ha pronunciato la seguente 
 
                              ORDINANZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art.  11,  comma
2-bis, lettera  b),  del  decreto-legge  14  dicembre  2018,  n.  135
(Disposizioni urgenti in materia di sostegno e semplificazione per le
imprese  e  per  la  pubblica   amministrazione),   convertito,   con
modificazioni, nella legge 11 febbraio  2019,  n.  12,  promosso  dal
Tribunale amministrativo regionale  per  il  Lazio  nel  procedimento
vertente tra Gerardo Gervasio e altri e il Ministero  dell'interno  e
altri, con ordinanza del 3  luglio  2020,  iscritta  al  n.  204  del
registro ordinanze 2020 e pubblicata nella Gazzetta  Ufficiale  della
Repubblica n. 4, prima serie speciale, dell'anno 2021. 
    Visti gli atti di intervento di Luca Bernardinelli  e  altri,  di
Diego D'Ippolito e del Presidente del Consiglio dei ministri; 
    viste le istanze di fissazione della camera di consiglio  per  la
decisione sull'ammissibilita' degli  interventi  depositate  da  Luca
Bernardinelli e altri e da Diego D'Ippolito; 
    udito nella camera di consiglio del 22 settembre 2021 il  Giudice
relatore Franco Modugno; 
    deliberato nella camera di consiglio del 23 settembre 2021. 
    Ritenuto che, con ordinanza del 3 luglio 2020 (r.o.  n.  204  del
2020),  il  Tribunale  amministrativo  regionale  per  il  Lazio   ha
sollevato,  in  riferimento  agli  artt.  3,  51,  77  e   97   della
Costituzione, questioni di legittimita' costituzionale dell'art.  11,
comma 2-bis, lettera b), del decreto-legge 14 dicembre 2018,  n.  135
(Disposizioni urgenti in materia di sostegno e semplificazione per le
imprese e per la pubblica amministrazione), aggiunto dalla  legge  di
conversione 11 febbraio 2019, n. 12,  nella  parte  in  cui  dispone:
«purche' in possesso, alla data del 1° gennaio 2019, dei requisiti di
cui all'articolo 6 del decreto del  Presidente  della  Repubblica  24
aprile 1982, n. 335, nel testo vigente alla data di entrata in vigore
della legge 30 dicembre 2018, n. 145, fatte salve le disposizioni  di
cui all'articolo 2049 del citato codice dell'ordinamento militare»; 
    che il giudice a quo rileva che la norma censurata ha autorizzato
l'assunzione di 1.851 allievi agenti della Polizia di Stato  mediante
scorrimento  della  graduatoria  della  prova  scritta  del  concorso
bandito dal Ministero dell'interno con decreto del  18  maggio  2017,
consentendo tuttavia di assumere, tra  i  collocati  in  graduatoria,
solo i soggetti in possesso, al 1° gennaio 2019, dei nuovi  requisiti
- anagrafico e culturale - per l'accesso alla carriera iniziale della
Polizia di Stato introdotti medio tempore dal decreto legislativo  29
maggio 2017, n. 95 (Disposizioni in materia di  revisione  dei  ruoli
delle Forze di polizia, ai sensi dell'articolo 8, comma 1, lettera a,
della legge 7 agosto 2015, n. 124,  in  materia  di  riorganizzazione
delle amministrazioni pubbliche), vale a dire: eta' non  superiore  a
26 anni e titolo di studio di  scuola  secondaria  superiore  (quando
invece il bando originario prevedeva un limite di eta' di 30  anni  e
il titolo di studio di scuola secondaria inferiore); 
    che, ad avviso del giudice a  quo,  la  norma  denunciata,  nella
parte in cui richiede il possesso di tali  nuovi  e  piu'  stringenti
requisiti, violerebbe i parametri costituzionali evocati; 
    che le questioni  sono  sollevate  nell'ambito  del  giudizio  di
impugnazione del decreto del 13 marzo  2019,  con  cui  il  Ministero
dell'interno ha avviato la procedura di assunzione autorizzata  dalla
norma censurata, e degli atti ad esso conseguenti; 
    che il giudizio a quo e' stato promosso da soggetti che - sebbene
collocati  nella  graduatoria  della  prova  scritta  del  precedente
concorso   in   posizione   potenzialmente   utile    per    aspirare
all'assunzione - sono stati esclusi dalla procedura in quanto non  in
possesso  dei  nuovi  requisiti  (in  particolare,  perche'  di  eta'
superiore a 26 anni); 
    che, con atti depositati il 16 gennaio 2021, sono intervenuti  ad
adiuvandum nel giudizio incidentale  i  signori  Luca  Bernardinelli,
Francesca Carocci, Andrea Castellino, Giuseppe Ciarla,  Guido  Manco,
Sebastiano Pecchia, Vincenzo  Proietti,  Alessandra  Rizzo,  Federica
Serino, Valentina Sivero, Elena Tarantino, Francesco Varone  e  Diego
D'Ippolito; 
    che gli intervenienti hanno dedotto di avere  concreto  interesse
alla  dichiarazione  di  illegittimita'  costituzionale  della  norma
censurata, trovandosi in una situazione del tutto  analoga  a  quella
dei ricorrenti nel giudizio a quo; 
    che gli intervenienti hanno chiesto, altresi', che  questa  Corte
si pronunci anticipatamente sull'ammissibilita' dei loro  interventi,
con ogni effetto conseguente; 
    che, con memoria depositata il 29 luglio 2021, il Presidente  del
Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e  difeso   dall'Avvocatura
generale  dello   Stato,   ha   contestato   l'ammissibilita'   degli
interventi; 
    che la suddetta memoria non e' stata presa in considerazione,  in
quanto tardiva rispetto al termine previsto dall'art. 4-bis, comma 3,
delle  Norme  integrative  per   i   giudizi   davanti   alla   Corte
costituzionale; 
    che questa Corte si e' quindi riunita in camera di  consiglio  il
22 settembre 2021 per decidere sull'ammissibilita' degli interventi. 
    Considerato che l'art. 4, comma 7, delle Norme integrative per  i
giudizi davanti  alla  Corte  costituzionale  stabilisce  che  «[n]ei
giudizi in via incidentale  possono  intervenire  i  titolari  di  un
interesse qualificato,  inerente  in  modo  diretto  e  immediato  al
rapporto dedotto in giudizio»; 
    che tale disposizione recepisce  la  costante  giurisprudenza  di
questa Corte, secondo cui la partecipazione al  giudizio  incidentale
di legittimita' costituzionale e' circoscritta, di norma, alle  parti
del giudizio a  quo,  oltre  che  al  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri e, nel caso di legge regionale, al Presidente  della  Giunta
regionale (artt. 3 e 4 delle Norme integrative per i giudizi  davanti
alla  Corte  costituzionale);  disciplina,  questa,  alla  quale   e'
possibile derogare - senza  venire  in  contrasto  con  il  carattere
incidentale del giudizio - soltanto  a  favore  di  terzi  che  siano
titolari di un  interesse  qualificato,  immediatamente  inerente  al
rapporto sostanziale dedotto in giudizio (ex plurimis,  ordinanze  n.
271 e n. 37 del 2020) e non  semplicemente  regolato,  pari  ad  ogni
altro, dalla norma oggetto di censura (ex plurimis,  sentenze  n.  46
del 2021, n. 206, n. 159, n. 106, n. 98 e n. 13 del 2019, n. 217,  n.
180 e n. 77 del 2018, n. 85 del 2017; ordinanze n. 24  del  2021,  n.
202 del 2020 e n. 204 del 2019); 
    che tale interesse qualificato sussiste, in specie, allorche'  si
configuri   una   «posizione   giuridica   suscettibile   di   essere
pregiudicata  immediatamente  e  irrimediabilmente   dall'esito   del
giudizio incidentale» (sentenza n. 159 del 2019, ordinanze n.  271  e
n. 111 del 2020); 
    che  non  e'  sufficiente,  al  fine   di   rendere   ammissibile
l'intervento,  la  circostanza  che  il  soggetto  sia  titolare   di
interessi analoghi a quelli dedotti nel giudizio  principale,  o  che
sia parte in un giudizio analogo, ma diverso dal giudizio a quo,  sul
quale la decisione di questa Corte possa influire: l'intervento di un
simile terzo, ove ammesso, contrasterebbe infatti  con  il  carattere
incidentale del giudizio di legittimita' costituzionale, in quanto il
suo accesso a tale giudizio avverrebbe senza la previa verifica della
rilevanza e della  non  manifesta  infondatezza  della  questione  di
legittimita' costituzionale da parte del  rispettivo  giudice  a  quo
(tra le altre, sentenza n. 106 del 2019 e ordinanza n. 202 del 2020); 
    che cio' comporta l'inammissibilita' degli odierni interventi,  i
quali trovano la loro ragione fondante nella semplice analogia  della
posizione sostanziale degli intervenienti  rispetto  a  quella  delle
parti ricorrenti nel giudizio principale (con riguardo a  fattispecie
strutturalmente del tutto simile a quella in esame, sentenza  n.  106
del 2019); 
    che a cio' va aggiunto che gli intervenienti non hanno dedotto di
aver tempestivamente impugnato, neppure in un distinto giudizio,  gli
atti  amministrativi  che  li  hanno  esclusi  dalla   procedura   di
assunzione prevista dalla norma censurata, con  la  conseguenza  che,
nei loro confronti, il rapporto deve considerarsi esaurito; 
    che cio' rende, a maggior ragione, gli interventi  inammissibili,
posto che l'eventuale  accoglimento  delle  questioni  non  potrebbe,
comunque  sia,  produrre  alcun  effetto   utile   a   favore   degli
interessati: per costante giurisprudenza di questa Corte, infatti, la
cosiddetta efficacia retroattiva  delle  pronunce  di  illegittimita'
costituzionale incontra il limite dei rapporti esauriti, tra i  quali
rientrano quelli che non possano piu' dare materia a un  giudizio  in
ragione della disciplina dei termini di inoppugnabilita'  degli  atti
amministrativi (sentenza n. 10 del 2015, ordinanza n. 135 del 2010). 
    Visti gli artt. 4 e 4-bis delle Norme integrative per  i  giudizi
davanti alla Corte costituzionale.