ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale  dell'art.  1,  commi
554 e 849,  della  legge  27  dicembre  2019,  n.  160  (Bilancio  di
previsione  dello  Stato  per  l'anno  finanziario  2020  e  bilancio
pluriennale per il triennio 2020-2022), e dell'art. 57, comma 1,  del
decreto-legge 26  ottobre  2019,  n.  124  (Disposizioni  urgenti  in
materia  fiscale  e  per  esigenze  indifferibili),  convertito,  con
modificazioni, nella legge 19 dicembre 2019, n. 157,  promosso  dalla
Regione Liguria con  ricorso  spedito  per  la  notificazione  il  22
febbraio  2020,  depositato  in  cancelleria  il  25  febbraio  2020,
iscritto al n. 24  del  registro  ricorsi  2020  e  pubblicato  nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica  n.  14,  prima  serie  speciale,
dell'anno 2020. 
    Visto l'atto di costituzione del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nell'udienza pubblica del 9 marzo 2021 il Giudice  relatore
Angelo Buscema; 
    uditi l'avvocato  Pietro  Piciocchi  per  la  Regione  Liguria  e
l'avvocato dello Stato Giammario  Rocchitta  per  il  Presidente  del
Consiglio dei ministri; 
    vista l'ordinanza istruttoria n. 79 del 9 marzo  2021,  ai  sensi
dell'art. 12 delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte
costituzionale,  finalizzata  ad  acquisire  ulteriori  e  specifiche
informazioni indispensabili ai fini della decisione, che ha  disposto
l'audizione del Ragioniere generale  dello  Stato  e  del  Presidente
dell'Istituto per la finanza e l'economia locale (IFEL) nella  camera
di consiglio del 24 giugno 2021; 
    uditi nella camera di consiglio del 24 giugno 2021, il Ragioniere
generale  dello  Stato,  dott.  Biagio  Mazzotta,  e  del  Presidente
dell'Istituto per la finanza e l'economia locale (IFEL), dott. Enrico
Ferri, alla presenza dell'avvocato Pietro Piciocchi  per  la  Regione
Liguria e  dell'avvocato  dello  Stato  Giammario  Rocchitta  per  il
Presidente del Consiglio dei ministri; 
    udito  nell'udienza  pubblica  del  5  ottobre  2021  il  Giudice
relatore Angelo Buscema; 
    uditi l'avvocato  Pietro  Piciocchi  per  la  Regione  Liguria  e
l'avvocato dello Stato Giammario  Rocchitta  per  il  Presidente  del
Consiglio dei ministri; 
    deliberato nella camera di consiglio del 6 ottobre 2021. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ricorso iscritto al reg. ric. n. 24 del 2020, la  Regione
Liguria, su  istanza  del  Consiglio  delle  autonomie  locali  della
medesima   Regione,   ha   proposto   questioni    di    legittimita'
costituzionale dell'art. 1, comma 554, della legge 27 dicembre  2019,
n. 160 (Bilancio di previsione dello  Stato  per  l'anno  finanziario
2020 e bilancio pluriennale per il triennio 2020-2022), «in combinato
disposto con l'art. 1, comma 892, L.  n.  145/2018»,  in  riferimento
agli artt. 5  e  119,  primo  e  quarto  comma,  della  Costituzione;
dell'art. 57, comma 1, del decreto-legge  26  ottobre  2019,  n.  124
(Disposizioni   urgenti   in   materia   fiscale   e   per   esigenze
indifferibili),  convertito,  con  modificazioni,  nella   legge   19
dicembre 2019, n. 157, in riferimento agli  artt.  5  e  119,  primo,
terzo e quarto comma, Cost.; dell'art. 1, comma 849, della  legge  n.
160 del 2019, in riferimento agli artt.  5  e  119,  primo,  terzo  e
quarto comma, Cost. 
    1.1.- L'art. 1, comma  554,  della  legge  n.  160  del  2019  e'
impugnato nella parte in cui consolida, per  gli  anni  dal  2020  al
2022, il contributo riconosciuto ai Comuni per il ristoro del gettito
non piu' acquisibile a seguito dell'introduzione del  Tributo  per  i
servizi indivisibili (TASI), di cui  all'art.  1,  comma  639,  della
legge  27  dicembre  2013,  n.  147,  recante  «Disposizioni  per  la
formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato. (Legge  di
stabilita' 2014)», nella misura complessiva di 300 milioni  di  euro,
anziche'  nella  misura  di  625  milioni  di  euro,  somma  ritenuta
inizialmente sufficiente a  coprire  i  minori  introiti  conseguenti
all'abolizione dell'Imposta municipale unica (IMU) sulla prima casa e
all'introduzione della TASI. 
    Sostiene la ricorrente che l'ammontare  complessivo  della  quota
compensativa  IMU-TASI,  pari  a  625  milioni  di  euro  -  definito
dall'art. 1, comma 1, lettera d), del decreto-legge 6 marzo 2014,  n.
16 (Disposizioni urgenti in materia di finanza locale, nonche' misure
volte  a  garantire  la  funzionalita'  dei  servizi   svolti   nelle
istituzioni scolastiche), convertito, con modificazioni, nella  legge
2  maggio  2014,  n.  68,  e  ripartita  con  decreto  del  Ministero
dell'economia e delle finanze 6 novembre 2014, secondo i  criteri  di
cui alla  nota  metodologica  del  Ministero  dell'economia  e  delle
finanze 29 luglio 2014 -, sarebbe stato  quantificato  tenendo  conto
del saldo netto tra il fabbisogno totale da finanziare e  le  risorse
disponibili, al fine di ristorare integralmente la perdita di gettito
subita dai Comuni a causa delle agevolazioni introdotte dallo  Stato,
in attuazione del principio di  invarianza  del  gettito,  secondo  i
criteri indicati dall'art. 11  della  legge  5  maggio  2009,  n.  42
(Delega al Governo in materia di federalismo fiscale,  in  attuazione
dell'articolo 119 della Costituzione). 
    Per effetto di successivi interventi  normativi,  a  partire  dal
2015  la  quota  ristorativa  destinata  ai  Comuni   sarebbe   stata
progressivamente ridotta, secondo i seguenti importi: 530 milioni  di
euro ai sensi dell'art. 8, comma  10,  del  decreto-legge  19  giugno
2015, n. 78 (Disposizioni urgenti in materia  di  enti  territoriali.
Disposizioni  per  garantire  la  continuita'  dei   dispositivi   di
sicurezza e di  controllo  del  territorio.  Razionalizzazione  delle
spese del Servizio sanitario nazionale nonche' norme  in  materia  di
rifiuti e di emissioni industriali), convertito,  con  modificazioni,
nella legge 6 agosto 2015, n. 125;  390  milioni  di  euro  ai  sensi
dell'art. 1, comma 20, della legge 28 dicembre 2015, n. 208,  recante
«Disposizioni per la formazione del bilancio  annuale  e  pluriennale
dello Stato (legge di stabilita' 2016)»;  300  milioni  di  euro  nel
2017, ai sensi dell'art. 3, comma 1,  del  d.P.C.m.  10  marzo  2017,
recante «Disposizioni per l'attuazione dell'articolo  1,  comma  439,
della legge 11 dicembre 2016, n. 232 (Legge di bilancio 2017)», somma
confermata anche per il 2018 dall'art. 1, comma 870, della  legge  27
dicembre 2017, n. 205 (Bilancio di previsione dello Stato per  l'anno
finanziario 2018 e bilancio pluriennale per il  triennio  2018-2020).
L'art. 1, comma 892, della legge 30 dicembre 2018, n.  145  (Bilancio
di previsione dello Stato per  l'anno  finanziario  2019  e  bilancio
pluriennale per il triennio 2019-2021), invece, «per  ciascuno  degli
anni dal 2019 al 2033» ha quantificato la quota ristorativa  TASI  in
un contributo pari a 190 milioni di euro,  vincolati,  peraltro,  «al
finanziamento di piani di sicurezza a valenza pluriennale finalizzati
alla manutenzione di strade, scuole ed altre strutture di  proprieta'
comunale». A questa somma, l'art. 1, comma 895-bis,  della  legge  n.
145 del 2018, introdotto dall'art. 11-bis, comma 8, del decreto-legge
14 dicembre 2018, n. 135 (Disposizioni urgenti in materia di sostegno
e semplificazione per le imprese e per la pubblica  amministrazione),
convertito, con modificazioni, nella legge 11 febbraio 2019,  n.  12,
ha aggiunto, sempre per il 2019, un ulteriore contributo pari  a  110
milioni di euro, cosi' portando la quota  ristorativa  del  fondo  di
solidarieta' comunale (FSC) per tale  annualita'  a  300  milioni  di
euro. 
    La somma, pari a 110 milioni di euro, e'  stata  destinata  anche
per gli anni 2020, 2021 e 2022, dall'art. 1, comma 554,  della  legge
n. 160 del 2019, sicche', in definitiva,  il  contributo  ristorativo
complessivamente stanziato e oggetto di  impugnazione  e',  per  tali
annualita', pari a 300 milioni di euro. Dal  2023  al  2033,  invece,
sarebbero stanziati solo 190 milioni di  euro,  peraltro  "vincolati"
alla manutenzione di strade, scuole e altre strutture  di  proprieta'
comunale (art. 1, comma 892, della legge n. 145 del 2018). 
    Secondo il ricorrente, lo Stato, anziche'  compensare  l'erosione
di un'entrata propria del Comune con un trasferimento pari al gettito
non piu' riscosso,  avrebbe  drasticamente  ridotto  i  trasferimenti
statali - che avrebbero dovuto invece  neutralizzare  le  perdite  di
gettito  subite  -  in  violazione   del   principio   di   autonomia
finanziaria, che  implica  anche  il  divieto  di  cosiddetti  "tagli
lineari" (sono richiamate in proposito, le sentenze di  questa  Corte
n. 103 del 2018 e n. 10 del 2016). 
    Tale contrazione  di  risorse,  unitamente  all'introduzione  del
vincolo di destinazione (cristallizzato fino al 2033), imporrebbe  ai
Comuni una contrazione  della  spesa  necessaria  per  l'espletamento
delle funzioni loro assegnate dalla legge, con cio' ledendo non  solo
l'autonomia finanziaria degli enti locali  (art.  119,  primo  comma,
Cost.) e il principio della  integrale  correlazione  fra  risorse  e
funzioni (art. 119, quarto comma, Cost.), ma anche il  principio  che
riconosce e promuove le autonomie locali (art. 5 Cost.). 
    1.2.- Viene altresi' impugnato l'art. 57, comma 1,  del  d.l.  n.
124 del 2019, come convertito, nella parte in cui prevede  che  «[l]a
quota di cui al periodo precedente e' incrementata del  5  per  cento
annuo dall'anno 2020, sino a raggiungere il valore del 100 per  cento
a decorrere dall'anno 2030». 
    La norma censurata, sostanzialmente,  dopo  aver  ridisegnato  le
percentuali di redistribuzione basate sulla differenza fra  capacita'
fiscale e fabbisogno standard - fissandole al quaranta per cento  per
il 2017 e al quarantacinque per cento per gli  anni  2018  e  2019  -
prevede l'incremento progressivo del cinque per cento annuo a partire
dal 2020, modificando cosi' l'originaria scansione temporale  fissata
dall'art. 1, comma 449, lettera c), della legge n. 232 del 2016. 
    Sostiene il ricorrente  che  l'incremento  della  percentuale  di
perequazione calibrata sulla differenza tra le capacita' fiscali e  i
fabbisogni  standard  -  sebbene  piu'  graduato  rispetto  a  quanto
originariamente previsto dall'art. 1, comma 449,  lettera  c),  della
legge n. 232 del 2016, ossia il  quaranta  per  cento  nel  2017,  il
cinquantacinque per cento nel 2018, il settanta per cento  nel  2019,
l'ottantacinque per cento nel 2020 e il cento  per  cento  nel  2021,
progressione bloccata per il 2019 ai sensi dell'art.  1,  comma  921,
della legge n. 145 del 2018 - di fatto attuerebbe e perpetuerebbe una
sperequazione fra i Comuni, essenzialmente per tre  ragioni:  per  il
carattere sostanzialmente "orizzontale" del FSC; per le modalita' con
cui sono calcolate le capacita' fiscali; e per come sono  strutturati
i fabbisogni standard. 
    Con riferimento alla  natura  orizzontale  del  FSC,  la  Regione
Liguria sostiene che tanto la legge delega sul  federalismo  fiscale,
quanto la giurisprudenza costituzionale avrebbero affermato la natura
"verticale" dei fondi perequativi di cui all'art. 119,  terzo  comma,
Cost.: il fondo perequativo dovrebbe essere alimentato  con  il  solo
gettito dei tributi erariali o con trasferimenti diretti dello Stato.
Il FSC, invece,  tradirebbe  la  propria  vocazione  solidaristica  a
carattere "verticale" in  quanto  e'  alimentato  esclusivamente  dai
Comuni, attraverso il gettito dell'imposta municipale propria, e  non
anche dalla fiscalita' generale, come invece prevede la legge  n.  42
del  2009  in  riferimento  al  fondo  perequativo  per  le  funzioni
fondamentali (art. 13, comma 1, lettera a,  della  legge  n.  42  del
2009). 
    Tale  situazione  dipenderebbe  dal  fatto  che   la   componente
verticale, finanziata dallo Stato, sarebbe stata annullata dai  tagli
riconducibili alle misure di concorso alla finanza pubblica  previste
per i Comuni negli anni compresi fra il 2010  e  il  2015,  tanto  da
diventare, dal 2015 ad oggi, un "trasferimento negativo",  nel  senso
che sarebbe il comparto dei Comuni a trasferire risorse  allo  Stato.
Sarebbe cosi' violato l'art. 119, terzo comma, Cost. 
    Quanto ai criteri perequativi, il  ricorrente  fa  notare  che  i
Comuni con maggiori capacita' fiscali contribuiscono maggiormente  al
FSC e ricevono meno di altri, senza che a tale maggiore contribuzione
corrisponda necessariamente una maggiore ricchezza della  popolazione
del Comune  interessato.  A  riprova  della  sostenuta  irragionevole
discriminazione, viene  dedotto  che,  per  effetto  del  sistema  di
rendita catastale vigente in Italia, i Comuni che hanno aggiornato le
rendite catastali presentano una capacita' fiscale maggiore  rispetto
a quelli che non hanno provveduto in tal senso. Questo meccanismo  si
riverbererebbe sul valore della quota di contribuzione al FSC -  alla
maggiore capacita' fiscale corrisponde, infatti, una  maggiore  quota
di contribuzione al fondo - che non rifletterebbe, pero', l'effettiva
ricchezza della popolazione dei Comuni. Sarebbe emblematico  il  caso
del Comune di Genova, ma anche di tutti i Comuni liguri in genere,  i
quali, solo per aver aggiornato i valori catastali, sono i  primi  in
Italia per capacita' fiscale (776 euro pro capite,  rispetto  ad  una
media nazionale di 475 euro) e, pertanto,  contribuirebbero  piu'  di
quanto ricevono, rispetto ai  Comuni  che  non  hanno  aggiornato  le
rendite catastali. 
    Per effetto di questa "distorsione" del criterio perequativo,  ad
elevati contributi versati non corrisponderebbe un  adeguato  livello
di risorse disponibili, e verrebbero cosi'  contraddetti  i  principi
della certezza delle risorse  e  del  finanziamento  integrale  delle
funzioni con le risorse attribuite, di  cui  all'art.  119,  primo  e
quarto  comma,  Cost.,  con  conseguente   violazione   anche   delle
prerogative delle autonomie locali di cui all'art. 5 Cost. 
    Il criterio perequativo viene, infine,  censurato  anche  laddove
rapporta le capacita' fiscali ai fabbisogni standard, in quanto  tale
criterio sarebbe insufficiente a misurare l'effettiva capacita' di un
ente di provvedere  integralmente  all'esercizio  delle  funzioni.  I
fabbisogni standard, secondo la  ricorrente,  laddove  prevedono  che
l'unica spesa da considerare  per  decidere  la  redistribuzione  sia
quella per le funzioni fondamentali, prescindendo da altre  voci  che
gravano sui bilanci degli enti locali e che devono  trovare  comunque
soddisfacimento nelle loro capacita' fiscali (si menziona  il  debito
pregresso,  anche  ereditato  da  amministrazioni  precedenti),   non
garantirebbero  un  livello  di  risorse  adeguato   per   finanziare
integralmente le funzioni attribuite agli enti locali. 
    1.3.- Infine, la ricorrente impugna l'art. 1,  comma  849,  della
legge n. 160  del  2019,  che  -  aggiungendo  la  lettera  d-quater)
all'art. 1, comma 449, della legge n.  232  del  2016  -  prevede  la
seguente progressione di incremento del FSC: 100 milioni di euro  nel
2020; 200 milioni di euro nel 2021; 300 milioni di euro nel 2022; 330
milioni di euro nel 2023 e 560 milioni di euro annui a decorrere  dal
2024,  cosi'  provvedendo  a  una  progressiva  reintegrazione  delle
risorse venute meno ai sensi dell'art. 47, comma 8, del decreto-legge
24 aprile 2014, n. 66 (Misure urgenti  per  la  competitivita'  e  la
giustizia sociale), convertito, con  modificazioni,  nella  legge  23
giugno 2014, n. 89. 
    I tagli alla dotazione del FSC, introdotti con il menzionato d.l.
n. 66 del 2014 e inizialmente  circoscritti  al  triennio  2015-2017,
sono stati estesi dapprima al 2018 e poi anche al 2019 (art. 1, comma
921, della legge n. 145 del 2018). 
    Secondo la Regione Liguria, la disposizione  impugnata,  anziche'
integrare complessivamente le risorse sottratte al FSC dai richiamati
tagli,  ne   prevedrebbe   solo   una   esigua   e   comunque   lenta
ricostituzione, arrivando ad integrarle per intero  solo  dieci  anni
dopo la loro soppressione. 
    In proposito e' richiamata la giurisprudenza  costituzionale  che
ha giudicato legittimi i "tagli lineari" alla duplice condizione: che
tali misure prevedano un contenimento complessivo e siano temporanee. 
    Secondo la ricorrente,  la  norma  censurata  difetterebbe  della
transitorieta', poiche' protrae per un  periodo  piu'  che  doppio  i
tagli inizialmente disposti per un triennio. 
    Mediante un richiamo alle argomentazioni  svolte  nei  precedenti
motivi, e' poi aggredita la natura  sostanzialmente  orizzontale  del
FSC:  i  "tagli  lineari"  al  FSC   hanno,   infatti,   azzerato   i
trasferimenti statali - ossia, la sua componente  verticale  -  e  il
fondo viene cosi' unicamente alimentato dalla quota di IMU  prelevata
ai Comuni, dal che si lamenta  la  violazione  dell'art.  119,  terzo
comma, Cost. 
    La Regione  ricorrente,  in  proposito,  cita  un  documento  del
Servizio studi della Camera dei deputati del 7  marzo  2018,  da  cui
emergerebbe  che  la  struttura  attuale  del  FSC  e'  a   carattere
«prevalentemente   orizzontale»,    poiche'    risulta    «alimentato
esclusivamente  dai  Comuni  attraverso   il   gettito   dell'imposta
municipale propria, e non  anche  dalla  fiscalita'  generale,  come,
invece, richiesto dalla legge n. 42 del 2009 in riferimento al  fondo
perequativo per le funzioni  fondamentali».  Nel  medesimo  documento
riportato  dalla  ricorrente  sarebbe,  poi,   affermato   che   tale
situazione dipende dal fatto che la componente verticale del  FSC  e'
stata annullata dai tagli alle risorse introdotti e  reiterati  negli
anni  dal  legislatore,  con  la  conseguenza  che  i   trasferimenti
complessivi (al netto  delle  compensazioni  dei  tributi  soppressi)
risultano negativi, ossia il comparto dei Comuni trasferisce  risorse
allo Stato. 
    Parimenti sarebbe lesa l'autonomia tributaria degli enti  locali,
di cui all'art. 119, primo comma,  Cost.  nonche'  il  principio  del
cosiddetto parallelismo di risorse per lo svolgimento delle  funzioni
attribuite (art. 119, primo comma, Cost.), cosi'  ledendo  la  stessa
autonomia riconosciuta dall'art. 5 Cost. 
    La  ricorrente  conclude,  pertanto,  per  la  dichiarazione   di
illegittimita' costituzionale della norma/disposizione impugnata  con
il presente motivo nella  parte  in  cui,  anziche'  ricostituire,  a
partire dall'anno 2020 il fondo di solidarieta' comunale nella misura
di euro 563,4 milioni, sottratta per effetto dell'art. 47,  comma  8,
del d.l. n. 66 del 2014, stabilisce un meccanismo  di  ricomposizione
progressiva che ne consentira' il pieno reintegro solo nel 2024. 
    2.- Con memoria depositata il 10 aprile 2020, si e' costituito in
giudizio il Presidente del Consiglio dei  ministri,  rappresentato  e
difeso dall'Avvocatura generale dello Stato. 
    Anzitutto, la difesa  erariale  sostiene  l'inammissibilita'  del
ricorso per l'omessa enunciazione  delle  ragioni  per  le  quali  la
legislazione statale impugnata sarebbe idonea a produrre  un  effetto
«diretto ed immediato» sulle prerogative costituzionali  riconosciute
dalla Costituzione alle Regioni. Secondo l'Avvocatura dello Stato, la
Regione Liguria avrebbe dovuto quantomeno dimostrare come la «stretta
connessione»,  in  tema  di  finanza  regionale  e  locale,  tra   le
attribuzioni regionali e quelle delle autonomie  locali  si  rifletta
sulle competenze legislative regionali (in proposito e' richiamata la
sentenza di questa Corte n. 170 del 2017). 
    Il ricorso sarebbe parimenti  inammissibile  quanto  all'asserita
lesione del principio della necessaria  correlazione  fra  risorse  a
disposizione e  svolgimento  delle  funzioni  assegnate,  poiche'  il
ricorrente non avrebbe adeguatamente dimostrato come  il  venir  meno
delle  risorse  indispensabili  impatti  sull'effettivo  e   concreto
svolgimento delle funzioni degli enti locali, con conseguente difetto
di autosufficienza del gravame  (sono  richiamate,  al  riguardo,  le
sentenze di questa Corte n. 127 del 2016, n. 239 del 2015 nonche'  n.
36, n. 26 e n. 23 del 2014). 
    Il  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri   eccepisce,   poi,
l'inammissibilita'  per  mancanza  di  completezza  e  chiarezza  del
ricorso, poiche' la ricorrente, non avendo dimostrato il rapporto  di
causalita' esistente fra i tagli subiti dai Comuni e gli  impegni  di
spesa assunti, non  avrebbe  adeguatamente  motivato  il  pregiudizio
derivante dai tagli medesimi. 
    Parimenti  inammissibili  sarebbero  le  censure  relative   allo
squilibrio provocato  dalle  misure  di  contenimento  della  finanza
pubblica, poiche' l'onere di dimostrare l'impossibilita' di  svolgere
i compiti assegnati alla Regione o agli  enti  locali  incombe  sulla
parte ricorrente (sono in proposito richiamate le sentenze di  questa
Corte n. 205 e n. 127 del 2016). 
    L'Avvocatura erariale eccepisce inoltre l'inammissibilita'  della
seconda questione per carenza di interesse ed aberratio ictus perche'
-  rispettivamente  -  l'eventuale  dichiarazione  di  illegittimita'
costituzionale  della  norma  impugnata   farebbe   rivivere   quella
precedente, che dettava una piu' rapida progressione  perequativa,  e
perche' la disciplina dei criteri di calcolo della capacita'  fiscale
sarebbe dettata da  un'altra  norma,  segnatamente  l'art.  1,  comma
380-ter, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, recante  «Disposizioni
per la formazione del bilancio annuale  e  pluriennale  dello  Stato.
Legge di stabilita' 2013)». 
    Viene infine eccepita l'inammissibilita' di  tutte  le  doglianze
avanzate dalla  ricorrente  in  riferimento  all'art.  5  Cost.,  per
l'omessa dimostrazione di come  la  violazione  di  questo  parametro
ridondi sull'ambito delle competenze legislative  delle  Regioni  (e'
citata la sentenza di questa Corte n. 251 del 2015). 
    2.1.- Ove si accedesse al merito  delle  questioni,  l'Avvocatura
dello Stato ne paventa comunque la non fondatezza. 
    Con riferimento al primo motivo, lo Stato sostiene che le  misure
volte a compensare il mancato gettito della TASI non attuerebbero una
mera reiterazione dei tagli, quanto piuttosto una loro rimodulazione,
e pertanto l'effetto dell'asserito vulnus al  fabbisogno  finanziario
sarebbe temperato  dalla  progressiva  riassegnazione  delle  risorse
originariamente trattenute (e' richiamata, in proposito, la  sentenza
di questa Corte n. 46 del 2019). 
    L'Avvocatura dello Stato confuta  poi  anche  il  riferimento  al
contenuto della nota metodologica, poiche' essa sarebbe riferita  non
tanto all'ammontare delle risorse  del  fondo  compensativo  (fissato
dall'art. 1, comma 731, della  legge  n.  147  del  2013)  quanto  al
riparto del fondo stesso. 
    2.2.- Con  riferimento  al  secondo  motivo,  il  Presidente  del
Consiglio  dei  ministri  osserva  che  l'eventuale  declaratoria  di
illegittimita' costituzionale della norma censurata non muterebbe  il
sistema di redistribuzione  del  fondo  in  questione,  tantomeno  ne
bloccherebbe la progressione. 
    Afferma la difesa statale  che,  in  assenza  della  disposizione
impugnata - una volta  cessata  l'efficacia  del  regime  derogatorio
previsto dall'art. 1, comma 992, della legge n.  145  del  2018,  che
aveva bloccato per il 2019 l'incedere della perequazione - a  partire
dal 2020 ritroverebbe efficacia  il  regime  stabilito  dall'art.  1,
comma 449, lettera c), della legge n. 232 del 2016. 
    Poiche' dall'oggetto del  ricorso  non  sembrerebbe  emergere  la
richiesta di reiterare la deroga introdotta dall'art. 1,  comma  992,
della legge n. 145 del 2018, bensi' la  mera  ablazione  della  norma
impugnata, laddove introduce il criterio summenzionato,  l'Avvocatura
dello Stato eccepisce dunque l'inammissibilita' della  doglianza  per
difetto  di  interesse,  ovvero,   alternativamente,   la   sua   non
fondatezza. 
    Parimenti  inammissibili,  o,  in   alternativa,   non   fondate,
sarebbero le censure sollevate  in  riferimento  alle  diseguaglianze
derivanti  dall'applicazione  della  perequazione   calibrata   sulla
capacita'  fiscale  e  sui  fabbisogni  standard,  poiche'  la  norma
impugnata non attiene alla disciplina di tali aspetti. 
    2.3.- Con riferimento al terzo  motivo,  la  difesa  dello  Stato
sostiene la non pertinenza alla vicenda de qua dei principi elaborati
da questa  Corte  in  tema  di  "tagli  lineari",  poiche'  la  norma
impugnata introdurrebbe un graduale aumento delle risorse del  FSC  e
non attuerebbe un mero taglio lineare. 
    Il  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri  contesta  poi   la
ricostruzione normativa operata dal  ricorrente,  sostenendo  che  le
asserite riduzioni al FSC non sarebbero «direttamente ricollegabil[i]
ai tagli lineari di cui all'art. 47, comma 8, del  D.L.  n.  66/2014,
anche se di questi si e' tenuto  "anche  conto"  nella  ridefinizione
della dotazione del fondo  di  solidarieta'  comunale  ai  sensi  del
precedente comma 848». 
    La difesa erariale ammette  che  una  effettiva  decurtazione  di
risorse, protratta anche per il 2019, ai  sensi  dell'art.  1,  comma
921,  della  legge  n.  145  del  2016,  non  potrebbe   considerarsi
costituzionalmente  legittima,  dal  momento  che  tale  taglio   era
previsto solo fino al 2018, a norma dell'art. 47, comma 8,  del  d.l.
n. 66 del 2014. 
    Tuttavia, per confutare le  censure  della  Regione  Liguria,  il
resistente sostiene che la normativa di riferimento per la  dotazione
del FSC non sia quella risultante dal d.l.  n.  66  del  2014  e  sue
successive modifiche, ma quella risultante dall'art.  1,  comma  448,
della legge n. 232  del  2016,  che  ha  stabilito  per  il  2017  la
dotazione del FSC pari ad euro 6.197.184.364,87 e,  a  decorrere  dal
2018, una dotazione di euro 6.208.184.364,87. 
    La conferma della dotazione del FSC "a regime" a partire dal 2018
- secondo la difesa dello Stato - proverebbe  che  non  vi  e'  stata
alcuna decurtazione del fondo in questione, e non  verrebbe  pertanto
in rilievo il carattere  della  temporaneita'  o  meno  della  misura
legislativa adottata, ma «esclusivamente il carattere  stabile  della
dotazione del fondo di solidarieta' comunale». 
    Quanto alla asserita natura  orizzontale  del  FSC,  l'Avvocatura
dello Stato sostiene che la necessaria  natura  verticale  del  fondo
perequativo sarebbe riferibile solo al fondo  di  cui  all'art.  119,
quinto comma, Cost., e non a quello di cui all'art. 119, terzo comma,
Cost., come si ricaverebbe dalla giurisprudenza costituzionale  (sono
riportate, in proposito, le sentenze n. 61 del 2018, n. 79 del 2014 e
n. 176 del 2012). 
    Con riferimento,  invece,  alle  dedotte  sperequazioni  generate
dall'applicazione  dei  criteri  della  capacita'   fiscale   e   dei
fabbisogni standard, secondo il resistente non vi sarebbe  prova  del
danno subito, dal momento che per 64  Comuni  della  Regione  Liguria
l'ammontare  di  risorse  attribuite  sarebbe  superiore   a   quello
derivante dall'applicazione del solo criterio delle risorse storiche. 
    3.- Con memoria integrativa del  16  febbraio  2021,  la  Regione
Liguria ha anzitutto ribadito la propria legittimazione a  promuovere
ricorso per conto degli enti locali. 
    A confutazione dell'eccezione statale sulla mancata dimostrazione
della  lesione  dell'autonomia  finanziaria  derivante  dalle   norme
oggetto di censura, la ricorrente allega  alcuni  documenti  relativi
alla ripartizione del FSC nel 2021  per  il  Comune  di  Genova  (che
assorbirebbe oltre l'80 per cento della quota  di  FSC  assegnata  ai
Comuni liguri). 
    Quanto ai tagli sulla "quota ristorativa IMU-TASI", la ricorrente
allega una Tabella riferita ai trasferimenti al Comune di Genova  che
ne proverebbe il «drastico  ridimensionamento»,  poiche'  le  risorse
passano da euro 27.560.641,48 nel 2014,  ad  euro  13.229.107,91  nel
2021 (circa il 52 per cento in meno), con una perdita di risorse pari
a circa 19 milioni di euro, contrazione che non sarebbe compensata da
alcun incremento di autonomia tributaria dell'Ente. 
    Quanto  agli  effetti  negativi  prodotti   dall'incedere   della
perequazione calibrata  sulla  differenza  tra  capacita'  fiscali  e
fabbisogni standard, il ricorrente allega un prospetto che proverebbe
come tale progressione  della  perequazione  abbia  prodotto  (e  sia
destinata a produrre, a pieno  regime)  una  consistente  contrazione
delle risorse per il  Comune  di  Genova,  che  di  fatto  riceve  in
perequazione la meta' di quanto versa, con una perdita costante annua
dal 2021 in poi di circa 1,6 milioni di euro. Viene pertanto ribadita
la  censura  di  illegittimita'  costituzionale  della  norma  che  -
anziche' mutare il criterio di calcolo della perequazione  -  dispone
la  lenta  ma  inevitabile  progressione  di  un  criterio   le   cui
conseguenze  in  termini  di  «shock  perequativo»   sarebbero   gia'
acclarate nonche' condivise dallo stesso legislatore statale  (ragion
per cui la legge impugnata avrebbe disposto un "rallentamento"  della
progressione rispetto al calendario originariamente fissato). 
    Viene, infine, allegato il prospetto di sintesi del  bilancio  di
previsione del Comune di Genova, da cui emergerebbe  che  le  risorse
assegnate alle varie Direzioni dell'ente dal 2021 al 2023 sono  tutte
in progressiva diminuzione,  a  riprova  della  incidenza  dei  tagli
sull'esercizio  delle  funzioni  assegnate.  In  proposito,   sarebbe
emblematica la flessione negli stanziamenti della Direzione politiche
sociali, che dal 2021 al 2023 subiscono una  contrazione  di  risorse
del 50 per cento. 
    Anche il Presidente del Consiglio dei ministri ha presentato  una
memoria nei termini, in cui sostanzialmente  ribadisce  le  eccezioni
sollevate e le argomentazioni di non fondatezza prospettate nell'atto
di costituzione. 
    4.- Nella  camera  di  consiglio  del  9  marzo  2021,  ai  sensi
dell'art. 12 delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte
costituzionale, come disposto con ordinanza  istruttoria  n.  79  del
2021, sono stati ascoltati il Ragioniere generale dello  Stato  e  il
Presidente dell'Istituto della finanza e  l'economia  locale  (IFEL),
alla  presenza  delle  parti,  le  quali,  nella  successiva  udienza
pubblica del  5  ottobre  2021,  hanno  replicato  alle  affermazioni
rilasciate in audizione. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Con ricorso iscritto al reg. ric. n. 24 del 2020, la  Regione
Liguria, su  istanza  del  Consiglio  delle  autonomie  locali  della
medesima   Regione,   ha   proposto   questioni    di    legittimita'
costituzionale dell'art. 1, comma 554, della legge 27 dicembre  2019,
n. 160 (Bilancio di previsione dello  Stato  per  l'anno  finanziario
2020 e bilancio pluriennale per il triennio 2020-2022), «in combinato
disposto  con  l'art.  1,  comma  892,  della  L.  n.  145/2018»,  in
riferimento  agli  artt.  5  e  119,  primo  e  quarto  comma,  della
Costituzione; dell'art. 57, comma 1,  del  decreto-legge  26  ottobre
2019, n. 124 (Disposizioni urgenti in materia fiscale e per  esigenze
indifferibili),  convertito,  con  modificazioni,  nella   legge   19
dicembre 2019, n. 157, in riferimento agli  artt.  5  e  119,  primo,
terzo e quarto comma, Cost.; e dell'art. 1, comma 849, della legge n.
160 del 2019, in riferimento agli artt.  5  e  119,  primo,  terzo  e
quarto comma, Cost. 
    1.1.- L'art. 1, comma  554,  della  legge  n.  160  del  2019  e'
impugnato nella parte in cui consolida, per  gli  anni  dal  2020  al
2022, il contributo riconosciuto ai Comuni per il ristoro del gettito
tributario non piu' acquisibile  a  seguito  dell'introduzione  della
Tariffa per i servizi indivisibili (TASI) di cui  all'art.  1,  comma
639, della legge 27 dicembre 2013, n. 147, recante «Disposizioni  per
la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello  Stato  (Legge
di stabilita' 2014)», nella misura  complessiva  di  300  milioni  di
euro, anziche' nella misura  625  milioni  di  euro,  somma  ritenuta
inizialmente sufficiente a  coprire  i  minori  introiti  conseguenti
all'introduzione  della  TASI  nonche'  all'abolizione   dell'Imposta
municipale unica (IMU) sulla prima casa. 
    Sostiene la Regione ricorrente che lo Stato, anziche'  compensare
l'erosione di un'entrata propria del Comune con un trasferimento pari
al  gettito  non  piu'  riscosso,  avrebbe  drasticamente  ridotto  i
trasferimenti statali,  in  violazione  del  principio  di  autonomia
finanziaria, che implicherebbe anche il divieto di cosiddetti  "tagli
lineari". 
    Tale contrazione  di  risorse,  unitamente  all'introduzione  del
vincolo di destinazione (cristallizzato fino al 2033), imporrebbe  ai
Comuni una riduzione della spesa necessaria per l'espletamento  delle
funzioni loro assegnate  dalla  legge,  con  cio'  ledendo  non  solo
l'autonomia finanziaria degli enti locali  (art.  119,  primo  comma,
Cost.) e il  principio  dell'integrale  correlazione  fra  risorse  e
funzioni (art. 119, quarto comma, Cost.), ma anche il  principio  che
riconosce e promuove le autonomie locali (art. 5 Cost.). 
    1.2.- Viene altresi' impugnato l'art. 57, comma 1,  del  d.l.  n.
124 del 2019, come convertito, nella parte in cui prevede  che  «[l]a
quota [di perequazione calibrata sulla differenza  tra  le  capacita'
fiscali e i fabbisogni standard] di  cui  al  periodo  precedente  e'
incrementata del 5 per cento annuo dall'anno 2020, sino a raggiungere
il valore del 100 per cento a decorrere dall'anno 2030». 
    Sostiene la ricorrente  che  l'incremento  della  percentuale  di
perequazione calibrata sulla differenza tra le capacita' fiscali e  i
fabbisogni  standard  di  fatto  attuerebbe   e   perpetuerebbe   una
sperequazione fra i Comuni, essenzialmente per tre ragioni: a) per il
carattere sostanzialmente "orizzontale"  del  Fondo  di  solidarieta'
comunale (FSC); b)  per  le  modalita'  con  cui  sono  calcolate  le
capacita'  fiscali;  c)  per  come  sono  strutturati  i   fabbisogni
standard. 
    Con riferimento alla  natura  orizzontale  del  FSC,  la  Regione
Liguria sostiene che la componente verticale, finanziata dallo Stato,
di fatto sarebbe stata annullata dai tagli riconducibili alle  misure
di concorso alla finanza pubblica previste per i  Comuni  negli  anni
2010-2015, tanto che, dal 2015 a oggi, sarebbe il comparto dei Comuni
a trasferire risorse allo Stato. Sarebbe cosi'  violato  l'art.  119,
terzo comma, Cost. 
    Quanto ai criteri perequativi, la ricorrente osserva che i Comuni
con maggiori capacita' fiscali contribuirebbero maggiormente  al  FSC
ma  riceverebbero  meno  di  altri,  senza  che   a   tale   maggiore
contribuzione  corrisponda  necessariamente  una  maggiore  ricchezza
della popolazione del Comune interessato. 
    A  riprova  dell'asserita  irragionevole  discriminazione,  viene
dedotto che, per effetto del sistema  vigente,  i  Comuni  che  hanno
aggiornato le rendite catastali presenterebbero una capacita' fiscale
maggiore rispetto a quelli che non hanno  provveduto  in  tal  senso.
Questo  meccanismo  si  riverbererebbe  sul  valore  della  quota  di
contribuzione   al   FSC   -   alla   maggiore   capacita'    fiscale
corrisponderebbe, infatti, una maggiore  quota  di  contribuzione  al
fondo - che non rifletterebbe,  pero',  l'effettiva  ricchezza  della
popolazione dei Comuni. 
    Per effetto di questa "distorsione" del criterio  perequativo,  a
elevati contributi versati non corrisponderebbe un  adeguato  livello
di risorse disponibili, e verrebbero pertanto contraddetti i principi
della certezza delle risorse  e  del  finanziamento  integrale  delle
funzioni con i fondi attribuiti, di cui all'art. 119, primo e  quarto
comma, Cost., con  conseguente  violazione  anche  delle  prerogative
delle autonomie locali di cui all'art. 5 Cost. 
    1.3.- Infine, il ricorrente impugna l'art. 1,  comma  849,  della
legge n. 160  del  2019,  che  -  aggiungendo  la  lettera  d-quater)
all'art. 1, comma 449, della legge 11 dicembre 2016, n. 232 (Bilancio
di previsione dello Stato per  l'anno  finanziario  2017  e  bilancio
pluriennale  per  il  triennio  2017-2019)  -  prevede  la   seguente
progressione di incremento del FSC: 100 milioni di euro nel 2020; 200
milioni di euro nel 2021; 300 milioni di euro nel 2022;  330  milioni
di euro nel 2023 e 560 milioni di euro a decorrere  dal  2024,  cosi'
provvedendo a un progressivo recupero delle risorse venute  meno  per
effetto dei tagli praticati nel  2014  dall'art.  47,  comma  8,  del
decreto-legge  24  aprile  2014,  n.  66  (Misure  urgenti   per   la
competitivita'   e   la   giustizia   sociale),    convertito,    con
modificazioni, nella legge 23 giugno 2014, n. 89. 
    Protraendo  per  un  periodo  piu'  che   doppio   le   riduzioni
inizialmente  disposte  per   un   triennio,   la   norma   impugnata
confliggerebbe con  i  principi  affermati  dalla  giurisprudenza  di
questa Corte  in  materia  di  "tagli  lineari",  i  quali  sarebbero
legittimi alla  duplice  condizione  che  prevedano  un  contenimento
complessivo e che siano temporanei. 
    Inoltre,  i  "tagli  lineari"  al  FSC   avrebbero   azzerato   i
trasferimenti statali - ossia, la componente verticale - e  il  fondo
sarebbe unicamente alimentato dalla quota di IMU prelevata ai Comuni,
dal che discenderebbe la violazione dell'art. 119, terzo comma, Cost. 
    Le  decurtazioni  cosi'  descritte  sarebbero   pertanto   lesive
dell'autonomia finanziaria degli enti locali (art. 119, primo  comma,
Cost.), i quali sarebbero parimenti penalizzati  nella  dotazione  di
risorse necessarie all'integrale soddisfacimento delle funzioni  loro
attribuite  (art.  119,  quarto  comma,   Cost.),   con   conseguente
compromissione delle loro stesse prerogative costituzionali  (art.  5
Cost.). 
    2.-   Devono   essere   anzitutto    disattese    le    eccezioni
d'inammissibilita'  sollevate  dal  Presidente  del   Consiglio   dei
ministri. 
    2.1. - Piu' precisamente, a parere dell'Avvocatura generale dello
Stato, la stretta connessione tra le attribuzioni regionali e  quelle
spettanti alle autonomie locali non  sussisterebbe  in  re  ipsa,  ma
necessiterebbe di una dimostrazione. 
    Tale eccezione e' priva di fondamento. 
    Ai sensi dell'art. 32, secondo comma, della legge 11 marzo  1953,
n. 87 (Norme sulla  costituzione  e  sul  funzionamento  della  Corte
costituzionale), come sostituito dall'art. 9, comma 2, della legge  5
giugno 2003, n. 131 (Disposizioni per l'adeguamento  dell'ordinamento
della Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3), la
questione di legittimita' costituzionale nei confronti di  una  legge
dello Stato puo' essere promossa  dalle  Regioni  su  iniziativa  del
Consiglio delle autonomie locali  (organo  consultivo  regionale,  ai
sensi dell'art. 123 Cost.). 
    Questa Corte ha peraltro progressivamente ampliato il  menzionato
potere d'iniziativa regionale (ex multis, sentenze n. 196 del 2004  e
n. 533 del 2002) e, a partire dal 2009, ha affermato che «le  Regioni
sono legittimate a denunciare la legge statale anche per  la  lesione
delle  attribuzioni  degli  enti  locali,   indipendentemente   dalla
prospettazione  della   violazione   della   competenza   legislativa
regionale»  (sentenza  n.  298  del  2009),  in  quanto  «la  stretta
connessione [...]  tra  le  attribuzioni  regionali  e  quelle  delle
autonomie locali consente di ritenere che la lesione delle competenze
locali sia potenzialmente idonea a determinare una vulnerazione delle
competenze regionali» (sentenza n. 195 del 2019). 
    2.2.- Altrettanto non fondata e'  l'eccezione  d'inammissibilita'
dell'impugnativa  promossa  in  riferimento  all'art.  5  Cost.,  per
l'omessa dimostrazione di come  la  violazione  di  questo  parametro
ridondi sull'ambito delle competenze legislative della Regione. 
    Il  filtro   della   ridondanza   e'   stato   richiamato   dalla
giurisprudenza di questa Corte  a  fronte  di  impugnazioni  proposte
dalle Regioni in riferimento a parametri non competenziali,  ritenute
«ammissibili al ricorrere di due concomitanti  condizioni:  in  primo
luogo, la  ricorrente  deve  individuare  gli  ambiti  di  competenza
regionale - legislativa, amministrativa o finanziaria - incisi  dalla
disciplina statale, indicando le  disposizioni  costituzionali  sulle
quali, appunto, trovano fondamento  le  proprie  competenze  in  tesi
indirettamente lese; in secondo luogo, l'illustrazione del cosiddetto
vizio di ridondanza non dev'essere apodittica,  bensi'  adeguatamente
motivata, in ordine alla sussistenza, nel caso oggetto  di  giudizio,
di un titolo di competenza regionale  rispetto  all'oggetto  regolato
dalla legge statale» (sentenza n. 187 del 2021). 
    Nel caso di specie, tuttavia, l'art. 5 Cost.,  lungi  dall'essere
un parametro non  competenziale,  nella  parte  in  cui  riconosce  e
promuove le autonomie locali, e' per contro la  norma  costituzionale
che sta alla base delle competenze riconosciute alle Regioni  e  agli
enti locali dal Titolo V, Parte II, della  Costituzione.  Di  qui  la
possibilita' per le Regioni di dedurne la violazione nei  giudizi  in
via principale. 
    2.3.-  Quanto  all'eccepita  inammissibilita'  per   carenza   di
interesse al ricorso, l'Avvocatura generale sostiene che  l'eventuale
caducazione della norma impugnata (nella specie, l'art. 57, comma  1,
del d.l. n. 124 del 2019, come convertito) non  muterebbe  l'incedere
del sistema perequativo, bensi' lo aggraverebbe a  danno  degli  enti
locali, poiche' tornerebbe in vigore  il  previgente  regime  di  cui
all'art. 1, comma 449, lettera c), della legge  n.  232  del  2016  -
sostituito dalla disposizione impugnata - il quale prevedeva una piu'
rapida progressione della perequazione fondata sulla  differenza  fra
capacita' fiscali e fabbisogni standard (perequazione  al  cento  per
cento delle capacita' fiscali-fabbisogni standard gia' dal 2021). 
    L'eccezione  evoca  il  tema  della  reviviscenza  delle   norme,
rispetto al  quale  questa  Corte  ha  chiarito,  con  giurisprudenza
costante,  che  tale  fenomeno  e'  circoscritto  a  casi  tassativi,
coincidenti  con  le  ipotesi  di  annullamento  di  norme  meramente
abrogatrici di altre disposizioni (ex multis, sentenze n. 10 del 2018
e n. 218 del 2015). 
    Nel caso di specie,  la  norma  impugnata  non  dispone  la  mera
abrogazione di un'altra, ma ne sostituisce  il  contenuto.  Pertanto,
l'eventuale caducazione della stessa non produrrebbe l'effetto di far
tornare  in  vita  quella  precedente,  dal  che  la  non  fondatezza
dell'eccezione. 
    2.4.-   Con   riferimento   all'eccepita   inammissibilita'   per
cosiddetta aberratio  ictus,  poiche'  gli  effetti  lamentati  dalla
ricorrente - derivanti dall'applicazione, come criterio  perequativo,
del rapporto fra le capacita' fiscali e i fabbisogni standard  -  non
sarebbero imputabili alla norma impugnata, ma ad altra  disposizione,
individuata dal resistente nell'art. 1, comma  380,  della  legge  24
dicembre 2012, n. 228, recante «Disposizioni per  la  formazione  del
bilancio annuale e  pluriennale  dello  Stato  (Legge  di  stabilita'
2013)», occorrono alcune brevi precisazioni. 
    L'art. 57, comma 1, del d.l. n. 124 del  2019,  come  convertito,
viene  impugnato  nella  parte  in  cui  prevede  l'incremento  della
percentuale  di  perequazione,  calibrata  sulla  differenza  tra  le
capacita' fiscali e i  fabbisogni  standard,  del  cinque  per  cento
annuo, fino al raggiungimento del cento per cento nel 2030. 
    Dal  tenore  letterale  della  disposizione   emerge   che   essa
sostituisce l'art. 1, comma 449, lettera c), della legge n.  232  del
2016 con una norma di contenuto  diverso,  quanto  alla  progressione
delle percentuali di perequazione (sia nelle cifre che nei tempi), e,
al contempo, ancora tale progressione perequativa al  criterio  della
differenza fra le capacita' fiscali e i fabbisogni standard, ossia al
criterio oggetto di censura della ricorrente. 
    Nel caso  di  specie,  l'eccezione  non  e'  fondata  perche'  il
ricorrente ha correttamente individuato la norma di legge relativa ai
criteri perequativi: per l'appunto, l'art. 1, comma 449, lettera  c),
della legge n. 232 del 2016 e non l'art. 1, comma 380, della legge n.
228 del 2012, il quale, invece, ha  trovato  applicazione  sino  alla
determinazione del FSC relativo all'anno 2016; di conseguenza, dal 1°
gennaio 2017 il riferimento normativo per i criteri  di  riparto  del
FSC e' l'art. 1, commi 449 e seguenti, della legge n. 232  del  2016.
Ne discende l'insussistenza della eccepita aberratio ictus. 
    2.5.- Secondo il Presidente del Consiglio dei  ministri,  infine,
il ricorso sarebbe inammissibile perche' la  ricorrente  non  avrebbe
adeguatamente dimostrato come il venir  meno  delle  risorse  impatti
sull'effettivo e concreto svolgimento delle funzioni  assegnate,  con
conseguente difetto  di  autosufficienza  del  gravame;  nonche'  per
mancanza di completezza e chiarezza,  perche'  la  ricorrente  -  non
avendo comprovato il rapporto di causalita'  esistente  fra  i  tagli
subiti dai Comuni e gli  impegni  di  spesa  assunti  -  non  avrebbe
adeguatamente motivato il pregiudizio derivante dai tagli medesimi. 
    Al riguardo questa Corte  ha  in  piu'  occasioni  ricordato  che
l'autonomia  finanziaria  costituzionalmente  garantita   agli   enti
territoriali non comporta una rigida garanzia quantitativa e che sono
pertanto ammesse anche riduzioni delle risorse disponibili,  «purche'
tali  diminuzioni  non  rendano  impossibile  lo  svolgimento   delle
funzioni attribuite agli enti territoriali medesimi» (sentenza n.  83
del 2019; nello stesso senso, sentenza n. 155 del 2020).  Ha  inoltre
ulteriormente precisato che «grava sul ricorrente l'onere di  provare
l'irreparabile pregiudizio lamentato» (ex plurimis,  sentenza  n.  76
del 2020), onere peraltro soggetto a gradazioni, a seconda che  debba
essere valutato ai fini dell'ammissibilita' del ricorso o  della  sua
fondatezza. 
    In proposito, secondo la piu' recente  giurisprudenza  di  questa
Corte,  sotto  il  profilo  dell'onere   di   allegazione   ai   fini
dell'ammissibilita', e' sufficiente  una  motivazione  che  chiarisca
«l'incidenza della misura introdotta dal  legislatore  statale  sulle
risorse destinate a tali funzioni» (sentenza n. 137 del 2018). 
    Tanto premesso, benche' l'Avvocatura generale rivolga l'eccezione
d'inammissibilita'  all'intero  ricorso,  la  valutazione  sulla  sua
fondatezza deve essere rapportata alle singole impugnative. 
    Quanto alla prima, relativa all'art. 1, comma 554, della legge n.
160 del 2019, la ricorrente ha assolto all'onere di allegazione su di
essa gravante, poiche' appare ictu oculi che il  contributo  posto  a
carico  dello  Stato  dalla  norma  impugnata  a  titolo   di   quota
ristorativa del minor gettito relativo a IMU e TASI (110  milioni  di
euro) e' notevolmente ridotto  rispetto  alla  somma  originariamente
individuata dallo Stato medesimo a titolo compensativo  (625  milioni
di  euro),  quantificata  sul  saldo  netto  tra  il  fabbisogno   da
finanziare e le risorse disponibili. 
    La cospicua contrazione della somma trasferita dallo Stato e'  di
per se' in grado di sostenere le potenzialita'  lesive  in  relazione
allo svolgimento delle funzioni  assegnate  e  quindi  di  consentire
l'esame nel merito della questione (ex multis, sentenze  n.  137  del
2018, n. 188 del 2015 e n. 88 del 2014). 
    Quanto alla seconda impugnativa, relativa all'art. 57,  comma  1,
del d.l. n. 124 del 2019, come convertito, l'eccezione  e'  parimenti
non fondata, poiche' la ricorrente ha allegato una documentazione  da
cui e' agilmente individuabile la differenza (positiva) fra le  quote
di FSC versate  in  perequazione  e  quelle  ricevute.  Peraltro,  la
denuncia  non  si  rivolge  esclusivamente  alla  compressione  delle
risorse rispetto alle  funzioni  da  svolgere,  quanto  piuttosto  e,
soprattutto, all'irragionevolezza della scelta di non considerare fra
i criteri di calcolo delle capacita'  fiscali  l'aggiornamento  delle
rendite catastali. Pertanto il ricorso,  sul  punto,  deve  ritenersi
sufficientemente motivato. 
    Quanto, infine, alla  terza  impugnativa,  relativa  all'art.  1,
comma 849, della legge n. 160 del 2019, la  ricorrente  individua  in
modo preciso l'ammontare  di  contributo  statale  al  FSC  decurtato
(563,4 milioni di euro), nonche' l'esatto importo di cui  si  censura
la sproporzione in relazione  al  quantum  originariamente  sottratto
(100 milioni di euro, per il 2020). In questo caso,  peraltro,  viene
lamentata anche la protrazione dei tagli del  contributo  statale  al
FSC, per una durata piu' che doppia rispetto a quanto originariamente
previsto. La valutazione circa la fondatezza degli argomenti svolti a
suo sostegno appartiene percio'  al  sindacato  di  merito,  onde  il
rigetto della eccepita inammissibilita'. 
    2.6.- Deve poi rilevarsi  d'ufficio  che  la  ricorrente  impugna
l'art. 1, comma 554, della  legge  n.  160  del  2019  «in  combinato
disposto» con l'art. 1, comma 892, della legge 30 dicembre  2018,  n.
145 (Bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2019 e
bilancio pluriennale per il triennio 2019-2021), trascurando che  per
la seconda norma/tale disposizione sono decorsi i  termini  perentori
per l'impugnazione davanti a questa Corte (art. 127,  secondo  comma,
Cost. e art. 32, secondo comma, della legge n. 87 del 1953),  che  ha
avuto modo di chiarire come sia inammissibile il ricorso che  integri
un  tentativo  di  aggiramento   dei   termini   di   decadenza   per
l'impugnazione di leggi ritenute costituzionalmente  illegittime  (ex
multis, sentenze n. 39 del 2020 e n. 160 del 2009). 
    Tale rilievo, peraltro, non mina l'ammissibilita' della questione
afferente al solo art. 1, comma 554, della legge n. 160 del 2019,  in
relazione alla quale l'oggetto  della  doglianza  e'  l'insufficiente
stanziamento  di  risorse  a  titolo   ristorativo   per   il   2020,
quantificato dalla norma impugnata in 110 milioni di euro,  che,  pur
sommandosi al pregresso e consolidato stanziamento di 190 milioni  di
euro, sono ritenuti comunque insufficienti, a fronte degli  originari
625 milioni di euro individuati come  ammontare  da  ristorare.  Cio'
trova conferma anche nel tenore letterale della delibera a  impugnare
della   Giunta   regionale,   che   individua   come   norma   lesiva
esclusivamente l'art. 1, comma 554, della  legge  n.  160  del  2019,
laddove "consolida" a titolo ristorativo la cifra di 300  milioni  di
euro, somma che rappresenta esclusivamente il  risultato  finanziario
delle due disposizioni. 
    3.- Prima di accedere al merito, deve rilevarsi che,  nelle  more
del giudizio, l'art. 1, comma 848, della legge n.  160  del  2019  e'
stato abrogato dall'art. 1, comma 793, della legge 30 dicembre  2020,
n. 178 (Bilancio di previsione dello  Stato  per  l'anno  finanziario
2021 e bilancio pluriennale per il triennio 2021-2023). 
    In particolare, l'art. 1, comma 791, della legge n. 178 del 2020,
ha previsto due  incrementi  progressivi  della  dotazione  del  FSC,
vincolati a  due  diverse  finalita'.  Il  successivo  comma  792  ha
inserito tale modifica nella  legge  n.  232  del  2016,  aggiungendo
all'art. 1, comma 449, le lettere d-quinquies) e  d-sexies).  Infine,
il comma 793 ha espressamente abrogato l'art. 1,  commi  848  e  850,
della legge n. 160 del 2019. 
    Per effetto delle descritte  modifiche,  gli  incrementi  al  FSC
dall'anno 2021 al 2024, oggetto di impugnazione con il  terzo  motivo
del ricorso,  sono  stati  abrogati  e  sostituiti  dagli  incrementi
vincolati di cui all'art. 1, commi 791 e 792, della legge n. 178  del
2020,  nei  seguenti  termini:  215.923.000  euro  per  l'anno  2021,
254.923.000 euro per l'anno 2022, 299.923.000 euro per  l'anno  2023,
345.923.000 euro per l'anno 2024, 390.923.000 euro per  l'anno  2025,
442.923.000 euro per l'anno 2026, 501.923.000 euro per  l'anno  2027,
559.923.000 euro per l'anno 2028, 618.923.000 euro per l'anno 2029  e
650.923.000 euro annui a  decorrere  dal  2030,  per  lo  sviluppo  e
l'ampliamento dei servizi sociali comunali; nonche'  100  milioni  di
euro per l'anno 2022, 150  milioni  di  euro  per  l'anno  2023,  200
milioni di euro per l'anno 2024, 250 milioni di euro per l'anno  2025
e 300 milioni  di  euro  annui  a  decorrere  dal  2026,  finalizzati
all'aumento  del  numero  di  posti  disponibili  negli  asili   nido
comunali. 
    Cio' posto, occorre rilevare che l'impugnato art. 1,  comma  849,
della legge n. 160 del 2019 ha  trovato  applicazione  per  il  2020,
sicche' in  relazione  a  tale  annualita'  la  censura  deve  essere
esaminata. 
    Con riferimento  al  periodo  successivo,  a  partire  dal  2021,
occorre verificare se le modifiche introdotte dalla legge n. 178  del
2020  presentino  i  caratteri   che   -   secondo   la   consolidata
giurisprudenza di questa Corte - consentono  il  trasferimento  della
questione sulla nuova norma, in forza «del principio di  effettivita'
della tutela costituzionale delle parti nei giudizi in via  d'azione»
(ex multis, sentenze n. 44 del 2018 e n. 80 del 2017). 
    Ai fini del trasferimento, infatti, occorre verificare se lo  ius
superveniens non sia satisfattivo per la ricorrente, abbia  carattere
marginale,  ovvero  non  sia  dotato  di  un  contenuto  radicalmente
innovativo rispetto alla norma originaria, in grado di  alterarne  la
portata precettiva. 
    Nel caso in esame, le modifiche apportate dalla legge n. 178  del
2020, se da un lato non appaiono satisfattive per la  ricorrente  (in
quanto rinviano solo al 2025 la ricostituzione nel FSC delle  risorse
sottratte nel 2014), al contempo, pero', non sono  dotate  di  quella
marginalita' in grado di escludere  una  diversa  portata  precettiva
della disposizione modificata. L'inserimento del  doppio  vincolo  di
destinazione ora gravante sugli enti locali depone, infatti,  per  la
natura di innovazione sostanziale (ex plurimis, sentenza n.  137  del
2018). 
    Non  sussistono,  pertanto,  le  condizioni   che,   secondo   la
giurisprudenza di questa Corte, consentono di trasferire la questione
sulla  norma  sopravvenuta,  altrimenti  supplendosi   impropriamente
all'onere di impugnazione (ex multis, sentenze n. 40 del 2016, n.  17
del 2015 e n. 138 del 2014). 
    4.- Al fine di una corretta valutazione del merito, e' necessaria
una sia pur breve ricostruzione della disciplina normativa  del  FSC,
sulla  cui  evoluzione  hanno  inciso  le  difficolta'  e  i  ritardi
nell'attuazione del federalismo fiscale. 
    Il FSC e' stato istituito dall'art. 1,  comma  380,  lettera  b),
della legge n. 228 del 2012 in sostituzione del Fondo sperimentale di
riequilibrio, di cui all'art. 2  del  decreto  legislativo  14  marzo
2011,  n.  23  (Disposizioni  in  materia  di   federalismo   fiscale
municipale), il quale era alimentato da trasferimenti  statali  e  da
compartecipazioni al gettito di tributi erariali (sentenza n. 129 del
2016). 
    Rispetto all'assetto del Fondo sperimentale di  riequilibrio,  il
FSC presentava - almeno in origine - una natura mista (orizzontale  e
verticale), in quanto veniva alimentato  prevalentemente  dai  Comuni
mediante la trattenuta di una parte del  gettito  standard  derivante
dall'IMU e da una  quota  minoritaria  di  risorse  trasferite  dallo
Stato. 
    Sul FSC cosi' strutturato, a partire dal 2010, si sono  riversati
i tagli determinati dalle misure di finanza  pubblica  a  carico  dei
Comuni, che hanno inciso sulle  risorse  effettivamente  disponibili,
erodendo completamente la  componente  verticale  del  FSC.  Inoltre,
l'abolizione dell'IMU e della TASI sull'abitazione  principale  e  le
molteplici modifiche normative che hanno riguardato la prima  imposta
hanno contemporaneamente ridotto il gettito dei  tributi  locali.  La
dotazione del FSC e' stata tuttavia corrispondentemente  incrementata
dallo Stato al fine di garantire le risorse necessarie a compensare i
Comuni delle minori entrate. 
    Per effetto congiunto di queste misure  l'attuale  struttura  del
FSC - fatta eccezione per la menzionata quota compensativa  destinata
al ristoro  delle  minori  entrate  di  IMU  e  TASI  -  e'  divenuta
interamente orizzontale, tanto da determinare, dal 2015 al  2020,  un
"trasferimento negativo", nel senso che e' il comparto dei  Comuni  a
trasferire risorse allo Stato. 
    Attualmente, la disciplina a regime del FSC e' dettata  dall'art.
1, commi da 446 a 452, della legge n. 232  del  2016,  che  fissa  la
dotazione complessiva (comprensiva della quota ristorativa di  IMU  e
TASI e della quota generale) del FSC per il 2020 in  6.213,7  milioni
di euro; per il 2021 in 6.616,5 milioni  di  euro;  per  il  2022  in
6.855,5 milioni di euro; per il 2023 in 6.980,5 milioni di euro;  per
il 2024 in 7.306,5 milioni di euro; per il 2025 in 7.401,5 milioni di
euro; per il 2026 in 7.503,5 milioni di euro; per il 2027 in  7.562,5
milioni di euro; per il 2028 in 7.620,5 milioni di euro; per il  2029
in 7.679,5 milioni di euro e a decorrere dal 2030 in 7.711,5  milioni
di euro. 
    Il decreto del Presidente del Consiglio  dei  ministri  28  marzo
2020 (Criteri di formazione e di riparto del  Fondo  di  solidarieta'
comunale 2020) dispone che la quota ristorativa di IMU e TASI e' pari
a 3.753,3 milioni di euro e che, invece, la componente tradizionale e
destinata alla perequazione ammonta a 2.768,8 milioni di euro  ed  e'
finanziata unicamente  dal  22,43  per  cento  dell'IMU  versata  dai
Comuni. 
    5.- Cosi' ricostruiti i  tratti  essenziali  della  disciplina  e
dell'evoluzione della dotazione del FSC, e'  possibile  esaminare  il
merito delle questioni. 
    5.1.- La Regione Liguria anzitutto impugna l'art. 1,  comma  554,
della  legge  n.  160  del  2019,  laddove   prevede   l'assegnazione
complessiva di 110 milioni di euro da parte dello Stato a  titolo  di
ristoro del gettito non piu' acquisibile dalla TASI, in luogo di  625
milioni di euro originariamente individuati dall'art. 1,  comma  731,
della legge  n.  147  del  2013.  La  norma  impugnata  comporterebbe
un'irragionevole compressione dell'autonomia finanziaria  degli  enti
locali, anche perche' comprometterebbe lo svolgimento delle  funzioni
fondamentali  assegnate  ai  Comuni,  violando  cosi'  il   principio
costituzionale che garantisce agli enti locali le risorse  necessarie
all'integrale finanziamento  delle  funzioni  attribuite  (art.  119,
quarto comma, Cost.). 
    La questione non e' fondata. 
    Il Ragioniere generale dello  Stato  ha  riferito  nell'audizione
resa nella camera di consiglio del 24 giugno 2021 che  il  contributo
ristorativo di IMU e TASI sarebbe stato oggetto di una ridefinizione,
calcolata sulla base  delle  effettive  perdite  di  gettito  subite,
rispetto al precedente regime IMU e allo sforzo fiscale  esercitabile
sulla nuova TASI, importo pari a circa 340 milioni  di  euro,  e  non
piu' a 625 milioni di euro. 
    Alla  luce  di  questo  ricalcolo,  la  differenza   fra   quanto
effettivamente perso dai Comuni e  quanto  assegnato  dallo  Stato  a
titolo di contributo ristorativo ammonterebbe a circa 40  milioni  di
euro. 
    Tale ridimensionamento - determinato dal fatto che lo Stato,  con
la disposizione impugnata, assegna complessivamente  300  milioni  di
euro, a fronte di un "ricalcolo" di effettiva perdita di gettito pari
a 340 milioni di euro - consentirebbe di affermare che  le  riduzioni
oggetto d'impugnazione non sono tali da  incidere  significativamente
sul  livello  dei  servizi  fondamentali,  pur   in   assenza   della
definizione dei Livelli essenziali delle prestazioni (LEP). 
    Comunque, il ricorrente non fornisce prova che  la  riduzione  in
questione abbia impattato significativamente  sulle  finanze  locali,
soprattutto  in  relazione  all'ammontare   complessivo   del   fondo
ristorativo  (pari  a  3.767,45  milioni  di  euro)  e  alla  mancata
ricostruzione del complessivo  sistema  di  trasferimenti  in  favore
degli enti locali. 
    In proposito, questa Corte ha precisato che  le  norme  incidenti
sull'assetto finanziario degli enti territoriali «non possono  essere
valutate in modo "atomistico", ma solo  nel  contesto  della  manovra
complessiva, che puo'  comprendere  norme  aventi  effetti  di  segno
opposto sulla finanza delle Regioni e degli enti locali» (sentenza n.
83 del 2019). 
    Con  riferimento  al  rapporto  tra  funzioni  da  finanziarie  e
risorse, questa Corte ha, infatti, chiarito che la riassegnazione  di
queste ultime «e' priva di qualsiasi automatismo e comporta scelte in
ordine alle modalita', all'entita' e ai tempi, rimesse al legislatore
statale» (sentenza n. 83 del 2019). 
    La non fondatezza della questione peraltro non esime questa Corte
dal valutare negativamente il  perdurante  ritardo  dello  Stato  nel
definire   i   LEP,   i   quali   indicano   la   soglia   di   spesa
costituzionalmente necessaria per erogare le prestazioni  sociali  di
natura fondamentale, nonche'  «il  nucleo  invalicabile  di  garanzie
minime» per rendere effettivi tali diritti (ex  multis,  sentenze  n.
142 del 2021 e n. 62 del 2020). 
    In  questa  prospettiva   i   LEP   rappresentano   un   elemento
imprescindibile per uno svolgimento leale e trasparente dei  rapporti
finanziari fra lo Stato  e  le  autonomie  territoriali  (ex  multis,
sentenze n. 197 del 2019 e n. 117 del 2018). 
    Oltre  a  rappresentare  un  valido  strumento  per  ridurre   il
contenzioso sulle regolazioni finanziarie fra enti (se non altro, per
consentire  la  dimostrazione  della  lesivita'  dei  tagli  subiti),
l'adempimento  di  questo  dovere  dello  Stato   appare,   peraltro,
particolarmente urgente anche  in  vista  di  un'equa  ed  efficiente
allocazione delle risorse collegate al Piano nazionale di  ripresa  e
resilienza (PNRR), approvato con il decreto-legge 6 maggio  2021,  n.
59 (Misure urgenti relative al Fondo complementare al Piano nazionale
di ripresa e resilienza e altre misure urgenti per gli investimenti),
convertito, con modificazioni, in legge 1° luglio 2021, n. 101. 
    In definitiva, il ritardo nella definizione dei  LEP  rappresenta
un ostacolo non solo alla piena attuazione dell'autonomia finanziaria
degli enti territoriali, ma anche al  pieno  superamento  dei  divari
territoriali nel godimento  delle  prestazioni  inerenti  ai  diritti
sociali. 
    5.2.- La ricorrente denuncia altresi' la progressione dei criteri
perequativi che concorrono alla ripartizione del FSC, calibrata sulla
differenza fra capacita' fiscali  e  fabbisogni  standard  (art.  57,
comma 1, del d.l. n. 124 del 2019, come convertito). 
    La sperequazione provocata  dai  criteri  oggetto  d'impugnazione
produrrebbe un'illegittima  compressione  dell'autonomia  finanziaria
degli enti locali, tale da incidere  sulle  risorse  necessarie  allo
svolgimento delle funzioni loro assegnate. 
    5.2.1.- Occorre ricordare che l'art. 13,  comma  1,  lettera  e),
della legge 5 maggio 2009, n. 42 (Delega al  Governo  in  materia  di
federalismo  fiscale,   in   attuazione   dell'articolo   119   della
Costituzione), e l'art. 1-bis del decreto-legge 24  giugno  2016,  n.
113 (Misure finanziarie  urgenti  per  gli  enti  territoriali  e  il
territorio), convertito, con  modificazioni,  nella  legge  7  agosto
2016, n. 160, definiscono il sistema di calcolo  e  di  aggiornamento
annuale della capacita' fiscale e demandano a un decreto del Ministro
dell'economia e delle finanze l'adozione della  stima  e  della  nota
metodologica della capacita' fiscale, i  cui  risultati  confluiscono
nei d.P.C.m. di riparto del FSC impugnabili, se del caso, dinanzi  al
giudice competente. 
    Le  censure  della  ricorrente  lamentano  la  mancanza   di   un
meccanismo correttivo che consideri  gli  effetti  dell'aggiornamento
dei valori catastali (rispetto ai quali i  Comuni  italiani  si  sono
mossi in ordine sparso). 
    Secondo la ricorrente, non considerare il divario esistente tra i
valori di mercato e i valori  catastali  degli  immobili  produrrebbe
un'irragionevole penalizzazione per quei Comuni che hanno  aggiornato
le rendite catastali degli immobili (quali, asseritamente,  i  Comuni
liguri) e premierebbe  con  la  perequazione  quelli  che  presentano
ancora valori di rendita obsoleti, senza alcuna correlazione  con  il
reale valore di mercato dell'immobile e, pertanto, con il livello  di
ricchezza della popolazione. 
    5.2.2.- Tanto premesso, la questione non e' fondata. 
    Ai sensi dell'art. 119, quarto comma, Cost.,  le  funzioni  degli
enti territoriali devono essere assicurate in  concreto  mediante  le
risorse menzionate ai primi tre commi del medesimo  art.  119  Cost.,
attraverso un criterio  perequativo  trasparente  e  ostensibile,  in
attuazione dei principi fissati dall'art. 17, comma  1,  lettera  a),
della legge n. 42 del 2009. 
    Questa Corte ha gia' avuto  modo  di  censurare  la  disposizione
normativa che ancorava i criteri di riparto della riduzione dei fondi
perequativi «alla media delle spese sostenute per  consumi  intermedi
nel triennio 2010-2012, desunte dal SIOPE [Sistema informativo  sulle
operazioni degli enti pubblici]» (sentenza n. 129 del 2016). In  quel
caso, il criterio  individuato  dal  legislatore  e'  stato  valutato
irrazionale  perche'  «si  presta[va]  a  far  gravare  i   sacrifici
economici in misura maggiore sulle amministrazioni che  erogano  piu'
servizi, a prescindere  dalla  loro  virtuosita'  nell'impiego  delle
risorse finanziarie. [...] Il criterio delle spese  sostenute  per  i
consumi intermedi non e' dunque illegittimo in se' e per se'; la  sua
illegittimita'  deriva  dall'essere  parametro  utilizzato   in   via
principale anziche'  in  via  sussidiaria,  vale  a  dire  solo  dopo
infruttuosi  tentativi  di  coinvolgimento  degli  enti   interessati
attraverso  procedure  concertate  o  in  ambiti  che  consentano  la
realizzazione di altre forme di cooperazione». 
    La disposizione impugnata con l'odierno ricorso, per contro,  non
risulta affetta dall'irrazionalita' che ha  indotto  questa  Corte  a
dichiarare costituzionalmente illegittimi i criteri  di  riparto  del
Fondo sperimentale di riequilibrio con la sentenza n. 129 del 2016. 
    Tuttavia, i dati emersi - tanto  in  sede  di  audizione  del  24
giugno 2021, quanto dalla documentazione depositata -  sugli  effetti
in termini di «shock  perequativo»  subiti  da  circa  4100  enti  in
conseguenza della ridistribuzione del FSC, confermano la presenza  di
criticita' nella distribuzione delle risorse fra i Comuni italiani. 
    Tali criticita' peraltro hanno  origine  non  tanto  dalla  norma
impugnata,  ma  rappresentano  soprattutto  la  conseguenza  di   una
situazione di fatto,  coincidente  con  il  mancato  adeguamento  dei
valori catastali degli immobili. La lamentata sperequazione, infatti,
da un lato, discende da tale mancato adeguamento in numerose  realta'
comunali,  che  di  fatto  determina  irrazionali   differenziazioni,
dall'altro e' amplificata dal  carattere  meramente  orizzontale  che
aveva assunto il FSC. Cio' che determina il rigetto della prospettata
questione. 
    5.3.- Infine, la Regione Liguria impugna  l'art.  1,  comma  849,
della legge n. 160 del 2019. 
    5.3.1.- La disamina della questione deve  preliminarmente  tenere
in considerazione gli effetti prodotti dallo ius superveniens, da cui
consegue, per quanto si e' in precedenza evidenziato,  la  necessita'
di circoscrivere le  doglianze  all'annualita'  2020,  rispetto  alla
quale la norma  impugnata  ha  trovato  applicazione,  prevedendo  un
contributo dello Stato al FSC pari a 100 milioni di euro in luogo  di
563,4 milioni di euro. 
    Secondo la ricorrente, la riduzione dei trasferimenti statali  al
FSC  comporterebbe   un'irragionevole   compressione   dell'autonomia
finanziaria degli enti locali, nonche' la violazione  dell'art.  119,
terzo e quarto comma, Cost., poiche'  il  fondo  avrebbe  assunto  un
carattere interamente orizzontale, compromettendo anche  la  clausola
di salvaguardia relativa al cosiddetto parallelismo  fra  funzioni  e
risorse. 
    Come segnalato anche dalla Corte dei conti, le  somme  attribuite
dalla norma  impugnata  rappresentano  una  progressiva  restituzione
della quota "verticale" del fondo, quota che era stata  completamente
sottratta dall'art. 47 del d.l. n. 66 del 2014,  come  convertito,  a
titolo di concorso degli enti locali  al  risanamento  delle  finanze
pubbliche  (Corte  dei  conti,  sezione  autonomie,  Relazione  sulla
gestione  finanziaria  degli   enti   locali,   Esercizi   2019-2020,
deliberazione  n.  11  del  2021).  Tale  decurtazione,  circoscritta
originariamente al triennio 2015-2017, e' stata dapprima  estesa  dal
legislatore al 2018 e successivamente prorogata al 2019. Per  effetto
della norma impugnata il taglio  viene  progressivamente  restituito,
fino  alla  reintegrazione  integrale   di   quanto   originariamente
sottratto solo nel 2024. 
    5.3.2.- Tanto premesso, la questione non e' fondata. 
    Come emerso in sede di audizione del 24 giugno 2021 e  confermato
dalla documentazione successivamente depositata, le  somme  stanziate
per il FSC 2020 e i criteri di riparto di cui al d.P.C.m.  26  maggio
2020 sono stati oggetto di specifica intesa, in  sede  di  Conferenza
Stato-citta'  ed  autonomie  locali  del  30  gennaio  2020   (Intesa
sull'individuazione dei  Comuni  beneficiari  e  la  definizione  dei
criteri e delle modalita' di riparto dell'incremento di  100  milioni
di euro, per l'anno 2020, del Fondo di solidarieta' comunale). 
    Benche' tale circostanza non precluda il diritto a ricorrere  per
la tutela delle proprie competenze e attribuzioni costituzionali,  il
raggiungimento dell'intesa nel caso di specie assume  un  particolare
valore, perche' rappresenta l'inizio  della  graduale  ricostituzione
della componente verticale di risorse del FSC  a  disposizione  degli
enti locali. 
    In questo senso, la norma impugnata segna una netta soluzione  di
continuita' rispetto alla  fase  dei  tagli  lineari  e  inaugura  il
progressivo ripristino dell'ammontare originario del FSC. 
    Cosi'  come  in  precedenza  evidenziato,  le   norme   incidenti
sull'assetto   finanziario   degli   enti    territoriali    «[n]ella
prospettiva, in precedenza evidenziata, per cui  le  norme  incidenti
sull'assetto finanziario degli enti territoriali non  possono  essere
valutate in modo "atomistico", ma solo  nel  contesto  della  manovra
complessiva, questa Corte ha sostenuto, con riferimento  al  rapporto
tra funzioni da finanziare e risorse, che la riassegnazione di queste
ultime «e' priva di qualsiasi automatismo e comporta scelte in ordine
alle modalita',  all'entita'  e  ai  tempi,  rimesse  al  legislatore
statale» (sentenza n. 83 del 2019). Con riferimento al  rapporto  tra
funzioni da finanziarie e risorse, la Corte  ha,  infatti,  sostenuto
che la  riassegnazione  di  queste  ultime  «e'  priva  di  qualsiasi
automatismo e comporta scelte in ordine alle modalita', all'entita' e
ai tempi, rimesse al legislatore statale» (sentenza n. 83 del 2019). 
    In  questa  prospettiva,  nella  valutazione  complessiva   della
questione,  deve  altresi'  considerarsi   che,   nell'ambito   degli
stanziamenti previsti durante l'emergenza da COVID-19, l'art. 106 del
decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34 (Misure  urgenti  in  materia  di
salute, sostegno al  lavoro  e  all'economia,  nonche'  di  politiche
sociali   connesse   all'emergenza   epidemiologica   da   COVID-19),
convertito, con modificazioni, nella legge 17 luglio 2020, n. 77,  ha
istituito un  fondo  per  destinare  risorse  aggiuntive  ai  Comuni,
finalizzato al finanziamento delle funzioni degli enti  locali,  pari
complessivamente a 3,5 miliardi di euro in relazione  alla  possibile
perdita di entrate locali connessa all'emergenza sanitaria. 
    Successivamente, l'art. 39, comma 1, del decreto-legge 14  agosto
2020,  n.  104  (Misure  urgenti  per  il  sostegno  e  il   rilancio
dell'economia), convertito, con modificazioni, nella legge 13 ottobre
2020, n. 126, ha incrementato di  ulteriori  1,67  miliardi  di  euro
detto  fondo  speciale  per  il  2020,  portandolo  a  un   ammontare
complessivo di circa 5,17 miliardi di euro. 
    In aggiunta a quanto stanziato per il 2020, la legge n.  178  del
2020 ha provveduto all'integrazione del fondo per le  funzioni  degli
enti locali  anche  per  il  2021,  stanziando  complessivamente  500
milioni di euro da ripartire fra Comuni (450 milioni di euro), Citta'
metropolitane e Province (50 milioni di euro). 
    A questo proposito, in sede di audizione, il Ragioniere  generale
dello Stato ha precisato che le risorse  destinate  a  ristorare  gli
enti locali delle minori entrate  e  delle  maggiori  spese  connesse
all'emergenza   sanitaria/epidemiologica   da   COVID-19    ammontano
complessivamente a circa 15,6 miliardi di euro  per  il  2020  e  4,9
miliardi di euro per il 2021. Peraltro, sempre il Ragioniere generale
dello Stato ha chiarito  che  tali  risorse  sono  state  distribuite
secondo criteri articolati, che tengono conto delle specificita'  dei
territori, e che sono definiti da tre note metodologiche adottate con
altrettanti decreti del Ministro dell'interno,  di  concerto  con  il
Ministro  dell'economia  e  delle  finanze,  rispettivamente  del  16
luglio, dell'11 novembre e del 14 dicembre 2020. 
    Deve  pertanto  rilevarsi  che  la  disposizione   impugnata   si
inserisce in un contesto complessivo di ripristino dei  trasferimenti
erariali agli enti territoriali, sovvenendo in parte anche  ai  tagli
imposti negli anni della crisi finanziaria, dal che il rigetto  della
questione di legittimita' costituzionale promossa.