ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art.  72,  comma
9, del decreto legislativo 1° settembre 1993,  n.  385  (Testo  unico
delle leggi in materia bancaria e creditizia), promosso dal Tribunale
amministrativo regionale per il Lazio nel procedimento  vertente  tra
la Fondazione Cassa di Risparmio di Jesi e la Banca d'Italia e altri,
con sentenza parziale del 10 febbraio 2020, iscritta al  n.  174  del
registro ordinanze 2020 e pubblicata nella Gazzetta  Ufficiale  della
Repubblica n. 50, prima serie speciale, dell'anno 2020. 
    Visti  gli  atti  di  costituzione  della  Fondazione  Cassa   di
Risparmio di Jesi e della Banca d'Italia; 
    udito nell'udienza pubblica del 6 luglio 2021 il Giudice relatore
Franco Modugno; 
    uditi l'avvocato  Antonio  Mastri  per  la  Fondazione  Cassa  di
Risparmio di Jesi, in collegamento da remoto, ai sensi del  punto  1)
del decreto del Presidente della Corte del  18  maggio  2021,  e  gli
avvocati Stefania Ceci e Donato Messineo per la Banca d'Italia; 
    deliberato nella camera di consiglio del 21 ottobre 2021. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con atto qualificato come sentenza parziale del  10  febbraio
2020, il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio ha sollevato
questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 72, comma  9,  del
decreto legislativo 1° settembre 1993,  n.  385  (Testo  unico  delle
leggi in materia bancaria e creditizia), nella parte in cui subordina
la proposizione delle azioni  civili  nei  confronti  dei  commissari
straordinari delle banche  alla  previa  autorizzazione  della  Banca
d'Italia. 
    Il giudice a quo ha denunciato la violazione degli artt.  3,  24,
28, 47, 97, 101, 102,  103,  111,  113  e  117,  primo  comma,  della
Costituzione - quest'ultimo in relazione all'art. 6 della Convenzione
per  la  salvaguardia  dei  diritti  dell'uomo   e   delle   liberta'
fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata  e
resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848 - nonche' degli  artt.
11 e 117 Cost., in relazione sia all'art. 34,  paragrafo  l,  lettera
e), della  direttiva  (UE)  2014/59  del  Parlamento  europeo  e  del
Consiglio,  del  15  maggio  2014,  che  istituisce  un   quadro   di
risanamento e risoluzione degli enti creditizi  e  delle  imprese  di
investimento e che modifica la direttiva 82/891/CEE del Consiglio,  e
le  direttive   2001/24/CE,   2002/47/CE,   2004/25/CE,   2005/56/CE,
2007/36/CE, 2011/35/UE, 2012/30/UE e 2013/36/UE e i regolamenti  (UE)
n. 1093/2010 e  (UE)  n.  648/2012,  del  Parlamento  europeo  e  del
Consiglio; sia all'art.  47  della  Carta  dei  diritti  fondamentali
dell'Unione europea (CDFUE), proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000  e
adattata a Strasburgo il 12 dicembre 2007. 
    1.1.-  Il  TAR  rimettente  riferisce   che,   con   il   ricorso
introduttivo  del  giudizio  principale,  la  Fondazione   Cassa   di
Risparmio di  Jesi  ha  chiesto  l'annullamento,  previa  sospensione
dell'efficacia, del provvedimento  del  6  marzo  2018,  con  cui  il
Governatore  della  Banca  d'Italia   ha   negato   alla   ricorrente
l'autorizzazione a chiamare, nel giudizio civile promosso davanti  al
Tribunale ordinario di Ancona dalla Banca delle  Marche  spa,  coloro
che avevano ricoperto l'incarico di commissari straordinari  di  tale
banca, successivamente sottoposta a procedura di risoluzione. 
    La Fondazione ricorrente ha rappresentato di essere  intervenuta,
quale portatrice di azioni ordinarie della Banca delle Marche  spa  e
di  prestiti  obbligazionari  per  ingenti  somme,  nel  giudizio  di
responsabilita' promosso da quest'ultima, ai sensi degli artt. 2392 e
seguenti del codice civile, contro i  suoi  amministratori,  sindaci,
direttore generale e vice direttori. Intendendo far valere le proprie
ragioni   risarcitorie   anche   nei   confronti    dei    commissari
dell'amministrazione straordinaria nominati dalla Banca d'Italia,  la
ricorrente aveva presentato alla stessa istanza di autorizzazione  ai
sensi dell'art. 72, comma 9, t.u. bancario:  autorizzazione  che  era
stata, tuttavia, negata. 
    Contro tale atto la ricorrente ha dedotto vizi di  violazione  di
legge  e  di  eccesso  di  potere  in  relazione  a  diverse   figure
sintomatiche (travisamento dei fatti e  falso  presupposto,  abuso  e
sviamento di potere, ingiustizia manifesta e carenza di istruttoria),
prospettando,  altresi',  profili  di  illegittimita'  costituzionale
dell'art. 72, comma 9, t.u. bancario. 
    La  Banca  d'Italia  si  e'  costituita  in  giudizio,  eccependo
l'inammissibilita'  del  ricorso  per  difetto  di  giurisdizione   e
genericita' delle censure, e concludendo, comunque sia,  per  il  suo
rigetto nel merito. 
    Con ordinanza del 22 maggio  2018,  il  Tribunale  rimettente  ha
respinto l'istanza cautelare della ricorrente. Il Consiglio di Stato,
con ordinanza del 1°  agosto  2018,  ha  tuttavia  accolto  l'appello
cautelare,  ordinando  alla  Banca   d'Italia   un   pronto   riesame
dell'istanza di autorizzazione rivoltale. 
    Con provvedimento del 13  agosto  2018,  la  Banca  d'Italia  ha,
peraltro, confermato il diniego di autorizzazione. 
    La ricorrente ha quindi impugnato,  con  motivi  aggiunti,  anche
tale atto, censurandolo per violazione dell'art. 72,  comma  9,  t.u.
bancario, eccesso di potere ed elusione dell'ordinanza cautelare  del
Consiglio di Stato. 
    1.2.- Esclusa, in via preliminare, la fondatezza delle  eccezioni
di inammissibilita' formulate dalla Banca  d'Italia,  nel  merito  il
giudice  a  quo  reputa  che   le   censure   della   ricorrente   di
illegittimita' dei provvedimenti impugnati per  violazione  dell'art.
72, comma 9, t.u. bancario, carenza  di  motivazione  ed  eccesso  di
potere non meritino accoglimento. 
    Con tali provvedimenti, infatti, la Banca d'Italia  ha  posto  in
evidenza, sulla  base  di  attenta  istruttoria  e  dell'esame  degli
elementi addotti dalla Fondazione, la  manifesta  infondatezza  e  la
pretestuosita'  -  secondo  la  sua  prospettiva  -  dell'azione   di
responsabilita' che la ricorrente intendeva avviare nei confronti dei
commissari. 
    I rilievi mossi dalla ricorrente all'operato dei  commissari  non
sarebbero in grado di dimostrare che i  provvedimenti  gravati  siano
inficiati da manifeste illogicita' o palesi errori, tali da aprire la
strada, nel giudizio a quo, a un approfondimento  istruttorio.  Cio',
tenuto conto dei limiti del sindacato del giudice amministrativo  sui
provvedimenti espressivi di discrezionalita'  tecnica,  dovendo  tale
sindacato rimanere circoscritto a un controllo di tipo  "estrinseco",
senza decampare in valutazioni di merito sulle azioni civili  che  si
intendono intraprendere. 
    Neppure, poi, con riguardo al nuovo provvedimento, adottato  dopo
l'ordinanza cautelare del Consiglio di Stato,  sarebbe  riscontrabile
la denunciata elusione della decisione  del  giudice  d'appello.  Con
tale provvedimento, in accordo con quanto richiesto  dalla  pronuncia
cautelare,  la   Banca   d'Italia   ha   riesaminato   l'istanza   di
autorizzazione della ricorrente e, rispondendo ai  rilievi  formulati
nell'atto d'appello, ha confermato le conclusioni cui  in  precedenza
era pervenuta. 
    1.3.- La ricorrente  ha,  tuttavia,  contestato  i  provvedimenti
anche  in  ragione  della   dedotta   illegittimita'   costituzionale
dell'art. 72, comma 9, t.u. bancario, in riferimento  agli  artt.  3,
24, 97 e 111 Cost. 
    Ad avviso del giudice  a  quo,  le  questioni  prospettate  dalla
ricorrente - opportunamente integrate  quanto  ad  argomentazioni  di
supporto e a parametri di  riferimento  -  meriterebbero  «favorevole
apprezzamento». 
    Esse sarebbero rilevanti nel giudizio principale, in  quanto  gli
atti  impugnati  costituiscono  applicazione  diretta   della   norma
sospettata di contrasto con la  Costituzione.  Stante  l'infondatezza
delle altre censure  della  ricorrente,  l'accoglimento  del  gravame
potrebbe   derivare    esclusivamente    dalla    dichiarazione    di
illegittimita' costituzionale della norma denunciata. 
    1.4.- Quanto alla non manifesta infondatezza, il  giudice  a  quo
rileva che l'art. 72, comma 9, t.u. bancario, nel  testo  attualmente
vigente e applicabile nel giudizio principale, stabilisce  che  «[l]a
responsabilita'  dei  commissari  e  dei  membri  del   comitato   di
sorveglianza per atti  compiuti  nell'espletamento  dell'incarico  e'
limitata ai soli casi di dolo o colpa grave.  Le  azioni  civili  nei
loro  confronti  sono  promosse  previa  autorizzazione  della  Banca
d'Italia». 
    La disposizione censurata si colloca nell'ambito della disciplina
dell'amministrazione straordinaria delle banche, che e' una procedura
temporanea volta a far fronte alle situazioni critiche tassativamente
indicate dall'art. 70, comma 1, t.u. bancario, tra cui la riscontrata
esistenza   di   irregolarita'   nell'amministrazione    dell'impresa
bancaria. Essa comporta lo scioglimento degli organi amministrativi e
di controllo della banca e la nomina in loro  vece,  da  parte  della
Banca d'Italia, di  uno  o  piu'  commissari  straordinari  e  di  un
comitato di sorveglianza. 
    Ai sensi dell'art. 72 t.u. bancario, i commissari straordinari  -
i quali, nell'esercizio delle loro funzioni, sono pubblici  ufficiali
- esercitano i  poteri  dei  disciolti  organi  amministrativi  della
banca, salva la facolta' della Banca d'Italia di  stabilire  speciali
limitazioni dei loro compiti o di attribuire loro compiti ulteriori e
diversi. Essi  possono  essere  revocati  o  sostituiti  dalla  Banca
d'Italia;  ricevono  per  la  loro  opera  le  indennita'  da  questa
determinate;  sono  tenuti  al  rispetto  delle  istruzioni  e  delle
direttive  impartite   dalla   Banca   d'Italia;   debbono   chiedere
l'autorizzazione di  quest'ultima  per  convocare  gli  organi  della
banca, temporaneamente sospesi. 
    Pur  nell'ambito  di  una  necessaria  autonomia  gestionale,   i
commissari operano, dunque, in stretta sinergia con  l'Autorita'  che
li nomina. Essi risulterebbero, percio', legati alla Banca  d'Italia,
per la durata del loro incarico, da  un  rapporto  straordinario,  ma
organico. 
    1.5.- Su  tale  premessa,  il  rimettente  reputa  che  la  norma
censurata, nella parte in cui richiede l'autorizzazione  della  Banca
d'Italia per proporre azioni  civili  nei  confronti  dei  commissari
straordinari, si ponga in contrasto con l'art. 28 Cost., che  prevede
la responsabilita' diretta dei  funzionari  e  dei  dipendenti  dello
Stato e degli enti pubblici per gli atti compiuti in  violazione  dei
diritti. 
    Il meccanismo autorizzativo denunciato riecheggerebbe  l'istituto
della cosiddetta garanzia amministrativa, previsto da norme anteriori
alla Costituzione, quali  quelle  che  stabilivano  che  non  potesse
procedersi per fatti  commessi  dai  prefetti  e  dai  sindaci  senza
l'autorizzazione   del   Capo   dello   Stato:    norme    dichiarate
costituzionalmente illegittime da questa Corte con la sentenza  n.  4
del 1965. 
    Analogamente alle predette disposizioni, anche quella  sottoposta
a scrutinio nel presente giudizio consentirebbe alla  Banca  d'Italia
di  sottrarre  discrezionalmente  all'autorita'  giurisdizionale   il
giudizio sulla responsabilita' dei commissari  straordinari,  con  il
risultato di creare inammissibili aree di  immunita'.  Nell'esercizio
del  potere  di  autorizzazione,  la  Banca  d'Italia   non   sarebbe
vincolata, infatti, al rispetto di criteri di valutazione obiettivi e
prestabiliti. Per giunta,  il  vaglio  autorizzativo  non  offrirebbe
alcuna garanzia di imparzialita', provenendo dalla  stessa  autorita'
amministrativa  che  nomina  i   commissari   e   che   puo'   essere
eventualmente chiamata a rispondere del loro operato,  con  possibile
situazione di conflitto di interessi. 
    Alla luce della giurisprudenza costituzionale,  le  eccezioni  al
principio enunciato dall'art. 28 Cost., se pure possibili, dovrebbero
trovare fondamento nell'esigenza  di  rispetto  di  precise  garanzie
costituzionali, com'e', ad esempio, per la responsabilita' civile dei
magistrati:  garanzie  non   rinvenibili   rispetto   ai   commissari
straordinari delle banche. 
    In confronto  a  questi  ultimi,  la  previsione  di  un  «filtro
amministrativo» non potrebbe essere giustificata -  contrariamente  a
quanto pure si e' sostenuto in giurisprudenza - dalla  rilevanza  del
settore creditizio e dalla necessita' di schermare  i  commissari  da
iniziative  giudiziarie  "di   disturbo",   a   tutela   della   loro
indipendenza e  serenita'  di  giudizio.  I  rischi  prospettati  non
sarebbero,  infatti,  diversi  da  quelli  cui  sono  esposte   altre
categorie professionali che non godono di analogo privilegio,  quali,
ad esempio, i commissari straordinari delle grandi imprese  in  stato
di insolvenza, nominati dal Ministro competente ai sensi del  decreto
legislativo   8   luglio   1999,    n.    270    (Nuova    disciplina
dell'amministrazione straordinaria delle grandi imprese in  stato  di
insolvenza, a norma dell'articolo 1 della legge 30  luglio  1998,  n.
274). 
    1.6.- Il rimettente rileva,  altresi',  che  il  principio  della
responsabilita' diretta dei funzionari pubblici e'  stato  introdotto
dal  Costituente  nella  consapevolezza  che  la  collocazione  della
responsabilita' in un ambito esterno  alla  pubblica  amministrazione
implica  un  incremento  delle  garanzie  di   imparzialita'   e   di
efficienza. 
    Per  questo  verso,  la  deresponsabilizzazione  dei  commissari,
conseguente  alla   "schermatura"   dal   sindacato   giurisdizionale
prefigurata dalla norma denunciata, entrerebbe  in  conflitto  con  i
principi  di  tutela  del  risparmio  e  di  buona   amministrazione,
enunciati rispettivamente dagli artt. 47 e 97 Cost. 
    Il «filtro amministrativo» sulle azioni civili si risolverebbe in
una «iperprotezione» dei commissari rispetto a rischi  fronteggiabili
con misure piu' ragionevoli e proporzionate. I commissari  sarebbero,
in effetti, gia' tutelati attraverso la  generale  limitazione  della
loro responsabilita' ai casi di dolo e colpa  grave,  cui  potrebbero
associarsi altre  misure,  quale,  ad  esempio,  forme  di  copertura
assicurativa con oneri a carico dell'ente che conferisce l'incarico. 
    Un deterrente adeguato  contro  la  cattiva  amministrazione  dei
commissari non sarebbe offerto, d'altro canto, neppure dal  possibile
esercizio di un'azione di rivalsa da parte della Banca d'Italia,  ove
chiamata a risarcire i danni derivanti dal loro operato: cio', stante
l'assenza di una norma che - sulla falsariga di quanto avviene per  i
magistrati - renda la rivalsa obbligatoria. 
    1.7.- Secondo il rimettente, la norma censurata violerebbe  anche
l'art.  3  Cost.,  introducendo  una  eccezione   al   principio   di
responsabilita' per gli atti compiuti in violazione dei  diritti  non
giustificata da ragioni soggettive e oggettive, e tale da determinare
una disparita' di trattamento rispetto ad altri agenti  pubblici  che
svolgono  compiti  non  meno  elevati  di   quelli   dei   commissari
straordinari:  profilo  per  il   quale   risulterebbero   pienamente
pertinenti le considerazioni svolte da questa Corte nella sentenza n.
94   del   1963,   nel   pronunciarsi   sulla   cosiddetta   garanzia
amministrativa gia' prevista dall'art. 16  del  codice  di  procedura
penale del 1930 per i reati commessi in servizio di polizia. 
    1.8.- Per le ragioni esposte, la norma censurata  determinerebbe,
inoltre, una menomazione del diritto di accesso a un giudice terzo  e
imparziale,  garantito  dall'art.  24  Cost.,  consentendo   altresi'
all'autorita' amministrativa di interferire indebitamente nella sfera
della giurisdizione, in contrasto con gli artt. 101, 102, 103, 111  e
113 Cost. 
    Ad evitare il vulnus al diritto alla tutela  giurisdizionale  non
basterebbe la possibilita' di impugnare il diniego di  autorizzazione
davanti al giudice amministrativo,  stanti  i  ricordati  limiti  del
sindacato   di   quest'ultimo   sui   provvedimenti   espressivi   di
discrezionalita' tecnica. Il giudice amministrativo - ad  avviso  del
rimettente  -  potrebbe  esercitare  solo  un   controllo   di   tipo
"estrinseco", senza  poter  sostituire  decisioni  dell'autorita'  di
vigilanza la cui motivazione superi il vaglio della plausibilita'. 
    A  riequilibrare   il   sistema   non   basterebbe   neppure   la
possibilita', per il danneggiato, di agire, senza alcun "filtro", nei
confronti della Banca d'Italia.  Secondo  il  rimettente,  alla  luce
dell'art. 2 Cost., la  responsabilita'  civile  non  potrebbe  essere
relegata ad un ambito  meramente  patrimoniale,  trascurando  le  sue
«implicazioni  personalistiche»:  essa   imporrebbe,   pertanto,   il
coinvolgimento personale e diretto del danneggiante nell'accertamento
giudiziale del fatto illecito. 
    1.9.- Tutto cio' implicherebbe anche la violazione dei  parametri
sovranazionali - l'art. 6 CEDU e l'art. 47 CDFUE -  che  garantiscono
il diritto di accesso a un tribunale e  l'effettivita'  della  tutela
giurisdizionale,    con     conseguente     violazione     indiretta,
rispettivamente, dell'art. 117 Cost. e degli artt. 11 e 117 Cost. 
    Ricorrerebbe, d'altronde, il presupposto  di  applicazione  della
Carta, essendo la materia bancaria regolata dal  diritto  dell'Unione
europea, anche per quanto  attiene  alle  procedure  di  composizione
delle crisi. 
    1.10.- Il rimettente denuncia, infine, in riferimento agli  artt.
11  e  117,  primo  comma,  Cost.,  la  violazione  della   direttiva
2014/59/UE,  recepita  nel  nostro  ordinamento   con   due   decreti
legislativi, la quale, nell'introdurre l'istituto  della  risoluzione
delle banche in dissesto o a rischio di dissesto - procedura  cui  e'
stata sottoposta, nel caso di specie, la Banca delle Marche spa, dopo
l'amministrazione straordinaria - prevede, all'art. 34, paragrafo  1,
lettera e), che le persone fisiche, oltre che  giuridiche,  le  quali
abbiano causato il dissesto dell'ente  siano  tenute  a  risponderne:
principio da ritenere riferibile non solo alle  cause  genetiche,  ma
anche all'aggravamento della situazione. 
    1.11.- Sulla scorta di tali considerazioni, il TAR rimettente  ha
rigettato quindi parzialmente, «nei sensi e  nei  limiti  di  cui  in
motivazione», il ricorso introduttivo del giudizio a quo e il ricorso
per motivi aggiunti; ha dichiarato, nel  contempo,  rilevanti  e  non
manifestamente infondate le questioni dianzi indicate, sospendendo il
giudizio in corso. 
    2.- Si e' costituita in giudizio la Fondazione Cassa di Risparmio
di  Jesi,  ricorrente  nel  giudizio  a  quo,  la  quale  ha  chiesto
l'accoglimento  delle  questioni   sollevate,   rilevando   come   le
argomentazioni del giudice rimettente recepiscano e sviluppino quanto
da  essa  gia'  sostenuto  nel  ricorso  introduttivo  del   giudizio
principale. 
    3.- Si e' costituita, altresi', la Banca d'Italia, resistente nel
giudizio  a  quo,  chiedendo  che  le  questioni   siano   dichiarate
inammissibili o, in subordine, non fondate. 
    3.1.- Ad avviso della  Banca  d'Italia,  le  questioni  sarebbero
inammissibili per difetto di rilevanza. 
    In luogo di sospendere immediatamente il giudizio a quo a seguito
dell'insorgenza dei dubbi di illegittimita'  costituzionale,  il  TAR
rimettente  si  e',   infatti,   pronunciato   con   sentenza   sulla
legittimita'  di  entrambi  i  provvedimenti  impugnati,  dichiarando
infondate tutte le censure mosse nei confronti dei medesimi.  In  tal
modo, il rimettente  avrebbe  gia'  fatto  applicazione  della  norma
censurata, consumando il proprio potere decisorio. 
    3.2.- Le questioni  sarebbero  inammissibili  anche  per  erronea
individuazione della norma da sottoporre a scrutinio. 
    Con esse il rimettente avrebbe lamentato le presunte  limitazioni
del sindacato giurisdizionale sui provvedimenti della Banca d'Italia:
ottica nella quale egli avrebbe dovuto  dubitare  della  legittimita'
costituzionale  delle  norme  processuali   che   non   attribuiscono
sufficienti poteri al giudice, e non gia'  della  legittimita'  delle
norme    sostanziali    che    attribuiscono    determinati    poteri
all'amministrazione. 
    3.3.- Nel merito, le questioni risulterebbero, comunque sia,  non
fondate. 
    L'art. 28 Cost. non sarebbe pertinente, non potendo i  commissari
straordinari   essere   qualificati   come    funzionari    pubblici.
Contrariamente a quanto sostenuto dal  rimettente,  a  seguito  della
nomina,  i  commissari  assumerebbero  infatti  il  ruolo  di  organi
straordinari,  non  gia'  della  Banca  d'Italia,  ma   della   banca
sottoposta alla procedura, a carico della quale sono, del  resto,  le
indennita' loro spettanti. 
    Ne' potrebbe trarsi argomento contrario dal fatto  che  la  Banca
d'Italia possa perimetrare i poteri dei commissari in maniera diversa
da quanto ordinariamente  stabilito  dalla  legge  e  impartire  loro
istruzioni: nell'un caso e nell'altro, sarebbero, infatti,  necessari
provvedimenti amministrativi aventi efficacia  esterna,  e  non  gia'
meri atti interni alla sfera organizzativa dell'amministrazione. 
    L'art. 72, comma 4, t.u. bancario  prevede,  d'altro  canto,  che
determinati atti dei commissari siano  sottoposti  ad  autorizzazione
della Banca d'Italia,  evocando  cosi'  un  istituto  che  presuppone
l'alterita' soggettiva tra l'autorita' concedente e il  soggetto  che
viene autorizzato: il che escluderebbe il rapporto di immedesimazione
organica   ventilato   dal   rimettente,   pervenendosi    altrimenti
all'assurdo di una autorita' chiamata ad autorizzare se' stessa. 
    3.4.- Peraltro, anche a voler ritenere che  l'art.  28  Cost.  si
applichi ai commissari straordinari, si  dovrebbe  escludere  che  la
norma censurata determini il denunciato  «vulnus  nel  sistema  della
tutela giurisdizionale». 
    Improprio sarebbe il parallelo  con  le  disposizioni  dichiarate
costituzionalmente illegittime dalle sentenze di questa  Corte  n.  4
del  1965  e  n.  94  del  1963,  le  quali  concernevano   casi   di
autorizzazione amministrativa all'esercizio delle azioni  penali.  Il
parallelo si baserebbe, dunque, su una indebita  assimilazione  della
responsabilita' civile alla responsabilita'  penale,  trascurando  il
fatto che solo per la seconda vale il  principio  di  obbligatorieta'
dell'esercizio dell'azione, ai sensi dell'art. 112 Cost. 
    Lo  stesso  vizio  di  prospettiva  inficerebbe   l'assunto   del
rimettente, secondo cui non basterebbe a riequilibrare il sistema  la
possibilita' di agire, senza  alcun  "filtro",  nei  confronti  della
Banca d'Italia, dato che l'art. 2 Cost. impedirebbe  di  relegare  la
responsabilita' civile ad un ambito meramente patrimoniale, imponendo
il   coinvolgimento   personale   e    diretto    del    danneggiante
nell'accertamento giudiziale del fatto illecito. 
    Il giudice a quo ometterebbe di considerare che, mentre al centro
del sistema  della  responsabilita'  penale  vi  sono  il  reo  e  la
finalita' di rieducazione dello stesso, la funzione essenziale  della
responsabilita'  civile  consiste  nella  riparazione  della  perdita
subita dal danneggiato. Per quest'ultimo  e'  del  tutto  irrilevante
l'origine (dal danneggiante o da un terzo) delle risorse destinate  a
soddisfare  la  sua  pretesa  risarcitoria:  anzi,  egli  e'   meglio
garantito dalla capienza e solvibilita' del patrimonio pubblico. 
    3.5.-  Quanto,  poi,  alla  presunta  deresponsabilizzazione  dei
commissari, la Banca d'Italia osserva come l'ordinanza di rimessione,
dopo aver suggerito il ricorso, al posto dell'autorizzazione, a forme
di copertura assicurativa variamente  congegnate,  ipotizzi,  in  via
alternativa, l'introduzione, come  «deterrente»,  di  un  obbligo  di
esercizio dell'azione di rivalsa da parte della  Banca  d'Italia  nei
confronti dei commissari. 
    Il  rimettente  avrebbe  proposto,  dunque,  una  pluralita'   di
soluzioni  alternative,  nessuna   delle   quali   costituzionalmente
obbligata,  o  agganciabile,  comunque  sia,  a  precisi  "punti   di
riferimento"  rinvenibili  nel  sistema,  prospettando,   cosi',   un
intervento creativo che eccede i poteri di questa Corte. 
    3.6.- Non  condivisibile  sarebbe  l'ulteriore  affermazione  del
giudice a quo, stando  alla  quale  la  Banca  d'Italia  non  sarebbe
vincolata, nell'esercizio del potere autorizzatorio, «ad obiettivi  e
prestabiliti criteri di valutazione». 
    La Banca d'Italia e' tenuta, infatti, ad esercitare i suoi poteri
per  le  finalita'  della  vigilanza  a  volta  a  volta  conferenti,
nell'ambito di quelle indicate  in  via  generale  dall'art.  5  t.u.
bancario.  Con  riguardo  al  potere  in   discussione,   assumerebbe
preminente rilievo l'obiettivo  di  assicurare  la  sana  e  prudente
gestione dei  soggetti  vigilati.  Quest'ultima  potrebbe  risultare,
infatti, compromessa qualora, nel delicato  percorso  di  risanamento
delle imprese sottoposte alla procedura,  i  commissari  straordinari
fossero esposti a iniziative giudiziarie "di disturbo",  a  carattere
pretestuoso  o  denigratorio,  da  parte  di  soggetti  portatori  di
interessi rilevanti estromessi dalla gestione aziendale, o,  comunque
sia, in conflitto con le iniziative intraprese. In  questo  modo,  si
eviterebbe  anche  che   i   professionisti   piu'   capaci   vengano
disincentivati dall'assumere l'incarico. 
    3.7.- Insussistente risulterebbe, ancora, il ventilato  contrasto
della norma censurata con il principio di eguaglianza (art. 3 Cost.),
in quanto latrice di disparita' di  trattamento  rispetto  ad  agenti
pubblici che svolgono compiti non meno elevati di quelli spettanti ai
commissari straordinari. 
    Proprio la disciplina  dell'amministrazione  straordinaria  delle
grandi imprese insolventi, di  cui  al  d.lgs.  n.  270  del  1999  -
richiamata dal rimettente a sostegno del suo assunto - confermerebbe,
anziche' smentirla, la ragionevolezza  delle  scelte  legislative  in
esame. Contrariamente a quanto sostenuto dal  giudice  a  quo,  anche
l'azione di responsabilita' contro i  commissari  straordinari  delle
grandi imprese insolventi e' proponibile solo  previa  autorizzazione
dell'autorita' che vigila sul loro operato, stante il generale rinvio
alla disciplina  della  liquidazione  coatta  amministrativa  operato
dall'art. 36 del d.lgs. n. 270 del 1999, comprensivo anche  dell'art.
199  del  regio  decreto  16  marzo  1942,  n.  267  (Disciplina  del
fallimento, del concordato preventivo  e  della  liquidazione  coatta
amministrativa). Si tratterebbe, peraltro, di un  principio  generale
valevole anche per il curatore del fallimento ai sensi  dell'art.  38
legge fallimentare, che infatti e' direttamente richiamato dal citato
art. 199. 
    Sotto tale profilo,  dunque,  la  scorretta  ricostruzione  e  la
conseguente mancata ponderazione del quadro normativo di  riferimento
da parte del giudice a quo determinerebbero l'inammissibilita'  della
questione. 
    Tutto    cio'    senza    considerare    che    la     disciplina
dell'amministrazione straordinaria delle  grandi  imprese  insolventi
non  sarebbe,  in  ogni  caso,  utilmente  invocabile  come   tertium
comparationis, essendo ispirata a una logica diversa. 
    3.8.- Quanto, poi, alla dedotta violazione dell'art. 24 Cost., il
rimettente avrebbe basato la censura sull'assunto  che  il  sindacato
del giudice amministrativo  sulla  discrezionalita'  tecnica  sarebbe
limitato a un controllo di tipo "estrinseco". 
    Si tratterebbe, peraltro,  di  assunto  superato  dall'evoluzione
della  giurisprudenza  amministrativa,  la  quale  si   e'   mostrata
ripetutamente  propensa  ad   effettuare   un   controllo   di   tipo
"intrinseco" sugli atti delle autorita' amministrative  indipendenti:
prospettiva nella quale il giudice amministrativo potrebbe  sindacare
appieno l'adeguatezza delle valutazioni compiute dalla Banca d'Italia
in ordine al carattere manifestamente  pretestuoso  delle  iniziative
giudiziarie da essa non autorizzate. 
    Cio' costituirebbe anche una ragione  di  inammissibilita'  della
questione.  Il  giudice  a  quo  si   sarebbe,   infatti,   sottratto
all'obbligo di preferire  una  interpretazione  adeguatrice,  sebbene
tale interpretazione  risulti  non  solo  possibile,  ma  addirittura
qualificabile come diritto vivente, strumentalizzando il giudizio  di
legittimita'  costituzionale  per  ottenere   un   improprio   avallo
dell'interpretazione opposta. 
    3.9.-  Le  medesime  considerazioni  dianzi  svolte   varrebbero,
altresi', ad escludere l'ipotizzato contrasto con gli artt. 101, 102,
103, 111 e 113 Cost. e con gli artt. 6 CEDU e 47 CDFUE. 
    3.10.- Quanto, infine, all'asserita  violazione  della  direttiva
2014/59/UE,  il  rimettente  avrebbe  evocato  una  disposizione  non
pertinente. 
    Come risulta  dalla  sedes  materiae,  l'art.  34,  paragrafo  1,
lettera e), della direttiva non  riguarda  affatto  la  procedura  di
amministrazione temporanea - finalizzata a  scongiurare  il  dissesto
degli  enti  creditizi  tramite  misure  di  intervento  precoce,   e
corrispondente, in Italia, all'amministrazione straordinaria -, ma la
procedura di risoluzione, che e' una misura di gestione della  crisi,
il  cui  avvio   presuppone   l'irreversibile   degenerazione   della
situazione aziendale. 
    Con riguardo agli amministratori  temporanei,  corrispondenti  ai
nostri commissari straordinari, la direttiva reca una disposizione di
segno  esattamente  opposto.  L'art.  29,  paragrafo  9,   riconosce,
infatti, espressamente agli Stati membri la facolta' di «limitare  la
responsabilita'  degli  amministratori  temporanei  conformemente  al
diritto nazionale relativamente ad atti  e  omissioni  nell'esercizio
del  loro  mandato  [...]»:  cio',  nella  evidente  prospettiva   di
"alleggerire" la posizione dei professionisti che assumano il gravoso
compito di risanare intermediari "in cattive acque". 
    Andando proprio in  questa  direzione,  il  filtro  autorizzativo
previsto  dall'art.  72,  comma  9,  t.u.  bancario  non   solo   non
contrasterebbe con la direttiva indicata, ma risulterebbe  pienamente
conforme al suo spirito. 
    4.- La Fondazione  Cassa  di  Risparmio  di  Jesi  ha  depositato
memoria, insistendo per l'accoglimento delle questioni. 
    4.1.- In replica alle tesi della Banca  d'Italia,  la  Fondazione
contesta che il rimettente, con la sua pronuncia, abbia  esaurito  il
potere decisorio. 
    La sentenza del TAR Lazio  ha  deciso,  infatti,  sui  motivi  di
ricorso e sui motivi aggiunti intesi a denunciare  la  violazione  di
legge, l'eccesso di potere e l'elusione dell'ordinanza cautelare  del
Consiglio di Stato. Resterebbe, dunque, ancora da decidere sul motivo
volto a  denunciare  l'illegittimita'  costituzionale  dell'art.  72,
comma 9, t.u. bancario, in base al quale  i  provvedimenti  impugnati
sono stati adottati: ed e' in relazione a questo che il rimettente ha
sollevato le questioni. 
    4.2.- Parimente non condivisibile sarebbe l'assunto  della  Banca
d'Italia,  secondo  cui  le  presunte   limitazioni   del   sindacato
giurisdizionale avrebbero dovuto indurre il TAR rimettente a dubitare
della legittimita' costituzionale delle  norme  processuali  che  non
attribuiscono sufficienti poteri al  giudice,  anziche'  delle  norme
sostanziali che attribuiscono determinati poteri all'amministrazione. 
    L'art. 72, comma 9, t.u.  bancario,  prevedendo  l'autorizzazione
della Banca d'Italia per l'esercizio dell'azione civile nei confronti
dei commissari, configura una  condizione  dell'azione,  per  cui  e'
norma processuale, in quanto, solo rimovendo il diniego, il  giudizio
puo' proseguire. 
    4.3.- Riguardo all'altro argomento della Banca d'Italia, per  cui
le garanzie giurisdizionali sarebbero assicurate  dalla  facolta'  di
impugnare  il  diniego   di   autorizzazione   davanti   al   giudice
amministrativo e dalla  possibilita'  di  agire,  comunque  sia,  nei
confronti della stessa Banca d'Italia, varrebbe osservare,  in  senso
contrario, che situazioni come quella di specie  sono  complesse:  le
azioni di responsabilita' coinvolgono una pluralita'  di  soggetti  e
hanno causae petendi il  cui  accertamento  esula  dallo  schema  del
giudizio   amministrativo   proponibile   avverso   il   decreto   di
autorizzazione. 
    D'altronde, proprio il fatto che la Banca d'Italia  possa  essere
chiamata a rispondere dell'operato dei commissari porrebbe la  stessa
in manifesto conflitto di interessi, facendo si'  che  essa  divenga,
con il diniego di autorizzazione, «giudice di se' stessa». 
    4.4.- La norma censurata comprometterebbe, pertanto, i  parametri
evocati dal giudice a quo, a cominciare dal principio di  eguaglianza
(art. 3 Cost.) e dal diritto di difesa (art. 24 Cost.),  riguardo  al
quale  la  giurisprudenza  costituzionale   ha   chiarito   come   la
determinazione di modalita' e oneri dell'azione giudiziaria non debba
rendere,  comunque  sia,  difficile  o  impossibile  l'esercizio  del
diritto. 
    5.- Anche la Banca d'Italia ha depositato  memoria,  ribadendo  e
sviluppando le difese gia' svolte e insistendo nelle conclusioni gia'
formulate. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Il Tribunale amministrativo regionale  per  il  Lazio  dubita
della legittimita' costituzionale dell'art. 72, comma 9, del  decreto
legislativo 1° settembre 1993, n. 385 (Testo  unico  delle  leggi  in
materia bancaria e creditizia),  nella  parte  in  cui  subordina  la
proposizione  delle  azioni  civili  nei  confronti  dei   commissari
straordinari delle banche  alla  previa  autorizzazione  della  Banca
d'Italia. 
    Ad avviso del giudice a quo, la norma censurata violerebbe l'art.
28 della Costituzione, che prevede  la  responsabilita'  diretta  dei
funzionari e dei dipendenti dello Stato e degli enti pubblici per gli
atti compiuti in  violazione  dei  diritti,  consentendo  alla  Banca
d'Italia     di     sottrarre     discrezionalmente     all'autorita'
giurisdizionale, mediante il diniego dell'autorizzazione, il giudizio
sulla responsabilita' dei  commissari  straordinari  da  essa  stessa
nominati. 
    Risulterebbero violati anche gli artt. 47 e 97 Cost.,  in  quanto
la "schermatura" dal  sindacato  giurisdizionale,  prefigurata  dalla
norma     denunciata,      determinerebbe      una      irragionevole
deresponsabilizzazione dei commissari  straordinari,  nella  delicata
materia della tutela del risparmio,  e  un  sensibile  affievolimento
delle garanzie  a  cui  presidio  sono  posti  i  principi  di  buona
amministrazione e di imparzialita'. 
    La norma denunciata si porrebbe in contrasto anche con  l'art.  3
Cost., introducendo una eccezione al principio di responsabilita' per
gli atti compiuti in  violazione  dei  diritti  non  giustificata  da
ragioni soggettive e oggettive, e tale da determinare una  disparita'
di trattamento rispetto ad altri agenti pubblici che svolgono compiti
non meno elevati di quelli dei commissari straordinari delle banche. 
    Il meccanismo autorizzativo violerebbe, ancora, l'art. 24  Cost.,
determinando una menomazione del diritto  di  accesso  a  un  giudice
terzo e imparziale, ad escludere la quale non sarebbe sufficiente  la
possibilita' di impugnare il diniego dell'autorizzazione  davanti  al
giudice amministrativo, stanti i limiti del sindacato di tale giudice
sui provvedimenti espressivi di discrezionalita' tecnica;  gli  artt.
101, 102, 103 e 113  Cost.,  in  quanto  consentirebbe  una  indebita
interferenza    dell'autorita'     amministrativa     nella     sfera
giurisdizionale, alla  quale  soltanto  apparterrebbe  l'accertamento
delle responsabilita'  civili  e  la  connessa  tutela  risarcitoria;
l'art. 111  Cost.,  per  compromissione  della  garanzia  del  giusto
processo, inscindibilmente connessa alla pienezza e  all'effettivita'
della tutela giurisdizionale; nonche' l'art. 117, primo comma, Cost.,
in relazione all'art. 6 della Convenzione  per  la  salvaguardia  dei
diritti dell'uomo e delle liberta'  fondamentali  (CEDU),  firmata  a
Roma il 4 novembre 1950, ratificata e  resa  esecutiva  con  legge  4
agosto 1955, n. 848, il quale - secondo l'interpretazione della Corte
europea dei diritti dell'uomo - garantisce il diritto di accesso a un
tribunale, escludendo  che  possano  ammettersi  restrizioni  che  ne
compromettano il contenuto essenziale. 
    Il rimettente denuncia, infine, la violazione degli  artt.  11  e
117, primo comma, Cost., in relazione sia all'art. 34,  paragrafo  1,
lettera e), della direttiva (UE) 2014/59 del Parlamento europeo e del
Consiglio,  del  15  maggio  2014,  che  istituisce  un   quadro   di
risanamento e risoluzione degli enti creditizi  e  delle  imprese  di
investimento e che modifica la direttiva 82/891/CEE del Consiglio,  e
le  direttive   2001/24/CE,   2002/47/CE,   2004/25/CE,   2005/56/CE,
2007/36/CE, 2011/35/UE, 2012/30/UE e 2013/36/UE e i regolamenti  (UE)
n. 1093/2010 e  (UE)  n.  648/2012,  del  Parlamento  europeo  e  del
Consiglio, il quale, nell'ambito della disciplina  della  risoluzione
degli enti creditizi, stabilisce il principio  della  responsabilita'
delle  persone  fisiche,  oltre  che  giuridiche,  per  il   dissesto
dell'ente; sia all'art.  47  della  Carta  dei  diritti  fondamentali
dell'Unione europea (CDFUE), proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000  e
adattata a Strasburgo il 12 dicembre 2007, che prevede il  diritto  a
un ricorso effettivo dinanzi a un giudice. 
    2.- In via preliminare, va rilevato che non costituisce,  di  per
se', motivo di inammissibilita' il  fatto  che  il  TAR  Lazio  abbia
sollevato  le  questioni  con  atto  qualificato  come  sentenza,   e
segnatamente come sentenza parziale. 
    Per costante giurisprudenza di questa Corte, la  circostanza  che
le questioni siano state sollevate con sentenza - e, in  particolare,
con sentenza parziale (o non definitiva) -  anziche'  con  ordinanza,
non influisce sulla rituale instaurazione del  giudizio,  qualora  il
giudice a quo, indipendentemente dal nomen iuris,  dopo  la  positiva
valutazione concernente la rilevanza e la non manifesta  infondatezza
delle  questioni  stesse,   abbia   disposto   la   sospensione   del
procedimento e la trasmissione del fascicolo, in conformita' a quanto
previsto dall'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87  (Norme  sulla
costituzione e sul  funzionamento  della  Corte  costituzionale)  (ex
plurimis, sentenze n. 179 del 2019, n. 126 e n. 116 del 2018, n.  275
del 2013 e n. 94 del 2009). 
    In simili casi, vengono adottati dal giudice a quo, in uno stesso
contesto formale (cioe' in un unico atto), due distinti provvedimenti
(una  sentenza  non  definitiva  e  un'ordinanza  di  rimessione,  in
relazione ai motivi di ricorso non decisi): il che non  incide  sulla
autonomia  di  ciascuno  e  sulla  idoneita'  di  quello  costituente
ordinanza ad instaurare il giudizio di legittimita' costituzionale in
via incidentale (sentenza n. 86 del 2017; analogamente,  sentenza  n.
208 del 2019). 
    Tutto cio'  vale,  peraltro,  alla  condizione  che,  tramite  la
suddetta sentenza parziale, il procedimento principale non sia stato,
in realta', gia' integralmente definito (sentenze n. 86 del 2017 e n.
94 del 2009), con conseguente esaurimento  della  potestas  iudicandi
del giudice rimettente: situazione, questa, che risulterebbe ostativa
alla  proposizione  dell'incidente  di  legittimita'   costituzionale
(sentenze n. 315 e n. 166 del 1992). 
    3.- Proprio su tale rilievo si fonda la prima delle eccezioni  di
inammissibilita'  formulate  dalla  Banca  d'Italia,  costituita   in
giudizio. 
    Al riguardo, e' necessario ripercorrere, in sintesi,  la  vicenda
oggetto del giudizio principale, minuziosamente  descritta  nell'atto
di rimessione. 
    Con provvedimento del 6 marzo 2018, la Banca d'Italia  ha  negato
alla Fondazione Cassa di Risparmio di Jesi l'autorizzazione, da  essa
richiesta, ad agire in giudizio nei confronti di coloro  che  avevano
ricoperto l'incarico di commissari  straordinari  della  Banca  delle
Marche spa. 
    La Fondazione ha impugnato il provvedimento davanti al TAR Lazio,
odierno rimettente, deducendo, da un  lato,  vizi  di  violazione  di
legge  ed  eccesso  di  potere  in   relazione   a   diverse   figure
sintomatiche; dall'altro lato, l'illegittimita' costituzionale  della
norma (l'art. 72, comma 9, t.u. bancario, appunto) sulla cui base  il
provvedimento  e'  stato  adottato,  con  conseguente  illegittimita'
"derivata" di quest'ultimo. 
    La ricorrente ha proposto anche istanza cautelare.  Respinta  dal
TAR, essa e' stata accolta,  a  seguito  di  appello  cautelare,  dal
Consiglio di Stato, il quale, con ordinanza del 1°  agosto  2018,  ha
ordinato alla Banca d'Italia un «pronto riesame [...] dell'istanza di
autorizzazione». 
    Con provvedimento del 13  agosto  2018,  la  Banca  d'Italia  ha,
peraltro, confermato il diniego di autorizzazione. 
    La Fondazione ha impugnato anche tale secondo diniego con  motivi
aggiunti, deducendo, da un lato,  novamente  vizi  di  violazione  di
legge (in specie, dello stesso art. 72, comma 9,  t.u.  bancario)  ed
eccesso di potere; dall'altro, l'«elusione  dell'ordinanza  cautelare
del Consiglio di Stato in violazione degli artt. 24 e 97 Cost.». 
    A fronte di tale thema decidendum, il TAR  Lazio  ha  emesso  una
sentenza qualificata come parziale, mediante la quale  ha  rigettato,
sulla scorta di diffusa motivazione, sia i motivi di ricorso intesi a
censurare i  provvedimenti  impugnati  per  violazione  di  legge  ed
eccesso di potere, sia il motivo aggiunto proposto nei confronti  del
secondo provvedimento, inteso a denunciare l'elusione  dell'ordinanza
cautelare  del  Consiglio  di  Stato.  Rilevato,  tuttavia,  come  la
Fondazione avesse contestato  anche  la  legittimita'  costituzionale
della  norma  che  conferisce   alla   Banca   d'Italia   il   potere
autorizzativo, il giudice a quo ha in relazione a cio' sollevato, con
la stessa sentenza, le questioni oggi in esame. 
    4.- La Banca d'Italia ha eccepito che,  pronunciandosi  in  senso
positivo con sentenza sulla legittimita' di entrambi i  provvedimenti
impugnati,  il  TAR  avrebbe  gia'  fatto  applicazione  della  norma
censurata,   consumando   il   proprio   potere   decisorio:    donde
l'inammissibilita' delle questioni per difetto di rilevanza. 
    Le questioni sono, in  effetti,  inammissibili:  ma  per  ragioni
parzialmente diverse e piu' articolate di  quelle  prospettate  dalla
parte costituita. 
    In proposito, occorre considerare che, davanti al TAR rimettente,
sono stati impugnati, in  successione,  due  distinti  provvedimenti,
aventi il medesimo oggetto. 
    Avverso il primo provvedimento, del 6 marzo 2018,  la  Fondazione
ricorrente ha dedotto motivi volti  a  contestare,  sia  il  "cattivo
esercizio" del potere di autorizzazione da parte della Banca d'Italia
(violazione di legge, eccesso di potere); sia l'esistenza stessa  del
potere, in conseguenza  dell'asserita  illegittimita'  costituzionale
della norma  che  lo  conferisce.  Qualora  nel  giudizio  a  quo  si
discutesse esclusivamente  di  tale  provvedimento,  sarebbe  agevole
osservare  che  -  sebbene  il  secondo  profilo  di  censura   debba
ritenersi, a rigore, logicamente pregiudiziale rispetto al primo - la
circostanza che il rimettente abbia negato, con sentenza, il "cattivo
esercizio" del potere non escluderebbe che gli resti,  comunque  sia,
da decidere sul motivo relativo all'esistenza del potere: prospettiva
nella quale la potestas iudicandi del giudice a quo -  contrariamente
a quanto sostenuto dalla Banca d'Italia - non risulterebbe esaurita. 
    Sta di fatto, pero', che, di seguito all'ordinanza cautelare  del
Consiglio di Stato, sul primo provvedimento della Banca  d'Italia  di
diniego dell'autorizzazione e' sopraggiunto un secondo provvedimento:
quello del 13 agosto 2018, di conferma del diniego, che la Fondazione
ha impugnato con motivi aggiunti, i quali ricalcano solo in  parte  i
motivi  originari.  Secondo  quanto   si   riferisce   nell'atto   di
rimessione, e' stata riproposta, bensi', la censura di violazione  di
legge  ed  eccesso  di  potere,  ma  non  quella  di   illegittimita'
costituzionale della norma attributiva del potere. In luogo di  essa,
la Fondazione ha lamentato l'«elusione dell'ordinanza  cautelare  del
Consiglio di Stato in violazione degli  artt.  24  e  97  Cost.».  Il
contrasto con tali  parametri  costituzionali  (che  sono  una  parte
soltanto di quelli evocati con i motivi originari, a  sostegno  della
dedotta illegittimita' costituzionale dell'art.  72,  comma  9,  t.u.
bancario) risulta dunque addebitata, non piu' alla norma di legge ora
citata, ma direttamente al nuovo provvedimento della Banca  d'Italia,
in quanto asseritamente elusivo del dictum del Consiglio di Stato. 
    Rispetto al secondo e nuovo provvedimento di diniego,  manca,  in
conclusione - alla luce  di  quanto  dedotto  dal  rimettente  -,  un
autonomo motivo  volto  a  denunciare  un  vizio  di  "illegittimita'
derivata", scaturente dalla contrarieta' a Costituzione  della  norma
di cui il provvedimento stesso ha fatto applicazione. 
    5.-  Cio'  posto,  per  costante  giurisprudenza   amministrativa
occorre distinguere l'atto amministrativo meramente confermativo, con
cui la pubblica amministrazione si limita semplicemente a ribadire la
volonta'  espressa  in  un  precedente  provvedimento,  e  l'atto  di
conferma in senso proprio,  con  il  quale  invece  l'amministrazione
riesamina la precedente decisione,  mediante  una  nuova  valutazione
degli elementi o l'acquisizione di nuovi (ex plurimis,  Consiglio  di
Stato, sezione seconda, 12 giugno 2020, n. 3746; Consiglio di  Stato,
sezione quarta, 29 agosto 2019, n. 5977). 
    La rilevanza della distinzione  sta  in  cio',  che  diversamente
dall'atto meramente confermativo (non impugnabile  perche'  privo  di
autonomo contenuto lesivo), l'atto di conferma va a sostituire l'atto
confermato,  rendendo  improcedibile  per  difetto  di  interesse  il
ricorso originariamente proposto contro quest'ultimo: l'interesse del
ricorrente si  sposta,  infatti,  dall'annullamento  del  primo  atto
all'annullamento del secondo, che lo ha sostituito (e che,  pertanto,
il ricorrente ha  l'onere  di  impugnare,  eventualmente  con  motivi
aggiunti) (Consiglio di Stato, sezione seconda, sentenza n. 3746  del
2020). 
    Di questi principi  la  giurisprudenza  amministrativa  ha  fatto
ripetuta applicazione anche con riguardo al caso -  verificatosi  nel
giudizio a quo - in cui il  provvedimento  confermativo  consegua  al
cosiddetto  "accoglimento  della  domanda  cautelare  ai   fini   del
riesame": vale a dire in relazione alla diffusa prassi processuale in
base alla quale il giudice amministrativo, in sede cautelare,  ordina
all'amministrazione di riesaminare la situazione alla luce dei motivi
del ricorso (e' quanto il Consiglio di Stato ha  chiesto  alla  Banca
d'Italia nell'ipotesi di specie). Tale tecnica di tutela cautelare si
caratterizza, in effetti, proprio per il fatto di rimettere in  gioco
l'assetto degli interessi definito con l'atto impugnato,  restituendo
alla pubblica amministrazione l'intero potere  decisionale  iniziale,
senza pregiudicarne il risultato finale (ex plurimis,  TAR  Calabria,
sezione seconda, 18 febbraio  2020,  n.  301;  TAR  Sicilia,  sezione
terza, 21 novembre 2016, n. 3004; TAR Lazio, sezione  seconda-quater,
27 luglio 2015, n. 10245). 
    6.- Secondo i principi  ora  ricordati,  nel  caso  in  esame  si
dovrebbe concludere che, ove il  secondo  provvedimento  della  Banca
d'Italia  costituisse  un  atto  di   conferma   in   senso   proprio
(sostitutivo, dunque, del provvedimento originario), i soli motivi di
ricorso di cui  il  TAR  rimettente  doveva  occuparsi  erano  quelli
formulati in confronto a tale provvedimento, ossia i motivi aggiunti. 
    Tali motivi - che,  come  osservato,  non  risultano  comprensivi
della denuncia di illegittimita' costituzionale dell'art.  72,  comma
9, t.u. bancario - sono gia' stati dichiarati, peraltro, entrambi non
fondati con sentenza: il che implicherebbe l'esaurimento  del  potere
decisorio del rimettente, il quale, non avendo piu' alcunche' su  cui
pronunciare,  non  potrebbe  sollevare  ormai  le  questioni  neppure
d'ufficio. 
    7.- Con la complessa tematica ora posta in evidenza il rimettente
non si e', tuttavia, affatto confrontato. Egli non  ha  spiegato,  in
particolare,   perche',   alla   luce   dei   consolidati   indirizzi
giurisprudenziali cui dianzi si e' fatto cenno,  dovrebbe  continuare
ad  occuparsi  -  anche  dopo  la  pronuncia  di  merito   emessa   -
dell'originario  secondo  motivo   di   ricorso   contro   il   primo
provvedimento di diniego (l'unico inteso a far  valere  un  vizio  di
"illegittimita' derivata"). 
    L'analisi  di  tale  aspetto  risultava,  peraltro,  tanto   piu'
necessaria a  fronte  del  fatto  che,  dalle  indicazioni  contenute
nell'atto di rimessione, il secondo provvedimento  di  diniego  della
Banca d'Italia sembra, in effetti, costituire un atto di conferma  in
senso proprio, frutto di una nuova e  distinta  determinazione  della
Banca d'Italia, sostitutiva, quindi, della precedente. Nel  rigettare
la censura di elusione  dell'ordinanza  cautelare  del  Consiglio  di
Stato, il TAR rimettente afferma,  infatti,  specificamente  che,  in
esecuzione di quanto disposto da tale ordinanza, con il provvedimento
in questione la Banca d'Italia si e' «rideterminata», rispondendo  ai
rilievi formulati dalla Fondazione e prendendo in esame le fonti e le
relazioni da essa citate a sostegno delle proprie doglianze, per  poi
addivenire alle medesime conclusioni precedentemente raggiunte. 
    8.- La descritta lacuna si traduce, quindi, in una  insufficiente
motivazione in punto  di  rilevanza:  il  che,  secondo  il  costante
orientamento  di  questa  Corte,  rende  inammissibili  le  questioni
sollevate (ex plurimis, sentenze n. 61 e n. 48 del 2021, n.  266  del
2019). 
    Le altre  eccezioni  di  inammissibilita'  della  Banca  d'Italia
restano assorbite.