ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 133,  comma
1, lettera p), dell'Allegato 1 (codice del  processo  amministrativo)
al  decreto  legislativo  2   luglio   2010,   n.   104   (Attuazione
dell'articolo 44 della legge 18 giugno 2009, n. 69, recante delega al
governo per il riordino del processo  amministrativo),  promosso  dal
Tribunale ordinario di Reggio Calabria nel procedimento vertente  tra
G. M. e il Comune di Reggio Calabria e altro, con  ordinanza  del  30
gennaio 2021, iscritta al  n.  188  del  registro  ordinanze  2021  e
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della  Repubblica  n.  48,  prima
serie speciale, dell'anno 2021. 
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udita nella camera di consiglio dell'8  giugno  2022  la  Giudice
relatrice Daria de Pretis; 
    deliberato nella camera di consiglio del 9 giugno 2022. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza del 30 gennaio 2021, iscritta  al  n.  188  del
registro ordinanze 2021, il Tribunale ordinario di Reggio Calabria ha
sollevato questioni di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  133,
comma  1,  lettera  p),  dell'Allegato   1   (codice   del   processo
amministrativo)  al  decreto  legislativo  2  luglio  2010,  n.   104
(Attuazione dell'articolo 44 della  legge  18  giugno  2009,  n.  69,
recante  delega   al   governo   per   il   riordino   del   processo
amministrativo), in riferimento agli artt.  3,  24,  25,  100,  primo
comma,  102,  103,  primo  comma,  111  e  113,  primo  comma,  della
Costituzione. 
    La  citata  disposizione  prevede  che  «[s]ono   devolute   alla
giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo,  salvo  ulteriori
previsioni di legge: [...]  le  controversie  aventi  ad  oggetto  le
ordinanze e  i  provvedimenti  commissariali  adottati  in  tutte  le
situazioni di emergenza dichiarate ai sensi dell'articolo 5, comma 1,
della  legge  24  febbraio  1992,  n.  225,  nonche'  gli   atti,   i
provvedimenti e le ordinanze emanati ai sensi dell'articolo 5,  commi
2 e 4 della medesima legge n. 225 del 1992 e le controversie comunque
attinenti alla complessiva azione di gestione del ciclo dei  rifiuti,
seppure  posta   in   essere   con   comportamenti   della   pubblica
amministrazione riconducibili, anche mediatamente,  all'esercizio  di
un pubblico potere, quand'anche relative a diritti costituzionalmente
tutelati». 
    La disposizione e'  censurata  «nella  parte  in  cui,  per  come
univocamente interpretat[a] dalla giurisprudenza della Corte  Suprema
di cassazione, divenuta vero e  proprio  "diritto  vivente",  devolve
alla   cognizione   della   giurisdizione   esclusiva   del   giudice
amministrativo  anche  le  controversie   risarcitorie,   quand'anche
relative a diritti costituzionalmente  tutelati,  promosse  ai  sensi
degli artt. 2043 e  2051  cod.  civ,  nei  confronti  della  pubblica
amministrazione custode  dei  rifiuti,  per  i  danni  conseguenti  a
comportamenti    meramente    omissivi    della    stessa    pubblica
amministrazione, posti in essere in via di mero fatto, nelle quali la
stessa non esercita - nemmeno mediatamente, e cioe' avvalendosi della
facolta' di adottare strumenti intrinsecamente privatistici  -  alcun
pubblico potere». 
    Cosi' interpretata, la disposizione si porrebbe in contrasto  con
i principi enunciati da questa Corte nelle sentenze n. 204 del 2004 e
n. 191 del 2006, sicche' sussisterebbe la violazione  degli  indicati
parametri costituzionali. 
    1.1.- Le questioni di legittimita' costituzionale sono sorte  nel
corso di un giudizio promosso da G. M. nei confronti  del  Comune  di
Reggio Calabria e della Regione Calabria per ottenere il risarcimento
del danno subito in occasione del  suo  intervento,  in  qualita'  di
vigile del fuoco, nello spegnimento di un incendio di  rifiuti  posti
sulla pubblica via. In tale occasione,  un  getto  di  olio  bollente
fuoriuscito da un barile di latta abbandonato tra i rifiuti lo  aveva
colpito alle gambe, causandogli un danno alla  salute.  A  fondamento
della sua domanda G. M. ha fatto valere la responsabilita' da cosa in
custodia, ai sensi dell'art. 2051  cod.  civ.,  degli  enti  pubblici
convenuti, in quanto  «soggetti  che  avrebbero  dovuto  fronteggiare
l'emergenza rifiuti nel periodo in cui  si  era  verificato  l'evento
dannoso». 
    Nel processo principale, la Regione Calabria ha eccepito  in  via
preliminare  il  difetto  di  giurisdizione  del  giudice  ordinario,
affermando  che  la  controversia  rientrerebbe  nella  giurisdizione
esclusiva del giudice amministrativo  in  materia  di  «gestione  del
ciclo dei rifiuti», ai sensi del citato art. 133,  comma  1,  lettera
p), cod. proc. amm. 
    1.2.- Secondo il rimettente, l'eccezione dovrebbe essere  accolta
sulla base di un orientamento espresso in alcune pronunce della Corte
di cassazione divenute ormai diritto vivente  (Corte  di  cassazione,
sezioni unite civili,  sentenza  28  giugno  2013,  n.  16304;  terza
sezione civile, sentenza 19 dicembre 2014, n.  26913;  sesta  sezione
civile - 3, ordinanza 21 settembre 2017, n. 22009), rese  in  giudizi
relativi al  risarcimento  dei  danni  causati  a  privati  cittadini
dall'omesso prelievo, trasporto e smaltimento dei  rifiuti  da  parte
delle amministrazioni comunali. 
    In esse la Suprema Corte avrebbe affermato la  giurisdizione  del
giudice  amministrativo,  statuendo   in   particolare   che:   nelle
controversie sottoposte al suo esame non sarebbero stati applicabili,
ratione temporis, ne' l'art. 4 del decreto-legge 23 maggio  2008,  n.
90 (Misure straordinarie per  fronteggiare  l'emergenza  nel  settore
dello smaltimento dei rifiuti  nella  regione  Campania  e  ulteriori
disposizioni di protezione civile),  convertito,  con  modificazioni,
nella legge 14 luglio 2008, n. 123, ne',  dopo  la  sua  abrogazione,
l'art. 133,  comma  1,  lettera  p),  cod.  proc.  amm.,  che  lo  ha
sostanzialmente riprodotto; tali  norme,  comunque,  nulla  avrebbero
innovato  rispetto  alle  previgenti   regole   sul   riparto   della
giurisdizione tra giudice ordinario e giudice amministrativo, perche´
la raccolta e lo  smaltimento  dei  rifiuti  urbani  e`  un  servizio
pubblico  che  la  legge  riserva  obbligatoriamente  ai  comuni;  di
conseguenza,  ogni  controversia  concernente  l'organizzazione   del
servizio pubblico di raccolta e smaltimento dei rifiuti  urbani,  ivi
comprese  quelle  aventi  ad  oggetto  il  risarcimento   dei   danni
conseguenti  all'omessa  adozione  dei  provvedimenti   necessari   a
prevenire o impedire l'abbandono dei rifiuti sulle strade,  ovvero  a
rimuoverne gli effetti, sarebbe appartenuta  alla  giurisdizione  del
giudice amministrativo gia` ai sensi dell'art. 33, comma  2,  lettera
e), del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 80 (Nuove  disposizioni
in  materia  di  organizzazione  e  di  rapporti  di   lavoro   nelle
amministrazioni pubbliche, di  giurisdizione  nelle  controversie  di
lavoro e  di  giurisdizione  amministrativa,  emanate  in  attuazione
dell'articolo 11, comma 4, della L.  15  marzo  1997,  n.  59),  come
modificato  dall'art.  7  della  legge  21   luglio   2000   n.   205
(Disposizioni in materia di giustizia amministrativa), che attribuiva
al giudice amministrativo la giurisdizione ove si fosse  in  presenza
dell'esercizio di potesta'  pubblicistiche,  ancorche'  incidenti  su
diritti  e  sulle  connesse  domande  risarcitorie;  in  conclusione,
qualora la lesione di detti diritti sia allegata come effetto  di  un
comportamento  illegittimo   perche'   omissivo   dell'adozione   dei
provvedimenti   necessari   per   prevenire,   impedire,    rimuovere
l'abbandono  dei  rifiuti  sulle  strade,  la  relativa  controversia
rientrerebbe    nella    giurisdizione    esclusiva    del    giudice
amministrativo. 
    Particolare rilievo assumerebbe la citata ordinanza  della  Corte
di cassazione n. 22009 del 2017, resa in una  controversia  simile  a
quella oggetto del processo principale. In quel caso si trattava  del
risarcimento dei danni causati dall'incendio di due cassonetti per  i
rifiuti solidi urbani collocati nei pressi di un'abitazione  privata,
la cui proprietaria aveva citato il Comune in quanto responsabile  da
cosa in custodia ai sensi dell'art. 2051 cod. civ. La  Suprema  Corte
avrebbe riconosciuto  la  giurisdizione  del  giudice  amministrativo
identificando la causa petendi  «nella  congiunta  circostanza  della
pericolosita' della collocazione dei cassonetti a ridosso della  casa
di abitazione e nell'inerzia della P.A. a dispetto delle segnalazioni
in merito inviate». Rilevante sarebbe, in particolare. il  fatto  che
la «malaccorta gestione [...] dei manufatti  necessari  al  ciclo  di
raccolta  dei  rifiuti»   coinvolgerebbe   l'esercizio   del   potere
autoritativo nell'organizzazione del servizio pubblico di raccolta  e
smaltimento dei rifiuti urbani. Cosi' individuata,  la  giurisdizione
esclusiva  del  giudice  amministrativo   presenterebbe   un'ampiezza
«indiscriminata [...], idonea a comprendere pure  le  fattispecie  in
materia di diritti ai sensi dell'art. 2051 cod. civ.». 
    1.3.- Il giudice a quo ravvisa la rilevanza delle questioni nella
circostanza che  il  diritto  vivente  non  consentirebbe  «soluzioni
ermeneutiche diverse da  quelle  elaborate  dalla  Suprema  Corte  di
Cassazione»  circa  la  spettanza  al  giudice  amministrativo  della
controversia al suo esame. In conseguenza di cio' e  in  accoglimento
dell'eccezione  formulata  dalla  convenuta,  il   Tribunale   stesso
dovrebbe dichiarare il proprio difetto di giurisdizione. 
    Secondo la citata giurisprudenza di  legittimita'  -  da  cui  il
rimettente afferma di non potersi  discostare  -  l'esistenza  di  un
nesso ineliminabile tra la domanda di risarcimento del danno ai sensi
degli  artt.  2043  e  2051  cod.  civ.  e  la  prospettata  gestione
malaccorta dei rifiuti  attrarrebbe  la  controversia  all'ambito  di
applicazione dell'art. 133, comma 1, lettera p), cod. proc. amm. 
    In ogni caso, ove anche non si fosse in presenza  di  un  vero  e
proprio diritto vivente, l'assai  probabile  rischio  di  riforma  da
parte  del  giudice  di  ultimo  grado  di   un'eventuale   pronuncia
dissenziente  giustificherebbe,  ad   avviso   del   rimettente,   la
proposizione  della  questione  come  unica  via  idonea  a  impedire
l'applicazione di una disposizione costituzionalmente illegittima (e'
citata la sentenza n. 240 del 2016). Infatti, «se il giudice  non  si
determinasse a sollevare la questione di legittimita' costituzionale,
l'alternativa sarebbe dunque solo adeguarsi  ad  una  interpretazione
che  non  si  condivide  o  assumere  una  pronuncia  in   contrasto,
probabilmente destinata ad essere riformata». Cio'  che  escluderebbe
l'inammissibilita'  della   questione   per   richiesta   di   avallo
interpretativo (e' citata la sentenza n. 1 del 2021). 
    1.4.- Quanto alla non manifesta infondatezza, il  giudice  a  quo
osserva che l'art. 133, comma 1, lettera p), cod.  proc.  amm.,  come
interpretato dalla Corte  di  cassazione,  attribuirebbe  al  giudice
amministrativo anche le  controversie  risarcitorie  derivanti,  come
nella fattispecie oggetto del processo principale,  da  comportamenti
omissivi posti in  essere  in  via  di  mero  fatto,  quale  l'omessa
rimozione o l'omessa custodia dei rifiuti abbandonati sulle pubbliche
strade, che abbiano causato la lesione di diritti  costituzionalmente
garantiti, come il diritto alla salute. 
    Cosi' statuendo, la disposizione censurata violerebbe  gli  artt.
3, 24, 25, 100, primo comma, 102, 103, primo comma, 111 e 113,  primo
comma, Cost. In base alle sentenze n. 204 del 2004 e n. 191 del  2006
di  questa  Corte,  infatti,  l'art.  103,  primo  comma,  Cost.  non
attribuisce   al    legislatore    un'assoluta    e    indiscriminata
discrezionalita' nell'assegnare al giudice amministrativo materie  in
regime di giurisdizione esclusiva, ma  solo  il  potere  di  indicare
«particolari  materie»,  in  cui  lo  stesso  giudice  conosce  anche
posizioni  di  diritto  soggettivo.  Tali   materie   devono   essere
«particolari» nel senso che in esse deve comunque venire in  evidenza
l'esercizio di  poteri  pubblici,  sia  tramite  atti  unilaterali  e
autoritativi, sia tramite  moduli  consensuali,  sia  infine  tramite
semplici   comportamenti,   purche'   sempre   riconducibili,   anche
«mediatamente», all'esercizio di un potere pubblico. 
    In applicazione  di  tali  principi,  le  controversie  meramente
risarcitorie, riguardanti la responsabilita'  dell'ente  pubblico  ai
sensi dell'art. 2051 cod. civ.  (similmente  a  quelle,  ad  esempio,
attinenti ai danni da "insidia" o "trabocchetto" sul manto stradale),
non potrebbero rientrare nella giurisdizione  esclusiva  del  giudice
amministrativo. In questi casi, la domanda giudiziale,  anche  se  in
apparenza   diretta   a    censurare    implicitamente    l'attivita'
dell'amministrazione custode del bene (secondo  l'esempio  fatto,  la
cattiva   manutenzione   stradale),   non    comporterebbe    «alcuna
intromissione nel potere amministrativo», giacche' il danneggiato  si
limita a chiedere il risarcimento dei danni cagionati dalla  cosa  in
custodia  dell'amministrazione  e  non  la  condanna   della   stessa
amministrazione a eliminare la causa dell'evento lesivo (la "insidia"
o il "trabocchetto" sul  manto  stradale,  sempre  secondo  l'esempio
fatto). 
    La Corte di cassazione, invece, avrebbe finito  per  interpretare
il termine «mediatamente», di cui all'art. 133, comma 1, lettera  p),
cod. proc. amm., come sinonimo di «indirettamente», facendo rientrare
nella  giurisdizione  esclusiva  del  giudice  amministrativo   anche
controversie che non coinvolgono il pubblico potere, sulla  base  del
semplice dato che «un danno, quand'anche  riconducibile  allo  schema
dell'art. 2051 cod. civ., nel suo  complesso  [e']  ascrivibile  alla
malaccorta gestione» dei rifiuti (ordinanza n. 22009 del 2017). 
    Il rimettente ricorda ancora che questa Corte, con la sentenza n.
35 del 2010 e con l'ordinanza n. 167 del 2011, avrebbe gia' rigettato
analoghe questioni riferite alla disciplina  previgente,  ma  ritiene
che la sopravvenienza di un difforme diritto vivente, relativo a casi
identici, richieda un nuovo vaglio delle medesime questioni. In  ogni
caso, il carattere frequentemente bagatellare delle  controversie  in
materia, in cui si  fanno  valere  spesso  pretese  risarcitorie  per
«fastidi» e «disagi» derivanti dalla cattiva  gestione  dei  rifiuti,
porterebbe a ritenere piu' adeguata la loro trattazione  in  sede  di
giurisdizione ordinaria. 
    2.- Con atto depositato il 17 dicembre 2021,  e'  intervenuto  in
giudizio il Presidente del Consiglio dei  ministri,  rappresentato  e
difeso dall'Avvocatura generale dello  Stato,  che  ha  concluso  per
l'inammissibilita' o, comunque, per la manifesta  infondatezza  delle
questioni. 
    2.1.- Le questioni  sarebbero  inammissibili,  innanzitutto,  per
carenza di motivazione sulla non manifesta infondatezza, in quanto il
rimettente non avrebbe esposto le ragioni di  contrasto  della  norma
censurata con ciascuno dei parametri invocati, essendosi limitato  ad
affermare che l'art. 133, comma 1, lettera p), cod. proc. amm.,  come
interpretato   dalla    Corte    di    cassazione,    «si    appalesa
costituzionalmente illegittim[o]» perche' non in linea con i principi
affermati da questa Corte con le sentenze n. 204 del 2004  e  n.  196
del 2006. 
    2.1.1.- Le questioni sarebbero inammissibili, inoltre, perche' il
rimettente non avrebbe tentato di interpretare la norma censurata  in
senso costituzionalmente orientato, nel senso che essa  consentirebbe
di  ricondurre  alla   giurisdizione   del   giudice   ordinario   le
controversie riguardanti i comportamenti di mero fatto della pubblica
amministrazione  in  materia  di  gestione  dei  rifiuti,   che   non
comportino  l'esercizio  di  poteri  autoritativi,   secondo   quanto
statuito da questa Corte nell'ordinanza n. 167 del 2011. 
    Tale interpretazione corrisponderebbe al consolidato orientamento
della Corte di Cassazione sul riparto della giurisdizione,  formatosi
gia' in relazione al previgente art. 4, comma 1, del d.l. n.  90  del
2008 (Corte di cassazione, sezioni unite civili, ordinanze  7  luglio
2010, n. 16032 e 11  giugno  2010,  n.  14126),  poi  confermato  con
riguardo  all'art.  133,  comma  1,  lettera  p),  cod.  proc.  amm.,
sostanzialmente riproduttivo del contenuto del citato art. 4, comma 1
(Corte di cassazione, sezioni unite civili, ordinanze 21 luglio 2021,
n. 20824, 19 luglio 2021, n. 20539 e 30 luglio 2020, n. 16456). 
    2.2.- Nel merito, le questioni sarebbero comunque  manifestamente
infondate alla luce della richiamata giurisprudenza di  legittimita'.
In particolare, la citata ordinanza delle Sezioni unite n. 16456  del
2020,  resa  in  una  controversia  relativa  a  danni  per   mancata
manutenzione  di  una  discarica  intercomunale,  ha  dichiarato   la
giurisdizione del giudice ordinario in quanto nel giudizio a quo  non
veniva in  discussione  «la  legittimita'  dell'adozione  o  meno  di
provvedimenti amministrativi in tema di gestione dei rifiuti,  bensi'
un  [...]  illecito  comportamento  materiale   dei   Comuni,   [...]
consistente nella omessa manutenzione della discarica». 
    Contrariamente a quanto  affermato  dal  rimettente,  secondo  la
costante  interpretazione  offerta  dalla  Corte  regolatrice   della
giurisdizione, dunque, l'art. 133, comma 1, lettera  p),  cod.  proc.
amm. non si riferirebbe alle controversie risarcitorie che, come  nel
giudizio  a  quo,  siano  fondate  su  comportamenti  della  pubblica
amministrazione   di   tipo   omissivo,   non   collegati,    nemmeno
indirettamente, all'esercizio di pubblici poteri nella materia  della
gestione dei rifiuti. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Il  Tribunale  ordinario  di  Reggio  Calabria  dubita  della
legittimita' costituzionale  dell'art.  133,  comma  1,  lettera  p),
dell'Allegato 1  (codice  del  processo  amministrativo)  al  decreto
legislativo 2 luglio 2010, n. 104 (Attuazione dell'articolo 44  della
legge 18 giugno 2009,  n.  69,  recante  delega  al  governo  per  il
riordino del processo amministrativo), in riferimento agli  artt.  3,
24, 25, 100, primo comma, 102, 103, primo comma,  111  e  113,  primo
comma, della Costituzione. 
    La  citata  disposizione  prevede  che  «[s]ono   devolute   alla
giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo,  salvo  ulteriori
previsioni di legge: [...]  le  controversie  aventi  ad  oggetto  le
ordinanze e  i  provvedimenti  commissariali  adottati  in  tutte  le
situazioni di emergenza dichiarate ai sensi dell'articolo 5, comma 1,
della  legge  24  febbraio  1992,  n.  225,  nonche'  gli   atti,   i
provvedimenti e le ordinanze emanati ai sensi dell'articolo 5,  commi
2 e 4 della medesima legge n. 225 del 1992 e le controversie comunque
attinenti alla complessiva azione di gestione del ciclo dei  rifiuti,
seppure  posta   in   essere   con   comportamenti   della   pubblica
amministrazione riconducibili, anche mediatamente,  all'esercizio  di
un pubblico potere, quand'anche relative a diritti costituzionalmente
tutelati». 
    Le questioni di legittimita' costituzionale sono sorte nel  corso
di un giudizio promosso da G. M. nei confronti del Comune  di  Reggio
Calabria e della Regione Calabria per ottenere  il  risarcimento  del
danno subito in occasione del suo intervento, in qualita'  di  vigile
del fuoco, nello spegnimento di un incendio di  rifiuti  posti  sulla
pubblica  via.  In  tale  occasione,  un  getto  di   olio   bollente
fuoriuscito da un barile di latta abbandonato tra i rifiuti lo  aveva
colpito alle gambe, causandogli un danno alla  salute.  A  fondamento
della sua domanda G. M. ha fatto valere la responsabilita' da cosa in
custodia, ai sensi dell'art. 2051  cod.  civ.,  degli  enti  pubblici
convenuti, in quanto  «soggetti  che  avrebbero  dovuto  fronteggiare
l'emergenza rifiuti nel periodo in cui  si  era  verificato  l'evento
dannoso». 
    Nel processo principale, la Regione Calabria ha eccepito  in  via
preliminare  il  difetto  di  giurisdizione  del  giudice  ordinario,
affermando  che  la  controversia  rientrerebbe  nella  giurisdizione
esclusiva del giudice amministrativo  in  materia  di  «gestione  del
ciclo dei rifiuti», ai sensi del citato art. 133,  comma  1,  lettera
p). 
    1.1.- La disposizione oggetto del presente giudizio e'  censurata
«nella parte in  cui,  per  come  univocamente  interpretat[a]  dalla
giurisprudenza della Corte Suprema di  cassazione,  divenuta  vero  e
proprio   "diritto   vivente",   devolve   alla   cognizione    della
giurisdizione  esclusiva  del   giudice   amministrativo   anche   le
controversie   risarcitorie,   quand'anche   relative    a    diritti
costituzionalmente tutelati, promosse ai sensi degli articoli 2043  e
2051 del codice civile, nei confronti della pubblica  amministrazione
custode  dei  rifiuti,  per  i  danni  conseguenti  a   comportamenti
meramente omissivi della stessa pubblica  amministrazione,  posti  in
essere in via di mero fatto, nelle quali la  stessa  non  esercita  -
nemmeno mediatamente, e cioe' avvalendosi della facolta' di  adottare
strumenti intrinsecamente privatistici - alcun pubblico potere». 
    Cosi' interpretata, la disposizione si porrebbe in contrasto  con
i principi enunciati da questa Corte nelle sentenze n. 204 del 2004 e
n. 191 del 2006, sicche' sussisterebbe la violazione  degli  indicati
parametri costituzionali (artt. 3, 24, 25,  100,  primo  comma,  102,
103, primo comma, 111 e 113, primo comma, Cost.). 
    1.1.1.- Secondo il rimettente, si sarebbe formato un orientamento
del giudice di legittimita' in contrasto con le  pronunce  di  questa
Corte che - in linea con le citate sentenze n. 204 del 2004 e n.  191
del 2006 - hanno delimitato l'ambito  della  giurisdizione  esclusiva
del giudice amministrativo nella materia della «gestione dei rifiuti»
alle ipotesi in cui «l'amministrazione agisca [...] come autorita'  e
cioe' attraverso la spendita di  poteri  amministrativi  che  possono
essere esercitati sia mediante atti unilaterali  e  autoritativi  sia
mediante moduli consensuali ai  sensi  dell'art.  11  della  legge  7
agosto  1990,  n.  241  (Nuove  norme  in  materia  di   procedimento
amministrativo e di diritto di accesso ai documenti  amministrativi),
sia infine mediante comportamenti, purche' questi ultimi siano  posti
in essere nell'esercizio di un  potere  pubblico  e  non  consistano,
invece, in meri comportamenti materiali avulsi da tale esercizio.  In
tale ultimo caso, infatti, la cognizione delle controversie  nascenti
da siffatti  comportamenti  spetta  alla  giurisdizione  del  giudice
ordinario» (sentenza n. 35 del 2010, relativa al  previgente  art.  4
del  decreto-legge  23  maggio   2008,   n.   90,   recante   «Misure
straordinarie  per  fronteggiare  l'emergenza   nel   settore   dello
smaltimento  dei  rifiuti  nella   regione   Campania   e   ulteriori
disposizioni di protezione civile»,  convertito,  con  modificazioni,
nella legge 14 luglio  2008,  n.  123,  il  cui  contenuto  e'  stato
sostanzialmente riprodotto nell'art. 133, comma 1,  lettera  p,  cod.
proc. amm.; in termini, sentenza n.  179  del  2016  nonche',  sempre
sulla disposizione previgente, ordinanze n. 54 e n. 167 del 2011,  n.
371 del 2010). 
    Per contro, la Corte di cassazione - con un orientamento  che  il
rimettente riconduce a tre decisioni (sezioni unite civili,  sentenza
28 giugno 2013, n. 16304; terza sezione civile, sentenza 19  dicembre
2014, n. 26913; sesta sezione civile, ordinanza 21 settembre 2017, n.
22009) - affermerebbe la sussistenza della giurisdizione del  giudice
amministrativo in controversie relative  al  risarcimento  dei  danni
causati  a  privati  cittadini  dall'omesso  prelievo,  trasporto   e
smaltimento dei rifiuti  da  parte  delle  amministrazioni  comunali.
Secondo questo orientamento, che il rimettente definisce  «granitico»
e tale da costituire ormai diritto  vivente,  l'art.  133,  comma  1,
lettera p), cod. proc. amm. dovrebbe dunque essere  interpretato  nel
senso che la giurisdizione esclusiva del  giudice  amministrativo  si
estende alle controversie risarcitorie per danni conseguenti  a  meri
comportamenti omissivi tenuti dalla  pubblica  amministrazione  nella
raccolta dei rifiuti, ancorche' avulsi dall'esercizio di un  pubblico
potere. 
    L'affermarsi di un siffatto diritto vivente, in contrasto con  la
citata giurisprudenza costituzionale, richiederebbe un  nuovo  vaglio
delle medesime questioni ad opera di questa Corte, chiamata dunque  a
scrutinare  l'art.  133,  comma  1,  lettera  p),  cod.  proc.   amm.
nell'interpretazione fornita dalla Corte di cassazione. 
    2.-   Vanno   preliminarmente   esaminate   le    eccezioni    di
inammissibilita' sollevate, per mezzo dell'Avvocatura generale  dello
Stato, dall'interveniente Presidente del Consiglio dei ministri. 
    2.1.-  Le  questioni  sarebbero  innanzitutto  inammissibili  per
carenza di motivazione sulla non manifesta infondatezza, in quanto il
rimettente   si   sarebbe   limitato   a   lamentare    genericamente
l'illegittimita'    costituzionale    della     norma     contestata,
nell'interpretazione attribuitale dalla Corte di cassazione,  perche'
non in linea con i principi affermati nelle sentenze di questa  Corte
n. 204 del 2004 e n. 191  del  2006,  senza  esporre  le  ragioni  di
contrasto con ciascuno dei parametri invocati. 
    L'eccezione non e' fondata. 
    Le norme  costituzionali  invocate  a  parametro  coincidono  con
quelle alla cui stregua questa Corte ha esaminato la disciplina sulla
giurisdizione esclusiva del  giudice  amministrativo  nelle  pronunce
citate, sicche' l'ordinanza di rimessione, riproducendone per sintesi
il contenuto, dimostra di aderirvi. 
    Si deve  inoltre  escludere  che  si  sia  in  presenza  di  mera
motivazione  per  relationem,  avendo   ottemperato   il   rimettente
all'obbligo di rendere espliciti, facendoli propri,  i  motivi  della
non manifesta infondatezza (ex plurimis, sentenze n. 88 del 2018,  n.
10 del 2015, n. 7 del 2014, n. 234  del  2011  e  n.  143  del  2010;
ordinanze n. 175 del 2013, n. 239 e n. 65 del 2012). 
    2.2.- Ancora, le questioni  sarebbero  inammissibili  perche'  il
rimettente non avrebbe tentato di interpretare la norma censurata  in
senso  costituzionalmente  orientato,  adeguandosi  a   quanto   gia'
statuito da questa  Corte  nell'ordinanza  n.  167  del  2011,  sulla
spettanza al giudice ordinario della giurisdizione nelle controversie
riguardanti  i   comportamenti   di   mero   fatto   della   pubblica
amministrazione, senza l'esercizio di poteri autoritativi, in materia
di gestione dei rifiuti. 
    Nemmeno questa eccezione e' fondata. 
    La  tesi  del  giudice  a  quo,  secondo  cui   l'interpretazione
contestata dell'art. 133,  comma  1,  lettera  p),  cod.  proc.  amm.
sarebbe talmente consolidata da costituire diritto vivente, e' idonea
a legittimare di per se' - e salva la verifica della sua  correttezza
(su cui infra ai  punti  3.1.  e  3.2.)  -  la  proposizione  di  una
questione  di  legittimita'  costituzionale.  In  base  al   costante
orientamento di questa Corte, infatti, «in presenza di  un  indirizzo
giurisprudenziale consolidato, "il giudice a quo, se pure  e'  libero
di non uniformarvisi e di  proporre  una  sua  diversa  esegesi,  ha,
alternativamente, la facolta' di assumere l'interpretazione censurata
in termini di 'diritto vivente' e di richiederne su tale  presupposto
il controllo di compatibilita' con  i  parametri  costituzionali  (ex
plurimis, sentenze n. 39 del 2018, n. 259 del 2017 e n. 200 del 2016;
ordinanza n. 201 del 2015)"» (sentenza n. 95 del 2020;  nello  stesso
senso, da ultimo, sentenze n. 180 e n. 33 del 2021). 
    Di conseguenza, «una volta che il giudice  abbia  consapevolmente
scelto in modo non implausibile una determinata interpretazione della
norma, che ritiene non superabile, "la possibilita'  di  un'ulteriore
interpretazione alternativa, che il giudice a quo non ha ritenuto  di
fare propria, non riveste alcun significativo  rilievo  ai  fini  del
rispetto delle regole  del  processo  costituzionale,  in  quanto  la
verifica  dell'esistenza  e  della  legittimita'  di  tale  ulteriore
interpretazione  e'   questione   che   attiene   al   merito   della
controversia, e non alla sua ammissibilita'"  (sentenza  n.  221  del
2015)» (sentenza n. 240 del 2016). 
    Nel  caso  in  esame,  il  rimettente  offre  una   lettura   non
implausibile dell'interpretazione data dalla Corte di cassazione alla
norma  censurata  e  ne  assume  la  non  superabilita',  sicche'  la
valutazione della correttezza di tale lettura, e  in  ultima  analisi
dell'interpretazione prescelta  e  della  sua  portata,  deve  essere
riservata al merito. 
    3.- Nel merito, le questioni non sono fondate. 
    Come   visto,   le   censure   del   rimettente   muovono   dalla
prospettazione di una consolidata  interpretazione  giurisprudenziale
dell'art.  133,  comma  1,  lettera  p),   cod.   proc.   amm.,   che
comporterebbe  la  devoluzione  al   giudice   amministrativo   delle
controversie  risarcitorie  attinenti  alla  complessiva  azione   di
gestione dei rifiuti posta in essere anche tramite  comportamenti  di
mero fatto della pubblica amministrazione non riconducibili,  nemmeno
mediatamente, all'esercizio di un potere pubblico. 
    3.1.- Un esame attento della giurisprudenza  di  legittimita'  in
materia - e, in particolare, di quella stessa evocata dal  rimettente
- porta ad escludere,  tuttavia,  che  un'interpretazione  in  questi
termini della norma censurata esista e sia consolidata  al  punto  da
costituire diritto vivente. 
    L'orientamento  giurisprudenziale  richiamato  nell'ordinanza  di
rimessione, nel  precisare  che  appartiene  alla  giurisdizione  del
giudice     amministrativo      ogni      controversia      attinente
all'«organizzazione del servizio pubblico di raccolta  e  smaltimento
dei rifiuti urbani [...] e  [al]l'esercizio  del  correlativo  potere
dell'Amministrazione comunale» (Corte di  cassazione,  sezioni  unite
civili, sentenza n. 16304 del 2013; terza sezione civile, sentenza n.
26913 del 2014), sottolinea invero la necessita' che alla definizione
della fattispecie che radica la giurisdizione amministrativa concorra
l'esercizio di un potere, giacche' «presupposto  della  giurisdizione
esclusiva  del  giudice  amministrativo  e`  l'esercizio,   ancorche'
illegittimo o mancato, del  potere  che  la  legge  attribuisce  alla
Pubblica Amministrazione per la gestione  del  servizio  pubblico  di
raccolta [dei] rifiuti  urbani  nel  pubblico  interesse;  mentre  la
stessa lettera della norma esige trattarsi, quando l'azione non abbia
ad oggetto in via diretta atti  e  provvedimenti  amministrativi,  di
comportamenti della  pubblica  amministrazione  riconducibili,  anche
mediatamente, all'esercizio di un pubblico potere» (Cass.,  ordinanza
n. 22009 del 2017). 
    Di conseguenza, le stesse controversie in materia di gestione dei
rifiuti da parte della pubblica amministrazione, anche  se  incidenti
su diritti soggettivi  e  sulle  connesse  fattispecie  risarcitorie,
rientrano nella giurisdizione esclusiva  del  giudice  amministrativo
solo «allorche' la lesione d[ei] diritti sia dedotta come effetto  di
un  comportamento  illegittimo  perche´  omissivo  di   adozione   di
provvedimenti  da  emettere  per   prevenire,   impedire,   rimuovere
l'abbandono dei rifiuti  sulle  strade»  (Corte  cassazione,  sezioni
unite civili, sentenza n. 16304 del 2013). 
    Quanto affermato  dunque  in  termini  generali  dalla  Corte  di
cassazione a proposito dell'ambito della giurisdizione amministrativa
nelle controversie di cui all'art. 133, comma  1,  lettera  p),  cod.
proc. amm. e' in linea con il richiamato orientamento di questa Corte
secondo  cui,  affinche'  sia  rispettato  il  limite  costituzionale
desumibile  dall'art.  103  Cost.,  e'  decisivo  che  si  tratti  di
comportamenti  costituenti,  comunque,  «espressione  di  un   potere
amministrativo e non anche [di] quelli meramente materiali  posti  in
essere  dall'amministrazione  al  di  fuori  dell'esercizio  di   una
attivita' autoritativa» (ex plurimis, sentenza n. 35 del 2010). 
    3.2.- L'esame in concreto  delle  controversie  che  le  medesime
citate pronunce della Suprema  Corte  hanno  ritenuto  devolute  alla
giurisdizione del giudice  amministrativo  conferma  del  resto  tale
conclusione. 
    Cosi' e' innanzitutto per il caso  oggetto  dell'ordinanza  della
Corte di cassazione n. 22009 del 2017, che il giudice a quo valorizza
per l'asserita identita' con quella sottoposta alla  sua  cognizione,
essendosi trattato della responsabilita' di  un  comune  da  cosa  in
custodia, ai sensi  dell'art.  2051  cod.  civ.,  per  danni  causati
dall'incendio di alcuni cassonetti siti nei pressi dell'abitazione di
un privato. Nell'ipotesi di specie, tuttavia,  la  causa  petendi  e'
identificata dalla Corte di cassazione, ai  fini  del  riparto  della
giurisdizione, «nella congiunta circostanza della pericolosita' della
collocazione dei cassonetti a ridosso  della  casa  di  abitazione  e
nell'inerzia della P.A.  a  dispetto  delle  segnalazioni  in  merito
inviate», cosicche' la domanda aveva «coinvolto il corretto esercizio
d[el] potere di sorveglianza,  anche  solo  sotto  il  profilo  della
custodia», dei «manufatti deputati» alla  raccolta  dei  rifiuti.  Ne
risulta  «preponderante»  la  considerazione  dei  cassonetti  «quali
oggetto dei poteri di organizzazione e di gestione» del  servizio  di
raccolta dei rifiuti anziche' «quali oggetto di custodia». Questa  e'
la ragione per cui, essendo coinvolto l'esercizio di un potere, anche
una fattispecie dannosa ai sensi  del  citato  art.  2051  cod.  civ.
rientra nella giurisdizione del giudice  amministrativo.  Secondo  la
Corte  di  cassazione,  infatti,  nel   caso   concreto   «anche   la
pretermissione delle segnalazioni di pericolosita' delle scelte [...]
operate ha implicato, se non altro in tesi,  l'esercizio  del  potere
della pubblica  amministrazione  di  scelta  della  collocazione  sul
territorio e delle modalita' di custodia dei manufatti da cui  si  e`
originato il danno». L'affermazione della giurisdizione  del  giudice
amministrativo si collega, dunque, a un comportamento materiale della
pubblica  amministrazione  riconducibile  all'omessa   adozione   dei
provvedimenti organizzativi del servizio  pubblico  di  raccolta  dei
rifiuti idonei a prevenire il pericolo segnalato. 
    La giurisprudenza  di  legittimita'  successiva  alle  richiamate
pronunce ha confermato tali conclusioni, precisandone ulteriormente i
termini. Cosi' in particolare, nel dichiarare  la  giurisdizione  del
giudice ordinario in una fattispecie risarcitoria per  danni  causati
dalla  collocazione  di  un  punto  di  raccolta  dei  rifiuti  nelle
immediate vicinanze di un'abitazione  privata,  la  stessa  Corte  di
cassazione, a sezioni unite,  ha  negato  l'esistenza  di  un  «reale
contrasto» con le sue precedenti sentenze n.  16304  del  2013  e  n.
26913 del  2014,  «stante  la  non  sovrapponibilita'  delle  vicende
portate al vaglio del giudice», in quanto «nei casi da ultimo evocati
si trattava  di  domande  con  le  quali  il  privato  contestava  la
complessiva gestione comunale del ciclo dei rifiuti,  alla  quale  si
addebitava di avere leso, in definitiva, la salubrita' del territorio
comunale» (Corte di cassazione, sezioni unite  civili,  ordinanza  21
luglio 2021, n. 20824). 
    Alla luce di quanto esposto, si deve escludere  che  l'art.  133,
comma 1, lettera p), cod.  proc.  amm.  "viva"  nell'ordinamento  nei
termini ipotizzati dal rimettente sulla  base  di  una  non  corretta
interpretazione  di  alcuni   precedenti   di   legittimita'.   Lungi
dall'affermare che spetti al giudice amministrativo la  giurisdizione
su tutte le controversie meramente risarcitorie per danni causati dai
rifiuti  in  custodia  della  pubblica  amministrazione,   ai   sensi
dell'art.   2051    cod.    civ.,    il    richiamato    orientamento
giurisprudenziale si pone, infatti, nell'alveo delle  indicazioni  di
questa  Corte  sui  limiti  della  giurisdizione  esclusiva  di  quel
giudice, che puo' conoscere solo comportamenti posti in essere  dalla
pubblica amministrazione nell'esercizio, anche  in  via  mediata,  di
poteri pubblici. 
    Restano quindi necessariamente fuori dall'ambito di  applicazione
della disposizione contestata le controversie risarcitorie per  danni
cagionati da meri comportamenti in nessun modo riconducibili a  detti
poteri,  che  rientrano  invece  nella  giurisdizione   del   giudice
ordinario. E cio' - e' appena il caso di sottolineare - a prescindere
da ogni considerazione circa la dimensione dei danni stessi,  essendo
a questi fini del tutto irrilevante, a differenza  di  quanto  sembra
supporre  il  rimettente,  l'eventuale  carattere  bagatellare  delle
pretese  risarcitorie,  che  non  puo'  ovviamente  comportare  alcun
effetto sulla determinazione della giurisdizione. 
    3.3.- In assenza  dell'ipotizzato  diritto  vivente,  non  vi  e'
dunque  alcun  contrasto  tra  la  norma   censurata,   correttamente
interpretata,  e  i  parametri  costituzionali   invocati,   con   la
conseguenza che  il  rimettente,  nel  provvedere  sull'eccezione  di
difetto  di  giurisdizione,  ben  potra'  adottare  l'interpretazione
dell'art. 133, comma 1, lettera p), cod. proc. amm.  da  esso  stesso
condivisa, senza con cio' allontanarsi dalla costante  giurisprudenza
della Corte di cassazione. Nella controversia al suo esame  -  stando
alla descrizione che ne  offre  l'ordinanza  di  rimessione  -  viene
infatti in rilievo una domanda di risarcimento del danno  conseguente
a comportamenti meramente materiali della  pubblica  amministrazione,
non ricompresi nell'ambito di applicazione della norma censurata,  in
quanto l'attore nel processo  principale  si  limita  a  prospettare,
secondo lo schema della responsabilita'  civile  ai  sensi  dell'art.
2051 cod. civ., la relazione causale tra le cose  in  custodia  della
pubblica amministrazione e l'evento lesivo, da cui  sarebbe  derivato
il danno ingiusto, senza che in alcun modo venga dato conto di azioni
od omissioni della pubblica amministrazione, in relazione alle  quali
detto  comportamento  possa  essere  ricondotto,  ancorche'  in   via
mediata, al novero dei poteri della stessa amministrazione. 
    In conclusione, richiamando le considerazioni  svolte  da  questa
Corte nella citata ordinanza  n.  167  del  2011  (riguardanti,  come
detto,  analoghe  questioni  di   legittimita'   costituzionale   del
previgente art. 4 del d.l. n. 90  del  2008,  come  convertito),  «le
censure prospettate, in relazione a tutti i parametri  costituzionali
evocati,  muovono,  per  le  ragioni  esposte,  da   un   presupposto
interpretativo erroneo e cioe' che la norma in esame ricomprenderebbe
nel suo ambito applicativo anche i comportamenti meramente  materiali
posti in essere dalla pubblica amministrazione».