ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale  dell'art.  73  della
legge della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia 14 maggio 2021, n.
6,   recante   «Disposizioni   in   materia   di   finanze,   risorse
agroalimentari   e   forestali,   biodiversita',   funghi,   gestione
venatoria, pesca sportiva, attivita' produttive,  turismo,  autonomie
locali,  sicurezza,  corregionali  all'estero,   funzione   pubblica,
lavoro,  professioni,  formazione,  istruzione,  ricerca,   famiglia,
patrimonio, demanio, sistemi informativi, infrastrutture, territorio,
viabilita', ambiente, energia,  cultura,  sport,  protezione  civile,
salute,  politiche  sociali  e   Terzo   settore   (Legge   regionale
multisettoriale 2021)», promosso dal  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri con ricorso notificato il 19-26 luglio 2021,  depositato  in
cancelleria il 26 luglio 2021, iscritto al n. 39 del registro ricorsi
2021 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della  Repubblica  n.  37,
prima serie speciale, dell'anno 2021. 
    Visto   l'atto   di   costituzione   della    Regione    autonoma
Friuli-Venezia Giulia; 
    udito  nell'udienza  pubblica  del  21  giugno  2022  il  Giudice
relatore Filippo Patroni Griffi; 
    uditi  l'avvocato  dello  Stato  Maria  Letizia  Guida   per   il
Presidente del Consiglio dei ministri e gli avvocati Massimo  Luciani
e Daniela Iuri per la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia; 
    deliberato nella camera di consiglio del 21 giugno 2022. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ricorso  iscritto  al  n.  39  del  reg.  ric.  2021,  il
Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e   difeso
dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  ha  promosso  questioni  di
legittimita' costituzionale dell'art. 73 della  legge  della  Regione
autonoma  Friuli-Venezia  Giulia  14  maggio  2021,  n.  6,   recante
«Disposizioni  in  materia  di  finanze,  risorse  agroalimentari   e
forestali, biodiversita', funghi, gestione venatoria, pesca sportiva,
attivita'   produttive,   turismo,   autonomie   locali,   sicurezza,
corregionali  all'estero,  funzione  pubblica,  lavoro,  professioni,
formazione,  istruzione,  ricerca,  famiglia,  patrimonio,   demanio,
sistemi   informativi,   infrastrutture,   territorio,    viabilita',
ambiente,  energia,  cultura,  sport,  protezione   civile,   salute,
politiche sociali e Terzo settore  (Legge  regionale  multisettoriale
2021)», «per violazione degli artt. 3, 4, 117, primo e secondo comma,
lett. m), 120, primo comma, e 137, terzo comma, Cost.». 
    Con tale disposizione la Regione ha inserito nell'art.  77  della
legge della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia 9 agosto 2005,  n.
18 (Norme regionali per l'occupazione, la tutela e  la  qualita'  del
lavoro), dopo il comma 3-quater, il comma 3-quater.1,  ai  sensi  del
quale «[f]ermi restando i requisiti di accesso agli incentivi di  cui
al Titolo III  Capo  I,  il  regolamento  regionale  attuativo  delle
disposizioni medesime puo' prevedere che l'ammontare degli  incentivi
sia modulato avuto riguardo al periodo di possesso  continuativo  del
domicilio fiscale sul territorio regionale da parte delle lavoratrici
e  dei  lavoratori  di  cui  viene  sostenuta   l'assunzione   o   la
stabilizzazione». 
    1.1.- Innanzitutto, il ricorrente espone che il predetto art.  77
era stato gia' modificato dall'art.  88  della  legge  della  Regione
autonoma Friuli-Venezia Giulia 8  luglio  2019,  n.  9  (Disposizioni
multisettoriali per esigenze urgenti del territorio regionale). 
    Quest'ultimo aveva inserito il comma  3-quinquies,  a  norma  del
quale «[a]l  fine  di  favorire  il  riassorbimento  delle  eccedenze
occupazionali determinatesi sul territorio regionale  in  conseguenza
di situazioni di crisi aziendale, gli incentivi di cui al comma 3-bis
possono  essere  concessi  esclusivamente  a  fronte  di  assunzioni,
inserimenti o stabilizzazioni occupazionali riguardanti soggetti che,
alla data della presentazione della domanda di  incentivo,  risultino
residenti continuativamente sul territorio regionale da almeno cinque
anni». 
    Tale comma e' stato dichiarato costituzionalmente illegittimo  da
questa Corte con la sentenza n. 281 del 2020, sulla base del  proprio
orientamento in materia di accesso ai servizi sociali, secondo cui il
requisito della  residenza  puo'  reputarsi  ammissibile  soltanto  a
determinate condizioni, quando sussista un  ragionevole  collegamento
con la funzione del servizio (sono richiamate le sentenze n.  44  del
2020, n. 168 e n. 141 del 2014, n.  222  e  n.  133  del  2013).  Con
particolare riferimento  alla  fattispecie  interessata  dalla  norma
impugnata, viene  ricordato  come,  nella  richiamata  pronuncia,  si
affermi  che   «sebbene   sia   condivisibile   che   gli   incentivi
occupazionali possono ben essere  rivolti  solo  alle  assunzioni  di
particolari  categorie  di  lavoratori,  risulta   irragionevole   il
collegamento tra il riconoscimento  di  un  incentivo  al  datore  di
lavoro e il requisito della residenza del lavoratore,  non  solo  ove
protratta nel tempo.  Sotto  un  primo  profilo,  infatti,  non  puo'
sostenersi  che  il  criterio  della  residenza  sia   necessario   a
identificare  l'ente  pubblico  competente  a   erogare   una   certa
prestazione, tenuto conto che, nel  caso  di  specie,  i  beneficiari
diretti dell'erogazione sono le imprese, che devono ovviamente  avere
una sede nel territorio  regionale.  Sotto  un  secondo  profilo,  la
limitazione  introdotta  dalla  disposizione  impugnata  risulta   in
contrasto con la ratio dalla stessa indicata, ossia il riassorbimento
delle eccedenze occupazionali determinatesi sul territorio  regionale
in conseguenza di situazioni di crisi aziendale.  Verrebbero  infatti
esclusi, ad esempio,  coloro  che,  sebbene  non  residenti,  abbiano
svolto un periodo di attivita' lavorativa piu'  consistente  rispetto
ai  soggetti  semplicemente  residenti,  dando  cosi'   un   maggiore
contributo a quel progresso della comunita' regionale asserito  anche
dalla difesa della Regione quale motivo ispiratore dell'incentivo. Il
che finirebbe per penalizzare la stessa mobilita' inter-regionale dei
lavoratori». 
    Alla  luce  di  tale  significativo  precedente,   analiticamente
ripercorso, il ricorrente sostiene innanzitutto che l'art.  73  della
legge reg. Friuli-Venezia  Giulia  n.  6  del  2021  si  porrebbe  in
contrasto  con  i  principi  dalla  stessa   affermati,   «integrando
un'elusione del dictum in essa contenuto con  conseguente  violazione
dell'art. 137, terzo comma, Cost.». 
    1.2.- Il ricorrente sostiene il contrasto con una serie di  altri
parametri. 
    La disposizione, infatti, -  a  parere  dell'Avvocatura  generale
dello Stato - «in violazione dell'art. 3 Cost., pone un'irragionevole
discriminazione quanto alla misura dell'incentivo, e  viola  altresi'
il principio affermato dall'art. 4 Cost., secondo cui il  diritto  al
lavoro  e'   riconosciuto   a   tutti   indistintamente,   di   fatto
privilegiando la categoria dei domiciliati di lungo periodo». 
    Inoltre, il ricorrente sostiene il contrasto  della  disposizione
impugnata con l'art.  117,  secondo  comma,  lettera  m),  Cost.,  in
relazione all'art. 11, comma 1, lettera c), del  decreto  legislativo
14 settembre  2015,  n.  150  (Disposizioni  per  il  riordino  della
normativa in materia di servizi per il lavoro e di politiche  attive,
ai sensi dell'articolo 1, comma 3, della legge 10 dicembre  2014,  n.
183), a mente del quale la disponibilita' di servizi e di  misure  di
politica attiva del lavoro deve essere assicurata a tutti i residenti
sul territorio italiano, a  prescindere  dalla  regione  o  provincia
autonoma di residenza, oltre che con  l'art.  120  Cost.,  in  quanto
«modulare gli incentivi all'occupazione, che spettano al  datore,  in
misura crescente nel loro importo in base all'anzianita' continuativa
di "domicilio  fiscale"  del  lavoratore  sul  territorio  regionale,
svantaggia il lavoratore che di fatto ha esercitato, nel corso  della
vita, il diritto alla libera circolazione all'interno del  territorio
nazionale o in un Paese membro UE». 
    Ne' le dedotte violazioni si potrebbero  reputare  scongiurate  -
prosegue la difesa erariale - per il fatto che la norma impugnata  fa
rinvio al regolamento attuativo che "puo'" modulare  l'entita'  degli
incentivi,  in  quanto  «da  un  lato,  l'indefinitezza  della  norma
primaria,  quanto  al   margine   entro   il   quale   contenere   la
discriminazione soggettiva fra lavoratori, lascia aperto l'adito alla
piu' radicale e "sproporzionata" delle sperequazioni; dall'altro,  la
fonte regolamentare regionale non  e'  autorizzata  a  derogare  alla
legislazione  statale  sopra  citata,   espressione   di   competenza
legislativa esclusiva di cui all'art. 117, secondo comma,  lett.  m),
Cost.». 
    Reputa, ancora, il ricorrente che l'impugnata disposizione violi,
altresi', l'art. 117, primo comma, Cost., in  relazione  all'art.  45
del Trattato  sul  funzionamento  dell'Unione  europea  (TFUE),  come
modificato dall'art. 2 del Trattato di Lisbona del 13 dicembre 2007 e
ratificato dalla legge 2 agosto 2008, n. 130, che assicura la  libera
circolazione  dei  lavoratori  all'interno  dell'Unione  europea,   e
all'art. 7 del regolamento (UE) n. 492/2011 del Parlamento europeo  e
del Consiglio, del 5 aprile 2011, relativo alla  libera  circolazione
dei lavoratori all'interno dell'Unione, che include  tra  gli  ambiti
ricompresi  nel  principio  di   parita'   di   trattamento   e   non
discriminazione la reintegrazione professionale e il  ricollocamento,
inclusa la materia degli incentivi occupazionali a favore dei  datori
di lavoro che intendano assumere lavoratori disoccupati. 
    In  chiusura,  il  ricorrente  sostiene   la   violazione   della
«disciplina statale a tutela dei lavoratori migranti di  paesi  terzi
non membri dell'UE: l'art. 2, comma 3, del D. lgs. n. 286/1998 (Testo
unico delle disposizioni concernenti la disciplina  dell'immigrazione
e norme sulla condizione dello straniero) prevede, infatti,  che  "la
Repubblica italiana, in attuazione della convenzione dell'OIL n.  143
del 24 giugno 1975, ratificata con  legge  10  aprile  1981,  n.  151
garantisce a tutti i lavoratori stranieri  regolarmente  soggiornanti
nel suo territorio e alle loro  famiglie  parita'  di  trattamento  e
piena uguaglianza di diritti rispetto ai lavoratori italiani"». 
    2.-  Si  e'  costituita   in   giudizio   la   Regione   autonoma
Friuli-Venezia Giulia, chiedendo  che  il  ricorso  venga  dichiarato
inammissibile e, in subordine, non fondato. 
    2.1.-  Secondo  la  difesa  regionale,  in   primo   luogo,   non
sussisterebbe  l'asserita  elusione  del  giudicato,  posto  che   la
disposizione   impugnata   e'   diversa    da    quella    dichiarata
costituzionalmente illegittima con la sentenza n. 281 del 2020. 
    E cio'  in  quanto  la  disposizione  scrutinata  dalla  suddetta
pronuncia (e cioe' il comma 3-quinquies dell'art. 77 della legge reg.
Friuli-Venezia Giulia n. 18 del 2005, introdotto dall'art.  88  della
legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 9 del 2019) fissava un  requisito
rigido di eleggibilita' per la concessione del beneficio (sia pure in
via indiretta, atteso che il destinatario principale e' l'impresa che
assume e non il  lavoratore),  mentre  quella  oggetto  del  presente
giudizio «si limita a contenere una clausola a regolamentare  che  fa
salvi i requisiti d'accesso gia' previsti per legge  e  che  consente
alla fonte secondaria di modulare l'ammontare degli  incentivi  sulla
base del periodo di possesso continuativo del domicilio  fiscale  sul
territorio  regionale».   Inoltre   la   disposizione   attuale   non
contemplerebbe un arco di tempo minimo di residenza  continuata  come
condizione per l'accesso al beneficio. 
    Oltre  a  cio',  la  Regione  rileva  come  il  ricorrente  abbia
erroneamente lamentato la violazione  dell'art.  137  Cost.  anziche'
dell'art. 136  Cost.,  rispetto  al  quale  ribadisce,  comunque,  le
medesime ragioni di non fondatezza. 
    2.2.- Proprio partendo dalla sentenza n. 281 del  2020,  poi,  la
resistente afferma la non fondatezza delle altre censure. 
    In particolare, viene innanzitutto valorizzato che nell'impugnata
disposizione non sarebbe previsto un generale limite  all'accesso  al
beneficio,  bensi'  la  possibilita'  che  quello   della   protratta
residenza costituisca un criterio preferenziale relativo  non  all'an
del beneficio, ma al suo quantum. E cio'  esattamente  in  linea  con
quanto affermato da questa Corte, secondo la  quale  «il  radicamento
territoriale non [puo']  assumere  un'importanza  tale  da  escludere
qualsiasi  rilievo  dello  stato  di  bisogno   [..]   essendo   piu'
appropriato utilizzarlo ai fini della  formazione  di  graduatorie  e
criteri preferenziali». 
    Peraltro - prosegue la Regione - non ci  si  puo'  lamentare  del
fatto che, in sede  d'attuazione  della  disposizione  impugnata,  il
regolamento regionale potrebbe quantificare in maniera  irragionevole
l'ammontare  degli  incentivi.  Tale   censura,   infatti,   dovrebbe
reputarsi  inammissibile  per   genericita',   astrattezza,   difetto
d'interesse e perche' sostanzialmente rivolta a una fonte  di  natura
regolamentare. 
    2.3.- Per le medesime ragioni, a  parere  della  resistente,  non
sarebbe pertinente il richiamo all'art. 11, comma l, lettera c),  del
d.lgs. n. 150 del 2015, poiche', diversamente da quanto postulato dal
ricorrente, non si  verterebbe  nell'ambito  competenziale  riservato
allo Stato ex art. 117, secondo comma, lettera m), Cost. 
    Sul punto viene sottolineato che la stessa  disposizione  statale
invocata, invece di procedere con la devoluzione di competenze o  con
l'attribuzione imperativa di funzioni e servizi ai diversi livelli di
governo  (come  sarebbe  fisiologico  ove  si  vertesse   in   ambito
competenziale statale),  prevede  il  ricorso  allo  strumento  della
"convenzione" tra Stato e Regioni. 
    Infine, in chiusura di tali argomentazioni,  viene  rimarcata  la
non ravvisabilita' di un contrasto con l'evocato art. 11,  in  quanto
la  disposizione  impugnata  non  escluderebbe  alcuna  categoria  di
lavoratori dall'accesso (indiretto) alle misure attive per il lavoro,
ma semplicemente  prevedrebbe  la  possibilita'  di  una  distinzione
relativa all'ammontare del beneficio. 
    2.4.- Manifestamente infondate sono reputate, poi, le censure  di
violazione del diritto eurounitario, in quanto l'impugnato art. 73 si
limita «a prevedere  la  possibilita'  di  modulare  l'ammontare  del
beneficio sulla base di un criterio che  e'  del  tutto  indifferente
alla nazionalita' o alla cittadinanza del lavoratore». 
    2.5.- Sulla base delle stesse argomentazioni viene dalla  Regione
sostenuta la non  fondatezza  della  censura  relativa  all'art.  120
Cost., in  quanto  la  mera  previsione  della  possibilita'  di  una
modulazione dell'entita' del beneficio sulla base dell'anzianita'  di
residenza non impedirebbe e  nemmeno  scoraggerebbe  la  circolazione
interregionale  dei  lavoratori,  i  quali  potrebbero  accedere   al
beneficio  anche  in  mancanza  di  una  qualificata  anzianita'   di
residenza nel territorio regionale. 
    2.6.- Non fondata viene reputata,  infine,  anche  l'affermazione
secondo  cui  il  legislatore  regionale  avrebbe   decampato   dalla
competenza legislativa  prevista  dagli  artt.  5  e  6  della  legge
costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1 (Statuto speciale della  Regione
Friuli-Venezia Giulia), che consentirebbe alla Regione di intervenire
nelle materie «lavoro, previdenza e assistenza sociale»  soltanto  in
funzione integrativa  e  attuativa  della  legislazione  statale,  in
quanto,  secondo  la  giurisprudenza  costituzionale,  la  competenza
legislativa statale in materia di determinazione dei  livelli  minimi
delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali ex art. 117,
secondo comma, lettera m), Cost. non impedirebbe  alle  autonomie  di
intervenire nell'assetto  socio-economico  regionale  per  apprestare
livelli ulteriori di tutela, funzione che  trova  il  suo  titolo  di
attribuzione  (quantomeno)  nella  competenza  legislativa  regionale
residuale ex  art.  117,  quarto  comma,  Cost.  (sul  punto  vengono
ricordate le sentenze di questa Corte n. 91 del 2020  e  n.  222  del
2013). 
    3.- L'Avvocatura generale dello Stato ha  depositato  memoria  in
data 31 maggio 2022, ribadendo le censure esposte nel ricorso. 
    In particolare, poi, viene ritenuto "non conferente" il  richiamo
operato dalla Regione nel proprio atto di costituzione a quella parte
della sentenza n. 281 del 2020 in cui si afferma che  il  radicamento
territoriale potrebbe essere utilizzato «ai fini della formazione  di
graduatorie e criteri preferenziali». Con essa, infatti, questa Corte
avrebbe inteso solamente sottolineare che il criterio del radicamento
territoriale non puo'  essere  utilizzato  per  «escludere  qualsiasi
rilievo dello stato di bisogno» mentre la «formazione di  graduatorie
e criteri preferenziali» verrebbe indicato come  possibile  legittimo
utilizzo del citato criterio. Nel  caso  in  esame,  invece,  non  si
tratterebbe di applicare il principio del radicamento nel  territorio
con riferimento a una procedura di assunzione o di selezione,  bensi'
di modulare l'entita' dell'incentivo da corrispondere  al  datore  di
lavoro che deve procedere all'assunzione stessa. 
    Infine, il ricorrente  insiste  sulla  violazione  dell'art.  11,
comma l, lettera c), del  d.lgs.  n.  150  del  2015,  non  ritenendo
dirimente la circostanza, valorizzata dalla resistente, per  cui,  ai
sensi della disposizione statale, la  gestione  dei  servizi  per  il
lavoro e per le politiche sociali sarebbe regolata da una convenzione
tra lo Stato e la Regione. A parere della difesa erariale,  il  fatto
che la norma interposta  disciplini  le  modalita'  di  gestione  dei
servizi per il lavoro e  per  le  politiche  sociali  attraverso  una
convenzione non solo  non  escluderebbe  la  sussistenza  del  potere
esclusivo dello Stato di legiferare,  ma,  anzi,  confermerebbe  che,
sulla materia, la Regione  non  puo'  intervenire  autonomamente  con
propri provvedimenti, tanto piu' di natura regolamentare. 
    4.- In pari data ha depositato memoria la Regione, con  la  quale
ribadisce alcune argomentazioni  gia'  svolte  nel  proprio  atto  di
costituzione, sviluppandole ulteriormente, ed esamina  analiticamente
le singole censure contestandone ammissibilita' e fondatezza. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Con ricorso iscritto al n. 39 del registro ricorsi  2021,  il
Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e   difeso
dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  ha  promosso  questioni  di
legittimita' costituzionale dell'art. 73 della  legge  della  Regione
autonoma  Friuli-Venezia  Giulia  14  maggio  2021,  n.  6,   recante
«Disposizioni  in  materia  di  finanze,  risorse  agroalimentari   e
forestali, biodiversita', funghi, gestione venatoria, pesca sportiva,
attivita'   produttive,   turismo,   autonomie   locali,   sicurezza,
corregionali  all'estero,  funzione  pubblica,  lavoro,  professioni,
formazione,  istruzione,  ricerca,  famiglia,  patrimonio,   demanio,
sistemi   informativi,   infrastrutture,   territorio,    viabilita',
ambiente,  energia,  cultura,  sport,  protezione   civile,   salute,
politiche sociali e Terzo settore  (Legge  regionale  multisettoriale
2021)», il quale ha inserito, nell'art. 77 della legge della  Regione
Friuli-Venezia Giulia 9 agosto  2005,  n.  18  (Norme  regionali  per
l'occupazione, la tutela e la qualita' del  lavoro),  dopo  il  comma
3-quater, il comma 3-quater.1, ai sensi del quale «[f]ermi restando i
requisiti di accesso agli incentivi di cui al Titolo III Capo  I,  il
regolamento regionale  attuativo  delle  disposizioni  medesime  puo'
prevedere che l'ammontare degli incentivi sia modulato avuto riguardo
al  periodo  di  possesso  continuativo  del  domicilio  fiscale  sul
territorio regionale da parte delle lavoratrici e dei  lavoratori  di
cui viene sostenuta l'assunzione o la stabilizzazione». 
    Sostiene l'Avvocatura generale dello Stato  che  la  disposizione
impugnata sarebbe costituzionalmente illegittima in quanto, eccedendo
dalle competenze  attribuite  alla  Regione  autonoma  Friuli-Venezia
Giulia dalla legge costituzionale 31  gennaio  1963,  n.  1  (Statuto
speciale della Regione Friuli-Venezia Giulia) - i cui artt. 5 e 6 non
prevedono la materia del lavoro tra quelle  riservate  alla  potesta'
legislativa della Regione, e il cui art. 6, in particolare,  consente
alla stessa di emanare in materia di «lavoro, previdenza e assistenza
sociale» soltanto «norme  di  integrazione  e  di  attuazione»  delle
disposizioni statali al fine di adeguarle  alle  proprie  particolari
esigenze  -,  si   porrebbe   in   contrasto   con   piu'   parametri
costituzionali: gli artt. 3, 4, 117, primo comma  -  quest'ultimo  in
relazione all'art. 45  del  Trattato  sul  funzionamento  dell'Unione
europea (TFUE), come modificato dall'art. 2 del Trattato  di  Lisbona
del 13 dicembre 2007 e ratificato dalla legge 2 agosto 2008, n.  130,
e all'art. 7 del regolamento (UE) n. 492/2011 del Parlamento  europeo
e del Consiglio, del 5 aprile 2011 -, e 117, secondo  comma,  lettera
m), della Costituzione - in relazione all'art. 11, comma  1,  lettera
c), del decreto legislativo 14 settembre 2015, n.  150  (Disposizioni
per il riordino della normativa in materia di servizi per il lavoro e
di politiche attive, ai sensi dell'articolo 1, comma 3,  della  legge
10 dicembre 2014, n. 183) -, nonche' con gli artt. 120, primo  comma,
in particolare nel suo collegamento con il principio  di  uguaglianza
di cui all'art. 3, secondo comma, e 137, terzo comma, Cost. 
    Da una complessiva lettura del ricorso si possono individuare due
gruppi  di  censure,  concernenti,  rispettivamente,  la   violazione
dell'art. 137 Cost., per elusione  del  giudicato  formatosi  con  la
sentenza di questa Corte  n.  281  del  2020,  e  la  violazione  dei
restanti parametri evocati. 
    2.- Quanto alla dedotta  censura  di  elusione  del  giudicato  -
essendo superabile l'eccezione di inconferenza del parametro ex  art.
137 Cost., sollevata dall'Avvocatura generale dello Stato, in  quanto
dal tenore del ricorso risulta chiaramente quale  sia  la  violazione
dedotta e l'indicazione del predetto parametro deve reputarsi  frutto
di un mero errore materiale (ex multis, sentenze n. 172 del 2020 e n.
225 del 2018) -, essa non e' fondata. 
    2.1.- L'art. 77 della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 18  del
2005 era stato gia' modificato dall'art. 88 della legge della Regione
autonoma Friuli-Venezia Giulia 8  luglio  2019,  n.  9  (Disposizioni
multisettoriali per esigenze urgenti del territorio  regionale),  con
l'inserimento del comma 3-quinquies, a norma del quale «[a]l fine  di
favorire   il   riassorbimento    delle    eccedenze    occupazionali
determinatesi sul territorio regionale in conseguenza  di  situazioni
di crisi aziendale, gli incentivi  di  cui  al  comma  3-bis  possono
essere concessi esclusivamente a fronte di assunzioni, inserimenti  o
stabilizzazioni occupazionali riguardanti  soggetti  che,  alla  data
della presentazione della domanda di incentivo,  risultino  residenti
continuativamente sul territorio regionale da almeno cinque anni». 
    Tale comma veniva dichiarato  costituzionalmente  illegittimo  da
questa Corte con la sentenza n. 281 del 2020, sulla base del  proprio
orientamento in materia di accesso ai servizi sociali, secondo cui il
requisito della  residenza  puo'  reputarsi  ammissibile  soltanto  a
determinate condizioni, quando sussista un  ragionevole  collegamento
con la funzione del servizio (sentenze n. 44 del 2020, n.  168  e  n.
141 del 2014, n. 222 e n. 133 del 2013). 
    Il ricorrente sostiene dunque che l'impugnato art. 73 della legge
reg. Friuli-Venezia Giulia n. 6 del 2021 si porrebbe in contrasto con
i principi affermati in tale pronuncia, «integrando  un'elusione  del
dictum in essa contenuto». 
    Ebbene, la violazione o l'elusione del giudicato ricorrono quando
la nuova disposizione «riproduce un'altra dichiarata incostituzionale
o  ne  persegue  anche  indirettamente  il  risultato  (ex  plurimis,
sentenze n. 164 del 2020, n. 57 del 2019, n. 101 del 2018, n. 250, n.
231 e n. 5 del 2017, n. 73 del 2013, n. 245 del 2012  e  n.  350  del
2010)» (sentenza n. 234 del 2020). 
    Il   comma   3-quinquies,   oggetto   della    declaratoria    di
illegittimita' costituzionale ad opera  della  sentenza  n.  281  del
2020,   fissava   un   criterio   (rappresentato   dalla    residenza
ultra-quinquennale nel territorio regionale) idoneo a  regolamentare,
ed  eventualmente  precludere,  l'accesso  al  beneficio  (sia   pure
indirettamente, essendone diretto destinatario il datore di  lavoro);
la disposizione oggetto del presente  giudizio,  invece,  prevede  la
possibilita' di modulare l'ammontare  degli  incentivi  occupazionali
sulla base del  domicilio  fiscale  nel  territorio  regionale.  Piu'
precisamente essa, fatti salvi i requisiti d'accesso  gia'  stabiliti
per legge, si limita a prevedere che il regolamento  attuativo  possa
modulare l'ammontare  degli  incentivi  sulla  base  del  periodo  di
possesso continuativo del domicilio fiscale sul territorio regionale,
senza, peraltro, contemplare un arco di  tempo  minimo  di  residenza
continuativa come condizione per l'accesso al beneficio. 
    E'  evidente,  dunque,  la  diversita'  di  struttura  delle  due
disposizioni: il comma 3-quater.1, se pure possa esporsi agli  stessi
dubbi di legittimita' costituzionale gia' sollevati  con  riferimento
al comma 3-quinquies, non «mantiene in vita o ripristina gli  effetti
della  medesima  struttura  normativa  oggetto  della  pronuncia   di
illegittimita'  costituzionale»  (sentenza  n.  236  del  2021,   che
richiama, ex multis, le sentenze n. 272 e n. 256 del 2020, n. 101 del
2018, n. 231 del 2017 e n. 72 del 2013). 
    Sicche' la questione di legittimita' costituzionale - da ritenere
riferita all'art. 136 Cost. - non e' fondata. 
    3.-  E',   invece,   fondata   la   questione   di   legittimita'
costituzionale promossa con riferimento agli artt. 3 e 120 Cost.,  in
particolare nel suo collegamento con l'art. 3, secondo comma, Cost. 
    3.1.- Questa Corte si e' espressa piu' volte su disposizioni  che
limitavano l'accesso a determinate provvidenze sociali  o  misure  di
assistenza sulla base del criterio  della  residenza  sul  territorio
regionale per un periodo prolungato. Tali  pronunce  sono  state  poi
richiamate proprio dalla ricordata  sentenza  n.  281  del  2020  con
specifico riferimento agli  incentivi  occupazionali  previsti  dalla
legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 18 del 2005. Si trattava in  quel
caso di benefici di carattere indiretto, riconosciuti in favore delle
aziende (destinatari  in  via  diretta)  che  effettuino  assunzioni,
inserimenti o stabilizzazioni occupazionali  riguardanti  determinate
categorie di soggetti (che ne sono, dunque, i beneficiari indiretti),
selezionati in base al requisito  della  residenza  continuativa  sul
territorio regionale da almeno cinque anni. 
    La giurisprudenza  costituzionale  consolidatasi  in  materia  ha
ammesso la possibilita', in considerazione  della  limitatezza  delle
risorse disponibili, di introdurre criteri selettivi per l'accesso ai
servizi sociali, utilizzando il requisito della residenza, ma solo  a
condizione che sussista un ragionevole collegamento tra il  requisito
medesimo e la funzione del servizio  al  cui  accesso  fa  da  filtro
(sentenze n. 7 del 2021, n. 281 e n. 44 del 2020, n. 168 e n. 141 del
2014, n. 222 e n. 133 del 2013). 
    Sotto altro  profilo,  si  e'  affermato  che,  se  la  residenza
costituisce un requisito ragionevole al  fine  d'identificare  l'ente
pubblico competente a erogare una certa prestazione,  non  e'  invece
possibile che l'accesso alle prestazioni pubbliche sia escluso per il
solo fatto di aver esercitato il proprio diritto di circolazione o di
aver dovuto mutare regione di residenza (sentenze n. 7 del  2021,  n.
281 e n. 44 del 2020 e n. 107 del 2018). 
    Con particolare  riferimento  al  requisito  della  residenza  di
durata ultra-quinquennale, questa Corte  ha  sottolineato  come  tale
prospettiva di stabilita' non possa assumere  un'importanza  tale  da
escludere il rilievo dello stato di bisogno, potendo semmai risultare
piu' appropriato ai fini della formazione di  graduatorie  e  criteri
preferenziali (sentenza n. 44 del 2020). 
    3.2.- Rilevanza decisiva assume, al riguardo,  che  si  verta  in
fattispecie di benefici diretti o indiretti. 
    Invero,  per  i   benefici   diretti,   graduatorie   e   criteri
preferenziali possono trovare applicazione, almeno di regola, al fine
di distribuire nel tempo i destinatari al beneficio  medesimo,  cosi'
incidendo unicamente sulla  tempistica  senza  che  ne  sia  precluso
l'accesso. 
    Per i benefici indiretti, invece, tra i  quali  vanno  ricompresi
gli incentivi occupazionali, graduatorie e criteri  preferenziali  si
traducono di regola (salvo che l'offerta di posti di lavoro ecceda la
domanda) in un fattore preclusivo dell'accesso al beneficio. 
    Infatti, la modulazione dell'incentivo occupazionale  rischia  di
"determinare", sulla base dell'entita' del beneficio che  andrebbe  a
ottenere, la scelta del datore di lavoro a favore di un  soggetto  al
posto  di  un  altro,   scelta   che   rappresenta   un'irreversibile
preclusione al beneficio per  quest'ultimo,  dato  che  il  posto  di
lavoro viene ormai  coperto.  Nei  benefici  a  carattere  indiretto,
cioe', va valutata la ragionevolezza di criteri preferenziali perche'
la  modulazione  dell'entita'  dell'incentivo  puo'  tradursi  in  un
fattore escludente, incidendo in maniera  determinante  sulla  scelta
del datore di lavoro del soggetto da assumere  al  posto  di  (e  non
semplicemente prima di) un altro, cosi' sostanziandosi in una vera  e
propria preclusione all'accesso. 
    Ai  criteri  preclusivi  all'accesso  al  beneficio  -   e   alla
giurisprudenza  costituzionale  elaborata  in  materia  -  va  dunque
assimilata, ai fini del controllo di ragionevolezza, la disciplina in
esame. 
    3.3.- Tanto premesso, occorre  accertare  se  il  criterio  posto
dall'impugnato comma 3-quater.1 alla base della possibile modulazione
dell'entita' dell'incentivo occupazionale possa reputarsi ragionevole
e coerente rispetto alla funzione del beneficio e  alla  ratio  della
norma (ex plurimis, sentenze n. 166 e n. 107 del  2018,  n.  168  del
2014, n. 172 e n. 133 del 2013 e n. 40  del  2011),  rammentando  che
«[i]l  giudizio  sulla  sussistenza  e   sull'adeguatezza   di   tale
collegamento  -   fra   finalita'   del   servizio   da   erogare   e
caratteristiche soggettive richieste ai suoi potenziali beneficiari -
e' operato da questa Corte secondo la struttura tipica del  sindacato
svolto  ai  sensi  dell'art.  3,  primo  comma,  Cost.,   che   muove
dall'identificazione della ratio della norma di riferimento  e  passa
poi alla verifica della coerenza con tale ratio del filtro  selettivo
introdotto» (sentenza n. 44 del 2020). 
    Nel caso in esame,  la  finalita'  della  disposizione  impugnata
viene identificata, da un lato, nella volonta'  di  premiare  chi  ha
contribuito alla crescita della Regione - come si evince  dai  lavori
preparatori - promuovendo «con tutti  gli  strumenti  disponibili  la
ricollocazione di quelle lavoratrici e di quei lavoratori  che,  dopo
avere contribuito per anni allo sviluppo  morale  e  materiale  della
comunita' regionale, avevano  pagato  maggiormente  il  prezzo  delle
situazioni di crisi innescatesi in questi ultimi anni in  termini  di
disoccupazione e precarieta'»; dall'altro lato, -  come  sottolineato
dalla stessa Regione nel proprio atto di costituzione in  giudizio  -
nell'esigenza di arginare l'emorragia demografica di cui la stessa e'
teatro negli ultimi anni, come attestato dalla Nota di  Aggiornamento
del documento di economia e finanza regionale 2021  depositata  dalla
stessa Regione. 
    Ebbene, questa Corte ha gia' chiarito  che  e'  irragionevole  il
collegamento tra il  riconoscimento  di  un  incentivo  occupazionale
destinato al datore di lavoro e  il  requisito  della  residenza  del
lavoratore, cosi' come e' irragionevole  valorizzare  il  radicamento
territoriale per riassorbire le eccedenze occupazionali (sentenza  n.
281 del 2020). 
    E cio' in quanto, innanzitutto, il radicamento nel territorio nel
passato  non  e'  garanzia  di  futura  stabile  permanenza   in   un
determinato ambito territoriale (sentenze n. 281 e n. 44 del 2020). 
    Inoltre, una volta esclusa la necessita' di  un  criterio  legato
alla residenza a fini particolari, quale  l'individuazione  dell'ente
erogatore del beneficio  (che  avviene  tramite  requisiti  specifici
legati al datore di lavoro, diretto destinatario della  prestazione),
deve ritenersi irragionevole utilizzare tale criterio che  limita  la
mobilita' di chi non risiede  nella  regione,  sfavorendo  dunque  la
mobilita' interregionale dei lavoratori (sempre sentenza n.  281  del
2020). 
    Del resto, se si tratta di "agevolare" chi ha  dato  un  maggiore
contributo a quel progresso della comunita' regionale (come affermato
anche  dalla  difesa  della  Regione   nell'individuare   il   motivo
ispiratore dell'incentivo de quo), non puo' trascurarsi  che  chi  si
sposta  da  altra  regione  presumibilmente  ha,   dal   canto   suo,
contribuito  al  welfare  di  quest'ultima   e   si   finirebbe   per
penalizzarlo per aver esercitato il proprio diritto  di  circolazione
infraregionale consacrato dall'art. 120 Cost. 
    Ebbene,  l'introduzione  di   requisiti   legati   al   pregresso
radicamento territoriale  (basati  vuoi  sulla  residenza,  vuoi  sul
domicilio fiscale) finisce per costituire  una  limitazione,  seppure
meramente fattuale, alla circolazione tra le regioni,  in  violazione
del  divieto  per  queste  ultime  di  adottare   provvedimenti   che
ostacolino «in qualsiasi modo», e quindi anche di  fatto,  la  libera
circolazione  delle  persone   e   delle   cose   fra   le   regioni,
sostanziandosi in una lesione dell'art. 120, primo comma,  Cost.,  in
particolare nel suo collegamento con l'art. 3, secondo  comma,  Cost.
(cosi', ancora, sentenze n. 281 del 2020 e n. 107 del 2018). 
    3.4.- Ne' rileva in senso  contrario  il  fatto  che  l'impugnato
comma 3-quater.1 preveda solo la possibilita'  che,  con  regolamento
attuativo, si proceda alla modulazione dell'entita', in quanto e'  la
possibilita' in se' prevista dalla legge - a prescindere, quindi, dal
concreto atteggiarsi della sua attuazione nella sede regolamentare  -
a rappresentare un vulnus rispetto agli evocati parametri, tanto piu'
alla  luce  di  un  criterio-guida  dalla   portata   particolarmente
generica. 
    4.-  Sulla   base   di   tali   argomentazioni,   va   dichiarata
l'illegittimita' costituzionale dell'art. 77, comma 3-quater.1, della
legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 18 del 2005, introdotto dall'art.
73 della  legge  reg.  Friuli-Venezia  Giulia  n.  6  del  2021,  per
violazione  degli  artt.  3  e  120,  primo  comma,  Cost.,  nel  suo
collegamento con l'art. 3, secondo comma, Cost. 
    La questione di legittimita' costituzionale relativa all'art. 136
Cost. e' invece non fondata. 
    Restano assorbiti gli altri parametri.