IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER LA LIGURIA Sezione seconda Ha pronunciato la presente ordinanza sul ricorso numero di registro generale 53 del 2020, proposto da Ente nazionale protezione animali E.N.P.A Onlus, Lega italiana protezione degli uccelli - Lipu Birdlife Italia Odv, Associazione italiana world wide fund for nature (Wwt) Onlus Ong, Lav Lega antivivisezione onlus ente morale, in persona dei rispettivi legali rappresentanti, tutti rappresentati e difesi dall'avvocato Valentina Stefutti, con domicilio digitale come da PEC da Registri di giustizia; Contro Regione Liguria, in persona del Presidente della Giunta regionale in carica, rappresentata e difesa dagli avvocati Leonardo Castagnoli e Andrea Bozzini, con domicilio digitale come da PEC da Registri di giustizia e con domicilio eletto presso gli uffici dell'Avvocatura regionale a Genova, via Fieschi, n. 15; Nei confronti Eps ente produttori selvaggina non costituito in giudizio; E con l'intervento di ad opponendum: Federazione della Regione Liguria, A.N.U.U. - Associazione dei migratoristi italiani per la Conservazione dell'ambiente naturale - sede regionale della Lig, Arcicaccia Liguria, Associazione nazionale libera caccia - A.N.L.C. sede regionale della Liguria, Unione nazionale enalcaccia pesca e tiro Liguria, in persona dei rispettivi legali rappresentanti, tutti rappresentati e difesi dall'avvocato Pietro Balletti, con domicilio digitale come da PEC da Registri di giustizia e con domicilio eletto presso il suo studio a Genova, via Corsica, n. 2; Per l'annullamento della nota della Regione Liguria - settore fauna selvatica, caccia e vigilanza venatoria, del 23 dicembre 2019, prot. PG/2019/376978, avente a oggetto: «Legge regionale 7 ottobre 2008, n. 35 Modifica alla legge regionale 22 gennaio 1999, n. 4 (Norme in materia di foreste e di assetto idrogeologico)», nonche' di ogni altro atto presupposto, conseguente o comunque connesso, ancorche' non conosciuto; Visti il ricorso e i relativi allegati; Visti tutti gli atti della causa; Visto l'atto di costituzione in giudizio della Regione Liguria; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 14 aprile 2021 il dott. Alessandro Enrico Basilico; Visti l'art. 134 della Costituzione, l'art. 1 della legge costituzionale n. 1 del 1948 e l'art. 23 della legge n. 87 del 1953; Premesso e considerato che: le ricorrenti, tutte individuate dal Ministero competente quali associazioni di protezione ambientale ai sensi degli articoli 13 e 18 della legge n. 349 del 1986, hanno impugnato dinanzi a questo Tribunale la circolare emessa il 23 dicembre 2019 (prot. n. 376978) dal dirigente del settore fauna selvatica, caccia e vigilanza venatoria del Dipartimento agricoltura, turismo, formazione e lavoro della Regione Liguria, con la quale questi ha fornito indicazioni alle autorita' e ai soggetti preposti all'attivita' di vigilanza faunistico-venatoria relativamente alla soluzione dell'«antinomia riscontrata tra normativa regionale e normativa statale in materia di divieto di caccia in terreni boscati percorsi dal fuoco», evidenziando che «l'unica disposizione applicabile in territorio ligure e' quella speciale contenuta nella legge regionale n. 35/2008»; in particolare, nella circolare si afferma che, sebbene l'art. 10, comma 1, della legge n. 353 del 2000 (legge quadro in materia di incendi boschivi) stabilisca un divieto di caccia per dieci anni, «si ritiene che nel territorio ligure debba essere considerato vigente il divieto di caccia previsto dall'art. 46, comma 5, della legge regionale n. 4/1999, che dispone: "5. Nei boschi percorsi da incendi e' vietato per tre anni l'esercizio dell'attivita' venatoria, qualora la superficie bruciata sia superiore ad ettari uno. Tali boschi devono essere opportunamente tabellati"», in quanto «in carenza di una pronuncia di illegittimita' da parte della Corte costituzionale, la legge risulta a tutti gli effetti valida ed efficace»; la stessa circolare ha aggiunto che «affinche' si possa validamente contestare la violazione della norma di cui all'art. 46, comma 5, della legge regionale n. 4/1999, occorre che i soprassuoli percorsi dal fuoco, sui quali viene rilevato il comportamento illecito, risultino preventivamente perimetrati e censiti nell'apposito catasto comunale di cui all'art. 10, comma 1 della legge 21 novembre 2000, n. 353, nonche' opportunamente tabellati». le ricorrenti hanno chiesto a questo Tribunale amministrativo regionale l'annullamento della circolare, previa sospensione dell'esecutivita', e hanno eccepito, in via pregiudiziale, l'incostituzionalita' dell'art. 46, comma 5, della legge regionale n. 4 del 1999 per violazione dell'art. 117, comma 2, lettera s), della Costituzione; si e' costituita in giudizio la Regione, resistendo al ricorso; sono intervenute nel processo le associazioni venatorie elencate in epigrafe, chiedendo anch'esse il rigetto dell'impugnativa; con ordinanza n. 156 del 2020, la domanda cautelare e' stata respinta, in quanto si e' ritenuto insussistente il presupposto del «periculum in mora»; nel prosieguo del giudizio, le parti hanno presentato ulteriori scritti difensivi, approfondendo le rispettive tesi; all'udienza del 14 aprile 2021, la causa e' stata trattenuta in decisione; il collegio e' chiamato innanzitutto a valutare la sussistenza dei presupposti processuali e delle condizioni dell'azione, la cui verifica e' strumentale al riscontro della rilevanza della questione di costituzionalita' eccepita dalle ricorrenti; in via pregiudiziale, le associazioni venatorie intervenienti eccepiscono l'improcedibilita' del ricorso per sopravvenuta carenza d'interesse ad agire, in quanto si e' conclusa la stagione di caccia 2020/2021; l'eccezione e' infondata, perche' la circolare non riguarda una singola stagione di caccia, ma e' volta a indirizzare l'attivita' di vigilanza faunistico-venatoria in generale e senza limiti di tempo e, considerato che essa non e' stata ritirata dall'amministrazione, le ricorrenti conservano interesse a ottenerne l'annullamento; ancora, in via pregiudiziale, le associazioni venatorie intervenienti eccepiscono il difetto d'interesse ad agire, in quanto l'individuazione del territorio agro-silvo-pastorale nel quale e' consentita la caccia e' rimessa al piano faunistico-venatorio; l'eccezione e' infondata, perche' le ricorrenti non si dolgono dell'inclusione di un determinato terreno tra quelli nei quali e' consentita la caccia, ma lamentano il fatto che, per effetto della circolare impugnata, l'attivita' di vigilanza faunistico-venatoria sia indirizzata in modo da escludere i controlli sui terreni percorsi da incendi da oltre tre anni e che comunque non siano preventivamente perimetrati e censiti nell'apposito catasto comunale, nonche' opportunamente tabellati, a prescindere dal modo con cui tali terreni vengono considerati nel Piano faunistico-venatorio; infine, in via pregiudiziale, tanto la Regione, quanto le associazioni venatorie intervenienti eccepiscono l'inammissibilita' del ricorso per carenza d'interesse ad agire, in quanto l'atto impugnato sarebbe privo di effetti lesivi immediati e diretti, trattandosi di una circolare interpretativa; a questo proposito, si deve osservare, in linea di principio, che non si puo' escludere che le circolari possano essere impugnate davanti al giudice amministrativo, considerato che l'art. 113 della costituzione stabilisce che la tutela giurisdizionale contro gli atti dell'amministrazione «e' sempre ammessa» e «non puo' essere esclusa o limitata [...] per determinate categorie di atti» (in questo senso, si v. anche Tribunale amministrativo regionale Lazio, Roma, sez. II, sentenza n. 7395 del 2012); il problema dell'ammissibilita' dell'impugnazione delle circolari non attiene quindi alla natura dell'atto in se', quanto alla verifica della lesione che puo' derivarne, da apprezzare alla luce della funzione e del contenuto in concreto (in questi termini, si v. anche Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza n. 1458 del 2016); infatti, secondo un'autorevole dottrina e una giurisprudenza consolidata, con il termine «circolare» non s'intende un tipo di atto, quanto piuttosto il mezzo con cui vengono comunicati atti dai contenuti piu' eterogenei: tra questi, si distinguono cosi le circolari «interpretative», con cui «gli organi di vertice dell'amministrazione intendono perseguire un'applicazione uniforme del diritto», le quali, ove facciano riferimento a fattispecie concrete, possono «ledere direttamente situazioni soggettive», manifestando quindi caratteri propri del provvedimento amministrativo (in questi termini, si v. ancora Tribunale amministrativo regionale Lazio, Roma, sez. II, sentenza n. 7395 del 2012); quella impugnata nel presente giudizio e' una circolare «interpretativa», in quanto con essa l'Amministrazione regionale intende perseguire un'applicazione uniforme della normativa in materia di divieto di caccia in terreni boscati percorsi dal fuoco, indirizzando su questa base l'attivita' di vigilanza faunistico-venatoria; sebbene l'orientamento tradizionale ritenga che le circolari «interpretative» siano prive di effetti vincolanti - in quanto il singolo funzionario puo' discostarsene e, comunque, esse ben possono essere disattese dal giudice (tra le tante, si v. Cons. St., sez. IV, sentenza n. 367 del 2019) - si deve considerare che queste, quando provengono da organi dotati di specifiche competenze in un dato ambito, hanno comunque l'effetto di orientare l'attivita' amministrativa in quel settore, effetto che non e' di mero fatto, bensi' propriamente giuridico, in quanto correlato all'obiettivo e alla funzione stessa della circolare, ossia fornire indirizzi agli uffici per un'uniforme applicazione della legge; d'altronde, proprio in ragione della considerazione che una circolare, ancorche' interpretativa, produce tali effetti, in giurisprudenza se ne ammette l'impugnazione, sia pure unitamente all'atto esecutivo che cagiona una lesione al singolo, giungendo anche a ritenere che il relativo gravame comporti una modifica della competenza a conoscere dell'intera controversia (sul punto, si v. Cons. St., Ad. Plen., sentenza n. 19 del 2011, nonche', piu' di recente, Tribunale amministrativo regionale Campania, Napoli, sentenza n. 3036 del 2020 e Tribunale amministrativo regionale Lazio, Roma, sez. I, sentt. n. 50 del 2019); inoltre, le circolari «interpretative» spiegano una particolare efficacia rispetto all'attivita' di vigilanza preordinata all'adozione di sanzioni amministrative, perche' si ritiene che il singolo che vi si conforma possa invocare la propria buona fede e rimanere esente da sanzione per carenza dell'elemento soggettivo (sul punto si v., tra le tante, Cass. civ., sez. trib., sentenza n. 18618 del 2019); se dunque le circolari «interpretative» sono prive di efficacia lesiva per i singoli, la circostanza che queste producano comunque l'effetto di orientare l'attivita' amministrativa conduce a ritenere che possano ledere interessi diffusi (a tal proposito, si v. per esempio Tribunale amministrativo regionale Lazio sentenza n. 10273 del 2020, che ha ritenuto ammissibile l'impugnazione della circolare ministeriale relativa alla scelta dell'attivita' alternativa per gli studenti che non si avvalgono dell'insegnamento della religione cattolica da parte dell'Unione degli atei e degli agnostici razionalisti, in quanto gli interessi di cui questa e' portatrice «si assumono incisi dall'atto ministeriale impugnato»); occorre infatti considerare che la giurisprudenza e' pervenuta a riconoscere all'interesse diffuso una dignita' e una consistenza propria e distinta da quella dell'interesse legittimo del singolo, definendolo come «un interesse sostanziale che eccede la sfera dei singoli per assumere una connotazione condivisa e non esclusiva, quale interesse di "tutti" in relazione ad un bene dal cui godimento individuale nessuno puo' essere escluso, ed il cui godimento non esclude quello di tutti gli altri» (si v., di recente, Cons. St., Ad. Plen., sentenza n. 6 del 2020); se dunque l'interesse diffuso e' «sintesi e non sommatoria dell'interesse di tutti gli appartenenti alla collettivita'» (cosi, ancora, Cons. St., Ad. Plen., sentenza n. 6 del 2020), e' logico ritenere che anche la relativa lesione possa manifestarsi in forme e modalita' differenti dalla semplice somma di singole lesioni a interessi individuali; con particolare riferimento, alla tutela dell'ambiente, e' ormai consolidato in giurisprudenza l'orientamento secondo cui, alla luce del principio di precauzione che ispira la normativa di questa materia, va seguito un approccio necessariamente «non restrittivo» nell'individuazione della lesione che potrebbe astrattamente fondare l'interesse all'impugnazione, dato che «pretendere la dimostrazione di un sicuro pregiudizio all'ambiente o alla salute, ai fini della legittimazione e dell'interesse a ricorrere, costituirebbe una probatio diabolica, tale da incidere sul diritto costituzionale di tutela in giudizio delle posizioni giuridiche soggettive» (tra le piu' recenti, si v.: Cons. St., sez. IV, sentenza n. 6862 del 2020; Tribunale amministrativo regionale Campania, Napoli, sentenza n. 1790 del 2021; Tribunale amministrativo regionale Campania, Salerno, sentenza n. 1147 del 2020), pertanto la «soglia di tutela giurisdizionale, nella relativa declinazione di salvaguardia dei valori ambientali, deve intendersi anticipata al livello di oggettiva presunzione di lesione» (in questi termini, si v. Tribunale amministrativo regionale Puglia, Lecce, sentenza n. 1191 del 2020); inoltre, con riguardo alle associazioni portatrici dell'interesse diffuso alla salvaguardia dell'ambiente, la cui legittimazione trova fondamento normativo negli articoli 13 e 18 della legge n. 349 del 1986, l'interesse ad agire «deve essere ritenuto certamente sussistente nel caso in cui si eccepisca in via diretta la lesione del bene ambiente» (cosi, tra le tante, Tribunale amministrativo regionale Lombardia, Milano, sentenza n. 2500 del 2019) e, stante il gia' richiamato principio di precauzione, ben puo' essere ritenuto sussistente in forza di un ragionamento presuntivo, ossia nei casi in cui, secondo massime d'esperienza, il verificarsi di un pregiudizio all'ambiente sia «piu' probabile che non»; nel caso di specie, la circolare impugnata e' espressione dell'esercizio della funzione di coordinamento delle funzioni di vigilanza e controllo sull'attivita' venatoria attribuita alla Regione dall'art. 48 della legge regionale n. 29 del 1994, pertanto, in base alla massima d'esperienza secondo cui la grande maggioranza dei funzionari pubblici e' solita conformarsi alle circolari volte a coordinarne l'azione, e' presumibile che questa effettivamente orienti il comportamento degli addetti alla vigilanza, cosi riducendo considerevolmente - se non eliminando - i controlli sulla caccia nei boschi percorsi da incendi da piu' di tre anni, con superficie bruciata inferiore a un ettaro e non opportunamente tabellati (senza contare che, nel caso in cui la sanzione venisse emessa, consentira' al trasgressore d'invocare utilmente la propria «buona fede» in sede d'impugnazione), con l'effetto finale e complessivo di ridurre la tutela del bene ambiente; sotto altro profilo, l'annullamento dell'atto impugnato risponde all'esigenza di assicurare una tutela «piena ed effettiva» (art. 1 cod. proc. amm.) all'interesse diffuso alla protezione dell'ambiente anche mediante sollecitazione del sindacato di costituzionalita' sulla legge regionale interpretata dalla circolare, che, diversamente, risulterebbe difficilmente promuovibile: se infatti si considera che, in ossequio alla circolare e fino a un suo eventuale annullamento, e' presumibile che gli agenti di vigilanza si astengano dall'irrogare sanzioni nel caso di attivita' venatoria nei boschi percorsi da incendi da piu' di tre anni, si comprende come sia improbabile l'instaurazione di eventuali ulteriori giudizi, aventi a oggetto l'applicazione della circolare stessa, nei quali la questione medesima possa essere rilevante (sull'interesse ad agire per sollecitare il sindacato di costituzionalita' quanto questo rappresenti «l'unico spiraglio di tutela» della posizione soggettiva si v. Cons. St., sez. IV, sentenza n. 753 del 2014, la quale ha ritenuto rilevante la questione di costituzionalita' di una norma per come interpretata dalla circolare impugnata nel relativo giudizio); sussiste quindi l'interesse delle associazioni ricorrenti a ottenere l'annullamento della circolare e del correlato effetto d'indirizzo, al fine di estendere l'attivita' di vigilanza anche ai boschi percorsi da incendi da piu' di tre anni e senza le ulteriori condizioni previste dalla normativa regionale per l'applicazione del divieto; rispetto alla domanda di annullamento cosi' configurata, la questione di costituzionalita' e' rilevante; la «norma oggetto» della questione, ossia l'art. 46, comma 5, della legge regionale n. 4 del 1999 (Norme in materia di foreste e di assetto idrogeologico), come aggiunto dall'art. 1 della legge regionale n. 35 del 2008, stabilisce che: «nei boschi percorsi da incendi e' vietato per tre anni l'esercizio dell'attivita' venatoria, qualora la superficie bruciata sia superiore ad ettari uno. Tali boschi devono essere opportunamente tabellati»; nell'affermare che in Liguria deve ritenersi vigente unicamente questo divieto, invece di quello piu' stringente disposto dalla normativa statale, la circolare indirizza l'azione degli organi di vigilanza applicando coerentemente la legge regionale, la quale e' effettivamente in vigore fino a che la Corte ne dichiari l'incostituzionalita'; pertanto, questo giudice non puo' decidere sull'illegittimita' dell'atto impugnato senza che sia prima risolto il dubbio di costituzionalita' della norma regionale su cui esso si fonda e di cui rappresenta la coerente attuazione; la questione di costituzionalita' della legge regionale per violazione dell'art. 117, comma 2, lettera s), della Costituzione, e' anche non manifestamente infondata; il parametro richiamato riserva alla legislazione esclusiva dello Stato la tutela dell'ambiente e dell'ecosistema, con la conseguenza che spetta al legislatore nazionale stabilire standard minimi e uniformi di tutela della fauna, ponendo regole che possono essere modificate dalle Regioni, nell'esercizio della loro potesta' legislativa in materia di caccia, esclusivamente nella direzione dell'innalzamento del livello di tutela; nel caso di specie, l'art. 10, comma 1, della legge statale n. 353 del 2000 prevede che la caccia sia vietata per dieci anni nelle zone boscate i cui soprassuoli siano stati percorsi dal fuoco, senza porre condizioni connesse alla dimensione della superficie bruciata o al fatto che il bosco sia o meno tabellato; questa prescrizione e' stata ritenuta una misura minima e uniforme di tutela della fauna, non derogabile dai legislatori regionali, dalla Corte costituzionale che, su tale base, con la sentenza n. 303 del 2013 ha dichiarato l'incostituzionalita' della legge della Regione Campania n. 26 del 2012, che stabiliva un divieto di caccia di dodici mesi nelle zone colpite da incendi, argomentando che «la normativa statale, nella prospettiva di consentire la ricostituzione dell'area boschiva incendiata, prevede, dunque, un periodo di inibizione della caccia piu' ampio rispetto a quello stabilito in modo generale e indistinto dalla norma regionale censurata, la quale si risolve, percio', in una riduzione della soglia minima di tutela»; come in quel caso, cosi anche in quello specie vi e' un contrasto tra la legge statale e la legge regionale, la quale riduce la soglia minima di tutela e appare costituzionalmente illegittima sotto due profili: innanzitutto, perche' vieta di cacciare nelle zone boschive danneggiate, in tutto o in parte, da incendio per tre anni, anziche' per dieci anni successivi; inoltre, perche', ai fini dell'applicazione del divieto, pone condizioni ulteriori non previste dalla normativa statale, ossia che la superficie bruciata sia superiore a un ettaro e che i boschi siano tabellati; considerato il dato testuale della «norma oggetto», il cui tenore e' inequivoco, non e' possibile interpretarla in conformita' al parametro costituzionale, ne' risolvere in altro modo l'antinomia, se non rimettendo la questione alla Corte costituzionale;