ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nei giudizi di legittimita' costituzionale degli artt. 19,  commi
2, 3, 4, lettera b), e 6; 20, commi 1, 2 e 3; 28, commi 7, lettere a)
e b), e 10; 61, commi 1 e 2; 83; e 130, comma 1,  della  legge  della
Regione Campania 21 aprile 2020, n. 7 (Testo Unico sul  commercio  ai
sensi dell'articolo 3, comma 1 della legge regionale 14 ottobre 2015,
n. 11), e degli artt. 19, comma 6, 28, comma  10,  e  130,  comma  1,
lettera b), della medesima legge reg. Campania n. 7  del  2020,  come
modificati rispettivamente dall'art. 11, comma 1, lettera  a),  punto
2, lettera c), punto 2), e lettera i), e dell'art. 57, comma 2, della
legge della Regione  Campania  29  giugno  2021,  n.  5  (Misure  per
l'efficientamento dell'azione  amministrativa  e  l'attuazione  degli
obiettivi fissati dal DEFR  2021-2023  -  Collegato  alla  stabilita'
regionale per il 2021), promossi dal  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri con ricorsi notificati rispettivamente il 26 giugno  2020  e
il 24 agosto 2021, depositati in cancelleria il 1° luglio 2020  e  il
27 agosto 2021, iscritti al n. 55 del registro ricorsi 2020 e  al  n.
45 del registro ricorsi 2021 e pubblicati  nella  Gazzetta  Ufficiale
della Repubblica, prima serie speciale, n. 32 dell'anno 2020 e n.  40
dell'anno 2021. 
    Visti gli atti di costituzione della Regione Campania; 
    udito nell'udienza pubblica del 7 giugno 2022 il Giudice relatore
Augusto Antonio Barbera; 
    uditi gli avvocati dello Stato Maria  Gabriella  Mangia,  Giorgio
Santini e Marco Corsini per il Presidente del Consiglio dei  ministri
e  l'avvocato  Almerina  Bove  per  la  Regione  Campania,  tutti  in
collegamento da remoto,  ai  sensi  del  punto  1)  del  decreto  del
Presidente della Corte del 18 maggio 2021; 
    deliberato nella camera di consiglio dell'8 giugno 2022. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ricorso notificato e depositato il 1° luglio  2020  (reg.
ric. n. 55 del 2020),  il  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,
rappresentato e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  ha
promosso, in  riferimento  complessivamente  agli  artt.  9,  secondo
comma, 81,  terzo  comma,  117,  secondo  comma,  lettera  s),  della
Costituzione e al principio di  leale  collaborazione,  questioni  di
legittimita' costituzionale degli artt. 19, commi 2, 3 e  4,  lettera
b), e 6; 20, commi 1, 2 e 3; 28, commi 7, lettere a) e b), e 10;  61,
commi 1 e 2; 83; e 130, comma 1, della legge della  Regione  Campania
21  aprile  2020,  n.  7  (Testo  Unico  sul   commercio   ai   sensi
dell'articolo 3, comma 1 della legge regionale 14  ottobre  2015,  n.
11). 
    La  legge  impugnata  disciplina  l'esercizio   delle   attivita'
commerciali nella Regione  Campania  e  le  disposizioni  oggetto  di
specifica censura concernono lo strumento comunale di intervento  per
l'apparato distributivo (art. 19), gli  interventi  comunali  per  la
valorizzazione del centro storico (art. 20), le grandi  strutture  di
vendita (art. 28), le modalita' di esercizio del commercio nelle aree
pubbliche (art. 61), il commissario regionale  nominato  in  caso  di
inefficienza o irregolarita' del mercato all'ingrosso (art. 83) e  le
concessioni per  l'installazione  di  impianti  di  distribuzione  di
carburanti lungo le autostrade (art. 130). 
    1.1.( La Regione Campania, con atto depositato il 29 luglio 2020,
si e' costituita in giudizio limitandosi a chiedere il rigetto  della
«sollevata  questione  di  legittimita'  costituzionale,   con   ogni
conseguente  statuizione»,   senza   alcuna   specifica   allegazione
difensiva. 
    1.2.- In data 3 maggio 2021,  il  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri  ha  depositato  memoria  integrativa,  richiamandosi   alle
proprie  argomentazioni   difensive   e   preliminarmente   eccependo
l'inammissibilita' della  costituzione  della  Regione  Campania,  in
quanto  l'atto  di   costituzione   conterrebbe   esclusivamente   le
conclusioni e non l'illustrazione delle stesse, come invece richiesto
dall'art. 19, terzo comma, delle  Norme  integrative  per  i  giudizi
davanti alla Corte costituzionale, vigente ratione temporis. 
    1.3.- In data 4 maggio 2021, la Regione  Campania  ha  depositato
memoria con la quale ha illustrato per  la  prima  volta  le  proprie
difese e rassegnato le  seguenti  conclusioni:  in  via  preliminare,
rinvio dell'udienza  pubblica,  originariamente  fissata  per  il  25
maggio 2021, nelle more  della  approvazione  del  disegno  di  legge
depositato  in  Consiglio  regionale  in  data  28  aprile,   recante
modifiche ad alcune delle disposizioni censurate, poi confluite nella
legge della Regione  Campania  29  giugno  2021,  n.  5  (Misure  per
l'efficientamento dell'azione  amministrativa  e  l'attuazione  degli
obiettivi fissati dal DEFR  2021-2023  -  Collegato  alla  stabilita'
regionale per il 2021);  in  via  subordinata,  declaratoria  di  non
fondatezza di tutte le questioni promosse. 
    1.4.- Con memoria del 7 maggio 2021, il Presidente del  Consiglio
dei ministri  ha  aderito  all'istanza  di  rinvio  presentata  dalla
Regione. 
    1.5.- In accoglimento dell'istanza di rinvio, l'udienza  pubblica
e' stata rinviata al 22 febbraio 2022; in  seguito  vi  e'  stato  un
ulteriore rinvio al 7 giugno 2022. 
    1.6.- In data 17 maggio 2022  il  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri  ha  depositato  memoria  integrativa,  richiamandosi   alle
proprie argomentazioni difensive. 
    1.7.- Nella stessa data del 17  maggio  2022,  anche  la  Regione
Campania ha depositato memoria integrativa in cui, oltre  a  ribadire
le argomentazioni difensive gia' svolte nel merito, ha dedotto per la
prima volta profili di inammissibilita'  limitatamente  alle  censure
concernenti gli artt. 19, commi 2, 3, 4, lettera b), e 6 e 28,  commi
7, lettere a) e b), della legge reg. Campania n. 7 del 2020;  profili
questi che saranno illustrati unitamente  agli  specifici  motivi  di
ricorso. 
    La medesima  resistente  ha  inoltre  contestato  l'eccezione  di
inammissibilita' sollevata dal Governo con riguardo al  proprio  atto
di intervento,  evidenziando  come  per  costante  giurisprudenza  di
questa Corte l'art. 19, comma 3, delle Norme integrative, in base  al
quale l'atto di  costituzione  della  parte  resistente  contiene  le
conclusioni  e  l'illustrazione  delle  stesse,  miri   a   stimolare
l'apporto argomentativo delle parti, senza  che  siano  prefigurabili
conseguenze sanzionatorie nel caso  di  mancata  illustrazione  delle
conclusioni formulate (viene richiamata, in particolare,  l'ordinanza
n. 156 del 2017). 
    2.- Con ricorso depositato il 27 agosto 2021 (reg. ric. n. 45 del
2021), il Presidente del  Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e
difeso  dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  ha   promosso,   in
riferimento agli artt.  3,  9  secondo  comma,  117,  secondo  comma,
lettere  l)  e  s),  e   120   Cost.,   questioni   di   legittimita'
costituzionale degli artt. 11, comma 1, lettera a), punto 2), lettera
c), punto 2), e lettera i), e 57, comma 2, della legge reg.  Campania
n. 5 del 2021. 
    L'art. 11 modifica gli artt.  19,  28  e  130  della  legge  reg.
Campania n. 7 del 2020, oggetto del ricorso iscritto al reg. ric.  n.
55  del  2020,  mentre  l'art.   57   introduce   delle   misure   di
semplificazione in materia di concessioni del demanio marittimo. 
    2.1.( La Regione Campania si e' costituita in giudizio  con  atto
depositato il 5 ottobre  2021,  limitandosi  a  chiedere  il  rigetto
«della sollevata questione di legittimita' costituzionale,  con  ogni
conseguente  statuizione»,   senza   alcuna   specifica   allegazione
difensiva. 
    2.2.- L'udienza pubblica fissata per il 22 febbraio 2022 e' stata
poi rinviata al 7 giugno 2022. 
    2.3.- In data 17 maggio 2022, il  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri  ha  depositato  memoria  integrativa,  richiamandosi   alle
proprie argomentazioni difensive. 
    2.4.- Nella stessa data del 17  maggio  2022,  anche  la  Regione
Campania ha depositato memoria, con la quale  ha  illustrato  per  la
prima  volta  le  proprie  difese,  chiedendo  che  venga  dichiarata
«l'inammissibilita' e l'infondatezza della questione di  legittimita'
costituzionale proposta con il RR  45/2021»;  i  dedotti  profili  di
inammissibilita', che verranno illustrati unitamente  allo  specifico
motivo di ricorso, concernono l'art. 19, comma 6,  della  legge  reg.
Campania n. 7 del 2020, nella sua nuova formulazione. 
    3.- Con il primo motivo del ricorso iscritto al reg. ric.  n.  55
del 2020, il Governo impugna gli artt. 19, commi 2, 3, 4 lettera  b),
e 6 e 20, commi 1, 2 e 3, della legge reg. Campania n.  7  del  2020,
per violazione degli artt. 9 e 117, secondo comma, lettera s),  Cost.
e del principio di leale collaborazione. 
    3.1.- Gli artt. 19 e 20 della legge reg. Campania n. 7  del  2020
disciplinano  lo  strumento  comunale  d'intervento  per   l'apparato
distributivo (da ora in avanti: SIAD). L'art. 19 detta la  disciplina
generale del  predetto  strumento,  mentre  l'art.  20  attiene  piu'
specificatamente alle previsioni del medesimo in tema  di  interventi
comunali per la valorizzazione del centro storico. 
    Dell'art. 19 vengono impugnati i commi 2, 3, 4, lettera b), e  6.
Il  comma  2  definisce  il  SIAD  quale  strumento  integrato  della
pianificazione urbanistica  con  funzione  esaustiva  del  potere  di
programmazione e pianificazione del territorio ai  fini  commerciali,
che deve essere approvato in conformita' allo  strumento  urbanistico
generale. Il successivo comma 3 dispone che detto strumento,  «tenuto
conto   delle    condizioni    della    viabilita',    delle    norme
igienico-sanitarie e di sicurezza, fissa i  criteri  per  l'esercizio
delle attivita' commerciali in aree private e in aree pubbliche,  nel
rispetto delle destinazioni d'uso delle aree e  degli  immobili».  In
questa prospettiva, il comma  4,  lettera  b),  assegna  al  SIAD  il
compito di «salvaguardare i valori artistici, culturali,  storici  ed
ambientali  locali,  soprattutto  del  centro   storico,   attraverso
l'eventuale divieto di  vendita  di  determinate  merceologie,  senza
inibire lo sviluppo del commercio  e  della  libera  concorrenza  fra
varie tipologie commerciali». Infine, ai sensi del comma 6,  il  SIAD
«fissa i fattori di valutazione connessi alla  tutela  della  salute,
dei lavoratori, dell'ambiente, incluso l'ambiente urbano e  dei  beni
culturali,  nonche'  dispone  vincoli  di  carattere  dimensionale  o
tipologico agli insediamenti delle attivita' commerciali  in  aree  o
edifici  che  hanno  valore  storico,   archeologico,   artistico   e
ambientale, nei limiti  necessari  alle  esigenze  di  tutela  e  nel
rispetto  dei  motivi  imperativi  di  interesse  generale   previsti
dall'articolo 2, comma 1, lettera e)». 
    Quanto all'art. 20 della legge  reg.  Campania  n.  7  del  2020,
impugnato  nella  sua  integralita',  esso  disciplina  nei  seguenti
termini i compiti del SIAD con riguardo agli interventi comunali  per
la valorizzazione del centro storico: 
    - il SIAD  assume  in  tale  ambito  il  compito  di  preservare,
rilanciare e potenziare  la  funzione  tipica  del  commercio  «anche
mediante l'adozione di  specifici  protocolli  di  arredo  urbano  da
definirsi   con   le   organizzazioni   di   categoria   maggiormente
rappresentative sul territorio regionale, per tutelare il  patrimonio
edilizio di interesse storico e culturale» (comma 1); 
    - detto strumento «puo' prevedere per gli  esercizi  di  vicinato
del centro storico, la superficie di vendita massima pari a 150 metri
quadrati nel rispetto degli imperativi motivi di  interesse  generale
di cui all'articolo 2, comma  1,  lettera  e),  secondo  le  relative
procedure, senza limitazioni non  giustificate  o  discriminatorie  e
previa espressa determinazione di detti motivi» (comma 2); 
    -  previa  consultazione  con  le  associazioni   delle   imprese
commerciali  operanti  nel  centro  storico,  il  SIAD  istituisce  i
«protocolli per l'arredo urbano» con cui  fissa  «le  caratteristiche
strutturali, morfologiche e cromatiche delle insegne, delle  vetrine,
del sistema di  illuminazione  esterna  degli  arredi  esterni  degli
esercizi commerciali  del  centro  storico»,  nonche'  gli  incentivi
tributari per favorire l'adozione  delle  relative  misure  da  parte
degli esercenti (comma 3). 
    3.2.- Secondo il Governo, tali  previsioni  determinerebbero  una
lesione della competenza esclusiva dello Stato in materia  di  tutela
dell'ambiente e dei beni culturali per contrasto  con  la  disciplina
contenuta nel decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice  dei
beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell'articolo 10 della legge
6 luglio 2002, n. 137). 
    In particolare, le disposizioni impugnate sarebbero carenti di un
esplicito rinvio alla  normativa  dettata  per  i  beni  culturali  e
paesaggistici rispettivamente dalla Parte II  e  III  del  codice  di
settore; rinvio  che  non  avrebbe  costituito  un  mero  adempimento
formale,  bensi'  avrebbe  esplicitato  il  principio,   di   rilievo
costituzionale, della necessaria partecipazione dello Stato  (per  il
tramite, a seconda dei casi, del Ministero dei beni e delle attivita'
culturali e della Soprintendenza) alle  scelte  di  pianificazione  e
fissazione  dei  limiti  inerenti  l'attivita'  commerciale,  laddove
incidano sui beni sottoposti a tutela culturale o  paesaggistica.  Di
conseguenza, per come disciplinato dalla legge regionale, oggetto  di
censura,   il   SIAD   integrerebbe   uno   strumento   comunale   di
pianificazione del tutto svincolato dalle attribuzioni che il  codice
di settore attribuisce agli organi statali. L'omessa previsione delle
prescritte procedure di condivisione tra Stato  e  enti  territoriali
sarebbe altresi' lesiva del  principio  di  leale  collaborazione  e,
determinando un abbassamento del  livello  di  tutela  paesaggistica,
anche dell'art. 9, secondo comma, Cost. 
    3.3.-  Per  quanto  riguarda  la   tutela   del   paesaggio,   le
disposizioni  impugnate  attribuirebbero  al  SIAD  il   compito   di
individuare gli insediamenti ammissibili senza tener conto del  fatto
che, in base agli artt. 135,  143  e  145  cod.  beni  culturali,  le
trasformazioni consentite dei beni paesaggistici sono individuate dal
piano paesaggistico, da adottare previa  intesa  con  lo  Stato,  che
costituisce strumento sovraordinato rispetto ad ogni  altro  atto  di
pianificazione territoriale. Il  SIAD,  pertanto,  introdurrebbe  una
disciplina   unilaterale   della   pianificazione   del   territorio,
integrante una parziale anticipazione del piano paesaggistico, di cui
la Campania e' ancora priva, essendo in  corso  un  percorso  per  la
elaborazione congiunta di tale strumento. 
    Al riguardo, il ricorrente osserva che la  conformita'  del  SIAD
allo strumento urbanistico generale, prevista dall'art. 19, comma  2,
della legge reg. Campania n. 7 del 2020, non assicurerebbe la  tutela
del paesaggio, non essendo quest'ultima rimessa  alla  pianificazione
urbanistica,  bensi'  allo  strumento  gerarchicamente  sovraordinato
costituito dal piano paesaggistico. Inoltre, non essendo il principio
di prevalenza del piano paesaggistico oggetto di doveroso richiamo da
parte delle disposizioni impugnate, non verrebbe  nemmeno  assicurato
il necessario adeguamento ad esso degli strumenti urbanistici. 
    Parimenti,  la  subordinazione  del  SIAD  al  piano  urbanistico
comunale  non  garantirebbe  "a  cascata"  che  siano  conformi  alle
esigenze di tutela paesaggistica i protocolli di arredo urbano per  i
centri storici, oggetto di tutela paesaggistica  ai  sensi  dell'art.
136, comma 1, lettera c), cod.  beni  culturali,  laddove  l'art.  20
della legge regionale impugnata prevede  che  i  protocolli  indicati
vengano elaborati unilateralmente  dai  Comuni  previa  consultazione
delle organizzazioni di categoria. 
    Sussisterebbero,  quindi,  specifici  profili  di  contrasto  con
l'art. 135, comma 1, cod. beni culturali, che fa carico alle  Regioni
di adottare i piani paesaggistici congiuntamente con il Ministero,  e
con  gli  artt.  143,  comma  9,  e  145,  comma  3,  che  sanciscono
l'inderogabilita' di tali strumenti e la loro immediata prevalenza su
ogni altro atto di pianificazione territoriale e urbanistica. 
    In tal senso, il ricorrente richiama, fra le altre,  la  sentenza
di questa Corte n. 86 del 2019, che ha affermato la sussistenza di un
vero e proprio obbligo, costituente un principio  inderogabile  della
legislazione   statale,   di   elaborazione   congiunta   del   piano
paesaggistico con riferimento ai beni vincolati, trattandosi di  atto
che ha la funzione di strumento di ricognizione  del  territorio  non
soltanto ai fini della salvaguardia e valorizzazione  del  paesaggio,
ma  anche  nell'ottica  dello   sviluppo   sostenibile   e   dell'uso
consapevole del suolo. 
    3.4.- Per quanto  riguarda  la  tutela  dei  beni  culturali,  le
disposizioni  impugnate  non   contemplerebbero   il   coinvolgimento
dell'autorita' statale preposta nella fissazione dei necessari limiti
all'attivita' commerciale, cio' in violazione  di  quanto  prescritto
dagli artt. 10, comma 4, lettera g), 20, 21,  24,  52  e  106,  comma
2-bis, cod. beni culturali. 
    Al riguardo, il ricorrente premette che i centri storici  possono
essere caratterizzati dalla  presenza  dei  beni  culturali  previsti
dall'art. 10, comma 4, lettera g)  cod.  beni  culturali:  «pubbliche
piazze,  vie,  strade  e  altri  spazi  aperti  urbani  di  interesse
artistico o storico». Ebbene, il legislatore  regionale  non  avrebbe
considerato che ai sensi dell'art. 20 del medesimo codice spetterebbe
alla sola autorita' statale l'individuazione degli eventuali usi  del
bene culturale non compatibili con le esigenze di tutela. 
    In questa prospettiva, il successivo art. 21, comma 4, prevede la
competenza del soprintendente ad autorizzare qualsiasi opera o lavoro
che riguardi i beni culturali, incluso quindi ad avviso  del  Governo
il posizionamento dell'arredo urbano;  peraltro,  nel  caso  di  beni
culturali comunali, l'art. 24 del codice di settore prevede che  tale
autorizzazione possa essere espressa nell'ambito di  accordi  tra  il
Ministero per i beni e le attivita' culturali ed il Comune. 
    Inoltre,  l'autorita'  statale  dovrebbe  necessariamente  essere
coinvolta nella individuazione di divieti e condizioni  all'esercizio
delle attivita' commerciali motivate da esigenze  di  protezione  del
patrimonio culturale, nella valutazione degli «imperativi  motivi  di
interesse generale» che  possono  determinare  la  limitazione  della
superficie di vendita degli esercizi di vicinato e nella  definizione
dei protocolli  di  arredo  urbano,  che  le  disposizioni  impugnate
demandano al contrario alla sola autorita' comunale. 
    Risulterebbe quindi violato anche l'art. 52 cod.  beni  culturali
che regola l'esercizio del commercio in aree di  valore  culturale  e
nei locali storici  tradizionali,  disciplinando  le  competenze  del
Comune e della Soprintendenza  sulla  base  del  principio  di  leale
collaborazione istituzionale. 
    In particolare, non sarebbero rispettate  le  competenze  statali
previste dal comma 1 di tale  disposizione,  secondo  cui  i  Comuni,
sentito il  soprintendente,  individuano  le  aree  pubbliche  aventi
valore archeologico, storico, artistico e paesaggistico, nelle  quali
vietare  o  sottoporre  a  condizioni  particolari  l'esercizio   del
commercio; ne' quelle di cui al comma 1-ter a  mente  del  quale,  al
fine di assicurare il decoro dei complessi monumentali e degli  altri
immobili  del  demanio  culturale  interessati  da  flussi  turistici
particolarmente  rilevanti,  i  competenti  uffici  territoriali  del
Ministero, d'intesa con la Regione  e  i  Comuni,  adottano  apposite
determinazioni volte a vietare gli usi da  ritenere  non  compatibili
con le specifiche esigenze di tutela. 
    Tali  determinazioni,  peraltro,  secondo  quanto  precisato  dal
Consiglio di Stato, sezione quinta,  sentenza  2  dicembre  2019,  n.
8256, integrerebbero veri e propri atti di  programmazione  congiunta
del territorio. 
    Con riguardo alla disciplina del  decoro  urbano,  il  ricorrente
precisa inoltre che, pur coinvolgendo potenzialmente  una  pluralita'
di materie, la medesima inerisce  fondamentalmente  alla  tutela  dei
beni culturali e del paesaggio; richiama, in proposito,  le  sentenze
di questa Corte: la n. 247 del 2010 - secondo la quale  la  normativa
regionale del commercio su aree pubbliche, pur se riconducibile  alla
materia «commercio», deve  rispettare  i  limiti  invalicabili  della
tutela dei beni culturali ed ambientali,  in  un'ottica  di  adeguata
valorizzazione dei centri storici delle citta' -  e  la  n.  140  del
2015, che ha affermato la  necessita',  in  un  siffatto  ambito  che
interseca diverse competenze legislative, di una leale collaborazione
fra lo Stato e il sistema delle autonomie. 
    A conferma del necessario coinvolgimento dello Stato nella tutela
dei beni culturali, rileverebbe, infine,  l'art.  106,  comma  2-bis,
cod. beni culturali, che subordina la  concessione  in  uso  di  beni
comunali di interesse culturale all'autorizzazione del Ministero  per
i  beni  e  le  attivita'  culturali  che  dovra'  vagliare   se   il
conferimento garantisca «la conservazione e la fruizione pubblica del
bene e sia assicurata la compatibilita' della destinazione d'uso  con
il carattere storico-artistico del bene medesimo». 
    3.5.- Con il primo motivo del ricorso iscritto al reg. ric. n. 45
del 2021, il Presidente del Consiglio dei ministri impugna  anche  le
modificazioni apportate  all'art.  19,  comma  6,  della  legge  reg.
Campania n. 7 del 2020 dall'art. 11, comma 1, lettera a),  punto  2),
della legge reg. Campania n. 5 del 2021. 
    3.5.1.- Il citato art. 11 ha eliminato uno dei compiti del  SIAD,
espungendo dal comma 6  l'inciso  «fissa  i  fattori  di  valutazione
connessi alla tutela della  salute,  dei  lavoratori,  dell'ambiente,
incluso l'ambiente urbano e dei beni culturali, nonche'», e precisato
che tale strumento deve  rispettare  la  «disciplina  vigente»  nella
previsione dei vincoli dimensionali e tipologici  degli  insediamenti
commerciali in aree o edifici di valore storico artistico  ambientale
(in particolare, aggiungendo le parole  «ai  sensi  della  disciplina
vigente» dopo l'inciso «dispone vincoli di carattere  dimensionale  o
tipologico agli insediamenti delle attivita' commerciali  in  aree  o
edifici  che  hanno  valore  storico,   archeologico,   artistico   e
ambientale»). 
    3.5.2.- Anche la nuova formulazione  si  porrebbe,  tuttavia,  in
contrasto con gli artt. 9 e 117, secondo comma, lettera s),  Cost.  e
il principio di leale collaborazione, in quanto  la  norma  regionale
non stabilirebbe un chiaro rapporto di subordinazione dello strumento
di pianificazione comunale (il SIAD)  al  piano  paesaggistico,  come
imposto  dagli  artt.  135,  143  e  145  cod.  beni  culturali:   la
legislazione regionale continuerebbe infatti ad  attribuire  al  SIAD
poteri propri della pianificazione paesaggistica,  consentendogli  di
fissare vincoli dimensionali e tipologici agli insediamenti collocati
in aree e edifici tutelati. La previsione «ai sensi della  disciplina
vigente»  non  inciderebbe  dunque  in  termini  apprezzabili   sulla
disciplina anteriore, posto  che  il  SIAD  comunale  sarebbe  ancora
legittimato a pianificare da solo il  territorio  senza  obbedire  ad
alcuna intesa con lo Stato. 
    3.6.- Con riguardo al primo motivo del ricorso  di  cui  al  reg.
ric. n. 55 del 2020 e al primo motivo del ricorso di cui al reg. ric.
n. 45 del 2021, la Regione Campania ha chiesto di dichiarare  la  non
fondatezza delle censure aventi ad oggetto l'art. 20 della legge reg.
Campania n.  7  del  2020,  nonche'  di  dichiarare  inammissibili  e
comunque non fondate le censure relative all'art. 19, commi 2, 3,  4,
lettera b), e 6 della legge reg. n. 7 del 2020, anche  -  per  quanto
riguarda l'art. 19, comma 6 - nella versione modificata dall'art. 11,
comma 1, lettera a), punto 2), della legge reg.  Campania  n.  5  del
2021. 
    3.6.1.- L'inammissibilita'  delle  suddette  censure  deriverebbe
dall'omessa formulazione di specifiche doglianze relative ai  singoli
commi dell'art. 19 oggetto  di  impugnazione,  che  vengono  trattati
indistintamente,  con  conseguente  genericita'  e  oscurita'   delle
censure medesime. In particolare, non  sarebbe  dato  comprendere  le
violazioni specificamente imputate  ai  singoli  commi  e  quindi  la
relativa pronuncia richiesta a questa Corte tra i  diversi  contenuti
possibili. 
    3.6.2.- Nel merito, la  Regione  resistente  ha  dedotto  la  non
fondatezza dei motivi di ricorso in esame per  non  aver  il  Governo
proceduto ad un'interpretazione delle norme impugnate in  conformita'
a Costituzione.  Tale  interpretazione  sarebbe  fondata  sul  chiaro
riferimento  contenuto  nelle   medesime   alla   conservazione   del
patrimonio storico ed artistico (art. 19, comma 6);  riferimento  che
renderebbe implicita una valutazione di conformita' delle  previsioni
del SIAD agli strumenti di pianificazione paesaggistica e  al  Codice
dei beni culturali e del paesaggio, anche in  assenza  di  un  rinvio
formale alle leggi statali. 
    Costituirebbe  dunque  opzione  ermeneutica  doverosa  quella  di
interpretare le disposizioni oggetto di censura in  modo  conforme  a
Costituzione in considerazione sia del loro tenore letterale  sia  di
quello sistematico, attesa l'assenza nella legge regionale  impugnata
di qualsivoglia previsione derogatoria della normativa  statale,  che
risulta presupposta e inespressa, ma non violata. 
    Agli stessi fini, peraltro, la Regione ha rilevato  che  l'ambito
applicativo  della  legge  impugnata  non   attiene   al   patrimonio
culturale, bensi' alla materia «commercio», assegnata alla competenza
legislativa regionale residuale, come confermato da questa  Corte  in
svariate pronunce; di conseguenza, l'intera legge regionale impugnata
andrebbe  interpretata  in  conformita'  ai  criteri  di   competenza
legislativa  ovvero  in  termini  che  ne  escludono  un'applicazione
invasiva degli ambiti di competenza  esclusiva  dello  Stato.  Questo
perche' il legislatore regionale non  avrebbe  attribuito  ai  Comuni
funzioni amministrative incidenti sull'assetto del codice di settore,
bensi' avrebbe disciplinato la regolamentazione - da parte dei Comuni
-  dei  criteri  per   l'esercizio   delle   attivita'   commerciali,
comprendente  la  possibilita'   dell'introduzione   di   determinate
condizioni, di modo che l'esercizio del commercio avvenga nei  limiti
gia' qualificati invalicabili dalla  tutela  dei  beni  ambientali  e
culturali. 
    3.6.3.- La Regione resistente deduce altresi'  che  le  modifiche
apportate alle disposizioni censurate dalla legge reg. Campania n.  5
del  2021  confermerebbero  ulteriormente  l'assenza   di   qualsiasi
violazione del regime di competenze stabilito dal codice di  settore.
Trattasi delle modifiche apportate all'art. 19, comma 6  della  legge
reg. Campania n. 7 del 2020  (gia'  richiamate  al  precedente  punto
3.5.), in quanto oggetto  di  specifica  impugnazione  da  parte  del
Governo. 
    Ai  fini  della  non  fondatezza  rileverebbero,   altresi',   le
modifiche apportate agli artt. 19, comma 2 e 20, comma 3, della legge
reg. Campania n. 7 del 2020. In particolare, al comma 2 dell'art.  19
sono aggiunte, al termine, le parole «e nel rispetto delle norme  del
decreto legislativo 22 gennaio  2004,  n.  42»  (art.  11,  comma  1,
lettera a, punto 1, della legge reg. Campania n. 5 del 2021). 
    Con riguardo al comma 3 dell'art. 20, per quanto  piu'  interessa
in questa sede, e' stata introdotta la previsione  che  i  protocolli
per l'arredo urbano debbano rispettare la disciplina del  Codice  dei
beni culturali e del paesaggio (art. 11, comma 1,  lettera  b,  della
legge reg. Campania n. 5 del 2021). 
    4.- Con il secondo motivo del ricorso di cui al reg. ric.  n.  55
del 2020, viene impugnato l'art. 28, commi 7, lettera a) e b), e  10,
della legge reg. Campania n. 7 del 2020, in riferimento agli artt.  9
e 117, secondo comma, lettera s), Cost.  e  del  principio  di  leale
collaborazione, in relazione agli artt. 135,  143  e  145  cod.  beni
culturali. 
    4.1.-  L'art.  28  della  legge  reg.  Campania  n.  7  del  2020
disciplina le grandi strutture di vendita. 
    L'impugnato comma 7, lettere a) e b),  dispone  che  il  rilascio
dell'autorizzazione  per  una  grande   struttura   di   vendita   e'
subordinato   all'osservanza   «delle   disposizioni    in    materia
urbanistica, di quelle fissate dal SIAD e dal presente  testo  unico»
(lettera a) e «dei requisiti comunali e regionali  di  compatibilita'
territoriale dell'insediamento» (lettera b),  senza  contenere  alcun
riferimento al piano paesaggistico. 
    Il  comma  10  dello  stesso  articolo   stabilisce   che   «[l]a
rilocalizzazione di  una  grande  struttura  di  vendita  e'  ammessa
nell'intero territorio regionale in  conformita'  con  le  scelte  di
localizzazione per le grandi strutture previste nel SIAD  del  comune
di insediamento ed e' subordinata all'autorizzazione comunale, previa
valutazione  da  parte  della  competente  Conferenza   dei   servizi
esclusivamente  dell'impatto  sull'ambiente  e   sul   traffico   nel
territorio in  cui  si  rilocalizza,  nel  rispetto  delle  normative
edilizie vigenti». 
    4.2.-  Ad  avviso  del  ricorrente,   la   disciplina   regionale
ometterebbe  di   prescrivere   la   necessaria   conformita'   della
localizzazione  delle  grandi   strutture   di   vendita   al   piano
paesaggistico, da approvarsi, previa intesa con lo  Stato,  ai  sensi
degli artt. 135,  143  e  145  cod.  beni  culturali,  non  potendosi
ravvisare un diverso intento nel  generico  riferimento  all'«impatto
sull'ambiente» contenuto nel comma 10. 
    4.3.- Con il secondo motivo del ricorso di cui al reg. ric. n. 45
del 2021, il Presidente del Consiglio dei ministri impugna  anche  la
modifica apportata all'art. 28, comma 10, della legge  reg.  Campania
n. 7 del 2020 dall'art. 11, comma 1,  lettera  c),  punto  2),  della
legge reg. Campania n. 5 del 2021. 
    4.3.1.- Il citato art.  11  ha  aggiunto,  alla  fine  del  comma
modificato, il periodo «[r]esta fermo il rispetto delle procedure  di
autorizzazione paesaggistica se l'immobile ricade in area  sottoposta
a vincolo», in sostanza richiamando le  procedure  di  autorizzazione
paesaggistica nel caso in cui la grande struttura di  vendita  ricada
in area sottoposta a vincolo. 
    4.3.2.- Secondo il ricorrente l'intervenuta modifica non  sarebbe
idonea  a  superare  i  profili  di   illegittimita'   costituzionale
denunciati con il primo ricorso, in  quanto  anche  prima  della  sua
introduzione  era   indubbio   il   rispetto   delle   procedure   di
autorizzazione paesaggistica. 
    Il vizio dedotto nei confronti della norma  precedentemente  alla
modifica - e  che  non  sarebbe  superato  da  essa  -  consisterebbe
nell'attribuire ad uno  strumento  di  pianificazione  esclusivamente
comunale  il  potere  di  adottare   scelte   di   localizzazione   e
rilocalizzazione  che   incidono   sul   territorio   e   sulla   sua
pianificazione paesaggistica; il SIAD, pertanto, stabilirebbe  al  di
fuori da ogni intesa con lo Stato se determinate aree siano o meno in
grado di  ospitare  -  in  via  di  primo  insediamento  o  di  nuova
localizzazione - grandi strutture di vendita, insediamenti  con  ogni
evidenza di rilevante impatto dimensionale. 
    4.4.- La Regione Campania ha chiesto di dichiarare  inammissibili
le censure relative all'art. 28, comma 7,  lettere  a)  e  b),  della
legge reg. Campania n. 7 del 2020, nella formulazione originaria. 
    4.4.1.- L'inammissibilita' delle censure deriverebbe  dall'essere
le medesime rivolte indistintamente alle due  lettere  del  comma  in
questione, senza formulazione di specifiche  doglianze  con  riguardo
alle singole lettere impugnate. 
    4.4.2.- Nel merito, la  Regione  resistente  ha  dedotto  la  non
fondatezza dei motivi di ricorso in esame in quanto la localizzazione
delle grandi strutture di vendita, come confermato  da  questa  Corte
(viene richiamata la sentenza n. 239 del 2016),  spetterebbe  infatti
alle Regioni in virtu' della espressa previsione contenuta  nell'art.
31, comma 2, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201  (Disposizioni
urgenti per la crescita, l'equita'  e  il  consolidamento  dei  conti
pubblici), convertito, con modificazioni,  nella  legge  22  dicembre
2011, n. 214. 
    Dal tenore degli artt. 135 e 143 cod. beni  culturali,  peraltro,
non emergerebbe in alcun modo  la  necessita'  che  le  aree  per  la
localizzazione  o  la  rilocalizzazione  delle  grandi  strutture  di
vendita debba avvenire di concerto con l'amministrazione statale,  al
di la' delle fattispecie concernenti aree sottoposte a vincolo. 
    4.4.3.-  La  Regione  resistente  evidenzia,  inoltre,   che   le
modifiche della disposizione in  esame  apportate  dalla  legge  reg.
Campania n. 5 del 2021 garantirebbero, oltre ogni dubbio, il rispetto
delle norme del codice di settore che si assumono violate. 
    In particolare, rileverebbero le modifiche concernenti  il  comma
10 dell'art. 28 della  legge  reg.  Campania  n.  7  del  2020  (gia'
riportate al precedente punto 4.3.), e il comma 7,  lettera  a),  del
medesimo articolo, che nella nuova versione - introdotta, come detto,
dall'art. 11, comma  1,  lettera  c),  punto  1),  della  legge  reg.
Campania n. 5 del 2021 - subordina  il  rilascio  dell'autorizzazione
per una grande struttura di vendita al  rispetto  delle  prescrizioni
«del decreto legislativo 42/2004», unitamente a quelle gia'  previste
«in materia urbanistica, di quelle fissate dal SIAD  e  dal  presente
testo unico». 
    5.- Con il terzo motivo del ricorso di cui al reg. ric. n. 55 del
2020, oggetto di impugnazione e' l'art. 61, commi 1 e 2, della  legge
reg. Campania n. 7 del 2020, in  riferimento  agli  artt.  9  e  117,
secondo  comma,  lettera  s),  Cost.  e   al   principio   di   leale
collaborazione, nonche'  in  riferimento  agli  artt.  10,  comma  4,
lettera g), 20, 21, 24, 52 e l 06, comma 2-bis, cod. beni culturali. 
    5.1.- L'art. 61 della legge  regionale  in  esame  disciplina  il
commercio sulle aree pubbliche, stabilendo,  nella  versione  vigente
all'epoca della proposizione  del  ricorso,  che  «[l]'esercizio  del
commercio  su  aree  pubbliche  e'  subordinato  al  rispetto   delle
condizioni e delle modalita' stabilite dal comune» (comma  1)  e  che
«il Comune individua le zone  aventi  valore  archeologico,  storico,
artistico ed ambientale nelle quali l'esercizio del commercio su aree
pubbliche e' vietato o sottoposto a particolari  restrizioni  per  la
salvaguardia delle zone predette, nonche' per  comprovati  motivi  di
viabilita',  di  carattere  igienico  -  sanitario  o   di   pubblica
sicurezza» (comma 2). 
    5.2.-  Il  ricorrente  deduce  che  la   disposizione   impugnata
contrasterebbe con la normativa statale di settore secondo  la  quale
la individuazione delle suddette aree da parte del Comune deve essere
obbligatoriamente definita sentito il  soprintendente,  ai  sensi  di
quanto previsto dall'art. 52, comma 1, cod. beni culturali. 
    Inoltre, pur in assenza di specifiche prescrizioni da  parte  del
Comune,  determinate  installazioni  e  occupazioni  potrebbero   non
risultare  autorizzabili  dalla  Soprintendenza  nell'esercizio   dei
poteri di cui agli artt. 10, comma 4, lettera g), 20, 21, 24 e l  06,
comma 2-bis, cod. beni  culturali.  In  definitiva,  la  disposizione
impugnata eluderebbe le competenze degli organi statali previste  dai
parametri  interposti  invocati,  con  conseguente  invasione   della
potesta'  legislativa  esclusiva  spettante  allo  Stato,  ai   sensi
dell'art. 117, secondo comma,  lettera  s),  Cost.,  con  conseguente
violazione del principio  di  leale  collaborazione  e  dell'art.  9,
secondo comma, Cost., attesa l'evidente menomazione delle esigenze di
tutela del patrimonio culturale. 
    5.3.- La Regione Campania ha chiesto di dichiarare non fondato il
motivo di ricorso in esame. 
    L'art. 61, commi 1 e 2, della legge reg. Campania n. 7  del  2020
si limiterebbe ad  attribuire  ai  Comuni  competenze  specifiche  in
materia di commercio senza affatto limitare quelle previste dall'art.
52 cod. beni culturali in favore della Soprintendenza, che  comunque,
al di la' della procedura di concertazione prevista da tale articolo,
puo' imporre prescrizioni ulteriori, anche ad  attivita'  commerciali
gia' autorizzate, affinche' non sia lesa  la  tutela  del  patrimonio
culturale. 
    5.3.1.- La Regione resistente evidenzia inoltre che le  modifiche
apportate dalla legge reg. Campania n. 5 del 2021  alla  disposizione
impugnata  garantirebbero  oltre  ogni  dubbio  il   rispetto   della
disciplina statale invocata. 
    Questo perche' l'art. 11, comma 1, lettera e), della  legge  reg.
Campania n. 5 del 2021 ha aggiunto al principio dell'art.  61,  comma
2, della legge reg. Campania n. 7 del 2020  l'inciso  «[f]atto  salvo
quanto previsto dall'art. 52 del decreto legislativo 42/2004». 
    6.- Con il quarto motivo del ricorso di cui al reg.  ric.  n.  55
del 2020, viene impugnato l'art.  130,  comma  1,  della  legge  reg.
Campania n. 7 del 2020, in riferimento agli  artt.  9  e  117,  comma
secondo, lettera s), Cost. e del principio di  leale  collaborazione,
in relazione agli artt. 135, 140, 141,141-bis,143  e  145  cod.  beni
culturali. 
    6.1.- L'art. 130 disciplina le concessioni per l'installazione di
nuovi impianti di distribuzione di carburanti lungo le autostrade, le
tangenziali ed i raccordi autostradali. 
    Il comma 1 prevede che il rilascio della predetta concessione sia
subordinato: «a) al rispetto delle norme previste dal presente  testo
unico;  b)  alla  verifica  della   conformita'   alle   prescrizioni
urbanistiche e fiscali, alle prescrizioni  concernenti  la  sicurezza
sanitaria, ambientale e stradale, alle disposizioni per la tutela dei
beni storici ed artistici [...]». 
    6.2.- Il ricorrente lamenta che  il  rilascio  della  concessione
indicata non risulti in alcun modo subordinata al rispetto del  piano
paesaggistico, non potendosi  ritenere  sufficiente  al  riguardo  il
rinvio operato dalla lettera b)  della  disposizione  impugnata  alle
prescrizioni concernenti la sicurezza ambientale e la tutela dei beni
storici ed artistici. 
    Anche in questo  caso  emergerebbe  dunque  la  volonta'  di  non
attenersi, nel rilascio delle concessioni,  al  piano  paesaggistico,
che la Regione avrebbe invece l'obbligo di approvare d'intesa con  lo
Stato, ai sensi degli artt. 135, 143 e 145 cod. beni  culturali,  per
evitare di affidare la tutela paesaggistica alle valutazioni caso per
caso dei singoli interventi. 
    Nella  norma  impugnata  difetterebbe  anche  il  richiamo   alla
disciplina   d'uso   dei   beni   vincolati   contenuta   nel   piano
paesaggistico, la cui adozione e' disciplinata dagli artt. 140, 141 e
141-bis, cod. beni culturali, o in  appositi  accordi  stipulati  tra
Stato e Regione, destinati a confluire nel medesimo piano. 
    Oltre alla  violazione  della  competenza  statale  esclusiva  in
materia di tutela dell'ambiente in relazione ai parametri  interposti
indicati (artt. 135, 140, 141,141-bis,143 e 145 cod. beni culturali),
la  norma  impugnata  contrasterebbe  con  il  principio   di   leale
collaborazione e, per l'effetto, con l'art. 9, secondo comma, Cost. 
    6.3.- Con il terzo motivo del ricorso di cui al reg. ric.  n.  45
del 2021, il Presidente del Consiglio dei ministri impugna  anche  le
modificazioni apportate all'art. 130,  comma  1,  lettera  b),  della
legge reg. Campania n. 7 del 2020 dall'art. 11, comma 1, lettera  i),
della legge reg. Campania n. 5 del 2021. 
    6.3.1.-  Il  citato  art.  11  modifica  la  versione  originaria
dell'art. 130, aggiungendo al termine  della  lettera  b)  del  comma
censurato le parole «e del paesaggio». Per effetto di  tale  novella,
la concessione per l'installazione di nuovi impianti di distribuzione
di carburanti e' subordinata alla  verifica  della  conformita'  alle
disposizioni relative alla tutela  del  paesaggio,  oltre  alle  gia'
previste  prescrizioni  relative  alla  tutela  dei  beni  storici  e
artistici e alla sicurezza ambientale e stradale. 
    6.3.2.-  Ad  avviso  del  ricorrente  tale  ultima   disposizione
perpetrerebbe la  violazione  dei  precetti  costituzionali  evocati.
Invero, il riferimento alle disposizioni per la tutela del  paesaggio
sarebbe  del  tutto  generico  e,  attesa  l'assenza  di   un   piano
paesaggistico sul territorio campano, parrebbe vuota di  apprezzabile
significato, consentendo che le concessioni in  esame  continuino  ad
essere illegittimamente sottratte alla pianificazione obbligatoria  e
alla disciplina del piano  paesaggistico,  con  l'effetto  di  essere
rimesse a valutazioni adottate caso  per  caso  senza  un  quadro  di
insieme al quale obbedire. 
    6.4.- La Regione Campania, nelle memorie depositate in entrambi i
giudizi, ha chiesto di dichiarare la  non  fondatezza  delle  censure
relative all'art. 130, comma 1, della legge reg. Campania  n.  7  del
2020, anche nella versione modificata dalla legge reg. Campania n.  5
del 2021. 
    6.4.1.- La disposizione impugnata  non  sottrarrebbe  affatto  il
rilascio   delle   concessioni   all'obbligo   della   pianificazione
obbligatoria e  del  rispetto  della  disciplina  dettata  dal  piano
paesaggistico. 
    Ad ulteriore riscontro di tale  assunto,  la  Regione  resistente
richiama le modifiche apportate  alla  disposizione  impugnata  dalla
legge reg. Campania n. 5 del 2021, che fugherebbero  ogni  dubbio  al
riguardo, attesa l'esplicitazione della necessaria conformita'  delle
concessioni alle disposizioni di tutela del paesaggio. 
    7.- Con il quinto motivo del ricorso di cui al reg.  ric.  n.  55
del 2020, e' impugnato, in  riferimento  all'art.  81,  terzo  comma,
Cost., l'art. 83, della legge reg. Campania n. 7 del 2020 in  materia
di mercati all'ingrosso. 
    7.1.- Tale disposizione  istituisce  la  figura  del  commissario
regionale che viene nominato  dalla  Giunta  regionale  nei  casi  di
irregolarita' o inefficienza del mercato all'ingrosso. 
    7.2.-  Ad  avviso  del  ricorrente,  la  disposizione   impugnata
violerebbe l'art. 81, terzo comma, Cost., poiche' non quantifica  gli
oneri finanziari derivanti dalla nomina del commissario, ne'  prevede
per essi alcuna specifica copertura finanziaria. 
    7.3.- La Regione Campania ha chiesto di dichiarare non fondata la
questione in esame, poiche' l'assunto della omessa  previsione  della
copertura finanziaria sarebbe smentito da quanto  disposto  dall'art.
156, della legge reg. Campania n. 7 del 2020  che,  recando  apposita
«Norma finanziaria», indica le poste destinate  a  coprire  le  spese
conseguenti all'attuazione delle disposizioni contenute  nella  legge
medesima (per oneri complessivi pari a euro 500.000,00), fra le quali
senz'altro rientra l'art. 83, qualora dallo stesso discendano oneri a
carico del bilancio regionale. 
    La   Regione   resistente   evidenzia   altresi'   che   per   il
commissariamento,  fattispecie  peraltro  del  tutto  eventuale,  non
sarebbe neppure necessaria la  previsione  di  copertura,  posto  che
sugli oneri conseguenti alla nomina del  commissario  sussisterebbero
regole specifiche. 
    In particolare, nel caso  dovesse  essere  nominato  un  soggetto
esterno alla  amministrazione  regionale,  secondo  gli  insegnamenti
della giurisprudenza amministrativa (viene richiamata la sentenza del
Consiglio di Stato, sezione terza, n. 1122 del 2020), gli oneri della
nomina, disposta nell'interesse della efficiente e corretta  gestione
del mercato all'ingrosso,  dovrebbero  essere  imputati  all'ente  di
gestione che trae giovamento dall'attivita' commissariale. 
    Qualora  invece  l'incarico  venga  conferito  a  un   dipendente
regionale, troverebbe applicazione l'art.  1,  comma  2  della  legge
Regione Campania 15 marzo 2011, n. 4, recante  «Disposizioni  per  la
formazione del bilancio annuale 2011 e  pluriennale  2011-2013  della
Regione Campania (Legge finanziaria regionale 2011)» secondo cui  «la
partecipazione agli  organi  collegiali,  anche  di  amministrazione,
degli enti, che comunque ricevono contributi a carico  delle  finanze
della regione, nonche' la titolarita' di organi dei predetti enti  e'
onorifica»; rileverebbe anche  il  successivo  comma  3  secondo  cui
«[n]ei casi in cui la Giunta o il Consiglio regionale rilascino ad un
dipendente  appartenente  ai  rispettivi  ruoli  l'autorizzazione   a
partecipare all'amministrazione o a far parte di collegi sindacali in
societa' partecipate in  misura  maggioritaria  o  totalitaria  dalla
Regione o enti ai quali la Regione partecipi o comunque contribuisca,
o che siano sottoposti alla  vigilanza  dell'amministrazione  di  cui
l'impiegato fa parte, l'incarico  si  intende  svolto  nell'interesse
dell'amministrazione di appartenenza del  dipendente  ed  i  compensi
dovuti dalla  societa'  o  dall'ente  sono  corrisposti  direttamente
all'amministrazione  autorizzante   per   confluire   nelle   risorse
destinate al trattamento economico accessorio del personale, ai sensi
dell'articolo 62 del  decreto  del  Presidente  della  Repubblica  10
gennaio 1957, n. 3 [...]». 
    8.- Con il quarto motivo del ricorso di cui al reg.  ric.  n.  45
del 2021, viene impugnato  l'art.  57,  comma  2,  della  legge  reg.
Campania n. 5 del 2021, in riferimento agli artt. 3  e  117,  secondo
comma, lettera l), Cost. 
    8.1.-  Ai  sensi  della  diposizione  impugnata,  nella  versione
vigente all'epoca della proposizione del ricorso,  «per  gli  effetti
della disciplina delle concessioni  demaniali  marittime,  lacuali  e
fluviali,  le  societa'  e  associazioni  sportive  dilettantistiche,
costituite in conformita' all'articolo 90  della  legge  27  dicembre
2002, n. 289 (Disposizioni per la formazione del bilancio  annuale  e
pluriennale dello Stato, finanziaria 2003), affiliate ad un organismo
sportivo, federazioni  sportive  nazionali,  sono  riconosciute  come
esercitanti attivita' di interesse generale,  quali  enti  del  terzo
settore, ai sensi dell'articolo 5, comma 1, lettera  t)  del  decreto
legislativo 3 luglio 2017, n. 117 (Codice del Terzo settore, a  norma
dell'articolo 1, comma 2, lettera b), della legge 6 giugno 2016, n. l
06)». 
    8.2.- Ad avviso del ricorrente, tale  norma  estenderebbe,  quale
effetto automatico, la qualifica di enti del Terzo settore a tutte le
societa' e  associazioni  sportive  dilettantistiche,  in  violazione
della  disciplina  statale  secondo   cui   tale   qualifica   deriva
innanzitutto dal possesso di determinati requisiti e  dalla  volonta'
dell'ente che desideri assumerla, con iscrizione nel  registro  unico
del Terzo settore ai sensi dell'art. 4 del d.lgs. n. 117 del 2017. 
    La  Regione  Campania  avrebbe  quindi  violato   la   competenza
legislativa esclusiva statale in materia di ordinamento  civile,  cui
sarebbe pacificamente riconducibile  la  disciplina  degli  enti  del
Terzo settore; assumerebbero  infatti  rilievo  soggetti  di  diritto
privato, i cui diritti e obblighi devono  essere  disciplinati  dallo
Stato, in modo da assicurarne uniformita' di applicazione sull'intero
territorio nazionale (viene al riguardo  richiamata  la  sentenza  di
questa Corte n. 185 del 2018). 
    8.3.- La lesione della medesima  competenza  statale  rileverebbe
sotto un ulteriore profilo:  dal  riconoscimento  in  via  automatica
dello svolgimento di «attivita' di interesse generale» conseguirebbe,
in favore delle societa'  e  associazioni  sportive  dilettantistiche
considerate,  l'applicazione  della  riduzione   del   canone   delle
concessioni demaniali  marittime  prevista  dall'art.  03,  comma  1,
lettera d), del decreto-legge 5 ottobre 1993,  n.  400  (Disposizioni
per la determinazione dei canoni  relativi  a  concessioni  demaniali
marittime), convertito, con modificazioni,  nella  legge  4  dicembre
1993, n. 494. 
    Quest'ultima disposizione prevede una riduzione del  novanta  per
cento del canone demaniale per le concessioni  di  cui  all'art.  39,
comma 2, del regio decreto  30  marzo  1942,  n.  327  (Codice  della
navigazione), rappresentate dalle concessioni rilasciate per fini  di
beneficenza o per  altri  fini  di  pubblico  interesse,  espressione
quest'ultima («altri fini di pubblico interesse») cui sarebbe appunto
riconducibile lo svolgimento di «attivita' di interesse generale». 
    Per effetto della disposizione impugnata verrebbe quindi violato,
quale parametro interposto, l'art. 03, comma 1, lettera c), punto 2),
del d.l. n. 400 del 1993, come convertito,  che  per  le  concessioni
demaniali marittime rilasciate per finalita' turistico-ricreative  in
favore di societa' ed associazioni  sportive  dilettantistiche  senza
scopo di lucro prevede invece  una  riduzione  del  canone  demaniale
nella misura del cinquanta per cento. 
    8.4.- La  diposizione  impugnata  contrasterebbe  infine  con  il
principio  di  uguaglianza   (art.   3   Cost.),   determinando   una
irragionevole  disparita'  di  trattamento,  fondata  su  ragioni  di
appartenenza territoriale, tra enti che  si  trovano  nella  medesima
situazione soggettiva e oggettiva. 
    8.5.- La Regione Campania ha chiesto che il motivo di ricorso  in
esame venga dichiarato non fondato. 
    Il  ricorrente  avrebbe   offerto   una   interpretazione   della
disposizione  impugnata  svincolata  dal  suo  tenore  letterale.   A
fondamento di tale assunto, nella memoria del 17  maggio  2022  viene
riportata non la  formulazione  originaria  della  norma  oggetto  di
censura, bensi' quella modificata dall'art. 33, comma 4, lettera  e),
della  legge  della  Regione  Campania  28  dicembre  2021,   n.   31
(Disposizioni  per  la  formazione   del   bilancio   di   previsione
finanziario per il triennio 2022-2024 della Regione Campania -  Legge
di stabilita' regionale per  il  2022),  che  non  menziona  piu'  il
riconoscimento    delle    societa'    e    associazioni     sportive
dilettantistiche «quali  enti  del  terzo  settore»  ed  al  contempo
prevede espressamente che il canone delle  concessioni  demaniali  in
esame venga determinato ai sensi dell'art. 03, comma 1,  lettera  c),
del d.l. n. 400 del 1993, come convertito. 
    9.- Con atto depositato il 30 maggio 2022 nel giudizio instaurato
con il ricorso di cui al reg. ric. n. 55  del  2020,  in  conformita'
alla delibera del Consiglio dei  ministri  del  26  maggio  2022,  il
Presidente del Consiglio dei ministri ha rinunciato  all'impugnativa,
limitatamente agli artt. 19, comma 2,  20,  comma  3,  28,  comma  7,
lettere a) e b), e 61, commi 1 e 2, della legge reg.  Campania  n.  7
del 2020, in ragione delle modificazioni recate a  tali  disposizioni
dall'art. 11 della legge reg. Campania n. 5 del 2021. 
    Con il medesimo atto, il Presidente del Consiglio dei ministri ha
confermato l'interesse a coltivare le censure «riguardanti gli  artt.
19, comma 6, 28, comma 10, 83 e 130, comma  1,  della  legge  Regione
Campania n. 7 del 2020». 
    10.- In data 6 giugno 2022, la Regione ha  depositato  l'atto  di
accettazione  della  rinuncia  parziale,  deliberata   dalla   Giunta
regionale il 1° giugno 2022. 
    11.- All'udienza del 7 giugno 2021, il ricorrente  ha  confermato
espressamente l'interesse a coltivare anche  le  censure  concernenti
gli artt. 19, commi 3 e 4, lettera b), e 20, commi 1 e 2, della legge
reg. Campania n. 7 del 2020, disposizioni impugnate con il ricorso di
cui al reg. ric. n. 55 del 2020 e  in  alcun  modo  modificate  dalla
legge reg. Campania n. 5 del 2021. 
    Con  riguardo  alle  disposizioni  per  cui  non  e'  intervenuta
rinuncia e  relativa  accettazione,  le  parti  hanno  insistito  per
l'accoglimento delle conclusioni formulate in relazione ad entrambi i
giudizi nei rispettivi scritti difensivi. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Con ricorso depositato il 1° luglio 2020 (reg. ric. n. 55 del
2020), il Presidente del  Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e
difeso  dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  ha   promosso,   in
riferimento complessivamente agli artt. 9, secondo comma,  81,  terzo
comma, 117, secondo  comma,  lettera  s),  della  Costituzione  e  al
principio  di  leale  collaborazione,   questioni   di   legittimita'
costituzionale degli artt. 19, commi 2, 3, 4, lettera b),  e  6;  20,
commi 1, 2 e 3; 28, commi 7, lettere a) e b), e 10; 61, commi 1 e  2;
83; e 130, comma 1, della legge  della  Regione  Campania  21  aprile
2020, n. 7 (Testo Unico sul commercio ai sensi dell'articolo 3, comma
1 della legge regionale 14 ottobre 2015, n. 11). 
    2.- Con successivo ricorso depositato il  27  agosto  2021  (reg.
ric. n. 45 del 2021),  il  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,
rappresentato e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  ha
promosso, in riferimento agli artt. 3, 9, secondo comma, 117, secondo
comma, lettere l) e  s),  e  120  Cost.,  questioni  di  legittimita'
costituzionale degli artt. 11, comma 1, lettera a), punto 2), lettera
c), punto 2), e lettera i), e 57, comma 2, della legge della  Regione
Campania  29  giugno  2021,  n.  5  (Misure   per   l'efficientamento
dell'azione amministrativa e l'attuazione degli obiettivi fissati dal
DEFR 2021-2023 - Collegato alla stabilita' regionale per il 2021). 
    L'art. 11 modifica gli artt.  19,  28  e  130  della  legge  reg.
Campania n. 7 del 2020, oggetto del ricorso iscritto al reg. ric.  n.
55  del  2020,  mentre  l'art.   57   introduce   delle   misure   di
semplificazione in materia di concessioni demaniali marittime. 
    3.- In ragione della stretta  connessione  che  lega  la  maggior
parte delle disposizioni oggetto dei due ricorsi e dell'analogia  che
si ravvisa  tra  alcune  delle  censure  proposte,  i  giudizi  vanno
riuniti, per essere trattati congiuntamente e definiti  con  un'unica
pronuncia. 
    4.- In via preliminare, quanto  al  giudizio  instaurato  con  il
ricorso di cui al reg. ric. n. 55  del  2020,  deve  essere  respinta
l'eccezione di inammissibilita' della costituzione in giudizio  della
Regione Campania. 
    A sostegno di tale eccezione, il  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri ha dedotto che nell'atto di costituzione la  Regione  si  e'
limitata a chiedere il rigetto  del  ricorso,  senza  addurre  alcuna
argomentazione in ordine alle doglianze  in  esso  prospettate.  Cio'
tuttavia  non  incide  sull'ammissibilita'  della   costituzione   in
giudizio, poiche' questa Corte ha piu' volte statuito che l'art.  19,
comma 3, delle Norme integrative per i  giudizi  davanti  alla  Corte
costituzionale, vigente ratione temporis, in virtu' del quale  l'atto
di costituzione della parte  resistente  contiene  le  conclusioni  e
l'illustrazione delle  stesse,  «mira  [...]  a  stimolare  l'apporto
argomentativo delle parti, senza che siano prefigurabili  conseguenze
sanzionatorie nel caso di  mancata  illustrazione  delle  conclusioni
formulate» (sentenza n. 87 del 2012; nello stesso senso, sentenze  n.
64 e n. 65 del 2016 e n. 168 del 2010, ordinanza n. 156 del 2017). 
    5.- Ancora in via preliminare, occorre  rilevare  che,  con  atto
depositato il 30 maggio 2022, nel giudizio instaurato con il  ricorso
iscritto al reg. ric. n. 55 del 2020, il Presidente del Consiglio dei
ministri ha dichiarato di rinunciare al  ricorso  limitatamente  agli
artt. 19, comma 2, 20, comma 3, 28, comma 7, lettere a) e b),  e  61,
commi 1 e 2, della legge reg. Campania n.  7  del  2020,  in  ragione
delle modifiche recate a tali disposizioni dall'art. 11  della  legge
reg. Campania n. 5 del 2021. 
    La Regione resistente, con delibera di Giunta pervenuta in data 6
giugno 2021, ha dichiarato di accettare la rinuncia. 
    L'art. 23 delle  Norme  integrative,  vigente  ratione  temporis,
prevede che la rinuncia al ricorso,  seguita  dall'accettazione della
controparte  costituita,  comporta  l'estinzione  del  giudizio   (ex
plurimis, ordinanza n. 133 del 2022). Ne consegue, pertanto,  che  il
processo deve essere dichiarato estinto, limitatamente alle questioni
promosse nei confronti degli artt. 19, comma  2,  20,  comma  3,  28,
comma 7, lettere a) e b), e  61,  commi  1  e  2,  della  legge  reg.
Campania n. 7 del 2020. 
    6.- Nello  scrutinio  delle  odierne  questioni  di  legittimita'
costituzionale, si analizzeranno, in primo luogo,  quelle  incentrate
sulla violazione della competenza statale  esclusiva  in  materia  di
tutela dell'ambiente e dei beni culturali (art. 117,  secondo  comma,
lettera s, Cost.). 
    Con riguardo a tali censure  il  ricorrente  sottolinea,  a  piu'
riprese,   la   mancata   approvazione   del   piano   paesaggistico,
rappresentando  che  sia  tuttora   in   itinere   un   percorso   di
co-pianificazione dello stesso tra lo Stato e  la  Regione  Campania,
avviato nel 2016: in un  simile  contesto,  non  sarebbe  ammissibile
un'azione regionale che formuli unilateralmente  contenuti  incidenti
sul paesaggio e sui  beni  culturali,  senza  violare  la  disciplina
contenuta nel decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice  dei
beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell'articolo 10 della legge
6 luglio 2002, n. 137). 
    A  seguire,  verranno  esaminate  le  questioni  concernenti   il
commissario regionale dei mercati all'ingrosso (art. 83, della  legge
reg. Campania n. 7 del 2020, in riferimento all'art. 81, terzo comma,
Cost.) e le concessioni sul demanio  marittimo  (art.  57,  comma  2,
della legge reg. Campania n. 5 del 2021, in riferimento agli artt.  3
e 117, secondo comma, lettera l, Cost.). 
    7.- Quanto alle questioni di legittimita' costituzionale promosse
in riferimento all'art. 117, secondo comma,  lettera  s),  Cost.,  il
sindacato di questa Corte prende le mosse dalla  genesi  della  legge
reg. Campania n. 7  del  2020  che  introduce  il  «Testo  Unico  sul
commercio», redatto ai sensi dell'art. 3 della  legge  della  Regione
Campania 14 ottobre 2015, n. 11  (Misure  urgenti  per  semplificare,
razionalizzare e rendere piu' efficiente  l'apparato  amministrativo,
migliorare i servizi ai cittadini e favorire l'attivita' di  impresa.
Legge  annuale  di  semplificazione  2015);  disposizione  che,   con
riguardo a diverse materie, tra cui appunto il commercio,  conferisce
alla Giunta regionale l'incarico di  presentare  al  Consiglio  testi
unici legislativi e regolamentari,  aventi  carattere  compilativo  o
innovativo. 
    Le attivita' commerciali disciplinate dal menzionato testo  unico
sono il commercio al dettaglio, all'ingrosso e su aree pubbliche,  la
somministrazione di alimenti  e  bevande,  la  vendita  della  stampa
quotidiana  e  periodica  e  la  distribuzione  dei  carburanti   per
autotrazione. 
    La legge reg. Campania n. 7 del  2020  e'  quindi  immediatamente
riconducibile alla materia del «commercio», dunque,  in  particolare,
all'art. 117, quarto comma, Cost. (ex plurimis, sentenze n.  164  del
2019 e n. 247 del 2010, e ordinanza n. 199 del 2006). 
    Al riguardo, questa Corte  ha  precisato  che,  salve  specifiche
abrogazioni, il decreto legislativo 31 marzo 1998,  n.  114  (Riforma
della  disciplina  relativa  al  settore  del  commercio,   a   norma
dell'articolo 4,  comma  4,  della  legge  15  marzo  1997,  n.  59),
contenente  i   principi   e   le   norme   generali   sull'esercizio
dell'attivita' commerciale, dopo la riforma costituzionale introdotta
con la legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 1, recante  «Modifica
all'articolo 58 della Costituzione,  in  materia  di  elettorato  per
l'elezione del Senato della Repubblica», si  applica  «soltanto  alle
Regioni che non  abbiano  emanato  una  propria  legislazione»  nella
materia del commercio (sentenza n. 164 del 2019; in  senso  conforme,
sentenza n. 98 del 2017 e ordinanza n. 199 del  2006),  conformemente
all'art. 1, comma 2, della legge 5 giugno 2003, n. 131  (Disposizioni
per  l'adeguamento  dell'ordinamento  della  Repubblica  alla   legge
costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3). 
    La competenza legislativa regionale nella materia  del  commercio
interseca, tuttavia, le competenze statali  esclusive,  quali  quelle
della  «tutela  dell'ambiente  e  dei   beni   culturali»   e   della
«concorrenza». Sussistono,  altresi',  evidenti  connessioni  con  la
materia, di competenza concorrente, della  «valorizzazione  dei  beni
culturali» (art. 117, terzo  comma,  Cost.),  distinta,  a  parte  le
ulteriori e inevitabili connessioni, dalla tutela dei beni  culturali
di esclusiva competenza statale (art.117, secondo comma,  lettera  s,
Cost.). 
    In proposito, va ribadito che - come gia' ripetutamente affermato
da questa Corte - alle Regioni spettano la disciplina  e  l'esercizio
delle funzioni dirette  alla  migliore  conoscenza,  utilizzazione  e
fruizione del patrimonio culturale, anche al fine  di  garantire  che
l'esercizio  del  commercio  «avvenga  entro  i  limiti   qualificati
invalicabili della tutela dei beni ambientali e culturali»  (sentenze
n. 140 del 2015 e n. 247 del 2010). 
    Nella  medesima  prospettiva,   il   legislatore   regionale   e'
legittimato a prevedere «aree interdette agli  esercizi  commerciali,
ovvero  limitazioni  ad  aree  dove  possano   insediarsi   attivita'
produttive   e   commerciali»,   purche'    cio'    avvenga    «senza
discriminazioni tra gli operatori» e «a tutela di specifici interessi
di  adeguato  rilievo   costituzionale,   quali   la   tutela   [...]
dell'ambiente [...] urbano, e dei beni culturali»  (sentenza  n.  239
del 2016; nello stesso senso, sentenza n. 8 del 2013). 
    7.1.- La tutela ambientale e paesaggistica - gravando su un  bene
complesso   ed    unitario,    considerato    dalla    giurisprudenza
costituzionale un valore  primario  ed  assoluto  -  «costituisce  un
limite alla tutela degli  altri  interessi  pubblici  assegnati  alla
competenza concorrente  delle  Regioni  in  materia  di  governo  del
territorio e di  valorizzazione  dei  beni  culturali  e  ambientali,
nonche' a quelle residuali» (sentenza n. 201  del  2021;  da  ultimo,
sentenza n. 106 del 2022). 
    Per tale ragione,  nell'esercizio  della  competenza  legislativa
esclusiva sancita dall'art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., il
legislatore statale  demanda  alla  pianificazione  paesaggistica  il
compito di  apprestare  le  necessarie  misure  di  salvaguardia  del
paesaggio, in quanto «territorio  espressivo  di  identita',  il  cui
carattere deriva dall'azione di fattori naturali, umani e dalle  loro
interrelazioni» (art. 131, comma  1,  cod.  beni  culturali),  e,  in
particolare,  di  preservare  «quegli   aspetti   e   caratteri   che
costituiscono rappresentazione materiale  e  visibile  dell'identita'
nazionale, in quanto espressione  di  valori  culturali»  (art.  131,
comma 2, del medesimo codice) (sentenza n. 24 del 2022). 
    Proprio in quanto espressione di un intervento teso  a  stabilire
una  metodologia  uniforme  di  tutela,  l'impronta  unitaria   della
pianificazione paesaggistica assurge a  valore  imprescindibile,  non
derogabile dal legislatore regionale (ex plurimis, sentenze n. 45 del
2022, n. 74 del 2021 e n. 240 del 2020). Il sistema di pianificazione
delineato dal  codice  di  settore  rappresenta,  dunque,  attuazione
dell'art. 9, secondo comma, Cost.  ed  e'  funzionale  a  una  tutela
organica e di ampio respiro, che non tollera interventi frammentari e
incoerenti (sentenza n. 24 del 2022). In proposito, la giurisprudenza
di questa Corte ha piu' volte ribadito, anche  di  recente,  che  «e'
necessario  salvaguardare  la   complessiva   efficacia   del   piano
paesaggistico,  ponendola  al  riparo  dalla   pluralita'   e   dalla
parcellizzazione degli interventi delle amministrazioni  locali»  (da
ultimo, sentenze n. 45 e n. 24 del 2022, n. 219 e n. 74 del 2021;  in
precedenza, sentenza n. 182 del 2006). 
    La condizione per realizzare questo obiettivo e' la concertazione
del piano paesaggistico tra Stato e la Regione, la  sua  cogenza  per
gli strumenti urbanistici dei Comuni, delle  Citta'  metropolitane  e
delle Province, nonche' la sua  immediata  prevalenza  rispetto  alle
disposizioni  difformi  eventualmente   contenute   negli   strumenti
urbanistici,  come  sancito  dagli  artt.  135  e  seguenti   e,   in
particolare,  dall'art.  145,  comma  3,  cod.  beni  culturali   (ex
plurimis, sentenze n. 45 del 2022 e n. 261 del 2021). 
    La sottoposizione dell'intero territorio  regionale  a  specifica
normativa d'uso mediante piano paesaggistico e' infatti prevista come
cogente dal codice di settore. Il dovere di assicurare «che tutto  il
territorio sia adeguatamente conosciuto, salvaguardato, pianificato e
gestito  in  ragione  dei  differenti  valori  espressi  dai  diversi
contesti» (art. 135, comma 1, cod. beni culturali)  rinviene  il  suo
imprescindibile presupposto nella visione  d'insieme  delle  aree  da
tutelare e dei contesti in cui le medesime sono inserite. 
    In tale  cornice,  come  questa  Corte  ha  affermato,  il  piano
paesaggistico regionale costituisce uno strumento di ricognizione del
territorio  oggetto  di  pianificazione  non  solo  ai   fini   della
salvaguardia  e  valorizzazione  dei   beni   vincolati,   ma   anche
nell'ottica dello sviluppo sostenibile  e  dell'uso  consapevole  del
suolo, in modo da  poter  consentire  l'individuazione  delle  misure
necessarie per il corretto inserimento, nel  contesto  paesaggistico,
degli  interventi  di  trasformazione  del  territorio  (da   ultimo,
sentenza n. 45 del 2022; in precedenza, ex plurimis, sentenze n.  219
del 2021, n. 86 del 2019 e n. 172 del 2018). 
    7.2.- Sulla base di tale premessa,  il  principio  di  prevalenza
della tutela paesaggistica deve essere declinato  nel  senso  che  al
legislatore  regionale  e'  impedito,   nell'esercizio   di   proprie
competenze - siano esse residuali o concorrenti - «adottare normative
che deroghino o contrastino con norme  di  tutela  paesaggistica  che
pongono obblighi o divieti, ossia con previsioni di tutela  in  senso
stretto» (sentenza n. 74 del 2021; nello stesso senso, sentenze n. 24
del 2022, n. 141 e n. 54 del 2021, n. 240 del 2020, n. 86  del  2019,
n. 178, n. 68 e n. 66 del 2018). Su tale  presupposto,  ripetutamente
affermato (sentenze n. 201, n. 124, n. 74, n. 54 e n. 29 del  2021  e
n. 189  del  2016),  questa  Corte  ha  statuito  che  -  nei  limiti
consentiti dalla  lettera  e  dallo  spirito  della  normativa  -  la
legislazione  regionale  debba  «essere   interpretata   in   termini
compatibili con il dettato costituzionale e con le  prescrizioni  del
codice dell'ambiente e del paesaggio» (sentenza n. 124 del 2021).  E'
alla luce di tali principi che si  deve  ora  vagliare  la  normativa
impugnata. 
    8.- Dovendo  procedere  allo  scrutinio  di  testi  sottoposti  a
censure governative non  temporalmente  coincidenti,  e  spettando  a
questa Corte stabilire  l'ordine  di  trattazione  delle  stesse  (ex
multis, sentenza n. 120 del 2022), in riferimento alle  questioni  di
legittimita' costituzionale  incentrate  sulla  violazione  dell'art.
117,  secondo  comma,  lettera  s),  Cost.,  verranno  vagliate   con
precedenza quelle sollevate con il ricorso iscritto al reg.  ric.  n.
45 del 2021. 
    Tale ordine di trattazione e' reso necessario dal fatto che dette
censure rappresentano la disciplina attualmente vigente nella Regione
Campania e hanno ad oggetto gli artt. 19, comma 6, 28,  comma  10,  e
130, comma 1, lettera b), della legge reg. Campania n.  7  del  2020,
nella formulazione introdotta rispettivamente dall'art. 11, comma  1,
lettera a), punto 2), lettera c), punto 2), e lettera i), della legge
reg. Campania n. 5 del  2021,  il  cui  disegno  di  legge  e'  stato
depositato in Consiglio Regionale successivamente alla  presentazione
del primo ricorso introduttivo (reg. ric. n. 55 del 2020), proprio al
fine di superare i motivi di gravame ivi dedotti  con  riguardo  alla
versione originaria delle  medesime  disposizioni.  Peraltro  proprio
dalle modifiche apportate dallo stesso legislatore regionale  possono
trarsi argomenti utili per la decisione delle questioni in esame. 
    Al riguardo, occorre tenere presente che, secondo  il  Presidente
del Consiglio, il testo  originario  delle  norme  impugnate  sarebbe
carente di un esplicito rinvio alla  normativa  dettata  per  i  beni
paesaggistici dalla Parte III del codice di settore; tale rinvio  non
avrebbe  costituito  un  mero  adempimento  formale,  bensi'  avrebbe
esplicitato il principio, di rilievo costituzionale, della necessaria
partecipazione dello Stato alle  scelte  di  pianificazione  inerenti
l'attivita' commerciale,  laddove  incidano  sui  beni  sottoposti  a
tutela paesaggistica. L'omessa previsione delle prescritte  procedure
di condivisione tra Stato e enti regionali, in  violazione  dell'art.
117, comma secondo, lettera s), Cost., sarebbe  altresi'  lesiva  del
principio  di  leale  collaborazione   e,   attesa   la   conseguente
diminuzione del livello di tutela paesaggistica, dell'art. 9, secondo
comma, Cost. 
    Identiche censure vengono rivolte dal ricorrente pure alla  nuova
versione degli artt. 19, comma 6, 28,  comma  10,  e  130,  comma  1,
lettera b), della legge reg. Campania n. 7 del  2020;  e  cio',  come
emergera' nel prosieguo, nonostante in  essa  venga  richiamata,  con
formule diverse, la disciplina  statale  in  materia  di  tutela  del
paesaggio. 
    9.- Con il primo motivo del ricorso iscritto al reg. ric.  n.  45
del 2021, il Presidente del Consiglio dei ministri impugna l'art. 19,
comma 6, della legge reg. Campania n.  7  del  2020,  nella  versione
modificata dall'art. 11, comma 1, lettera a), punto 2),  della  legge
reg. Campania n. 5 del 2021, in  riferimento  agli  artt.  9  e  117,
secondo  comma,  lettera  s),  Cost.  e   al   principio   di   leale
collaborazione, e in relazione agli artt. 135, 143 e  145  cod.  beni
culturali. 
    9.1.- Gli artt. 19 e 20 della legge reg. Campania n. 7  del  2020
disciplinano  lo  strumento  comunale  d'intervento  per   l'apparato
distributivo (SIAD), che costituisce «lo  strumento  integrato  della
pianificazione urbanistica, con  funzione  esaustiva  del  potere  di
programmazione e pianificazione del territorio ai fini commerciali». 
    L'art. 19 detta la disciplina generale del SIAD, mentre l'art. 20
attiene piu' specificatamente alle previsioni del medesimo in tema di
interventi comunali per la valorizzazione del centro storico. 
    Ai  sensi  dell'art.  19,  comma  6,   nella   sua   formulazione
originaria, il SIAD «fissa i fattori  di  valutazione  connessi  alla
tutela  della  salute,   dei   lavoratori,   dell'ambiente,   incluso
l'ambiente urbano e dei beni culturali, nonche'  dispone  vincoli  di
carattere dimensionale o tipologico agli insediamenti delle attivita'
commerciali in aree o edifici che hanno valore storico, archeologico,
artistico e ambientale [...]». 
    Il citato art. 11 della successiva legge reg. Campania n.  5  del
2021 - oltre ad eliminare dal comma 6 l'inciso «fissa  i  fattori  di
valutazione  connessi  alla  tutela  della  salute,  dei  lavoratori,
dell'ambiente, incluso l'ambiente urbano e dei beni culturali  [...]»
- ha precisato che il SIAD deve rispettare  la  «disciplina  vigente»
nella  previsione  dei  vincoli  dimensionali  e   tipologici   degli
insediamenti  commerciali  in  aree  o  edifici  di  valore  storico,
archeologico, artistico e ambientale. 
    9.2.- Secondo il  ricorrente,  anche  la  nuova  formulazione  si
porrebbe, tuttavia, in contrasto con i parametri evocati,  in  quanto
la  norma  regionale  non  stabilirebbe   un   chiaro   rapporto   di
subordinazione di detto strumento di  pianificazione  commerciale  al
piano paesaggistico, come imposto dagli artt. 135,  143  e  145  cod.
beni  culturali.  Sempre  secondo  il  ricorrente,  la   legislazione
regionale continuerebbe, infatti, ad attribuire al SIAD poteri propri
della pianificazione paesaggistica, consentendogli di fissare vincoli
dimensionali e tipologici agli insediamenti, anche  se  collocati  in
aree e edifici tutelati. 
    L'inserimento nella nuova formulazione dell'espressione «ai sensi
della  disciplina  vigente»  non  inciderebbe,  sempre   secondo   il
ricorrente, in termini apprezzabili sulla disciplina anteriore, posto
che  lo  strumento  comunale  risulterebbe   ancora   legittimato   a
pianificare da solo il territorio, senza addivenire ad alcuna  intesa
con lo Stato. 
    9.3.- In primo luogo occorre esaminare le  eccezioni  preliminari
formulate dalla Regione resistente. 
    Secondo la Regione Campania, le questioni concernenti  gli  artt.
19, commi 3, 4, lettera b), e 6, della legge reg. Campania n.  7  del
2020, anche - per quanto riguarda l'art. 19, comma 6 - nella versione
modificata della  legge  reg.  Campania  n.  5  del  2021,  sarebbero
inammissibili  in  virtu'  dell'omessa  formulazione  di   specifiche
doglianze relative ai singoli commi impugnati, che  vengono  trattati
indistintamente,  con  conseguente  genericita'  e  oscurita'   delle
censure medesime. 
    L'eccezione non e' fondata. 
    Nell'ambito del ricorso iscritto al reg.  ric.  n.  45  del  2021
viene impugnato esclusivamente il comma 6 dell'art. 19 e solo ad esso
si rivolgono le  censure  ivi  svolte,  con  la  conseguenza  che  le
medesime sono senz'altro specifiche e pertinenti. 
    9.4.- Nel merito, le questioni non sono fondate  nei  termini  di
seguito precisati. 
    9.4.1.- Ferma l'applicazione  del  gia'  esaminato  principio  di
prevalenza della pianificazione paesaggistica su ogni altro  atto  di
pianificazione che riguardi l'assetto  del  territorio,  va  tuttavia
precisato che l'omessa indicazione, da parte di una norma  regionale,
della espressa necessita' di rispettare il piano paesaggistico  e  il
codice  di  settore,  non  determina  di  per  se'   l'illegittimita'
costituzionale della disposizione, ogni volta  che  quest'ultima  sia
suscettibile di interpretazione conforme  ai  criteri  di  competenza
legislativa dettati dalla Costituzione e non abbia  quindi  l'effetto
di sottrarre interventi urbanistici o  edilizi  alle  previsioni  del
piano paesaggistico. 
    E'  pero'  evidente  che  tale  conclusione  presuppone  che   la
pianificazione paesaggistica sia vigente, perche' in tal caso essa e'
immediatamente  prevalente   su   eventuali   prescrizioni   difformi
contenute negli strumenti urbanistici. 
    Viceversa, quando, come nel caso della Regione Campania, il piano
paesaggistico manca, occorre maggiore cautela nel valutare la portata
precettiva delle norme che intersechino profili  attinenti  con  tale
pianificazione. Non perche' la  Regione  non  possa  in  nessun  caso
attivare le proprie competenze legislative, ma perche' va evitato  il
rischio che esse, afferendo, come nel caso di specie, al commercio  e
per certi versi  anche  al  governo  del  territorio,  permettano  il
consolidamento di situazioni tali da ostacolare il compiuto  sviluppo
della pianificazione paesaggistica. 
    I ritardi nella elaborazione del piano paesaggistico,  denunciati
nel ricorso  del  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,  sebbene
contrari agli obblighi gravanti sulla  Regione  e  tali  da  produrre
gravi disfunzioni (con conseguenti eventuali responsabilita'), devono
trovare  compensazione  nella  doverosa   esplicitazione,   in   sede
attuativa, del rispetto della normativa posta a tutela del  paesaggio
e   delle   stesse   prescrizioni    di    piano,    quando    queste
sopraggiungeranno. 
    9.4.2.- Per tali motivi, in assenza di  piano  paesaggistico,  la
normativa regionale in esame, nei limiti in cui  incide  sull'assetto
del territorio, puo' ritenersi conforme al  parametro  costituzionale
sopra indicato, solo se da essa sia desumibile un  rinvio,  anche  in
sede attuativa, alla necessaria applicazione delle previsioni statali
poste a tutela del paesaggio; cio' permette  di  distinguere  l'esito
dello scrutinio di costituzionalita' in  ragione  della  formulazione
originaria o modificata della disposizione impugnata. Ed  infatti  ai
sensi della nuova formulazione dell'art. 19,  comma  6,  della  legge
reg. Campania n. 7 del 2020, il SIAD deve rispettare  la  «disciplina
vigente» nella determinazione dei vincoli di carattere dimensionale o
tipologico relativamente a insediamenti delle  attivita'  commerciali
in aree o edifici che hanno valore storico, archeologico, artistico e
ambientale. 
    Il richiamo alla disciplina vigente ben puo' essere inteso  -  in
termini compatibili con l'ordinamento costituzionale - nel  senso  di
includere il rispetto del Codice dei beni culturali e del paesaggio e
delle invocate prescrizioni nello stesso contenute  (in  particolare,
artt. 133, 135 e 143 cod. beni culturali). 
    Costituisce    dunque    opzione    ermeneutica    corretta    la
interpretazione della norma impugnata nel senso che  non  esenta  gli
insediamenti previsti dal SIAD dal rispetto delle future prescrizioni
del piano paesaggistico e, piu' nello specifico,  dal  «rispetto  del
complesso delle  prescrizioni  d'uso,  attuali  o  future,  dei  beni
paesaggistici, siano  esse  poste  da  vincoli  derivanti  dal  piano
paesaggistico (art. 143, comma 1, lettere b, c,  d  ed  e),  o  dalle
dichiarazioni di notevole interesse pubblico  (art.  140,  comma  2)»
(sentenza n. 54 del 2021). 
    L'interpretazione indicata trova conferma, a livello sistematico,
in quanto disposto dall'art. 19, comma 2, della legge  reg.  Campania
n. 7 del 2020, nella  versione  modificata  dall'art.  11,  comma  1,
lettera b), della legge reg. Campania n.  5  del  2021:  invero,  per
effetto di tale novella, il SIAD deve essere approvato  nel  rispetto
delle norme del codice di settore  (oltre  che  in  conformita'  allo
strumento urbanistico generale). Quindi, intesa nei termini indicati,
ovverosia nel rispetto del Codice dei beni culturali e del paesaggio,
la norma impugnata non determina alcuna  invasione  della  competenza
esclusiva statale in materia di tutela del  paesaggio  e  nemmeno  la
violazione del principio  di  leale  collaborazione  e  dell'art.  9,
secondo comma, Cost. 
    10.- Con il secondo motivo del ricorso di cui al reg. ric. n.  45
del 2021, il Presidente del Consiglio dei ministri impugna l'art. 28,
comma 10, della legge reg. Campania n. 7  del  2020,  nella  versione
modificata dall'art. 11, comma 1, lettera c), punto 2),  della  legge
reg. Campania n. 5 del 2021, in  riferimento  agli  artt.  9  e  117,
secondo  comma,  lettera  s),  Cost.  e   al   principio   di   leale
collaborazione, in relazione agli artt. 135,  143  e  145  cod.  beni
culturali. 
    10.1.- L'art. 28, comma 7, della legge reg.  Campania  n.  7  del
2020 attiene al rilascio dell'autorizzazione per le grandi  strutture
di vendita, mentre l'impugnato  comma  10  concerne  l'autorizzazione
relativa alla loro rilocalizzazione. Nella  formulazione  originaria,
il  comma  10  prevedeva  che  la  rilocalizzazione  fosse   «ammessa
nell'intero territorio regionale in  conformita'  con  le  scelte  di
localizzazione per le grandi strutture previste nel SIAD  del  comune
di insediamento ed e' subordinata all'autorizzazione comunale, previa
valutazione  da  parte  della  competente  Conferenza   dei   servizi
esclusivamente  dell'impatto  sull'ambiente  e   sul   traffico   nel
territorio in  cui  si  rilocalizza,  nel  rispetto  delle  normative
edilizie vigenti». 
    In virtu' della modifica apportata dalla  menzionata  legge  reg.
Campania n. 5 del 2021, al termine del comma 10, e' stato aggiunto il
periodo «[r]esta fermo il rispetto delle procedure di  autorizzazione
paesaggistica se l'immobile ricade in area sottoposta a vincolo», che
in sostanza richiama le indicate procedure per  il  caso  in  cui  la
grande struttura di vendita "rilocalizzata" ricada in area sottoposta
a vincolo paesaggistico. 
    10.2.- Tuttavia, secondo il  ricorrente,  la  nuova  formulazione
della norma non sarebbe idonea a superare i profili di illegittimita'
costituzionale denunciati con  il  primo  ricorso,  in  quanto  anche
anteriormente alla sua introduzione era indubbio  il  rispetto  delle
procedure di  autorizzazione  paesaggistica.  Il  vizio  dedotto  nei
confronti della norma anteriormente alla modifica - e che non sarebbe
superato da  essa  -  consisterebbe  invece  nell'attribuire  ad  uno
strumento di pianificazione  esclusivamente  comunale  il  potere  di
adottare scelte di localizzazione che incidono sul territorio e sulla
sua  pianificazione   paesaggistica.   Il   SIAD,   in   particolare,
continuerebbe a stabilire, al di fuori di ogni intesa con  lo  Stato,
se determinate aree siano o meno in grado  di  ospitare  insediamenti
che, con ogni evidenza, sono caratterizzati da considerevole  impatto
dimensionale. 
    10.3.- Le questioni  poste  alla  base  della  censura  non  sono
fondate nei termini di seguito precisati. 
    L'interpretazione  costituzionalmente   orientata   della   norma
impugnata  impone  infatti  di  intendere  il  rinvio  a   specifiche
prescrizioni  di   tutela   (quelle   in   tema   di   autorizzazione
paesaggistica) quale espressione di un (implicito) richiamo  a  tutte
le disposizioni del  Codice  dei  beni  culturali  e  del  paesaggio,
incluse quelle - invocate dal ricorrente - che  sanciscono  il  ruolo
primario  e  inderogabile  assegnato  dal  legislatore  statale  alla
pianificazione  paesaggistica  (artt.  135,  143  e  145  cod.   beni
culturali). 
    A supporto di tale opzione ermeneutica, va  rimarcato  che  -  ai
sensi dell'art. 28, comma 7, lettera a), della legge reg. Campania n.
7 del 2020, nella formulazione  modificata  dall'art.  11,  comma  1,
lettera c), punto 1), della legge reg. Campania n. 5 del 2021 - anche
il rilascio dell'autorizzazione per una grande struttura  di  vendita
(in  sede  di  primo   insediamento)   e'   attualmente   subordinato
all'osservanza di tutte  le  «disposizioni  del  decreto  legislativo
42/2004». Quindi, come prescritto dal Codice dei beni culturali e del
paesaggio, la norma impugnata deve essere  letta  nel  senso  di  non
esentare gli interventi di rilocalizzazione delle grandi strutture di
vendita dal rispetto del  complesso  delle  future  prescrizioni  del
piano paesaggistico. Per le medesime ragioni, non  risultano  violati
il principio di leale collaborazione e l'art. 9, secondo comma, Cost. 
    11.- Con il terzo motivo del ricorso di cui al reg.  ric.  n.  45
del 2021, viene impugnato l'art. 130,  comma  1,  lettera  b),  della
legge  reg.  Campania  n.  7  del  2020,  nella  versione  modificata
dall'art. 11, comma 1, lettera i), della legge reg. Campania n. 5 del
2021, in riferimento agli artt. 9,  secondo  comma,  e  117,  secondo
comma, lettera s), Cost., e al principio di leale collaborazione,  in
relazione agli artt. 135,143 e 145 cod. beni culturali. 
    11.1.- L'art. 130 disciplina  le  concessioni,  rilasciate  dalla
Regione, per l'installazione di nuovi impianti  di  distribuzione  di
carburanti  lungo  le  autostrade,  le  tangenziali  ed  i   raccordi
autostradali. 
    La formulazione originaria del comma 1 prevede  che  il  rilascio
della predetta concessione sia subordinato:  «a)  al  rispetto  delle
norme previste dal presente  testo  unico;  b)  alla  verifica  della
conformita'  alle   prescrizioni   urbanistiche   e   fiscali,   alle
prescrizioni  concernenti  la  sicurezza  sanitaria,   ambientale   e
stradale, alle  disposizioni  per  la  tutela  dei  beni  storici  ed
artistici; [...]». 
    Il citato art. 11 della legge reg. Campania  n.  5  del  2021  ha
aggiunto, al termine della lettera b), le parole «e  del  paesaggio».
Per effetto di tale modifica, la concessione per  l'installazione  di
un  nuovo  impianto  di  distribuzione  di   carburanti   e'   dunque
subordinata  anche  alla  verifica   della   sua   conformita'   alle
disposizioni relative alla tutela del paesaggio. 
    11.2.- Ad avviso del ricorrente, nella nuova  formulazione  della
norma  persisterebbe  la  violazione  dei   precetti   costituzionali
invocati nel primo ricorso. Invero, il riferimento alle  disposizioni
per la tutela del paesaggio sarebbe  del  tutto  generico  e,  attesa
l'assenza di un piano paesaggistico sul territorio campano,  parrebbe
priva di apprezzabile significato, consentendo che le concessioni  in
esame continuino ad essere illegittimamente sottratte alla disciplina
del  piano  paesaggistico,  con  l'effetto  di   essere   rimesse   a
determinazioni  singole  senza  un  quadro  di   insieme   al   quale
conformarsi. 
    11.3.- Le  questioni  non  sono  fondate  nei  sensi  di  seguito
precisati. 
    Il richiamo al paesaggio puo' e  deve  essere  letto  in  termini
compatibili con le invocate prescrizioni di tutela (artt. 135, 143  e
145 cod. beni culturali). 
    La norma impugnata va infatti  interpretata  nel  senso  che  non
esenta  gli  interventi  di  installazione  di  nuovi   impianti   di
distribuzione di carburanti dal rispetto del complesso  delle  future
prescrizioni del piano paesaggistico e,  piu'  nello  specifico,  dal
rispetto delle prescrizioni d'uso, attuali o future, dei singoli beni
vincolati.  Identiche  argomentazioni  escludono  la  violazione  del
principio di leale collaborazione e dell'art. 9, secondo comma, Cost. 
    12.- Vanno ora esaminate le diposizioni impugnate con il  ricorso
iscritto al reg. ric. n. 55 del 2020 che non hanno  subito  modifiche
ad opera di leggi successive. 
    Trattasi, in particolare, degli artt. 19, commi 3  e  4,  lettera
b), e 20, commi 1 e 2, della legge  reg.  Campania  n.  7  del  2020,
oggetto del primo motivo di ricorso iscritto al reg. ric. n.  55  del
2020, con cui si lamenta la violazione degli artt. 9, secondo  comma,
e 117, secondo comma, lettera s), Cost.  e  del  principio  di  leale
collaborazione. 
    12.1.- Come si e' gia' evidenziato, l'art. 19 detta la disciplina
generale del SIAD, mentre l'art.  20  attiene  piu'  specificatamente
alle previsioni del medesimo in tema di interventi  comunali  per  la
valorizzazione del centro storico. 
    Il comma 3 dell'art. 19  dispone  che  detto  strumento,  «tenuto
conto   delle    condizioni    della    viabilita',    delle    norme
igienico-sanitarie e di sicurezza, fissa i  criteri  per  l'esercizio
delle attivita' commerciali in aree private e in aree pubbliche,  nel
rispetto delle destinazioni d'uso delle aree e degli immobili». 
    In questa prospettiva, il comma 4, lettera b), assegna al SIAD il
compito di «salvaguardare i valori artistici, culturali,  storici  ed
ambientali  locali,  soprattutto  del  centro   storico,   attraverso
l'eventuale divieto di  vendita  di  determinate  merceologie,  senza
inibire lo sviluppo del commercio  e  della  libera  concorrenza  fra
varie tipologie commerciali». 
    In particolare, con riguardo al centro storico, l'art. 20,  comma
1, della legge reg. Campania n. 7 del 2020, stabilisce  che  il  SIAD
assume il compito di preservare, rilanciare e potenziare la  funzione
tipica  del  commercio  «anche  mediante  l'adozione   di   specifici
protocolli di arredo urbano da definirsi  con  le  organizzazioni  di
categoria maggiormente rappresentative sul territorio regionale,  per
tutelare il patrimonio edilizio di interesse storico e culturale». 
    A mente del successivo comma 2, il SIAD «puo' prevedere  per  gli
esercizi di vicinato del centro storico,  la  superficie  di  vendita
massima pari a 150  metri  quadrati  nel  rispetto  degli  imperativi
motivi di interesse generale di cui all'articolo 2, comma 1,  lettera
e)»,  ovverosia   la   sostenibilita'   ambientale   dello   sviluppo
commerciale e il risparmio del suolo. 
    12.2.- Secondo il Governo, le  disposizioni  impugnate  sarebbero
carenti di un esplicito rinvio alla  normativa  dettata  per  i  beni
culturali e paesaggistici, rispettivamente dalla Parte II e  III  del
codice di settore, con  l'effetto  di  non  garantire  la  necessaria
partecipazione  dello  Stato  alle  scelte  di  pianificazione  e  di
fissazione  dei  limiti  inerenti  l'attivita'  commerciale,  laddove
incidano su beni  sottoposti  a  tutela  culturale  o  paesaggistica.
L'omessa previsione delle prescritte procedure  di  condivisione  tra
Stato e enti territoriali sarebbe altresi' lesiva  del  principio  di
leale collaborazione e dell'art. 9, secondo comma, Cost. 
    Si   illustreranno   di   seguito   le    censure    prospettate,
distinguendole in base ai parametri interposti evocati (relativi alla
tutela del paesaggio e alla tutela dei beni culturali). 
    12.2.1.-  Per  quanto  riguarda  la  tutela  del  paesaggio,   le
disposizioni  impugnate  attribuirebbero  al  SIAD  il   compito   di
individuare gli insediamenti ammissibili senza tener conto del  fatto
che, in base agli artt. 135,  143  e  145  cod.  beni  culturali,  le
trasformazioni consentite dei beni paesaggistici sono individuate dal
piano paesaggistico, in modo inderogabile e sovraordinato rispetto ad
ogni altro atto di pianificazione territoriale,  da  adottare  previa
intesa con lo Stato. 
    Inoltre, la subordinazione del SIAD - secondo quanto previsto dal
testo originario dell'art. 19, comma 2, della legge reg. Campania  n.
7 del 2020 - al solo piano urbanistico comunale non garantirebbe  che
siano conformi alle esigenze di tutela paesaggistica i protocolli  di
arredo urbano per i centri storici, disciplinati dall'art. 20,  comma
1, della medesima legge regionale, laddove questi ultimi sono oggetto
di tutela paesaggistica ai sensi dell'art. 136, comma 1, lettera  c),
cod. beni culturali. 
    12.2.2.-  Invece,  per  quanto  riguarda  la  tutela   dei   beni
culturali, le  disposizioni  impugnate  non  contemplerebbero,  nella
fissazione  dei  necessari  limiti  all'attivita'   commerciale,   il
coinvolgimento dell'autorita' statale ai sensi di  quanto  prescritto
dagli artt. 10, comma 4, lettera g), 20, 21,  24,  52  e  106,  comma
2-bis, cod. beni culturali. 
    Secondo il ricorrente, premesso che le piazze e le vie dei centri
storici  possono  essere  caratterizzate  dalla  presenza  dei   beni
culturali previsti dall'art. 10, comma 4, lettera g), del  codice  di
settore, il legislatore regionale non  avrebbe  considerato  che,  ai
sensi  dell'art.  20  del  medesimo  codice,  spetta   esclusivamente
all'autorita' statale l'individuazione degli usi del  bene  culturale
non compatibili con le esigenze di tutela. In stretta connessione, il
successivo art. 21,  comma  4,  assegna  al  solo  soprintendente  la
competenza ad autorizzare qualsiasi opera o  lavoro  che  riguardi  i
beni  culturali,  incluso  -  sempre  ad  avviso  del  Governo  -  il
posizionamento  dell'arredo  urbano;  peraltro,  nel  caso  di   beni
culturali comunali, l'art. 24 cod. beni culturali  prevede  che  tale
autorizzazione possa essere espressa nell'ambito di  accordi  tra  il
Ministero della cultura e il Comune. 
    Risulterebbero altresi' violati l'art. 52, commi 1 e  1-ter,  del
relativo codice di settore che  regolano  l'esercizio  del  commercio
rispettivamente nelle «aree di valore  culturale»  e  nei  «complessi
monumentali o altri immobili del  demanio  culturale  interessati  da
flussi  turistici  particolarmente   rilevanti»,   disciplinando   le
competenze del Comune e della Soprintendenza sulla base del principio
di leale collaborazione istituzionale. 
    Infine, a conferma del  necessario  coinvolgimento  dello  Stato,
rileverebbe  l'art.  106,  comma  2-bis,  cod.  beni  culturali,  che
subordina  la  concessione  in  uso  di   beni   culturali   comunali
all'autorizzazione del Ministero della cultura, che  dovra'  vagliare
se il  conferimento  garantisca  «la  conservazione  e  la  fruizione
pubblica  del  bene  e  sia  assicurata   la   compatibilita'   della
destinazione  d'uso  con  il  carattere  storico-artistico  del  bene
medesimo». 
    12.3.- In primo luogo occorre esaminare le eccezioni  preliminari
formulate dalla resistente. 
    Secondo la Regione, le questioni concernenti gli artt. 19,  commi
3, 4, lettera b), e 6, della legge  reg.  Campania  n.  7  del  2020,
sarebbero  inammissibili  in  ragione  dell'omessa  formulazione   di
specifiche  doglianze  relative  ai  singoli  commi  impugnati,   che
verrebbero trattati indistintamente, con  conseguente  genericita'  e
oscurita' delle censure medesime. 
    L'eccezione   non   e'   fondata,   risultando   infatti   sempre
individuabile la specifica applicazione, ai singoli commi  impugnati,
delle regole invocate dal ricorrente in riferimento alla  tutela  del
paesaggio e dei beni culturali. 
    12.4.- Nel merito, le questioni non sono fondate nei  termini  di
seguito precisati. 
    Non e' condivisibile, invero, con specifico riguardo  alle  norme
in esame, l'assunto per cui l'omesso  richiamo  delle  previsioni  di
tutela  del  codice  di  settore  equivalga  a  una  deroga,  con  la
conseguente violazione della competenza legislativa  esclusiva  dello
Stato nella materia dell'ambiente e dei beni culturali. 
    Al riguardo, questa Corte  ha  ripetutamente  affermato  che  una
disposizione non puo' ritenersi derogatoria solo  perche'  omette  di
richiamare, totalmente  o  parzialmente,  le  «previsioni  del  piano
paesaggistico e del codice di  settore,  dotate  di  immediata  forza
cogente, in difetto di  esplicite  indicazioni  di  segno  contrario»
(sentenza n. 24 del 2022 e, conformemente, n. 124 del 2021). 
    I medesimi principi sono  stati  applicati  anche  con  specifico
riguardo alla tutela dei beni culturali, la cui disciplina -  dettata
essenzialmente dalla Parte II del codice di  settore  -  puo'  dunque
considerarsi violata solo a fronte di deroghe espresse ad opera della
legge regionale che, nei limiti consentiti dal tenore letterale e  da
quello sistematico, va interpretata  in  conformita'  ai  criteri  di
competenza legislativa dettati dalla Costituzione (sentenze n. 45 del
2022 e n. 124 del 2021). 
    Alla luce dei premessi principi, le censure verranno  di  seguito
esaminate  in  base  ai  parametri   interposti   evocati,   relativi
rispettivamente al paesaggio e ai beni culturali. 
    12.5.- Quanto ai parametri interposti evocati (artt. 135,  143  e
145 cod. beni culturali), gia' il tenore letterale delle disposizioni
impugnate  evidenzia  come  le  stesse  non  intendano  sottrarsi  ai
principi di elaborazione congiunta  e  di  inderogabilita',  i  quali
mantengono  la  loro  forza  cogente  pure  in  assenza  di  espresso
richiamo. 
    L'art. 19, comma 3, della legge reg. Campania n. 7  del  2020  si
limita invero a stabilire che il SIAD fissa i criteri per l'esercizio
delle attivita' commerciali in  aree  pubbliche  e  private,  tenendo
conto   delle    condizioni    della    viabilita',    delle    norme
igienico-sanitarie e di sicurezza. 
    Quanto al successivo comma 4, lettera b), lo  stesso  attribuisce
al SIAD la finalita' di salvaguardare  aree  di  valore  culturale  e
ambientale attraverso l'eventuale divieto di vendita  di  determinate
merceologie. 
    Deve dunque ritenersi implicito che - qualora  siano  oggetto  di
tutela paesaggistica alcune delle aree cui si riferiscono le indicate
previsioni del SIAD - quanto disposto dal codice di  settore  risulti
senz'altro applicabile. La normativa statale, anche se non richiamata
espressamente, vincola dunque sia gli organi regionali sia gli organi
comunali, secondo le norme previste al riguardo dal Codice  dei  beni
culturali e del paesaggio, ivi compresi gli atti  e  le  prescrizioni
cui esso rinvia, in primo luogo il piano paesaggistico. 
    Le medesime considerazioni privano di fondamento anche le censure
concernenti l'art. 20, commi 1 e 2, della legge reg.  Campania  n.  7
del 2020. Il comma 1  assegna  al  SIAD  compiti  di  promozione  del
commercio nel centro storico (anche mediante l'adozione di  specifici
protocolli di arredo urbano), mentre il comma 2 legittima il medesimo
strumento ad introdurre per  gli  esercizi  di  vicinato  del  centro
storico la superficie di vendita massima pari a 150 metri quadri, nel
rispetto del risparmio del suolo e  della  sostenibilita'  ambientale
dello sviluppo commerciale. 
    Nessuna  di  queste  norme  deroga  espressamente   i   parametri
interposti invocati, ne' le norme di tutela dettate dallo  Stato  per
il caso in cui il centro storico sia o debba essere  dichiarato  bene
paesaggistico ai sensi dell'art. 136, comma 1, lettera c), del codice
di settore; articolo quest'ultimo pure richiamato dal ricorrente. 
    Le  norme  regionali  esaminate  risultano  pertanto   accomunate
dall'essere espressione  della  competenza  residuale  della  Regione
nella materia del commercio, senza determinare alcuna invasione della
competenza esclusiva statale in materia di tutela del paesaggio. 
    Cosi'   intesa,   la   disciplina   impugnata   non    pregiudica
l'unitarieta' e la vincolativita' della pianificazione  paesaggistica
ne',   tanto   meno,   mette    a    repentaglio    l'obbligatorieta'
dell'elaborazione congiunta del piano paesaggistico. Per le  medesime
ragioni, non risultano lesi il principio di  leale  collaborazione  e
l'art. 9, secondo comma, Cost. 
    12.6.- Esclusa la violazione dei parametri interposti in  materia
di  pianificazione  paesaggistica,  alle  medesime  conclusioni  deve
pervenirsi in relazione a quelli concernenti i beni culturali. 
    Per  quanto  rileva  ai  fini  della  doglianza  in   esame,   le
disposizioni impugnate legittimano il SIAD a  introdurre  determinate
restrizioni all'esercizio del commercio, volte a  garantire  -  senza
discriminazioni tra gli operatori - la salvaguardia di aree di valore
culturale, espressione dell'identita' locale di riferimento. 
    Trattasi  delle  seguenti  restrizioni:  divieti  di  vendita  di
determinate merceologie al fine di salvaguardare «i valori artistici,
culturali, storici  ed  ambientali  locali,  soprattutto  del  centro
storico» (art. 19, comma 4, lettera b), limiti di superficie per  gli
esercizi di  vicinato  del  centro  storico  (art.  20,  comma  2)  e
protocolli di arredo  urbano  al  fine  di  «tutelare  il  patrimonio
edilizio di interesse storico e culturale» (art. 20, commi 1), aventi
carattere conformativo dell'esercizio dell'attivita' commerciale. 
    In tale prospettiva, si deve escludere  che  le  norme  impugnate
violino gli artt. 10, 20, 21,  24  e  106,  comma  2-bis,  cod.  beni
culturali, posto che questi ultimi risultano incentrati sulla  tutela
del singolo bene di  interesse  culturale,  demandando  all'autorita'
statale il divieto di usi non compatibili con le esigenze  di  tutela
(art. 20), l'autorizzazione di qualsiasi opera o lavoro sul  medesimo
(artt. 21 e 24) e l'autorizzazione al rilascio della  concessione  in
uso di beni comunali (art.  106,  comma  2-bis).  Di  conseguenza,  a
fronte della legittimazione  del  SIAD  ad  introdurre  le  forme  di
regolazione del commercio teste' indicate,  quando  rilevino  singoli
beni vincolati, deve considerarsi salva la disciplina introdotta  dal
legislatore statale per la tutela dei beni di interesse culturale. 
    Lo stesso dicasi per l'art. 52, comma 1-ter, cod. beni culturali,
il cui ambito di applicazione concerne  una  peculiare  categoria  di
complessi monumentali e  beni  culturali  («complessi  monumentali  o
altri immobili del demanio culturale interessati da flussi  turistici
particolarmente  rilevanti»),  prescrivendo  apposite  determinazioni
degli uffici territoriali del Ministero della  cultura,  da  adottare
d'intesa con Regione e Comuni interessati, volte a  vietare  gli  usi
incompatibili con le specifiche esigenze di tutela. 
    Infine nemmeno risulta violato l'art.  52,  comma  1,  cod.  beni
culturali, a mente del quale i  Comuni,  sentito  il  soprintendente,
individuano le aree pubbliche aventi  valore  archeologico,  storico,
artistico  e  paesaggistico,  nelle  quali  vietare  o  sottoporre  a
condizioni particolari le attivita' commerciali: in  virtu'  di  tale
norma il Comune e'  legittimato  all'individuazione  delle  «aree  di
valore culturale» in cui conformare  l'esercizio  del  commercio  per
esigenze di salvaguardia delle medesime, ma solo previa  acquisizione
del parere obbligatorio (non vincolante) della Soprintendenza. 
    E' infatti da escludere la sussistenza di  un  contrasto  tra  le
disposizioni impugnate - la cui finalita' e'  pur  sempre  quella  di
elevare il livello di tutela di tali aree - e il parametro interposto
invocato dal ricorrente (art. 52, comma 1, cod.  beni  culturali),  a
condizione che le medesime siano interpretate nel senso di  vincolare
i  Comuni  ad  acquisire  il  parere  della  Soprintendenza  ai  fini
dell'individuazione  delle  aree  in  cui  introdurre   le   indicate
restrizioni al commercio. 
    In definitiva, le norme impugnate non esprimono  l'intenzione  di
derogare alle norme del Codice dei beni  culturali  e  del  paesaggio
invocate  dal  ricorrente.  Identiche  argomentazioni  escludono   la
violazione del principio  di  leale  collaborazione  e  dell'art.  9,
secondo comma, Cost. 
    13.- E' adesso possibile trattare  le  questioni  concernenti  le
disposizioni impugnate aventi ad oggetto il  testo  antecedente  alle
modifiche introdotte dalla legge reg. Campania n. 5 del 2021,  e,  in
particolare, gli artt. 19, comma 6, 28, comma 10,  e  130,  comma  1,
della legge reg. Campania n. 7 del 2020  (seguira'  la  disamina  del
primo, secondo e quarto motivo del ricorso iscritto al reg.  ric.  n.
55  del  2020,  considerato  che  il  terzo  motivo  e'  oggetto   di
estinzione, come illustrato nel precedente punto 4). 
    Il carattere asseritamente non  satisfattivo  delle  modifiche  e
l'assenza di deduzioni sulla mancata applicazione medio  tempore  del
testo originario, anche in considerazione del tempo di vigenza (circa
tredici mesi), escludono la cessazione della materia  del  contendere
(ex plurimis, sentenze  n.  23  e  n.  24  del  2022).  Il  richiesto
scrutinio di costituzionalita'  deve  pertanto  essere  condotto  nel
merito anche  con  riferimento  alla  formulazione  previgente  delle
disposizioni impugnate. 
    14.- Con il primo motivo del ricorso, di cui al reg. ric.  n.  55
del 2020, viene impugnato il testo originario dell'art. 19, comma  6,
della legge reg. Campania n. 7 del 2020 in riferimento agli artt. 9 e
117, secondo comma,  lettera  s),  Cost.  e  al  principio  di  leale
collaborazione, in relazione agli artt. 10, comma 4, lettera g),  20,
21, 24, 52 e 106, comma 2-bis, 135, 143 e 145 cod. beni culturali. 
    14.1.- Nella norma impugnata viene stabilito che il SIAD «dispone
vincoli di carattere  dimensionale  o  tipologico  agli  insediamenti
delle attivita' commerciali  in  aree  o  edifici  che  hanno  valore
storico, archeologico, artistico o ambientale, nei  limiti  necessari
alle esigenze di tutela». 
    14.2.- Le  impugnazioni  in  esame  coincidono  con  quelle  gia'
analizzate in riferimento agli artt. 19, commi 3 e 4, lettera  b),  e
20, commi 1 e  2,  della  medesima  legge  regionale  (esaminate  nel
precedente punto 11.2.). 
    Anche l'art.19, comma 6, sarebbe carente di un  esplicito  rinvio
alla  normativa  dettata  per  i  beni  culturali  e   paesaggistici,
rispettivamente dalla Parte II e III del codice di settore, e  quindi
non  garantirebbe  la  partecipazione  dello  Stato  alle  scelte  di
pianificazione e di  fissazione  dei  limiti  inerenti  all'attivita'
commerciale, laddove incidano sui beni sottoposti a tutela  culturale
o paesaggistica. L'omessa previsione delle  prescritte  procedure  di
condivisione tra Stato e enti territoriali  sarebbe  altresi'  lesiva
del principio di leale collaborazione e dell'art. 9,  secondo  comma,
Cost. 
    14.3.-  In  via  preliminare,  occorre   richiamare   l'eccezione
formulata dalla Regione resistente, illustrata nel  precedente  punto
11.3. Per le medesime ragioni ivi indicate, l'eccezione e'  priva  di
fondamento e deve quindi procedersi alla disamina del merito. 
    14.4.-  Sono  in  primo  luogo  non  fondate  le   questioni   di
legittimita' costituzionale incentrate sulla violazione dei parametri
interposti attinenti alla tutela dei beni culturali (artt. 10,  comma
4, lettera g, 20, 21, 24, 52, commi 1 e 1-ter, e  106,  comma  2-bis,
cod. beni culturali). 
    Con riguardo agli artt. 19, commi 3 e 4, lettera b), e 20,  commi
1 e 2, della legge reg. Campania n.  7  del  2020  si  richiamano  le
argomentazioni precedentemente illustrate (punto 11.6.). 
    14.5.- Per contro, sono  fondate  le  questioni  di  legittimita'
costituzionale dell'art. 19, comma 6, della legge reg. Campania n.  7
del 2020, nella formulazione originaria, in riferimento agli artt. 9,
117,  secondo  comma,  lettera  s),   e   al   principio   di   leale
collaborazione, per contrasto con gli artt. 135, 143 e 145 cod.  beni
culturali. Infatti, la  norma  in  discussione  assegna  al  SIAD  il
compito di determinare gli insediamenti ammissibili  delle  attivita'
commerciali,  senza  in  alcun  modo   richiamare   i   principi   di
elaborazione  congiunta,  inderogabilita'  e  prevalenza  del   piano
paesaggistico, sanciti dai menzionati articoli del codice di settore. 
    Attesa l'assenza di un piano paesaggistico, il  tenore  letterale
della  disposizione  impugnata  tradisce  l'intento  del  legislatore
regionale di sostituirsi allo Stato nello svolgimento di compiti  che
sono rimessi alla competenza esclusiva di quest'ultimo,  legittimando
soltanto i Comuni all'individuazione degli insediamenti  ammissibili,
anche quando gli stessi siano collocati in aree  che,  vista  l'ampia
formulazione della  norma,  sono  potenzialmente  destinatarie  delle
future prescrizioni del piano paesaggistico. Tanto e' vero che - come
gia'  illustrato  al  punto  8.1.  -  il  legislatore  regionale   ha
modificato la norma in esame,  inserendo  un  rinvio  esplicito  alla
normativa vigente e quindi anche al codice di settore,  cui  il  SIAD
deve conformarsi. Dall'invasione della competenza  statale  esclusiva
in  materia  di  tutela  dell'ambiente  in  relazione  ai   parametri
interposti  indicati,  che  prevedono,  tra  l'altro,  l'elaborazione
congiunta del piano paesaggistico (artt. 135, 143  e  145  cod.  beni
culturali),   deriva   la   violazione   del   principio   di   leale
collaborazione  e,  attesa  la  diminuzione  del  livello  di  tutela
paesaggistica, anche dell'art. 9, secondo comma, Cost. 
    14.6.-  Deve,  pertanto,   essere   dichiarata   l'illegittimita'
costituzionale dell'art. 19, comma 6, della legge reg. Campania n.  7
del 2020, nella formulazione originaria. 
    15.- Con il secondo motivo del ricorso, di cui al reg. ric. n. 55
del 2020, viene impugnata la versione originaria dell'art. 28,  comma
10, della legge reg. Campania n. 7 del 2020 in riferimento agli artt.
9 e 117, secondo comma, lettera s), Cost. e  al  principio  di  leale
collaborazione, in relazione agli artt. 135,  143  e  145  cod.  beni
culturali. 
    15.1.-  La  disposizione  impugnata   concerne   l'autorizzazione
relativa  alla  rilocalizzazione  di  grandi  strutture  di  vendita,
prevedendo  che  detta  rilocalizzazione  «e'   ammessa   nell'intero
territorio regionale in conformita' con le scelte  di  localizzazione
per le grandi strutture previste nel SIAD del comune di  insediamento
ed e' subordinata all'autorizzazione comunale, previa valutazione  da
parte  della  competente  Conferenza   dei   servizi   esclusivamente
dell'impatto sull'ambiente e sul traffico nel territorio  in  cui  si
rilocalizza, nel rispetto delle normative edilizie vigenti». 
    15.2.- Ad avviso  del  ricorrente,  la  norma  impugnata  sarebbe
costituzionalmente illegittima in quanto  omette  di  prescrivere  la
necessaria conformita' della rilocalizzazione delle grandi  strutture
di vendita al piano paesaggistico. Non potrebbe ravvisarsi infatti un
diverso intento nel generico riferimento all'«impatto  sull'ambiente»
in essa contenuto. La medesima, nell'intervenire in modo  unilaterale
in spregio alla pianificazione congiunta, sarebbe inoltre lesiva  del
principio di leale collaborazione e dell'art. 9 Cost. 
    15.3.- Le  questioni  sono  fondate  in  riferimento  a  tutti  i
parametri evocati nel ricorso. 
    La norma impugnata, invero, omette di prescrivere  la  necessaria
conformita' delle autorizzazioni per la rilocalizzazione delle grandi
strutture  di  vendita  al  piano  paesaggistico,  subordinandone  il
rilascio    «esclusivamente»    alla     valutazione     dell'impatto
«sull'ambiente e sul traffico nel territorio [...] nel rispetto delle
normative edilizie vigenti», senza  esplicitare  la  rilevanza  delle
future  prescrizioni  paesaggistiche  e  quindi  senza  imporre  alle
proprie amministrazioni una costante vigilanza  sulle  sopravvenienze
in tema di tutela del paesaggio. Anche in  questo  caso,  dunque,  il
tenore letterale  della  norma  tradisce  l'intento  del  legislatore
regionale di sostituirsi allo Stato nello svolgimento di compiti  che
sono rimessi alla competenza esclusiva  di  quest'ultimo,  procedendo
unilateralmente - e in assenza della  prescritta  concertazione  -  a
disciplinare i  presupposti  per  la  rilocalizzazione  delle  grandi
strutture di vendita. 
    A  conferma  di  tale  conclusione,  merita  valorizzare   quanto
disposto dall'art. 28, comma 7,  lettere  a)  e  b),  nella  versione
precedente alle modifiche apportate dall'art. 11,  comma  1,  lettera
c), punto 1), della legge reg. Campania n.  5  del  2021.  Il  citato
comma 7,  infatti,  subordina  il  rilascio  dell'autorizzazione  per
grandi  strutture  di  vendita  (in  via   di   primo   insediamento)
esclusivamente al rispetto delle «norme in  materia  urbanistica,  di
quelle fissate dal SIAD e dal presente testo unico». Cio' in  difetto
di qualsiasi  richiamo  -  come  nel  caso  dell'autorizzazione  alla
rilocalizzazione  -  alle  «disposizioni  del   decreto   legislativo
42/2004», parole queste ultime aggiunte solo dalla novella indicata. 
    Di conseguenza, sia il dato testuale, sia quello sistematico  non
consentono  una  interpretazione  della  norma  impugnata  in   senso
conforme ne' ai  criteri  di  competenza  legislativa  dettati  dalla
Costituzione, ne' agli ulteriori parametri  dedotti  dal  ricorrente.
D'altro canto, proprio per superare il contrasto con detti parametri,
il  legislatore  regionale  ha  modificato   la   norma   in   esame,
subordinando espressamente al  rispetto  del  codice  di  settore  il
rilascio dell'autorizzazione  alla  rilocalizzazione  di  una  grande
struttura di vendita (in proposito si rinvia a quanto gia' illustrato
al precedente punto 9.1.). 
    15.4.-  Deve,  pertanto,   essere   dichiarata   l'illegittimita'
costituzionale dell'art. 28, comma 10, della legge reg. Campania n. 7
del 2020, nella formulazione originaria. 
    16.- Con il quarto motivo del ricorso, di cui al reg. ric. n.  55
del 2020, viene impugnata la versione originaria dell'art. 130, comma
1, della legge reg. Campania n. 7 del 2020 in riferimento agli  artt.
9 e 117, secondo comma, lettera s), Cost., e al  principio  di  leale
collaborazione, in relazione agli artt. 135, 140,  141,141-bis,143  e
145 cod. beni culturali. 
    16.1.- La disposizione impugnata prevede che  il  rilascio  della
concessione per l'installazione di nuovi impianti di distribuzione di
carburanti  lungo  le  autostrade,  le  tangenziali  ed  i   raccordi
autostradali sia  subordinato,  tra  l'altro,  «alla  verifica  della
conformita'  alle   prescrizioni   urbanistiche   e   fiscali,   alle
prescrizioni  concernenti  la  sicurezza  sanitaria,   ambientale   e
stradale, alle  disposizioni  per  la  tutela  dei  beni  storici  ed
artistici». 
    16.2.- Il ricorrente lamenta che il  rilascio  della  concessione
non  risulti  in  alcun  modo  condizionato  al  rispetto  del  piano
paesaggistico,  non  potendosi  ritenere  il  rinvio  operato   dalla
disposizione impugnata «al necessario rispetto delle disposizioni  di
tutela dei beni storici e artistici [...] sufficiente  ad  assicurare
la competenza costituzionale delle  norme».  Emergerebbe  ancora  una
volta la volonta' di non attenersi, nel rilascio  delle  concessioni,
al piano paesaggistico che la Regione  avrebbe  invece  l'obbligo  di
approvare d'intesa con lo Stato (artt.  135,  143  e  145  cod.  beni
culturali). Nella  norma  impugnata  difetterebbe  il  richiamo  alla
disciplina  d'uso   dei   beni   vincolati,   contenuta   nel   piano
paesaggistico (ai sensi degli artt. 140,  141  e  141-bis  cod.  beni
culturali) o in appositi  accordi  stipulati  tra  Stato  e  Regione,
destinati  a  confluire  nel  medesimo  piano.  Dall'invasione  della
competenza statale esclusiva in materia di tutela  del  paesaggio  in
relazione  ai  parametri  interposti  indicati   (artt.   135,   140,
141,141-bis,143 e 145 cod. beni  culturali)  deriverebbe  inoltre  la
violazione del principio  di  leale  collaborazione  e  dell'art.  9,
secondo comma, Cost. 
    16.3.- Le questioni sono fondate in riferimento  a  ciascuno  dei
parametri invocati  nel  ricorso.  Cio'  in  quanto  la  disposizione
impugnata omette  di  prescrivere  la  necessaria  conformita'  delle
concessioni per l'installazione di nuovi impianti di distribuzione di
carburanti al piano paesaggistico e  alla  normativa  d'uso  in  esso
contenuta, in violazione degli artt. 135, 140, 141,141-bis,143 e  145
cod.  beni  culturali.  In  particolare,  e'  palese  l'intento   del
legislatore  regionale  di   sostituirsi   allo   Stato,   procedendo
direttamente - in assenza di piano paesaggistico e della  presupposta
concertazione - alla localizzazione degli impianti  di  distribuzione
anche   in   aree   potenzialmente   soggette   alla   pianificazione
paesaggistica. 
    In tal senso, occorre in primo luogo richiamare il dato testuale,
posto  che  la  norma  impugnata  prescrive  la   conformita'   della
concessione alle  sole  prescrizioni  urbanistiche  e  fiscali,  alle
prescrizioni  concernenti  la  sicurezza  sanitaria,   ambientale   e
stradale e alle disposizioni  per  la  tutela  dei  beni  storici  ed
artistici,  in  difetto  di  qualsiasi  richiamo  alle   prescrizioni
paesaggistiche. Un elenco cosi' stringente non puo'  che  determinare
ampia incertezza in punto  di  applicazione  delle  norme  di  tutela
paesaggistica,  rendendo  concreto  il  rischio  di  elusione   delle
medesime. 
    In chiave sistematica merita poi richiamare anche gli  artt.  19,
comma 6, e 28, comma 10, della legge reg. Campania n. 7 del 2020 che,
nella  loro   versione   originaria,   esprimono   l'intenzione   del
legislatore  regionale  di  introdurre   una   regolamentazione   del
territorio a fini commerciali con riflessi sul  paesaggio  del  tutto
avulsa dalla prescritta concertazione con lo Stato. Ostano dunque  ad
una interpretazione conforme della  norma  impugnata  ai  criteri  di
competenza  legislativa  dettati  dalla  Costituzione  sia  il   dato
testuale sia quello sistematico. Ed infatti, anche in questo caso, il
legislatore regionale ha modificato la norma in esame,  inserendo  un
richiamo esplicito alle prescrizioni dettate dallo Stato a tutela del
paesaggio (al riguardo, vale quanto  gia'  illustrato  al  precedente
punto 10.1.). 
    L'assenza  di  un  rinvio  espresso  alle  previsioni  del  piano
paesaggistico, con violazione dell'art. 117, secondo  comma,  lettera
s), Cost., determina altresi'  la  lesione  del  principio  di  leale
collaborazione,  stante  anche  la  prevista  obbligatorieta'   della
co-pianificazione in  materia  paesaggistica.  Da  cio'  consegue  la
violazione  dell'art.  9,  secondo  comma,  Cost.,   considerata   la
conseguente diminuzione del livello di tutela dell'ambiente. 
    16.4.-  Deve,  pertanto,   essere   dichiarata   l'illegittimita'
costituzionale dell'art. 130, comma 1, della legge reg. Campania n. 7
del 2020, nella formulazione originaria. 
    17.- Con il quinto motivo del ricorso, di cui al reg. ric. n.  55
del 2020, e' impugnato, in  riferimento  all'art.  81,  terzo  comma,
Cost., l'art. 83 della legge reg. Campania n. 7 del 2020. 
    17.1.-  La  disposizione  in  esame  istituisce  la  figura   del
commissario regionale che viene nominato dalla Giunta  regionale  nei
casi di irregolarita' o inefficienza  dei  mercati  all'ingrosso.  La
nomina  e'  dunque  solo  eventuale  e,  in  relazione,  alla  durata
dell'incarico e' previsto il termine di un anno. 
    17.2.- Ad avviso del ricorrente,  detta  disposizione  violerebbe
l'art. 81, terzo comma,  Cost.,  poiche'  non  quantifica  gli  oneri
finanziari derivanti dalla nomina del commissario,  ne'  prevede  per
essi alcuna specifica copertura finanziaria. 
    Si evidenzia che successivamente alla proposizione del ricorso la
norma impugnata e' stata modificata per aspetti non attinenti, pero',
al profilo della copertura finanziaria (art. 11, comma 1, lettera  f,
della legge reg. Campania n. 5 del 2021). 
    17.3.- La questione e' fondata. 
    Risulta palese che l'art. 83 impugnato comporta  per  la  Regione
Campania una previsione di spesa, quantomeno in relazione al compenso
del commissario. Neppure e'  pertinente  il  richiamo  operato  dalla
Regione alla «Norma finanziaria» contenuta nell'art. 156 della  legge
reg. Campania n. 7 del  2020,  i  cui  stanziamenti  sono  del  tutto
generici e inidonei a garantire con certezza che ogni  spesa  cui  si
riferiscono trovi adeguata  copertura.  Del  resto,  l'individuazione
della copertura non e' desumibile neanche dalla relazione tecnica  da
allegare alla legge impugnata, che nel caso di specie e' mancante. 
    Alla luce di tali elementi sussiste il lamentato contrasto  della
disposizione impugnata con il  precetto  posto  dall'art.  81,  terzo
comma, Cost., che sancisce l'obbligo per ogni legge comportante nuovi
oneri di provvedere ai mezzi per farvi fronte. La  giurisprudenza  di
questa Corte e' infatti costante nell'affermare che l'art. 81,  terzo
comma, Cost. «impone che, ogniqualvolta si introduca  una  previsione
legislativa che possa, anche solo in via ipotetica, determinare nuove
spese, occorr[e] sempre indicare i mezzi per farvi fronte»  (sentenza
n. 163 del 2020; nello stesso senso, sentenza n. 307 del 2013), fermo
restando la necessita' della relazione tecnica. 
    17.4.-   Si   deve   dichiarare,    pertanto,    l'illegittimita'
costituzionale dell'art. 83 della legge reg. Campania n. 7 del 2020. 
    18.- Con il quarto motivo del ricorso, di cui al reg. ric. n.  45
del 2021, viene impugnato  l'art.  57,  comma  2,  della  legge  reg.
Campania n. 5 del 2021, in riferimento agli artt. 3  e  117,  secondo
comma, lettera l), Cost. 
    18.1.- Ai sensi  della  disposizione  impugnata,  nella  versione
vigente all'epoca della proposizione del ricorso,  «per  gli  effetti
della disciplina delle concessioni  demaniali  marittime,  lacuali  e
fluviali,  le  societa'  e  associazioni  sportive  dilettantistiche,
costituite in conformita' all'articolo 90  della  legge  27  dicembre
2002, n. 289 (Disposizioni per la formazione del bilancio  annuale  e
pluriennale dello Stato, finanziaria 2003), affiliate ad un organismo
sportivo, federazioni  sportive  nazionali,  sono  riconosciute  come
esercitanti attivita' di interesse generale,  quali  enti  del  terzo
settore, ai sensi dell'articolo 5, comma 1, lettera t),  del  decreto
legislativo 3 luglio 2017, n. 117 (Codice del Terzo settore, a  norma
dell'articolo 1, comma 2, lettera b), della legge 6 giugno 2016, n. l
06)». 
    18.2.- Le censure muovono dal presupposto che la norma  impugnata
estenderebbe, quale effetto automatico,  la  qualifica  di  enti  del
terzo  settore  a  tutte  le   societa'   e   associazioni   sportive
dilettantistiche;  cio'  in  violazione  della  disciplina   statale,
secondo cui la  qualifica  di  ente  del  Terzo  settore  deriva  dal
possesso di determinati requisiti  e  dalla  volonta'  dell'ente  che
desideri assumerla, con  iscrizione  nel  registro  unico  del  Terzo
settore ai sensi dell'art. 4 del decreto legislativo 3  luglio  2017,
n. 117 (Codice del Terzo settore, a norma dell'articolo 1,  comma  2,
lettera b), della legge 6 giugno 2016, n. l 06). 
    Ne deriverebbe l'invasione della competenza esclusiva statale  in
materia   di   ordinamento   civile,   cui   sarebbe    pacificamente
riconducibile la disciplina degli  enti  del  terzo  settore.  Sempre
secondo il ricorrente, la lesione della medesima  competenza  statale
rileverebbe sotto un ulteriore profilo:  dal  riconoscimento  in  via
automatica dello svolgimento di  «attivita'  di  interesse  generale»
conseguirebbe, in  favore  delle  societa'  e  associazioni  sportive
dilettantistiche  considerate,  l'applicazione  della  riduzione  del
canone delle concessioni demaniali marittime prevista  dall'art.  03,
comma 1, lettera  d),  del  decreto-legge  5  ottobre  1993,  n.  400
(Disposizioni per la determinazione dei canoni relativi a concessioni
demaniali marittime), convertito, con modificazioni,  nella  legge  4
dicembre 1993, n. 494. 
    Quest'ultima disposizione prevede una riduzione del  novanta  per
cento del canone demaniale per le concessioni  di  cui  all'art.  39,
comma 2, del regio decreto  30  marzo  1942,  n.  327  (Codice  della
navigazione), rappresentate dalle concessioni rilasciate per fini  di
beneficenza o per  altri  fini  di  pubblico  interesse;  espressione
quest'ultima («altri fini di pubblico interesse») cui sarebbe appunto
riconducibile lo svolgimento di «attivita' di interesse generale». 
    Per effetto della disposizione impugnata verrebbe quindi violato,
quale parametro interposto, l'art. 03, comma 1, lettera c), punto 2),
del menzionato  d.l.  n.  400  del  1993,  che,  per  le  concessioni
demaniali marittime rilasciate per finalita' turistico-ricreative  in
favore di societa' ed associazioni  sportive  dilettantistiche  senza
scopo di lucro, prevede invece una  riduzione  del  canone  demaniale
nella misura del  cinquanta  per  cento.  La  disposizione  impugnata
contrasterebbe infine con il principio di uguaglianza (art. 3 Cost.),
determinando una irragionevole disparita' di trattamento, fondata  su
ragioni di appartenenza territoriale, tra enti che si  trovano  nella
medesima situazione soggettiva e oggettiva. 
    18.3.- In via preliminare, va rilevato che, successivamente  alla
proposizione del ricorso introduttivo, la disposizione  impugnata  e'
stata modificata dall'art. 33, comma 4, lettera e), della legge della
Regione Campania  28  dicembre  2021,  n.  31  (Disposizioni  per  la
formazione del bilancio di previsione  finanziario  per  il  triennio
2022-2024 della Regione Campania - Legge di stabilita' regionale  per
il 2022). 
    Nella formulazione vigente, l'art. 57, comma 2, della legge  reg.
Campania n. 5 del 2021 non  menziona  piu'  il  riconoscimento  delle
societa' e associazioni sportive  dilettantistiche  «quali  enti  del
Terzo settore» ed al contempo prevede  espressamente  che  il  canone
delle concessioni demaniali in esame venga determinato ai  sensi  del
parametro interposto invocato  dal  ricorrente  (art.  03,  comma  1,
lettera c, del d.l. n. 400 del 1993, come convertito). 
    Orbene - se la sopravvenuta modifica normativa appare  pienamente
satisfattiva delle censure del Governo (venendo, con cio', in  essere
la prima delle due condizioni che la giurisprudenza di  questa  Corte
ha enucleato per pervenire  alla  declaratoria  di  cessazione  della
materia del contendere) - viceversa (anche per l'assenza di qualsiasi
diversa  indicazione  delle  parti)  non  si  configura   l'ulteriore
requisito  della  mancata  applicazione  medio  tempore  della  norma
impugnata, che deve ritenersi non provato,  anche  in  considerazione
del tempo di vigenza (circa sei mesi) della  disposizione  modificata
(ex plurimis, ancora sentenze n. 23 e  n.  24  del  2022).  Pertanto,
nonostante  lo  ius   superveniens,   il   richiesto   scrutinio   di
costituzionalita' della norma  impugnata  deve  essere  condotto  nel
merito. 
    18.4.- La questione  e'  fondata  in  riferimento  all'art.  117,
secondo comma, lettera l), Cost. 
    La  giurisprudenza  di  questa  Corte   e',   infatti,   costante
nell'affermare che «i soggetti del Terzo settore, in quanto  soggetti
di diritto  privato,  per  quanto  attiene  alla  loro  conformazione
specifica, alla loro  organizzazione  e  alle  regole  essenziali  di
correlazione  con  le  autorita'  pubbliche,   ricadono   tipicamente
nell'"ordinamento  civile".  L'"ordinamento  civile",  com'e'   noto,
comprende tali discipline, allo scopo di garantire  l'uniformita'  di
trattamento  sull'intero  territorio  nazionale,   in   ossequio   al
principio costituzionale di eguaglianza (ex plurimis, sentenze n. 287
del 2016, n. 97 del 2014, n. 290 del 2013, n. 123 del 2010 e  n.  401
del 2007), oltreche'  di  assicurare  l'essenziale  e  irrinunciabile
autonomia che  deve  caratterizzare  i  soggetti  del  Terzo  settore
(sentenza n. 75 del 1992)» (sentenza n. 185 del  2018;  nello  stesso
senso, da ultimo, sentenza n. 131 del 2020). 
    Sulla base di tali principi, la disposizione impugnata invade  la
competenza statale  in  materia  di  ordinamento  civile,  in  quanto
attribuisce - sia pure ai fini perseguiti dalla norma impugnata -  la
qualifica di ente del Terzo settore ai sensi dell'art.  5,  comma  1,
lettera t), del d.lgs.  n.  117  del  2017  a  tutte  le  societa'  e
associazioni sportive  dilettantistiche  affiliate  alle  federazioni
sportive nazionali quantomeno in assenza di iscrizione  nel  registro
unico del Terzo settore. Ai sensi  del  citato  decreto  legislativo,
tale iscrizione  avviene  invece  solo  in  presenza  di  determinati
requisiti soggettivi e su domanda dell'ente  interessato  all'ufficio
del registro unico nazionale della Regione o della Provincia autonoma
in cui l'ente ha la sede legale. 
    18.5.-   Si   deve,   pertanto,    dichiarare    l'illegittimita'
costituzionale dell'art. 57, comma 2, della legge reg. Campania n.  5
del 2021, nella formulazione  precedente  alle  modifiche  introdotte
dall'art. 33, comma 4, lettera e), della legge reg.  Campania  n.  31
del 2021. 
    Restano assorbite le ulteriori censure  esposte  a  sostegno  del
motivo di ricorso.