TRIBUNALE ORDINARIO DI TRENTO 
                Sezione per le controversie di lavoro 
 
    Il giudice  istruttore,  in  funzione  di  giudice  unico,  dott.
Giorgio Flaim, ha pronunciato in  data  2  agosto  2021  la  seguente
ordinanza. 
 
                          Rilevato in fatto 
 
    Con ricorso depositato in data 10 maggio 2021  Bernardi  Maurizio
ha proposto nei confronti dell'I.N.P.S.: 
        domanda   di   accertamento   dell'insussistenza   in    capo
all'Istituto del diritto alla ripetizione delle somme  (pari  a  euro
26.294,70), che egli ha percepito nel periodo maggio  2019  -  agosto
2020 a titolo di pensione anticipata  ex  art.  14  decreto-legge  28
gennaio 2019, n. 4 conv. in legge 28 marzo 2019, n. 26 - cat.  VO/COM
(al netto dei redditi da lavoro su  cui  infra),  ma  che  l'Istituto
afferma di aver corrisposto indebitamente in quanto  non  cumulabili,
ai sensi dell'art. 14, comma 3 decreto-legge n. 4/2019, con i redditi
conseguiti dal ricorrente nell' anno 2019 (per euro 1.099,47 lordi) e
nell'anno 2020 (per euro 373,00 lordi),  quali  retribuzioni  per  le
prestazioni  eseguite  nello  svolgimento  di  rapporti   di   lavoro
intermittente; 
        domanda di condanna  dell'Istituto  alla  corresponsione,  in
favore del ricorrente, dei ratei della pensione  anticipata  ex  art.
14, D.L. n. 4/2019 afferenti il periodo  settembre  -  dicembre  2020
(compresa tredicesima), che l'Istituto non ha versato  al  ricorrente
in ragione dell'incumulabilita' ex art. 14, comma 3, decreto-legge n.
41/2019 con i redditi da lui  conseguiti  nell'anno  2020  (per  euro
373,00 lordi), quali retribuzioni per le prestazioni  eseguite  nello
svolgimento di un rapporto di lavoro intermittente. 
    E' incontestato tra le parti che: 
        a) il ricorrente ha maturato, a far data dal 1° maggio  2019,
il  diritto  a  percepire  la  pensione   anticipata   ex   art.   14
decreto-legge n. 4/2019 categoria VO/COM; 
        b) egli ha  svolto,  in  esecuzione  di  rapporti  di  lavoro
intermittente, prestazioni dal 3 giugno al 31  luglio  2019  per  una
retribuzione di euro 385,79, dal 7  al  10  settembre  2019  per  una
retribuzione di euro 495,72, dal 23 novembre al 31 dicembre 2019  per
una retribuzione di euro 217,96 e dal 2 al 16  luglio  2020  per  una
retribuzione di euro 373,00; 
        c) l'I.N.P.S., in ragione dell'incumulabilita' assoluta della
pensione anticipata ex art. 14, decreto-legge n. 4/2019  con  redditi
da lavoro dipendente, ha richiesto  la  ripetizione  dei  ratei  gia'
versati in relazione al periodo maggio 2019 - agosto 2020  e  non  ha
corrisposto i ratei afferenti il periodo settembre - dicembre 2020. 
    In  via  principale  il  ricorrente  sostiene  che   la   portata
precettiva dell'incumulabilita' ex art. 14, comma 3 decreto-legge  n.
4/2019 va intesa, alla luce di un'interpretazione  costituzionalmente
orientata, non gia' (come ritenuto dall'I.N.P.S.) quale perdita della
pensione per l'intero anno in cui sono  stati  percepiti  redditi  da
lavoro,  bensi'  quale  decurtazione   della   pensione   in   misura
corrispondente ai redditi da lavoro dipendente conseguiti. 
    In via subordinata il  ricorrente  afferma  l'incostituzionalita'
della disposizione ex art. 14, comma 3 decreto-legge n. 4/2019  nella
parte in cui non individua l'importo minimo  del  reddito  da  lavoro
dipendente, oltre  il  quale  la  pensione  anticipata  non  e'  piu'
cumulatile. 
    Cio' in relazione: 
        all'art. 3 Cost.  in  quanto  introduce  un'ingiustificata  e
irragionevole disparita' di trattamento tra il pensionato che  svolge
attivita' di lavoro autonomo occasionale, percependo compensi fino  a
euro 5.000 all'anno, e il pensionato che svolge attivita'  di  lavoro
subordinato, percependo retribuzioni fino allo stesso limite,  atteso
che solo il primo conserva il diritto di ricevere i ratei di pensione
anticipata afferenti l'anno in cui ha conseguito il reddito di lavoro
dipendente; 
        all'art. 38, comma 2 Cost. in quanto annulla  il  trattamento
pensionistico per l'intero anno anche quando  il  reddito  lavorativo
conseguito sia di modesto importo, con conseguente  privazione  della
pensione  per  un  intero  anno,  senza  che  sia  compensata   dalla
percezione di adeguate entrate di altro genere; 
        agli articoli 4 e 36, comma 1 Cost. in quanto impone a  colui
che esercita il diritto al lavoro un  sacrificio  (la  perdita  della
pensione per un intero anno) sproporzionato e irragionevole. 
    Dal canto suo I'I.N.P.S. replica che l'interpretazione  sostenuta
dal ricorrente, secondo cui la regola  dell'incumulabilita'  ex  art.
14, comma  3  decreto-legge  n.  4/2019  comporterebbe  solamente  la
decurtazione della pensione in misura corrispondente  ai  redditi  da
lavoro  dipendente  conseguiti,  contrasta  con  la   ratio   sottesa
all'introduzione   della   pensione   anticipata   sulla   base   del
raggiungimento di un'eta' anagrafica di almeno sessantadue anni e  di
un'anzianita' contributiva  minima  di  trentotto  anni  (cd.  «quota
100»), ratio che  individua  nel  perseguimento  degli  obiettivi  di
garantire flessibilita' in uscita a coloro che  intendono  andare  in
pensione  in  data  anteriore  a  quella  prevista  dalla  disciplina
ordinaria, e di favorire un ricambio  generazionale  nelle  attivita'
produttive (a fronte di un costo di circa 65 miliardi di euro). 
    Quanto ai vizi  di  illegittimita'  costituzionale  rilevati  dal
ricorrente fondati sulla mancata fissazione di un importo minimo  del
reddito da lavoro  dipendente,  oltre  il  quale  trova  applicazione
l'incumulabilita' della pensione anticipata, l'I.N.P.S. evidenzia che
l'art. 14, comma 3 decreto-legge  n.  4/2019  prevede  un  limite  di
natura non gia' quantitativa, ma qualitativa, costituito dai tipo  di
attivita' lavorativa. 
 
                         Ritenuto in diritto 
 
    Viene  sollevata  la  questione  di  legittimita'  costituzionale
dell'art. 14, comma 3, decreto-legge 28 gennaio 2019, n. 4  conv.  in
legge 28 marzo 2019, n. 26 («La pensione quota 100 non e' cumulabile,
a far data dal primo giorno di decorrenza della pensione e fino  alla
maturazione dei requisiti per l'accesso alla pensione  di  vecchiaia,
con i redditi da lavoro dipendente o autonomo, ad eccezione di quelli
derivanti da lavoro autonomo occasionale, nel limite  di  5.000  euro
lordi annui»), nella parte in cui, in contrasto con  principio  -  di
eguaglianza  formale  ex  art.  3,  comma   1 Costituzione,   prevede
l'incumulabilita' della pensione anticipata «quota 100» con i redditi
da lavoro dipendente qualunque sia il loro ammontare, mentre consente
di conservare detto trattamento pensionistico qualora  i  redditi  da
lavoro autonomo occasionale non superino limite di euro  5.000  lordi
all'anno. 
Sulla rilevanza nel giudizio a quo. 
    Il giudizio in corso non puo' essere  definito  indipendentemente
dalla   soluzione   della   suddetta   questione   di    legittimita'
costituzionale. 
    Applicando le norme impugnate le domande proposte dal  ricorrente
dovrebbero essere rigettate. 
    Si e' gia' evidenziato nella parte dedicata alla descrizione  dei
fatti che il ricorrente, titolare di pensione anticipata ex  art.  14
decreto-legge n. 4/2019 dal 1º maggio 2019, ha percepito  redditi  da
lavoro  dipendente  (precisamente  retribuzioni  nell'ambito  di   un
rapporto di lavoro intermittente) nell'anno 2019 pari a euro 1.099,47
lordi e nell'anno 2020 pari a euro 373,00 lordi. 
    L'I.N.P.S.,  in  ragione  dell'incumulabilita'  assoluta  con   i
redditi  da  lavoro  dipendente  prevista  dall'art.  14,   comma   3
decreto-legge n. 4/2019, ritiene  non  dovuti  i  ratei  di  pensione
anticipata afferenti gli anni 2019 e 2010, tanto  da  procedere  alla
ripetizione di quelli gia' versati (ratei da maggio  2019  ad  agosto
2020 per euro 27.767,17)  e  da  non  effettuare  il  versamento  dei
residui (ratei da settembre a dicembre 2020). 
    Il  ricorrente  sostiene  in  via  principale  che   la   portata
precettiva dell' incumulabilita' ex art. 14, comma  3,  decreto-legge
n.   4/2019   vada   intesa,   alla   luce   di    un'interpretazione
costituzionalmente orientata, non gia' (come ritenuto  dall'I.N.P.S.)
quale perdita della pensione per l'intero  anno  in  cui  sono  stati
percepiti redditi da lavoro, bensi' quale decurtazione della pensione
in misura, corrispondente ai redditi da lavoro dipendente conseguiti. 
    Si tratta di un assunto non persuasivo per ragioni sia  letterali
e ideologiche. 
    In ordine  al  primo  aspetto  e'  agevolmente  desumibile  dalla
previsione della  cumulabilita'  della  pensione  anticipata  con  la
percezione di redditi da lavoro autonomo occasionale non superiori  a
euro  5.000  lordi  all'anno,  che  il  legislatore   ha   preso   in
considerazione il conseguimento di redditi  da  lavoro  quale  evento
impeditivo della corresponsione della pensione  anticipata  nell'anno
solare in cui quei redditi sono stati  percepiti  e  non  gia'  quale
fattore determinante la decurtazione  dell'ammontare  della  pensione
anticipata spettante in quell'anno. 
    Quanto al profilo teleologico,  e'  indubbio,  che  nel  caso  il
titolare di pensione anticipata subisse  solamente  una  decurtazione
del  quantum  corrispondente  all'ammontare  dei  redditi  da  lavoro
percepiti,  verrebbe  notevolmente  frustrata  la   possibilita'   di
realizzare gli obiettivi  sottesi  all'introduzione  della  pensione,
vale a dire la flessibilita' in  uscita  solamente  per  chi  intende
abbandonare pressoche' del tutto l'attivita' lavorativa e  il  favore
per un ricambio generazionale nelle attivita' produttive. 
Sulla non manifesta infondatezza. 
    Cio'  che  appare  evidente  nella  vicenda  in   esame   e'   la
sproporzione tra  i  redditi  da  lavoro  dipendente  conseguiti  dal
ricorrente (euro 1.099,47 lordi nel 2019 ed  euro  373,00  lordi  nel
2020, per complessivi euro 1.472,47) e i ratei di pensione anticipata
negati per effetto dell'incumulabilita' di cui alla norma  scrutinata
(euro 27.767,17 quanto ai ratei da maggio 2019 ad agosto 2020 oggetto
di ripetizione ed euro  6.741,52  quanto  ai  ratei  da  settembre  a
dicembre 2020, per complessivi euro 34.508,69). 
    Come ha  rilevato  Corte  costituzionale  n.  241  del  2016,  la
disciplina della cumulo tra pensione e  redditi  da  lavoro  ha  dato
luogo nel corso  del  tempo  a  un  contesto  normativo  «quanto  mai
mutevole». 
    In relazione alla pensione di vecchiaia - la quale  si  inserisce
nel sistema di sicurezza sociale delineato al rischio del  lavoratore
di perdere o di diminuire il proprio guadagno, mancando dei mezzi  di
sussistenza, quando, con il venir meno delle forze per vecchiaia, non
e' piu' in grado di lavorare (sent. n. 416 del 1999 e sentenza 30 del
1976) - secondo il giudice delle leggi non e' di per se'  illegittima
la riduzione del trattamento di pensione, nel caso  di  concorso  con
altra prestazione retribuita, essendo ragionevole che il  legislatore
tenga conto della maggiorazione di compensi derivante al pensionato a
seguito della nuova attivita' in  quanto  la  funzione  previdenziale
della pensione non si esplica, o almeno viene  notevolmente  ridotta,
quando il lavoratore si trovi ancora in godimento di  un  trattamento
di attivita' (sent. n. 275 del 1976). Tuttavia alla percezione di  un
reddito da lavoro e' ragionevole che  consegua  una  diminuzione  del
trattamento  pensionistico  solo   quando   l'ammontare   del   primo
giustifichi la misura della seconda;  quindi  non  e'  legittima  una
disposizione che  stabilisca  la  sospensione  dell'erogazione  della
pensione in conseguenza della percezione di redditi da  lavoro  senza
dare rilievo alla  misura  dell'emolumento  percepito  per  la  nuova
attivita' (sent. n. 197 del 2010; sentenza n. 232 del 1992,  sentenza
n. 204 del 1992 e sentenza n. 566 del 1989). 
    In ordine alle  pensioni  di  anzianita'  o  comunque  anticipate
(quale quella di cui e' titolare il ricorrente nel giudizio a quo)  -
le  quali,  prescindendo  dal  compimento   dell'eta'   pensionabile,
costituiscono un beneficio riconosciuto dal legislatore unicamente in
ragione dello svolgimento per un tempo  predeterminato  di  attivita'
lavorativa che costituisce l'adempimento del dovere ex art.  4  Cost.
di concorrere al progresso  materiale  o  spirituale  della  societa'
(sent. 241 del 2016, sent n. 416 del 1999, sentenza n. 194 del 1991 e
sentenza n. 155  del  1969) -  secondo  il  giudice  delle  leggi  la
garanzia dell'art. 38, comma 2 Cost.,  proprio  perche'  legata  allo
stato di bisogno, e' riservata alle  pensioni  che  trovano  la  loro
causa nella cessazione dell'attivita' lavorativa per ragioni di  eta'
e, quindi, non si estende alle  pensioni  di  anzianita'  o  comunque
anticipate. Ne deriva che il godimento di questi  ultimi  trattamenti
pensionistici, rappresentando un beneficio discrezionalmente concesso
dal legislatore a prescindere  dall'eta'  pensionabile,  puo'  essere
limitato al solo caso di cessazione effettiva del lavoro  e,  quindi,
sono costituzionalmente  legittime  le  normative  che  prevedono  il
totale divieto di cumulo delle pensioni di anzianita' con il  reddito
da lavoro dipendente (sent. n. 416 del  1999,  sentenza  n.  433  del
1994, ordinanza n. 47 del 1994, sentenza n. 576 del 1989  e  sentenza
n. 155 del 1969). 
    Si e' gia' statuito (seni n.  416  del  1999)  che  tale  divieto
costituisce l'espressione di un  non  irragionevole  esercizio  della
discrezionalita' spettante al legislatore, atteso che  trova  la  sua
spiegazione  sia  nella  tendenza  legislativa  a  disincentivare  il
conseguimento  di  una  prestazione  anticipata   rispetto   all'eta'
pensionabile, sia nella considerazione delle esigenze di bilancio (il
cui carattere contingente da' ragione  anche  della  mutevolezza  nel
tempo della disciplina in tema di cumulo tra pensioni  e  redditi  da
lavoro). 
    Quindi l'art.  14,  comma  3  decreto-legge  n.  4/2019,  laddove
prevede l'incumulabilita' assoluta  tra  pensione  anticipata  «quota
100» e redditi da lavoro dipendente, non appare in contrasto  con  il
precetto costituzionale dell'art. 38, comma 2 Cost. 
    Lo stesso puo' dirsi dei parametri ex art. 4  e  36  Cost.,  pure
invocati dal ricorrente, secondo cui il divieto di  cumulo  impone  a
colui che esercita il diritto al lavoro  un  sacrificio  (la  perdita
della pensione per un intero anno)  sproporzionato  e  irragionevole;
infatti, come ha gia' statuito il giudice delle leggi,  quel  divieto
impone solamente  una  scelta  tra  la  sospensione  del  trattamento
pensionistico e la rinuncia ad assumere un nuovo rapporto  di  lavoro
alle dipendenze di terzi (sent. n. 433 del 1994, n. 576 del 1989 e n.
531 del 1988). 
    Di contro non appare manifestamente infondata la questione  della
conformita' al principio di eguaglianza formale ex  art.  3,  comma 1
Cost. dell'art. 14, comma 3 decreto-legge n. 4/2019  nella  parte  in
cui prevede l'incumulabilita' della pensione anticipata  «quota  100»
con i redditi da lavoro dipendente qualunque sia il  loro  ammontare,
mentre consente di conservare detto trattamento pensionistico qualora
i redditi da lavoro autonomo occasionale non superino  il  limite  di
euro 5.000 lordi all'anno. 
    Questo giudice non ignora che nella pronuncia n. 433 del 1994  la
Consulta,  chiamata  a  decidere   se   l'art.   10   ultimo   comma,
decreto-legge 29 gennaio 1983, n. 17 convertito  in  legge  25  marzo
1983, n. 79 e l'art. 22, legge n. 253/1969, n. 153,  nella  parte  in
cui disponevano il divieto di  cumulo  di  trattamento  pensionistico
anticipato con redditi di lavoro  dipendente,  violassero  l'art.  3,
comma 1 Cost. per  l'ingiustificata  disparita'  di  trattamento  nei
confronti dei pensionati che svolgevano lavoro autonomo, ha statuito:
«Diversificate  sono  anzitutto  le  posizioni  dei  pensionati   che
svolgono lavoro autonomo rispetto a quelli  che  prestano,  attivita'
retribuita alle  dipendenze  di  terzi,  per  la  stessa  diversita',
ripetutamente affermata anche dalla Corte,  dei  rispettivi  rapporti
che  danno  causa  al  reddito  percepito  oltre   la   pensione,   e
specificamente,  quanto  al  profilo  che  qui  interessa,   per   la
diversita'  dei  relativi  sistemi  contributivi.  E  cio'  anche   a
prescindere dalla considerazione, pur di non lieve  momento,  che  lo
scopo   di   disincentivare    l'attivita'    lavorativa    prestata,
successivamente al collocamento a riposo, in  posizione  subordinata,
potrebbe  costituire  l'espressione  di  un  indirizzo  di   politica
legislativa, inteso a rimuovere ostacoli all'accesso dei  giovani  ad
occasioni lavorative. Tali ostacoli quasi sempre non sono  costituiti
dall'espletamento  di  un'attivita'  libero  professionale,  dato  il
carattere  della  relativa  prestazione   che   normalmente   implica
l'impiego di risorse  specifiche  al  soggetto  che  la  fornisce  e,
quindi, non attuabile da parte di qualsiasi soggetto». 
    Tuttavia nel caso in esame la controversia concerne non  gia'  il
sistema contributivo cui deve esser assoggettata la  nuova  attivita'
lavorativa svolta dal pensionato, ma le conseguenze  che  l'esercizio
di tale attivita' produce sulla spettanza della pensione  anticipata,
di cui il prestatore e' titolare, nell'anno di percezione dei redditi
da lavoro dipendenti. 
    Inoltre, rispetto al contesto  normativo  vigente  nel  1994,  la
distinzione tra lavoro subordinato e  lavoro  autonomo  non  e'  piu'
cosi'  nitida,  stante  l'introduzione   nell'ordinamento   dei   cd.
contratti di lavoro atipici. Esemplare in proposito e' la vicenda  in
esame,  dove  le  prestazioni  svolte  dal  pensionato  costituiscono
esecuzione di un rapporto di lavoro intermittente  senza  obbligo  di
disponibilita' a rispondere alle chiamate,  di  cui  in  dottrina  si
dubita   addirittura   l'origine   contrattuale   e    comunque    la
riconducibilita' nell'alveo della  subordinazione.  Puo'  aggiungersi
che lavoro intermittente e privo del carattere della continuita'  che
rappresenta uno degli elementi sintomatici della subordinazione. 
    Occorre, altresi', evidenziare che in una pronuncia piu'  recente
(sent. n. 416 del 1999)  il  giudice  delle  leggi  ha  ritenuto  non
esservi tra  attivita'  di  lavoro  dipendente  e  quelle  di  lavoro
autonomo differenze tali da  richiedere  un  diverso  trattamento  in
materia di cumulo. 
    Infine,  se  si  considerano   gli   obiettivi   perseguiti   dal
legislatore mediante l'introduzione della pensione anticipata ex art.
14, decreto-legge n. 4/2019, ossia garantire flessibilita' in  uscita
a coloro che intendono andare in pensione in data anteriore a  quella
prevista  dalla  disciplina  ordinaria   e   favorire   un   ricambio
generazionale nelle attivita' produttive, e' agevole evidenziare  che
lo svolgimento di attivita' di lavoro dipendente, che sia  produttiva
di redditi non superiori a euro 5.000,00 lordi, non fa dubitare della
volonta' del prestatore di conservare la qualita' di pensionato,  ne'
incide  negativamente  sul  ricambio  generazionale  nell'occupazione
stabile, specie se esercitata in esecuzione di  contratti  di  lavoro
atipici, quanto meno non in misura maggiore rispetto  a  un'attivita'
di lavoro autonoma occasionale produttiva di redditi entro lo  stesso
limite.