Ricorso ex art. 127 della  Costituzione  per  il  Presidente  del
Consiglio   dei   ministri,   rappresentato   e   difeso   ex    lege
dall'Avvocatura  generale  dello  Stato  (C.f.  80224030587  -   fax:
0696514000, pec:  ags.rm@mailcert.avvocaturastato.it)  presso  i  cui
uffici e' domiciliato in Roma, alla via dei Portoghesi, 12. 
    Contro la Regione autonoma della Sardegna (C.F. 80002870923), con
sede in Cagliari, viale Trento, 69,  c.a.p.  09123,  in  persona  del
Presidente              delle              Regione              (pec:
pres.arealegale@pec.regione.sardegna.it;
presidenza@pec.regione.sardegna.it);   per   la    declaratoria    di
illegittimita' costituzionale degli articoli 5, commi 3, 19, 25, 26 e
29 (Disposizioni in materia di personale); 6, comma 32  (Disposizioni
in materia di politiche  sociali  e  sanita');  13,  commi  60  e  61
(Disposizioni in materia di urbanistica); 20, comma 1 (Esecuzione dei
provvedimenti di demolizione e rimessione in pristino); 35,  comma  5
(Rivalutazione Istat delle indennita' dei consiglieri regionali); 39,
comma 1, lett. b) (Esercizio dell'attivita'  venatoria)  della  legge
della Regione autonoma Sardegna n. 17 del 22 novembre 2021 pubblicata
nel Bollettino Ufficiale della Regione autonoma della Sardegna n.  64
del 23 novembre 2021. 
 
                              Premessa 
 
    La legge regionale Sardegna n. 17 del 22 novembre  2021,  recante
«Disposizioni di' carattere istituzionale-finanziario e in materia di
sviluppo  economico  e  sociale»  e'  illegittima  in  quanto  talune
disposizioni, eccedendo  dalle  competenze  attribuite  alla  Regione
Sardegna dallo Statuto speciale di autonomia, violano gli articoli 3,
9, 81, terzo comma, 97, 117, primo comma, secondo comma, lettera  c),
h), l) e s) e terzo comma,  e  119  della  Costituzione,  nonche'  il
principio di leale collaborazione. 
    Si individuano in particolare le seguenti disposizioni: 
        art. 5, commi 3, 19, 25, 26 e  29  recante  «Disposizioni  in
materia di personale»; 
        art.  6,  comma  32  recante  «Disposizioni  in  materia   di
politiche sociali e sanita'; 
        art. 13, commi 60 e 61 recante «Disposizioni  in  materia  di
urbanistica»; 
        art. 20, comma 1 recante  «Esecuzione  dei  provvedimenti  di
demolizione e rimessione in pristino»; 
        art.  35,  comma  5  recante   «Rivalutazione   Istat   delle
indennita' dei consiglieri regionali»; 
        art.   39,   comma   1,   lettera   b)   recante   «Esercizio
dell'attivita' venatoria». 
    La legge, con riferimento alle disposizioni sopra indicate, viene
impugnata ai  sensi  dell'art.  127  della  Costituzione  secondo  le
motivazioni che di seguito si riportano. 
 
                               Motivi 
 
1) Incostituzionalita' dell'art. 5,  comma  3,  della  legge  Regione
Sardegna n. 17/2021,  per  violazione  degli  articoli  117,  secondo
comma, lettera l) e 97 della Costituzione, in  relazione  all'art.  3
dello Statuto speciale  per  la  Sardegna  (Legge  costituzionale  26
febbraio 1948, n. 3), con riferimento  agli  articoli  19  e  28  del
decreto legislativo n. 165/2001. 
    L'art. 5, comma 3, della legge in esame dispone che al  personale
transitato ai sensi art. 1, comma 4 della legge  regionale  3  agosto
2017, n. 18, si applica  il  riconoscimento  di  anzianita'  previsto
dall'art. 87, comma terzo, della legge regionale 17 agosto  1978,  n.
51. Inoltre, l'anzianita' cosi maturata nella qualifica per l'accesso
alla quale dall'esterno sia prescritto  il  diploma  di  laurea  vale
quale  requisito  di  ammissione  alle  procedure  di  accesso   alla
dirigenza di cui all'art. 32 della legge regionale n. 31 del 1998. 
    La norma, in estrema sintesi, sostituisce il requisito del titolo
di studio della laurea, previsto per l'accesso  alla  dirigenza,  con
quello della mera  anzianita'  di  servizio,  ponendosi  pertanto  in
insanabile contrasto con la disciplina ordinamentale  (cogente  anche
per gli enti locali) in materia di accesso alla dirigenza. 
    A nulla rileva la circostanza che l'articolo in parola  riconosce
l'anzianita', cosi maturata nella qualifica per l'accesso alla  quale
dall'esterno sia prescritto il diploma  di  laurea,  quale  requisito
utile  ai  fini  dell'ammissione  alle  procedure  di  accesso   alla
dirigenza di cui all'art. 32 della legge  regionale  n.  31/1998  che
individua i requisiti occorrenti a tali fini. 
    Al riguardo, occorre rappresentare che il legislatore  nazionale,
in forza del combinato disposto degli articoli 19 e  28  del  decreto
legislativo n. 165/2001, ha disciplinato, tra  l'altro,  i  requisiti
culturali  minimi  per  l'accesso  alla   qualifica   di   dirigente,
evidenziando che  la  formazione  universitaria  richiesta  non  puo'
essere inferiore al possesso della laurea specialistica o  magistrale
ovvero  del  diploma  di  laurea  conseguito  secondo   l'ordinamento
didattico previgente al regolamento di cui al  decreto  del  Ministro
dell'universita' e della ricerca scientifica e tecnologica 3 novembre
1999, n. 509. Sull'argomento, e' intervenuto  anche  il  Dipartimento
della funzione pubblica che, con il parere n. 35/2008,  ha  precisato
che per gli enti locali il requisito del titolo di  studio  richiesto
dalla legge per il conferimento di un  incarico  dirigenziale  e'  lo
stesso, disposto in generale, dall'art.  28,  comma  1,  del  decreto
legislativo n. 165/2001, ovvero il diploma di laurea. 
    In proposito, va precisato che l'art. 40, comma  1,  lettera  f),
del decreto legislativo 27 ottobre 2009,  n.  150  (Attuazione  della
legge 4 marzo  2009,  n.  15,  in  materia  di  ottimizzazione  della
produttivita' del lavoro pubblico e di efficienza e trasparenza delle
pubbliche  amministrazioni)  ha  modificato  l'art.  19  del  decreto
legislativo 30 marzo 2001, n. 165, aggiungendo  il  comma  6-ter,  il
quale dispone che i commi 6 e 6-bis si applicano alle amministrazioni
di cui all'art. 1, comma 2, del medesimo decreto. 
    Quest'ultima   norma,   a   sua   volta,   stabilisce   che   per
amministrazioni pubbliche si intendono tutte le amministrazioni dello
Stato e, per quanto qui interessa, anche le regioni. 
    A fortiori, la Corte costituzionale, con la sentenza n.  324/2020
(1) , ha ritenuto che la disciplina di cui agli articoli  6  e  6-bis
dell'art. 19 del decreto legislativo n. 165/2001  riguardi  tutte  le
amministrazioni pubbliche, anche quelle locali; trattandosi, infatti,
di requisiti soggettivi  che  devono  essere  posseduti  dal  privato
contraente non possono che essere identici per tutte  le  fattispecie
in cui si da' luogo a un incarico dirigenziale. 
    La disciplina degli incarichi dirigenziali, per quanto attiene ai
profili normativi del rapporto, e' materia  attratta  all'ordinamento
civile e, in quanto tale, rimessa alla potesta' esclusiva dello Stato
dall'art. 117 Cost.,  secondo  comma,  lettera  l),  (sentenze  Corte
costituzionale n. 324 del 2010, n. 62 del 2019). Come affermato dalla
Corte costituzionale (sentenze n. 77 del 2013, n. 151 del 2010, n. 95
del  2007),  «la  disciplina  del  rapporto  lavorativo  dell'impiego
pubblico privatizzato e' rimessa alla competenza legislativa  statale
di cui all'art. 117, secondo comma,  lettera  l),  Cost.,  in  quanto
riconducibile alla materia "ordinamento civile",  che  vincola  anche
gli enti ad autonomia differenziata». 
    Tanto premesso, si ritiene che la norma regionale sia illegittima
per violazione dei principi di cui agli articoli 117, secondo  comma,
lettera l) e 97 della Costituzione, individuando requisiti di accesso
alla dirigenza non conformi al quadro regolativo  nazionale,  aspetto
questo non riconducibile a profili di autonomia organizzativa. 
    La disposizione viola anche l'art. 3 dello Statuto  speciale  per
la Sardegna  (Legge  costituzionale  26  febbraio  1948,  n.  3)  che
seppure, alla lettera a), stabilisca una competenza  esclusiva  della
Regione  in  materia  di  «ordinamento  degli  uffici  e  degli  enti
amministrativi della Regione  e  stato  giuridico  ed  economico  del
personale»  circoscrive  tale  competenza  entro  i   confini   della
Costituzione  e  dei  principi   dell'ordinamento   giuridico   della
Repubblica e nel rispetto degli interessi  nazionali,  nonche'  delle
norme fondamentali delle riforme economico-sociali della Repubblica. 
2) Illegittimita' dell'art. 5 comma 19, della legge Regione  Sardegna
n. 17/21 per violazione del principio di coordinamento della  finanza
pubblica di  cui  all'art.  117,  terzo  comma,  della  Costituzione,
nonche' con l'art. 119  (recante  autonomia  finanziaria  degli  enti
territoriali) della Costituzione in relazione all'art. 23,  comma  2,
del decreto legislativo n. 75 del 2017. 
    L'art. 5, comma 19, dispone che nel comparto della contrattazione
collettiva regionale si applichi la disposizione di cui  all'art.  3,
comma  2  del  decreto-legge  n.  80/2021,  che  ha   introdotto   la
possibilita' di superare i limiti di spesa  relativi  al  trattamento
economico accessorio, di  cui  all'art.  23,  comma  2,  del  decreto
legislativo  25  maggio  2017,  n.   75,   compatibilmente   con   il
raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica, secondo criteri e
modalita' da definire nell'ambito dei contratti collettivi  nazionali
di lavoro e nei limiti delle risorse  finanziarie  destinate  a  tale
finalita'. 
    A  tale  norma,  di  carattere  programmatorio,  e'  stata   data
attuazione con l'art. 1, comma 604 della legge n. 234/2021, il  quale
prevede che «Al fine di dare attuazione a quanto  previsto  dall'art.
3, comma 2, del decreto-legge 9 giugno 2021, n. 80, ...,  le  risorse
destinate ai trattamenti accessori  del  personale  dipendente  dalle
amministrazioni di cui all'art. 1, comma 2, del  decreto  legislativo
30 marzo 2001, n. 165, possono essere incrementate, rispetto a quelle
destinate  a  tali  finalita'  nel  2021,  con  modalita'  e  criteri
stabiliti  dalla  contrattazione  collettiva  nazionale  relativa  al
triennio  2019-2021  o  dai   provvedimenti   di   determinazione   o
autorizzazione dei medesimi trattamenti, di  una  misura  percentuale
del monte salari 2018 da determinare, per le amministrazioni statali,
nei limiti di una spesa  complessiva  di  110,6  milioni  di  euro  a
decorrere dall'anno 2022, ... e, per le restanti  amministrazioni,  a
valere sui propri bilanci, con la medesima percentuale e  i  medesimi
criteri previsti per il personale delle amministrazioni dello  Stato,
secondo gli indirizzi impartiti dai rispettivi comitati di settore ai
sensi dell'art. 47, comma 2,  del  predetto  decreto  legislativo  30
marzo 2001, n. 165». 
    Peraltro per le amministrazioni diverse  da  quelle  centrali  la
percentuale massima da applicare al monte salari del 2018  e'  sempre
rimasta pari allo 0,22% come indicato anche nella  relazione  tecnica
della citata legge  di  bilancio  2022-2024  in  quanto  la  modifica
intervenuta nel comma 604, dell'art.  1,  della  legge  n.  234/2021,
rispetto alla precedente formulazione contenuta nell'art. 182 del DDL
di bilancio 2022 ha  interessato  esclusivamente  le  amministrazioni
centrali. Nulla rileva la circostanza  che  la  legge  della  Regione
Sardegna n. 17/2021 sia stata emanata prima  dell'entrata  in  vigore
della legge  di  bilancio  per  il  2022,  considerato  il  carattere
programmatorio dell'art. 3, comma 2, del  decreto-legge  n.  80/2021,
confermato piu' volte in tutti i tavoli istituzionali, a cui e' stata
data attuazione e copertura finanziaria proprio con la predetta legge
n. 234/2021. 
    Si aggiunga anche l'effetto emulativo che ne  deriverebbe  e  gli
effetti finanziari di cui,  al  momento,  non  e'  possibile  neanche
valutare la quantificazione. 
    Pertanto, in assenza, alla data di entrata in vigore della  legge
regionale,  del  parametro  previsto  dall'art.  3,  comma   2,   del
decreto-legge n. 80/2021, definito infatti solo successivamente dalla
legge di bilancio 2022 (ossia il rispetto dei «limiti  delle  risorse
finanziarie destinate a tale finalita'), la norma  regionale  avrebbe
dovuto rispettare il limite di spesa posto originariamente  dall'art.
23,  comma  2,  del  decreto  legislativo   n.   75   del   2017   e,
conseguentemente, essa si pone  in  contrasto  con  il  principio  di
coordinamento della finanza pubblica  sancito  dall'art.  117,  terzo
comma, della Costituzione, nonche' con l'art. 119 (recante  autonomia
finanziaria degli enti territoriali) della Costituzione». 
3) Illegittimita' dell'art. 5, comma 25, della legge Regione Sardegna
n. 17/21 per violazione degli articoli 117, secondo comma, lettera l)
e 97 della  Costituzione,  in  relazione  all'art.  3  dello  Statuto
speciale per la Sardegna (Legge costituzionale 26 febbraio  1948,  n.
3), con riferimento all'art. 30 comma 1  e  2-quinquies  del  decreto
legislativo n. 165/2001. 
    L'art. 5, comma 25, al fine di rafforzare  l'organico  regionale,
con particolare riguardo alle  necessita'  di  personale  conseguenti
all'emergenza Covid-19, dispone che  il  personale  con  contratto  a
tempo indeterminato che abbia prestato  servizio  presso  il  sistema
Regione in posizione di comando o in assegnazione  temporanea,  anche
attraverso i progetti di cui alla delib. G.R.  18  gennaio  2005,  n.
1/11, negli ultimi cinque anni puo' transitare, a seguito di apposita
domanda,  nell'Amministrazione   regionale   mediante   cessione   di
contratto, previo nulla  osta  dell'amministrazione  di  provenienza.
Inoltre, viene  previsto  che  la  disposizione  non  comporta  oneri
aggiuntivi a carico del bilancio regionale e che tali misure  trovano
applicazione nei limiti delle  risorse  finanziarie  disponibili  nel
fondo per il reclutamento del personale in conto della missione 01  -
programma 10 - titolo 1, del bilancio regionale e nel rispetto  delle
facolta' assunzionali previste a legislazione vigente. 
    Il riferimento all'istituto della  cessione  del  contratto  come
strumento di mobilita' viola i principi in materia  di  accesso  agli
impieghi pubblici posto che, sul punto,  occorre  tener  conto  della
speciale disciplina dettata dal decreto legislativo n.  165/2001.  Da
tale disciplina sembrerebbe invero discostarsi  l'art.  38-bis  della
legge regionale n. 31/1998, cui la norma regionale  in  questione  fa
rinvio,  in  quanto  pur  essendo  rubricato  «passaggio  diretto  di
personale tra amministrazioni diverse», non solo richiede  il  previo
nulla osta dell'amministrazione di appartenenza, non piu' previsto in
via generalizzata per effetto delle modifiche introdotte dall'art. 3,
del decreto-legge n.  80/2021,  ma  dispone  altresi',  nel  caso  di
attribuzione del livello economico di valore  pari  o  immediatamente
inferiore a quello posseduto nell'amministrazione di appartenenza «un
assegno  personale  riassorbibile  atto  a  garantire  l'importo  del
trattamento economico fisso e continuativo annuo in godimento».  Tale
disposizione si pone in contrasto con l'art. 30,  comma  2-quinquies,
del testo unico del pubblico  impiego,  in  forza  del  quale  «Salvo
diversa   previsione,   a   seguito   dell'iscrizione    nel    ruolo
dell'amministrazione di destinazione, al  dipendente  trasferito  per
mobilita' si  applica  esclusivamente  il  trattamento  giuridico  ed
economico,  compreso  quello  accessorio,  previsto   nei   contratti
collettivi vigenti nel comparto  della  stessa  amministrazione».  Su
questo presupposto giuridico il recente parere DFP n.  27149  del  21
aprile 2021 ha precisato che, in caso di mobilita' volontaria, non e'
garantito il mantenimento del livello retributivo in godimento presso
l'amministrazione di provenienza,  dovendosi  fare  riferimento  agli
emolumenti  propri  del   trattamento   economico   fondamentale   ed
accessorio del comparto  di  contrattazione  dell'amministrazione  di
destinazione del  dipendente  previsti  per  la  categoria  e  fascia
economica di inquadramento,  restando  esclusa  la  possibilita'  del
riconoscimento,  ancorche'  a   titolo   di   assegno   ad   personam
riassorbibile, di importi derivanti da emolumenti propri del comparto
di provenienza; tale possibilita' resta invece contemplabile nei casi
di mobilita' diversi da quella volontaria (cfr. art. 3, comma 2,  del
decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 26 giugno 2015). 
    Alla luce di quanto detto, il  citato  art.  38-bis  della  legge
regionale n. 31/1998 appare fattispecie ibrida,  che  il  legislatore
regionale  avrebbe  previsto   ad   hoc   nell'ambito   del   proprio
ordinamento, in contrasto con le citate disposizioni  in  materia  di
mobilita' che afferiscono alla  disciplina  del  rapporto  di  lavoro
pubblico (privatizzato). 
    Ne discende, a cascata, anche l'illegittimita' dell'art. 5, comma
25 in questa sede oggetto d'esame. 
    Codesta Corte costituzionale ha  infatti  piu'  volte  ricondotto
alla materia dell'"ordinamento  civile"  anche  le  diverse  forme  e
procedure di mobilita' nel lavoro pubblico (sentenze n. 68 del  2011;
n. 324 del 2010; n. 17/2014). 
    Si  palesa  quindi  una  violazione  della  sfera  di  competenza
legislativa che l'art. 117, secondo comma, lettera l), Cost.  riserva
esclusivamente allo Stato. Non osta a tale conclusione la circostanza
che, ai sensi dell'art. 3, lettera a), dello  Statuto  della  Regione
Sardegna, spetti a quest'ultima la competenza  legislativa  esclusiva
in materia di ordinamento  degli  uffici  e  di  stato  giuridico  ed
economico del proprio personale.  Tale  potesta'  di  regolazione  in
materia incontra, infatti, ai sensi di quanto previsto  dallo  stesso
Statuto regionale sardo, i limiti derivanti dalle norme  fondamentali
delle  riforme  economico-sociali  della  Repubblica  (cosi',   Corte
costituzionale sentenza n. 172 del 2018). 
    In proposito la Consulta (cfr.  sentenza  n.  189  del  2007)  ha
ritenuto confermata l'autoqualificazione contenuta nell'art. 1, comma
3, testo unico pubblico impiego (che richiama i  principi  desumibili
dall'art. 2 della legge 23 ottobre 1992, n. 421) - che per le Regioni
a statuto speciale i principi desumibili  dal  testo  unico  pubblico
impiego costituiscono norme fondamentali di riforma economico-sociale
della Repubblica. Come  tali,  essi  si  impongono  al  rispetto  del
legislatore della Regione autonoma (in tal senso, ex multis, sentenze
n. 93 del 2019, n. 201; n. 178 del 2018 e n. 16/2020). 
    In proposito giova rammentare che, secondo un consolidato  avviso
della Corte costituzionale, da ultimo confermato nella sentenza n. 25
del 2021, "ogni provvedimento legislativo esiste a se' e puo' formare
oggetto  di  autonomo  esame  ai  fini  dell'accertamento  della  sua
legittimita': l'istituto dell'acquiescenza non si applica  invero  ai
giudizi in via principale, atteso che la norma impugnata ha  comunque
l'effetto di  reiterare  la  lesione  da  cui  deriva  l'interesse  a
ricorrere dello Stato" (ex plurimis, sentenze n. 237, n. 98 e  n.  60
del 2017, n. 39 del 2016, n. 215, n. 124 del 2015 e sentenza  n.  286
del 2019). 
4) Illegittimita' dell'art. 5, comma 26, della legge Regione Sardegna
n. 17/21 per violazione degli articoli 117, secondo comma, lettera l)
e 97 della  Costituzione,  in  relazione  all'art.  3  dello  Statuto
speciale per la Sardegna (Legge costituzionale 26 febbraio 1948),  n.
3, con riferimento all'art. 19 del decreto legislativo n. 165/2001. 
    L'art. 5, comma 26 - al fine di  garantire  l'assolvimento  delle
procedure in  corso,  l'avvio  e  l'attuazione  della  programmazione
europea 2021/2027 - prevede la possibilita' di prorogare, fino ad  un
massimo  di  due  anni  e  nei  limiti  delle   risorse   finanziarie
disponibili,  gli  incarichi   dirigenziali   a   tempo   determinato
attribuiti in seguito a procedure ad evidenza  pubblica  nel  sistema
Regione ai sensi dell'art. 29, della legge regionale n. 31 del  1998,
secondo le direttive dell'assessore competente. 
    In proposito, si evidenzia che l'art. 29 della legge regionale n.
31/1998, in materia di  conferimento  degli  incarichi  ai  dirigenti
esterni, al comma  4-bis,  dispone  che  «Nelle  amministrazioni  del
sistema Regione, per  lo  svolgimento  delle  funzioni  di  cui  agli
articoli 25 e 26 possono essere conferiti, con procedure selettive  a
evidenza pubblica,  nei  limiti  dell'8  per  cento  delle  dotazioni
organiche dirigenziali del sistema Regione e  secondo  le  rispettive
procedure di nomina, incarichi dirigenziali con contratto di  diritto
privato a tempo determinato, ai sensi  dell'art.  19,  comma  6,  del
decreto  legislativo  30  marzo  2001,   n.   165   (Norme   generali
sull'ordinamento del lavoro  alle  dipendenze  delle  amministrazioni
pubbliche), la cui durata e' determinata nell'avviso entro  i  limiti
di cui all'art. 28, comma 7». 
    Il predetto art. 28, comma 7, dispone che  «L'attribuzione  delle
funzioni  ha  durata  quinquennale  e  deve   tassativamente   essere
rideliberata entro la  scadenza.  Decorsi  quindici  giorni  da  tale
termine, o sessanta giorni dalla sopravvenuta vacanza, senza che  gli
organi competenti abbiano  provveduto,  ad  essi  si  sostituisce  il
Presidente  della  Giunta,  che  procede  immediatamente,  anche   in
mancanza delle deliberazioni, delle proposte e  dei  pareri  previsti
dall'ordinaria procedura di conferimento». 
    Al riguardo, occorre rappresentare che  il  legislatore  statale,
con  l'art.  19  del  citato  decreto  legislativo  n.  165/2001,  ha
disciplinato, tra l'altro, la durata minima e massima  dei  contratti
de quibus. 
    Nello specifico il  comma  6  stabilisce,  con  riferimento  agli
incarichi  a   soggetti   esterni   ai   ruoli   dell'amministrazione
conferente, che la durata di questi ultimi «...  non  puo'  eccedere,
per gli incarichi di funzione dirigenziale, di cui ai commi 3 e 4, il
termine  di  tre  anni,  e,  per  gli  altri  incarichi  di  funzione
dirigenziale, il termine di cinque anni ...» . E'  previsto  altresi'
che gli incarichi dirigenziali siano rinnovabili. 
    In proposito, va precisato che l'art. 40, comma  1,  lettera  f),
del decreto legislativo 27 ottobre 2009,  n.  150  (Attuazione  della
legge 4 marzo  2009,  n.  15,  in  materia  di  ottimizzazione  della
produttivita' del lavoro pubblico e di efficienza e trasparenza delle
pubbliche  amministrazioni)  ha  modificato  l'art.  19  del  decreto
legislativo 30 marzo 2001, n. 165, aggiungendo  il  comma  6-ter,  il
quale dispone che i commi 6 e 6-bis si applicano alle amministrazioni
di cui all'art. 1, comma 2, del medesimo decreto. 
    Quest'ultima   norma,   a   sua   volta,   stabilisce   che   per
amministrazioni pubbliche si intendono tutte le amministrazioni dello
Stato e, per quanto qui interessa, anche le Regioni. 
    Nel merito si evidenzia che  il  consolidato  orientamento  della
Corte  costituzionale  riconduce  la   disciplina   degli   incarichi
dirigenziali conferiti a soggetti  esterni  all'amministrazione  alla
materia dell'ordinamento civile di cui all'art. 117,  secondo  comma,
lettera  l),  Cost.,  poiche'  il  conferimento  degli  incarichi  in
argomento si realizza mediante la stipulazione  di  un  contratto  di
lavoro di diritto privato. Conseguentemente, la disciplina della fase
costitutiva di tale contratto, cosi' come  quella  del  rapporto  che
sorge per  effetto  della  conclusione  di  quel  negozio  giuridico,
appartengono  alla  materia  dell'ordinamento  civile  di  competenza
esclusiva statale. 
    A  tal  proposito,   si   riporta   la   sentenza   della   Corte
costituzionale n. 310/2011 che ha censurato  un'analoga  fattispecie,
disposta con legge regionale, in tema di  prosecuzione  di  incarichi
dirigenziali  in  essere,  conferiti  anche   a   soggetti   estranei
all'amministrazione, per contrasto con  l'art.  117,  secondo  comma,
lettera l), Cost. poiche' direttamente incidente sulla disciplina del
contratto dei dirigenti esterni e, segnatamente, sui profili connessi
all'instaurazione ed alla durata del rapporto. Peraltro, la Consulta,
gia' con la sentenza n. 324/2010 prima richiamata, aveva  evidenziato
che «... l'art. 19, comma 6, decreto  legislativo  n.  165  del  2001
contiene una pluralita'  di  precetti  relativi  alla  qualificazione
professionale ed alle precedenti esperienze lavorative  del  soggetto
esterno, alla durata massima  dell'incarico  (e,  dunque,  anche  del
relativo contratto di lavoro), all'indennita' che  -  a  integrazione
del trattamento economico - puo' essere attribuita al  privato,  alle
conseguenze  del   conferimento   dell'incarico   su   un   eventuale
preesistente rapporto di impiego pubblico e, infine, alla percentuale
massima di incarichi conferibili a soggetti  esterni  ...».  In  tale
pronuncia si evince quindi che «... tra i precetti  rientranti  nella
materia dell'ordinamento  civile,  devono  ritenersi  compresi  anche
quelli relativi alla "durata massima dell'incarico" (e, dunque, anche
del relativo contratto di lavoro)». 
    Da ultimo giova rammentare che gli atti inerenti  l'instaurazione
e la gestione dei rapporti  di  lavoro,  tra  cui  anche  l'eventuale
provvedimento amministrativo di rinnovo di  un  incarico  di  livello
dirigenziale in essere, sono da ricondursi alle attribuzioni  proprie
delle figure  di  vertice  dirigenziale  degli  enti  e,  come  tali,
sottratti alle competenze degli organi di indirizzo politico. 
    La separazione tra funzioni di indirizzo  politico-amministrativo
e  funzioni  di  gestione  amministrativa  costituisce,  infatti,  un
principio  di  carattere  generale,  che  trova  il  suo   fondamento
nell'art. 97 della Costituzione (cfr. ex multis Corte costituzionale,
sentenza n. 81/2013) al quale le regioni, pur nel rispetto della loro
autonomia, non possono sottrarsi. 
    La  giurisprudenza  di  codesta  Corte,  in  particolare,  si  e'
espressa  nel  senso  che  «l'individuazione  dell'esatta  linea   di
demarcazione tra gli atti da  ricondurre  alle  funzioni  dell'organo
politico e quelli di competenza della dirigenza amministrativa spetta
al legislatore. A sua volta, tale potere  incontra  un  limite  nello
stesso art. 97 della  Costituzione:  nell'identificare  gli  atti  di
indirizzo politico amministrativo e quelli a carattere gestionale, il
legislatore non  puo'  compiere  scelte  che,  contrastando  in  modo
irragionevole  con  il  principio  di  separazione  tra  politica   e
amministrazione,    ledano     l'imparzialita'     della     pubblica
amministrazione» (sentenza n. 81/2013 ult. cit.). 
    Tanto  premesso,  la  norma  in  esame  appare  illegittima   per
contrasto con i principi di cui agli  articoli  117,  secondo  comma,
lettera  l)  e  97  della  Cost.  e  con  le  norme  statutarie  gia'
richiamate. 
5) Illegittimita' dell'art. 5, comma 29, della legge n.  17/21  della
Regione Sardegna per violazione degli articoli  117,  secondo  comma,
lettera l) e 97 della Costituzione, in  relazione  all'art.  3  dello
Statuto speciale per la Sardegna (Legge  costituzionale  26  febbraio
1948, n. 3), con riferimento agli articoli 2 comma 3 e 45 del decreto
legislativo n. 165/2001. 
    L'art. 5, comma 29, della legge in esame dispone che, al fine  di
dare attuazione ai commi 4-ter e 4-quater dell'art. 58,  della  legge
regionale n. 31 del 1998 introdotti dalla legge in esame e  istituire
una   indennita'   pensionabile   in   analogia   all'indennita'   di
specificita' organizzativa percepita dal personale  della  Protezione
civile nazionale, riconosciuta dall'art. 18 del contratto integrativo
della Presidenza  del  Consiglio  dei  ministri  sottoscritto  il  15
settembre  2004,  per  la  contrattazione  collettiva  regionale,  e'
autorizzata, ai sensi dell'art. 62, della legge regionale n.  31  del
1998 l'ulteriore spesa di euro 285.840 per  l'anno  2021  e  di  euro
1.143.360 annui a decorrere dall'anno 2022 (missione 01  -  programma
10 - titolo 1). 
    Al riguardo, si evidenzia che la disposizione in esame dispone un
incremento delle risorse  destinate  alla  contrattazione  collettiva
regionale per dare attuazione alle previsioni, pure  contenute  nella
legge regionale in esame, intese a costituire per il personale  della
Direzione generale della protezione civile una  autonoma  e  separata
area di contrattazione all'interno del comparto nonche' per stabilire
discipline specifiche per le figure professionali di altre  direzioni
generali dell'Amministrazione regionale o del  sistema  Regione,  che
concorrono allo svolgimento  delle  attivita'  di  protezione  civile
previste nel piano regionale per la protezione civile.  Tuttavia,  la
previsione  di  tale  ulteriore  spesa  viene  finalizzata  anche  al
finanziamento dell'istituzione di una indennita' pensionabile per  il
predetto personale, intervenendo di  fatto  in  una  materia  che  e'
riservata alla contrattazione collettiva e che, pertanto, si pone  in
contrasto   con   il   principio   generale,    riconosciuto    dalla
giurisprudenza  di  codesta  Corte  costituzionale,  secondo  cui,  a
seguito della privatizzazione del rapporto  di  lavoro  pubblico,  la
disciplina del trattamento  giuridico  ed  economico  dei  dipendenti
delle pubbliche  amministrazioni  e'  retta  dalle  disposizioni  del
codice civile e dalla contrattazione collettiva, cui la  legge  dello
Stato rinvia. Le medesime considerazioni si impongono  anche  per  il
personale delle Regioni. La disciplina del  trattamento  economico  e
giuridico, anche con  riguardo  al  pubblico  impiego  regionale,  e'
riconducibile  alla  materia  «ordinamento  civile»,  riservata  alla
competenza legislativa esclusiva dello Stato  (sentenza  n.  273  del
2020, si vedano anche sentenze n. 175 e n. 160 del 2017).  E'  dunque
precluso alle  Regioni  adottare  una  normativa  che  incida  su  un
rapporto di  lavoro  gia'  sorto  e,  nel  regolarne  il  trattamento
giuridico  ed   economico,   si   sostituisca   alla   contrattazione
collettiva, fonte imprescindibile di disciplina (sentenze n.  20  del
2021 e n. 199 del 2020).  Con  riferimento  alle  Regioni  a  statuto
speciale, la Consulta ha indicato la necessita' di tener conto  delle
competenze statutarie che,  con  particolare  riguardo  alla  Regione
autonoma Sardegna, per espressa previsione statutaria, deve  comunque
essere esercitata nel «rispetto [...] delle norme fondamentali  delle
riforme economico-sociali della Repubblica». 
    Codesta Corte, proprio con riguardo al trattamento economico,  ha
gia' chiarito con le sentenze n. 257 del 2016 e n. 211 del  2014  che
«l'art. 2, comma 3, del decreto legislativo  n.  165/2001  stabilisce
che l'attribuzione di tali trattamenti puo'  avvenire  esclusivamente
mediante contratti collettivi, mentre l'art. 45 dello stesso  decreto
ribadisce che il trattamento economico fondamentale ed accessorio  e'
definito dai contratti collettivi» (sentenza n. 154 del 2019, punto 2
del Considerato in diritto). 
    Tale disciplina, secondo la  Corte  costituzionale,  «costituisce
norma fondamentale di  riforma  economico-sociale  della  Repubblica»
(sentenza n. 81 del 2019 richiamata dalla gia' citata sentenza n. 154
del 2019) e detta principi che si configurano come «tipici limiti  di
diritto  privato,  fondati  sull'esigenza,   connessa   al   precetto
costituzionale  di  eguaglianza,  di  garantire   l'uniformita'   nel
territorio  nazionale  delle  regole  fondamentali  di  diritto   che
disciplinano i rapporti tra privati, principi che si impongono  anche
alle  Regioni  a  statuto  speciale»  (sentenza  n.  189  del   2007,
richiamata dalla gia' citata sentenza n. 81 del 2019). 
    Tanto premesso la norma in esame e'  illegittima,  per  contrasto
con la normativa nazionale citata e di conseguenza  con  l'art.  117,
secondo comma, lettera l), Cost.  e  con  le  norme  statutarie  gia'
richiamate. 
6) Illegittimita' costituzionale dell'art. 6, comma 32,  della  legge
Regione Sardegna n. 17/21 per violazione degli articoli 117,  secondo
comma, lettera l) e 97 della Costituzione, in  relazione  all'art.  3
dello Statuto speciale  per  la  Sardegna  (Legge  costituzionale  26
febbraio 1948, n. 3), con riferimento agli  articoli  l'art.  3,  del
decreto-legge 9 giugno 2021, n. 80,  convertito,  con  modificazioni,
dalla legge 6 agosto 2021, n. 113. 
    L'art. 6, comma 32 dispone che «La  validita'  delle  graduatorie
relative alle procedure selettive per il reclutamento di personale  a
tempo  determinato  e   indeterminato,   pubblicate   dalle   aziende
ospedaliere, dalle aziende ospedaliere universitarie della Sardegna e
dalle  amministrazioni  del  sistema  Regione,  e'  prorogata  al  31
dicembre 2022». 
    Al  riguardo,  si  rammenta  che,  di  recente,   codesta   Corte
costituzionale (sentenza n. 58/2021) e' stata chiamata ad  esprimersi
sul ricorso proposto da alcune Regioni a Statuto speciale avverso  le
disposizioni di cui all'art. 1, commi  147  e  149,  della  legge  n.
160/2019  recanti  disposizioni  sul  termine  di   validita'   delle
graduatorie, nonche' sulle condizioni di utilizzo  delle  stesse  (in
particolare il comma 149, del modificare l'art. 35, comma 5-ter,  del
decreto legislativo n. 165/2001, ha ridotto tale termine da tre a due
anni). Segnatamente, nel dichiarare infondate le questioni  proposte,
codesta Corte ha  precisato  quanto  segue:  «(...)  deve,  pertanto,
escludersi che le norme statali in esame, che dettano una  disciplina
puntuale del termine  di  validita'  delle  graduatorie,  riferendosi
genericamente alle amministrazioni pubbliche di cui all'art. 1, comma
2, del decreto legislativo  n.  165  del  2001,  si  applichino  alla
Regione autonoma Valle d'Aosta/Vallee d'Aoste. Ne consegue che non si
e'  determinata  alcuna   violazione   della   competenza   regionale
residuale, ne' del principio di leale collaborazione, non essendo  le
norme denunciate destinate a spiegare alcuna efficacia nel territorio
regionale  neppure  quali  norme  recanti  principi  fondamentali  di
coordinamento  della  finanza  pubblica.  Cio'  vale   anzitutto   in
riferimento all'uso di graduatorie  inerenti  a  procedure  selettive
pubbliche di personale sanitario, posto che il  legislatore  statale,
non concorrendo "al finanziamento della spesa sanitaria", «neppure ha
titolo per dettare norme di coordinamento finanziario»  (sentenza  n.
341 del 2009)"  (sentenza  n.  133  del  2010;  nello  stesso  senso,
successivamente, sentenze n. 115 e n. 187 del 2012 e n. 125 del 2015;
nello stesso senso anche  sentenza  n.  241  del  2018).  Ad  analoga
conclusione deve, in ogni caso, giungersi in riferimento a  tutte  le
graduatorie che concludono concorsi pubblici. Anche  ove  si  volesse
configurare  la  disciplina   della   validita'   delle   graduatorie
concorsuali, sebbene non piu' affiancata  a  misure  di  contenimento
delle assunzioni, come disciplina recante principi  di  coordinamento
della finanza  pubblica,  essa  non  potrebbe  imporsi  alla  Regione
autonoma Valle d'Aosta/Vallee d'Aoste, in assenza  di  una  specifica
previsione mediante un apposito accordo. Tali principi, infatti,  non
possono imporsi alle autonomie speciali ove  non  siano  "individuati
nel rispetto del «principio  dell'accordo,  inteso  come  vincolo  di
metodo (e non gia' di risultato) e declinato nella forma della  leale
collaborazione (sentenze n. 88 del 2014, n. 193 e n. 118  del  2012)»
(sentenza  n.  103  del  2018)"  (sentenza  n.  273  del  2020).   Le
disposizioni  statali  impugnate  non  possono,  inoltre,   ritenersi
applicabili alla Regione autonoma come unica  declinazione  possibile
dei  principi  di  ragionevolezza,  buon  andamento  e  imparzialita'
dell'amministrazione di cui agli articoli 3 e 97 Cost., da intendersi
come limiti all'esercizio della sua competenza (sentenze n. 126 e  n.
77 del 2020). 
    Codesta Corte ha gia' affermato che «[l]'ampio  campo  di  azione
riservato  al  legislatore  valdostano  consente   allo   stesso   di
intervenire [ ... ] con efficienza e  ragionevolezza  nella  gestione
delle graduatorie, anche tenendo conto della posizione degli  idonei»
(sentenza  n.  77  del  2020)».  In  quell'occasione  e'  emerso  con
chiarezza che le norme  statali  non  limitano  la  competenza  della
Regione, purche'  nel  disciplinare  le  graduatorie  il  legislatore
regionale  contemperi  il  reclutamento  imparziale  degli  idonei  e
verifichi la perdurante attitudine professionale degli stessi. In tal
modo, nell'esercitare la propria competenza, la Regione non entra  in
contrasto con gli  articoli  3  e  97  Cost.,  proprio  perche'  tale
esercizio «costituisce  una  delle  possibili  espressioni  del  buon
andamento e dell'imparzialita' dell'amministrazione» (sentenza n.  77
del 2020). Questo ormai costante orientamento non  puo'  che  trovare
conferma nel presente giudizio». 
    La competenza esclusiva delle Regioni in materia,  come  ribadita
dalla Corte, non puo', tuttavia, ritenersi  svincolata  dal  rispetto
dai limiti scaturenti dai principi costituzionali di buon  andamento,
imparzialita' e ragionevolezza. Tali principi,  quali  parametri  cui
raffrontare l'esercizio della discrezionalita'  regionale  in  ordine
allo scorrimento di  graduatorie  ancora  valide,  codesta  Corte  ha
altresi' avuto modo di meglio dettagliare nella sentenza n. 126/2020,
in particolare: «Lo scorrimento delle graduatorie  ancora  valide  e'
assoggettato a limitazioni, che valgono a renderlo compatibile con  i
principi di imparzialita' e di buon andamento dell'amministrazione  (
...  ).  Il  canone  di  imparzialita'  consente  di  ricorrere  allo
scorrimento delle graduatorie, nel rigoroso rispetto  dell'ordine  di
merito, solo quando vi sia un'integrale corrispondenza tra il profilo
e la qualifica professionale del posto che si intende coprire, da  un
lato, e, dall'altro, il profilo e la categoria  professionale  per  i
quali si e' bandito il concorso poi concluso con l'approvazione delle
graduatorie. Non vi e' scorrimento per posti di nuova  istituzione  o
frutto di trasformazione, per evitare rimodulazioni dell'organico  in
potenziale contrasto con i principi di imparzialita' prescritti dalla
Costituzione.  Il  buon  andamento,  per  altro  verso,  preclude  di
scorrere le graduatorie, quando sia mutato il contenuto professionale
delle mansioni tipiche del profilo che si intende acquisire o quando,
per il tempo trascorso o per le modifiche sostanziali  nel  frattempo
introdotte nelle prove di esame e nei requisiti di partecipazione dei
concorrenti, la graduatoria gia' approvata cessi di rispecchiare  una
valutazione  attendibile  dell'idoneita'  dei  concorrenti  e   della
qualificazione professionale necessaria per ricoprire l'incarico». 
    In questa cornice  la  Corte  ha  altresi'  evidenziato  che  «La
disciplina dell'accesso  all'impiego  regionale  deve  dunque  essere
scrutinata alla luce delle peculiarita'  che  la  contraddistinguono,
delle finalita' che essa persegue e del complessivo contesto  in  cui
si colloca.» (cfr. sentenza n. 126/2020 cit.). 
    A tal proposito, il personale assunto dagli enti locali  o  dalle
regioni, siano essi a statuto ordinario o a statuto speciale, possono
oggi, alla  luce  della  disciplina  introdotta  con  l'art.  3,  del
decreto-legge 9 giugno 2021, n. 80,  convertito,  con  modificazioni,
dalla  legge  6  agosto  2021,  n.  113,  fruire  senza  vincoli   di
autorizzazione,  della  piu'  ampia  mobilita'  verso  le   pubbliche
amministrazioni. 
    Tale  circostanza  rende  assolutamente  indispensabile  che   il
personale sia reclutato attraverso procedure che garantiscano il piu'
alto  livello  di  omogeneita',  per  raggiungere  il   quale   anche
l'attualita' della selezione effettuata  costituisce  un  ineludibile
passaggio.  Ne  consegue  che  il  reclutamento  del  personale  deve
avvenire entro tempi ragionevolmente brevi rispetto al momento in cui
e' stata  svolta  la  selezione,  affinche'  la  stessa  risponda  ai
requisiti previsti dal quadro ordinamentale di riferimento. 
    Alla  luce  delle  considerazioni  che  precedono,  la  norma  in
questione deve essere impugnata per violazione dei  principi  di  cui
agli articoli 97 e 117, secondo comma, lettera l), della Costituzione
e delle norme statutarie gia' richiamate. 
7) Illegittimita' costituzionale dell'art. 13, commi 60, della  legge
regionale n. 17/2021, per violazione dell'art.  117,  secondo  comma,
lettera s), Cost.  e  dell'art.  3  dello  Statuto  speciale  per  la
Sardegna  (Legge  costituzionale  26  febbraio  1948,   n.   3),   in
riferimento agli articoli 143 e 145 del decreto legislativo n. 42 del
2004, e del principio di leale collaborazione di cui agli articoli  5
e 120 Cost. 
    L'art. 3, primo comma, lettera f), dello Statuto  riconosce  alla
regione Sardegna una autonomia piu' ampia di quella risultante  dalla
norma costituzionale generale di cui all'art. 117, terzo comma, della
Costituzione, attribuendo potesta' legislativa primaria nella materia
dell'edilizia ed urbanistica. 
    Va tuttavia precisato che, in  base  al  medesimo  art.  3  dello
Statuto,  la  potesta'  legislativa  primaria  della  regione,   deve
esplicarsi  «in  armonia   con   la   Costituzione   e   i   principi
dell'ordinamento giuridico della  Repubblica  e  col  rispetto  degli
obblighi internazionali e degli interessi  nazionali,  nonche'  delle
norme fondamentali delle riforme economico sociali della Repubblica»,
e quindi necessariamente nel rispetto delle previsioni del Codice dei
beni culturali e del paesaggio, dettate  dallo  Stato  nell'esercizio
della potesta' legislativa esclusiva di  cui  all'art.  117,  secondo
comma, lettera s), della Costituzione. 
    Nel sottolineare la portata unitaria e complessa della nozione di
territorio,  su  cui  «gravano  piu'   interessi   pubblici:   quelli
concernenti la conservazione ambientale e paesaggistica, la cui  cura
spetta in via esclusiva allo Stato, e quelli concernenti  il  Governo
del territorio e la valorizzazione dei beni culturali  ed  ambientali
(fruizione  del  territorio),  che  sono  affidati  alla   competenza
concorrente dello  Stato  e  delle  Regioni»  (Corte  costituzionale,
sentenza n. 367 del 2007; nello stesso senso, fra le altre,  sentenze
n. 164 del 2021 e n. 66 del 2018) va ribadito che, in  quanto  incide
sul paesaggio, valore costituzionale «primario» e  «assoluto»  (Corte
costituzionale, sentenze n. 641 del 1987 e n. 151 del 1986) la tutela
ambientale e paesaggistica, affidata allo Stato, «precede e  comunque
costituisce un limite alla  tutela  degli  altri  interessi  pubblici
assegnati alla competenza concorrente -delle Regioni  in  materia  di
Governo del territorio e  di  valorizzazione  dei  beni  culturali  e
ambientali» (Corte costituzionale, sentenza n. sentenza  n.  367  del
2007). 
    La Corte costituzionale, proprio  con  riferimento  alla  Regione
autonoma  della  Sardegna,  ha  affermato   che   «la   conservazione
ambientale e paesaggistica spetta,  in  base  all'art.  117,  secondo
comma, lettera s), Cost., alla cura esclusiva dello Stato [e che ] le
disposizioni del  Codice  dei  beni  culturali  e  del  paesaggio  si
impongono al rispetto del legislatore della  Regione  autonoma  della
Sardegna, anche in considerazione  della  loro  natura  di  norme  di
grande riforma economico-sociale e  dei  limiti  posti  dallo  stesso
statuto sardo alla potesta' legislativa regionale» (sentenze  n.  210
del 2014 e n. 51 del  2006).  Pertanto,  la  competenza  primaria  ed
esclusiva dello Stato in materia di tutela  del  paesaggio,  comporta
che: «[...] il legislatore della Regione autonoma della Sardegna  non
puo' esercitare  unilateralmente  la  propria  competenza  statutaria
nella materia edilizia e urbanistica quando siano in gioco  interessi
generali riconducibili alla predetta competenza esclusiva  statale  e
risultino  in   contrasto   con   norme   fondamentali   di   riforma
economico-sociale» (Corte costituzionale, sentenza n. 103 del 2017). 
    Nell'ambito della prospettiva  sopra  illustrata  si  colloca  il
principio della «gerarchia» degli  strumenti  di  pianificazione  dei
diversi livelli territoriali,  espresso  dall'art.  145  del  decreto
legislativo n. 22 gennaio 2004, n. 42 (Corte costituzionale, sentenza
n. 180 del 2008). 
    In tale contesto, il  piano  paesaggistico  regionale  -  le  cui
prescrizioni sono «cogenti per gli strumenti urbanistici dei  comuni,
delle  citta'  metropolitane  e  delle  province»  e  «immediatamente
prevalenti sulle disposizioni difformi eventualmente contenute  negli
strumenti urbanistici» (art. 145, comma 3, del decreto legislativo n.
42 del 2004) - e' «strumento di ricognizione del  territorio  oggetto
di  pianificazione  non   solo   ai   fini   della   salvaguardia   e
valorizzazione dei beni paesaggistici,  ma  anche  nell'ottica  dello
sviluppo sostenibile e dell'uso consapevole del  suolo,  in  modo  da
poter consentire l'individuazione  delle  misure  necessarie  per  il
corretto inserimento, nel contesto paesaggistico, degli interventi di
trasformazione del territorio» (Corte costituzionale sentenza n.  172
del 2018). Per tale motivo, la Corte costituzionale ha  affermato  la
necessita' di  salvaguardare  «la  complessiva  efficacia  del  piano
paesaggistico,  ponendola  al  riparo  dalla   pluralita'   e   dalla
parcellizzazione  degli  interventi  delle  amministrazioni   locali»
(sentenza n. 182 del 2006). 
    Alla luce del delineato  quadro  normativo  e  giurisprudenziale,
l'art. 13, commi 60 e 61 della legge regionale de qua, nel consentire
interventi di trasformazione del territorio al di fuori del  contesto
pianificatorio condiviso con lo Stato, sono lesive  della  competenza
legislativa esclusiva statale di cui  all'art.  117,  secondo  comma,
lettera s), Cost. e del principio di leale collaborazione di cui agli
articoli 5 e 120 Cost. 
    In particolare, il comma 60 dell'art. 13 della legge regionale in
oggetto (recante modifiche  all'art.  37  della  legge  regionale  11
ottobre   1985,   n.   23),   prevede   che:   «[...]   Nelle    more
dell'approvazione   dei    Piani    di    risanamento    urbanistico,
dell'adeguamento   del   Piano   urbanistico   comunale   al    Piano
paesaggistico regionale, ed entro ventiquattro  mesi  dalla  adozione
dell'atto di cui alla lettera c),  i  comuni  possono  rilasciare  ai
richiedenti  che  ne  facciano  specifica  istanza,  il  permesso  di
costruire o l'autorizzazione in sanatoria alle  seguenti  condizioni:
a) che sussistano tutti gli altri presupposti di legge;  b)  che  gli
insediamenti da assoggettare a risanamento  urbanistico  siano  stati
individuati e perimetrati ai sensi dell'art. 38, comma 1 lettera a,);
c) che il comune, con apposito atto, stabilisca. [...]»: 
    In tal modo, la disposizione regionale introduce  modifiche  alla
attuazione del Piano paesaggistico regionale, in violazione dell'art.
145 comma 5 (2) e dell'art. 143,  comma  9  (3)  del  citato  decreto
legislativo n. 42 del 2004. 
    La norma censurata si pone altresi' in contrasto con  l'art.  107
delle norme tecniche di attuazione del Piano paesaggistico  regionale
e con il comma 4 dell'art. 145 del citato decreto legislativo (4) che
prevedono tempi  e  criteri  di  adeguamento  dei  Piani  urbanistici
comunale, che nella  legge  regionale  in  esame  sono  rideterminati
unilateralmente dalla regione senza alcuna partecipazione statale. 
    Al riguardo, si sottolinea che la regione Sardegna  ha  approvato
il  piano  paesaggistico  regionale,  primo  ambito   omogeneo,   con
deliberazione della giunta regionale n. 36/7  del  5  settembre  2006
(c.d.  «PPR  dell'ambito  costiero»)  e  che  le  norme  tecniche  di
attuazione del suddetto piano  fissano  a  un  anno  il  termine  per
l'adeguamento del Piano urbanistico comunale. 
    La disposizione censurata si pone altresi' in  contrasto  con  le
previsioni dei commi 3 (5) e 4 del citato art. 145 laddove richiedono
che la legge regionale disciplini «le procedure di adeguamento  degli
altri strumenti di pianificazione e le connesse misure di Governo del
territorio  in  linea  con  le   determinazioni   del   nuovo   piano
paesaggistico o,  nell'attesa  dell'adozione,  secondo  le  modalita'
concertate e preliminari alla sua stessa adozione». (sentenza  n.  86
del 2019.) 
    In sostanza, l'art. 13, comma 60, citato introduce, nell'art.  37
della legge regionale 11 ottobre 1985, n. 23,  una  nuova  previsione
derogatoria all'obbligo sancito dall'art. 145, comma  4  del  decreto
legislativo n. 42 del 2004, con riferimento alla  necessita'  che  il
Piano urbanistico comunale (PUC) sia adeguato,  entro  due  anni,  al
Piano paesaggistico regionale (nel caso della Regione  Sardegna  tale
termine e' ridotto ad un anno dal combinato disposto  degli  articoli
4, comma 3, e 107, comma 1, delle Norme tecniche  di  attuazione  del
PPR). 
    Infatti, la disposizione del nuovo  comma  8-bis,  introdotto  al
richiamato art. 37,  non  contiene  limiti  temporali  rispetto  alla
suddetta necessita' di adeguamento, il quale  termine  gia'  previsto
dal PPR, d'altronde, e' abbondantemente trascorso, vista  l'efficacia
intervenuta fin dal 9 settembre 2006 del medesimo PPR  relativo  agli
ambiti costieri («PPR - Primo ambito omogeneo»). 
    Ancora, la previsione derogatoria non appare  attenuarsi  neanche
con riferimento a quanto previsto alla lettera a) del medesimo  comma
8-bis («a) che sussistano tutti gli altri presupposti di legge»), per
l'evidente  fatto   che   l'applicazione   della   richiamata   norma
derogatoria, in mancanza  dell'adeguamento  del  PUC  al  PPR,  rende
inefficaci dal punto di vista urbanistico le  previsioni  regolatrici
della gestione e tutela del patrimonio culturale paesaggistico e  del
paesaggio (costituite dagli indirizzi e dalle direttive) sancite  dal
PPR con le relative NTA, ai fini dell'adeguamento obbligatorio  degli
strumenti urbanistici comunali. 
    Per quanto sopra, il comma 60 dell'art. 13 della legge  regionale
22 novembre 2021, n. 17,  e'  costituzionalmente  illegittimo  per  i
motivi sopra esposti ed in quanto in  contrasto  con  quanto  sancito
dagli articoli 143 e 145 del decreto legislativo n. 42 del 2004 quali
norme interposte. 
    Inoltre, il comma 60 citato contrasta con il principio  di  leale
collaborazione di cui agli  articoli  5  e  120  Cost.,  per  mancata
osservanza dell'obbligo della pianificazione concertata e  condivisa,
prescritta  dalle  norme  statali  in  quanto  idonea   a   garantire
l'ordinato sviluppo urbanistico e  a  individuare  le  trasformazioni
compatibili con le prescrizioni statali del citato  Codice  dei  beni
culturali e del paesaggio. Contravvenendo agli impegni assunti con lo
Stato, la Regione viola tale principio, «il cui rilievo e' confermato
dal   legislatore   statale   come   norma    di    grande    riforma
economico-sociale che vincola l'autonomia speciale» (Corte  cost.  n.
257 del 2021). 
8) Illegittimita' costituzionale dell'art. 13, comma 61, della  legge
regionale n. 17/2021, per violazione: degli  articoli  3,  9  e  117,
commi primo e secondo, lettera s)  della  Costituzione;  dell'art.  3
legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3 (Statuto speciale per  la
Sardegna), in relazione agli articoli 135, 143,  145  e  156  decreto
legislativo n. 42/2004  e  alla  legge  n.  14/2006  (ratifica  della
Convenzione europea del paesaggio  fatta  a  Firenze  il  20  ottobre
2000); del principio di leale collaborazione di cui agli articoli 5 e
120 Cost. 
    Il successivo comma 61 dell'art.  13  della  legge  regionale  in
esame dispone che: «Nell'art. 28 della  legge  regionale  18  gennaio
2021, n. 1.... sono apportate le seguenti modifiche: 
        (a) nel comma 2 la frase dall'inizio  fino  alle  parole  "al
PPR",  e'  sostituita  dalla  seguente:  "Con  esclusione  di  quelle
ricadenti nelle zone omogenee A, B e D, nonche'  nelle  zone  C  e  G
contermini agli  abitati,  tutte  come  individuate  negli  strumenti
urbanistici vigenti in base al decreto assessoriale 20 dicembre 1983,
n. 22661U"; 
        b) nel comma 3 le parole "lettere a), b), c)  e  d)  ",  sono
sostituite dalle parole "lettere a), b), c), d) ed e)"; 
        c) dopo il comma 3 e' aggiunto il seguente: "3 bis.  Sono  in
ogni caso fatti salvi i piani di risanamento  urbanistico  attuati  e
quelli gia' regolarmente approvati, con convenzione efficace."». 
    Il comma 61, quindi, introduce nell'art. 28 della legge regionale
18 gennaio 2021, n.  1,  una  ulteriore  modifica  sostanziale  nelle
relative previsioni edificatore in ambiti tutelati paesaggisticamente
dal PPR con riguardo al bene paesaggistico  tipizzato  e  individuato
delle «zone umide», bene paesaggistico definito dal medesimo PPR. 
    L'art. 17, comma 1, lettera g), delle NTA del PPR elenca, tra  le
categorie  di  beni  paesaggistici,  tipizzati  e  individuati  nella
cartografia del PPR, la seguente:  «Zone  umide,  laghi  naturali  ed
invasi artificiali e territori  contermini  compresi  in  una  fascia
della profondita' di 300 metri dalla linea di battigia, anche  per  i
territori elevati sui laghi». 
    Si tratta di zone umide individuate dal PPR e, quindi, diverse  e
ulteriori rispetto a quelle tutelate ai sensi  della  Convenzione  di
Ramsar (queste ultime soggette a vincolo ex lege ai  sensi  dell'art.
142, comma 1, lettera  i),  del  Codice  dei  beni  culturali  e  del
paesaggio). 
    Tale norma era stata oggetto della  pronuncia  del  Consiglio  di
Stato n. 2188 del 2012, con la quale si era ritenuto che la fascia di
rispetto della profondita' di 300 metri «deve allora ritenersi valere
per tutti i beni elencati in tale lettera  g)».  Successivamente,  la
Corte  costituzionale,  con  la  sentenza  n.  308  del  2013,  aveva
dichiarato l'illegittimita' costituzionale dell'art. 1, commi 1 e  2,
della legge della Regione autonoma Sardegna 12 ottobre  2012,  n.  20
(Norme di interpretazione autentica in materia di beni paesaggistici)
(6) , evidenziando che «la volonta' del legislatore deve  ravvisarsi,
alla luce di quanto statuito nella legge regionale n. 8  del  2004  e
nelle relative norme del cosiddetto Codice dei beni culturali  e  del
paesaggio di cui  al  decreto  legislativo  n.  42  del  2004,  nella
volonta'  di  assicurare  un'adeguata  tutela  e  valorizzazione  del
paesaggio,  in  primo  luogo  attraverso  lo  strumento   del   Piano
paesistico regionale (art. 1 della legge regionale  n.  8  del  2004;
art. 135 del Codice dei beni culturali e  del  paesaggio).  L'effetto
prodotto dalla norma regionale impugnata, all'opposto, risulta essere
quello di una riduzione dell'ambito di  protezione  riferita  ad  una
categoria di beni paesaggistici, le zone umide, senza  che  cio'  sia
imposto  dal  necessario  soddisfacimento  di  preminenti   interessi
costituzionali. E cio', peraltro, in violazione di quei limiti che la
giurisprudenza costituzionale ha ravvisato alla  portata  retroattiva
delle leggi, con particolare riferimento al rispetto  delle  funzioni
riservate al potere giudiziario. Deve,  pertanto,  essere  dichiarata
l'illegittimita' costituzionale dell'art. 1,  comma  1,  della  legge
reg. Sardegna n. 20 del 2012». 
    Nel premettere che l'art. 28 della  legge  regionale  18  gennaio
2021, n. 1 e' stata oggetto di impugnativa  deliberata  nella  seduta
del Consiglio dei ministri  del  19  marzo  2021,  si  evidenzia  che
vengono ulteriormente ampliate  sia  le  aree  che  le  tipologie  di
intervento ammesse nelle «zone umide»,  introducendo  in  esse  anche
quelli di  «nuova  costruzione»,  come  definiti  dalla  lettera  e),
dell'art. 3, comma 1, del decreto del Presidente della  Repubblica  6
giugno 2001, n. 380. 
    La legge regionale 18 gennaio  2021,  n.  1  e'  stata  impugnata
davanti alla Corte costituzionale  (ricorso  n.  22/2021),  anche  in
riferimento a quanto sancito dal relativo ex art. 27  (rinumerato  al
n. 28 a seguito dell'avviso pubblicato in BURAS 21 gennaio  2021,  n.
6). 
    In particolare, il richiamato comma 61, alla lettera a) introduce
una modifica al previgente comma 2 dell'art. 28 (ex 27)  della  legge
regionale n. 1 del  2021,  per  la  quale  non  si  prevede  piu'  la
inedificabilita' delle zone urbanistiche E ed F dei  comuni  che  non
hanno adeguato il proprio PUC al PPR, di fatto riducendo i livelli di
tutela paesaggistica gia' vigenti delle sopra citate «zone umide» per
le corrispondenti zone agricole (E) e zone turistiche (F), in  quanto
le  stesse  zone  urbanistiche  sono  nuovamente   urbanizzabili   ed
edificabili. 
    Anche le modifiche  apportate  dalla  lettera  b)  del  comma  61
dell'art. 13 al comma 3 dell'art. 28 (ex 27) della legge regionale n.
1 del 2021 riducono  i  livelli  di  tutela  delle  richiamate  «zone
umide», in quanto la nuova  previsione  regionale  aggiunge  tra  gli
interventi consentiti nella  relativa  fascia  di  tutela  anche  gli
«interventi di nuova costruzione», come  definiti  dalla  lettera  e)
dell'art. 3, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica  n.
380 del 2001. 
    Ugualmente, l'introduzione operata dalla lettera c) del comma  61
all'art. 28 (ex 27) della legge regionale  n.  1  del  2021,  con  la
previsione di un nuovo comma 3-bis («3-bis. Sono in ogni  caso  fatti
salvi i piani  di  risanamento  urbanistico  attuati  e  quelli  gia'
regolarmente approvati, con convenzione efficace»),  risulta  ridurre
la tutela riconosciuta al bene paesaggistico tipizzato ed individuato
dal PPR come «zona umida», in quanto non sancisce in alcun modo che i
richiamati «piani di risanamento urbanistico» (v. art. 37 della legge
regionale n. 23 del 1985, gia' oggetto di modifiche con il  comma  60
del presente art. 13) debbano essere stati  approvati,  quali  «piani
attuativi», a seguito dell'avvenuto adeguamento del PUC al PPR,  come
anche che il valido termine di efficacia della  relativa  convenzione
debba riferirsi a quelli stabiliti ai commi 2 e 3 dell'art. 15  delle
NTA del PPR, ossia non alla data di entrata in vigore della  presente
legge regionale  n.  17  del  2021,  ma  a  quelli  piu'  stringenti,
rispettivamente, della D.G.R.  n.  33/1  del  10  agosto  2004  e  di
adozione del medesimo PPR (D.G.R. n. 22/3 del 24 maggio 2006). 
    Per quanto sopra, anche il comma 61 dell'art. 13  ha  i  medesimi
profili  di  incostituzionalita'  gia'  evidenziati  nell'impugnativa
dell'art. 28 (ex 27) di cui al ricorso n. 22/2021 davanti alla  Corte
costituzionale. 
    Stanti i limiti della competenza regionale in materia,  esaminati
al precedente motivo  di  ricorso  cui  si  rinvia,  la  disposizione
censurata appare illegittima per violazione degli  articoli  3,  9  e
117, commi primo e secondo, lettera s) della Costituzione nonche' per
violazione della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3 (Statuto
speciale per la Sardegna) che, all'art. 3, lettera  f),  affida  alla
Regione competenza esclusiva in materia di edilizia ed urbanistica ma
nel rispetto della  Costituzione,  degli  obblighi  internazionali  e
degli interessi nazionali, nonche'  delle  norme  fondamentali  delle
riforme economico-sociali della Repubblica. 
    Difatti, come gia' esposto al motivo che precede, in  materia  di
tutela del paesaggio, il Codice dei beni culturali  e  del  paesaggio
costituisce per la Regione  espressione  della  competenza  esclusiva
dello Stato, ai sensi  dell'art.  117,  secondo  comma,  lettera  s),
nonche' limite per quanto attiene alle norme  di  grande  riforma  in
esso contenute in materia di «edilizia  ed  urbanistica»,  attribuita
alla Regione in via esclusiva. 
    Inoltre, il comma 61 citato contrasta con il principio  di  leale
collaborazione di cui agli  articoli  5  e  120  Cost.,  per  mancata
osservanza dell'obbligo della pianificazione concertata e  condivisa,
prescritta  dalle  norme  statali  in  quanto  idonea   a   garantire
l'ordinato sviluppo urbanistico e  a  individuare  le  trasformazioni
compatibili con le prescrizioni statali del citato  Codice  dei  beni
culturali e del paesaggio. Contravvenendo agli impegni assunti con lo
Stato, la Regione viola tale principio, «il cui rilievo e' confermato
dal   legislatore   statale   come   norma    di    grande    riforma
economico-sociale che vincola l'autonomia speciale» (Corte  cost.  n.
257 del 2021). 
9) Illegittimita' costituzionale dell'art.  20,  comma,  della  legge
regionale n. 17/2021, per violazione dell'art. 81, terzo comma, della
Costituzione. 
    Il comma 1,  dell'art.  20,  della  legge  regionale  n.  17/2021
apporta modifiche alla legge regionale n. 45 del 1989, in materia  di
esecuzione dei provvedimenti di demolizione e rimessione in  pristino
e, in particolare, autorizza l'Amministrazione regionale a  concedere
una anticipazione delle spese ai comuni (che sono tenuti ad  eseguire
i provvedimenti di demolizione o di rimessione  in  pristino),  senza
interessi e con restituzione entro cinque anni delle somme recuperate
dai comuni. 
    Al riguardo, l'operazione prevista non viene estinta nello stesso
esercizio nel quale e' contratta e, pertanto, non si  configura  come
anticipazione, bensi' come prestito; conseguentemente la disposizione
comporta  oneri  a  carico  del  bilancio  regionale   in   relazione
all'attribuzione delle risorse ai comuni, non quantificati  e  per  i
quali non viene indicata la copertura finanziaria. 
    Pertanto, la disposizione contrasta con l'art. 81,  terzo  comma,
della Costituzione. 
10) Illegittimita' costituzionale dell'art. 35, comma 5, della  legge
regionale n. 17/2021: per  violazione  dell'art.  117,  terzo  comma,
Cost.,  in  relazione  all'art.  2,  comma   1,   lettera   b),   del
decreto-legge n. 174/2012 convertito dalla legge n. 213 del 2012; per
violazione del principio  di  ragionevolezza,  imparzialita'  e  buon
andamento della pubblica amministrazione di cui agli articoli 3 e  97
Cost.; per violazione del principio di leale  collaborazione  di  cui
agli articoli 5 e 120 Cost. 
    L'art. 35 (Estensione alle Autorita' di garanzia regionali  delle
norme in materia di scadenza degli organi e del potere sostitutivo  e
modifiche alla legge regionale n. 2 del 2014 e alla  legge  regionale
n. 11 del 2019 in materia di poteri e prerogative consiliari),  comma
5,  prevede,  con  efficacia  retroattiva  a   decorrere   dalla   XV
legislatura (ossia dal 2014), la rivalutazione delle indennita' e dei
rimborsi spese per i consiglieri regionali con particolari funzioni e
per i componenti della Giunta regionale che non siano consiglieri, in
misura pari a quella rilevata dall'Istat. 
    La  disposizione,  infatti,  introduce  i  commi  5-bis  e  5-ter
all'art.  2  della   legge   regionale   9   gennaio   2014,   n.   2
(Razionalizzazione   e   contenimento   della   spesa   relativa   al
funzionamento degli organi statutari della Regione) prevedendo, per i
consiglieri regionali, per quelli tra essi che  svolgono  particolari
funzioni nonche' per i componenti  della  Giunta  regionale  che  non
siano consiglieri - il cui trattamento  economico  e'  equiparato  in
parte ai primi in forza dell'art. 3 della legge regionale  n.  2  del
2014 -  la  rivalutazione  delle  indennita'  e  dei  rimborsi  spese
spettanti nella misura pari alla variazione,  se  positiva,  rilevata
dall'ISTAT dell'indice dei prezzi al consumo (FOI). 
    Il comma 5-ter stabilisce che tale rivalutazione decorra dalla XV
legislatura. 
    Tale disposizione  di  contenuto  retroattivo  determina  effetti
economici in contrasto con  le  disposizioni  di  contenimento  della
spesa pubblica. 
    L'art. 2 del decreto-legge n. 174/2012 cit. dispone  che  «1.  Ai
fini del coordinamento della finanza pubblica e per  il  contenimento
della spesa pubblica, a decorrere dal 2013 una quota pari all'80  per
cento dei trasferimenti erariali a  favore  delle  regioni,  ...,  e'
erogata a condizione che la regione, con le  modalita'  previste  dal
proprio ordinamento, entro il 23 dicembre 2012, ovvero entro sei mesi
dalla data di entrata  in  vigore  della  legge  di  conversione  del
presente decreto ...  abbia  definito  l'importo  dell'indennita'  di
funzione  e  dell'indennita'  di  carica,  nonche'  delle  spese   di
esercizio del mandato, dei consiglieri e degli  assessori  regionali,
spettanti in virtu' del loro mandato, in modo  tale  che  non  ecceda
complessivamente l'importo riconosciuto dalla regione piu'  virtuosa.
La regione piu' virtuosa e' individuata dalla  Conferenza  permanente
per i rapporti tra lo Stato, le regioni e  le  province  autonome  di
Trento e di Bolzano entro il 10 dicembre 2012». 
    Il comma 4, dello stesso  articolo  dispone  che  «le  regioni  a
statuto speciale e le  province  autonome  di  Trento  e  di  Bolzano
provvedono ad adeguare i propri ordinamenti  a  quanto  previsto  dal
comma 1 compatibilmente con i propri statuti di autonomia  e  con  le
relative norme di attuazione». 
    La Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le  Regioni
e le province autonome di Trento e di Bolzano, tuttavia, con delibera
del 30 ottobre 2012 confermata dalla delibera del 6 dicembre 2012, ha
individuato la «regione piu' virtuosa» e indicato gli  importi  lordi
onnicomprensivi  per  i  Presidenti  (13.800  euro  lordi)  e  per  i
consiglieri regionali (11.100 euro lordi)». 
    La disposizione di cui al predetto comma 5-ter,  pertanto,  viola
il  criterio  stabilito  dalla  Conferenza  Stato-regioni   che   da'
attuazione alla disposizione di cui all'art. 2, comma 1, lettera  b),
del decreto-legge n. 174/2012 convertito dalla legge n. 213 del  2012
e, per esso, il parametro  costituzionale  del  «coordinamento  della
finanza pubblica» ponendosi in contrasto con l'art. 117, terzo comma,
Cost. che impone alle Regioni, incluse quelle ad autonomia  speciale,
il rispetto dei principi fondamentali contenuti nella legge statale. 
    Si tenga presente che l'art. 26  della  legge  costituzionale  26
febbraio 1948, n. 3 dispone che «I consiglieri regionali ricevono una
indennita' fissata con legge regionale». 
    L'art. 2 della legge regionale n. 2/2014, in attuazione del sopra
citato art. 26 dello Statuto speciale per  la  Regione  Sardegna,  ha
definito il trattamento economico spettante ai consiglieri regionali,
al Presidente  della  Regione,  al  Presidente  del  Consiglio  e  ai
componenti della Giunta regionale. Per le finalita' che qui  rilevano
si evidenzia che sommando le diverse componenti di  tale  trattamento
economico (indennita' consiliare; rimborso forfettario per  le  spese
inerenti all'esercizio  del  mandato;  indennita'  di  carica  per  i
consiglieri che svolgono particolari funzioni e l'eventuale  rimborso
per le spese di  trasporto)  l'emolumento  massimo  erogabile  per  i
Presidenti e' pari a 13.600 euro annui mentre per i consiglieri e' di
11.100 euro annui. 
    Tanto premesso se ne deduce che,  quantomeno  per  i  consiglieri
regionali la cui retribuzione e' gia' al limite massimo fissato dalla
Conferenza, qualsiasi incremento di tali importi si porrebbe oltre  i
citati limiti. 
    La disposizione viola, altresi', il principio di  ragionevolezza,
imparzialita' e buon andamento della pubblica amministrazione di  cui
agli articoli 3 e 97 della Costituzione. 
    La disposizione appare altresi' lesiva  del  principio  di  leale
collaborazione, che trova il suo ancoraggio negli articoli  5  e  120
della Costituzione, in quanto derogherebbe unilateralmente con  legge
regionale all'Intesa sancita in sede di Conferenza Stato-Regioni  con
le delibere 30 ottobre 2012 e del 6 dicembre 2012. 
11) Illegittimita' costituzionale dell'art. 39, comma 1,  lettera  B,
della legge  regionale  n.  17/2021  per  violazione  dell'art.  117,
secondo comma, lettere d) e h) della Costituzione e dell'art. 3 dello
Statuto speciale per la Sardegna (Legge  costituzionale  26  febbraio
1948, n. 3) 
    L'art. 39, comma 1 lettera b),  nel  novellare  l'art.  41  della
legge regionale n. 23/1998, introduce un nuovo comma 1-bis, ai  sensi
del quale «i caricatori dei fucili  ad  anima  rigata  a  ripetizione
semiautomatica non possono contenere piu'  di  due  cartucce  durante
l'esercizio dell'attivita' venatoria ad  eccezione  della  caccia  al
cinghiale per la quale possono contenere fino a cinque cartucce». 
    La disposizione determina uno sconfinamento in materie  riservate
alla competenza legislativa esclusiva dello Stato e presenta evidenti
profili di illegittimita' costituzionale. 
    Nello specifico, la materia oggetto della  novella,  riassumibile
nella disciplina dell'utilizzo dei caricatori  dei  fucili  ad  anima
rigata  durante   l'esercizio   dell'attivita'   venatoria,   rientra
nell'area «armi,  munizioni  ed  esplosivi»,  di  cui  all'art.  117,
secondo comma, lettera  d)  della  Costituzione  oltre  a  presentare
evidenti ricadute sul piano dell'ordine e della  sicurezza  pubblica,
di cui alla  lettera  h)  della  medesima  disposizione  della  Carta
fondamentale. 
    Inoltre, la citata norma regionale risulta ultronea:  e'  infatti
meramente riproduttiva dell'art. 13 della legge 11 febbraio 1992,  n.
157, concernente le norme per la protezione della fauna  selvatica  e
per  il  prelievo  venatorio.   L'intervento   normativo   regionale,
pertanto,  oltre  a  porsi  in  contrasto  con  le   suddette   norme
costituzionali, da' luogo ad un  fenomeno  di  gemmazione  normativa,
foriero di possibili future distorsioni applicative,  come  l'ipotesi
di sopravvivenza della disposizione regionale in caso di un'eventuale
modifica o novazione della normativa nazionale. 
    Anche in questo ultimo caso il legislatore regionale eccede dalle
competenze assegnate dallo Statuto speciale di autonomia. 

(1) Puo' leggersi nella citata sentenza che «Tale disciplina  [l'art.
    19, comma 6, del decreto  legislativo  n.  165/2001  n.d.r.]  non
    riguarda, pertanto, ne' procedure concorsuali pubblicistiche  per
    l'accesso al pubblico impiego, ne' la scelta delle  modalita'  di
    costituzione di quel rapporto giuridico. Essa, valutata  nel  suo
    complesso, attiene ai requisiti  soggettivi  che  debbono  essere
    posseduti  dal  contraente  privato,  alla  durata  massima   del
    rapporto, ad alcuni aspetti del regime economico e  giuridico  ed
    e' pertanto riconducibile alla regolamentazione  del  particolare
    contratto che l'amministrazione stipula con il soggetto  ad  essa
    esterno cui conferisce  l'incarico  dirigenziale.  Non  sussiste,
    dunque, violazione degli articoli 117, terzo e  quarto  comma,  e
    119 Cost., appunto perche'  la  norma  impugnata  non  attiene  a
    materie di competenza concorrente  (coordinamento  della  finanza
    pubblica) o residuale regionale (organizzazione delle  Regioni  e
    degli uffici regionali, organizzazione degli enti locali), bensi'
    alla materia  dell'ordinamento  civile  di  competenza  esclusiva
    statale). 

(2) Art. 145, comma 5, decreto legislativo n.  42/2004:  «La  regione
    disciplina il procedimento di conformazione ed adeguamento  degli
    strumenti  urbanistici  alle  previsioni   della   pianificazione
    paesaggistica,  assicurando  la   partecipazione   degli   organi
    ministeriali al procedimento medesimo». 

(3) Art. 143, comma 9, decreto legislativo n. 42/2004:  «A  far  data
    dall'adozione del piano paesaggistico non sono consentiti,  sugli
    immobili  e  nelle  aree  di  cui  all'art.  134,  interventi  in
    contrasto con  le  prescrizioni  di  tutela  previste  nel  piano
    stesso. A far data  dalla  approvazione  del  piano  le  relative
    previsioni  e  prescrizioni   sono   immediatamente   cogenti   e
    prevalenti   sulle   previsioni   dei   piani   territoriali   ed
    urbanistici». 

(4) Art. 145, comma 4, decreto legislativo n. 42/2004: «I comuni,  le
    citta' metropolitane, le province e gli enti gestori  delle  aree
    naturali  protette  conformano  o  adeguano  gli   strumenti   di
    pianificazione urbanistica e  territoriale  alle  previsioni  dei
    piani paesaggistici, secondo le procedure  previste  dalla  legge
    regionale,  entro  i  termini  stabiliti  dai  piani  medesimi  e
    comunque non oltre due anni dalla  loro  approvazione.  I  limiti
    alla proprieta' derivanti da tali previsioni non sono oggetto  di
    indennizzo». 

(5) Art. 145, comma 3, decreto legislativo n. 42/2004: «Le previsioni
    dei piani paesaggistici di cui agli articoli 143 e 156  non  sono
    derogabili da parte di piani, programmi e  progetti  nazionali  o
    regionali di sviluppo economico, sono cogenti per  gli  Strumenti
    urbanistici  dei  comuni,  delle  citta'  metropolitane  e  delle
    province,  sono  immediatamente  prevalenti  sulle   disposizioni
    difformi eventualmente  contenute  negli  strumenti  urbanistici,
    stabiliscono  norme  di  salvaguardia   applicabili   in   attesa
    dell'adeguamento degli  strumenti  urbanistici  e  sono  altresi'
    vincolanti per gli interventi settoriali. Per quanto ottiene alla
    tutela del paesaggio, le  disposizioni  dei  piani  paesaggistici
    sono comunque prevalenti sulle disposizioni contenute negli  atti
    di  pianificazione  ad  incidenza  territoriale  previsti   dalle
    normative di settore, ivi  compresi  quelli  degli  enti  gestori
    delle aree naturali protette». 

(6) Art. 1, commi 1 e 2, della legge della Regione autonoma  Sardegna
    12 ottobre 2012, n. 20 (Norme  di  interpretazione  autentica  in
    materia di beni  paesaggistici:  "1.  La  Giunta  regionale,  nel
    rispetto della norma fondamentale  di  riforma  economico-sociale
    del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice  dei  beni
    culturali e del paesaggio, ai sensi dell'art. 10  della  legge  6
    luglio 2002, n. 137), e  successive  modifiche  ed  integrazioni,
    assume una deliberazione di interpretazione  autentica  dell'art.
    17, comma 3, lettera g), delle  norme  di  attuazione  del  Piano
    paesaggistico  regionale  nel  senso   che   la   l'ascia   della
    profondita' di 300 metri dalla linea di battigia e' da  riferirsi
    esclusivamente, come in  tali  disposizioni  gia'  stabilito,  ai
    laghi naturali e agli invasi artificiali, e non si  applica  alle
    citate zone umide tipizzate e individuate ai sensi dell'art. 134,
    comma 1, lettera c), del decreto legislativo n. 42 del 2004, come
    modificato dall'art. 4, comma 1, del decreto legislativo 24 marzo
    2006, n. 157 (Disposizioni correttive ed integrative  al  decreto
    legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, in relazione al paesaggio. 2.
    I comuni  e  gli  altri  enti  competenti,  in  conformita'  alla
    deliberazione di interpretazione autentica della Giunta regionale
    di cui al comma 1, sono  tenuti  ad  adottare  i  necessari  atti
    conseguenti con riferimento ai titoli  abilitativi  rilasciati  a
    decorrere  dal  24  maggio  2006,  data  di  adozione  del  Piano
    paesaggistico regionale".)