TRIBUNALE DI VITERBO Sezione civile Ufficio esecuzioni immobiliari E.I. R.G. 244/2008. Atto di promovimento di questione di legittimita' costituzionale; Il giudice dott. Antonino Geraci, a scioglimento della riserva assunta all'udienza del 9 febbraio 2022; Visto l'art. 23, legge n. 87/1953; Rilevato che il sottoscritto e' giudice della esecuzione immobiliare di cui in epigrafe; Rilevato che le attivita' dell'esperto e i contenuti della perizia di stima sono descritti dall'art. 173-bis disp. att. del codice di procedura civile; Considerato che in particolare l'art. 173-bis disp. att. del codice di procedura civile n. 8) prevede «la verifica che i beni pignorati siano gravati da censo, livello o uso civico e se vi sia stata affrancazione da tali pesi, ovvero che il diritto sul bene del debitore pignorato sia di proprieta' ovvero derivante da alcuno dei suddetti titoli»; Rilevato che dall'esame della documentazione ipocatastale e della relazione stimativa redatta dall'esperto stimatore, depositata in data 3 febbraio 2010 (cfr. pag. 10), e' emerso che la proprieta' degli immobili staggiti siti nel comune di ... censiti nel N.C.T. al foglio ..., particelle ... (oggi e ...) - (oggi ...) e' gravata da usi civici di «ghiandare» e «spigare» non ancora liquidati; Rilevato che l'esistenza di tali usi civici risulta confermata anche dall'atto di acquisto del debitore esecutato del ... ove peraltro si precisa «che il terreno in oggetto, di natura privata, e' gravato da usi civici di "ghiandare" e "spigare" per cui il comune di ... ha notificato alla venditrice in data ... proposta di liquidazione, la liquidazione di detti usi civici ed il relativo atto di affrancazione rimarranno ad esclusivo carico della venditrice» (cfr. atto notarile depositato in allegato alla relazione peritale in data 26 febbraio 2019); Rilevato che anche nell'atto di acquisto del dante causa del debitore, rogato in data ..., si specifica che i terreni risultano gravati da usi civici, come da certificato di destinazione urbanistica del ... allegato al predetto atto notarile (cfr. atto notarile depositato in allegato alla relazione peritale in data 26 febbraio 2019); Considerato che all'udienza del 13 maggio 2010 il compendo staggito veniva posto in vendita, nonostante fosse gravato da usi civici, in virtu' della ritenuta alienabilita' dei beni di proprieta' privata gravati da usi civici; Rilevato che in data 8 novembre 2017, a seguito di molteplici esperimenti di vendita, il bene veniva aggiudicato; Rilevato che in data 22 marzo 2018 veniva tuttavia dichiarata la decadenza dell'aggiudicatario per mancato versamento del prezzo nel termine previsto nell'ordinanza di vendita disponendo altresi' la perdita della cauzione versata; Considerato che l'art. 177 disp. att. del codice di procedura civile dispone che «l'aggiudicatario inadempiente e' condannato, con decreto del giudice dell'esecuzione, al pagamento della differenza tra il prezzo da lui offerto e quello minore per il quale e' avvenuta la vendita»; Ritenuto pertanto che occorre proseguire nelle operazioni di vendita sia per consentire ai creditori di soddisfarsi sul ricavato sia al fine di determinare l'importo cui condannare l'offerente inadempiente per l'ipotesi in cui la successiva aggiudicazione dovesse intervenire per un minor prezzo; Rilevato che all'udienza del 4 ottobre 2018, visto il carattere risalente nel tempo della relazione peritale iniziale, l'esperto stimatore e' stato incaricato di redigere la relazione tecnica aggiornata sullo stato dei beni immobili staggiti; Considerato che, in seguito a diverse integrazioni documentali richieste all'esperto stimatore, e' stata disposta la comparizione delle parti all'udienza del 9 febbraio 2022 onde procedere all'ordinanza di vendita del compendio staggito; Rilevato che in data 20 gennaio 2022 l'esperto stimatore depositava un certificato del comune di ... nel quale si dava atto che i beni censiti al foglio ... del predetto comune ed identificati con le particelle ... (ricompresi nel pignoramento debitamente trascritto in data ... reg. part. ... e reg. gen. ...) sono gravate da diritti civici ma non ricadono nel demanio civico; Considerato pertanto che dalla documentazione prodotta dall'esperto in data 20 gennaio 2022 si evince che non e' stata portata a compimento l'attivita' di liquidazione degli usi civici richiamata nell'atto di acquisto del ... in virtu' della proposta del comune di ..., successivamente ritirata; Rilevato che medio tempore e' stata promulgata la legge 20 novembre 2017, n. 168, rubricata «Norme in materia di domini collettivi» entrata in vigore il 13 dicembre 2017, ossia in epoca successiva alla iscrizione delle formalita' ipotecarie sul compendio e alla trascrizione dell'atto di pignoramento nonche' all'aggiudicazione disposta dal professionista delegato in data 8 novembre 2017; Considerato che l'art. 3, comma 1, legge 20 novembre 2017, n. 168, in materia di domini collettivi, definisce beni collettivi «a) le terre di originaria proprieta' collettiva della generalita' degli abitanti del territorio di un comune o di una frazione, imputate o possedute da comuni, frazioni od associazioni agrarie comunque denominate; b) le terre, con le costruzioni di pertinenza, assegnate in proprieta' collettiva agli abitanti di un comune o di una frazione, a seguito della liquidazione dei diritti di uso civico e di qualsiasi altro diritto di promiscuo godimento esercitato su terre di soggetti pubblici e privati; c) le terre derivanti: da scioglimento delle promiscuita' di cui all'art. 8 della legge 16 giugno 1927, n. 1766; da conciliazioni nelle materie regolate dalla predetta legge n. 1766 del 1927; dallo scioglimento di associazioni agrarie; dall'acquisto di terre ai sensi dell'art. 22 della medesima legge n. 1766 del 1927 e dell'art. 9 della legge 3 dicembre 1971, n. 1102; da operazioni e provvedimenti di liquidazione o da estinzione di usi civici; da permuta o da donazione; d) le terre di proprieta' di soggetti pubblici o privati, sulle quali i residenti del comune o della frazione esercitano usi civici non ancora liquidati; e) le terre collettive comunque denominate, appartenenti a famiglie discendenti dagli antichi originari del luogo, nonche' le terre collettive disciplinate dagli articoli 34 della legge 25 luglio 1952, n. 991, 10 e 11 della legge 3 dicembre 7977, n. 1102, e 3 della legge 31 gennaio 1994, n. 97; f) i corpi idrici sui quali i residenti del comune o della frazione esercitano usi civici»; Ritenuto, dunque che, i beni staggiti ed indicati nel certificato del comune di ... del ... costituiscono beni collettivi ai sensi della lettera d) dell'art. 3, comma 1, legge n. 168/2017 non risultando completato il procedimento di liquidazione degli usi civici su di essi gravanti; Considerato che l'art. 3, comma 2, legge n. 168/2017 non ricomprende i beni di cui alla lettera d) del comma 1 del medesimo articolo tra i domini collettivi che «costituiscono il patrimonio antico dell'ente collettivo, detto anche patrimonio civico o demanio civico»; Considerato che tuttavia l'art. 3, comma 3, legge n. 168/2017 dispone che «Il regime giuridico dei beni di cui al comma 1 resta quello dell'indivisibilita', dell'inusucapibilita' e della perpetua destinazione agro-silvo-pastorale», senza escludere da tale regime i domini collettivi di proprieta' di privati di cui all'art. 3, comma 1, lettera d); Considerato che l'art. 11 della legge 16 giugno 1927, n. 1766, riguardante il riordinamento degli usi civici ha distinto i beni costituenti il demanio civico (agr. art. 9 della legge) in due categorie ossia: a) convenientemente utilizzabili come bosco o come pascolo permanente; b) convenientemente utilizzabili per la coltura agraria; Rilevato che la richiamata legge n. 1766 del 1927 sancisce per i beni della categoria sub a) l'inalienabilita' e l'impossibilita' di mutamento di destinazione, salvo autorizzazione del Ministro dell'economia nazionale (art. 12, comma secondo) mentre per i beni della categoria sub b) la possibilita' della ripartizione e della assegnazione a coltivatori diretti, a titolo di enfiteusi con obbligo delle migliorie (articoli 13 e seguenti) e possibilita' di affrancazione dei fondi a seguito di accertamento delle stesse (cfr. articoli 19 e 21); Rilevato che i divieti di alienazione sanciti dalla predetta legge 16 giugno 1927, n. 1766 ed, in particolare il regime ivi previsto dall'art. 21, comma 3, risultano testualmente riferiti solo alle terre appartenenti alle collettivita' (o comunque a soggetti pubblici) non anche alle terre private gravate da diritti in favore delle collettivita'; Considerato che tale interpretazione trova conferma sia nella dottrina notarile sia nell'operato dei diversi notai che hanno rogato negli ultimi vent'anni gli atti di alienazione del compendio pignorato e cio' hanno fatto nella piena consapevolezza dell'esistenza di siffatti usi civici; Rilevato che anche la prassi amministrativa, pur non rilevando quale fonte del diritto, conferma l'interpretazione costante circa l'assenza di limiti al regime di alienabilita' delle terre private gravate da usi civici (cfr. nota assessorato agricoltura e foreste Regione Lazio, 11 giugno 1990, prot. 3375); Rilevato che al contrario l'inalienabilita' di cui art. 3, comma 3 della legge n. 168/2017 e' testualmente riferita a tutti i domini collettivi indicati nel medesimo articolo; Considerato peraltro che la legge 20 novembre 2017, n. 168, non contiene alcuna disposizione transitoria relativa alle terre private gravate da usi civici per le quali alla data di entrata in vigore della legge non sia stato concluso il procedimento di liquidazione; Rilevato altresi' che il legislatore ha formulato la disposizione di cui all'art. 3, comma 3, della predetta legge come una norma di carattere meramente ricognitivo utilizzando la locuzione «il regime giuridico dei beni di cui al comma 1 resta quello dell'inalienabilita'»; Considerato pertanto che, pur nell'assenza di una pregressa espressa previsione normativa che sancisse l'inalienabilita' delle terre private gravate da usi civici, il legislatore ha inteso fornire una interpretazione del dato normativo previgente come contenente un generalizzato divieto di alienazione per tutti i domini collettivi, a prescindere dalla natura pubblica o privata dei beni; Rilevato che la Corte di cassazione ha gia' avuto modo di chiarire che «Un bene aggravato da uso civico non puo' essere oggetto di espropriazione forzata, per il particolare regime della sua titolarita' e della sua circolazione, che lo assimila ad un bene appartenente al demanio, nemmeno potendo per esso configurarsi una cosiddetta sdemanializzazione di fatto; l'incommerciabilita' derivante da tale regime comporta, che, al di fuori dei procedimenti di liquidazione dell'uso civico e prima del loro formale completamento, la preminenza di quel pubblico interesse, che ha impresso al bene immobile il vincolo dell'uso civico stesso, ne vieti qualunque circolazione, compresa quella derivante dal processo esecutivo, quest'ultimo essendo posto a tutela dell'interesse del singolo creditore, e dovendo percio' recedere dinanzi al carattere superindividuale e lato sensu pubblicistico dell'interesse legittimante l'imposizione dell'uso civico; siffatto divieto comporta pertanto la non assoggettabilita' del bene gravato da uso civico ad alcuno degli atti del processo esecutivo, a partire dal pignoramento» (cosi' Cass. sez. III, 28 settembre 2011, n. 19792); Rilevato che tale statuizione e' stata formulata in riferimento ai beni del demanio civico peri quali e' stato escluso sia il maturare dell'usucapione in favore degli occupanti sia la possibilita' che il carattere della demanialita' possa venir meno in assenza di provvedimenti amministrativi formali ed in via di mero fatto; Considerato che pertanto, a contrario, deve dedursi che nella disciplina antecedente alla legge n. 168/2017 non vi fosse una preclusione al pignoramento delle terre private gravate da usi civici in quanto le stesse non appartengono al demanio civico (in argomento anche Cassazione civile sez. II - 22/01/2018, n. 1534, con riferimento al diritto del livellario); Ritenuto che la disposta inalienabilita' dei domini collettivi, ex combinato disposto dei comma 1, lettera d) e comma 3 dell'art. 3 della legge n. 168/2017, si applica anche alle vendite disposte in sede esecutiva stante l'assenza di una espressa deroga ed in virtu' dei richiamati principi della Corte di cassazione circa il carattere recessivo degli interessi del ceto creditorio rispetto al pubblico interesse considerato dal complesso delle norme concernenti gli usi civici; Ritenuto che, nella presente procedura esecutiva, ai fini della prosecuzione delle vendite e' necessario previamente scrutinare la legittimita' costituzionale del regime di inalienabilita' espressamente previsto peri beni ascrivibili alla categoria di cui all'art. 3, comma 1, lettera d) della legge n. 168/2017 tra cui rientrano i beni oggetto della procedura esecutiva in epigrafe, censiti al N.C.T. del Comune di ... foglio ... particelle n. ... Solleva questione di legittimita' costituzionale della predetta disposizione, in quanto confluente con gli articoli 3, 24 e 42 della Carta costituzionale; Motivi 1. Ricostruzione della fenomenologia degli usi civici. La Corte di cassazione ha avuto modo di statuire che con l'espressione «uso civico» si intende «sia il diritto dell'intera collettivita' di trarre alcune utilita' primarie dalle terre su cui l'uso grava, sia l'esercizio di tale diritto, che non puo' avvenire se non per mezzo del singolo utente, il quale, in quanto membro della collettivita', e' titolare, egli stesso, come singulus et civis, dell'uso nei confronti del proprietario della terra su cui l'uso grava nei confronti degli altri utenti» (cosi' Cassazione 2 febbraio 1962, n. 210, in Foro amministrativo, 1962, II, p. 394). Il dossier n. 594 elaborato dal servizio studi della Camera dei deputati evidenzia che «I beni gravati da uso civico sono stati sovente - soprattutto nelle impostazioni piu' risalenti ricostruiti come terre in dominio collettivo, la cui negoziazione e circolazione presupponeva l'assenso di tutti i cives, talvolta perfino fondata sul malagevole criterio dell'unanimita', nel senso cioe' che nessun membro della collettivita' civica nel momento negoziale poteva mancare, ne' essere di contrario avviso, affinche' la popolazione non si privasse dei suoi secolari diritti senza un'apprezzabile contropartita». In virtu' del carattere di proprieta' collettiva la giurisprudenza di legittimita' e' giunta ad assimilare il bene gravato da uso civico a quello demaniale, (Cassazione, 12 ottobre 1948, n. 1739; Cassazione 12 dicembre 1953, n. 3690) ovvero equiparando il relativo regime a quello proprio dei beni demaniali (Cassazione 8 novembre 1983, n. 6589; Cassazione 28 settembre 1977, n. 4120; Cassazione 15 giugno 1974, n. 1750). La dottrina, in particolar modo quella notarile, ha avuto tuttavia modo di elaborare una prima distinzione tra usi civici su terre facenti parte del cd. «demanio feudale o allodiale», ovvero appartenenti a privati, dai diritti su beni di proprieta' collettiva, facenti parte del demanio civico universale o comunale. Tale distinzione e' stata fatta propria dalla legge n. 168/2017 ed in particolare dall'art. 3, comma 2, ove e' chiarito che i beni di cui al comma 1 dell'art. 3, lettere a), b), c), e) e f), costituiscono il patrimonio antico dell'ente collettivo, detto anche patrimonio civico o demanio civico. Non sono invece richiamati i domini collettivi di cui all'art. 3, comma 1, lettera d), ossia le terre di proprieta' di soggetti pubblici o privati, sulle quali i residenti del comune o della frazione esercitano usi civici non ancora liquidati. Nel gia' richiamato dossier n. 594 si specifica che tale mancata inclusione dei beni di cui alla predetta lettera d) «sembra derivare dal fatto che le terre di cui alla lettera d) appartengono "iure privatorum" a un ente collettivo oppure a un privato che, in entrambi i casi, sfuggono alla qualifica di bene demaniale». La piu' accreditata dottrina ha definito gli usi civici in re aliena, ossia gravanti su terre private, come utilitates a vantaggio di una comunita' su di un determinato territorio che puo' appartenere sia ad un soggetto privato sia ad un'altra collettivita'. Si e' peraltro osservato come l'eventuale accostamento dell'uso civico in re aliena alle servitu' prediali non rende possibile individuare un fondo servente e un fondo dominante. Si e' quindi proposto di qualificare l'uso civico come un diritto che ha non solo le tradizionali caratteristiche reali di inerenza al fondo, ma anche l'assolutezza, l'opponibilita' a terzi, la difendibilita' in giudizio. Tuttavia, esso e' atipico perche' non e' costruito come un limite al potere del proprietario, ma come parte di una situazione dominicale complessa, in cui la titolarita' del diritto e la sua utilizzazione concreta convivono non come situazioni di eccezionale scomposizione del contenuto proprietario, ma come situazione normale, naturalmente costruita intorno alla dissociazione tra dominio diretto e dominio utile. 2. Violazione del principio di uguaglianza (art. 3 della Costituzione). In primo luogo l'art. 3, comma 3 della legge n. 168/2017 appare in contrasto con l'art. 3 della Carta costituzionale in quanto regola in modo eguale situazioni giuridiche differenti. Invero, tale disposizione assoggetta al medesimo regime di inalienabilita' sia i domini collettivi di cui all'art. 3, comma 1, lettera d) della predetta legge sia i domini collettivi costituenti il demanio civico ex art. 3, comma 2 della legge n. 168/2017. Invero la Corte costituzionale ha chiarito che la discrezionalita' del legislatore «trova pur sempre un limite nel "criterio di ragionevolezza", il quale circoscrive la discrezionalita' del legislatore e vincola le sue scelte all'adozione di soluzioni coerenti coni parametri costituzionali» (sentenza n. 70 del 2015, punto 8 del considerato in diritto cosi' come richiamato dalla ordinanza n. 96/2018). Il legislatore cosi' omette di considerare la natura non demaniale delle terre di proprieta' di soggetti pubblici o privati, sulle quali i residenti del comune o della frazione esercitano usi civici non ancora liquidati. La normativa cosi' comprime in modo ingiustificato il diritto di proprieta' spettante ai soggetti pubblici o privati sulle terre gravate da usi civici. La disposizione non appare dettata dall'esigenza di preservare i diritti esercitati dalla collettivita' poiche' il trasferimento del diritto di proprieta' non appare ostativo all'esercizio degli usi civici gravanti sul bene. L'alienazione del bene infatti non provoca di per se' la cessazione dell'uso civico gravante su di esso al pari di quanto l'ordinamento giuridico prevede per altri diritti reali in re aliena. Il procedimento di liquidazione, ove non fosse impedita l'alienazione ex art. 3, comma 3, legge n. 168/2017, ben potrebbe infatti essere avviato anche dall'avente causa dell'alienante. La titolarita' del diritto domenicale appare irrilevante per la comunita' stante l'immutato esercizio dell'uso civico sul bene privato. La disposizione della legge n. 168/2017 appaiono pertanto in contraddizione tra loro in quanto da un lato il comma 2 dell'art. 3 ribadisce la differenza esistente tra domini collettivi costituenti il demanio civico e le terre private, dall'altro assoggetta entrambe le differenti tipologie di uso civico al medesimo regime di inalienabilita' (art. 3, comma 3). Il regime di inalienabilita' previsto per il demanio civico, al contrario, appare giustificato dall'appartenenza della terra alla comunita' stessa di guisa che le limitazioni alla circolazione del bene appaiono funzionali a garantire il rispetto dello speciale procedimento previsto dalla legge 6 giugno 1927, n. 1766 e dal relativo regolamento di attuazione. In tal modo il legislatore ha inteso contemperare la possibilita' di alienare tali domini collettivi con le esigenze della collettivita' stessa prevedendo particolari condizioni soggettive per il trasferimento ovvero specifiche modalita' di impiego delle somme da versare per l'alienazione del bene. Tali esigenze non sussistono invece per l'alienazione delle terre private gravate da uso civico. In tal caso infatti il proprietario del bene dispone del proprio diritto di proprieta' senza che cio' arrechi nocumento alla collettivita' stante la permanenza dell'uso civico gravante sul bene. Il patrimonio della collettivita' inoltre appare indifferente all'alienazione delle terre private non subendo ne' un incremento ne' un decremento, al contrario di quanto si verifica in caso di alienazione dei beni costituenti il demanio civico. In virtu' delle considerazioni che precedono la normativa derivante dal combinato disposto dell'art. 3, comma 1, lettera d); comma 2 e comma 3 appare irragionevole anche sotto il profilo del bilanciamento tra la compressione del diritto del proprietario e la tutela delle prerogative spettanti alla collettivita'. 3. Violazione dell'art. 24 della Carta costituzionale. La Corte costituzionale ha piu' volte precisato che la garanzia - riconosciuta dall'art. 24, primo comma della Costituzione - di poter agire in giudizio per la tutela dei propri diritti comprende anche l'esecuzione forzata, che e' diretta a rendere effettiva l'attuazione del provvedimento del giudice (Corte costituzionale - sentenza n. 522 del 2002). Come recentemente affermato, «La tutela in sede esecutiva, infatti, e' componente essenziale del diritto di accesso al giudice: l'azione esecutiva rappresenta uno strumento indispensabile per l'effettivita' della tutela giurisdizionale perche' consente al creditore di soddisfare la propria pretesa in mancanza di adempimento spontaneo da parte del debitore (ex plurimis, sentenze n. 225 del 2018, n. 198 del 2010, n. 335 del 2004, n. 522 del 2002 e n. 321 del 1998; ordinanza n. 331 del 2001). La fase di esecuzione coattiva delle decisioni di giustizia, proprio in quanto componente intrinseca ed essenziale della funzione giurisdizionale, deve ritenersi costituzionalmente necessaria (sentenza n. 419 del 1995), stante che «il principio da' effettivita' della tutela giurisdizionale [...] rappresenta un connotato rilevante di ogni modello processuale» (sentenze n. 225 del 2018 e n. 304 del 2011). E' certo riservata alla discrezionalita' del legislatore la conformazione degli istituti processuali, con il limite della manifesta irragionevolezza o arbitrarieta' della disciplina (ex plurimis, sentenze n. 44 del 2016, n. 10 del 2013 e n. 221 del 2008); ma tale limite e' valicato «ogniqualvolta emerga un'ingiustificabile compressione del diritto di agire» (sentenza n. 225 del 2018; negli stessi termini, tra le tante, sentenze n. 87 del 2021, n. 271 del 2019, n. 44 del 2016 e n. 335 del 2004) (Cosi' Corte costituzionale sentenza n. 128 del 2021). L'inalienabilita' prevista per le terre private di cui all'art. 3, comma 1, lettera d), testualmente prevista dall'art. 3, comma 3 della legge n. 168/2017 appare in contrasto anche con il precetto dell'art. 24 della Carta costituzionale. La normativa omette di considerare che il proprietario del bene gravato da uso civico (al contrario di quanto avviene per l'occupante privo di titolo per le terre appartenenti al demanio civico) puo' legittimamente utilizzare il fondo purche' cio' non contrasti con l'esercizio dei diritti di uso civico spettanti alla collettivita'. In tal modo il creditore, in pendenza del procedimento di liquidazione dell'uso civico, viene privato del diritto di procedere ad esecuzione forzata sul bene senza che sia finanche apprestata tutela alla conservazione del bene del debitore che godendone potrebbe arrecare danni allo stesso. La circostanza che il debitore possa medio tempore godere del bene, con il solo limite di garantire alla collettivita' l'uso civico, rende estremamente probabile che l'esecutato si astenga (non essendovi obbligato) dal concludere il procedimento di liquidazione cosi' da poter godere indefinitamente del bene stante la persistenza dell'uso civico non ancora liquidato. Al contempo anche la collettivita' che esercita l'uso civico appare meno tutelata nell'esercizio del proprio diritto. La circostanza che il proprietario del bene sia un soggetto gia' inadempiente alle obbligazioni assunte verso il ceto creditorio impedirebbe alla collettivita' di poter ottenere dallo stesso il risarcimento del danno nel caso in cui lo stesso impedisse l'esercizio dell'uso civico non potendo essere recuperate neppure le spese legali dei relativi procedimenti. La deficitaria situazione patrimoniale del proprietario inoltre esporrebbe i beni ad un possibile decadimento in assenza della necessaria manutenzione che come noto richiede disponibilita' economico finanziarie. In tal modo l'inalienabilita' del bene, in assenza di una normativa che ne escluda l'applicabilita' ai procedimenti esecutivi, concorsuali ed in genere alle vendite coattive, pone il debitore nella condizione di sottrarsi alla vendita coattiva dei suoi beni senza che cio' si traduca nella tutela dei diritti esistenti in favore della collettivita' che la legge n. 168/2017 intende salvaguardare. Non vi e' infatti alcuna previsione che consenta ai creditori di avviare e concludere il procedimento di liquidazione dell'uso civico gravante sui beni di proprieta' del debitore e cio' finanche qualora il debitore abbia concesso diritti reali di garanzia sul bene. Parimenti al giudice dell'esecuzione non e' attribuito alcun potere in merito al procedimento di liquidazione volto a procurare l'estinzione del diritto di uso civico. La normativa appare pertanto irragionevole e comporta una sproporzionata compressione dei diritti del ceto creditorio senza peraltro avere riguardo alla natura del soggetto creditore rispetto al debitore. Si pensi all'esecuzione forzata intrapresa per il mancato pagamento di prestazioni alimentari o di mantenimento. E' noto che l'ordinamento italiano prevede altre ipotesi di inalienabilita' del bene ovvero di temporanea incommerciabilita' dello stesso. In tali ipotesi tuttavia sono salvaguardate le prerogative del ceto creditorio come avviene ad esempio in materia di violazioni urbanistiche. In tal caso, il divieto di alienazione in presenza di abusi edilizi, non debitamente sanati, non opera nelle procedure esecutive cui tale facolta', in presenza di abusi sanabili, e' concessa all'aggiudicatario nei centoventi giorni successivi all'emissione del decreto di trasferimento. In tale ipotesi, il legislatore si e' avveduto della circostanza che il debitore potrebbe difettare di interesse a concludere la sanatoria ovvero potrebbe non disporre delle somme necessarie. In tal caso, la previsione che possa provvedervi l'aggiudicatario consente di bilanciare il diritto del ceto creditorio con gli ulteriori interessi contemperati dalla normativa urbanistica. La previsione di cui all'art. 3, comma 3 della legge n. 168/2017 invece non consente alcuna regolamentazione delle terre private gravate da usi civici soggette ad esecuzione forzata con cio' manifestando l'irragionevolezza della previsione normativa non corrispondendo tale divieto di alienazione ad alcun apprezzabile interesse dalla collettivita' che si intende tutelare. Tale previsione puo' infatti essere ritenuta ragionevole soltanto per i domini collettivi appartenenti al demanio civico. In tal caso l'inalienabilita' non pregiudica l'interesse del ceto creditorio in quanto il proprio debitore non risulta ancora proprietario del bene il quale appartiene invece alla collettivita'. Il creditore pertanto vanta una etera aspettativa a che il bene entri nel patrimonio del debitore. I diritti minori ad esso spettanti (ad esempio l'enfiteusi sui generis prevista dalla normativa speciale) in pendenza delle procedure volte ad estinguere gli usi civici sui beni del demanio civico sono correlati a specifici obblighi gravanti su tale soggetto e pertanto la inalienabilita' appare giustificata pur comprimendo l'interesse dei creditori. Il bene entrera' nel patrimonio del debitore soltanto in seguito alla conclusione del procedimento previsto dalla legge speciale. Non si pone inoltre la tematica dei diritti di garanzia atteso che tali diritti, se esistenti, sono stati costituiti in violazione della normativa vigente, e pertanto le esigenze dell'ereditare non appaiono meritevoli di tutela (si pensi all'ipoteca concessa dall'occupante abusivo). Parimenti l'eventuale occupazione del bene ovvero edificazione dello stesso rappresentano situazioni patologiche che non possono certo legittimare il debitore a ridurre le proprie obbligazioni mediante l'alienazione coattiva del bene appartenente al demanio civico e l'attribuzione del ricavato ai creditori. Tali considerazioni appaiono inconferenti invece con riguardo ai beni gravati da uso civico dei quali il debitore e' proprietario. 4. Violazione dell'art. 42 della Carta costituzionale. Infine, la previsione dell'inalienabilita' delle terre private gravate da usi civici appare lesiva del regime di proprieta' privata sancita dall'art. 42 della Corte costituzionale con riguardo al diritto di proprieta' esistente sulle terre gravate da usi civici alla data di entrata in vigore della legge n. 168/2017. Come si e' gia' avuto modo di argomentare infatti per i domini collettivi non appartenenti al demanio civico non sussistono ragioni di tutela della collettivita' che giustifichino la compressione del diritto di proprieta' impedendone la circolazione, in assenza di preventiva conclusione del procedimento di liquidazione. Parimenti non vi e' ragione per paralizzare le pretese creditorie e cio' specie per le procedure pendenti. Invero, in tale ipotesi, il creditore si trova nell'impossibilita' di completare l'iter previsto per la liquidazione dell'uso civico poiche' riservato all'iniziativa del debitore esecutato, il quale potrebbe tuttavia difettare non solo di interesse ma anche delle risorse materiali per provvedervi. La normativa di cui all'art. 3 della legge n. 168/2017, nonostante la formulazione apparentemente ricognitiva del regime esistente appare, come si avuto modo di esporre, e' innovativa rispetto al regime previgente di circolazione delle terre private introducendo un inedito regime di inalienabilita' di beni di proprieta' privata. Tale nuovo regime viene introdotto in assenza di una disciplina transitoria ed in assenza di indennizzo. E' nota a questo giudice l'interpretazione dell'art. 42 della Corte costituzionale che considera necessaria la previsione dell'indennizzo soltanto peri provvedimenti ablatori a carattere particolare. Nel caso di specie, tuttavia, l'assenza di un indennizzo impedisce al ceto creditorio di concentrare le proprie pretese su tale indennita' al contrario di quanto invece avverrebbe in caso di esproprio ai sensi del testo unico n. 327/2001. La introdotta inalienabilita' delle terre private applicabile anche ai beni oggetto di procedura esecutiva pendente, in assenza di indennizzo, comporta che a fronte della improcedibilita' della procedura esecutiva il creditore sia sfornito di qualsivoglia strumento di tutela delle proprie pretese vedendosi privato ex post ed ex lege della possibilita' di espropriare il bene di proprieta' del debitore. La Corte costituzionale ha affermato che «E' intuitivo infatti come non possa escludersi la violazione di un diritto costituzionalmente garantito, sol perche' essa e' temporalmente limitata. La nostra Costituzione dispone che «la proprieta' privata e' riconosciuta e garantita dalla legge» (art. 42, secondo comma), in armonia peraltro con un principio generalmente condiviso e sancito anche nell'art. 17 della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, approvata alla unanimita' da tutti gli Stati aderenti all'ONU, secondo cui: «ogni individuo ha diritto di avere una proprieta' personale o in comune con altri. Nessun individuo puo' essere arbitrariamente privato della sua proprieta'». Non e' consentito percio' al legislatore ordinario intervenire liberamente su tale posizione soggettiva, che puo' essere legittimamente compressa sol quando lo esiga il limite della «funzione sociale», considerato nello stesso precetto costituzionale poc'anzi ricordato: funzione sociale, la quale esprime, accanto alla somma dei poteri attribuiti al proprietario nel suo interesse, il dovere di partecipare alla soddisfazione di interessi generali, nel che si sostanzia la nozione stessa del diritto di proprieta' come viene modernamente intesa e come e' stata recepita dalla nostra Costituzione (Corte. costituzionale sentenza n. 108 del 1986). Nel caso di specie la circostanza che il bene potrebbe divenire nuovamente alienabile a seguito della conclusione del procedimento di liquidazione non consente di ritenere, ad avviso di questo giudice, superata la prospettata violazione dell'art. 42 della Costituzione in quanto obbliga il proprietario del bene ad estinguere l'uso civico al solo fine di poter disporre del proprio diritto di proprieta'. Come si e' detto, la normativa non appare dettata dalla finalita' di garantire la funzione sociale del diritto di proprieta' dal momento che l'alienazione non interferirebbe con l'esercizio degli usi civici gravanti sul bene da parte della collettivita'. Parimenti tale normativa pretermette gli interessi dei creditori anche nelle ipotesi in cui il diritto di credito derivi da esigenze primarie espressione di diritti costituzionali quali il diritto alla retribuzione o al mantenimento (creditore procedente lavoratore o beneficiano del diritto al mantenimento). «La precisazione del contenuto della proprieta' nel rapporto con le istanze generali non puo' essere fatta in modo che essa risulti svuotata del tutto di contenuto: in tal caso non ne viene moderato l'esercizio, ma il diritto viene soppresso e la concessione di un indennizzo non puo' essere evitata» (Corte costituzionale sentenza n. 79 del 1971). In tal caso l'equiparazione del regime giuridico delle terre private gravate da uso civico a quello previsto per i domini collettivi costituenti il demanio civico finisce per svilire il contenuto del diritto di proprieta' limitandone l'esercizio ed equiparando (quanto al regime di inalienabilita', dell'indivisibilita', dell'inusucapibilita' e della perpetua destinazione agro-silvo-pastorale) il proprietario alla condizione dell'occupante in attesa di legittimazione. L'assenza di una procedura di indennizzo, peri diritti di proprieta' su gravate da uso civico esistenti alla data di entrata in vigore della legge n. 168/2017, appare lesiva sia dei diritti del proprietario, ove lo stesso non disponesse di risorse per completare l'iter necessario alla liquidazione, sia in via mediata lesiva del diritto di credito vantato dal ceto creditorio garantito dai beni del proprietario-debitore apparendo pertanto irragionevole anche sotto tale profilo e costituzionalmente illegittima per violazione degli articoli 42 e 24 della Costituzione in relazione all'art. 3 della Carta costituzionale. Ritenuto Che le questioni sollevate siano pregiudiziali, non potendosi statuire in ordine alla vendita del compendio pignorato ex art. 569 del codice di procedura civile in assenza del preventivo scrutinio della consulta in merito alla commerciabilita' degli immobili staggiti; Che la questione non sia manifestamente infondata, per tutti i motivi addotti; Che la lettera della legge non consenta interpretazioni alternative, compatibili col dettato costituzionale, che consentano al giudice di escludere dall'applicazione dell'art. 3, comma 3 della legge n. 168/2017 i beni di cui alla lettera d) del comma 1 della predetta disposizione; che infatti l'art. 3, comma 3 della legge n. 168/2017 e' chiaramente riferito a tutti i domini collettivi di cui all'art. 3, comma 1 della medesima legge di tal che' ne risultano espressamente ricomprese anche «le terre di proprieta' di soggetti pubblici o privati, sulle quali i residenti del comune o della frazione esercitano usi civici» in quanto espressamente definite domini collettivi ex art. 3, comma 1 della predetta legge n. 168/2017; che peraltro il medesimo legislatore all'art. 3, comma 2, ha inteso ricomprendere nel demanio civico i soli domini collettivi di cui alle lettere a), b), c), e) e f) con l'esclusione dei domini di cui alla lettera d) mentre la predetta esclusione non e' stata prevista dal successivo comma 3; Che dai lavori parlamentari, ed in specie dal dossier n. 594 elaborato dal servizio studi della Camera dei deputati, non si trae nessuna indicazione circa l'esclusione dei beni di cui all'art. 3, comma 1, lettera d) dal regime di inalienabilita' previsto al successivo art. 3, comma 3 della legge n. 168/2017; Che l'art. 12 delle preleggi al Codice civile statuisce che «nell'applicare la legge non si puo' ad essa attribuire altro senso che quello fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse» e che pertanto l'attivita' ermeneutica non puo' produrre un risultato interpretativo in aperto contrasto con il significato letterale del testo normativo.