ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  4-bis,
comma  1-quater,  della  legge  26  luglio  1975,   n.   354   (Norme
sull'ordinamento  penitenziario  e  sulla  esecuzione  delle   misure
privative e limitative della liberta'),  promosso  dal  Tribunale  di
sorveglianza di Messina, nel procedimento di sorveglianza ad  istanza
di S. N., con ordinanza del 6 dicembre 2019, iscritta al  n.  59  del
registro ordinanze 2021 e pubblicata nella Gazzetta  Ufficiale  della
Repubblica n. 19, prima serie speciale, dell'anno 2021. 
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nella camera di consiglio del 12 gennaio  2022  il  Giudice
relatore Franco Modugno; 
    deliberato nella camera di consiglio del 12 gennaio 2022. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza del 6 dicembre 2019 (reg. ord. n. 59 del 2021),
pervenuta  a  questa  Corte  il  12  aprile  2021,  il  Tribunale  di
sorveglianza di Messina ha sollevato, in riferimento agli artt.  3  e
27  della  Costituzione,  questioni  di  legittimita'  costituzionale
dell'art. 4-bis, comma 1-quater, della legge 26 luglio 1975,  n.  354
(Norme sull'ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure
privative e limitative della liberta'), nella parte  in  cui  prevede
che i  benefici  di  cui  al  comma  1  possano  essere  concessi  al
condannato per i delitti di cui agli  artt.  609-bis  e  609-ter  del
codice penale (violenza sessuale e violenza sessuale aggravata)  solo
sulla  base  dei  risultati   dell'osservazione   scientifica   della
personalita' condotta collegialmente per almeno un anno. 
    1.1.- Il giudice a quo premette di essere investito  dell'istanza
di concessione delle misure alternative alla detenzione di  cui  agli
artt. 47, 47-ter o 50 ordin.  penit.,  presentata  da  un  condannato
«attualmente in regime di cui all'art. 656 c. 10 c.p.p.» in relazione
alla pena di tre anni  e  sei  mesi  di  reclusione  inflittagli  dal
Giudice  dell'udienza  preliminare   del   Tribunale   ordinario   di
Barcellona Pozzo di Gotto con sentenza del 7  giugno  2017,  divenuta
definitiva il 7 febbraio 2019, «per i reati di  cui  agli  artt.  605
commi 1 e 3, 61 n. 2 c.p.; 609 bis, 609 bis comma 3, 609 ter comma  1
n. 3, 609 septies, comma 3 nn. 1 e 2, 61 n. 5 c.p.; 582, 585, 576 nn.
1 e 5 c.p.», commessi il 23 febbraio 2017. 
    Il rimettente rileva che l'interessato e' stato  condannato,  tra
gli altri, per il reato di  violenza  sessuale  aggravata  e  che  il
giudice della cognizione ha formulato un giudizio di equivalenza  tra
l'attenuante di cui al terzo comma dell'art. 609-bis cod. pen.  e  le
aggravanti contestate, tra cui quella di cui  all'art.  609-ter  cod.
pen.: il  che  -  ad  avviso  del  giudice  a  quo  -  determinerebbe
l'operativita' del regime preclusivo stabilito dall'art. 4-bis, comma
1-quater,  ordin.  penit.,  in  base  al  quale  il  condannato   per
determinati delitti contro  la  liberta'  sessuale,  tra  cui  quelli
previsti dagli artt. 609-bis e 609-ter cod.  pen.,  puo'  fruire  dei
benefici penitenziari solo sulla base dei risultati dell'osservazione
scientifica della personalita' condotta collegialmente «per almeno un
anno». 
    Nella specie, il condannato non e' stato oggetto, per fatti a lui
non addebitabili, di  osservazione  scientifica  della  personalita':
sicche', dovendo espiare una pena residua di durata  inferiore  a  un
anno di reclusione - essendo il fine pena previsto per il 24 febbraio
2020 - non  avrebbe  alcuna  possibilita'  di  accedere  alle  misure
alternative  richieste,  se  non  a  seguito  della  declaratoria  di
illegittimita'  costituzionale  della  norma  censurata;   donde   la
rilevanza delle questioni. 
    1.2.- Quanto alla non manifesta infondatezza, il  giudice  a  quo
ritiene che la norma censurata si ponga in contrasto anzitutto con il
principio di ragionevolezza, stabilito dall'art. 3 Cost. 
    Il rimettente censura, in particolare, la rigidita' del parametro
temporale fissato dal legislatore, il quale ha  previsto  una  soglia
minima unica e indifferenziata, basata sulla presunzione assoluta per
cui, ai fini della valutazione circa la meritevolezza del  beneficio,
l'osservazione scientifica della personalita' del  condannato  per  i
reati in questione deve durare almeno un anno. 
    Tale previsione apparirebbe irragionevole, specie  nelle  ipotesi
in cui la pena residua da espiare sia inferiore a  un  anno,  essendo
ben possibile che un'attenta e scrupolosa osservazione per  un  tempo
piu'  ridotto  sia  sufficiente  a  studiare  la   personalita'   del
condannato per  reato  sessuale  e  a  formulare  un  giudizio  circa
l'idoneita' o meno di una misura alternativa a rieducare il reo  e  a
prevenire il rischio della commissione di reati. 
    Affinche' il dettato costituzionale possa  ritenersi  rispettato,
la durata dell'osservazione necessaria per l'ammissione al  beneficio
dovrebbe  essere  legata  all'effettiva  personalita'  del  reo,   in
relazione alla quale un anno potrebbe rivelarsi  in  alcuni  casi  un
tempo eccessivamente lungo, in  altri  un  tempo  adeguato  o  ancora
troppo breve. 
    L'irragionevolezza  della  norma  risulterebbe  evidente  ove  si
consideri  che,  ai  fini  dell'individualizzazione  del  trattamento
penitenziario, l'art. 13 ordin. penit. prevede che  lo  stesso  «deve
rispondere ai  particolari  bisogni  della  personalita'  di  ciascun
soggetto» e che  tutti  i  condannati  debbano  essere  sottoposti  a
osservazione scientifica della personalita' «per rilevare le  carenze
psicofisiche o le altre cause che hanno condotto al  reato».  Proprio
in base ai risultati dell'osservazione  si  redige  il  programma  di
trattamento, la cui prima formulazione deve avvenire entro  sei  mesi
dall'inizio dell'esecuzione. Per i reati diversi da  quelli  sessuali
indicati  dall'art.  4-bis,  comma  1-quater,   ordin.   penit.,   il
legislatore ha, quindi,  scelto  di  non  predeterminare  un  termine
minimo rigido, sul presupposto che  la  durata  dell'osservazione  e'
strettamente e fisiologicamente legata alla  «storia»  del  soggetto:
anzi, ha indicato un termine massimo di  sei  mesi  per  evitare  che
un'osservazione  troppo  lunga  possa  incidere   negativamente   sul
percorso di trattamento del detenuto,  impedendogli  di  ottenere  un
programma funzionale al reinserimento. 
    Sul   punto,    l'irragionevolezza    della    norma    censurata
determinerebbe, quindi, anche una disparita'  di  trattamento  tra  i
cosiddetti «sex offenders» e gli autori  di  altri  reati,  anche  di
particolare allarme sociale, per i quali e' possibile  accedere  alle
misure alternative sulla base di  un'osservazione  scientifica  della
personalita' legata all'effettivo «profilo» del condannato. 
    La  norma  denunciata  determinerebbe,  ancora,   l'irragionevole
conseguenza che il condannato per reato  sessuale  a  una  pena  piu'
severa, per aver commesso un fatto piu'  grave,  ha  la  prospettiva,
previa osservazione annuale, di ottenere una  misura  alternativa,  a
differenza di chi, condannato per un fatto meno grave, debba  espiare
una pena, anche residua, inferiore a un anno di reclusione, il  quale
non potrebbe mai accedere al beneficio. 
    Il  rimettente  ricorda,  inoltre,  come  i  rigidi   automatismi
preclusivi,  basati   su   presunzioni   di   pericolosita'   sociale
dell'autore di reati che destano particolare allarme  sociale,  siano
stati ripetutamente oggetto di censura - tanto  nella  materia  delle
misure cautelari, quanto in relazione alla fase di  esecuzione  della
pena - da parte della giurisprudenza di questa  Corte,  la  quale  ha
posto  in  evidenza  l'esigenza  di  lasciare  al  giudice  spazi  di
discrezionalita'   per   effettuare    valutazioni    flessibili    e
individualizzate. 
    Sempre per  affermazione  di  questa  Corte,  d'altro  canto,  le
presunzioni assolute debbono ritenersi arbitrarie e  irrazionali  ove
non  fondate  sull'id  quod  plerumque  accidit,  ossia  su  dati  di
esperienza generalizzati, e quindi nelle ipotesi in cui  sia  agevole
formulare ipotesi di accadimenti reali contrari alla generalizzazione
posta  alla  base  della  presunzione.  Nella  specie,  sarebbe   ben
possibile che un'osservazione della personalita'  dell'autore  di  un
reato sessuale  condotta  per  un  tempo  inferiore  a  un  anno  sia
sufficiente per tratteggiare il «quadro personologico» del soggetto e
per stabilire se lo stesso debba avviare un percorso  di  trattamento
extramurario. Cio', salvo che si intenda assegnare  alla  presunzione
assoluta in questione un carattere meramente afflittivo. 
    1.3.- Per  questo  verso,  la  norma  censurata  si  porrebbe  in
contrasto anche con l'art. 27 Cost. 
    La funzione rieducativa della pena verrebbe, infatti, compromessa
dalla rigida soglia temporale fissata dal legislatore, specie  quando
il  condannato  debba  espiare  una  pena  inferiore  a  un  anno  di
reclusione. In questi casi, soltanto un  vaglio  nel  merito,  previa
osservazione della personalita' di congrua durata,  consentirebbe  di
individuare la modalita' di espiazione della pena  in  concreto  piu'
idonea a rieducare il reo. 
    L'inevitabile espiazione della pena in regime  carcerario  -  per
almeno un anno, o dell'intera pena, quando questa sia inferiore a  un
anno - potrebbe quindi avere un'efficacia meramente  afflittiva,  con
soddisfacimento delle esigenze di prevenzione generale,  sacrificando
pero' la funzione rieducativa e di recupero  del  condannato  cui  la
pena deve aspirare, anche se inflitta  nei  confronti  di  autori  di
reati particolarmente gravi, quale la violenza sessuale. 
    2.- E' intervenuto in giudizio il Presidente  del  Consiglio  dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, chiedendo che le questioni siano  dichiarate  inammissibili  o
non fondate. 
    2.1.- Ad avviso della  difesa  statale,  le  questioni  sarebbero
inammissibili per  difetto  di  rilevanza,  in  quanto,  nel  momento
dell'adozione dell'invocata  pronuncia  di  questa  Corte,  la  norma
censurata non risulterebbe piu' applicabile nel giudizio  principale,
discutendosi di fattispecie nella quale il fine pena era  fissato  al
24 febbraio 2020. 
    L'oggettiva impossibilita'  che  la  decisione  di  questa  Corte
intervenisse prima dello scadere di tale termine avrebbe  reso  priva
di effetti, nel procedimento  a  quo,  un'eventuale  declaratoria  di
illegittimita'  costituzionale,  di  cui  l'interessato  non  avrebbe
potuto, comunque sia, beneficiare. 
    2.2.- Nel merito, le  questioni  sarebbero,  in  ogni  caso,  non
fondate. 
    Il comma  1-quater  dell'art.  4-bis  ordin.  penit.,  introdotto
dall'art. 3, comma 1, lettera a), del decreto-legge 23 febbraio 2009,
n. 11 (Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica e di contrasto
alla  violenza  sessuale,  nonche'  in  tema  di  atti  persecutori),
convertito, con modificazioni, nella legge 23  aprile  2009,  n.  38,
stabilisce  che  «i  benefici  di  cui  al  comma  1»  -  e,   cioe',
«l'assegnazione al lavoro esterno, i  permessi  premio  e  le  misure
alternative  alla  detenzione  previste  dal  capo  VI,  esclusa   la
liberazione anticipata» -  possono  essere  concessi  ai  detenuti  o
internati per una serie di delitti di natura sessuale,  tra  i  quali
quelli di cui  all'art.  609-bis  (salvo  che  risulti  applicata  la
circostanza attenuante dallo stesso contemplata) e  all'art.  609-ter
cod.  pen.,  solo  sulla   base   dei   risultati   dell'osservazione
scientifica della personalita' condotta collegialmente per almeno  un
anno, anche con la partecipazione degli esperti di cui  all'art.  80,
quarto comma, ordin. penit. 
    Si tratta di un periodo di osservazione prescritto quoad titulum,
avendo la norma introdotto una presunzione di pericolosita' «per tipo
d'autore», superabile solo all'esito di una positiva osservazione del
condannato avente il contenuto  previsto  e  la  durata  indicata,  e
svolta secondo le modalita' descritte. 
    Tale  disciplina  costituirebbe   frutto   di   una   valutazione
discrezionale del legislatore, sindacabile solo  ove  trasmodi  nella
manifesta  irragionevolezza  o  nell'arbitrio,  com'e'  in   generale
rispetto alle scelte inerenti al trattamento sanzionatorio, stante la
natura tipicamente  politica  degli  apprezzamenti  «in  ordine  alla
"meritevolezza" e al "bisogno di pena"». 
    Nella specie,  la  scelta  espressa  dalla  norma  censurata  non
apparirebbe  irragionevole,  ne'  contrastante   con   la   finalita'
rieducativa della pena. 
    La peculiare ratio che giustifica il periodo di osservazione  nei
confronti di soggetti condannati per violenza sessuale e' stata,  del
resto, «ulteriormente rimarcata» dalla legge 1° ottobre 2012, n.  172
(Ratifica ed esecuzione della Convenzione del Consiglio d'Europa  per
la protezione dei minori contro lo sfruttamento e  l'abuso  sessuale,
fatta a Lanzarote il 25 ottobre 2007, nonche'  norme  di  adeguamento
dell'ordinamento  interno),  che,  modificando  l'art.  4-bis,  comma
1-quater, ordin. penit., ha ampliato l'elenco dei delitti rispetto ai
quali l'accesso ai benefici penitenziari e' subordinato ai  risultati
positivi  dell'osservazione  scientifica   della   personalita'   del
condannato per almeno un anno. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.-  Il  Tribunale  di  sorveglianza  di  Messina  dubita   della
legittimita' costituzionale dell'art. 4-bis,  comma  1-quater,  della
legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull'ordinamento penitenziario  e
sulla esecuzione delle misure privative e limitative della liberta'),
nella parte in cui prevede che i benefici di cui al comma  1  possono
essere concessi al condannato per i delitti di cui agli artt. 609-bis
e 609-ter del codice penale (violenza sessuale  e  violenza  sessuale
aggravata)  solo   sulla   base   dei   risultati   dell'osservazione
scientifica della personalita' condotta collegialmente per almeno  un
anno. 
    Ad avviso del  giudice  a  quo,  la  norma  censurata  violerebbe
anzitutto l'art. 3 della Costituzione per contrasto con il  principio
di ragionevolezza, in quanto il rigido e unitario parametro temporale
fissato dal legislatore - che preclude in modo assoluto l'accesso  ai
benefici  allorche'  la  pena  da  espiare,  anche  residua,  risulti
inferiore  a  un  anno  -  si  baserebbe  su  presunzione   assoluta,
arbitraria e irrazionale, essendo ben possibile  che  un'osservazione
per un tempo piu' ridotto sia sufficiente a studiare la  personalita'
del condannato per un reato sessuale e a formulare un giudizio  circa
l'idoneita' di una misura alternativa alla detenzione a rieducarlo  e
a prevenire il rischio della commissione di reati. 
    La norma sottoposta a  scrutinio  determinerebbe,  altresi',  una
irragionevole disparita' di trattamento  tra  gli  autori  dei  reati
sessuali  considerati  e  gli  autori  di  altri  reati,   anche   di
particolare allarme sociale, i quali  possono  accedere  alle  misure
alternative  sulla  base   di   un'osservazione   scientifica   della
personalita'  la  cui  durata  resta  legata  all'effettivo   profilo
personale del soggetto. 
    Si  registrerebbe   anche   una   irragionevole   disparita'   di
trattamento tra gli stessi autori di reati  sessuali.  Il  condannato
per reato sessuale a una pena piu' severa, in  quanto  autore  di  un
fatto piu' grave, puo' infatti ottenere, previa osservazione annuale,
una misura alternativa, diversamente dal condannato  per  fatto  meno
grave che, dovendo espiare una pena, anche residua,  inferiore  a  un
anno di  reclusione,  non  ha  alcuna  possibilita'  di  accedere  ai
benefici. 
    Sarebbe violato inoltre l'art. 27  Cost.,  in  quanto  la  rigida
soglia  temporale   in   questione,   precludendo   una   valutazione
individualizzante, farebbe si'  che  l'inevitabile  espiazione  della
pena in regime carcerario per almeno un anno, o dell'intera pena,  se
inferiore all'anno, possa assumere un carattere meramente afflittivo,
sacrificando la funzione rieducativa. 
    2.- Il Presidente del Consiglio  dei  ministri,  intervenuto  nel
giudizio a mezzo dell'Avvocatura generale dello  Stato,  ha  eccepito
l'inammissibilita' delle questioni per difetto  di  rilevanza,  sulla
considerazione che alla data dell'ordinanza di rimessione (6 dicembre
2019) appariva ampiamente prevedibile  che  l'invocata  pronuncia  di
questa Corte sarebbe rimasta priva di effetti  nel  giudizio  a  quo,
essendo oggettivamente impossibile che essa  intervenisse  prima  del
termine di fine  pena  del  condannato  istante  (24  febbraio  2020:
termine, in fatto, gia' spirato nel momento  in  cui  l'ordinanza  di
rimessione e' pervenuta a questa Corte,  stante  il  ritardo  con  il
quale la cancelleria  del  giudice  a  quo  ha  provveduto  alla  sua
trasmissione). 
    L'eccezione non e' fondata. 
    Per costante giurisprudenza di questa Corte, dall'art.  21  delle
Norme integrative per i giudizi davanti  alla  Corte  costituzionale,
nel  nuovo  testo  approvato  con  delibera  del   22   luglio   2021
(corrispondente  al  precedente  art.  18,  in   vigore   alla   data
dell'ordinanza di rimessione), si desume  un  principio  generale  di
autonomia del giudizio incidentale di  costituzionalita',  che,  come
tale, non risente delle vicende di fatto successive all'ordinanza  di
rimessione concernenti il rapporto dedotto nel  giudizio  principale:
sicche' la rilevanza delle  questioni  rispetto  alla  decisione  del
processo a quo deve essere  vagliata  ex  ante,  con  riferimento  al
momento della prospettazione delle  questioni  stesse  (ex  plurimis,
sentenze n. 127 del 2021, n. 270 e n. 85 del 2020). 
    Nella  specie,  l'incidente  di  legittimita'  costituzionale  e'
scaturito dalla richiesta del condannato  di  concessione  di  misure
alternative alla detenzione in relazione a una pena in  quel  momento
non ancora interamente espiata, con conseguente obbligo  del  giudice
rimettente di verificare la concedibilita'  delle  misure  richieste,
tenuto conto della preclusione stabilita dalla norma censurata. 
    A fronte di cio', la circostanza che, nelle more del giudizio  di
legittimita' costituzionale, il condannato abbia finito di espiare la
pena -  stante  anche  l'esiguita'  della  frazione  di  essa  ancora
ineseguita - non elide, di per se', comunque sia, la rilevanza  delle
questioni (con riguardo a fattispecie similare,  sentenza  n.  7  del
2022). 
    3.- Le questioni sono, tuttavia, inammissibili  per  una  diversa
ragione, rilevabile ex officio, legata all'insufficiente  descrizione
della  fattispecie  concreta  e  al  difetto  di  motivazione   sulla
rilevanza. 
    Il giudice rimettente riferisce che l'istante nel procedimento  a
quo e' stato condannato, con sentenza divenuta  irrevocabile,  a  tre
anni e sei mesi di reclusione per tre  diversi  reati:  sequestro  di
persona aggravato, violenza sessuale aggravata  e  lesioni  personali
aggravate.  Di  questi,  pero',  uno  solo  -  la  violenza  sessuale
aggravata - e' ostativo alla concessione dei benefici penitenziari ai
sensi della norma censurata. 
    In  simile  situazione,  sarebbe  stato  onere   del   rimettente
verificare e specificare a quale,  o  a  quali,  di  tali  reati  era
imputabile la modesta frazione di pena residua (due mesi  e  diciotto
giorni di reclusione)  che  -  sempre  secondo  quanto  riferito  dal
rimettente stesso - l'interessato doveva ancora  scontare  alla  data
dell'ordinanza  di  rimessione  (e'  da  supporre,  a  seguito  dello
scomputo del periodo di tempo trascorso in custodia cautelare o  agli
arresti domiciliari prima della condanna definitiva). 
    La giurisprudenza di legittimita' e', infatti, da tempo  costante
nel ritenere che, nel caso di cumulo, materiale o giuridico, di  pene
inflitte per diversi titoli  di  reato,  alcuni  dei  quali  soltanto
compresi nell'elenco dell'art. 4-bis ordin. penit., occorre procedere
allo  scioglimento  del  cumulo,  venendo  meno  l'impedimento   alla
fruizione dei benefici penitenziari qualora l'interessato abbia  gia'
espiato la parte di pena relativa ai reati ostativi (ex plurimis, con
riguardo al cumulo materiale,  Corte  di  cassazione,  sezione  prima
penale, sentenza  18  giugno-20  luglio  2021,  n.  28141;  Corte  di
cassazione, sezione prima penale, sentenza 11 dicembre 2020-7  aprile
2021, n. 13041; con riguardo al  cumulo  giuridico,  conseguente,  in
particolare, all'applicazione della disciplina del reato  continuato,
Corte di cassazione, sezione prima  penale,  sentenza  29  novembre-7
dicembre 2016, n. 52182; Corte di cassazione, sezione  prima  penale,
sentenza  31  marzo-26  luglio  2016,  n.  32419):  con   l'ulteriore
precisazione che, a questi fini, deve ritenersi scontata per prima la
pena piu' gravosa per il reo, ossia quella riferibile  ai  reati  che
non consentirebbero l'accesso ai benefici (tra  le  altre,  Corte  di
cassazione, sezione prima penale, sentenza n. 28141 del  2021;  Corte
di cassazione, sezione prima  penale,  sentenza  28  ottobre  2015-22
febbraio 2016, n. 6817). 
    Tale indirizzo giurisprudenziale recepisce le indicazioni fornite
da  questa  Corte  con  la  sentenza  n.  361  del  1994,  la  quale,
dichiarando non fondata nei sensi di cui in motivazione la  questione
al riguardo sollevata, ha escluso che la disciplina  dell'art.  4-bis
ordin.  penit.  abbia  creato  uno  status  di  detenuto   pericoloso
destinato  a  permeare  di  se'  l'intero   rapporto   esecutivo,   a
prescindere dallo  specifico  titolo  di  condanna  concretamente  in
esecuzione. 
    La lacunosita', su questo  punto,  dell'ordinanza  di  rimessione
impedisce,  dunque,  di  verificare   l'effettiva   rilevanza   delle
questioni: il che, per costante giurisprudenza di  questa  Corte,  ne
determina l'inammissibilita' (ex plurimis, ordinanze n. 136 del 2021,
n. 147 e n. 108 del 2020, n. 64 del 2019).  Le  questioni  sarebbero,
infatti, prive di rilievo ove la frazione di pena ancora da  scontare
fosse imputabile ai soli reati non ostativi. 
    4.- Le questioni vanno dichiarate, pertanto, inammissibili.