ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di  ammissibilita',  ai  sensi  dell'art.  2,  primo
comma,  della  legge  costituzionale  11  marzo  1953,  n.  1  (Norme
integrative della Costituzione concernenti la Corte  costituzionale),
iscritto al n.  180  del  registro,  della  richiesta  di  referendum
popolare per l'abrogazione di alcune  disposizioni  del  decreto  del
Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309 (Testo unico delle
leggi  in  materia  di  disciplina  degli  stupefacenti  e   sostanze
psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati  di
tossicodipendenza); in particolare: 
    - art. 73, comma 1, limitatamente all'inciso «coltiva»; 
    - art. 73, comma 4, limitatamente alle parole «la  reclusione  da
due a 6 anni e»; 
    - art.  75,  limitatamente  alle  parole  «a)  sospensione  della
patente di guida, del certificato di abilitazione  professionale  per
la guida di motoveicoli e del certificato di idoneita' alla guida  di
ciclomotori o divieto di  conseguirli  per  un  periodo  fino  a  tre
anni;». 
    Vista l'ordinanza del 10 gennaio  2022  con  la  quale  l'Ufficio
centrale per il referendum, costituito presso la Corte di cassazione,
ha dichiarato conforme a legge la richiesta; 
    udito nella camera di consiglio del 15 febbraio 2022  il  Giudice
relatore Giovanni Amoroso; 
    uditi gli avvocati  Mauro  Ronco  e  Domenico  Menorello  per  il
Comitato per il no alla droga legale, Andrea Pertici e Gian  Domenico
Caiazza per il Comitato promotore referendum cannabis  legale,  nelle
persone di Marco Perduca, nella qualita' di promotore e presentatore,
Riccardo Magi e Leonardo Fiorentini, nella qualita' di presentatori; 
    deliberato nella camera di consiglio del 16 febbraio 2022. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza del 10 gennaio  2022,  depositata  in  data  12
gennaio 2022, l'Ufficio centrale per il referendum, costituito presso
la Corte di cassazione, a norma dell'art. 12 della  legge  25  maggio
1970, n. 352 (Norme sui  referendum  previsti  dalla  Costituzione  e
sulla iniziativa legislativa del popolo) e successive  modificazioni,
ha dichiarato conforme alle disposizioni di legge  la  richiesta  del
referendum popolare abrogativo, proposto ai sensi dell'art. 75  della
Costituzione da cinquecentomila elettori (con annuncio  n.  21A05375,
pubblicato nella Gazzetta Ufficiale, serie generale, dell'8 settembre
2021), sul seguente quesito «Volete voi che sia abrogato  il  decreto
del Presidente della Repubblica del 9 ottobre 1990, n. 309, avente ad
oggetto "Testo unico delle  leggi  in  materia  di  disciplina  degli
stupefacenti   e   sostanze   psicotrope,   prevenzione,    cura    e
riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza" limitatamente
alle seguenti parti: Articolo 73 (Produzione e traffico  illecito  di
sostanze  stupefacenti  o   psicotrope),   comma   1,   limitatamente
all'inciso «coltiva»; Articolo 73 (Produzione e traffico illecito  di
sostanze stupefacenti o  psicotrope),  comma  4,  limitatamente  alle
parole «la reclusione da due a sei anni  e»;  Articolo  75  (Condotte
integranti illeciti  amministrativi),  comma  1,  limitatamente  alle
parole "a) sospensione della patente di  guida,  del  certificato  di
abilitazione  professionale  per  la  guida  di  motoveicoli  e   del
certificato di idoneita' alla  guida  di  ciclomotori  o  divieto  di
conseguirli per un periodo fino a tre  anni;"?»  e  con  la  seguente
denominazione: «Abrogazione di  disposizioni  penali  e  di  sanzioni
amministrative in materia  di  coltivazione,  produzione  e  traffico
illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope». 
    2.- L'Ufficio centrale ha dato atto che il 28 ottobre 2021, nella
cancelleria della Corte di cassazione, si sono presentati i promotori
della raccolta delle firme a sostegno del referendum, i  quali  hanno
depositato, ai sensi e per gli effetti dell'art. 28  della  legge  n.
352 del 1970: una scatola, recante l'indicazione «referendum cannabis
legale referendumcannabis.it», che hanno affermato contenere  n.  294
moduli predisposti con  le  modalita'  indicate  dall'art.  27  della
predetta legge, regolarmente autenticate e  accompagnate,  in  parte,
dalla certificazione di iscrizione nelle liste  elettorali;  un  hard
disk che hanno affermato contenere il duplicato informatico, ai sensi
dell'art. 1, comma 1, lettera i-quinquies), del decreto legislativo 7
marzo 2005, n.  82  (Codice  dell'amministrazione  digitale),  di  n.
606.879 firme raccolte elettronicamente, accompagnate  dal  duplicato
informatico, ai sensi dell'art.  1,  comma  1,  lettera  i-quinquies)
succitato, delle richieste formulate  con  PEC  alle  amministrazioni
comunali  e  dei  certificati  d'iscrizione  nelle  liste  elettorali
acclusi ai messaggi PEC ricevuti. 
    Inoltre, con ordinanza  non  definitiva  del  15  dicembre  2021,
l'Ufficio centrale ha rilevato, tra l'altro, che le norme oggetto del
quesito  sono  contenute  in  un  atto  normativo  avente  natura  ed
efficacia di legge; che si tratta di norme  tuttora  in  vigore,  non
essendo intervenuti, rispetto a nessuna di esse, atti di  abrogazione
o pronunce di illegittimita' costituzionale; che, in particolare,  in
relazione alla rubrica dell'art. 73 del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309
(Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli  stupefacenti
e  sostanze  psicotrope,  prevenzione,  cura  e  riabilitazione   dei
relativi stati di tossicodipendenza) e al testo  del  comma  4  dello
stesso  articolo,  le  modifiche  introdotte  dall'art.   4-bis   del
decreto-legge 30 dicembre 2005, n. 272 (Misure urgenti per  garantire
la sicurezza ed i finanziamenti per le prossime Olimpiadi  invernali,
nonche'   la   funzionalita'    dell'Amministrazione    dell'interno.
Disposizioni per favorire il recupero di tossicodipendenti recidivi e
modifiche al testo unico delle leggi in materia di  disciplina  degli
stupefacenti   e   sostanze   psicotrope,   prevenzione,    cura    e
riabilitazione dei relativi stati di  tossicodipendenza,  di  cui  al
D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309), convertito con  modificazioni,  nella
legge   21   febbraio   2006,   n.   49,   sono   state    dichiarate
costituzionalmente illegittime da questa Corte con la sentenza n.  32
del 2014, nella  quale  si  e'  affermato  che  tornano  «a  ricevere
applicazione l'art. 73 del d.P.R. n.  309  del  1990  e  le  relative
tabelle, in  quanto  mai  validamente  abrogati,  nella  formulazione
precedente le modifiche apportate» con  le  disposizioni  di  cui  e'
stata dichiarata l'illegittimita' costituzionale. 
    Con la medesima ordinanza non definitiva, l'Ufficio  centrale  ha
ritenuto opportuno  integrare  il  quesito  con  l'indicazione  della
rubrica di ciascuno degli articoli in esso richiamati e del comma  in
cui e' contenuta la disposizione dell'art. 75  di  cui  e'  richiesta
l'abrogazione; e di aver proposto, ai fini  dell'identificazione  del
quesito, la  seguente  denominazione:  «Abrogazione  di  disposizioni
penali e di  sanzioni  amministrative  in  materia  di  produzione  e
traffico illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope». 
    Infine, il medesimo Ufficio ha accolto la richiesta dei promotori
di integrazione della denominazione del quesito referendario  con  la
parola «coltivazione» (da inserire dopo le parole «in  materia  di»),
per una piu' puntuale individuazione dell'oggetto del  quesito  nella
parte relativa all'art. 73, comma 1, t.u. stupefacenti. 
    3.-  Il   Presidente   della   Corte   costituzionale,   ricevuta
comunicazione dell'ordinanza dell'Ufficio centrale per il referendum,
ha fissato, per la conseguente deliberazione, la camera di  consiglio
del 15 febbraio 2022, disponendo che ne fosse data  comunicazione  ai
presentatori ed al Presidente del Consiglio dei  ministri,  ai  sensi
dell'art. 33, secondo comma, della legge n. 352 del 1970. 
    4.- In data 8 febbraio 2022,  e'  stato  depositato  un  atto  di
intervento ad opponendum del Presidente pro tempore del Comitato  per
il No alla droga legale, nel quale sono state  rappresentate  plurime
ragioni   a   sostegno   della   inammissibilita'   della   richiesta
referendaria, che, in sostanza, si connoterebbe, tra l'altro, per «il
troppo ampio ventaglio di  significati  possibili  che  derivano  dal
quesito». 
    5.- In  data  11  febbraio  2022,  i  promotori  della  richiesta
referendaria hanno depositato una memoria,  nella  quale  argomentano
considerazioni a sostegno dell'ammissibilita' del referendum. 
    In particolare,  il  Comitato  promotore  afferma  che  l'intento
referendario, espresso nel quesito,  si  identifica  nello  scopo  di
attutire la portata sanzionatoria  rispetto  a  determinate  condotte
tenute in relazione alle sostanze stupefacenti che, secondo la prassi
e l'applicazione giurisprudenziale,  si  contraddistinguono  per  una
bassa ovvero inesistente carica di  lesivita'  dei  beni  oggetto  di
tutela. 
    I promotori, in particolare,  sostengono,  con  riferimento  alla
prima parte del quesito, che l'unico frammento di impunita' che vi e'
ritagliato  attiene  esclusivamente  alla  coltivazione   rudimentale
finalizzata all'immediato uso  personale,  restando  preclusa,  dalla
normativa di risulta, la  possibilita'  di  detenzione  e  successiva
cessione della sostanza, con cio' rispettando altresi' le Convenzioni
in materia. 
    Con riferimento, poi, alla seconda parte del quesito, la proposta
referendaria mira all'eliminazione delle sole pene detentive (da  due
a sei anni), tenendo ferma la multa da euro 5.164 a 77.468. 
    Quanto, infine, alla terza parte, si richiede al corpo elettorale
di espungere dall'art. 75, comma 1, t.u. stupefacenti la sola lettera
a), al fine di eliminare una sanzione che ha  natura  particolarmente
afflittiva  e  che   senz'altro,   sostiene   il   Comitato,   incide
considerevolmente sui diritti fondamentali della  persona,  quali  la
liberta' di circolazione e financo il diritto al  lavoro  che  spesso
viene ingiustamente inciso  in  occasione  della  comminazione  della
sospensione della patente di guida. 
    6.- In data 11 febbraio, e' stata altresi' depositata una memoria
nell'interesse  di  Antigone  Onlus  e  Coalizione  italiana  per  le
liberta' e i diritti civili, dal  Presidente  di  Antigone  Onlus,  a
sostegno delle ragioni di ammissibilita' del referendum sostenute dal
Comitato promotore. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.-  Il  presente  giudizio   concerne   l'ammissibilita'   della
richiesta di referendum popolare dichiarata legittima  con  ordinanza
del  10  gennaio  2022  dell'Ufficio  centrale  per  il   referendum,
costituito presso la Corte di cassazione. 
    La richiesta  di  referendum  popolare,  promossa  dal  «Comitato
promotore referendum Cannabis legale», ha  ad  oggetto  l'abrogazione
delle seguenti disposizioni del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309  (Testo
unico delle leggi in  materia  di  disciplina  degli  stupefacenti  e
sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei  relativi
stati di tossicodipendenza): 
    art. 73 (Produzione e traffico illecito di sostanze  stupefacenti
o psicotrope), comma 1, limitatamente all'inciso «coltiva»; 
    art. 73 (Produzione e traffico illecito di sostanze  stupefacenti
o psicotrope), comma 4, limitatamente alle parole «la  reclusione  da
due a sei anni e»; 
    art. 75 (Condotte integranti illeciti amministrativi),  comma  1,
limitatamente alle parole «a) sospensione della patente di guida, del
certificato di abilitazione professionale per la guida di motoveicoli
e del certificato di idoneita' alla guida di ciclomotori o divieto di
conseguirli per un periodo fino a tre anni». 
    Alla  richiesta  di  referendum  e'  stata   data   la   seguente
denominazione: «Abrogazione di  disposizioni  penali  e  di  sanzioni
amministrative in materia  di  coltivazione,  produzione  e  traffico
illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope». 
    2.- In via preliminare, va rilevato che nella camera di consiglio
del 15 febbraio 2022, questa Corte  ha  consentito,  secondo  la  sua
costante  giurisprudenza,   l'illustrazione   orale   delle   memorie
depositate  dai  soggetti  presentatori  del  referendum   ai   sensi
dell'art. 33, terzo comma, della legge 25 maggio 1970, n. 352  (Norme
sui  referendum  previsti  dalla  Costituzione  e  sulla   iniziativa
legislativa del popolo), e ha - prima ancora  -  ammesso  le  memorie
presentate  da  soggetti  diversi   da   quelli   contemplati   dalla
disposizione  citata,   e   tuttavia   interessati   alla   decisione
sull'ammissibilita' delle  richieste  referendarie,  come  contributo
contenente argomentazioni ulteriori rispetto a  quelle  altrimenti  a
disposizione della Corte (ex plurimis, sentenze n. 10 del 2020, n.  5
del 2015, n. 13 del 2012, n. 28, n. 27, n. 26, n.  25  e  n.  24  del
2011, n. 17, n. 16 e n. 15 del 2008). 
    L'ammissione di tali contributi, va qui ribadito, non si  traduce
in un diritto di questi soggetti di  partecipare  al  procedimento  -
che, comunque, «deve tenersi, e concludersi,  secondo  una  scansione
temporale definita» (sentenza n. 31 del 2000) - e  di  illustrare  le
relative tesi in camera di consiglio,  ma  comporta  la  facolta'  di
questa  Corte,  ove  lo  ritenga  opportuno,  di   consentire   brevi
integrazioni orali degli scritti, come e' avvenuto  nella  camera  di
consiglio del 15 febbraio 2022 prima che i soggetti di cui al  citato
art. 33 della legge n. 352 del 1970 abbiano illustrato le  rispettive
posizioni. 
    3.- Cio' precisato,  e'  opportuno  premettere,  in  sintesi,  il
complessivo (e complesso) quadro normativo nel quale si collocano  le
disposizioni oggetto della richiesta referendaria. 
    4.- Il quesito referendario - articolato, come sopra indicato, in
tre parti - investe, nelle prime due,  il  comma  1  ed  il  comma  4
dell'art. 73 t.u. stupefacenti, e, nella terza parte, la  lettera  a)
del comma 1 dell'art. 75, appartenente al medesimo testo unico. 
    Si e' altresi'  gia'  rilevato  che  l'Ufficio  centrale  per  il
referendum ha sottolineato che in relazione alla rubrica dell'art. 73
t.u. stupefacenti e al testo del comma 4 dello  stesso  articolo,  le
modifiche introdotte dall'art. 4-bis del  decreto-legge  30  dicembre
2005, n.  272  (Misure  urgenti  per  garantire  la  sicurezza  ed  i
finanziamenti  per  le  prossime  Olimpiadi  invernali,  nonche'   la
funzionalita'  dell'Amministrazione  dell'interno.  Disposizioni  per
favorire il recupero di tossicodipendenti  recidivi  e  modifiche  al
testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e
sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei  relativi
stati di tossicodipendenza, di cui al d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309),
convertito, con modificazioni, nella legge 21 febbraio 2006,  n.  49,
sono   state   oggetto   della   dichiarazione   di    illegittimita'
costituzionale di cui alla sentenza n. 32 del 2014. 
    Piu' precisamente, con tale pronuncia, questa Corte ha dichiarato
costituzionalmente illegittimi, per contrasto con l'art. 77,  secondo
comma, della Costituzione, l'art. 4-bis  (che  modificava  l'art.  73
t.u. stupefacenti) e l'art. 4-vicies ter  (che  modificava  ulteriori
disposizioni del testo unico e, tra queste, l'art. 14 in  materia  di
criteri per la formazione delle  tabelle),  i  quali  in  particolare
avevano unificato la disciplina del trattamento  sanzionatorio  delle
condotte tenute in  riferimento  alle  sostanze  stupefacenti,  senza
alcuna  distinzione  tra  droghe  cosiddette   "pesanti"   e   droghe
cosiddette "leggere", ricomprese in un'unica tabella. 
    Nella sentenza, ai fini che qui interessano, si e' affermato  che
«[i]n considerazione del particolare vizio procedurale  accertato  in
questa sede, per carenza dei presupposti ex art. 77,  secondo  comma,
Cost.,  deve  ritenersi  che,  a  seguito  della  caducazione   delle
disposizioni impugnate, tornino a ricevere applicazione l'art. 73 del
d.P.R. n.  309  del  1990  e  le  relative  tabelle,  in  quanto  mai
validamente abrogati,  nella  formulazione  precedente  le  modifiche
apportate con le disposizioni  impugnate».  La  sentenza  ha  infatti
precisato che «[i]n tali casi, in base alla giurisprudenza di  questa
Corte, l'atto affetto da  vizio  radicale  nella  sua  formazione  e'
inidoneo ad innovare l'ordinamento e, quindi, anche  ad  abrogare  la
precedente normativa (sentenze n. 123 del 2011 e n. 361  del  2010)»,
sicche' «la disciplina dei reati  sugli  stupefacenti  contenuta  nel
d.P.R. n. 309 del 1990, nella versione precedente  alla  novella  del
2006, torn[a] ad applicarsi,  non  essendosi  validamente  verificato
l'effetto abrogativo». 
    In tale ripristinato contesto normativo - ritenuto altresi' dalla
costante giurisprudenza di legittimita' della Corte di cassazione (ex
plurimis, Corte di cassazione,  sezioni  unite  penali,  sentenza  26
febbraio-28 luglio  2015,  n.  33040)  -  si  colloca,  pertanto,  la
disposizione di cui  al  comma  1  dell'art.  73  t.u.  stupefacenti,
oggetto della prima parte del quesito referendario; disposizione  che
dunque  stabilisce:  «Chiunque,   senza   l'autorizzazione   di   cui
all'articolo 17, coltiva, produce, fabbrica, estrae, raffina,  vende,
offre o  mette  in  vendita,  cede  o  riceve,  a  qualsiasi  titolo,
distribuisce,  commercia,  acquista,  trasporta,  esporta,   importa,
procura ad altri, invia, passa o spedisce in transito,  consegna  per
qualunque scopo o comunque illecitamente detiene, fuori dalle ipotesi
previste dall'articolo 75, sostanze stupefacenti o psicotrope di  cui
alle tabelle I e III previste dall'articolo  14,  e'  punito  con  la
reclusione da otto a venti anni e con la multa da euro  25.822  (lire
cinquanta milioni) a euro 258.228 (lire cinquecento milioni)». 
    La stessa disposizione (art. 73, comma 1) e' stata poi dichiarata
costituzionalmente illegittima nella parte in  cui  prevede  la  pena
minima edittale della reclusione nella misura di otto  anni  anziche'
di sei anni (sentenza n. 40 del 2019). 
    Analogamente si ha  che  la  disposizione  di  cui  al  comma  4,
dell'art. 73 t.u. stupefacenti, e' quella vigente prima  della  legge
n. 49 del 2006; essa quindi stabilisce: «Se taluno dei fatti previsti
dai commi 1, 2 e 3 riguarda sostanze stupefacenti o psicotrope di cui
alle tabelle II e IV  previste  dall'articolo  14,  si  applicano  la
reclusione da due a sei anni e la multa da  euro  5.164  (lire  dieci
milioni) a euro 77.468 (lire centocinquanta milioni)». 
    Dalla dichiarazione di  illegittimita'  costituzionale  dell'art.
4-vicies ter del d.l. n. 272  del  2005,  come  convertito,  consegue
altresi' che le preesistenti Tabelle I e III, cui rinvia  l'art.  73,
comma 1, e le Tabelle II  e  IV,  cui  rinvia  l'art.  73,  comma  4,
previste dall'art. 14 (Criteri  per  la  formazione  delle  tabelle),
tornano ad avere applicazione. 
    Pero', immediatamente  dopo  la  sentenza  n.  32  del  2014,  il
decreto-legge 20 marzo 2014, n. 36 (Disposizioni urgenti  in  materia
di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope,  prevenzione,
cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, di cui
al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre  1990,  n.  309,
nonche' di impiego di  medicinali),  convertito,  con  modificazioni,
nella legge 16 maggio 2014, n.79, ha  novellato  le  Tabelle  di  cui
all'art.  14  citato,  integrandole  con  l'indicazione  di  sostanze
sottoposte a  controllo  del  Ministero  della  salute  e  di  quelle
sottoposte a controllo in attuazione di  Convenzioni  internazionali,
nonche' delle nuove  sostanze  psicoattive,  individuate  sulla  base
delle acquisizioni scientifiche; le quali  tutte  per  effetto  della
indicata dichiarazione di illegittimita' costituzionale non  potevano
ritenersi piu' ricomprese nelle "vecchie" tabelle; ma, in  ogni  caso
l'intervento  normativo  ha  mantenuto  ferma  la   distinzione   del
trattamento  sanzionatorio  tra  le  sostanze  stupefacenti  di  tipo
"pesante" e di tipo "leggero". 
    Parallelamente   deve   rilevarsi   che   la   dichiarazione   di
illegittimita' costituzionale dell'art. 4-vicies ter del d.l. n.  272
del  2005,  come  convertito,  ha  investito  anche  l'art.  26  t.u.
stupefacenti, disposizione che rinviava alla sola Tabella  I  per  la
individuazione delle piante, la  cui  coltivazione  era  vietata  nel
territorio dello Stato, in tal modo facendo  rivivere  la  precedente
formulazione, la  quale  dunque  ripristina  il  rinvio  alle  piante
ricomprese nelle Tabelle I e  II.  Pero'  successivamente  l'art.  1,
comma 4, del medesimo d.l.  n.  36  del  2014,  come  convertito,  ha
sostituito tale disposizione (l'art. 26)  prescrivendo  che  «[s]alvo
quanto stabilito nel comma 2, e' vietata nel territorio  dello  Stato
la coltivazione delle piante comprese nelle tabelle I  e  II  di  cui
all'articolo 14, ad eccezione della canapa  coltivata  esclusivamente
per la produzione di fibre o per altri usi  industriali,  diversi  da
quelli di cui all'articolo 27, consentiti dalla normativa dell'Unione
europea. 2. Il  Ministro  della  sanita'  puo'  autorizzare  istituti
universitari e  laboratori  pubblici  aventi  fini  istituzionali  di
ricerca, alla coltivazione delle  piante  sopra  indicate  per  scopi
scientifici, sperimentali o didattici». 
    La dichiarazione di illegittimita' costituzionale non  ha  invece
investito la disposizione di cui all'art. 75, comma  1,  lettera  a),
t.u.  stupefacenti,   oggetto   della   terza   parte   del   quesito
referendario, nonostante anch'essa sia stata incisa dalla  disciplina
di cui all'art. 4-ter, comma 1,  del  d.l.  n.  272  del  2005,  come
convertito. 
    Al  riguardo,  si  e'   affermato   che   «la   declaratoria   di
illegittimita' costituzionale colpisce per intero le due disposizioni
impugnate e soltanto esse, restando impregiudicata la valutazione  di
questa Corte in relazione ad eventuali ulteriori  impugnative  aventi
ad oggetto altre disposizioni della medesima legge» (sentenza  n.  32
del 2014, citata). 
    Su  tale  disposizione  e'  pero'  intervenuto  l'art.  1,  comma
24-quater, lettera a), del d.l. n. 36 del 2014, come convertito,  che
ha sostituito la norma secondo la formulazione attualmente vigente  e
che  dispone:  «Chiunque,  per  farne  uso  personale,  illecitamente
importa, esporta, acquista, riceve  a  qualsiasi  titolo  o  comunque
detiene sostanze stupefacenti o  psicotrope  e'  sottoposto,  per  un
periodo da due mesi a un anno, se si tratta di sostanze  stupefacenti
o psicotrope comprese nelle tabelle I e  III  previste  dall'articolo
14, e per un periodo da uno a tre mesi,  se  si  tratta  di  sostanze
stupefacenti o psicotrope comprese nelle tabelle  II  e  IV  previste
dallo  stesso  articolo,  a  una  o  piu'  delle  seguenti   sanzioni
amministrative:  a)  sospensione  della   patente   di   guida,   del
certificato di abilitazione professionale per la guida di motoveicoli
e del certificato di idoneita' alla guida di ciclomotori o divieto di
conseguirli per un periodo fino a  tre  anni;  b)  sospensione  della
licenza di porto d'armi o divieto di conseguirla; c) sospensione  del
passaporto e di  ogni  altro  documento  equipollente  o  divieto  di
conseguirli; d) sospensione del permesso di soggiorno per  motivi  di
turismo o divieto di conseguirlo se cittadino extracomunitario». 
    Puo'  aggiungersi,  infine,  che  al   di   fuori   del   quesito
referendario in esame e' la disciplina della  "canapa  sativa"  delle
varieta'  delle  specie  di  piante  agricole,  che  «non   rientrano
nell'ambito di applicazione del testo unico delle leggi in materia di
disciplina  degli  stupefacenti  e  sostanze  psicotrope»  ai   sensi
dell'art.  1,  comma  2,  della  legge  2  dicembre  2016,   n.   242
(Disposizioni per la promozione della coltivazione  e  della  filiera
agroindustriale della canapa), al pari delle piante officinali di cui
al decreto legislativo 21 maggio 2018, n. 75 (Testo unico in  materia
di  coltivazione,  raccolta  e  prima  trasformazione  delle   piante
officinali, ai sensi dell'articolo 5, della legge 28 luglio 2016,  n.
154). 
    5.- Cosi'  delineato  il  contesto  normativo  di  riferimento  e
l'insieme  delle  disposizioni  oggetto  del  quesito   referendario,
occorre ora valutare l'ammissibilita' di quest'ultimo alla  luce  dei
criteri desumibili dall'art. 75 Cost., come elaborati da questa Corte
sin dalla sentenza n. 16 del 1978. 
    Secondo il costante orientamento giurisprudenziale, non  solo  la
richiesta referendaria non puo' investire una  delle  leggi  indicate
nell'art. 75 Cost. o comunque riconducibili ad esse, ma e' necessario
che il  quesito  da  sottoporre  al  giudizio  del  corpo  elettorale
consenta una scelta libera e consapevole,  richiedendosi  pertanto  i
caratteri  della  chiarezza,  dell'omogeneita',  dell'univocita'  del
medesimo  quesito,  oltre  che  l'esistenza  di   una   sua   matrice
razionalmente unitaria (sentenze n. 10 del 2020 e n. 17 del 2016). 
    6.- Un particolare  rilievo,  in  riferimento  al  referendum  in
esame, hanno i vincoli internazionali. 
    Giova  ricordare  che  la  disciplina  della   cannabis   -   che
costituirebbe il proprium del referendum in esame, secondo la memoria
del Comitato promotore - e'  stata  oggetto,  in  passato,  di  altre
analoghe iniziative referendarie. 
    La prima perseguiva lo scopo di liberalizzare la coltivazione, il
commercio, la detenzione, l'uso  della  canapa  indiana  e  dei  suoi
derivati (hashish e marijuana). Questa  Corte  (sentenza  n.  30  del
1981) aveva dichiarato inammissibile il  referendum  perche'  esso  -
avendo ad oggetto la Tabella II (allora prevista dall'art.  12  della
legge  22  dicembre  1975,  n.   685,   recante   «Disciplina   degli
stupefacenti   e   sostanze   psicotrope.   Prevenzione,    cura    e
riabilitazione dei  relativi  stati  di  tossicodipendenza»)  e,  con
riferimento al divieto assoluto di coltivazione, l'inciso «di  piante
di canapa indiana» di cui all'art. 26 della legge  ora  citata  -  si
poneva  in  contrasto  con  gli   obblighi   internazionali   assunti
dall'Italia in materia di disciplina della canapa indiana e dei  suoi
derivati, dovendo ritenersi preclusi i referendum che  investano  non
soltanto  le  leggi   di   autorizzazione   a   ratificare   trattati
internazionali, ma anche quelle strettamente collegate all'esecuzione
dei trattati medesimi. 
    Una seconda iniziativa referendaria -  avente  ad  oggetto  varie
disposizioni del d.P.R. n. 309 del 1990, e la cui finalita',  secondo
la Corte, era quella «di rendere lecite e, quindi, prive di sanzione,
le attivita' preliminari e connesse all'uso  personale  della  canapa
indiana e dei suoi derivati, quali hashish e marijuana»  -  e'  stata
anch'essa dichiarata inammissibile con sentenza n.  27  del  1997  in
ragione,  parimenti,  dei   vincoli   derivanti   dalle   Convenzioni
internazionali.  Dall'abrogazione  delle  disposizioni  oggetto   del
quesito referendario sarebbe  derivata  infatti  l'esposizione  dello
Stato italiano a responsabilita'  nei  confronti  delle  altre  parti
contraenti a causa della violazione degli  impegni  assunti  in  sede
internazionale. 
    Invece,  e'  stato  dichiarato  ammissibile  il  referendum   che
concerneva l'uso personale di sostanze stupefacenti,  anche  in  dose
superiore  a  quella   media   giornaliera,   e   che   mirava   alla
depenalizzazione dell'importazione, dell'acquisto e della  detenzione
limitatamente  a  tale  uso,   lasciando   sussistere   le   sanzioni
amministrative, sicche' esso non  si  poneva  in  contrasto  con  gli
obblighi internazionali  assunti  in  materia  dallo  Stato  italiano
(sentenza n. 28 del 1993). 
    Il quadro  degli  obblighi  internazionali  rilevanti  in  questa
materia e'  definito  dalla  Convenzione  unica  sugli  stupefacenti,
adottata a New York il 30 marzo 1961 e  dal  relativo  Protocollo  di
emendamento, adottato a Ginevra il 25 marzo 1972, entrambi ratificati
e resi esecutivi in Italia per effetto della legge 5 giugno 1974,  n.
412  (Ratifica  ed   esecuzione   della   convenzione   unica   sugli
stupefacenti, adottata a New York il 30 marzo 1961 e  del  protocollo
di  emendamento,  adottato  a  Ginevra  il  25  marzo  1972);   dalla
Convenzione sulle sostanze psicotrope di Vienna del 21 febbraio 1971,
ratificata  con  legge  25  maggio  1981,  n.  385   (Adesione   alla
convenzione sulle  sostanze  psicotrope,  adottata  a  Vienna  il  21
febbraio 1971, e sua esecuzione);  dalla  Convenzione  delle  Nazioni
Unite, adottata a Vienna il 20  dicembre  1988,  contro  il  traffico
illecito di stupefacenti e sostanze  psicotrope,  ratificata  e  resa
esecutiva in Italia per effetto della legge 5 novembre 1990,  n.  328
(Ratifica ed esecuzione della convenzione delle Nazioni Unite  contro
il traffico illecito  di  stupefacenti  e  sostanze  psicotrope,  con
annesso, atto finale e relative raccomandazioni, fatta a Vienna il 20
dicembre 1988). 
    Rileva poi la decisione quadro 2004/757/GAI del Consiglio, del 25
ottobre 2004, riguardante la fissazione di norme minime relative agli
elementi costitutivi dei reati e alle sanzioni applicabili in materia
di traffico illecito di stupefacenti, la  quale,  nel  dettare  norme
minime relative agli elementi costitutivi dei reati e  alle  sanzioni
applicabili in materia  di  traffico  illecito  di  stupefacenti,  ha
indicato anche la coltivazione della cannabis tra le condotte per  le
quali i singoli Stati devono applicare sanzioni penali. 
    La  direttiva  (UE)  2017/2103  del  Parlamento  europeo  e   del
Consiglio, del 15 novembre 2017 ha  modificato  la  decisione  quadro
2004/757/GAI del Consiglio,  al  fine  di  includere  nuove  sostanze
psicoattive nella definizione di «stupefacenti». 
    Non vi e' quindi  dubbio  che,  alla  stregua  delle  Convenzioni
internazionali di Vienna e di  New  York,  nonche'  della  richiamata
normativa europea, la canapa indiana e i suoi derivati rientrano  tra
le sostanze stupefacenti,  la  cui  coltivazione  e  detenzione  deve
essere qualificata come reato e che  solo  la  loro  destinazione  al
consumo   personale   rende   possibile   l'adozione   delle   misure
amministrative riabilitative e di reinserimento sociale diverse dalla
sanzione penale (sentenza n. 28 del 1993). 
    7.- Il Comitato promotore e'  ben  consapevole  di  tali  vincoli
derivanti dalla normativa sovranazionale  in  ragione  dei  quali  in
passato - come appena ricordato - questa  Corte  ha  gia'  dichiarato
inammissibili iniziative referendarie analoghe. 
    Ma - per sostenere ora la compatibilita' con tali  vincoli  -  il
Comitato precisa  nella  sua  memoria  che  il  quesito  referendario
proposto persegue, in realta', uno scopo diverso e ben piu' limitato,
indicato nella finalita' di «attenuare la portata  sanzionatoria  del
testo  unico  n.  309/1990».  Cio'  rappresenterebbe   un   obiettivo
maggiormente circoscritto rispetto  alle  due  precedenti  iniziative
referendarie, dichiarate inammissibili da questa Corte  (sentenze  n.
27 del 1997 e n. 30 del 1981), di  talche',  proprio  in  ragione  di
questa asserita portata ridotta,  il  quesito  proposto  risulterebbe
essere  compatibile  con  i  vincoli  internazionali  ed  europei  in
materia. 
    La  mera  attenuazione  della  risposta  sanzionatoria,  che   la
richiesta referendaria perseguirebbe, si avrebbe  attraverso:  a)  la
depenalizzazione  delle  sole  condotte  di  coltivazione  cosiddette
"domestiche" e "rudimentali" delle piante di cannabis perche' ad esse
si riferirebbe la condotta di chi «coltiva», quale prevista nel comma
1 dell'art. 73; b) l'eliminazione della  pena  della  reclusione  per
tutte le condotte  diverse  dalla  coltivazione,  che  riguardano  la
cannabis e i derivati, previste  dal  comma  4  dell'art.  73  e  che
rimarrebbero punite con la pena della sola multa; c) l'esclusione, in
caso di uso  personale  di  qualsiasi  sostanza  stupefacente,  della
sanzione amministrativa della sospensione della patente e degli altri
titoli abilitativi alla guida di motoveicoli e ciclomotori. 
    8.-  Pur  cosi'  articolata  in  tre   parti   (due   ritagli   e
un'abrogazione parziale),  la  richiesta  referendaria  -  va  subito
precisato - richiede una valutazione necessariamente unitaria. 
    Questa Corte  ha,  infatti,  affermato  che  il  referendum  «non
consente di scindere il quesito e quindi non  offre  possibilita'  di
soluzioni intermedie tra il rifiuto e l'accettazione integrale  della
proposta abrogativa» (sentenza n. 12 del 2014). 
    9.-  La  richiesta  referendaria  e'  diretta  innanzi  tutto  ad
espungere, dall'art.  73,  comma  1,  t.u.  stupefacenti,  la  parola
«coltiva»,  termine  che  -  nell'interpretazione   prospettata   dal
Comitato promotore - riguarderebbe  solo  la  coltivazione  domestica
"rudimentale" della pianta di cannabis. 
    Nella sua memoria  il  Comitato  promotore  richiama  il  recente
arresto della Corte di legittimita'  (Corte  di  cassazione,  sezioni
unite penali, sentenza 19 dicembre 2019-16 aprile  2020,  n.  12348),
che, a composizione di un contrasto di giurisprudenza,  ha  affermato
che dall'area dell'illecito penale del comma 1  dell'art.  73  devono
ritenersi escluse  -  per  difetto  di  tipicita',  quale  necessaria
connotazione della fattispecie penale - le attivita' di  coltivazione
di  minime  dimensioni  svolte  in  forma  domestica,  che,  per   le
rudimentali tecniche utilizzate,  lo  scarso  numero  di  piante,  il
modestissimo quantitativo di  prodotto  ricavabile,  la  mancanza  di
ulteriori indici di un loro inserimento nell'ambito del mercato degli
stupefacenti, appaiono destinate in via esclusiva  all'uso  personale
del coltivatore. 
    Sicche' - assume il  Comitato  promotore  -  l'abrogazione  della
parola «coltiva» nel  comma  1  dell'art.  73  avrebbe  l'effetto  di
sottrarre alla punibilita' proprio e solo la  coltivazione  domestica
cosiddetta  "rudimentale"  della  pianta   per   l'infiorescenza   di
cannabis. 
    9.1.- Ma questa lettura riduttiva non  e'  ricavabile  dal  testo
normativo secondo  gli  ordinari  canoni  interpretativi,  ne'  trova
fondamento nel principio giurisprudenziale sopra richiamato. 
    Deve infatti considerarsi che - in ragione della reviviscenza del
testo vigente prima della legge n. 49 del 2006 nel contesto normativo
di cui si e' detto sopra sub punto 4 - la condotta  di  coltivazione,
ricompresa nella catalogazione del comma 1 (unitamente  a  quelle  di
produzione, fabbricazione, estrazione, raffinazione, vendita ed altre
ancora), si riferisce testualmente alle Tabelle I e III dell'art. 14,
che concernono le droghe "pesanti" e non gia' la cannabis,  la  quale
e' compresa invece nella Tabella II. 
    Quindi la  condotta  di  chi  «coltiva»,  prevista  dal  comma  1
dell'art. 73, e' testualmente quella relativa  alle  piante  indicate
nella Tabella I (la Tabella III non ne contiene alcuna): il  papavero
sonnifero  e  le  foglie   di   coca;   inoltre,   in   mancanza   di
specificazioni, si tratta della coltivazione tout  court,  quale  che
sia la sua estensione, pure agraria e finanche massiva. 
    La coltivazione della canapa e', invece, contemplata nel comma  4
dell'art. 73, che riguarda le sostanze stupefacenti o  psicotrope  di
cui alle Tabelle II e IV previste dall'art. 14  e  che,  quanto  alle
condotte sanzionate penalmente, richiama quelle dei commi  precedenti
e  segnatamente  del  comma  1.  Sicche'  e'  solo  come  conseguenza
indiretta  dell'eventuale  abrogazione  referendaria   della   parola
«coltiva» nel comma 1 della stessa disposizione che sarebbe parimenti
depenalizzata altresi' la coltivazione della canapa,  prevista  dalla
Tabella II, pure essa nella dimensione agricola, in ipotesi  finanche
massiva. 
    Pertanto il quesito referendario -  per  quello  che  e'  il  suo
contenuto oggettivo, l'unico  rilevante,  e  non  gia'  la  finalita'
soggettiva assunta  dal  Comitato  nella  sua  memoria  -  conduce  a
depenalizzare   direttamente   la   coltivazione   (quale   ne    sia
l'estensione) delle piante della Tabella I, da cui si  estraggono  le
sostanze stupefacenti qualificate come  droghe  cosiddette  "pesanti"
(papavero sonnifero e foglie di coca), e indirettamente  altresi'  la
coltivazione della pianta di  cannabis  della  Tabella  II,  peraltro
nella dimensione anche agricola e non solo  domestica  (quest'ultima,
anzi, essendo in parte gia'  fuori  dalla  fattispecie  penale  nella
misura  in  cui  ricorrano  le  condizioni  indicate   dalla   citata
giurisprudenza di legittimita'). 
    9.2.- Questo cosi' esteso risultato,  obiettivamente  prefigurato
dalla richiesta referendaria al di la'  dell'intento  soggettivo  del
Comitato   promotore,   contrasta   apertamente   con    i    vincoli
sovranazionali di cui sopra sub punto 6, come questa  Corte  ha  gia'
ritenuto nelle sentenze  n.  27  del  1997  e  n.  30  del  1981.  In
particolare la citata  decisione  quadro  del  Consiglio  dell'Unione
Europea 2004/757/GAI,  integrata  dalla  direttiva  2017/2103/UE  del
Parlamento europeo e del Consiglio  del  15  novembre  2017,  prevede
espressamente all'art. 2, paragrafo  1,  che  ciascuno  Stato  membro
provvede affinche' siano punite plurime condotte connesse al traffico
illecito di stupefacenti, tra le quali e'  espressamente  indicata  -
alla lettera b) - «la coltura del papavero da oppio, della pianta  di
coca o della pianta della cannabis». Nella Relazione  al  disegno  di
legge, recante «Delega al Governo per il recepimento delle  direttive
europee e l'attuazione di altri atti dell'Unione europea con la legge
di delegazione europea 2018», il Governo - come prescritto  dall'art.
29, comma 7, lettera d), della legge 24 dicembre 2012, n. 234  (Norme
generali  sulla  partecipazione   dell'Italia   alla   formazione   e
all'attuazione della normativa e delle politiche dell'Unione europea)
- ha dato atto dell'omesso inserimento, tra le  altre,  della  citata
direttiva integrativa  della  richiamata  decisione  quadro  «poiche'
l'ordinamento nazionale risulta essere conforme al dettato  normativo
europeo e, pertanto, non necessita[...] di norme di attuazione». 
    9.3.-  Inoltre   il   risultato   prefigurato   dalla   richiesta
referendaria neppure verrebbe conseguito perche' comunque  rimarrebbe
la fattispecie penale dell'art. 28 t.u. stupefacenti, che - in quanto
non attinto dalla richiesta referendaria, come del resto  ammette  lo
stesso  Comitato  promotore   -   continuerebbe   a   sanzionare   la
coltivazione non autorizzata di tutte le piante di cui  all'art.  26,
comprendendo cosi' sia quelle della Tabella I (papavero  sonnifero  e
foglie di coca), sia quelle della Tabella II (canapa),  con  la  sola
eccezione,   espressamente   prevista,   della    canapa    coltivata
esclusivamente  per  la  produzione  di  fibre  o   per   altri   usi
industriali, diversi da quelli di cui all'art. 27,  consentiti  dalla
normativa dell'Unione europea. 
    Anche  in  caso  di   esito   affermativo   della   consultazione
referendaria, quindi, rimarrebbe vigente  la  prescrizione  dell'art.
28, che prevede, al comma 1, che chiunque, senza essere  autorizzato,
coltiva le piante indicate nel precedente art.  26,  e'  assoggettato
alle sanzioni penali (oltre  che  amministrative)  stabilite  per  la
fabbricazione illecita delle sostanze stesse (ossia quelle  dell'art.
73). L'art. 26 a sua volta richiama le  Tabelle  dell'art.  14,  come
sostituito dal d.l. n. 36 del 2014, come convertito, che contemplano,
appunto, le piante sia di papavero sonnifero, sia  di  coca,  sia  di
canapa. 
    9.4.- In definitiva, mentre apparentemente, per quella che e'  la
dichiarata intenzione del Comitato, il quesito referendario mirerebbe
soltanto a depenalizzare la coltivazione, non agricola  ma  domestica
"rudimentale" (o  minimale),  della  canapa  indiana  (cannabis),  in
realta' esso - per quello che e' invece il suo  contenuto  oggettivo,
l'unico rilevante - per un verso produrrebbe un  risultato  ben  piu'
esteso, riguardando direttamente ogni coltivazione delle  piante  per
estrarre  sostanze  stupefacenti   cosiddette   "pesanti"   (papavero
sonnifero e foglie di coca) e indirettamente anche  la  coltivazione,
agricola o domestica che  sia,  della  pianta  di  canapa;  risultato
complessivo precluso dai vincoli sovranazionali sopra richiamati  che
non consentono l'ammissibilita' di un referendum di questa portata. 
    Per altro verso, questo apparente risultato piu' ampio sarebbe in
realta' vano e illusorio, perche' rimarrebbe in ogni caso immutata la
rilevanza  penale,  prevista  dall'art.  28  t.u.  stupefacenti,  non
oggetto della  richiesta  referendaria,  per  ogni  coltivazione  non
autorizzata di piante di cui all'art. 26, tra cui proprio  la  canapa
indiana. 
    Questa discrasia, che emerge dall'esame del ritaglio proposto dal
quesito referendario nel comma 1  dell'art.  73,  e'  rilevante,  non
essendo inibita a questa Corte  la  valutazione  della  normativa  di
risulta allorche' essa, come nella fattispecie, presenti elementi  di
grave contraddittorieta' rispetto al fine  obiettivo  dell'iniziativa
referendaria tali da pregiudicare la chiarezza e la  comprensibilita'
del quesito per l'elettore (sentenze n. 24 del 2011, n. 15 del 2008 e
n. 45 del 2005). 
    Si ha infatti  che  in  questa  parte  la  proposta  referendaria
risulta essere fuorviante per il corpo elettorale, che - diversamente
da quanto  proclamato  dal  Comitato  promotore  -  non  sarebbe,  in
realta', affatto chiamato a esprimersi sull'alternativa,  di  portata
ridotta, se depenalizzare, o no,  la  coltivazione  della  canapa  in
forma  domestica  "rudimentale",  bensi'  si  troverebbe  di   fronte
all'alternativa, sopra indicata, ad  un  tempo  ben  piu'  ampia  (in
quanto comprensiva della depenalizzazione  anche  della  coltivazione
del papavero sonnifero e delle  foglie  di  coca),  quanto  illusoria
(rimanendo, in realta', la rilevanza penale di tutte tali  condotte);
e cio' ridonda in irrimediabile difetto di chiarezza e univocita' del
quesito. 
    10.- La richiesta referendaria e' diretta anche alla eliminazione
dalla disposizione di cui al comma 4 dell'art. 73  t.u.  stupefacenti
delle parole «la reclusione da due a sei anni e». 
    Il rinvio, contenuto nel comma 4, ai fatti di cui ai commi 1, 2 e
3 dell'art. 73 t.u. stupefacenti postula, come  gia'  rilevato  sopra
sub punto 4, che anche in questo  caso  le  norme  applicabili  vanno
individuate in quelle che tornano in vigore a seguito della  sentenza
n. 32 del 2014 di questa Corte. 
    Dal rinvio contenuto nel comma 4 dell'art. 73  discende  che,  in
caso di positivo esito referendario, alle stesse condotte  sanzionate
dai commi precedenti (tra cui  la  condotta  di  chi  «coltiva»),  se
concernenti sostanze stupefacenti o psicotrope di cui alle Tabelle II
e  IV  previste  dall'art.  14  (droghe  cosiddette  "leggere"),   si
applicherebbe la sola sanzione penale della multa (da  euro  5.164  a
euro 77.468), con esclusione  quindi  della  reclusione,  attualmente
prevista tra il minimo di due anni e il massimo di sei anni. 
    L'intento  referendario  mira   quindi   all'alleggerimento   del
trattamento sanzionatorio, che conseguirebbe  all'eliminazione  della
pena della reclusione, residuando solo quella della multa, quando  si
tratta  delle  condotte  di  rilievo  penale  aventi  ad  oggetto  le
cosiddette droghe "leggere", individuate  attraverso  il  rinvio  «ai
fatti di cui ai commi 1, 2 e 3». 
    Nella  fattispecie,  pur  rimanendo  precluse,  nel  giudizio  di
ammissibilita'  del   referendum,   valutazioni   di   merito   sulla
legittimita' costituzionale della normativa di risulta, questa  Corte
non puo', tuttavia, non rilevare, sotto  il  profilo  dell'ambiguita'
del  quesito,  la  vistosa   contraddittorieta'   che   conseguirebbe
all'eliminazione della pena detentiva, per  l'irriducibile  antinomia
che ne deriverebbe con la fattispecie del comma 5 del  medesimo  art.
73  t.u.  stupefacenti,  disposizione  non  toccata  dalla   proposta
abrogativa referendaria. Infatti si avrebbe che ai medesimi fatti  di
cui al comma 4, se ritenuti di  «lieve  entita'»,  rimarrebbe  invece
applicabile la sanzione congiunta della reclusione e della multa. 
    E' vero - come sottolinea il Comitato promotore nella sua memoria
- che questa  Corte  (sentenza  n.  23  del  2016)  ha  affermato  in
proposito che, dopo la trasformazione della circostanza attenuante in
reato autonomo, «non sussiste piu' alcuna esigenza di  mantenere  una
simmetria sanzionatoria tra fatti  di  lieve  entita'  e  quelli  non
lievi». Ma cio' giustifica  solo  che  il  regime  sanzionatorio  del
novellato comma 5 dell'art. 73 possa essere - come in  effetti  e'  -
unico, senza distinzione tra droghe leggere e droghe pesanti,  e  non
gia' che paradossalmente il fatto di  «lieve  entita'»  possa  essere
punito con la pena congiunta della reclusione e della multa e non  lo
sia invece il fatto non lieve  o  addirittura  quello  grave  per  la
ricorrenza   delle   circostanze   aggravanti   dell'art.   80   t.u.
stupefacenti (l'aumento di pena e', infatti, previsto con riferimento
alla pena base, che per la fattispecie del comma 4 dell'art.  73,  in
caso di esito affermativo del referendum,  sarebbe  costituita  dalla
sola multa). 
    Anche in questa parte la richiesta referendaria presenta, quindi,
un  irrimediabile  profilo  di  inammissibilita'  per  la   manifesta
contraddittorieta'  della  normativa   di   risulta   con   l'intento
referendario,  in  quanto  la  sanzione  detentiva   permarrebbe   in
riferimento ai medesimi fatti quando di «lieve entita'». 
    Cio'  ridonda  in  difetto  di  chiarezza  giacche'  il   quesito
referendario chiederebbe all'elettore di operare una scelta  illogica
e contraddittoria: se eliminare, o no, la pena della reclusione per i
fatti  concernenti  le  droghe  cosiddette  "leggere",  conservandola
invece per le medesime condotte se di «lieve entita'». 
    11.- Conclusivamente, va  quindi  dichiarata  inammissibile,  nel
complesso, la richiesta di referendum in esame.