ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita'  costituzionale  dell'art.  517  del
codice di procedura  penale,  promosso  dal  Tribunale  ordinario  di
Palermo nel procedimento penale a carico di D. L.P. con ordinanza del
25 marzo 2021, iscritta al  n.  85  del  registro  ordinanze  2021  e
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della  Repubblica  n.  24,  prima
serie speciale, dell'anno 2021. 
    Udito nella camera di consiglio del 27  aprile  2022  il  Giudice
relatore Francesco Vigano'; 
    deliberato nella camera di consiglio del 27 aprile 2022. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza del 25 marzo 2021, il  Tribunale  ordinario  di
Palermo ha  sollevato,  in  riferimento  agli  artt.  3  e  24  della
Costituzione, questioni di legittimita' costituzionale dell'art.  517
del codice di procedura penale, nella parte in  cui  non  prevede  la
facolta' dell'imputato di richiedere al giudice del  dibattimento  la
sospensione del procedimento con messa alla prova,  relativamente  al
reato concorrente oggetto di nuova contestazione. 
    1.1.- Il giudizio a quo e' stato instaurato mediante  decreto  di
citazione diretta a giudizio nei confronti di  D.  L.P.,  chiamata  a
rispondere del reato di cui all'art. 44, comma  1,  lettera  b),  del
d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 recante «Testo unico delle  disposizioni
legislative e regolamentari in materia edilizia (Testo A)». 
    Successivamente  all'apertura  del  dibattimento  e   a   seguito
dell'escussione di un testimone della lista del  pubblico  ministero,
quest'ultimo ha proceduto, ai sensi dell'art. 517  cod.  proc.  pen.,
alla contestazione di ulteriori reati - connessi al  primo  ai  sensi
dell'art. 12, comma 1, lettera b), cod. proc.  pen.  -  di  cui  agli
artt. 71 e 95  del  d.P.R.  n.  380  del  2001,  per  la  violazione,
rispettivamente, degli artt. 64, 65 e 93 del medesimo d.P.R., avvinti
dal nesso della continuazione ex art. 81, secondo comma,  del  codice
penale. 
    A seguito della nuova contestazione, il difensore  dell'imputata,
munito di procura speciale, ha presentato istanza di sospensione  del
procedimento con messa alla  prova,  rispetto  alla  quale  e'  stato
acquisito un  programma  di  trattamento  da  parte  dell'ufficio  di
esecuzione penale esterna. 
    1.2.- Chiamato a decidere su tale istanza, il rimettente  osserva
che l'art. 464-bis, comma 2, cod. proc. pen. prevede che la richiesta
di sospensione del procedimento con  messa  alla  prova  puo'  essere
formulata solo fino alla dichiarazione di apertura del  dibattimento,
cosi' escludendo implicitamente che la relativa istanza possa  essere
avanzata a seguito di una nuova contestazione ai sensi dell'art.  517
cod. proc. pen. 
    Dal che la rilevanza della questione. 
    1.3.- Quanto alla non manifesta infondatezza, il  giudice  a  quo
osserva  anzitutto  che  i  rapporti  tra  le   nuove   contestazioni
dibattimentali e il recupero da parte dell'imputato della facolta' di
chiedere l'applicazione di riti alternativi sono stati interessati da
plurimi interventi di questa Corte, caratterizzati da una tendenziale
e  graduale   apertura   verso   l'esercizio   di   prerogative   che
risulterebbero altrimenti precluse. 
    I prospettati dubbi di legittimita' costituzionale  assumerebbero
consistenza se  vagliati  alla  luce  del  «progressivo  percorso  di
riallineamento costituzionale» della disciplina  codicistica,  i  cui
snodi essenziali vengono analiticamente  ripercorsi  dal  rimettente,
che evidenzia in particolare il  passaggio  da  un  atteggiamento  di
iniziale chiusura (sono citate le sentenze n. 129 del  1993,  n.  316
del 1992, n. 277 e n. 593 del 1990, nonche' l'ordinanza  n.  213  del
1992), al riconoscimento della possibilita' di un recupero  dei  riti
alternativi  nel  caso  di  contestazioni  dibattimentali  cosiddette
"patologiche" (sono citate le sentenze n. 139 del 2015,  n.  184  del
2014, n. 333 del 2009 e n. 265 del 1994), e infine all'estensione  di
tale recupero anche nelle ipotesi di nuove  contestazioni  cosiddette
"fisiologiche" (sono citate le sentenze n. 141 del 2018, n.  206  del
2017, n. 273 del 2014, n. 237 del 2012 e n. 530 del 1995). 
    Ad avviso del rimettente, posto che la richiesta  di  accesso  ai
riti alternativi costituisce una delle modalita' piu' qualificanti di
esercizio del diritto di difesa (sono citate le  sentenze  di  questa
Corte n. 219 del 2004, n. 70 del 1996, n. 497 del 1995 e  n.  76  del
1993), si creerebbe una ingiustificata disparita' di trattamento  se,
al ricorrere di  situazioni  processuali  analoghe,  la  facolta'  di
chiederli  fosse  diversamente   disciplinata;   ne'   tantomeno   si
spiegherebbe la previsione dell'avviso rivolto all'imputato, nei vari
atti con i quali si  dispone  il  giudizio  in  mancanza  di  udienza
preliminare, circa la facolta' di accedere ai  riti  alternativi,  la
cui omissione e' sanzionata con la nullita'. Tale previsione verrebbe
«sostanzialmente elusa, nelle ipotesi in cui i contorni dell'accusa -
oggetto  e  termine   di   riferimento   delle   "scelte"   difensive
dell'imputato - subiscano in dibattimento ("fisiologicamente" o meno)
un  significativo  e  qualificato  mutamento  contenutistico,   senza
offrire una possibilita' di "rinnovare"  quelle  scelte  in  rapporto
alla "novazione" della accusa». 
    Assume, quindi, il rimettente che la facolta' di richiedere  riti
alternativi «si salda a  doppio  filo  al  diritto  di  difesa  -  in
particolare, al diritto di  scegliere  il  modello  processuale  piu'
congeniale all'esercizio di quel  diritto  -»  e  che,  di  riflesso,
risulterebbe di dubbia coerenza qualsiasi preclusione che  ne  limiti
l'esercizio concreto, allorquando il  sistema  consenta  una  mutatio
libelli in sede dibattimentale. 
    Conclusivamente, il rimettente asserisce  che  le  argomentazioni
svolte da questa Corte nella sentenza n. 141 del 2018  risulterebbero
perfettamente pertinenti e sovrapponibili  alla  fattispecie  al  suo
esame,  da  cui   origina   l'odierna   questione   di   legittimita'
costituzionale, della richiesta da parte dell'imputato di sospensione
del procedimento con  messa  alla  prova  con  riferimento  ai  reati
concorrenti oggetto di nuova contestazione. 
    2.- Il Presidente del Consiglio dei ministri non  e'  intervenuto
in giudizio, ne' si e' costituita l'imputata nel giudizio a quo. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Con l'ordinanza indicata in epigrafe, il Tribunale  ordinario
di Palermo ha sollevato, in riferimento  agli  artt.  3  e  24  della
Costituzione, questioni di legittimita' costituzionale dell'art.  517
del codice di procedura penale, nella parte in  cui  non  prevede  la
facolta' dell'imputato di richiedere al giudice del  dibattimento  la
sospensione del procedimento con messa alla prova,  relativamente  al
reato concorrente oggetto di nuova contestazione. 
    1.1.- La disposizione censurata consente al pubblico ministero di
procedere, durante il dibattimento, a  contestazioni  suppletive  che
possono consistere nell'aggiunta di un'aggravante, ovvero - come  nel
caso verificatosi nel giudizio a quo - nell'addebito di  uno  o  piu'
reati connessi a quello originariamente indicato nell'imputazione  ai
sensi dell'art. 12, comma 1, lettera b), cod.  proc.  pen.,  e  cioe'
commessi con la medesima azione od  omissione,  ovvero  con  condotte
diverse, ma in esecuzione di un medesimo disegno criminoso. 
    Nel momento della nuova contestazione dibattimentale, il  termine
per avanzare la richiesta di sospensione del procedimento  con  messa
alla prova di cui all'art. 168-bis del codice penale e'  sempre  gia'
spirato. Tale istanza, infatti, deve essere di regola formulata prima
dell'apertura del dibattimento di primo grado (art. 464-bis, comma 2,
cod. proc. pen.). 
    Secondo il rimettente, tuttavia, precludere l'accesso alla  messa
alla prova a seguito della contestazione suppletiva di reati connessi
violerebbe: 
    - l'art. 24 Cost., in quanto la richiesta  di  riti  alternativi,
tra cui va annoverata anche la sospensione del procedimento con messa
alla prova, costituirebbe una tra le piu' qualificanti modalita'  con
le quali si esplica l'esercizio del diritto di difesa; 
    - e l'art 3 Cost., perche' l'imputato verrebbe  irragionevolmente
discriminato, ai  fini  dell'accesso  ai  procedimenti  speciali,  in
conseguenza della maggiore o minore  esattezza  o  completezza  della
discrezionale  valutazione  circa  le   risultanze   delle   indagini
preliminari  operata  dal  pubblico  ministero,  e  perche'   sarebbe
irragionevole non equiparare questa ipotesi a quelle nelle quali oggi
risulta possibile - a seguito di numerose pronunce di questa Corte  -
accedere a riti alternativi, compresa la messa alla prova, a  seguito
di nuove contestazioni ai sensi degli artt. 516 e 517 cod. proc. pen. 
    2.- Le questioni sono fondate. 
    2.1.- Una fitta serie di pronunce di questa Corte ha adeguato  il
principio di fluidita'  dell'imputazione,  che  costituisce  un  dato
caratterizzante  del  nostro  sistema  processuale  anche   in   sede
dibattimentale, al diritto di difesa presidiato  dall'art.  24  Cost.
quale «principio supremo» dell'ordinamento costituzionale»  (sentenze
n. 18 del 2022, n. 238 del 2014, n. 232 del 1989 e n. 18 del 1982). 
    In particolare, tali pronunce hanno  dichiarato  l'illegittimita'
costituzionale degli artt. 516 e 517 cod. proc. pen. nella  parte  in
cui  non  consentono  all'imputato  l'accesso  a   riti   alternativi
nell'ipotesi di nuove  contestazioni,  progressivamente  superando  -
come ben sottolinea il  rimettente  -  l'originaria  distinzione  tra
nuove contestazioni dibattimentali cosiddette "patologiche"  e  nuove
contestazioni "fisiologiche" (sul punto, si veda  in  particolare  la
ricapitolazione svolta dalla sentenza n. 141 del 2018). 
    Cio' in omaggio a una duplice esigenza: salvaguardare la pienezza
del diritto di difesa dell'imputato,  che  comprende  il  diritto  di
optare  per  il  rito  alternativo  alle  condizioni  stabilite   dal
legislatore, ed evitare l'irragionevole disparita' di trattamento tra
l'imputato che abbia potuto confrontarsi con una imputazione completa
prima  dell'inizio  del  dibattimento  e  quello  rispetto  al  quale
l'imputazione sia stata precisata o integrata soltanto nel corso  del
dibattimento, quando il termine per la scelta del rito alternativo e'
ormai scaduto. La scelta del rito  deve,  in  effetti,  poter  essere
effettuata dall'imputato - assistito  dal  proprio  difensore  -  con
piena  consapevolezza   delle   possibili   conseguenze   sul   piano
sanzionatorio connesse all'uno o  all'altro  rito,  in  relazione  ai
reati contestati dal pubblico ministero;  sicche',  di  fronte  a  un
mutamento dell'imputazione, ragioni di  tutela  del  suo  diritto  di
difesa e del  principio  di  eguaglianza  impongono  che  sia  sempre
consentito all'imputato rivalutare la propria scelta alla luce  delle
nuove contestazioni. 
    Cosi', il patteggiamento puo'  oggi  essere  richiesto  a  fronte
della nuova contestazione di un fatto diverso ex art. 516 cod.  proc.
pen. (sentenze n. 265 del 1994 e n. 206 del 2017), di una circostanza
aggravante ex art. 517 cod. proc pen. (sentenza n. 184 del 2014) o di
reati connessi ex art. 517 cod. proc pen. (sentenze n. 265 del 1994 e
n. 82 del 2019); e il giudizio abbreviato  puo'  essere  richiesto  a
fronte della nuova contestazione di un fatto diverso ex art. 516 cod.
proc. pen. (sentenze n. 333 del 2009 e  n.  273  del  2014),  di  una
circostanza aggravante ex art. 517 cod. proc pen.  (sentenza  n.  139
del 2015) o di reati connessi ex art. 517 cod. proc pen. (sentenza n.
333 del 2009). 
    Quanto alla sospensione del procedimento con  messa  alla  prova,
che viene in considerazione nel giudizio  a  quo,  essa  puo'  essere
richiesta a fronte della nuova contestazione di un fatto  diverso  ex
art. 516 cod.  proc.  pen.  (sentenza  n.  14  del  2020)  e  di  una
circostanza aggravante ex art. 517 cod. proc pen.  (sentenza  n.  141
del 2018). 
    Nulla  ha  ancora  la  Corte  deciso  in  relazione  alla   nuova
contestazione in dibattimento di reati connessi ex art. 517 cod. proc
pen.; e proprio di quest'ultima superstite preclusione  si  duole  il
rimettente. 
    2.2.- I principi espressi nelle pronunce menzionate impongono che
anche  tale  residua  preclusione  sia   rimossa,   con   conseguente
restituzione dell'imputato  nel  diritto  di  esercitare  le  proprie
scelte difensive - ivi compresa la richiesta di messa  alla  prova  -
anche nell'ipotesi oggetto delle odierne censure. 
    Invero, come ha osservato questa Corte nella sentenza n.  82  del
2019, «[f]atto diverso e reato connesso, entrambi emersi per la prima
volta in dibattimento, integrano [...] evenienze processuali che, sul
versante  dell'accesso  ai  riti   alternativi,   non   possono   non
rappresentare situazioni fra  loro  del  tutto  analoghe».  Pertanto,
anche rispetto all'ipotesi di nuove contestazioni di  reati  connessi
ex art. 517 cod. proc.  pen.,  dovra'  riconoscersi  all'imputato  la
facolta' di chiedere la messa alla prova, che la sentenza n.  14  del
2020 ha gia' esteso all'ipotesi di contestazione di un fatto diverso. 
    2.3.- Non osta a tale conclusione la  circostanza  che  la  messa
alla prova verrebbe in questo  caso  -  a  differenza  delle  ipotesi
oggetto delle sentenze n. 141 del 2018 e n. 14 del 2020 -  ad  essere
concessa non in relazione a un unico reato, bensi' a  piu'  reati  in
concorso fra loro. 
    La previsione di cui all'art. 168-bis, quarto comma, cod. pen.  -
secondo cui la sospensione del procedimento «non puo' essere concessa
piu' di una volta» - non  esclude  infatti  la  concedibilita'  della
messa alla prova ogniqualvolta venga contestato  piu'  di  un  reato,
quando - come nella fattispecie del giudizio a quo - per ciascuno dei
reati in concorso  sia  astrattamente  applicabile  l'istituto  della
messa alla  prova  (Corte  di  cassazione,  sezione  seconda  penale,
sentenza 12 marzo 2015, n. 14112). 
    2.4.- Le peculiarita'  della  sospensione  del  procedimento  con
messa alla prova imporranno piuttosto all'imputato, in tal  caso,  di
scegliere se chiedere di essere sottoposto  alla  messa  alla  prova,
ovvero se proseguire il processo nelle forme  ordinarie,  rispetto  a
tutti i reati contestati, compresi  quelli  oggetto  dell'imputazione
originaria. 
    La ratio dell'istituto impone,  in  effetti,  di  distinguere  la
situazione  all'esame  da  quella  relativa  al  recupero  del   rito
abbreviato, decisa dalla sentenza n. 237  del  2012,  in  cui  questa
Corte aveva ritenuto che la richiesta del rito dovesse  in  tal  caso
riferirsi   ai   soli   reati   oggetto   di   nuove    contestazioni
dibattimentali,   senza   che   «l'imputato   possa   recuperare,   a
dibattimento inoltrato, gli effetti  premiali  del  rito  alternativo
anche in rapporto all'intera  platea  delle  imputazioni  originarie,
rispetto alle quali ha consapevolmente lasciato  spirare  il  termine
utile per la richiesta». 
    Diversamente da quanto accade nel rito  abbreviato,  nella  messa
alla prova convivono un'anima processuale e una  sostanziale.  Da  un
lato, l'istituto e' uno  strumento  di  definizione  alternativa  del
procedimento, che si inquadra a buon diritto tra i  riti  alternativi
(sentenze n. 14 del 2020, n. 91 del 2018  e  n.  240  del  2015);  al
contempo,  esso  disegna  un  percorso  rieducativo   e   riparativo,
alternativo al processo e alla pena, ma con  innegabili  connotazioni
sanzionatorie (sentenza n. 68 del 2019),  che  conduce,  in  caso  di
esito positivo, all'estinzione del reato. 
    Proprio  tale  accentuata  vocazione  risocializzante,  come   ha
giustamente evidenziato la giurisprudenza di legittimita', si  oppone
alla possibilita' di una messa alla prova "parziale", ossia  relativa
ad alcuni soltanto dei reati contestati (Corte di cassazione, sezione
sesta penale, sentenza 12 aprile 2021, n. 24707; Corte di cassazione,
sentenza n. 14112 del 2015). 
    Piuttosto, l'imputato dovra'  essere  rimesso  in  condizione  di
optare per la messa alla prova anche con riferimento alle imputazioni
originarie, intraprendendo  cosi'  quel  percorso  al  quale  avrebbe
potuto orientarsi sin dall'inizio, ove si fosse  confrontato  con  la
totalita' dei fatti via via contestatigli dal pubblico ministero. 
    Una  tale  scelta  dell'imputato  non  esclude   d'altronde   che
l'istituto conservi la propria fisiologica funzione deflattiva  anche
in questa ipotesi, determinando comunque l'interruzione del  processo
e l'estinzione del reato nel caso di esito positivo della messa  alla
prova. Il che consente sia di evitare  lo  svolgimento  di  ulteriore
attivita' istruttoria, sia di eliminare ogni altro contenzioso legato
all'impugnazione della sentenza di primo grado. 
    2.5.-  L'art.  517  cod.  proc.   pen.   va   dunque   dichiarato
costituzionalmente illegittimo nella parte in  cui  non  prevede,  in
seguito alla contestazione di reati connessi a  norma  dell'art.  12,
comma 1, lettera b), cod. proc. pen., la  facolta'  dell'imputato  di
richiedere la sospensione del procedimento con messa alla prova,  con
riferimento a tutti i reati contestatigli.