall'esercizio 2015, oltre che da  quelli  al
31  dicembre   2014,   comporta   la   necessita'   di   un'ulteriore
scomposizione del disavanzo complessivo con conseguente necessita' di
individuazione delle sue aumentate quanto molteplici  componenti,  in
relazione alle quali occorre valutare l'andamento del relativo  piano
rientro. Il che appare in contrasto con i  principi  di  chiarezza  e
trasparenza che devono ispirare la redazione dei documenti contabili. 
    Le informazioni contenute nei  bilanci,  infatti,  devono  essere
comprensibili dagli utilizzatori e devono essere esposte  in  maniera
sintetica e analitica, in modo da rendere possibile l'esame dei  dati
contabili e un'adeguata rappresentazione dell'attivita' svolta. 
    Le norme contestate a ben vedere hanno  introdotto  un  ulteriore
elemento di complessita' nella scomposizione del disavanzo nelle  sue
varie componenti. 
    Accanto al passivo generato: 
        dall'accertamento straordinario dei residui ex art. 3,  comma
16 del decreto legislativo n. 118 del 2011; 
        e/o dal disavanzo tecnico ex art. 3,  comma  13  del  decreto
legislativo n. 118 del 2011; 
        e/o dal disavanzo da costituzione del fondo anticipazioni  di
liquidita' ex decreto-legge n. 35 del 2013; 
        e/o dal disavanzo al 31 dicembre  2014  di  cui  all'art.  9,
comma 5 del decreto-legge n. 78 del 2015; 
        e/o dal debito autorizzato e non contratto; 
        e/o, in via residuale, accanto al disavanzo ordinario; 
e' stata  infatti  inserita  un'ulteriore  voce  di  deficit,  quello
ascrivibile alla gestione 2015, a sua volta «beneficiato» da tempi  e
modi di ripiano difformi rispetto ai precedenti. 
    Tale scenario mina alla radice  la  certezza  del  diritto  e  la
veridicita' dei conti, nonche' il principio di chiarezza e univocita'
delle risultanze di amministrazione piu' volte enunciato dalla  Corte
costituzionale (ex plurimis, sentenza n. 274/2017). 
    D'altra  parte,   come   recentemente   ricordato   dalla   Corte
costituzionale, «E' fuor di dubbio che ogni bilancio consuntivo  puo'
avere un solo risultato di amministrazione,  il  quale  deriva  dalla
sommatoria delle situazioni giuridiche  e  contabili  degli  esercizi
precedenti fino a determinare un esito che  puo'  essere  positivo  o
negativo. Consentire di avere piu' disavanzi significa,  in  pratica,
permettere di tenere piu' bilanci consuntivi in perdita» (sentenza n.
115/2020). 
7. Contraddittorieta' ed inadeguatezza delle condizioni previste  per
accedere al prolungamento dei tempi di ripiano rispetto alla clausola
generale degli equilibri di bilancio 
    Occorre a questo punto  valutare  se,  ed  eventualmente  in  che
misura,  le  condizioni  imposte  dalla   normativa   sospettata   di
incostituzionalita'  per  accedere  al  prolungamento  dei  tempi  di
ripiano possano essere tali da controbilanciare e/o giustificare  gli
evidenziati profili di  incompatibilita'  con  la  clausola  generale
degli equilibri di bilancio. 
    Il  comma  779,  in  particolare,   condiziona   l'accesso   alla
dilatazione temporale del piano alla «riqualificazione»  della  spesa
attraverso il progressivo incremento degli investimenti. 
    Il comma  780,  tuttavia,  nel  dettagliare  tale  obiettivo,  lo
declina in termini di  «incremento»  dei  pagamenti  complessivi  per
investimenti in misura non inferiore al valore dei medesimi pagamenti
per l'anno 2017. 
    E' infatti espressamente previsto che:  «Le  regioni  di  cui  al
comma 779, per gli anni dal 2018 al 2026,  incrementano  i  pagamenti
complessivi per investimenti in misura non inferiore  al  valore  dei
medesimi  pagamenti  per  l'anno   2017   rideterminato   annualmente
applicando all'anno base 2017 la percentuale  del  2  per  cento  per
l'anno 2018, del 2,5 per cento per l'anno 2019, del 3 per  cento  per
l'anno 2020 e del 4 per cento per ciascuno degli  anni  dal  2021  al
2026. Ai fini di cui al primo periodo, non rilevano gli  investimenti
aggiuntivi di cui all'articolo 1,  commi  140-bis  e  495-bis,  della
legge 11 dicembre 2016, n. 232,  e,  per  il  solo  calcolo  relativo
all'anno 2018, i  pagamenti  complessivi  per  investimenti  relativi
all'anno 2017 da prendere a riferimento possono essere desunti  anche
dal preconsuntivo». 
    7.1.    Risulta    quindi    evidente    come    la    cosiddetta
«riqualificazione» della spesa in termini di spesa per  investimenti,
sia  considerata  dal  legislatore  un  contrappeso   per   l'accesso
all'estensione temporale del piano di rientro. 
    Ebbene, occorre in primo luogo evidenziare la  contraddittorieta'
intrinseca intercorrente  tra  le  disposizioni  in  esame,  per  poi
riconsiderare in termini  critici  la  correttezza  del  concetto  di
«riqualificazione»  attribuito  dal  legislatore   alla   fattispecie
concretamente regolamentata. 
    Sotto il primo profilo e' evidente come il comma 779, che delinea
l'obiettivo   da   perseguire,   prenda    in    considerazione    la
«riqualificazione», mentre il successivo comma  780,  che  di  contro
disciplina il meccanismo operativo per il perseguimento del  medesimo
obiettivo,   la   traduca   in   un   mero   «incremento»,   peraltro
esclusivamente in termini di cassa. 
    Si tratta di concetti ontologicamente differenti. 
    La  riqualificazione   presuppone   infatti   l'acquisizione   di
caratteristiche   qualitativamente   migliori   di   un   determinato
aggregato. Riferita alla  spesa,  nell'ottica  del  legislatore,  non
potrebbe che concretizzarsi in una progressiva sostituzione di quella
corrente con quella di investimento. 
    Il che naturalmente presupporrebbe l'individuazione di sistemi di
valutazione e/o parametri idonei a misurare l'andamento del  processo
attraverso, ad esempio, la fissazione di rapporti percentuali tra  le
due componenti e/o massimali complessivi di spesa. 
    L'incremento, di contro, e' un concetto meramente quantitativo. 
    Le contestate disposizioni lo riferiscono  alla  sola  spesa  per
investimenti e non tengono conto dell'andamento di quella corrente. 
    La normativa in esame, pertanto, in contrasto con le  sue  stesse
dichiarate finalita', non integra una  reale  riqualificazione  della
spesa per investimenti a discapito di  quella  corrente,  circostanza
questa che a ben vedere avrebbe potuto costituire uno sforzo virtuoso
delle amministrazioni interessate a fronte della recuperata capacita'
di spesa corrente, ma impone esclusivamente un  incremento  di  spesa
per investimenti, peraltro solo in termini di cassa. 
    Si individua cioe', come contrappeso per la dilatazione temporale
del rientro dal deficit, un mero aumento di spesa, nell'ambito di una
situazione di squilibrio finanziario certificata. 
    In  buona  sostanza,  si  prolunga  puramente   e   semplicemente
l'orizzonte temporale del  recupero  del  disavanzo  non  solo  senza
l'imposizione di misure volte a stimolare comportamenti  virtuosi  in
termini  di  reale  riqualificazione  della  spesa,  ma   addirittura
accostando  il  beneficio  in  parola  all'imposizione  di  ulteriori
aumenti di spesa per investimenti rispetto  a  quelle,  della  stessa
natura, sostenute in esercizi precedenti; cio', come se le  spese  in
conto capitale fossero altro rispetto al principio dell'equilibrio di
bilancio. 
    Invero, non v'e' chi non veda, come l'art. 81 della  Costituzione
tuteli gli equilibri di bilancio nel loro complesso; ne' la norma  in
commento ammette o giustifica in alcun modo uno squilibrio  di  parte
capitale. Di contro l'ordinamento finanziario-contabile  consente  il
ricorso all'indebitamento proprio per  preservare  gli  equilibri  di
parte capitale  (di  cui  le  spese  per  investimento  fanno  parte)
attraverso l'accertamento della correlativa entrata. 
    Al contempo, la dilatazione temporale del rientro dal  deficit  e
la conseguente riduzione della quota di ammortamento da imputare alla
spesa di competenza di tutti gli esercizi dei nuovi piani di rientro,
comportano un'inesorabile espansione, piu' che  proporzionale,  anche
della spesa corrente per via  della  recuperata  capacita'  di  spesa
derivante dal prolungamento del piano di rientro. 
    In conclusione, il richiesto incremento dei pagamenti  per  spese
di investimento, lungi dal rappresentare un  efficace  contrappeso  a
fronte della evidenziata  deroga  ai  principi  di  equilibrio  e  di
copertura   delle   spese,   risulta   del   tutto   inconferente   e
contraddittorio    rispetto    all'obiettivo     dichiarato     della
riqualificazione. Si assiste in definitiva ad una  reale  eterogenesi
dei fini dichiarati. 
    Prendendo le mosse da una situazione finanziaria  in  squilibrio,
si individua il contrappeso delle previste misure  di  favore  in  un
mero  aumento  di  tutte  le  componenti  di  spesa:  di  quelle  per
investimento come  conseguenza  diretta  del  comma  780;  di  quelle
correnti come conseguenza indiretta  della  recuperata  capacita'  di
spesa derivante dall'applicazione del comma 779. 
    7.2. Ne' puo' essere tralasciata la circostanza che il  richiesto
incremento debba essere valutato esclusivamente in termini  di  cassa
facendo riferimento ai soli pagamenti. 
    Ancora una volta  la  misura  richiesta  si  appalesa  inefficace
rispetto all'obiettivo di stimolare azioni virtuose in capo agli enti
beneficiari dell'estensione temporale dei piani di rientro. 
    A ben vedere in  effetti,  specie  nel  breve/medio  periodo,  il
richiesto obiettivo di incremento puo' essere agevolmente  perseguito
semplicemente attingendo dal fondo cassa per  «finanziare»  pagamenti
da residui cioe' per dar seguito ad obbligazioni  passive  registrate
in esercizi  precedenti  l'introduzione  della  norma  contestata  o,
addirittura, con la reiscrizione (e il  pagamento)  di  risorse  gia'
acquisite al bilancio  e  confluite  nell'avanzo  di  amministrazione
vincolato, vanificando completamente la finalita' di riqualificazione
della spesa dichiarata dal legislatore. 
    Cio' e' tanto piu' vero ove si consideri che  la  capienza  della
cassa, nella finanza delle regioni,  puo'  comunemente  dipendere  da
fattori estranei al reale stato  di  salute  dell'amministrazione  in
termini di sana ed equilibrata gestione finanziaria ed al conseguente
buon andamento della riscossione rispetto ai pagamenti. 
    Ci  si  riferisce,  a  titolo  meramente  esemplificativo,   alla
possibilita' di accedere alle  iniezioni  di  liquidita'  di  cui  al
decreto-legge  n.  35  del   2013   ovvero   alla   consistenza   dei
trasferimenti nazionali e comunitari ed  alla  conseguente  rilevanza
della cassa  sostanzialmente  vincolata  ovvero  ancora  della  cassa
sanitaria. 
    Una reale riqualificazione  della  spesa,  diversamente,  avrebbe
richiesto azioni di stimolo incidenti sulla gestione di competenza di
tutti gli esercizi presi  in  considerazione  dal  prolungamento  del
piano di rientro attraverso l'imposizione di progressive politiche di
sviluppo  in  termini  di  aumento  degli   impegni   di   spesa   di
investimento. 
    7.3. Il meccanismo dei contrappesi ideato dal legislatore risulta
affetto   da   irragionevolezza   anche   in   base   ad    ulteriori
considerazioni. 
    La eterogeneita' degli aggregati di spesa posti  in  correlazione
(competenza in conto corrente in  relazione  alla  contrazione  della
rata annuale da stanziare per il recupero dei deficit; cassa in conto
capitale per l'incremento degli investimenti) infatti,  non  consente
di  valutare  l'efficacia  del  meccanismo   che   assicurerebbe   la
riqualificazione, neanche nel lungo periodo. 
    Occorre in effetti spazzare il campo dall'equivoco di  paragonare
i due aggregati per sostenere  che  un  incremento  della  spesa  per
investimenti, vigente il principio  dell'equilibrio  di  bilancio,  e
quindi a  parita'  di  entrate,  non  potrebbe  che  determinare  una
riduzione  della  spesa  corrente  e   quindi   una   sua   implicita
riqualificazione. 
    L'assunto appare non  condivisibile  per  un  duplice  ordine  di
motivi. 
    Innanzitutto, in quanto, come detto, si  pretende  di  attribuire
rilievo  alla  somma  algebrica  tra  l'aumento  dei  pagamenti   per
investimenti, che sono considerati per cassa, e  la  riduzione  della
spesa corrente, che opera invece, in termini di competenza. Qualsiasi
argomento volto a dimostrare la coerenza del meccanismo in parola  si
scontra inesorabilmente con questa dirimente eccezione. 
    In secondo luogo, occorre considerare che la rata di ammortamento
a titolo di recupero del deficit ha  natura  di  spesa  corrente;  ne
consegue che all'intero di quest'ultimo aggregato  (spesa  corrente),
la  componente  che  per  effetto   delle   contestate   disposizioni
diminuisce, e'  certamente  quella  stanziata  per  il  recupero  del
deficit, mentre quella residua tende fisiologicamente a  riespandersi
in misura direttamente proporzionale. 
    In questo senso puo' concludersi che la contrazione  dell'importo
della rata di disavanzo da applicare al bilancio preventivo  prevista
dalle disposizioni  sospettate  di  incostituzionalita'  consente  in
realta' di finanziare proprio una  maggiore  spesa  corrente  residua
all'interno dell'aggregato in considerazione. 
    In altri termini, la quota parte di spesa corrente che diminuisce
in via diretta e' solo quella relativa alla riduzione della  rata  di
ammortamento; ad essa puo' seguire, a parita' di entrate, un  aumento
della spesa corrente residua in assenza di un limite  complessivo  di
spesa riferibile a tale aggregato. 
    Non si perviene a diverse conclusioni anche a  voler  considerare
il piano di recupero nel lungo periodo, in quanto lo sforzo associato
al citato incremento dei pagamenti per investimenti risulta del tutto
slegato  dalla  quantificazione   del   vantaggio   derivante   dalla
rimodulazione. 
    A fronte di un immediato «risparmio» di spesa corrente  in  conto
competenza pari alla meta' della quota annuale del disavanzo 2014  ed
al ventesimo (1/20) del disavanzo 2015 da applicare  al  bilancio  di
previsione, il reale  effetto  di  riqualificazione  della  spesa  in
termini di  stanziamenti  di  competenza  e'  solo  eventuale  e  non
quantificabile e/o  misurabile,  proprio  perche'  esso  puo'  essere
affiancato  se   non   addirittura   totalmente   sostituito,   dalla
riassegnazione   alla   competenza   delle   economie   vincolate   e
dall'utilizzo dei residui in  presenza  di  una  cassa  capiente  per
ragioni non  riconducibili  al  reale  stato  di  salute  finanziaria
dell'ente. 
    In conclusione, il meccanismo ideato dalle norme in contestazione
per bilanciare il vantaggio rinveniente dal  consistente  ampliamento
della capacita' di spesa corrente risulta contraddittorio e privo  di
sostenibilita' economico-finanziaria. 
8. Art. 1, comma 779 ultimo periodo della legge 27 dicembre 2017,  n.
205 ed art. 8, comma 1, lettera c) della  legge  Regione  Abruzzo  31
gennaio 2019, n. 2 - Violazione degli articoli 81, 97 primo e secondo
comma e 119 primo e sesto  comma  della  Costituzione,  in  combinato
disposto con gli articoli 2, 3 e 1 della Costituzione  sia  sotto  il
profilo  della  lesione  dell'equilibrio  e   della   sana   gestione
finanziaria del bilancio, sia per contrasto con  gli  interdipendenti
principi di copertura pluriennale della spesa  e  di  responsabilita'
nell'esercizio  del  mandato  elettivo.   Violazione   del   precetto
dell'equilibrio ai sensi del combinato disposto degli articoli 97, 81
e 41 della Costituzione e degli articoli  3  e  117,  comma  1  della
Costituzione, in  relazione  al  parametro  interposto  dell'art.  1,
Protocollo 1  della  Convenzione  europea  per  la  salvaguardia  dei
diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali 
    8.1. In  via  subordinata,  il  dubbio  di  costituzionalita'  va
circoscritto alla parte in cui le  misure  ampliative  dei  tempi  di
recupero del deficit sono  estese  anche  al  disavanzo  2015  ed  in
particolare all'ultimo periodo del comma 779 dell'art. 1 della  legge
n. 205 del 2017 a norma del quale «Le disposizioni di cui ai  periodi
precedenti si applicano anche con  riferimento  al  disavanzo  al  31
dicembre  2015»,  oltre  che  alla  norma  regionale  di  recepimento
rappresentata dall'art. 8, comma 1, lettera c)  della  legge  Regione
Abruzzo 31 gennaio 2019, n. 2, secondo cui «E' iscritta  nello  stato
di previsione della spesa una quota del disavanzo di  amministrazione
presunto   per   ciascuna   delle   tre   annualita'   di    bilancio
(2019-2020-2021),  cosi'  determinata:  c)  euro  4.404.075,67  quale
annualita' del disavanzo di amministrazione presunto al  31  dicembre
2015, ai sensi dell'ultimo periodo del comma 779, articolo  1,  legge
27 dicembre 2017, n. 205». 
    Anche in questo caso  i  parametri  costituzionali  violati  sono
rappresentati dagli articoli 81, 97 e 119, primo e sesto comma  della
Costituzione, in combinato disposto con gli articoli 2, 3 e  1  della
Costituzione sia sotto il profilo  della  lesione  dell'equilibrio  e
della sana gestione finanziaria del bilancio, sia per  contrasto  con
gli interdipendenti principi di copertura pluriennale della  spesa  e
di responsabilita' nell'esercizio del mandato elettivo. 
    Le norme contrastano inoltre con il precetto  dell'equilibrio  ai
sensi del combinato  disposto  degli  articoli  97,  81  e  41  della
Costituzione e degli articoli 3 e 117, comma  1  della  Costituzione,
per violazione del parametro interposto  dell'art.  1,  Protocollo  1
della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e
delle liberta' fondamentali. 
    Valgono al riguardo le medesime considerazioni espresse ai  punti
n. 5), n. 6) e n. 7) di  questa  ordinanza  in  quanto  integralmente
riferibili anche alla presente censura. 
    8.2. Ai precedenti rilievi occorre tuttavia aggiungere  ulteriori
considerazioni specificamente riferibili al richiamato ultimo periodo
del comma 779. 
    In primo luogo, si osserva che, ancor piu' di quanto  gia'  fatto
rilevare in ordine al disavanzo al  31  dicembre  2014,  alcun  nesso
possa essere ricostruito tra il disavanzo 2015 ed il «passaggio» alla
contabilita' armonizzata. 
    Se si esclude l'applicazione  dei  nuovi  schemi  di  bilancio  i
quali, lungi dal determinare gli esiti della gestione,  svolgono  una
funzione essenzialmente rappresentativa di  essa,  i  principi  della
competenza finanziaria cosiddetta potenziata introdotta  dal  decreto
legislativo n. 118/2011, nell'esercizio 2015 erano  gia'  obbligatori
ed a regime. 
    Ne' puo' ragionevolmente ritenersi che  i  disavanzi  rinvenienti
dalla gestione dell'esercizio finanziario in  considerazione  possano
essere conseguenza delle novita' introdotte dalla riforma. 
    Il testo normativo, unitamente ai principi contabili generali  ed
applicati, risultavano in effetti  ampiamente  conosciuti  in  quanto
emanati gia' nel 2011 e poi entrati in vigore nel 2015 a seguito  dei
molteplici rinvii normativi intervenuti. 
    Vieppiu', l'elevato grado di analiticita'  tecnica  delle  regole
introdotte dal decreto e dai suoi allegati principi risponde  proprio
all'esigenza di garantire, piu' che in passato, gestioni  finanziarie
rispettose dei principi costituzionali di  copertura  delle  spese  e
degli equilibri di bilancio. 
    D'altro canto, la Corte costituzionale ha giudicato le deroghe ai
principi  di  copertura  delle  spese  e  del  pareggio  di  bilancio
costituzionalmente conformi, da una parte solo  se  contemperate  con
altro interesse costituzionalmente rilevante, dall'altra a condizione
della loro eccezionalita'. 
    Ebbene, la  norma  censurata  appare  carente  sotto  entrambi  i
profili. 
    8.3. Della mancata riconducibilita' della norma, nella  parte  in
cui estende il piu'  lasco  termine  di  ripiano  del  deficit  2015,
all'abusato  passaggio  alla  contabilita'  armonizzata  si  e'  gia'
ampiamente detto (il riferimento va all'art. 3, commi  16  e  13  del
decreto legislativo  n.  118/2011  sul  rientro  nel  trentennio  dal
maggior disavanzo). 
    Occorre tuttavia in questa sede  aggiungere  che  il  legislatore
aveva  gia'  introdotto  una  serie  di  efficaci  misure   volte   a
neutralizzare  anche   i   possibili   disavanzi   conseguenti   alle
difficolta' applicative dei nuovi principi una volta a regime. 
    Cosi', a titolo meramente esemplificativo e senza alcuna  pretesa
di esaustivita', riguardo la gestione dei residui attivi e del  fondo
crediti di dubbia esigibilita', e' stato previsto che: 
        per  quanto  riguarda  il  bilancio  preventivo,  nel   primo
esercizio di applicazione della contabilita' armonizzata (appunto  il
2015) e' possibile stanziare una quota almeno pari al  50  per  cento
dell'importo   dell'accantonamento   quantificato    nel    prospetto
riguardante il fondo  crediti  di  dubbia  esigibilita'  allegato  al
bilancio di previsione. Nel  secondo  esercizio  lo  stanziamento  di
bilancio riguardante il fondo crediti di dubbia esigibilita' e'  pari
almeno al 75 per cento dell'accantonamento quantificato nel prospetto
riguardante il fondo  crediti  di  dubbia  esigibilita'  allegato  al
bilancio di previsione, e dal  terzo  esercizio  l'accantonamento  al
fondo e' effettuato per l'intero importo; 
        in sede di rendiconto  relativo  all'esercizio  2015  e  agli
esercizi successivi, fino al 2018, la quota accantonata nel risultato
di amministrazione per il fondo crediti di dubbia  esigibilita'  puo'
essere determinata, pur tenendo conto  della  situazione  finanziaria
complessiva dell'ente e del rischio di rinviare  oneri  all'esercizio
2019, facendo ricorso al  cosiddetto  «metodo  semplificato»  che  in
buona sostanza consente di agganciare l'accantonamento, al fondo  del
precedente rendiconto (il cui conseguente  disavanzo  risultava  gia'
beneficiato del piano di rientro trentennale) rideterminato  in  base
agli utilizzi del fondo  per  la  cancellazione  o  lo  stralcio  dei
crediti e dell'importo definitivamente accantonato  nel  bilancio  di
previsione. 
    Appaiono ispirati alla medesima ratio  di  riduzione  del  «peso»
delle  nuove  regole  armonizzate  anche  l'art.  2,  comma   6   del
decreto-legge n. 78 del 2015, e l'art. 39-ter  del  decreto-legge  n.
162 del 2019. 
    Quest'ultimo,  in  particolare,   ha   consentito   una   diversa
tempistica  del  ripiano  del  disavanzo  2019  determinato  dal  suo
peggioramento conseguente all'accantonamento al  fondo  anticipazione
di liquidita' dopo la sentenza della Corte costituzionale  n.  4  del
2020 che aveva dichiarato  illegittimo  il  meccanismo  previsto  dal
citato art. 2, comma 6 del decreto-legge n. 78 del  2015  che  a  sua
volta, nell'ottica della riduzione del peso delle nuove regole  sugli
equilibri  di  bilancio,  prevedeva   l'utilizzazione   della   quota
accantonata   nel   risultato   di    amministrazione    a    seguito
dell'acquisizione  delle  erogazioni  delle  anticipazioni,  ai  fini
dell'accantonamento al fondo crediti di dubbia esigibilita'. 
    Alla stessa logica pare ispirato anche l'art.  39-quater,  sempre
del decreto-legge n. 162 del 2019 il quale ha previsto una  soluzione
che, a regime, consente di ripianare  in  quindici  anni  l'eventuale
disavanzo  emergente  dal  cambio  di  metodologia  di  calcolo   (da
semplificato ad analitico) del fondo crediti di dubbia esigibilita'. 
    Sempre   nell'ottica   della   riduzione   degli   accantonamenti
obbligatori nei primi anni dell'armonizzazione, si pone,  da  ultimo,
l'art. 60, comma 3 del decreto legislativo n. 118 del  2011  a  norma
del quale, a seguito dell'eliminazione dell'istituto della perenzione
amministrativa, «una quota del risultato  di  amministrazione  al  31
dicembre  2014  e'  accantonata  per  garantire  la  copertura  della
reiscrizione  dei  residui  perenti,  per  un  importo  almeno   pari
all'incidenza delle richieste di  reiscrizione  dei  residui  perenti
degli ultimi tre esercizi rispetto all'ammontare dei residui  perenti
e comunque incrementando annualmente l'entita' dell'accantonamento di
almeno il 20 per cento, fino  al  70  per  cento  dell'ammontare  dei
residui perenti». 
    Si puo' pertanto concludere che, prima dell'intervento  normativo
contestato, a piu' riprese il legislatore si era gia' fatto carico di
alleggerire  i  tempi   di   recupero   dei   disavanzi   ascrivibili
rispettivamente: 
        1) agli esercizi pregressi al 1° gennaio 2015 con  l'art.  9,
comma 5 del decreto-legge n. 78 del 2015; 
        2) al passaggio al sistema armonizzato con l'art. 3, commi 16
e 13 del decreto legislativo n. 118 del 2011; 
        3)   alle   difficolta'   applicative   della    contabilita'
armonizzata a regime con le richiamate norme del decreto  legislativo
n. 118 del 2011 e del «Principio contabile applicato  concernente  la
contabilita' finanziaria» ad esso allegato (Allegato n. 4/2),  e  con
il citato decreto-legge n. 162 del 2019 (art. 39-ter e 39-quater). 
    Alla luce di quanto esposto, l'ulteriore estensione al  ventennio
del piano di rientro dal deficit all'esito  dell'esercizio  2015  non
appare  giustificata  dall'esigenza  di  contemperamento  con   altro
interesse costituzionalmente rilevante  e  si  appalesa  radicalmente
scollegata dall'introduzione, oltre che dall'applicazione,  a  regime
della contabilita' armonizzata. 
    La compatibilita' della norma contestata  con  l'attuale  assetto
costituzionale appare in definitiva esclusa laddove si consideri  che
la Corte costituzionale (sentenza  n.  107/2016),  ha  affermato  che
l'ampliamento dell'orizzonte temporale per il ripiano puo' ammettersi
in ragione di eventi contabili che facciano emergere un disavanzo che
puo' essere ritenuto «straordinario» nelle  sue  cause  e  nelle  sue
dimensioni e che deve, quindi, essere fronteggiato normativamente  in
modo da consentire agli enti di recuperare le coperture in un arco di
tempo che sia ragionevole e compatibile con la capacita' di  reperire
le  risorse  mancanti  e  necessarie  ad  erogare  le  su  richiamate
prestazioni costituzionalmente imprescindibili. 
    Il censurato intervento normativo si appalesa, in buona sostanza,
episodico ed asistematico in quanto  incide  sui  risultati  negativi
della sola gestione 2015. 
    Viola inoltre il piu' volte richiamato principio della necessaria
eccezionalita' e definitivita' degli interventi normativi  derogatori
rispetto agli ordinari tempi di riassorbimento dei  deficit  previsti
dall'ordinamento finanziario e contabile degli enti territoriali. 
    Al riguardo e' opportuno richiamare le univoche indicazioni della
Corte costituzionale che, in riferimento al disavanzo tecnico di  cui
all'art. 3, comma 13 del decreto legislativo  n.  118  del  2011,  ha
avuto modo di chiarire che «Avere riguardo a tale fenomeno patologico
e consentire questa ulteriore facolta' di disavanzo - oltre a  quelle
decennali (art. 9, comma 5, del decreto-legge 19 giugno 2015, n.  78,
recante  "Disposizioni  urgenti  in  materia  di  enti  territoriali.
Disposizioni  per  garantire  la  continuita'  dei   dispositivi   di
sicurezza e di  controllo  del  territorio.  Razionalizzazione  delle
spese del Servizio sanitario nazionale nonche' norme  in  materia  di
rifiuti e di emissioni industriali") e trentennali (art. 3, comma 16,
del d.lgs. n. 118 del 2011), nonche' alle anticipazioni di liquidita'
per debiti inevasi (da restituire anch'esse in un trentennio: artt. 2
e 3 del decreto-legge 8 aprile 2013,  n.  35,  recante  "Disposizioni
urgenti  per  il  pagamento  dei  debiti   scaduti   della   pubblica
amministrazione,  per  il   riequilibrio   finanziario   degli   enti
territoriali, nonche' in materia di versamento di tributi degli  enti
locali") - costituisce certamente una dimostrazione  di  fiducia  del
legislatore  statale   nei   confronti   degli   enti   territoriali;
dimostrazione di fiducia sicuramente corredata  dall'aspettativa  che
la sua utilizzazione sia una tantum e non  ingeneri  la  convinzione,
negli stessi enti destinatari, che possano ripetersi e perpetuarsi le
disfunzioni amministrative nella riscossione delle  entrate  e  nella
copertura  delle  spese,  magari  confidando  in  nuovi   eccezionali
provvedimenti legislativi di dilazione delle passivita'» (sentenza n.
6/2017). 
    La norma  sospettata  di  incostituzionalita',  incidendo  su  un
quadro normativo gia' ampiamente derogatorio  rispetto  all'enunciata
clausola generale del  pareggio  di  bilancio,  invero,  non  integra
affatto una misura una tantum, ma si appalesa come l'ennesima ipotesi
derogatoria che rischia di trasformare l'eccezione  in  regola  cosi'
ingenerando l'affidamento che  le  norme  adottate  possano  assumere
carattere ordinario  anziche'  eccezionale  ed  isolato,  sospingendo
cosi',  inevitabilmente,  «le  scelte  degli   amministratori   verso
politiche di "corto respiro", del tutto subordinate alle  contingenti
disponibilita' di cassa» (Corte costituzionale, sentenza n. 18/2019). 
    Pertanto, l'estensione del rilevante prolungamento temporale  del
recupero anche al deficit 2015, ad avviso della Sezione: 
        risulta  incompatibile   con   una   gestione   di   bilancio
equilibrata; 
        ingenera l'affidamento che le norme  contestate,  slegate  da
interessi  costituzionalmente   rilevanti   che   ne   possano   aver
giustificato  l'adozione,  possano   assumere   carattere   ordinario
anziche' eccezionale ed isolato; 
        ha l'esclusivo effetto di spostare su generazioni  successive
il peso finanziario di una gestione priva di coperture, in danno  dei
principi di cui agli articoli 97, 81, 3 e 2 della Costituzione; 
        induce inevitabilmente «le scelte degli amministratori  verso
politiche di "corto respiro", del tutto subordinate alle  contingenti
disponibilita' di cassa»; 
        sottrae   gli   amministratori   al   vaglio    della    loro
responsabilita'   politica   e   amministrativa   (art.    1    della
Costituzione). 
    In conclusione, come fatto rilevare dalla  Corte  costituzionale,
«ferma restando la discrezionalita' del legislatore nello scegliere i
criteri e le modalita' per porre riparo  a  situazioni  di  emergenza
finanziaria come quella in esame, non puo'  [tuttavia]  disconoscersi
la problematicita' di soluzioni normative continuamente mutevoli come
quelle  precedentemente  evidenziate,   le   quali   prescrivono   il
riassorbimento dei disavanzi in  archi  temporali  molto  vasti,  ben
oltre il ciclo di bilancio ordinario, con possibili ricadute negative
anche  in  termini  di  equita'  intergenerazionale»   (sentenza   n.
107/2016).