ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di  ammissibilita',  ai  sensi  dell'art.  2,  primo
comma,  della  legge  costituzionale  11  marzo  1953,  n.  1  (Norme
integrative della Costituzione concernenti la Corte  costituzionale),
della richiesta di referendum popolare per l'abrogazione della  legge
13  aprile  1988,  n.   117   (Risarcimento   dei   danni   cagionati
nell'esercizio delle funzioni giudiziarie  e  responsabilita'  civile
dei  magistrati),  e   successive   integrazioni   e   modificazioni,
limitatamente alle seguenti parti: 
    - art. 2, comma 1, limitatamente alle parole «contro lo Stato»; 
    - art. 4, comma 2, limitatamente alle parole «contro lo Stato»; 
    - art. 6, comma 1, limitatamente alle  parole  «non  puo'  essere
chiamato in causa ma»; 
    - art. 16,  comma  4,  limitatamente  alle  parole  «in  sede  di
rivalsa,»; 
    - art. 16, comma 5, limitatamente  alle  parole  «di  rivalsa  ai
sensi dell'articolo 8», giudizio iscritto  al  n.  177  del  registro
referendum. 
    Vista l'ordinanza del 29 novembre 2021  con  la  quale  l'Ufficio
centrale  per  il  referendum  presso  la  Corte  di  cassazione   ha
dichiarato conforme a legge la richiesta; 
    udito nella camera di consiglio del 15 febbraio 2022  il  Giudice
relatore Augusto Antonio Barbera; 
    uditi gli avvocati Sonia Sau per la Regione autonoma  Sardegna  e
Giovanni Guzzetta per i Consigli regionali delle  Regioni  Lombardia,
Basilicata,  Friuli-Venezia  Giulia,  Sardegna,   Liguria,   Sicilia,
Umbria, Veneto e Piemonte; 
    deliberato nella camera di consiglio del 16 febbraio 2022. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza del 29 novembre 2021, depositata il 1° dicembre
2021, l'Ufficio centrale per  il  referendum,  costituito  presso  la
Corte di Cassazione, ai sensi dell'art.  12  della  legge  25  maggio
1970, n. 352 (Norme sui  referendum  previsti  dalla  Costituzione  e
sulla iniziativa legislativa del popolo), e successive modificazioni,
ha dichiarato conforme alle disposizioni di  legge  la  richiesta  di
referendum popolare abrogativo, promossa dai Consigli regionali delle
Regioni  Lombardia,  Basilicata,  Friuli-Venezia  Giulia,   Sardegna,
Liguria, Sicilia, Umbria, Veneto e Piemonte, sul seguente quesito: 
    «Volete voi che sia abrogata la Legge  13  aprile  1988,  n.  117
(Risarcimento  dei  danni  cagionati  nell'esercizio  delle  funzioni
giudiziarie  e  responsabilita'  civile  dei  magistrati)  nel  testo
risultante dalle modificazioni e integrazioni ad essa successivamente
apportate, limitatamente  alle  seguenti  parti:  art.  2,  comma  1,
limitatamente alle  parole  "contro  lo  Stato";  art.  4,  comma  2,
limitatamente  alle  parole  "contro  lo  Stato";  art.  6,  comma  1
limitatamente alle parole "non puo' essere  chiamato  in  causa  ma";
art. 16, comma 4, limitatamente alle parole "in  sede  di  rivalsa,";
art. 16, comma 5, limitatamente alle  parole  "di  rivalsa  ai  sensi
dell'art. 8"»? 
    1.1.- L'Ufficio centrale ha attribuito la seguente  denominazione
al  quesito:  «Responsabilita'   civile   diretta   dei   magistrati:
abrogazione di norme processuali in tema  di  responsabilita'  civile
dei magistrati per i danni cagionati  nell'esercizio  delle  funzioni
giudiziarie», a seguito della richiesta  di  integrazione,  da  parte
delle  Regioni  interessate,  delle  parole  «Responsabilita'  civile
diretta dei magistrati» all'originario titolo proposto  («Abrogazione
di norme processuali in tema di responsabilita' civile dei magistrati
per i danni cagionati nell'esercizio delle funzioni giudiziarie»). 
    1.2.- Ricevuta comunicazione dell'ordinanza dell'Ufficio centrale
per il referendum, il Presidente di questa Corte ha fissato,  per  la
conseguente deliberazione, la camera di  consiglio  del  15  febbraio
2022, disponendo che ne  fosse  data  comunicazione  ai  presentatori
della richiesta di referendum  e  al  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri, ai sensi dell'art. 33, secondo comma, della  legge  n.  352
del 1970. 
    2.- Le  Regioni  Lombardia,  Basilicata,  Friuli-Venezia  Giulia,
Sardegna, Liguria, Sicilia, Umbria, Veneto e  Piemonte,  con  memoria
depositata l'11 febbraio 2022, chiedono che il  quesito  referendario
sia dichiarato ammissibile. 
    2.1.-  Le  Regioni  promotrici,  per  mezzo  dei  loro   delegati
regionali, ritengono, in particolare, che l'oggetto del  quesito  non
ricada in alcuno dei limiti previsti dall'art. 75 della Costituzione,
ne' su leggi ad esso collegate, ne' tantomeno che la materia  su  cui
verte il referendum rientri nella categoria delle cosiddette leggi  a
contenuto costituzionalmente vincolato. A tal proposito,  la  memoria
richiama  la  giurisprudenza  di  questa  Corte  che,  in   tema   di
responsabilita' civile dei magistrati, ha riconosciuto al legislatore
la possibilita' di «[s]celte plurime, anche se non illimitate» e  una
«valutazione discrezionale» (vengono citate le  sentenze  n.  26  del
1987 e n. 38 del 2000), sia pure temperando le contrapposte  esigenze
che  vedono  coinvolti,  da  un  lato,  il   soggetto   ingiustamente
danneggiato legittimato a ottenere ristoro per il pregiudizio  subito
e,  dall'altro,  l'indipendenza  della  magistratura.  Considerazioni
queste, che - a parere dei delegati  regionali  -  escludono  che  in
subiecta   materia   vi   sia   la   presenza   di   una   disciplina
costituzionalmente vincolata. 
    2.2.-  Quanto  alla  formulazione   del   quesito,   quest'ultimo
soddisferebbe  i  requisiti  della  chiarezza,   della   coerenza   e
dell'omogeneita', essendo evidente sia il fine  intrinseco  dell'atto
abrogativo, sia  la  matrice  razionalmente  unitaria  da  ricondurre
all'abrogazione  della  norma  speciale  che  limita  allo  Stato  la
legittimazione passiva nel giudizio  di  responsabilita'  civile  del
magistrato.  Secondo  i  delegati   regionali,   infatti,   l'attuale
formulazione del quesito si differenzierebbe dai precedenti  casi  in
cui questa Corte si e' espressa (vengono citate le sentenze n. 34 del
1997 e n. 38  del  2000),  dal  momento  che,  allora,  l'abrogazione
proposta dell'espressione «contro lo Stato» determinava una  mancanza
di chiarezza del  quesito  a  causa  della  particolare  tecnica  del
ritaglio utilizzata.  Al  contrario,  nel  caso  in  esame,  essa  e'
inserita in un diverso ritaglio  normativo  e  lascia  inalterata  la
restante disciplina, evidenziando un chiaro intento teleologico.  Nel
dettaglio, la memoria asserisce che  la  responsabilita'  civile  dei
magistrati, per come strutturata,  non  forma  un  sistema  normativo
autonomo  e  alternativo  a  quello  ordinario  (valevole   per   gli
impiegativi civili dello Stato), ma un corpus normativo speciale  che
si innesta sulla comune  base  costituita  dalle  norme  generali  in
materia, a partire dall'art. 28 Cost. e dal d.P.R. 10  gennaio  1957,
n. 3 (Testo unico concernente lo statuto degli impiegati civili dello
Stato), in cui si stabilisce il principio di responsabilita' generale
e diretta dei funzionari pubblici, e che, rispetto a quella base,  si
pone in rapporto di specialita'. 
    Da questa constatazione le Regioni promotrici sostengono che, la'
dove vengano meno altri elementi «inquinanti» legati ad  una  diversa
formulazione  dei  quesiti  in  passato   dichiarati   inammissibili,
l'eliminazione dell'espressione «contro lo Stato»  possa  sprigionare
un autonomo contenuto normativo, facendo  riespandere  la  disciplina
generale che prevede la coesistenza della disciplina  dello  Stato  e
quella diretta del magistrato, discendente proprio dai citati art. 28
Cost. e d.P.R. n. 3 del 1957. Si profilerebbe,  cosi',  una  naturale
espansione delle norme  regolanti  l'azione  di  responsabilita'  nei
confronti  degli  illeciti  dei  pubblici  impiegati,  eliminando  la
«deroga» soggettiva che  l'espressione  «contro  lo  Stato»  ad  oggi
delinea. Ad avviso dei delegati regionali, poi, l'art. 13 della legge
n. 117 del 1988,  nella  parte  in  cui  prevede  la  responsabilita'
diretta del magistrato nel solo caso di commissione  di  un  illecito
penale,  non  e'  dirimente  ai  fini   di   una   dichiarazione   di
inammissibilita', in quanto la  ridondanza  che  questa  disposizione
verrebbe  ad  assumere  nel  nuovo   sistema   normativo,   delineato
dall'abrogazione    referendaria,    rappresenterebbe     un     mero
«inconveniente», assumendo un diverso significato nel nuovo contesto,
ad ogni modo non rilevabile in sede di giudizio di ammissibilita' del
referendum. 
    2.3.- Coerente, infine, sarebbe anche la logica abrogativa  delle
altre disposizioni interessate dal  quesito.  Quanto  alla  possibile
eccezione secondo cui con la responsabilita' diretta verrebbe meno la
«serenita'» del giudice, i delegati regionali affermano che  essa  e'
da  ricondurre,  al  piu',   all'ambito   della   valutazione   della
legittimita'  costituzionale  della   normativa   di   risulta,   non
rientrante  nel   giudizio   di   ammissibilita'.   Quanto,   invece,
all'abrogazione che interessa gli artt. 6, comma 1, e 16, commi  4  e
5,  essi  sarebbero  diretta  esplicazione  della  preminenza   della
responsabilita' diretta dello Stato nell'attuale sistema  e  la  loro
abrogazione   rappresenterebbe   un   corollario   dell'esigenza   di
omogeneita'  e  chiarezza  del  quesito  proposto.  In   particolare,
relativamente alla formulazione dell'art. 6, comma  1,  l'abrogazione
dell'espressione «non puo' essere chiamato in causa ma»  sarebbe  una
naturale conseguenza del venir meno della possibilita'  solo  per  lo
Stato di essere convenuto in  giudizio  e  a  nulla  rileverebbe  che
residui una disposizione che permette al magistrato  di  intervenire,
ai sensi dell'art. 105 del codice di procedura  civile  (quest'ultimo
sarebbe eventualmente un problema ermeneutico risolvibile sulla  base
delle  norme  processualistiche).  Anche  le   abrogazioni   proposte
nell'art.  16,  commi  4  e  5,  relativi  alla  responsabilita'  dei
componenti degli organi giudiziari collegiali, sarebbero conformi  al
fine   referendario,   permettendo    l'espansione    dei    principi
sull'imputazione della responsabilita' ai membri  di  un  collegio  a
tutte le ipotesi oggetto di giudizio di ammissibilita'. 
    3.- La Regione  autonoma  della  Sardegna,  in  persona  del  suo
Presidente,  e'  intervenuta  nel  presente  giudizio,  con   memoria
depositata l'11 febbraio 2022, a sostegno  dell'ammissibilita'  della
richiesta del referendum  abrogativo.  La  Regione  interveniente  ha
svolto argomentazioni del tutto sovrapponibili a quelle  esposte  dai
delegati regionali. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- La richiesta di referendum abrogativo, su  cui  questa  Corte
deve  pronunciarsi  in  base  all'art.  75,  secondo   comma,   della
Costituzione, riguarda la legge 13 aprile 1988, n. 117  (Risarcimento
dei danni  cagionati  nell'esercizio  delle  funzioni  giudiziarie  e
responsabilita' civile dei magistrati), nel  testo  modificato  dalla
legge 27 febbraio  2015,  n.  18  (Disciplina  della  responsabilita'
civile dei magistrati). 
    Si  tratta  della  normativa  che   disciplina   il   regime   di
responsabilita'   civile   dei   magistrati,   per   danni   arrecati
nell'esercizio delle funzioni loro demandate. 
    1.1.- I delegati dei Consigli regionali delle Regioni  Lombardia,
Basilicata,  Friuli-Venezia  Giulia,  Sardegna,   Liguria,   Sicilia,
Umbria, Veneto e Piemonte, promotori della richiesta  di  referendum,
hanno presentato un'unica memoria, ai sensi dell'art. 32 della  legge
25  maggio  1970,  n.  352  (Norme  sui  referendum  previsti   dalla
Costituzione e sulla iniziativa legislativa del popolo). 
    1.2.- In via preliminare, si deve rilevare che, nella  camera  di
consiglio  del  15  febbraio  2022,  questa   Corte   ha   consentito
l'illustrazione orale delle memorie depositate dai  proponenti  della
richiesta referendaria ai sensi  dell'art.  33,  terzo  comma,  della
legge 25 maggio 1970, n. 352 (Norme  sui  referendum  previsti  dalla
Costituzione e sulla iniziativa legislativa del  popolo),  e,  ancora
prima, ha disposto l'ammissione degli scritti presentati da  soggetti
diversi da  quelli  indicati  dalla  disposizione  ora  richiamata  e
tuttavia  interessati  alla   decisione   sull'ammissibilita'   della
richiesta di referendum, come  contributi  contenenti  argomentazioni
ulteriori rispetto a quelle altrimenti a disposizione della Corte (ex
plurimis, sentenze n. 10 del 2020, n. 5 del 2015, n. 13 del 2012,  n.
28, n. 27, n. 26, n. 25 e n. 24 del 2011). 
    Tale ammissione, che deve essere qui confermata, non  si  traduce
pero' in un diritto di questi soggetti di partecipare al procedimento
- che, comunque, «deve tenersi, e concludersi, secondo una  scansione
temporale definita» (sentenza n. 31 del 2000) - e  di  illustrare  le
relative tesi in camera di consiglio, ma comporta  solo  la  facolta'
della  Corte,  ove  lo  ritenga  opportuno,   di   consentire   brevi
integrazioni orali degli scritti,  come  e'  appunto  avvenuto  nella
camera di consiglio del 15 febbraio 2022, prima che i soggetti di cui
al citato art. 33 abbiano illustrato le rispettive posizioni. 
    2.- Le norme oggetto del quesito referendario sono estranee  alle
materie per le quali l'art. 75,  secondo  comma,  Cost.  preclude  il
ricorso all'istituto del referendum abrogativo. 
    2.1.- Occorre tuttavia verificare  se  il  quesito  rispetti  gli
ulteriori limiti di ammissibilita' del referendum abrogativo  che  la
giurisprudenza di questa Corte, a partire dalla sentenza  n.  16  del
1978, ha costantemente ricavato dall'ordinamento costituzionale. 
    3.- Il quesito, la cui denominazione su  richiesta  dei  soggetti
promotori e' stata corretta dall'Ufficio centrale per  il  referendum
con l'aggiunta della locuzione «Responsabilita'  civile  diretta  dei
magistrati», si  vale  della  cosiddetta  tecnica  del  ritaglio  per
abrogare alcune espressioni lessicali contenute negli artt. 2,  comma
1, 4, comma 2, 6, comma 1, e 16, commi 4 e 5, della legge n. 117  del
1988, al fine di consentire che il  magistrato  possa  essere  citato
direttamente  nel  giudizio  civile   risarcitorio   da   parte   del
danneggiato, cosi' intendendo  superare  la  vigente  normativa  che,
invece, prevede forme di responsabilita' del magistrato solo in  sede
di  rivalsa  da  parte  dello  Stato,  ove  quest'ultimo  sia   stato
condannato  al  risarcimento  (mentre,   in   caso   di   reato,   la
responsabilita' del magistrato non consegue  ad  un'azione  intentata
nei suoi confronti innanzi al giudice civile, se non per  effetto  di
una previa condanna penale). 
    A rendere chiaro un quesito non puo' non concorrere (anche se  in
modo non di  per  se'  decisivo)  la  denominazione  della  richiesta
referendaria, posto che essa viene desunta dall'Ufficio centrale  per
il referendum sulla base del significato obiettivo che  l'abrogazione
produrrebbe nell'ordinamento. Il titolo, da  riprodurre  nella  parte
interna della  scheda  di  votazione,  ha  infatti  la  finalita'  di
identificare l'oggetto del quesito, cosi' da  renderlo  comprensibile
agli elettori chiamati ad esprimere un voto  pienamente  consapevole,
irrinunciabile requisito di  un  atto  libero  e  sovrano  del  corpo
elettorale. 
    4.- Cosi' individuato l'obiettivo delle  Regioni  promotrici,  la
richiesta referendaria e' inammissibile. 
    5.- Una prima ragione di inammissibilita' del quesito attiene  al
suo carattere manipolativo e creativo, e non meramente abrogativo. 
    Come e' noto, l'azione diretta nei confronti del magistrato,  pur
preceduta  dall'autorizzazione  del  Ministro   della   giustizia   e
confinata ad ipotesi estreme di responsabilita', era  prevista  dagli
artt. 55, 56 e 74 del codice di procedura civile, che furono abrogati
con il referendum ritenuto ammissibile con  la  sentenza  n.  26  del
1987. 
    La necessita' che tale  azione  fosse  autorizzata  dal  Ministro
della giustizia, peraltro, contribuiva a diluire  fortemente  la  sua
natura diretta, precludendo la immediata  costituzione  del  rapporto
processuale tra  parte  attrice  e  magistrato.  La  responsabilita',
inoltre, ad ulteriore tutela della indipendenza  della  magistratura,
era ristretta a ipotesi eccezionali, tali da bilanciare, insieme  con
l'autorizzazione di cui si e' detto, la circostanza che il magistrato
potesse essere citato da chi lamentasse un danno (e non invece  dallo
Stato, in sede di rivalsa). 
    Con la legge n. 117 del 1988  il  legislatore,  nel  disciplinare
nuovamente la materia, si era conformato alle indicazioni espresse da
questa Corte con la menzionata sentenza n. 26 del 1987, affinche'  lo
statuto  costituzionale  della  magistratura  fosse  preservato   con
l'introduzione di «condizioni  e  limiti»  alla  responsabilita'  dei
magistrati. 
    Fu cosi' operata una scelta che costituisce a tutt'oggi  uno  dei
tratti  caratterizzanti  della  legislazione,   peraltro   largamente
presente negli ordinamenti degli Stati europei, ovvero  che  l'azione
risarcitoria debba essere indirizzata nei confronti  dello  Stato,  e
che solo all'esito di un'eventuale soccombenza quest'ultimo  disponga
di azione di rivalsa nei confronti del magistrato. 
    Cosi' prevedendo, il legislatore non si e' discostato  dalla  pur
non  vincolante  raccomandazione  CM/Rec  (2010)  del  Comitato   dei
Ministri del Consiglio d'Europa sulle garanzie  di  indipendenza  dei
giudici, il cui punto 67 prevede che «soltanto lo  Stato,  ove  abbia
dovuto concedere una riparazione, puo' richiedere  l'accertamento  di
una responsabilita' civile del giudice attraverso  un'azione  innanzi
ad un tribunale». 
    A seguito della sentenza della  Corte  di  giustizia  dell'Unione
europea, grande sezione, 13 giugno 2006, in causa C-173/03, Traghetti
del Mediterraneo spa, che peraltro non ha  messo  in  discussione  la
natura indiretta della  responsabilita'  civile  del  magistrato,  il
legislatore ha nuovamente posto mano alla materia. La legge n. 18 del
2015, modificativa della legge n. 117 del 1988, ha determinato, da un
lato, un ulteriore ampliamento delle ipotesi di  responsabilita'  del
magistrato  e,  da  un  altro  lato,  ha  eliminato  il   filtro   di
ammissibilita'.  Si  e'  cosi'  consolidato  il  nuovo   modello   di
responsabilita'  indiretta  senza  filtro   di   ammissibilita':   il
magistrato risponde, ma in  sede  di  rivalsa,  dopo  cioe'  che  nei
confronti dello Stato sia stato accertato che,  nell'esercizio  delle
sue  funzioni,  il  primo  abbia  cagionato  con  dolo  o  negligenza
inescusabile un danno ingiusto. 
    6.- L'introduzione dell'azione civile diretta nei  confronti  del
magistrato senza alcun filtro, in conseguenza  di  un  impiego  della
cosiddetta  tecnica  del  ritaglio,  volgerebbe  quest'ultima   dalla
finalita' che le e' propria (ex multis, sentenze n. 16 e  n.  15  del
2008, n. 34 e n. 33 del 2000, n. 13 del 1999) a quella che e'  invece
preclusa ad un istituto meramente abrogativo, ossia alla finalita' di
introdurre  una  disciplina   giuridica   nuova,   mai   voluta   dal
legislatore, e percio' frutto di una manipolazione creativa. 
    Questa Corte ha gia' affermato,  a  tal  proposito,  che  non  e'
consentita, mediante il cosiddetto ritaglio in  sede  di  referendum,
«la manipolazione della struttura linguistica della disposizione, ove
a seguito di essa prenda vita un  assetto  normativo  sostanzialmente
nuovo. [...] In questo caso si realizzerebbe uno stravolgimento della
natura e della funzione propria del referendum abrogativo»  (sentenza
n. 26 del 2017; nello stesso senso, ex multis,  sentenze  n.  10  del
2020, n. 46 del 2003, n. 50 e n. 38 del 2000,  e  n.  36  del  1997).
L'effetto abrogativo dell'istituto referendario puo' portare (come ha
piu' volte portato nella  storia  repubblicana)  anche  a  importanti
sviluppi normativi, ma solo ove cio'  derivi  dalla  riespansione  di
principi generali dell'ordinamento o di principi gia'  contenuti  nei
testi sottoposti ad abrogazione parziale. 
    7.- Non puo' sostenersi,  in  senso  diverso,  che  l'abrogazione
mediante ritaglio di frasi, nel caso di  specie,  sarebbe  prodromica
alla «riespansione di una compiuta disciplina gia' contenuta in  nuce
nel tessuto normativo, ma compressa per effetto della  applicabilita'
delle disposizioni oggetto del referendum» (sentenza n. 26 del 2017). 
    In  questa  direzione  non  puo'   infatti   operare   l'impianto
legislativo recato dalla legge n.  117  del  1988,  il  cui  art.  13
prevede  l'azione  diretta  per  la  sola  ipotesi   eccezionale,   e
(necessariamente) derogatoria rispetto alla disciplina generale,  del
fatto costituente reato. In questi casi, peraltro,  l'azione  per  la
responsabilita' civile del magistrato, come si e' detto, e'  comunque
preceduta dalla condanna in sede penale, o puo' essere  fatta  valere
con la costituzione di parte civile, incontrando, anche in tal  caso,
la intermediazione del giudice penale. 
    8.- Non si possono trarre spunti contrari dall'art. 28 Cost., che
formula il principio per il  quale  i  funzionari  dello  Stato  sono
direttamente  responsabili  degli  atti  compiuti  in  violazione  di
diritti, e dalla conseguente normativa generale racchiusa nel  d.P.R.
10 gennaio 1957, n. 3 (Testo unico delle disposizioni concernenti  lo
statuto degli impiegati civili dello Stato). 
    In particolare, la sentenza di questa Corte n. 2 del 1968 ha gia'
concluso nel senso che la disposizione costituzionale appena  citata,
pur concernendo anche  i  magistrati,  ammette  leggi  ordinarie  che
disciplinino variamente la responsabilita' per categorie e situazioni
(alla sola condizione, si e' aggiunto in seguito, che  essa  non  sia
totalmente denegata: sentenza n. 385 del 1996). 
    La successiva giurisprudenza costituzionale ha avuto poi modo  di
chiarire ulteriormente quanto postulato dalla sentenza n. 2 del 1968,
specificando che una legge ordinaria, recante la  disciplina  ad  hoc
della responsabilita' civile del magistrato in  attuazione  dell'art.
28 Cost. (che  fa  espresso  rinvio  alle  «leggi  penali,  civili  e
amministrative»), e' non soltanto costituzionalmente  consentita,  ma
piuttosto  costituzionalmente  dovuta,  al  fine  di  preservare   «i
disposti costituzionali appositamente  dettati  per  la  Magistratura
(artt.  101  e  103  Cost.),  a  tutela  della  sua  indipendenza   e
dell'autonomia delle sue funzioni» (sentenza n. 18 del 1989; in senso
conforme, sentenza n. 164 del 2017; nello stesso senso,  sentenza  n.
468 del 1990). Questo orientamento, peraltro,  e'  stato  piu'  volte
confermato da questa Corte in occasione dei giudizi di ammissibilita'
vertenti su iniziative referendarie analoghe  all'odierna,  volte  ad
introdurre forme di responsabilita'  civile  diretta  del  magistrato
(sentenze n. 38 del 2000 e n. 34 del 1997, nonche' la sentenza n. 468
del 1990, relativa a taluni effetti della consultazione  referendaria
del 1987). 
    Se ne trae che  la  responsabilita'  civile  del  magistrato,  in
quanto necessariamente subordinata alla introduzione  legislativa  di
condizioni e limiti del tutto peculiari, non  si  presta  alla  piana
applicazione   della   normativa   comune   vigente   in   tema    di
responsabilita' dei funzionari dello Stato; sottraendosi, in caso  di
abrogazione referendaria, alla potenziale riespansione  dei  principi
ai quali tale ultima normativa si conforma (gia' la sentenza  n.  468
del 1990 aveva sottolineato la coessenzialita' di tali  condizioni  e
limiti alla eventuale introduzione di un'azione diretta). 
    Per tali ragioni, con la sentenza n. 38 del  2000  questa  Corte,
nel  dichiarare  inammissibile  un  quesito   referendario   vertente
anch'esso  sulla  legge  n.  117  del  1988,  ha  gia'   negato   che
«l'introduzione dell'azione diretta  nei  confronti  del  magistrato,
accanto alla perdurante possibilita' di proporre l'azione  contro  lo
Stato, possa  realizzarsi  grazie  a  meccanismi  di  riespansione  o
autointegrazione dell'ordinamento attivati dall'eventuale abrogazione
popolare». 
    9.- Altre ragioni di inammissibilita' del quesito  concernono  la
sua scarsa chiarezza e ambiguita', e comunque, la sua  inidoneita'  a
conseguire il fine (pur creativo, e,  come  si  e'  detto,  per  tale
motivo in se' causa di inammissibilita') di dare vita ad  un'autonoma
azione risarcitoria, direttamente esperibile verso il magistrato. 
    Come pure si e' gia' visto, la legge n. 117 del 1988 non  prevede
un'azione di tale natura,  della  quale,  percio',  la  normativa  di
risulta non e' in grado di definire forme, termini e  condizioni  con
il tasso di determinatezza necessario  a  ritenere  che  abbia  preso
forma nell'ordinamento una, pur nuova,  azione  processuale.  Perche'
sia obiettivamente tale, e non  il  frutto  di  una  mera  intenzione
indeterminata e priva di contenuti, l'emersione per via abrogativa di
una nuova azione  in  giudizio  non  puo'  prescindere,  infatti,  da
regole, anche minime, in grado di  imprimerle  quanto  necessario  ad
inserirsi coerentemente nell'ordinamento processuale. 
    In definitiva, avendo il legislatore disciplinato una sola azione
diretta, l'intervento manipolativo oggetto del quesito  referendario,
ove con esso si intenda non escludere la responsabilita' dello Stato,
fallisce nell'intento di accostarle una seconda  e  differente  forma
processuale di responsabilita'  del  magistrato,  anch'essa  diretta,
della quale si possa cogliere la natura con sufficiente  adeguatezza,
per di piu' rendendo il testo del quesito ambiguo e poco chiaro. 
    9.1.-  Sul  piano   della   portata   oggettiva   dell'intervento
abrogativo, che e'  il  solo  a  rilevare,  basti  osservare  che  la
normativa di risulta sarebbe caratterizzata da un'unica  disposizione
concernente «competenza e termini» dell'azione  risarcitoria,  ovvero
l'art. 4 della legge qui considerata (n. 117 del 1988), e  che  essa,
pertanto, non sarebbe rimodellata in modo da poter regolare,  invece,
due azioni distinte, quella  contro  lo  Stato  e  quella  contro  il
magistrato. 
    Infatti, mentre  con  la  abrogazione  delle  parole  «contro  lo
Stato»,  al  comma  2  dell'art.  4,  continua  a   prospettarsi   la
sussistenza di un'unica azione diretta, alla quale si  riferiscono  i
successivi commi 3 e 4, il quesito lascia invariato il  comma  1  del
medesimo art. 4, che disciplina la competenza sulla sola  «azione  di
risarcimento contro lo Stato». 
    In tal modo, si avrebbe che una disposizione che reca una rubrica
dedicata  alla  «competenza  e  termini»  dell'azione,  al  comma   1
disciplinerebbe tale competenza solo  quanto  alla  domanda  proposta
verso lo Stato, tacendo del tutto sull'azione diretta che si vorrebbe
introdurre,  con  la  tecnica  del  ritaglio,   nei   confronti   del
magistrato, mentre nel comma 2 definirebbe, senza specificare di  che
azione si tratti, i termini di azionabilita' della pretesa. 
    Ne consegue  che  non  soltanto  mancherebbe  analoga  disciplina
quanto all'azione verso il magistrato, ma  anche  che  tale  silenzio
renderebbe in radice normativamente dubbio, anche per l'elettore,  se
tale azione prenda  davvero  corpo  insieme  con  la  responsabilita'
diretta dello Stato. 
    9.2.- Va aggiunto che il quesito referendario intende  sopprimere
l'espressione «contro lo Stato» all'art. 2, comma 1, della menzionata
legge n. 117 del 1988, che definisce le  ipotesi  di  responsabilita'
civile per fatti commessi nell'esercizio delle funzioni demandate  ai
magistrati. 
    Ne deriverebbe in modo del tutto illogico che il  magistrato,  in
caso di azione diretta, sarebbe responsabile ai sensi dell'art. 2, e,
dunque, in un ventaglio di  ipotesi  piu'  ampio  di  quello  che  si
sarebbe  avuto  nel  caso  di  azione  diretta  contro  lo  Stato,  e
successiva rivalsa di quest'ultimo. La rivalsa, infatti, e'  limitata
ai soli casi, oltre che di dolo,  di  «negligenza  inescusabile»  del
magistrato (art. 7, comma 1, della legge n. 117 del 1988). 
    Tale circostanza evidenzia un ulteriore  aspetto  di  inidoneita'
del quesito, perche' conferma che, in base alla normativa di risulta,
l'azione non puo' che restare una soltanto (essendone altrimenti  del
tutto oscura la  divaricazione,  sul  grado  di  responsabilita'  del
magistrato), con la  conseguenza  che  la  conservazione  dell'azione
contro  lo  Stato  (ove  si  leggesse  in  tal   senso   il   quesito
referendario) si appalesa incompatibile  o  comunque  contraddittoria
rispetto all'introduzione di una azione diretta verso il magistrato. 
    E'  infatti  evidente  che  sarebbe  contraddittorio  dilatare  o
restringere il campo della responsabilita' del magistrato, a  seconda
che questi sia soggetto  ad  azione  diretta,  oppure  ad  azione  di
rivalsa, al punto che diviene anche per tale  ragione  obiettivamente
incerto (e quindi anche non chiaro per l'elettore)  se  la  richiesta
manipolazione dell'art. 2, comma 1, della legge n. 117 del 1988 possa
davvero avere l'effetto di introdurre l'azione diretta  nei  riguardi
del magistrato, pur permanendo l'azione di rivalsa nei termini che si
sono detti. 
    9.3.- In definitiva, la  circostanza  che  il  legislatore  abbia
disciplinato una sola tipologia di azione diretta  (verso  lo  Stato)
frustra la finalita' referendaria di estrapolare dal testo  normativo
una seconda azione avente tale natura (verso il magistrato), e  rende
cosi' inidoneo il quesito a raggiungere  il  fine  incorporato  nello
stesso (sentenze n. 5 del 2015, n. 25 del 2011, n. 35  e  n.  40  del
2000 e n. 30 del 1997). 
    10.-   Esso   incorre,   quindi,   nel   medesimo   profilo    di
inammissibilita' rilevato dalla sentenza n. 34  del  1997  di  questa
Corte, a proposito di altro  referendum  avente  ad  oggetto,  a  sua
volta, disposizioni della legge n. 117 del 1988. 
    In  quell'occasione,  si  era  rilevato  che  con   la   proposta
referendaria, proprio rimuovendo l'espressione «contro lo  Stato,  di
per se' non  espressiva  di  un  autonomo  contenuto  normativo,  nel
contesto che disciplina l'azione di risarcimento,  si  determina  una
assoluta ed oggettiva  mancanza  di  chiarezza  del  quesito  che  si
intende  sottoporre  a  votazione  popolare.  Difatti  e'  del  tutto
equivoca la configurazione  della  domanda  referendaria  per  quanto
attiene alla posizione dello Stato, la cui  responsabilita'  pure  e'
preminente nell'attuale sistema della legge al fine della garanzia di
ristoro  per  danni  derivanti  da  atti  in  ogni  caso   riferibili
all'esercizio di poteri statali». 
    10.1.- Anche l'odierno quesito si propone di abrogare  le  parole
«contro lo Stato» negli artt. 2, comma 1, e 4, comma 2,  della  legge
n. 117 del 1988, sicche' da cio' l'elettore  dovrebbe  oggettivamente
trarre la conclusione  che,  con  il  voto,  si  sarebbe  chiamati  a
superare l'azione diretta verso  lo  Stato.  Al  contempo,  tuttavia,
persistendo l'art. 4, comma 1, in tema di azione contro lo  Stato,  e
l'art. 7 in tema di azione di rivalsa,  tale  conclusione  trova  una
oggettiva  smentita  nella  normativa  di  risulta,  e  nella  stessa
espressione del voto, atteso che la  manipolazione  dell'art.  6,  in
tema  di  intervento  del  magistrato  nel  giudizio,  non  puo'  che
riferirsi alla causa intentata contro lo Stato. Il richiamo  all'art.
105 cod. proc. civile e alla facolta' di intervento ivi prevista  per
il magistrato trova giustificazione, infatti, solo nel  caso  di  una
possibile successiva azione di rivalsa. 
    L'esigenza di garantire al corpo elettorale  «nell'esercizio  del
suo potere sovrano, la possibilita' di  una  scelta  chiara,  che  e'
insita nella logica dell'istituto del referendum» (sentenza n. 39 del
1997)  viene  cosi'  mancata,  perche'  il  quesito  e'  privo  della
necessaria chiarezza e univocita' che  la  giurisprudenza  di  questa
Corte, invece, esige a tutela della sovranita' popolare (ex plurimis,
sentenza n. 10 del 2020, n. 43 del 2003, n. 34 del  1997,  n.  1  del
1995 e n. 347 del 1991). Peraltro, come questa Corte  ha  gia'  avuto
modo di sottolineare, quando l'abrogazione parziale viene  perseguita
mediante la soppressione nel testo  normativo  di  singole  parole  o
frasi, «si accentua l'esigenza di garantire al popolo, nell'esercizio
del suo  potere  sovrano,  la  possibilita'  di  una  scelta  chiara»
(sentenza n. 39 del 1997). 
    10.2.- Si aggiunga che il quesito non solo assume  il  tratto  di
ambiguita' e contraddittorieta' di cui si e' appena  detto,  ma,  ove
anche si possa ipotizzare la permanenza nella  normativa  di  risulta
della responsabilita' diretta dello Stato, manca  di  rendere  chiaro
all'elettore il rapporto che si creerebbe con la responsabilita'  del
magistrato, e, in particolare, se la prima abbia  natura  solidale  o
sussidiaria rispetto alla seconda, cosi' incorrendo in  un  ulteriore
profilo di oscurita'  gia'  rimarcato,  per  analogo  quesito,  dalla
sentenza n. 26 del 1987. 
    11.- In conclusione, per tutte  le  ragioni  appena  esposte,  la
richiesta di referendum e' inammissibile.