ha pronunciato la seguente 
 
                              ORDINANZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale  degli  artt.  4-bis,
comma 1,  e  58-ter  della  legge  26  luglio  1975,  n.  354  (Norme
sull'ordinamento  penitenziario  e  sulla  esecuzione  delle   misure
privative e limitative della liberta'),  promosso  dal  Tribunale  di
sorveglianza di Messina, con ordinanza del 13 novembre 2020, iscritta
al n. 58 del  registro  ordinanze  2021,  pubblicata  nella  Gazzetta
Ufficiale della Repubblica n. 19,  prima  serie  speciale,  dell'anno
2021. 
    Udito nella camera di consiglio del 24 novembre 2021  il  Giudice
relatore Nicolo' Zanon; 
    deliberato nella camera di consiglio del 25 novembre 2021. 
    Ritenuto che, con ordinanza del 13 novembre 2020 (r.o. n. 58  del
2021), il Tribunale di sorveglianza di Messina ha sollevato questioni
di legittimita' costituzionale degli artt. 4-bis, comma 1,  e  58-ter
della  legge  26  luglio  1975,  n.   354   (Norme   sull'ordinamento
penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e  limitative
della liberta'), in riferimento agli artt. 3, 24, 27, terzo comma,  e
117, primo comma, della Costituzione, quest'ultimo in relazione  agli
artt. 3 e  6  della  Convenzione  per  la  salvaguardia  dei  diritti
dell'uomo e delle liberta' fondamentali (CEDU), firmata a Roma  il  4
novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4  agosto  1955,
n. 848, nella parte in cui precludono l'accesso alle misure di cui al
Capo IV (recte: Capo VI) della  stessa  legge  n.  354  del  1975  ai
condannati per i reati elencati nel citato art. 4-bis, comma  1,  che
non abbiano collaborato con la giustizia a norma del pure citato art.
58-ter; 
    che, secondo quanto riferito  nell'ordinanza  di  rimessione,  il
giudice  a  quo  procede  riguardo   a   richieste   di   concessione
dell'affidamento in prova ai servizi sociali (art. 47 ordin. penit.),
della detenzione domiciliare (art.  47-ter  ordin.  penit.)  o  della
semiliberta' (art. 50 ordin. penit.), formulate da  persona  detenuta
in esecuzione di una pena inflitta per il delitto di cui all'art. 74,
commi 2 e 3, del d.P.R. 9 ottobre 1990, n.  309  (Testo  unico  delle
leggi  in  materia  di  disciplina  degli  stupefacenti  e   sostanze
psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati  di
tossicodipendenza); 
    che  nel  caso  di  specie,  secondo  il  rimettente,  opera   la
preclusione stabilita nel comma 1 dell'art. 4-bis ordin. penit., dato
che non ricorrono le particolari condizioni indicate  nel  successivo
comma 1-bis, o  quelle  inerenti  alla  collaborazione  di  giustizia
rilevante ex art. 58-ter ordin. penit. 
    che, in punto di rilevanza, il Tribunale assume che, in  caso  di
accoglimento  delle  questioni  sollevate,   le   istanze   difensive
potrebbero essere valutate in base ad una  diversa  disciplina  della
materia, tale da consentirne un esame esteso al merito, superando  la
soglia attuale dell'inammissibilita'; 
    che, riguardo  alla  non  manifesta  infondatezza  delle  proprie
censure, il rimettente nega che la collaborazione con gli  inquirenti
possa ragionevolmente  essere  assunta  quale  indice  esclusivo  del
distacco del condannato dall'ambiente  criminale  di  provenienza,  e
dunque  quale  sola  condizione  utile  per  l'accesso  alle   misure
alternative,  affermando  che  le  presunzioni   assolute   sarebbero
incompatibili con il «sistema costituzionale»; 
    che contrasterebbe con gli artt. 3 e 27, terzo comma,  Cost.,  in
particolare, la preclusione  in  base  alla  quale,  in  mancanza  di
atteggiamenti collaborativi, e' impedita al giudice  di  sorveglianza
una valutazione in concreto del percorso rieducativo  intrapreso  dal
condannato; 
    che la scelta di non  collaborazione  potrebbe  in  effetti,  nei
singoli casi, costituire un segnale di  attualita'  dei  collegamenti
criminali intrattenuti dal  richiedente,  ma  potrebbe  anche  essere
dovuta ad altri fattori, come il timore di ritorsioni  o  l'esistenza
di legami parentali con le persone che dovrebbero essere denunciate; 
    che sarebbe inoltre irragionevole,  e  quindi  incompatibile  con
l'art.  3  Cost.,  una  preclusione   estesa   in   modo   ampio   ed
indiscriminato ad una serie  di  comportamenti  delittuosi  tra  loro
fortemente eterogenei; 
    che  la  parificazione  del  trattamento  riguardo  a  tutte   le
situazioni  evocate  contrasterebbe  con   la   necessita'   che   il
trattamento esecutivo sia personalizzato, in modo  da  assicurare  la
proporzionalita' della pena e  la  sua  efficacia  rieducativa  (sono
citate le sentenze di questa Corte n. 149  del  2018  e  n.  257  del
2006), cosi' "acuendo" il contrasto della disciplina con  l'art.  27,
terzo comma, Cost. 
    che  dunque,  pur  non  potendosi  negare  radicalmente  la   sua
rilevanza, la scelta collaborativa non  dovrebbe  essere  presupposto
esclusivo  per  l'accesso  ai   benefici   penitenziari,   cosi'   da
condizionare risolutivamente l'efficacia rieducativa della pena  che,
di contro, dovrebbe essere garantita a tutti i condannati; 
    che la disciplina censurata svelerebbe piuttosto, sempre a parere
del  rimettente,  una  ratio  di  mera  sollecitazione  delle  scelte
collaborative,  del  tutto  scollegata  dalla  fisionomia  del  reato
commesso  e  dalla  concreta  qualita'   del   percorso   rieducativo
intrapreso dall'interessato; 
    che si profilerebbe,  di  conseguenza,  anche  un  contrasto  con
l'art. 24 Cost., e con la relativa garanzia del diritto al  silenzio,
posta  la  pressione  esercitata  sulle  scelte   processuali   dalla
consapevolezza, in capo all'interessato, del  regime  carcerario  che
conseguirebbe, nella eventuale  fase  esecutiva  del  giudizio,  alla
mancata collaborazione con gli inquirenti (e' citata  l'ordinanza  n.
117 del 2019 di questa Corte); 
    che il rimettente prospetta inoltre,  alla  luce  della  sentenza
della Corte europea dei diritti dell'uomo, prima sezione,  13  giugno
2019, Viola contro Italia, una violazione dell'art. 117, primo comma,
Cost., sul presupposto che mai potrebbe essere soppresso il  «diritto
alla speranza» di un condannato (e' citata anche  Corte  EDU,  grande
camera, sentenza 9 luglio 2013, Vinter ed altri contro Regno Unito); 
    che per un verso la Corte di Strasburgo, trattando del cosiddetto
ergastolo  ostativo,   avrebbe   confermato   che   la   scelta   non
collaborativa non  puo'  essere  considerata  sempre  sintomatica  di
perdurante  pericolosita'  (cosi'  come  quella   di   collaborazione
potrebbe essere dettata da mero opportunismo), e  per  l'altro  verso
avrebbe  ravvisato,  sempre  riguardo  all'ergastolo   ostativo,   un
contrasto sistemico tra la legislazione italiana e l'art. 3 CEDU; 
    che  la  giurisprudenza   costituzionale   avrebbe   riconosciuto
l'intollerabilita' della presunzione  assoluta  che  regge  la  norma
censurata, con la  sentenza  n.  253  del  2019,  a  proposito  della
concessione dei permessi premio a condannati non collaboranti, e  che
analogo  riconoscimento  sarebbe  venuto  dalla   giurisprudenza   di
legittimita' (e' citata Corte di cassazione,  sezione  prima  penale,
ordinanza 3-18 giugno 2020, n. 18518); 
    che le considerazioni richiamate dovrebbero implicare,  a  parere
del rimettente, una decisione di caducazione del divieto  di  accesso
ai benefici penitenziari, cosi' da estendere,  a  cura  della  stessa
Corte costituzionale, gli effetti della  sentenza  che  avrebbe  gia'
riconosciuto l'illegittimita' del regime ostativo, limitando pero' la
(parziale) rimozione della  regola  preclusiva  alla  disciplina  dei
permessi premio. 
    Considerato che il Tribunale di sorveglianza di  Messina  solleva
questioni di legittimita' costituzionale degli artt. 4-bis, comma  1,
e 58-ter della legge 26 luglio 1975, n. 354  (Norme  sull'ordinamento
penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e  limitative
della liberta'), in riferimento agli artt. 3, 24, 27, terzo comma,  e
117, primo comma, della Costituzione, quest'ultimo in relazione  agli
artt. 3 e  6  della  Convenzione  per  la  salvaguardia  dei  diritti
dell'uomo e delle liberta' fondamentali (CEDU), firmata a Roma  il  4
novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4  agosto  1955,
n. 848; 
    che le norme censurate - mediante le quali e' precluso  l'accesso
alle misure di cui al  Capo  VI  della  legge  n.  354  del  1975  ai
condannati per i reati elencati al comma 1 dello stesso  art.  4-bis,
che non abbiano collaborato con la giustizia a norma del citato  art.
58-ter - si fonderebbero su una presunzione  assoluta  di  perdurante
pericolosita'  dei  detenuti  non  collaboranti,   gia'   considerata
irragionevole  dalla  giurisprudenza  costituzionale  (e'  citata  la
sentenza n. 253 del 2019), dalla giurisprudenza della  Corte  europea
dei diritti dell'uomo  (e'  citata  tra  l'altro  Corte  europea  dei
diritti dell'uomo, prima sezione,  sentenza  13  giugno  2019,  Viola
contro Italia), nonche'  dalla  giurisprudenza  di  legittimita'  (e'
citata Corte di cassazione,  sezione  prima  penale,  ordinanza  3-18
giugno 2020, n. 18518, cui ha fatto  seguito  l'ordinanza  di  questa
Corte n. 97 del 2021, successiva al provvedimento di rimessione); 
    che per effetto della preclusione censurata sarebbe inibita  alla
magistratura di sorveglianza una valutazione del percorso rieducativo
seguito   dal   condannato,   necessaria   al   fine   di   garantire
l'individualizzazione    del    trattamento     penitenziario,     la
proporzionalita'  della  pena  e  la  sua   concreta   finalizzazione
rieducativa; 
    che le norme de quibus implicherebbero una violazione del diritto
di difesa, nella declinazione del diritto al silenzio,  condizionando
le opzioni dell'accusato alla  luce  del  trattamento  deteriore  che
potrebbe   determinarsi   nella   eventuale   fase   esecutiva    del
procedimento; 
    che per le stesse ragioni la disciplina  censurata,  contrastando
con il divieto convenzionale di trattamenti disumani o degradanti,  e
con il diritto all'equo processo, darebbe  luogo  ad  una  violazione
dell'art. 117, primo comma, Cost.; 
    che tutte le questioni sollevate dal  rimettente  vanno  definite
nel senso della manifesta inammissibilita', innanzitutto per  difetto
di motivazione sulla rilevanza; 
    che,  infatti,  l'ordinanza  del  Tribunale  di  sorveglianza  di
Messina risulta priva di una  qualunque  descrizione  della  concreta
fattispecie posta ad oggetto del giudizio principale, tanto  che  non
e' neppure indicato se le istanze della parte siano  state  formulate
in termini graduati, e quale tra le relative misure sarebbe presa  in
considerazione, gia' solo allo scopo  di  verificarne  gli  specifici
presupposti di  ammissibilita'  (ad  esempio,  il  superamento  delle
soglie di pena stabilite, ex art. 50  ordin.  penit.,  per  l'accesso
alla semiliberta'), fissati dalla  legge  a  prescindere  dal  regime
ostativo generale cui si riferiscono le censure sollevate; 
    che, inoltre, l'ordinanza di rimessione  prospetta  la  integrale
ablazione (per  qualunque  reato,  tra  quelli  ricompresi  nell'art.
4-bis,  comma  1,  ordin.   penit.,   e   per   qualunque   beneficio
penitenziario)   della   presunzione   di   pericolosita'    connessa
all'atteggiamento non collaborativo del condannato,  basandosi  sulla
motivazione di provvedimenti che, al contrario, hanno censurato  solo
il carattere assoluto della presunzione medesima, e solo in relazione
al permesso premio (sentenza n. 253 del 2019); 
    che, quindi, l'inammissibilita' delle questioni risulta manifesta
anche considerando che il  relativo  accoglimento  comporterebbe  una
vera  e  propria  novita'  di  sistema,  azzerando  completamente  un
complesso  meccanismo  legislativo  mirato  invece   a   distinguere,
mediante una serie di valutazioni discrezionali,  le  procedure  e  i
presupposti  per  l'accesso  a   benefici   penitenziari   e   misure
alternative,   sulla   base   di   indici   sintomatici,   variamente
individuati; 
    che piu' volte la giurisprudenza costituzionale ha rilevato  come
interventi di siffatta portata si collochino «al di  fuori  dell'area
del sindacato di legittimita' costituzionale» (sentenza  n.  252  del
2012),  richiedendo  il  piu'  ampio  ricorso   all'esercizio   della
discrezionalita' legislativa ed una puntuale individuazione di «modi,
condizioni  e  termini»  (sentenza  n.  146  del  2021),  chiaramente
preclusa a questa Corte (ex multis, sentenze n. 103 del 2021, n.  112
del 2019, n. 250 del 2018, n. 277 e n. 81 del 2014 e n. 279 del 2013;
ordinanze n. 266 del 2014 e n. 136 del 2013).