LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE 
                        Prima sezione penale 
 
    Composta da: 
      Monica Boni - Presidente; 
      Gaetano Di Giuro; 
      Raffaello Magi; 
      Antonio Cairo - Relatore; 
      Carlo Renoldi; 
    ha pronunciato la seguente 
 
                              ordinanza 
 
    sul ricorso proposto da: B. M. nato a..., avverso la sentenza del
4 luglio 2019 della Corte Militare Appello di Roma; 
    Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; 
    udita la relazione svolta dai Consigliere Antonio Cairo; 
    udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
F. Ufilugelli, che ha concluso chiedendo. 
    Il Procuratore Generale Militare conclude  con  la  richiesta  di
manifesta   infondatezza   per   la   questione    di    legittimita'
costituzionale e il rigetto del ricorso. 
    Udito il difensore -  l'avvocato  Coppi  Franco  Carlo  difensore
fiducia di  B.  M.  insiste  nei  motivi  del  ricorso  e  ne  chiede
l'accoglimento. 
    L'avvocato Strampelli Massimiliano difensore  fiducia  di  B.  M.
insiste nei motivi del ricorso e ne chiede l'accoglimento. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
  1. La Corte militare  d'appello,  con  sentenza  in  data  ...,  in
parziale riforma della sentenza  emessa  dal  Tribunale  militare  di
Napoli dichiarava M. B. colpevole del reato di  sabotaggio  di  opere
militari aggravato e continuato (articoli  167,  comma  1,  47  n.  2
c.p.m.p., con riferimento alle condotte di cui ai numeri  da  1  a  3
della rubrica) e, concessegli  le  circostanze  attenuanti  generiche
prevalenti sulla contestata aggravante, lo condannava  alla  pena  di
anni sei e mesi due di reclusione, oltre alla degradazione  con  ogni
conseguenza di legge. Confermava l'assoluzione dai reati ascritti  ai
capi 4 e 5 per non aver commesso il fatto. 
    Al ricorrente, era stato addebitato di avere reso inservibili tre
locali  militari  -  un  deposito  per   velivoli,   un   laboratorio
elettroavionico e un'officina meccanica, fatti commessi il ... 
    Egli aveva fatto  piu'  volte  accesso  (cinque  volte)  e  aveva
avvicinato un barattolo, dal  contenuto  non  conosciuto,  al  filtro
rilevatore di fibre di amianto. 
    All'esito degli accertamenti condotti dal  personale  dell'A.S.L.
nella stessa data  del...  nei  tre  locali  il  livello  di  amianto
disperso era risultato  superiore  ai  limiti  e  il  comandante  del
reparto  era  stato  costretto  a  interdirne   l'accesso,   tra   il
successivo. 
    Era  seguita  l'imputazione  di  sabotaggio  di  opere   militari
aggravato e continuato ex art. 167, comma 1, c.p.m.p., 81,  comma  1,
del codice penale, 47 n. 2  c.p.m.p.,  fatto  da  cui  B.  era  stato
assolto per non aver commesso il  fatto  dal  Tribunale  militare  di
Napoli in quanto l'unico  episodio,  in  cui  il  filmato  consentiva
d'individuare  l'imputato,  era  quello  avvenuto  nel  deposito   di
elicotteri. 
    Al contrario, con riferimento agli  altri  episodi  nell'officina
meccanica  e  nel  laboratorio  elettroavionico,  le   immagini   non
consentivano il riconoscimento dell'imputato, ne' cosa  avesse  fatto
in quei locali. 
    Anche con riguardo all'episodio avvenuto alle ore ... del ...,  i
primi giudici  ritenevano  non  provato  il  nesso  di  causalita'  e
addivenivano ad assoluzione. 
    Il Giudice di  secondo  grado  ripercorreva  l'iter  processuale,
indicando  come  il  Tribunale  militare  di  Napoli  avesse  assolto
l'imputato  dalle  contestazioni  mosse  con  la   formula   indicata
esplicitando che, oltre alla documentazione allegata  dalle  parti  e
all'esame dei testi di lista, erano state disposte  due  perizie,  di
cui una avente  carattere  antropometrico  -  per  verificare  se  le
immagini  registrate   corrispondessero   effettivamente   a   quelle
dell'imputato - e l'altra sulla possibilita'  e  sulla  modalita'  di
diffusione della  polvere  di  amianto  nell'hangar  di  Capodichino,
struttura teatro dei  fatti.  (All'esito  del  dibattimento,  si  era
annotato che il Tribunale era giunto ad assoluzione dell'imputato). 
    Il perito assumeva che la diffusione della fibra d'amianto  nella
sala interessata era  dipesa  dall'avvicinamento  di  essa  fibra  al
sensore dell'impianto di rilevazione,  cosi'  assumendo  che  non  si
potesse ipotizzare una contaminazione legata ai  lavori  programmati,
ne' accidentale. Valori normali di  amianto  erano  stati  registrati
nell'area in cui si svolgevano  lavori  ordinari,  ma  non  anche  in
quella in cui si eseguivano lavorazioni  straordinarie.  Escludevano,
quindi, i giudici di primo  grado  che  si  trattasse  di  diffusione
legata alle lavorazioni o al contatto con  una  tuta  inquinata,  che
aveva inciso sulla rilevazione dei sensori, come indicato  in  chiave
difensiva, (ed) eventualita' che avrebbe richiesto passaggi  ripetuti
nel tempo, non registrati dall'impianto di videosorveglianza. Invero,
nessuna delle immagini aveva documentato un avvicinamento  prolungato
nel tempo di una tuta anzidetto sensore. 
    La comparazione dell'esito della perizia  e  delle  dichiarazioni
testimoniali inducevano, pertanto e  come  anticipato,  il  Tribunale
all'assoluzione da tutte le condotte ascritte. 
    Impugnava la decisione il Pubblico Ministero e la Corte  militare
d'appello,  in  riforma   della   decisione   anzidetta,   condannava
l'imputato per le condotte di cui  ai  nn.  1,  2  e  3,  confermando
l'assoluzione per le contestazioni residue. 
    Spiegava,  innanzitutto,  il  giudice  a  quo  la  ragione  della
rinnovazione   d'ufficio   dell'istruttoria    dibattimentale,    (La
rinnovazione era stata) ritenuta assolutamente  indispensabile  anche
in difetto di una richiesta dell'impugnante ex art. 606, comma 3, del
codice di procedura penale. 
    Corretta era, poi,  stimata  la  qualificazione  del  fatto  come
sabotaggio che era stato realizzato, rendendo  inservibili  i  locali
per l'alterazione dei valori di amianto rilevati,  azione  che  aveva
indotto la chiusura degli stessi. 
    In ordine alla valutazione del nucleo centrale della prova si era
ritenuto che la condotta si  fosse  concretizzata  nell'avvicinamento
intenzionale al sensore dell'area dell'hangar di  oggetti  contenenti
fibre di amianto (essenzialmente un barattolo). Le fibre erano  state
rilevate  non  in  maniera  omogenea,  cosa  che  si  Sarebbe  dovuta
riscontrare, la' dove la diffusione non fosse stata indotta da azione
specifica. 
    Il perito aveva evidenziato  la  congruita'  dell'azione  ripresa
dalle telecamere con  la  condotta  contestata  di  diffusione  delle
fibre, escludendo che  potesse  essersi  trattato  dell'avvicinamento
(accidentale in lavorazione) al sensore di una tuta contaminata. 
    Quanto alla attribuibilita' della condotta all'imputato erano  di
valenza significativa gli accertamenti svolti da C., maresciallo  dei
carabinieri incaricato delle verifiche antropometriche. 
    Il perito era giunto a individuare nell'imputato il soggetto  che
aveva fatto accesso al sito per la compatibilita' con le  foto  9-14,
che documentavano la descrizione dei fatti ascritti nel primo capo ai
numeri 1, 2 e 3. Non  era  stata  raggiunta  certezza  per  le  altre
condotte. 
    Per altro verso, L. P.,  in  servizio  di  vigilanza  ai  monitor
dell'impianto di videosorveglianza  attivo  nei  locali  oggetto  del
rilevato inquinamento, aveva percepito la  presenza  di  un  soggetto
dalla condotta ritenuta anomala ed aveva azionato In diretta lo  zoom
della telecamera, seguendo dalla cabina del corpo di guardia l'azione
posta in essere. 
    Erano,  a  giudizio  della   Corte   militare   d'appello,   poi,
significative le deposizioni del teste F. e dello stesso La  P.,  che
avevano riconosciuto l'imputato nelle immagini video  riprese,  anche
in ragione delle movenze del militare. 
    A differenza di quanto ritenuto dai primi  giudici  il  rinnovato
quadro probatorio aveva  evidenziato  come  l'imputato  fosse  autore
delle tre condotte ascritte e non della sola azione documentata  alle
ore 13,17. Si riteneva, poi,  che  non  vi  fosse  dubbio  sul  nesso
causale  e  che  nessuna  ragione,  legata  alle   mansioni   svolte,
giustificasse quel gesto: egli aveva sfregato un oggetto  non  meglio
specificato contro il sensore e io aveva  inserito  in  un  barattolo
poco prima recuperato. 
    Il  reato,  poi,  a  dolo  specifico,  era  ritenuto   pienamente
integrato ricorrendo la rappresentazione e  la  volizione  del  fatto
tipico. 
  2. Ricorre per cassazione M. B. - con il ministero dei difensori di
fiducia avvocati Franco Coppi e (avvocato) Massimiliano Strampelli  -
e deduce quanto segue. 
    2.1. Con il primo motivo  lamenta  la  violazione  dell'art.  167
c.p.m.p. (sviluppando il vizio di violazione di legge  e)  osservando
che il delitto di sabotaggio deve concretizzarsi in una condotta  che
realizza un danno fisico. E' il danneggiamento materiale della  cosa,
pertanto, nucleo centrale che  fornisce  la  chiave  ermeneutica  per
ipotizzare l'inservibilita' dell'opera militare. 
    Nella specie nessun danneggiamento dell'hangar si configura nelle
condotte di cui alle imputazioni numeri 1,  2,  e  3  e  al  piu'  si
sarebbe potuta configurare la condotta di cui all'art. 535,  comma  2
n. 3 del  codice  penale.  L'hangar  del  resto,  si  osserva,  aveva
continuato a svolgere la sua funzione come area per il ricovero degli
elicotteri,  sia  pur  essendo  stato  assunto  un  provvedimento  di
sospensione   da   parte   dell'amministrazione   per   ragioni    di
opportunita'. Si insiste, dunque,  nella  richiesta  di  annullamento
senza rinvio della decisione impugnata ex art. 506, comma 1,  lettera
i) del codice di procedura penale perche' il fatto non sussiste. 
    2.2, Con il secondo motivo di ricorso si  lamenta  la  violazione
dell'art. 40 del codice penale in relazione all'art. 41, comma 3, del
codice penale, per  la  dedotta  sussistenza  di  cause  sopravvenute
idonee eziologicamente a produrre l'evento. 
    Si e', in particolare,  prefigurata  un'alterazione  del  sensore
dell'hangar indotta dall'avvicinamento di oggetti contenti  fibre  di
amianto. 
    Mentre il Tribunale era pervenuto  ad  assoluzione  dell'imputato
per le condotte ascritte, la Corte d'appello e' giunta a  conclusione
diversa,  condannandolo  e  ritenendo  sussistente  il  rapporto   di
causalita' tra le condotte di cui all'art. 167 c.p.m.p. comprese  tra
i numeri 1-3 e il risultato di inservibilita' dell'hangar. 
    La Corte di merito non ha, tuttavia, valutato le cause cumulative
di cui ai capi 4 e 5, per le quali e' giunta ad assoluzione. 
    Non  vi  e'  stata  nessuna  valutazione  sulla  cd,  concorrenza
alternativa o doppia causalita' per  non  essere  stata  valutata  la
condotta di terzi,  che  aveva  alterato  e  inquinato  gli  ambienti
dell'hangar relativamente al laboratorio elettroavionico. 
    Eliminando la condotta dell'imputato, l'evento del sabotaggio  si
sarebbe comunque verificato, trattandosi di inservibilita' dell'opera
ex  art.  167  c.p.m.p.  attribuibile  a   terzi,   diversi   da   B.
L'applicazione dell'art. 41, comma 2 del codice  penale  sulle  cause
sopravvenute confermava la conclusione indicata. 
    Per il difetto del nesso causale si  e',  dunque,  richiesta  una
sentenza assolutoria con formula del non aver commesso il fatto. 
    2.3. Con il terzo motivo si 'lamenta la violazione di  legge  per
mancata sussunzione del fatto nella fattispecie di cui agli  articoli
56, 234 c.p.m.p, con erronea applicazione  dell'art.  42  del  codice
penale, in ordine all'elemento soggettivo. 
    Ha errato la sentenza nel ritenere il profitto  un  mero  movente
dell'azione la' dove esso ne era il fine ultimo; pertanto, si sarebbe
dovuto qualificare il reato nella forma del tentativo  piuttosto  che
nella forma consumata. Non si sarebbe potuto configurare il fatto  in
difetto dell'erogazione di benefici economici. 
    La riqualificazione  determinava  l'annullamento  con  rinvio  ai
sensi dell'art. 623, lettera c) del codice di procedura penale. 
    2.4. Con il Quarto motivo si deduce il vizio  di  motivazione  in
ordine  alle  dichiarazioni  del  perito  I.  e  della  dott.ssa   V.
consulente di parte. 
    La sentenza sconta una contraddizione con  quanto  affermato  dal
perito  I,  che  aveva  postulato  anche  la  possibilita'   che   la
contaminazione derivasse da contatto con  una  tuta  inquinata.  Quel
giorno del resto erano diversi i soggetti presenti nell'hangar ed era
possibile il loro passaggio  ripetuto  nei  pressi  dei  sensori.  La
sentenza va, dunque, annullata con rinvio ex art. 620, lettera l  del
codice di procedura penale. 
    2.5. Con il quinto motivo si lamenta il vizio di  motivazione  in
ordine  alla  perizia  antropometrica  e  a  quanto   accertato   dal
maresciallo  C.,  oltre  che  alle  dichiarazioni  rese  in  sede  di
rinnovazione istruttoria. 
    La  questione  riguarda   l'identificazione   nell'imputato   del
soggetto ripreso dalle immagini secondo le dichiarazioni dei testi F.
e L. P. Il perito C. e' giunto alla conclusione di non poter, a parte
le immagini contraddistinte dai numeri da  9  a  14,  procedere  alla
identificazione dell'imputato con il volto del soggetto ritratto  dai
filmati disponibili. 
    La Corte territoriale ha, tuttavia, in funzione  della  condanna,
valorizzato le  dichiarazioni  di  F.  e  L.  P.,  anche  ritenendole
prevalenti su quanto affermato dal perito  antropometrico.  Il  tutto
senza procedere a una motivazione rafforzata. 
    F., del resto, aveva ipotizzato  un  interesse  al  pensionamento
anticipato da parte dell'imputato e L. P. era soggetto  inferiore  in
grado e in chiara sudditanza psicologica rispetto al primo teste. 
    2.6. Con il sesto motivo si lamenta la violazione dell'art.  606,
comma 1, lettera c) del codice di procedura penale per nullita' della
decisione della Corte d'appello che aveva  disposto  la  rinnovazione
istruttoria, in difetto della condizione di  assoluta  necessita'  ex
art. 606, comma 3, del codice di procedura penale. 
    La rinnovazione va oltre le premesse giurisprudenziali che  hanno
ispirato l'intervento riformatore. 
    Posto il principio di presunzione di completezza dell'istruttoria
dibattimentale, la rinnovazione si sarebbe potuta  disporre  solo  in
caso di assoluta necessita' a fronte di prove decisive e non di  mera
utilita'. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    I motivi di ricorso, attinenti al  giudizio  di  responsabilita',
non appaiono risolutivi con la conseguenza che la relativa  reiezione
determina la  rilevanza  della  questione  di  costituzionalita'  sul
trattamento sanzionatorio. 
    Essa, pur  riguardando  l'entita'  della  pena,  a  giudizio  del
collegio, per quanto si passa  a  esporre,  rileva,  per  un  aspetto
diverso e  nella  parte  in  cui  l'art.  167  c.p.m.p.  non  prevede
un'ipotesi attenuata. Cio' per le condotte di  particolare  tenuita',
comminando un trattamento, comunque, non inferiore ad  anni  otto  di
reclusione militare, diversamente da quanto accade per l'art. 253 del
codice penale. 
    Il tema di costituzionalita' appare, pertanto,  rilevante  e  non
manifestamente infondato, di guisa che  va  sollevata  d'ufficio,  in
parte qua, la relativa questione. 
  1. Deve premettersi che l'art. 167 c.p.m.p. punisce le condotte del
militare che, fuori dai casi preveduti  dagli  articoli  105  a  108,
distrugge,  rende  inservibili,  in   tutto   o   in   parte,   anche
temporaneamente, navi, aeromobili,  convogli,  strade,  stabilimenti,
depositi o altre opere militari o adibite  al  servizio  delle  Forze
armate dello Stato, con conseguente punizione con la  reclusione  non
inferiore a otto anni. 
    La tipicita' del fatto di distruzione o di  sabotaggio  di  opere
militari,  prevista  dall'art.  167   c.p.m.p.   e'   sostanzialmente
sovrapponibile al paradigma «comune» di cui all'art. 253  del  codice
penale,  con  la  particolarita'  che  l'art.  167  c.p.m.p.  ha  una
categoria  di  possibili  soggetti  attivi  piu'  ristretta  rispetto
all'art. 253 del codice penale  e  che  prevede  al  terzo  comma  la
punibilita' anche per colpa. 
    Il   legislatore   ha   proposto   la    disposizione,    creando
specificamente un delitto commesso dal militare e, dunque, un  «reato
speciale, per categoria», parallelo; esso, tra gli effetti, ha quello
di diversificare, in sostanza, la  giurisdizione,  in  ragione  della
qualita' del soggetto attivo. 
    L'art.  167  c.p.m.p.  incrimina   la   distruzione   ovvero   la
disintegrazione o la completa eliminazione,  di  «opere  militari»  e
ogni fatto che, in vario modo, le rende inservibili, in  tutto  o  in
parte, anche temporaneamente. 
    La definizione dei  contenuti  delle  condotte,  per  quanto  qui
rileva, puo' essere cosi riassunta. 
    Rendere  «inservibile»   comprende,   seconda   la   tecnica   di
incriminazione  delle   fattispecie   causalmente   orientate,   ogni
comportamento idoneo a incidere sulla res, rendendola inidonea, anche
solo parzialmente o temporaneamente, a essere impiegata  per  il  suo
scopo tipico. 
    Se il fine della disposizione e' di  tutelare  la  caratteristica
del bene e, dunque, suo  impiego  secondo  la  finalita'  strutturale
tipica, esso si deve assicurare mettendo a disposizione  un  apparato
sanzionatorio  che  raggiunga  obiettivo  siffatto,  preservando   la
finalita' anzidetta da tutti  i  comportamenti  che  producono  danno
fisico ovvero una compromissione funzionale  o  economica,  incidente
sull'utilizzabilita' del bene stesso. 
    La tutela obiettiva e', pertanto, apprestata in funzione dell'uso
della cosa e non solo in funzione della sua integrita' patrimoniale. 
    Puo', cioe', ipotizzarsi sabotaggio anche  senza  siano  arrecati
danni veri e propri alla consistenza della res. 
    La disposizione in analisi tutela alcune «cose» destinate a scopi
militari, siano esse originariamente militari oppure  appartenenti  a
privati,  ma  destinate  con  provvedimento  dell'autorita'  a  scopi
militari o, addirittura, anche solo adoperate nell'interesse primario
e per fini  istituzionali  delle  Forze  armate  (benche'  di  genesi
diversa e nate per diverse destinazioni). 
    Il profilo soggettivo dell'art. 167 c.p.m.p., e', poi,  costruito
come  dolo  generico  consistente  nella  coscienza  e  volonta'   di
intervenire  sulla  res,  con  la  mera  consapevolezza   della   sua
destinazione al servizio delle Forze armate. Assai diffusa, pertanto,
e' l'idea dell'irrilevanza dello scopo del soggetto agente, il  quale
puo' spaziare dall'intenzione di danneggiare il  consegnatario  della
res fino a conseguire anche una utilita'  economica  o  un  obiettivo
distinto. 
  2. Cio' posto i motivi di ricorso, in funzione della  questione  di
costituzionalita' e della sua rilevanza, ai fini del  decidere  sulla
regiudicanda, salva e impregiudicata ogni ulteriore valutazione,  non
sono  decisivi  e  non  consentono  l'annullamento  della   decisione
impugnata. 
    2.1. Con il primo motivo si censura la  qualificazione  giuridica
del fatto ai sensi dell'art. 167 c.p.m.p. 
    In ricorso, in sostanza, si  e'  affermato  che  l'inservibilita'
funzionale-economica   sarebbe   stata   collegata   ad    un    atto
amministrativo di interdizione dell'area. Avrebbe  fatto  difetto  un
atto che, anche in  via  transitoria,  avesse  determinato  un  danno
fisico. Contrariamene, in  difetto  di  danneggiamento  e  di  evento
naturalistico  di  danno,  afferma  il  ricorrente,  non  vi  sarebbe
sabotaggio. L'interdizione  dell'area,  d'altro  canto,  non  sarebbe
stata equiparabile all'inservibilita'. 
    Il rilievo, si e' gia' avuto modo di anticipare, e' infondato. 
    Affrontando la questione dell'inservibilita' temporanea della res
la Corte territoriale ha, appunto, annotato  che  essa  non  richiede
necessariamente un evento di'  danno  naturalistico  e  che  si  puo'
configurare in tutti  quei  casi  che  determinano  un'inservibilita'
economico-funzionale, incidente  sul  suo  impiego,  secondo  la  sua
destinazione naturale.  Non  avrebbe,  dunque,  rilievo  decisivo  il
difetto di un danno materiale alla res e, nella specie,  al  deposito
dell'hangar, ne' il fatto che  l'inservibilita'  sia  stata  prodotta
attraverso un meccanismo  mediato  di  realizzazione  della  lesione,
ovvero  il  provvedimento  amministrativo   di   interdizione   della
struttura. In questa logica basta qui osservare che il  provvedimento
assunto dal Comandante della base si e' imposto quale atto  dovuto  a
fronte della rilevazione dei valori di fibra di amianto superiori  ai
limiti permessi. 
    L'inservibilita' temporanea nell'uso del deposito, dunque, non e'
derivata dall'adozione dell'atto amministrativo,  ma  dalla  condotta
del B. che, ponendo in essere un atto tipico, ha imposto la  doverosa
azione di tutela del Luogo di lavoro  e  l'interdizione  dell'accesso
alla struttura da parte del Comandante della  base,  in  applicazione
del principio secondo cui causa causae est causa causati. 
    In altri termini, eliminata  la  condotta  iniziale,  si  sarebbe
evitato l'intero  avviarsi  della  sequenza  causale  (sublata  causa
tollitur effectus) e  non  sarebbe  stato  necessario  attivarsi  per
interdire l'accesso al sito in esame. 
    Da cio' consegue l'infondatezza del motivo sviluppato. 
    2.2. Infondato, al pari, risulta anche  l'ulteriore  rilievo  con
cui si deduce la violazione degli articoli  40  e  41,  comma  3  del
codice  penale,  oltre  al  vizio  di  motivazione  per,   non   aver
considerato nella sentenza impugnata un  apporta  causale  ulteriore,
offerto dall'azione di terzi e che si ricava dall'inquinamento  degli
altri ambienti (laboratorio elettroavionico  e  officina  meccanica),
inquinamento posto in essere da parte di soggetti diversi da B. 
    Il motivo di ricorso non e' correlato alla decisione e, per altro
verso, risulta intrinsecamente generico. 
    Non sussiste, invero, la certezza  che  altri  soggetti,  diversi
dall'imputato,  abbiano  voluta  mente  inquinato  gli  ambienti  del
laboratorio elettroavionico e dell'officina meccanica. 
    La decisione del Tribunale militare di pervenire  ad  assoluzione
sul punto e' motivata dalla ritenuta  impossibilita'  di  individuare
con certezza ii soggetto ripreso dalle registrazioni  all'interno  di
questi due specifici ambienti della  struttura.  Cio'  non  equivale,
tuttavia, a ritenere che vi fosse in  positivo  la  prova  che  oltre
l'imputato  all'interno  del  deposito  fossero   intervenuti   altri
soggetti e che avesse operato una concausalita' alternativa o da sola
sufficiente a produrre l'evento. In questa logica non potrebbe  farsi
richiamo all'art. 41, comma 3,  del  codice  penale,  assumendo  che,
anche eliminando la condotta di  B.,  l'evento  si  sarebbe  comunque
realizzato per effetto dell'azione di un terzo. 
    Cio' sarebbe stato, invero, possibile solo richiamando una  causa
da sola sufficiente a determinare la lesione, dato non acquisito  con
incontrovertibile sicurezza  all'esito  dell'istruttoria  ed  escluso
dalla Corte di appello in base a quanto emerso dalle riprese video  e
dalle dichiarazioni di L. P., come si  avra'  modo  di  dire.  Costui
aveva, Infatti, negato di avere percepito l'accesso di  soggetti  che
avessero   caratteristiche   fisiche   incompatibili    con    quelle
dell'imputato. 
    Inoltre, il ricorso  solleva  ulteriori  questioni  in  punto  di
fatto, attinenti alla configurazione dell'hangar  ed  all'assenza  di
separazione con i due locali laboratorio elettroavionico ed  officina
meccanica, per prospettare la possibile  diffusione  delle  fibre  di
amianto da tali ambienti, la cui presenza sarebbe ascrivibile a terzi
ignoti,  alla  restante  area  risultata  inquinata.  Si  tratta   di
deduzione che non puo' accogliersi, sia perche', per quanto riportato
nella sentenza impugnata sulla scorta dei  dati  conoscitivi  offerti
dalla perizia i due locali  sono  stati  descritti  come  separati  e
distinti,  sia  perche'  nessun  dato  probatorio  acquisito  e  reso
disponibile per  questa  Corte  di  legittimita'  avvalora  l'assunto
difensivo, risultando l'impugnazione  priva  di  autosufficienza  sul
punto. 
    2.3. Con il terzo motivo si deduce la violazione di  legge  e  si
prospetta la  sussumibilita'  del  fatta  negli  articoli  56  e  234
c.p.m.p.,  con  conseguente  erronea   individuazione   dell'elemento
psicologico del reato. 
    Secondo il ricorrente, il non essersi  verificato  l'inquinamento
ambientale, come dimostrato dall'istruttoria, esclude possa  parlarsi
di sabotaggio ed avrebbe dovuto indurre a ravvisare il mero tentativo
di truffa militare. Peraltro,  e'  stato  frainteso  il  concetto  di
profitto, non considerato come fine ultimo dell'azione. 
    Anche il motivo in esame non e' risolutivo. 
    Si e' gia' avuto modo di anticipare che nella tipicita' del fatto
in esame si punisce ogni condotta causalmente orientata a determinare
una inservibilita' del bene, sia producendo un danno  materiale,  sia
una compromissione funzionale che ne inibisce l'uso, secondo  la  sua
naturale destinazione. L'azione non e', dunque, delineata dalla norma
incriminatrice come volta a realizzare un profitto economico, che  al
piu' potrebbe caratterizzarne il movente. 
    La condotta incide, piuttosto, sul bene con il  proposito  tipico
di renderlo inservibile, danneggiando il servizio.  Questo  connotato
contraddistingue il fatto  di  sabotaggio  e  ne  definisce  il  dolo
relativo, ancorandolo alla  rappresentazione  e  volizione  dei  suoi
elementi  costitutivi  e  concentrando  il  nucleo  di   tutela   sul
danneggiamento o sull'inservibilita' del bene militare, a prescindere
dai fini intimistici che sorreggono l'azione e che, al piu',  possono
rilevare come moventi del gesto anti-giuridico. 
    L'agente, in altri termini, non pone in essere artifici o raggiri
per il solo fine di procurare a  se'  o  altri  un  profitto,  ma  si
attiva, attraverso una condotta materiale, per rendere inservibile la
res  militare.  Cio'  basta  a  integrare  il  reato  in  esame,  per
l'impossibilita' di fare uso della  res  stessa,  impossibilita'  che
consegue alla condotta e che e' oggetto della consapevolezza e  della
volonta'  dell'autore,  integrando  il  dolo.   Esso,   allora,   non
comprende, nello spettro dell'antigiuridicita',  eventuali  finalita'
ulteriori e individuali della condotta e  rende  irrilevante  che  il
ricorrente non abbia conseguito utilita'  economiche,  come  ritenuto
correttamente dalla Corte di appello. 
    2.4. Il quarto motivo e' parimenti infondato. 
    Con esso si  deduce  il  vizio  di  motivazione  in  ordine  alle
dichiarazioni del perito I. e della dott.ssa V., consulente di parte. 
    Non   sussiste,   contrariamente   a   quanto   dedotto,   alcuna
contraddizione tra quanto affermato dal primo, che aveva rilevato  la
presenza delle fibre di amianto e la ricostruzione  della  consulente
tecnica di parte, Verduchi, che  aveva  ipotizzato  che  i  risultati
individuati dal perito fossero originati dalla bonifica del sito. 
    Ricorda  il  ricorrente  che  la  consulenza  a  discarico  aveva
rilevato come  i  cd.  cluster  (cioe'  amianto  in  forma  di  fibra
aggregata), trovati a distanza anche di tre mesi, fossero  indicativi
di attivita' di lavoro su materiali contenenti  amianto.  I  cluster,
invero, non erano stati rinvenuti  presso  i  rilevatoti  di  amianto
oggetto di manipolazione e cio' escludeva che vi fosse stata, secondo
la tesi a discarico,  un'attivita'  di  sfregamento.  Il  perito,  in
definitiva, dopo aver dato atto di un  ventaglio  di  ipotesi,  aveva
sostenuto che, per convenire con la tesi difensiva, si sarebbe dovuto
postulare il passaggio di una tuta inquinata, mossa per  piu'  tempo,
cosi' delineando  e  concretizzando  un'ipotesi  decisamente  remota.
Inoltre, Il teste F., durante  il  suo  esame  dibattimentale,  aveva
riferito indubbiamente della presenza  di  piu'  persone  al  momento
delle  rilevazioni,  oltre  olle  dello  stesso  rilievo  di   tracce
significative di amianto sugli elicotteri PH139. 
    Nessuna attivita', osserva  il  ricorrente  ne'  motivazione  era
stata  sviluppata,  al  contrario,  sulla  catena  di  custodia   del
filtrini, altro aspetto rilevante che avrebbe potuto  attestare  come
l'inquinamento   fosse   avvenuto   in   un    momento    antecedente
all'intervento B. 
    La Corte di appello ha  motivatamente  aderito  alle  conclusioni
rassegnate dal perito, per il quale la tipologia di condotta posta in
essere da B., come attestata dalle immagini estratte dal  sistema  di
video-sorveglianza,  ove   era   visibile   l'azione   specifica   di
inserimento del sensore di rilevazione  all'interno  di  un  oggetto,
quale  un  barattolo,  era   congrua   e   adeguata   a   determinare
l'alterazione dei valori  rilevati.  Si  trattava,  infatti,  di  una
condotta che, per caratteristiche meccaniche ed estensione temporale,
era idonea a produrre i valori alterati riscontrati  sul  filtro  del
sensore. Al contempo, sulla scorta di questo quadro  istruttorio  era
stato escluso che l'inquinamento fosse  dovuto  all'avvicinamento  al
sensore  stesso  di  una  tuta  inquinata,  evenienza  esclusa  dalle
videoriprese, che avevano documentato nella  sua  continuita'  quanto
accaduto quei giorno e nella fascia oraria interessata. 
    La sentenza ha altresi' richiamato la  ricostruzione  alternativa
della  consulente   V.,   spiegando   le   ragioni   della   ritenuta
infondatezza, poiche' le guarnizioni  in  gomma  e  amianto,  secondo
quanto accertato dal perito, avrebbero dovuto subire uno sfregamento,
prolungato, aspetto  non  emerso  probatoriamente  ed  escluso  dalla
stessa sequenza ripresa. 
    Altrettanto privo di vizi  risulta  l'apparato  argomentativo  in
ordine alle dichiarazioni del teste C. 
    I contrari rilievi sviluppati in ricorso non  assumono  sul  tema
carattere di decisivita', ne' altra valenza risolutiva e si traducono
in un'astratta e generica diversa  valutazione  del  risultato  della
prova, secondo un giudizio non ammissibile in sede di legittimita'. 
    E' stato, infatti, assodato che l'unico soggetto presente in base
- che presentasse  caratteristiche  compatibili  con  l'autore  della
condotta ripresa - era, appunto, B. 
    Il giudizio e' stato  apprezzato  dalla  Corte  di  appello  come
viepiu' concludente alla luce  della  cerchia  limitata  di  soggetti
presenti alla base e comparati e della conferma mediante  la  perizia
antropometrica  di   quella   indicazione   di   corrispondenza   per
l'imputato, avvalorata  dalla  esclusione  della  compatibilita'  per
tutti gli altri soggetti, aventi tra l'altro capigliatura differente.
I fotogrammi n. 9-14 avevano ripreso la scena ed erano stati estratti
dagli  ingrandimenti  operati  da  L.  P.  in  diretta   durante   lo
svolgimento dell'azione incriminata. 
    Costui, sentito come teste, era in servizio di  videosorveglianza
e seguiva in estemporanea, attraverso i monitors allocati  nel  corpo
di guardia, l'andamento dell'azione, insospettendosi  e'  inquadrando
l'immagine all'interno del sito. Le sembianze fisiche e  l'andamento,
per le modalita' della deambulazione avevano, invero,  rivelato  allo
steso L. P. e a F. che il soggetto ripreso era, appunto, B. 
    Ne' vale, per contrastare la apprezzata convergenza tra l'apporto
dichiarativo  dei  due  testi  anzidetti,  evocare   una   ipotizzata
sudditanza psicologica  di  L.  P.  a  Frascaria,  onde  inferire  la
sovrapponibilita' delle rispettive dichiarazioni,  non  svolgendo  il
grado  militare,  in   questa   prospettiva   ed   a   fronte   della
responsabilizzazione  e  dell'impegno  assunto   con   l'ufficio   di
testimone, nessuna rilevanza,  ne'  incidenza,  in  difetto  di  ogni
elemento che potesse far ritenere concertazioni o preordinazioni  del
relativo portato dichiarativo. 
    In questa logica risulta, pertanto, corretto e immune da  censure
il giudizio di attendibilita' operato dai giudici territoriali. 
    2.5. Con il quinto motivo si lamenta il vizio di motivazione,  in
ordine  alla  perizia  antropometrica  e  a  quanto   affermato   dal
maresciallo C., oltre che in ordine alle dichiarazioni rese  in  sede
di rinnovazione istruttoria. 
    La  questione  riguardava  l'identificazione  nell'imputato   del
soggetto ripreso dalle immagini secondo le dichiarazioni dei testi F.
e L. P. 
    Secondo il ricorrente, sebbene il perito  C.  fosse  giunto  alla
conclusione di non poter, a parte  le  immagini  contraddistinte  dai
numeri da 9 a 14, procedere alla  identificazione  dell'imputato  nel
volto  del  soggetto  ritratto  dai  filmati  disponibili,  la  Corte
territoriale ha pronunciato condanna in base alle dichiarazioni di F.
e La P., ritenendole prevalenti su quanto  affermato  dal  perito  in
sede di analisi  antropometrica.  Il  tutto  senza  procedere  a  una
motivazione rafforzata. 
    Il teste F., si indica in ricorso, aveva ipotizzato un  interesse
al pensionamento anticipato  da  parte  dell'imputato  e  L.  P.  era
soggetto inferiore in grado e in chiara sudditanza psicologica. 
    Anche il rilievo in esame risulta infondato e,  per  piu'  versi,
inammissibile. 
    La motivazione e' adeguata anche sotto il profilo degli  obblighi
di esplicitazione rafforzata, avendo in sostanza  chiarito  la  Corte
territoriale come il giudizio  espresso  nella  perizia  antrometrica
fosse stato, in realta', ampiamente  confermato  dalle  dichiarazioni
dei  due  testi  indicati.  Sia  F.  che  L.  P.   avevano,   invero,
riconosciuto l'imputato e quella spiegazione era tale  da  soddisfare
gli obblighi di motivazione rafforzata che competevano al Giudice  di
secondo grado. 
    Sulle  possibili  intese  e  su  un  condizionamento  di  L.  P.,
inferiore in grado, basta qui rilevare che il  giudizio  riguarda  il
merito della valutazione di attendibilita' e rinviare a  quanto  gia'
esplicitato, chiarendo che non vi  erano  elementi  che  in  concreto
potessero far ritenere che le due deposizioni avessero  concertato  o
precostituito il relativo portato descrittivo o  che  l'inferiore  in
grado fosse stato condizionato dal superiore. 
    Il motivo, pertanto, va respinto. 
    2.6 Quanto alla rinnovazione  istruttoria  disposta  dalla  Corte
militare d'appello, oggetto del sesto motivo di ricorso, la  sentenza
impugnata fa corretta applicazione dei principi che  ne  disciplinano
l'attuazione (fl. 28 sent. Impugnata). 
    Si deve evidenziare, invero,  che  essa  rinnovazione  e'  sempre
possibile ex officio (art. 603, comma  3,  del  codice  di  procedura
penale), anche in difetto di una richiesta di parte. 
    Si tratta,  infatti,  di  uno  strumento  di  integrazione  della
cognizione processuale che spetta al Giudice per chiarire lo spessore
istruttorio e  dimostrativo  dell'attivita'  svolta.  Alla  luce  del
principio di completezza dell'attivita' istruttoria svolta  in  primo
grado deve ribadirsi che la rinnovazione e' un istituto di  carattere
eccezionale, cui Il giudice puo' fare ricorso,  in  attuazione  della
sua discrezionalita', nei casi in cui ritiene di non  poter  decidere
allo stato degli atti (S.U.  n.  12602  del  17  dicembre  2015,  Rv.
266820). La relativa decisione e' insindacabile,  in  quanto  rimessa
alla discrezionalita' del decidente, ad eccezione  dei  casi  in  cui
essa si trasformi in un atto d'arbitrio, funzionalmente non collegato
alla decisione da assumere. 
    Esiste,  pertanto,  uno  stretto   legame   funzionale   tra   la
rinnovazione delle prove e la decisione. 
    inoltre, avendo  proceduto  la  Corte  di  appello  alla  riforma
parziale di sentenza assolutoria, la rinnovazione dell'istruttoria in
riferimento alle prove dichiarative ha dato piu' ampia attuazione  al
contraddittorio tra le parti ed attuazione al principio di oralita' a
garanzia dei diritti  difensivi  dell'imputato,  che  non  ha  quindi
nessun titolo per dolersene, essendo  stato  rispettato  il  disposto
dell'art. 603, comma 3-bis, del codice di procedura  penale.  Ne'  il
giudizio di decisivita' delle prove  rinnovate  risulta  smentito  da
argomentazioni concrete e valutabili in questa sede. 
  3. La questione di legittimita' costituzionale. 
    3.1. La difesa con separata memoria, in data 11  marzo  2021,  ha
eccepito l'incostituzionalita' della disposizione di cui all'art. 167
c.p.m.p.,  per  violazione  degli  articoli  3,   25   e   27   della
Costituzione. 
    Si e' soffermata sull'esegesi della norma e sulla difficolta'  di
ricostruirne  un'interpretatone  costituzionalmente   orientata,   in
relazione   al   principio   di   tassativita',   determinatezza    e
prevedibilita' della relativa incriminazione. Chiarito  che  il  bene
tutelato e' il servizio militare ha osservato che non si considera il
significato polisemico di esso. 
    La norma risulterebbe sempre protesa a sanzionare  la  violazione
del servizio a prescindere dalla violazione dei  doveri  relativi  al
servizio stesso e dall'effettivo  nocumento  apportato  al  suo  buon
andamento. 
    Si sarebbe reso necessario costruire il dolo, dunque, in  termini
di specificita' o intenzionalita' del medesimo. 
    Il trattamento sanzionatorio risultava, poi, lontano  dai  valori
costituzionali e in  contrasto  con  i  principi  di  proporzione  ed
eguaglianza. Da cio' una funzione essenzialmente intimidatoria  della
pena e la violazione dell'art. 3  della  Costituzione.  in  relazione
alla sanzione comminata dall'art. 168 c.p.m.p. 
    La individuazione di un limite edittale fisso, che puo' risultare
sproporzionato rispetto al fatto di reato,  risulta  violativo  degli
articoli 3 e 27 della Costituzione. 
    Ricostruiti gli orientamenti della giurisprudenza  costituzionale
in  materia,  si  e'  osservato,  ancora,  che  una  pena  fissa   e'
anacronistica e sproporzionata rispetto alla violazione,  sicche'  si
individua quale tertium comparationis l'art. 168 c.p.m.p. 
    3.1. La questione di  legittimita'  costituzionale,  nei  termini
prospettati,  pur   risultando   rilevante,   appare   manifestamente
infondata. 
    Essa risulta in concreto rilevante, poiche' dal suo  accoglimento
potrebbe   apparire   necessaria   una   sua   applicazione   e    la
rideterminazione  del  trattamento   sanzionatorio   cui   e'   stata
commisurata la risposta penale. 
    Nei termini in cui, tuttavia, e' impostata, la  pregiudiziale  di
costituzionalita' e' manifestamente infondata. 
    Essa si incentra sull'entita' del, trattamento sanzionatorio, la'
dove la commisurazione  delle  pene,  nella  creazione  della  figura
astratta di reato, e' affidata alla discrezionalita' del legislatore,
poiche' involge valutazioni e aspetti tipicamente  politici,  con  il
limite che l'anzidetta discrezionalita' non si traduca in arbitrio. 
    Le scelte nella determinazione del  quantum  sanzionatorio  sono,
pertanto, censurabili solo nei casi in cui trasmodino nella manifesta
irragionevolezza. 
    Cio' avviene ad esempio al cospetto di sperequazioni sanzionatone
tra  fattispecie  omogenee,  non  sorrette  da  una   giustificazione
razionale (Corte costituzionale n. 161 del 2009, n. 324 del 2008,  n.
22 del 2007 e n. 394 del 2006). 
    Il richiamo dell'art. 168 c.p.m.p.  come  tertium  comparationis,
d'altro canto, non ha rilevanza, non palesandosi, dal  confronto  tra
norme,  (una  condizione  di)  la  determinazione,  tra   fattispecie
tendenzialmente omogenee, di un trattamento sanzionatorio  sperequato
e definito irrazionalmente, in una logica comparativa sulla tipicita'
dei fatti. 
    Da  cio'  discende  la  manifesta  infondatezza  della  questione
secondo quanto la Corte costituzionale ha gia' ritenuto (con sentenza
n.  9  del  1972  e  n.  93  del  1972),  laddove  ha  affermato  che
l'equiparazione quoad poenam di ipotesi criminose di natura omogenea,
sebbene non ugualmente  gravi,  rientra  nella  discrezionalita'  del
legislatore. 
    3.2. Il tema di costituzionalita', piuttosto, risulta rilevante e
non manifestamente infondato sotto altro aspetto, con fa  conseguenza
che va sollevata d'ufficio la relativa questione. 
    Invero,  In  punto  di  rilevanza,  la'  dove  fosse  accolta  la
questione relativa si  potrebbe  determinare  un  effetto  favorevole
diretto sulla determinazione del trattamento penale del fatto. 
    L'art. 167 c.p.m.p. prevede, invero, una pena  non  inferiore  ad
anni otto di reclusione militare, per i fatti  di  sabotaggio,  senza
contemplare ipotesi attenuate  del  fatto.  Al  contrario,  l'ipotesi
analoga, che  incrimina  la  condotta  comune,  inserita  nel  codice
penale, per il sabotaggio prevede all'art. 253 del codice penale, una
pena identica, ma autorizza il Giudice ad  applicare  la  circostanza
attenuante comune della cd. lieve entita'. 
    La  rilevanza  si  configura  come  necessita'  di  applicare  la
disposizione censurata nel percorso argomentativo  che  conduce  alla
decisione e si riconnette all'incidenza della pronuncia  della  Corte
costituzionale su qualsiasi tappa di tale percorso.  L'applicabilita'
della disposizione  censurata  e',  percio',  sufficiente  a  fondare
l'incidenza stessa della questione proposta (sentenze n. 254 del 2020
e n. 174 del 2016) sulla decisione da assumere. 
    La' dove fosse accolta l'impostazione che l'art. 167 c.p.m.p.  e'
norma incostituzionale, nella parte in cui si censura la condotta  di
sabotaggio, senza prevedere un'ipotesi attenuata - come al  contrario
si prevede per il sabotaggio ordinario, che  rinvia  all'applicazione
dell'art.  311  del  codice  penale  e  alla  circostanza  attenuante
anzidetta  -  l'effetto  conseguibile  sarebbe  non   marginale   per
l'applicazione  dell'elemento  circostanziale,  con  diversa  e  meno
affittiva determinazione del trattamento sanzionatorio. 
    Lo scrutinio della Corte costituzionale, del resto, si arresta se
il rimettente ha offerto una motivazione non implausibile  in  ordine
alla sussistenza delle condizioni dell'azione, non potendo  la  Corte
sostituire la propria valutazione a quella gia' compiuta dal  giudice
a quo, eventualmente anche in  via  implicita,  con  il  supporto  di
argomenti non arbitrari (sentenze n. 241 del 2016, n. 120 del 2015  e
n. 241 del 2008). Solo la manifesta implausibilita' della motivazione
del rimettente, che ricorre quando nessun dubbio possa  nutrirsi  sul
punto,  potrebbe  riflettersi   sulla   rilevanza   della   questione
incidentale prospettata (sentenza n. 154 del 2015). 
    Quanto alla «non manifesta infondatezza»  deve  osservarsi,  come
anticipato,  che  per  l'art.  167  c.p.m.p.   sussiste   l'anzidetta
disomogeneita' di  trattamento  che  non  trova  una  giustificazione
razionale. 
    La questione non sarebbe superabile in via d'interpretazione, non
sussistendo, nel  sistema,  un  controllo  di  costituzionalita'  cd.
diffuso, attribuito  al  giudice  ordinario  che  lo  legittimi  alla
disapplicazione della norma  ritenuta  non  conforme  a  Costituzione
ovvero che renda applicabili disposizioni -  che  pur  alimentate  da
omogeneita' e identita' di ratio - non sono espressamente  richiamate
dal precetto della cui legittimita' costituzionale si dubita. 
    Le due norme (art. 253 del codice penale  e  167  c.p.m.p.)  sono
essenzialmente  sovrapponibili  nella  struttura  e   in   punto   di
tipicita'. 
    Unico  aspetto  che  sembra   diversificarne   i   paradigmi   di
incriminazione e' che,  in  definitiva,  il  sabotaggio  militare  e'
condotta posta in essere dal militare  su  res  militare,  mentre  il
sabotaggio ordinario e' delitto, in  generale,  posto  in  essere  da
chiunque su res militare. 
    La fattispecie, prevista dall'art. 253 del codice penale rientra,
pertanto,   nell'ambito   dei   fatti   che    possono    beneficiare
dell'attenuante della cd. lieve entita',  per  effetto  del  richiamo
espresso operato all'elemento circostanziale di specie. 
    L'art. 311 del codice penale  stabilisce,  invero,  che  le  pene
comminate per i delitti di cui al titolo I Libro II - delitti tra cui
rientra anche il sabotaggio comune - sono  diminuite  quando  per  la
natura, la specie, i mezzi, le modalita'  o  circostanze  dell'azione
ovvero per la particolare tenuita' del danno o del pericolo il  fatto
risulti di lieve entita'. 
    Il combinato disposto degli articoli 253 e 311 del codice penale,
e, in particolare, la norma da ultimo indicata si  rivela,  pertanto,
idonea ad assumere il valore di tertium comparationis, nella  vicenda
oggetto d'esame. 
    L'art. 253 del codice penale non risulta una figura residuale, ma
un modello di incriminazione strettamente  affine  e  sostanzialmente
omogeneo   rispetto   al   sabotaggio   militare,   con   il   tratto
specializzante che per quest'ultima disposizione (art. 167  c.p.m.p.)
non  trova  applicazione  la  circostanza   attenuante   piu'   volte
richiamata. 
    In una lettura comparata tra le disposizioni  si  comprende  come
non  emergano  elementi  di  differenziazione  tra  i  due  paradigmi
normativi (sabotaggio ordinario e militare in senso stretto) tali  da
giustificare   l'esclusione   dell'applicazione   della   circostanza
attenuante  in  questione,  per  l'uno  (il   delitto   militare)   e
ammetterla, per l'altro (il delitto comune). Si assiste, cosi', a una
violazione  dei  principi  di  ragionevolezza  ed  eguaglianza  e  si
esclude, nella  stessa  logica  normativa,  che  possano  validamente
ritenersi esistenti proiezioni della finalita' delle due  norme  tali
da fondare razionalmente un trattamento differenziato. 
    Ammesso che si intenda  giustificare  un  trattamento  penale  di
maggiore rigore per il sabotaggio militare, in  considerazione  della
poliedricita' del bene protetto in collegamento con la  qualita'  del
soggetto attivo del reato e della necessita' di  tutelare  nella  sua
interezza il servizio militare e la sua integrita', specie alla  luce
della qualita' dell'agente, non si spiegherebbe, comunque, la  scelta
di  riservare  alla  sola  figura  adelfa,  di   sabotaggio   comune,
un'attenuante come quella della lieve entita' del fatto,  che  incide
sulla portata lesiva concreta ed oggettiva della condotta. Del  resto
una riduzione di offensivita' del bene protetto non puo' in  assoluto
escludersi anche in riferimento  al  reato  di  sabotaggio  militare,
specie quando, come nel  caso  di  specie,  il  bene  sia  reso  solo
temporaneamente inservibile in assenza di un  pregiudizio  permanente
ed irreversibile e di una  qualsiasi  compromissione  di  altri  beni
giuridici  tutelati,  quali  il  patrimonio,  oppure  la   salute   o
l'integrita'  personale.  Da  cio'  il  dubbio   di   una   possibile
irrazionalita' del quadro normativo e di una conseguente lesione  del
valore  di  eguaglianza  sostanziale  e  di  ragionevolezza,  sancito
dall'art. 3 della Costituzione. 
    La  mancata  previsione  della  circostanza  in  esame,  per   il
sabotaggio militare, non ne fa  intendere  immediatamente  la  ratio,
specie alla luce della circostanza che  la  proiezione  della  tutela
penale   deve,   comunque,   essere   coerente   con   fa   finalita'
dell'incriminazione e deve esprimere un  rapporto  di  proporzione  e
adeguatezza che sia collegato all'entita' concreta della  aggressione
al bene protetto. 
    Del resto, la circostanza attenuante in  esame  ha  lo  scopo  di
mitigare il trattamento sanzionatorio base, attribuendo al giudice il
potere discrezionale (e non  arbitrario)  di  attenuare  la  sanzione
anzidetta, adeguando pena e fatto,  nella  logica  proporzionale  che
deve caratterizzare la risposta punitiva. 
    La finalita' perseguita dalla circostanza, infatti,  che  rientra
tra gli elementi cd. accessori a struttura indefinita -  si  collega,
allo spessore del «danno criminale» o «del pericolo». 
    Sarebbe, pertanto, non risolutivo il richiamo alla diversita' del
soggetto agente per giustificare la differenziazione nel  trattamento
stesso,  emergendo  piuttosto  come  l'attenuante,  nella   tipicita'
descrittiva, sia legata allo spessore offensivo della condotta. 
    La'  dove  la  risposta  penale,  al  contrario,  sia   fissa   e
inderogabile  e  sia  improntata  nello  stesso  minimo  edittale  ad
asprezza eccezionale essa  rischia  di  perdere  il  suo  profilo  di
duttilita' dinamica e di adattarsi solo in parte alla varieta'  delle
situazioni  che  astrattamente  possono  rientrare   nell'ambito   di
applicazione del paradigma legale d'incriminazione. 
    La circostanza attenuante e' elemento accessorio  della  condotta
e, a fronte di incriminazioni a condotta multipla, essa va  comparata
alla singola azione posta  in  essere  e  all'entita'  della  lesione
realizzata. 
    Si comprende, allora, come la pena fuoriesca da  una  prospettiva
generalizzante, accomunando in maniera indifferenziata le fattispecie
che, congiuntamente o alternativamente, compongono l'incriminazione e
si adegui esclusivamente all'azione realizzata in  concreto,  in  una
logica di proporzione corrispettiva tra  fatto  e  lesione,  rapporto
essenzialmente interno al paradigma legale. 
    Un trattamento eccessivamente severo, non mitigabile in  funzione
del concreto disvalore del fatto e non adeguabile, in presenza  delle
medesime  condizioni  sostanziali,  alla  sua  tenuita',  rischia  di
violare anche l'art. 27, comma 3 della Costituzione,  presentando  al
colpevole una  situazione  percepita  come  ingiusta  e,  come  tale,
inidonea ad attuare la tipica finalita' di rieducazione (sentenze  n.
341 del 1994 e n. 343 del 1993). 
    La pena si consoliderebbe come  ritorno  a  una  sola  concezione
etica e come attuazione d'un rapporto punitivo che si traduce in  una
pura matrice retributiva. 
    Essa  non  sarebbe  avvertita  come  adeguata  nei  suo   operare
dall'alto e finirebbe, in questa logica, per presentare un solo volto
nella complessa dinamica del suo operare. Si  finirebbe,  cioe',  per
valorizzare ii solo aspetto  autoritativo  che  la  muove,  tenendosi
discosti   dalle   finalita'   parallele,   oggetto    di    presidio
superprimario, tra cui, in primo luogo, il fine di rieducazione,  cui
e' ispirato l'intero apparato esecutivo. 
    Questa condizione non si rivelerebbe sussistente per il cittadino
comune che, commettendo il delitto di cui  all'art.  253  del  codice
penale, ben potrebbe beneficiare della circostanza  di  cui  all'art.
311 del codice penale della lieve entita' del fatto. 
    Quello descritto, pertanto, risulta uno statuto  che  rischia  di
ledere il principio di eguaglianza e di non disparita' di trattamento
per situazioni caratterizzate da  nuclei  di  tutela  strutturalmente
omogenei, in funzione dell'incriminazione. 
    In altri termini una pena non  proporzionata  alla  gravita'  del
fatto (e non percepita come tale dal condannato)  si  risolve  in  un
ostacolo alla sua funzione rieducativa (sentenze n. 236 del 2016,  n.
68  del  2012  e  n.  341  del  1994).  L'esigenza  di  mobilita',  o
individualizzazione, della sanzione - e la  conseguente  attribuzione
al giudice, nella  sua  determinazione  in  concreto,  di  una  certa
discrezionalita' nella commisurazione tra  il  minimo  e  il  massimo
previsti dalla legge - costituisce naturale attuazione e sviluppo  di
principi  costituzionali,  tanto  di   ordine   generale   (principio
d'uguaglianza) quanto attinenti  direttamente  alla  materia  penale,
rispetto  ai  quali  l'attuazione  di  una  giustizia  riparatrice  e
distributiva  esige  la  differenziazione  piu'   che   l'uniformita'
(sentenze n. 50 del 1980,  n.  104  del  1968  e  n.  67  del  1963),
Essenziale a garantire la compatibilita' della  pena  con  il  «volto
costituzionale»  della  sanzione  penale  e'  che  essa  non  risulti
manifestamente  sproporzionata  per  eccesso  rispetto  al   concreto
disvalore del fatto di reato, tanto da vanificare lo stesso obiettivo
di «rieducazione» del reo, imposto dall'art. 27, terzo  comma,  della
Costituzione. 
    La Corte costituzionale ha spiegato, altresi', che «l'adeguamento
delle risposte punitive ai casi concreti - in termini di  uguaglianza
e/o differenziazione di trattamento -  contribuisce  da  un  lato,  a
rendere quanto piu' possibile «personale» la responsabilita'  penale,
nella prospettiva segnata dall'art. 27,  primo  comma;  nello  stesso
tempo e' strumento per una  determinazione  della  pena  quanto  piu'
possibile «finalizzata», nella prospettiva dell'art. 27, terzo comma,
della Costituzione. Il principio d'uguaglianza trova in tal modo  dei
concreti punti di riferimento, in materia penale, nei  presupposti  e
nei fini (e nel collegamento fra gli uni e gli  altri)  espressamente
assegnati alla pena nello stesso sistema ordinamentale. L'uguaglianza
di fronte alla pena viene a significare, in definitiva, «proporzione»
di essa rispetto alle «personali» responsabilita' e alle esigenze  di
risposta  che  ne  conseguano,  svolgendo   una   funzione   che   e'
essenzialmente  di  giustizia  e  anche  di  tutela  delle  posizioni
individuali e di limite della potesta' punitiva  statuale»  (sentenza
n. 50 del 1980). 
    La  conclusione  e'  nel  senso  che  «in  linea  di   principio,
previsioni sanzionatorie rigide non appaiono pertanto in armonia  con
il  "volto  costituzionale"  del  sistema  penale;   ed   il   dubbio
d'illegittimita'  costituzionale  potra'  essere,  caso   per   caso,
superato a condizione che, per la natura dell'illecito  sanzionato  e
per  la  misura  della  sanzione  prevista,  questa   ultima   appaia
ragionevolmente  "proporzionata"   rispetto   all'intera   gamma   di
comportamenti riconducibili allo specifico tipo di  reato»  (richiami
completi sono in: Cass. Ord. n.  52613  dei  6  luglio  2017  che  ha
rimesso la questione di legittimita'  costituzionale  degli  articoli
216, ultimo comma, e 223, ultimo comma, R.D. 16 marzo 1942, n. 267  -
recante «Disciplina del fallimento, del concordato preventivo e della
liquidazione coatta amministrativa» - nella parte  in  cui  prevedono
che alla condanna per  uno  dei  fatti  previsti  in  detti  articoli
conseguono obbligatoriamente, per la durata di dieci  anni,  le  pene
accessorie  della  inabilitazione  all'esercizio   di   una   impresa
commerciale e della incapacita' a esercitare uffici direttivi  presso
qualsiasi impresa, questione accolta con sentenza n. 222 del 2018). 
    Ne' convince la  tesi  esposta  dal  Procuratore  generale  sulla
questione, che ha  ritenuto  esistente,  tra  i  fatti  di  cui  agli
articoli 169, 168 e 167 c.p.m.p., un crescendo di  tutela  penale  e,
per l'effetto, di tutela sanzionatoria. 
    La disomogeneita' strutturale tra paradigmi esclude che si  possa
condividere  l'impostazione  prospettata,  non   rilevando   qui   la
diversita' di trattamento penale, ma la  mancata  previsione  di  una
circostanza attenuante che possa trovare applicazione, anche  per  il
reato militare, nei casi di lieve entita' del fatto. 
    L'art. 167 c.p.m.p., si e' osservato  da  parte  del  Procuratore
generale, sottratta l'ipotesi della distruzione fisica, raccoglie una
serie di condotte che realizzando un'inservibilita' temporanea  della
res, incidono sulla durata della pena e sull'astratta comminatoria di
legge. 
    L'impianto codicistico avrebbe, pertanto, una sua coerenza. 
    Si partirebbe dal danneggiamento sino a giungere alle condotte di
maggiore spessore e di diversa lesivita'. 
    La  questione,  ritiene  il  Collegio,  non   sia   correttamente
impostata, neppure per l'ipotesi  indicata  rispetto  alla  quale  la
questione di legittimita' e' sollevata d'ufficio. 
    La circostanza attenuante della particolare  tenuita'  del  fatto
riguarda, invero, le singole fattispecie. 
    Anche a fronte di un fatto tipico di  struttura  differenziata  e
che raccoglie un insieme di fattispecie, in un crescendo  di  tutela,
non puo' escludersi la possibilita'  che  si  debba  configurare  una
lesivita' di esso, caratterizzata da forme di aggressione graduali al
bene giuridico, che aprono spiragli  per  ritenere  che  la  condotta
nella sua tipicita' sia, comunque, da recuperare a forme attenuate di
aggressione al bene giuridico, secondo quanto si  e'  avuto  modo  di
dire. Da cio' discende che la tenuita' del fatto va parametrata  alla
singola condotta e al danno che essa realizza. 
    Alla luce di quanto  premesso,  la  questione  descritta  risulta
rilevante e non manifestamente infondata e va,  pertanto  rimessa  al
giudizio della Corte costituzionale. 
    La' dove fosse accolta, legittimerebbe Il Giudice a verificare se
e in che termini la condotta tenuta da B. possa rientrare  nei  fatti
di   particolare   tenuita',   cosi'   incidendo   sul    trattamento
sanzionatorio della condotta ascritta e ritenuta a suo carico. 
    In particolare, il quesito posto  riguarda  l'art.  167  c.p.m.p.
nella parte in cui non prevede che  la  pena  da  esso  comminata  e'
diminuita quando, per la natura, la specie, le  modalita'  ovvero  le
circostanze dell'azione o la particolare tenuita' del danno il  fatto
risulti di particolare tenuita'.