ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita'  costituzionale  dell'art.  7  della
legge della Regione Veneto 6 aprile 2012, n.  13  (Legge  finanziaria
regionale per l'esercizio 2012), promosso  dal  Consiglio  di  Stato,
sezione seconda, nel procedimento vertente tra la Regione Veneto e A.
D., con ordinanza del 30 giugno 2021, iscritta al n. 132 del registro
ordinanze 2021 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 37, prima serie speciale, dell'anno 2021. 
    Visto l'atto di costituzione di A. D. e  quello,  fuori  termine,
della Regione Veneto; 
    udito  nell'udienza  pubblica  del  21  giugno  2022  il  Giudice
relatore Angelo Buscema; 
    udito l'avvocato Mariagrazia Romeo per A. D.; 
    deliberato nella camera di consiglio del 21 giugno 2022. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza iscritta al registro ordinanze n. 132 del 2021,
il Consiglio di Stato, sezione seconda, ha sollevato, in  riferimento
agli artt. 3, secondo comma, 36 e 53 della Costituzione, questioni di
legittimita' costituzionale dell'art. 7  della  legge  della  Regione
Veneto  6  aprile  2012,  n.  13  (Legge  finanziaria  regionale  per
l'esercizio 2012), ai sensi del quale «[a]l titolare dell'Ufficio  di
protezione e pubblica tutela  dei  minori  spetta  il  30  per  cento
dell'indennita' della diaria a titolo di rimborso spese, del rimborso
spese di trasporto e del trattamento di missione previsti dalla legge
regionale  30  gennaio  1997,  n.  5  "Trattamento  indennitario  dei
consiglieri regionali" e successive modificazioni, per i  consiglieri
regionali e secondo le modalita' per gli stessi previste». 
    1.1.- Il giudizio a quo trae origine dall'appello proposto  dalla
Regione Veneto contro A.  D.,  per  la  riforma  della  sentenza  del
Tribunale amministrativo regionale per il Veneto, sezione  prima,  31
gennaio 2013, n. 111, con cui il giudice di prime cure aveva  accolto
il ricorso proposto dalla medesima  A.  D.,  avverso  la  nota  della
Segreteria generale del Consiglio regionale del Veneto del  3  maggio
2012, n. 0008338, che  aveva  provveduto  a  ridurne  il  trattamento
indennitario del settanta per cento in applicazione dell'art. 7 della
legge reg. Veneto n. 13 del 2012. 
    Riferisce il rimettente che A. D., con decreto del Presidente del
Consiglio regionale 7 dicembre 2010, n. 20, veniva  nominata  a  capo
dell'Ufficio di protezione  e  pubblica  tutela  dei  minori,  figura
istituita con legge  della  Regione  Veneto  9  agosto  1988,  n.  42
(Istituzione  dell'Ufficio  di  protezione  e  pubblica  tutela   dei
minori), a cui spettava «l'indennita', la diaria a titolo di rimborso
spese, il rimborso spese di trasporto e il  trattamento  di  missione
previsti  dalla  legge  regionale  30  gennaio  1997,  n.  5,  per  i
consiglieri regionali e secondo le modalita' per gli stessi previste»
(art. 7 della legge reg. Veneto n. 42 del 1988). 
    Successivamente, con l'art. 7 della legge reg. Veneto n.  13  del
2012, il Consiglio  regionale  modificava  l'anzidetta  disposizione,
riducendone l'importo, prevedendo che  al  titolare  dell'Ufficio  di
protezione e pubblica tutela dei minori spettasse il trenta per cento
del  trattamento  indennitario  dei  consiglieri  regionali.  A.   D.
proponeva, dunque, ricorso al TAR  Veneto,  chiedendo  l'annullamento
della nota della Segreteria generale del Consiglio con cui le  veniva
comunicata la decurtazione del settanta  per  cento  del  trattamento
economico e di  «qualsiasi  altro  atto  antecedente,  conseguente  e
connesso  ed,  in  particolare,  delle   determinazioni   stipendiali
relative  ai  mesi  di  aprile  e  maggio  2012»,  nonche',  in   via
subordinata, la rimessione alla Corte costituzionale della  questione
di legittimita' costituzionale dell'art.  7  della  richiamata  legge
reg. Veneto n. 13 del 2012, in riferimento agli artt. 3, 23, 36, 53 e
97 Cost. 
    Il TAR Veneto, con  la  richiamata  sentenza  n.  111  del  2013,
accoglieva il ricorso e, facendo applicazione  del  principio  tempus
regit actum, annullava la nota della Segreteria generale, «essendo il
provvedimento di nomina della ricorrente a titolare  dell'Ufficio  di
Protezione e Pubblica Tutela dei Minori, antecedente all'introduzione
da parte dell'art. 7, comma 1, della Legge  di  Finanza  Regionale  6
aprile 2012, n. 13, della nuova normativa concernente il  trattamento
economico spettante a  tale  organo,  e  non  avendo  contemplato  la
predetta Legge Finanziaria una  espressa  disposizione  normativa  in
deroga all'art. 11  delle  Disposizioni  sulla  Legge  in  generale».
Affermava, dunque, il TAR  Veneto,  che  la  normativa  regionale  di
decurtazione del trattamento economico del titolare  dell'Ufficio  di
protezione e  pubblica  tutela  dei  minori  avrebbe  dovuto  trovare
applicazione «esclusivamente nei confronti dei  successivi  titolari»
di tale Ufficio. 
    1.2.- Il  Collegio  rimettente,  condividendo  le  censure  della
Regione appellante,  ritiene  che  il  TAR  non  abbia  correttamente
interpretato il principio di irretroattivita' della legge, poiche' la
nomina di titolare dell'Ufficio di protezione e pubblica  tutela  dei
minori non avrebbe consolidato, in capo al soggetto  investito  delle
relative funzioni,  alcuna  pretesa,  giuridicamente  tutelabile,  al
mantenimento del medesimo trattamento indennitario stabilito all'atto
del conferimento dell'incarico, ne'  lo  avrebbe  cristallizzato  con
carattere di insensibilita' rispetto a sopravvenienze normative  che,
veicolate da equiparata fonte normativa, avessero inteso diversamente
disciplinare la composizione del trattamento stesso. 
    L'irretroattivita' sarebbe, infatti, da riferirsi  esclusivamente
ai rapporti esauriti,  mentre,  al  momento  dell'introduzione  della
legge reg. Veneto n. 13 del 2012, l'incarico di A. D. era  ancora  in
corso. 
    Afferma, pertanto, il Consiglio di Stato di non poter condividere
il  percorso  logico  che  ha  condotto  il  giudice  di  prime  cure
all'accoglimento del ricorso, in difetto di una  espressa  previsione
che, pur a fronte della introduzione di un  nuovo  assetto  normativo
della materia, nondimeno mantenga, per un definito arco temporale, la
vigenza della disciplina modificata. 
    1.3.- Ritenuta dunque l'applicabilita' al caso  di  specie  della
norma in esame, il Consiglio di Stato passa ad esaminare  l'eccezione
- gia' articolata in primo grado e riproposta dall'appellata  A.  D.,
ai sensi dell'art. 101, comma 2, dell'Allegato 1 (codice del processo
amministrativo)  al  decreto  legislativo  2  luglio  2010,  n.   104
(Attuazione dell'articolo 44 della  legge  18  giugno  2009,  n.  69,
recante  delega   al   governo   per   il   riordino   del   processo
amministrativo) - d'illegittimita' costituzionale della  disposizione
di cui all'art. 7 della  legge  reg.  Veneto  n.  13  del  2012,  per
asserito contrasto con gli artt. 3, secondo comma, 23, 36 e 53 Cost. 
    Osserva anzitutto il giudice a quo  che  la  norma  censurata  e'
contenuta nel Capo II della legge finanziaria  regionale  per  l'anno
2012, rubricato «Razionalizzazione della  spesa  e  del  costo  degli
apparati amministrativi». In  effetti,  analoga  riduzione  a  quella
subita dal titolare dell'Ufficio di protezione e pubblica tutela  dei
minori sarebbe stata disposta anche per il Difensore civico,  il  cui
trattamento indennitario, originariamente omogeneo a quello di A. D.,
e' stato ridotto del settanta per cento. 
    Aggiunge  il  rimettente  che  la  norma   regionale   censurata,
dichiaratamente  ispirata   a   esigenze   di   razionalizzazione   e
contenimento  degli  oneri   per   il   funzionamento   dell'apparato
amministrativo, trarrebbe univoco  fondamento  nel  decreto-legge  31
maggio 2010, n. 78 (Misure  urgenti  in  materia  di  stabilizzazione
finanziaria  e  di   competitivita'   economica),   convertito,   con
modificazioni, nella legge 30 luglio 2010, n. 122,  il  cui  art.  6,
comma  3,  avrebbe  stabilito,  a  decorrere  dal  1°  gennaio  2011,
l'automatica riduzione del dieci per  cento,  rispetto  agli  importi
risultanti al 30 aprile 2010, di tutte «le indennita', i compensi,  i
gettoni, le retribuzioni o le  altre  utilita'  comunque  denominate,
corrisposti  dalle  pubbliche  amministrazioni   [...]   incluse   le
autorita'  indipendenti,  ai  componenti  di  organi  di   indirizzo,
direzione  e  controllo,  consigli  di   amministrazione   e   organi
collegiali  comunque  denominati  ed  ai  titolari  di  incarichi  di
qualsiasi tipo». 
    Rammenta il Consiglio di Stato che  questa  Corte  sarebbe  stata
piu' volte chiamata a  pronunciarsi  su  norme  statali  inquadrabili
nella categoria dei cosiddetti  «tagli  lineari»  e  suscettibili  di
incidere, in senso peggiorativo, su situazioni soggettive attinenti a
rapporti di durata. Il giudice delle leggi, in  particolare,  avrebbe
affermato che la  potesta'  legislativa,  in  questi  casi,  dovrebbe
svolgersi  nell'osservanza  dei   principi   di   ragionevolezza   ed
eguaglianza (e' richiamata la sentenza n. 282 del 2005), di legittimo
affidamento dei cittadini sulla stabilita' della situazione normativa
preesistente (e' richiamata la sentenza n. 525 del 2000), di certezza
delle situazioni giuridiche ormai  consolidate  (sono  richiamate  le
sentenze n. 24 del 2009, n. 74 del 2008 e n. 156 del  2007),  nonche'
di coerenza dell'ordinamento (e' richiamata la sentenza  n.  209  del
2010). 
    Per  costante  giurisprudenza  costituzionale,  i  valori   della
certezza del diritto e del legittimo  affidamento  potrebbero  essere
ragionevolmente e proporzionalmente sacrificati solo  se  i  relativi
interventi siano finalizzati a soddisfare esigenze  indifferibili  di
bilancio, ma non se si rivelino preordinati a coprire altre norme  di
spesa. 
    Quanto al caso di specie, il giudice a quo osserva che  la  norma
censurata si porrebbe in contrasto anzitutto  con  l'art.  36  Cost.,
posto che l'indennita' in questione costituirebbe reddito  assimilato
a quello da lavoro dipendente e sarebbe  pertanto  assoggettato  alla
relativa tassazione, ai sensi degli artt. 51 e  52  del  decreto  del
Presidente  della  Repubblica  22  dicembre  1986,  n.  917,  recante
«Approvazione del testo unico delle imposte sui redditi»  (e'  citata
la risoluzione dell'Agenzia delle entrate del  9  dicembre  2010,  n.
126/E).  In  questo  senso,  una  riduzione  del  70  per  cento  del
trattamento economico  del  titolare  dell'Ufficio  di  protezione  e
pubblica tutela dei minori, nel corso del suo svolgimento,  lasciando
inalterate le  funzioni  e  i  compiti  gia'  attribuiti,  renderebbe
evidente la lesione del menzionato parametro costituzionale, anche in
considerazione   dell'incompatibilita'   di   tale   incarico    «con
l'esercizio di qualsiasi attivita' di lavoro autonomo o subordinato e
di qualsiasi commercio o professione» (e' citato l'art. 5,  comma  3,
della legge reg. Veneto n. 42 del 1988). 
    La norma regionale sarebbe altresi' in contrasto  con  l'art.  3,
secondo comma, Cost., in riferimento al principio di  ragionevolezza,
giacche' a fronte della dichiarata finalita' di  razionalizzazione  e
contenimento della spesa pubblica, sarebbe disposta la riduzione  del
trattamento  solamente   per   due   figure,   senza   estendere   il
ridimensionamento di indennita' e compensi in egual misura  ad  altre
posizioni. Tale elemento renderebbe altresi'  evidente  l'assenza  di
proporzionalita'  della  norma   censurata,   poiche'   inidonea   al
conseguimento degli obiettivi di contenimento della spesa pubblica. 
    Secondo il rimettente, in  definitiva,  l'operata  riduzione  del
trattamento indennitario verrebbe a configurarsi come una prestazione
patrimoniale   imposta,   di   natura   sostanzialmente   tributaria,
contrastante con  il  principio  di  capacita'  contributiva  di  cui
all'art. 53 Cost.; si tratterebbe di prestazione applicata a una sola
categoria di contribuenti, prescindendo da qualsiasi  valutazione  in
termini   di   capacita'    reddituale,    tale    da    determinare,
conseguentemente, anche una lesione del principio di uguaglianza. 
    1.4.- Quanto alla rilevanza, espone il Collegio  rimettente  che,
tanto  l'accoglibilita'  della  censura   formulata   dall'appellante
Regione Veneto, quanto il soddisfacimento della  pretesa  sostanziale
della   quale   e'   portatrice   la   parte   appellata,   sarebbero
«intermediat[e]»  dalla  caducazione  della  disposizione  di   legge
regionale  censurata,  atteso  che  soltanto  la   dichiarazione   di
illegittimita' costituzionale di quest'ultima potrebbe consentire «la
piena riespansione» della norma di cui all'art. 7  della  legge  reg.
Veneto  n.  42  del  1988,  con  riconfigurazione   del   trattamento
indennitario nella sua originaria commisurazione. 
    Afferma, peraltro, il Consiglio di Stato che la  rilevanza  delle
questioni non sarebbe attenuata dalla sopravvenuta abrogazione  della
norma censurata (nonche' dell'intera legge  reg.  Veneto  n.  42  del
1988), per effetto dell'art. 17 della legge della Regione  Veneto  24
dicembre 2013, n. 37 (Garante regionale dei diritti  della  persona),
in forza  della  quale  le  funzioni  originariamente  attribuite  al
titolare dell'Ufficio di protezione  e  pubblica  tutela  dei  minori
(nonche' al Difensore civico) sarebbero state assorbite e concentrate
nella neoistituita figura del Garante regionale. 
    Ai sensi dell'art. 19 della legge reg. Veneto  n.  37  del  2013,
infatti, «[i]n prima applicazione della presente legge,  alla  nomina
del  Garante  si  da'  corso  a  decorrere  dalla  prima  legislatura
successiva alla data di entrata in vigore della presente legge; a tal
fine il Consiglio regionale e' convocato  almeno  centottanta  giorni
prima della scadenza della legislatura in corso alla data di  entrata
in vigore della  presente  legge  per  eleggere  il  Garante.  2.  Il
Difensore civico di cui alla legge regionale 6  giugno  1988,  n.  28
nonche' il titolare dell'Ufficio di protezione e pubblica tutela  dei
minori di cui alla legge regionale 9 agosto 1988, n.  42,  in  carica
all'entrata in vigore della presente legge, rimangono in carica  fino
all'insediamento  del  Garante  e  ad  essi  ed  all'esercizio  delle
rispettive  funzioni  continuano  ad   applicarsi   le   disposizioni
rispettivamente di cui alle leggi regionali 6 giugno 1988, n. 28 e  9
agosto 1988, n.  42  e  successive  modificazioni,  ivi  compresa  la
disciplina di cui all'articolo 61, comma 2, della legge regionale  31
dicembre 2012, n. 53 "Autonomia del  Consiglio  regionale".  3.  Fino
all'insediamento del Garante le funzioni di garanzia per  le  persone
sottoposte  a  misure  restrittive  della  liberta'  personale   sono
esercitate dal titolare dell'Ufficio di protezione e pubblica  tutela
dei minori». 
    A. D., dunque, avrebbe continuato a svolgere le proprie funzioni,
fino   all'esaurimento    del    mandato,    anche    successivamente
all'approvazione della legge reg. Veneto n. 37 del 2013, dal  che  la
persistente attualita' dell'interesse della resistente -  e,  dunque,
la   rilevanza   della   questione   -   che    conseguirebbe    alla
reintegrabilita'    ex    tunc    del    trattamento     indennitario
illegittimamente decurtatole. 
    2.- Si e' costituita in giudizio A. D., chiedendo  l'accoglimento
delle questioni sollevate dal giudice a quo. 
    Sostiene la parte che il suo incarico,  conferitole  con  decreto
del Presidente del Consiglio regionale Veneto del 7 dicembre 2010, n.
20,  prevedeva  i  medesimi  requisiti  previsti  dalla   legge   per
l'elezione a consigliere regionale, era incompatibile con l'esercizio
di  qualunque  attivita'  di  lavoro  autonomo  o  subordinato  e  di
qualsiasi  commercio  o  professione,  e  veniva  retribuito  con  le
medesime indennita', la diaria e i  rimborsi  spese  previsti  per  i
consiglieri regionali (sono richiamati gli artt. 4, 5 e 7 della legge
reg. Veneto n. 13 del 2012). Tale ruolo - di  durata  quinquennale  e
rinnovabile una sola volta - avrebbe rappresentato dunque una  figura
di garanzia dei diritti dell'infanzia e  dell'adolescenza,  istituita
in aderenza alla Convenzione sui diritti del fanciullo, fatta  a  New
York il 20 novembre 1989, ratificata e resa esecutiva  con  legge  27
maggio 1991, n. 176, e alla Convenzione  europea  sull'esercizio  dei
diritti dei  fanciulli,  fatta  a  Strasburgo  il  25  gennaio  1996,
ratificata e resa esecutiva con legge 20 marzo 2003, n. 77. 
    La «drastica riduzione» dell'importo dell'indennita' del titolare
dell'Ufficio di protezione e  pubblica  tutela  dei  minori  disposta
dall'art. 7 della legge reg. Veneto n. 13  del  2012  contrasterebbe,
pertanto, con diversi parametri costituzionali. 
    2.1.- Quanto all'art.  3  Cost.,  la  norma  regionale  censurata
violerebbe il principio di ragionevolezza sotto diversi profili. 
    Anzitutto, la riduzione del settanta  per  cento  dell'indennita'
mensile del titolare dell'Ufficio  sarebbe  stata  disposta  in  modo
arbitrario,  senza  alcuna   corrispondente   revisione   delle   sue
attribuzioni. Le funzioni di A. D., infatti, non solo  non  avrebbero
subito alcun ridimensionamento; ma - per effetto dell'art.  19  della
legge reg. Veneto n.  37  del  2013  -  sarebbero  state  addirittura
incrementate, essendo previsto che fino all'insediamento del  Garante
«le  funzioni  di  garanzia  per  le  persone  sottoposte  a   misure
restrittive della liberta' personale  sono  esercitate  dal  titolare
dell'Ufficio  per  la  protezione  e  pubblica  tutela  dei  minori»,
sommando in capo ad esso, quindi, alle funzioni di tutela dei  minori
quelle di garante per le persone sottoposte a misure restrittive. 
    L'irragionevolezza  del  taglio  all'indennita'  si  ravviserebbe
altresi' a fronte della previsione statale di cui all'art. 6 del d.l.
n. 78 del 2010, come convertito, che avrebbe  disposto  la  riduzione
del dieci per cento delle indennita', dei  compensi,  dei  gettoni  o
delle retribuzioni, comunque denominate, corrisposti dalle  pubbliche
amministrazioni. 
    La norma regionale veneta, infatti, contenuta nel Capo  II  della
legge finanziaria per il 2012, dedicato alla «razionalizzazione della
spesa e del costo degli apparati amministrativi» avrebbe previsto  la
riduzione dell'indennita' del settanta per cento solo per  il  Tutore
dei minori e per il Difensore civico. Tale  riduzione  «ad  personam»
sarebbe  dunque   irragionevole   perche'   inidonea   a   perseguire
l'obiettivo di contenimento dei costi  al  quale  essa  espressamente
tende. 
    In proposito, sono citate le sentenze di questa Corte in  cui  si
affermerebbe che una riduzione del trattamento economico dei rapporti
di durata sarebbe legittima, sotto il profilo  della  ragionevolezza,
alla duplice condizione che il sacrificio imposto sia bilanciato  dal
perseguimento della stabilita'  finanziaria  dell'ordinamento  e  che
abbia carattere eccezionale, transeunte, non arbitrario e consentaneo
allo scopo prefisso (sentenze n. 16 del 2017, n. 310 del 2013, n. 223
del 2012 e n. 330 del 1999).  La  norma  censurata,  invece,  sarebbe
volta a introdurre una riduzione stabile e permanente del trattamento
economico del titolare dell'Ufficio, con cio' rivelando un  ulteriore
profilo di irragionevolezza. 
    2.2.- Sarebbe altresi'  leso  il  principio  di  proporzionalita'
della retribuzione alla quantita' e qualita'  dell'attivita'  svolta,
sancito dall'art. 36 Cost. 
    Posto  che,  per  costante  giurisprudenza   costituzionale,   la
retribuzione  proporzionata  dovrebbe   valutarsi   con   riferimento
all'insieme delle voci che  concorrono  al  trattamento  retributivo,
afferma A. D. che la norma censurata applicherebbe una  riduzione  su
tutte le voci che concorrono a configurare la sua indennita',  ossia:
indennita'  di  carica,  diaria,  rimborso  spese  e  trattamento  di
missione, cioe' su  tutte  le  voci  che  avrebbero  concorso  -  fin
dall'approvazione della legge reg. Veneto n. 42 del 1988 - a  rendere
la retribuzione,  equiparata  a  quella  dei  Consiglieri  regionali,
proporzionata all'attivita' svolta,  con  pregiudizio  anche  per  il
potere d'acquisto  e  conseguente  «vanificazione  delle  aspettative
legittimamente nutrite». 
    2.3.- A. D. si duole, infine,  della  lesione  del  principio  di
capacita' contributiva, recato dall'art. 53 Cost., giacche' la  norma
regionale  censurata,  disponendo  una  decurtazione  cosi'  ingente,
sarebbe assimilabile  a  una  prestazione  patrimoniale  imposta,  di
natura sostanzialmente tributaria, che per sua natura avrebbe  dovuto
gravare (a parita' di redditi incisi) su tutti i cittadini. E' citata
in proposito la sentenza di questa Corte n.  245  del  1997,  in  cui
sarebbe affermato che  i  principi  di  eguaglianza  e  solidaristico
(artt. 2 e 3 Cost.) costituirebbero un limite all'azione  impositiva.
La riduzione  disposta  nei  confronti  della  parte  appellata,  nel
giudizio a quo, apparirebbe pertanto irrazionale e illegittima  anche
qualora venisse interpretata come misura patrimoniale imposta volta a
tutelare esigenze di stabilita' della finanza  pubblica.  Per  queste
ragioni la parte chiede che vengano accolte le censure formulate  dal
Consiglio di Stato. 
    3.- A. D. ha depositato nei termini ulteriore memoria, in cui  ha
sostanzialmente ribadito le censure di illegittimita'  costituzionale
riportate  nell'atto  di  costituzione,  riproducendo  anche   alcuni
passaggi di  recenti  pronunce  di  questa  Corte  sulla  tutela  del
legittimo affidamento (sono citate, in particolare,  le  sentenze  n.
104 e n. 61 del 2022). 
    4.- In prossimita' dell'udienza e fuori termine,  la  Regione  ha
depositato una memoria di costituzione, in cui, in sintesi, eccepisce
l'inammissibilita'  e,  in  subordine,  la   non   fondatezza   delle
questioni. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Con ordinanza iscritta al registro ordinanze n. 132 del 2021,
il Consiglio di Stato, sezione seconda, ha sollevato, in  riferimento
agli artt. 3, secondo comma, 36 e 53 della Costituzione, questioni di
legittimita' costituzionale dell'art. 7  della  legge  della  Regione
Veneto  6  aprile  2012,  n.  13  (Legge  finanziaria  regionale  per
l'esercizio 2012), ai sensi del quale «[a]l titolare dell'Ufficio  di
protezione e pubblica tutela  dei  minori  spetta  il  30  per  cento
dell'indennita' della diaria a titolo di rimborso spese, del rimborso
spese di trasporto e del trattamento di missione previsti dalla legge
regionale  30  gennaio  1997,  n.  5  "Trattamento  indennitario  dei
consiglieri regionali" e successive modificazioni, per i  consiglieri
regionali e secondo le modalita' per gli stessi previste». 
    La norma - censurata nel procedimento  vertente  tra  la  Regione
Veneto e A. D., gia' a capo  dell'Ufficio  per  la  protezione  e  la
pubblica tutela dei minori e ricorrente in primo grado nel giudizio a
quo  -  sarebbe  anzitutto  lesiva  del   principio   del   legittimo
affidamento, posto che  determinerebbe  una  decurtazione  permanente
dell'indennita' spettante al titolare dell'incarico  indennitario  in
parola, in contrasto con  la  giurisprudenza  costituzionale  che  ha
ammesso i cosiddetti "tagli lineari" alla  duplice  condizione  della
temporaneita' e della  finalizzazione  al  contenimento  della  spesa
pubblica. 
    Sarebbe altresi' leso l'art. 3 Cost.  sotto  il  duplice  profilo
della proporzionalita' e della disparita' di trattamento. 
    Quanto alla proporzionalita', afferma il giudice  rimettente  che
l'art. 7 della legge reg. Veneto n. 13 del 2012 avrebbe disposto  una
riduzione del menzionato  compenso  in  misura  di  ben  sette  volte
superiore a quanto stabilito dall'art. 6, comma 3, del  decreto-legge
31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia  di  stabilizzazione
finanziaria  e  di   competitivita'   economica),   convertito,   con
modificazioni, nella legge 30 luglio  2010,  n.  122,  ai  sensi  del
quale, dal 1° gennaio 2011, e' stata prevista l'automatica  riduzione
del 10 per cento», rispetto agli  importi  risultanti  al  30  aprile
2010, di tutte «le indennita', i compensi, i gettoni, le retribuzioni
o le altre utilita' comunque denominate, corrisposti dalle  pubbliche
amministrazioni  [...]  incluse   le   autorita'   indipendenti,   ai
componenti di organi di indirizzo, direzione e controllo, consigli di
amministrazione  e  organi  collegiali  comunque  denominati  ed   ai
titolari di incarichi di qualsiasi tipo. 
    Quanto alla disparita' di  trattamento,  il  Consiglio  di  Stato
lamenta che la norma regionale censurata avrebbe imposto la riduzione
del compenso del settanta per cento solo per due figure (il Difensore
civico e il titolare dell'Ufficio per la  protezione  e  la  pubblica
tutela  dei  minori),  elemento,  questo,  che  peraltro   proverebbe
l'inidoneita'  a  conseguire   il   dichiarato   intento   volto   al
contenimento della spesa pubblica. 
    Sarebbe leso anche l'art. 36 Cost., poiche'  la  norma  censurata
ridurrebbe del menzionato importo tutte  le  voci  che  concorrono  a
definire la retribuzione dell'incarico (indennita', diaria,  rimborsi
spese). La norma, infine, nell'applicare un taglio di tale entita'  a
tutte le voci retributive, prevedrebbe una  prestazione  patrimoniale
imposta, lesiva dell'art. 53 Cost., in quanto sganciata da  qualunque
riferimento alla capacita' reddituale. 
    2.- In punto  di  rilevanza,  espone  il  rimettente  che,  tanto
l'accoglimento del ricorso in appello proposto dalla Regione  Veneto,
quanto il soddisfacimento della pretesa sostanziale  della  quale  e'
portatrice  la  parte  appellata,  sarebbero  «intermediat[e]»  dalla
caducazione della disposizione di legge regionale  censurata,  atteso
che soltanto la dichiarazione  di  illegittimita'  costituzionale  di
quest'ultima potrebbe consentire «la piena riespansione» della  norma
di cui all'art. 7 della legge della Regione Veneto 9 agosto 1988,  n.
42 (Istituzione dell'ufficio di  protezione  e  pubblica  tutela  dei
minori), con rideterminazione del trattamento indennitario nella  sua
originaria commisurazione. 
    2.1.- Le questioni sollevate sono rilevanti  e,  pertanto,  sotto
questo profilo, ammissibili. 
    Per costante giurisprudenza di questa Corte, la motivazione sulla
rilevanza richiede un controllo meramente esterno «che deve limitarsi
a verificarne la sufficienza e la plausibilita'» (da ultimo, sentenza
n. 75 del 2022). 
    A fronte del petitum ablativo formulato dal Consiglio  di  Stato,
la  rilevanza  della  questione  trova   sufficiente   e   plausibile
motivazione nelle argomentazioni spese dal rimettente per  illustrare
come la norma regionale sia il presupposto logico e giuridico che  ha
determinato la decurtazione contestata nel giudizio a quo. 
    Quanto alla normativa applicabile  in  caso  di  declaratoria  di
illegittimita' costituzionale, al di la' di  ogni  valutazione  sulla
correttezza dell'assunto del giudice a quo, secondo  cui  si  avrebbe
riviviscenza delle norme  abrogate,  deve  solo  rilevarsi  che,  per
costante giurisprudenza di questa Corte, «il giudizio  sulla  vigenza
delle norme giuridiche rientra nella competenza  dei  giudici  comuni
[...], cosi' come e' affidata a questi ultimi la  determinazione  del
modo in  cui  l'ordinamento  si  "ricompone"  dopo  una  sentenza  di
accoglimento» (da ultimo, sentenza n. 75 del 2022). 
    3.- Sempre in via preliminare, occorre ricordare  che,  ai  sensi
dell'art. 3 delle norme integrative per i giudizi davanti alla  Corte
costituzionale, la costituzione delle parti  deve  essere  effettuata
nel termine di venti giorni  dalla  pubblicazione  dell'ordinanza  di
rimessione sulla  Gazzetta  Ufficiale  della  Repubblica,  che  nella
specie e' intervenuta il 15 settembre 2021 (n. 37 del 2021). 
    Pertanto,  deve  essere  dichiarata  inammissibile,   in   quanto
tardiva, la costituzione in giudizio della Regione Veneto, poiche' il
relativo  atto  e'  stato  depositato  oltre  il  termine  perentorio
stabilito dal citato art. 3 (ex multis, sentenze n. 364 e n. 171  del
2010, nonche' ordinanze n. 100 del 2009 e n. 124 del 2008). 
    4.-  Passando  all'esame  del  merito  delle  questioni,  occorre
prendere le mosse dalla dedotta violazione del  principio  di  tutela
del legittimo  affidamento,  «principio  connaturato  allo  Stato  di
diritto» (ex multis, sentenze n. 241 del 2019, n. 73 del 2017, n. 170
e n. 160 del 2013) che trova  copertura  costituzionale  nell'art.  3
Cost. 
    Tale  principio,  «da  considerarsi   ricaduta   e   declinazione
"soggettiva"  dell'indispensabile  carattere  di   coerenza   di   un
ordinamento giuridico, quale manifestazione del valore della certezza
del diritto» (da ultimo, sentenza n. 136 del 2022), non  e'  tutelato
«in termini assoluti e inderogabili» (sentenze n. 89 del 2018 e n. 56
del 2015). Infatti, con riferimento ai rapporti  di  durata  -  quale
quello oggetto del giudizio a quo -  «"questa  Corte  ha  piu'  volte
affermato che il legislatore dispone di ampia discrezionalita' e puo'
anche modificare in senso sfavorevole la disciplina di quei rapporti,
ancorche' l'oggetto sia costituito da  diritti  soggettivi  perfetti;
cio'   a   condizione   che   la   retroattivita'   trovi    adeguata
giustificazione sul piano della ragionevolezza e non trasmodi  in  un
regolamento irrazionalmente  lesivo  del  legittimo  affidamento  dei
cittadini (ex plurimis, sentenze n. 241 del 2019, n. 16 del 2017,  n.
203 del 2016 e  n.  236  del  2009)"  (sentenza  n.  234  del  2020)»
(sentenza n. 136 del 2022). Peraltro, anche il  principio  di  tutela
del legittimo affidamento «e'  sottoposto  al  normale  bilanciamento
proprio di tutti i diritti e valori costituzionali» (sentenza n.  108
del 2019). 
    5.- Tanto premesso, la questione di  legittimita'  costituzionale
dell'art. 7 della legge reg. Veneto n. 13 del 2012 per violazione del
principio di tutela del legittimo affidamento e' fondata. 
    5.1.-  La  causa  normativa  che  ha   portato   alla   riduzione
dell'indennita' spettante al titolare dell'Ufficio per la  protezione
e la pubblica tutela dei minori e'  da  inquadrarsi  in  un  generale
ridimensionamento  delle  spese  per  l'attivita'  delle  istituzioni
regionali, da apprezzare nello specifico  contesto  di  necessita'  e
urgenza indotto dalla grave crisi finanziaria che ha colpito il Paese
tra la fine del 2011 e la prima meta' del 2012 e che ha imposto  alle
pubbliche  amministrazioni  di  ridurre  del  dieci  per  cento   «le
indennita', i  compensi,  i  gettoni,  le  retribuzioni  o  le  altre
utilita' comunque denominate», ai sensi dell'art.  6,  comma  3,  del
d.l. n. 78 del 2010, come convertito. 
    Dai lavori preparatori della legge reg. Veneto  n.  13  del  2012
emerge, infatti, che la riduzione e' stata prevista per  esigenze  di
contenimento  e  riorganizzazione  della  spesa   pubblica,   aspetto
evidenziato nella stessa denominazione del  Capo  II  della  medesima
legge regionale, in  cui  e'  contenuta  la  disposizione  censurata:
«Razionalizzazione  della  spesa   e   del   costo   degli   apparati
amministrativi». 
    Orbene,  sul  piano  della  ragionevole  giustificazione  di   un
intervento modificativo in peius di un  rapporto  di  durata,  questa
Corte ha considerato idoneo «l'intento del contenimento  della  spesa
(sentenze n. 236 del 2017 e n. 203 del 2016)» (sentenza  n.  136  del
2022). 
    Tale rilievo,  tuttavia,  non  e'  di  per  se'  sufficiente  per
ritenere costituzionalmente giustificato l'intervento riduttivo posto
in essere dal legislatore regionale. 
    5.2.- Occorre, infatti, altresi' valutare se esso si  traduca  in
un assetto lesivo dell'affidamento, apprezzando, in  particolare,  se
la misura sia proporzionata - cioe', se «sia necessaria e  idonea  al
conseguimento di obiettivi legittimamente perseguiti, in quanto,  tra
piu'  misure  appropriate,  prescriva  quella  meno  restrittiva  dei
diritti a confronto e stabilisca oneri non sproporzionati rispetto al
perseguimento di detti obiettivi» (sentenza n. 1 del 2014) - anche in
considerazione  del  grado  di  consolidamento  dell'interesse  della
parte. 
    Con riguardo a quest'ultimo aspetto, va evidenziato  che,  se  e'
vero che la norma censurata si inserisce all'interno di un piu' ampio
programma  di  ridefinizione  dei  costi  degli   apparati   politici
regionali, attuato con la legge della Regione Veneto 13 gennaio 2012,
n. 4 (Abolizione dell'istituto dell'assegno  vitalizio,  riduzione  e
semplificazione  del   trattamento   indennitario   dei   consiglieri
regionali), tale normativa regionale, tuttavia,  in  nessun  caso  ha
imposto tagli che si avvicinano a quello previsto dalla  disposizione
censurata. 
    Se le iniziative del legislatore veneto, volte  al  conseguimento
di risparmi, non consentono di ravvisare in capo alla ricorrente  nel
giudizio a quo  un  affidamento  sul  mantenimento  del  livello  del
trattamento  economico  originariamente   riconosciutole,   esse   al
contempo disvelano la sproporzione della misura disposta dalla  norma
censurata, che ha  imposto  un  taglio  di  ammontare  almeno  doppio
rispetto a quello che ha riguardato i consiglieri veneti e, comunque,
ben sette volte superiore a quanto previsto dal d.l. n. 78 del  2010,
come convertito. 
    A incidere  sull'affidamento  della  ricorrente  in  primo  grado
concorre anche l'incompatibilita' di tale incarico con l'esercizio di
qualunque attivita' di lavoro autonomo o subordinato e  di  qualsiasi
commercio o professione,  nonche'  la  previsione  della  sua  durata
quinquennale. 
    Sempre sul piano della proporzionalita', occorre valutare  se  lo
strumento impiegato sia adeguato al raggiungimento dello scopo  e  se
il sacrificio imposto, tra «piu' misure appropriate, prescriva quella
meno restrittiva dei diritti  a  confronto  e  stabilisca  oneri  non
sproporzionati» (sentenza n. 1 del 2014). 
    Se la decurtazione prevista puo' ritenersi idonea a conseguire un
risparmio, comportando una minore spesa per l'ente regionale, il test
di proporzionalita' non puo' ritenersi superato con riferimento  alla
valutazione  del  minor  sacrificio  imposto,  alla   stregua   della
percentuale di riduzione del compenso, sia in se' considerata, sia in
rapporto  a  quelle  praticate  nel  medesimo  contesto  temporale  e
normativo. 
    Nel caso di specie, la discrezionalita'  del  legislatore  veneto
avrebbe  dovuto  essere  esercitata  offrendo  maggiore  tutela  alla
posizione del titolare dell'incarico indennitario: la norma regionale
censurata, praticando una riduzione sproporzionata, trasmoda  in  una
lesione del legittimo affidamento sulla stabilita' del rapporto,  che
ne determina l'illegittimita' costituzionale. 
    6.- Restano assorbiti gli ulteriori profili di censura. 
    7.- Come gia' affermato supra al punto 3, spettera' al giudice  a
quo individuare le modalita' con cui "ricomporre l'ordinamento".