ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art.  61,  commi
1, 2, 5 e 17, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112  (Disposizioni
urgenti  per  lo   sviluppo   economico,   la   semplificazione,   la
competitivita',  la  stabilizzazione  della  finanza  pubblica  e  la
perequazione tributaria), convertito, con modificazioni, in  legge  6
agosto 2008, n. 133; dell'art. 6, commi 1, 3, 7, 8, 12, 13, 14 e  21,
del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di
stabilizzazione   finanziaria   e   di   competitivita'   economica),
convertito, con modificazioni, in  legge  30  luglio  2010,  n.  122;
dell'art. 8,  comma  3,  del  decreto-legge  6  luglio  2012,  n.  95
(Disposizioni urgenti per  la  revisione  della  spesa  pubblica  con
invarianza dei servizi ai cittadini nonche' misure  di  rafforzamento
patrimoniale delle imprese del  settore  bancario),  convertito,  con
modificazioni, in legge 7 agosto 2012, n. 135; e dell'art. 50,  comma
3, del decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66  (Misure  urgenti  per  la
competitivita'   e   la   giustizia   sociale),    convertito,    con
modificazioni, in legge 23 giugno 2014, n. 89, promosso dal Tribunale
ordinario di Roma, sezione seconda civile, nel procedimento che verte
tra la Camera di  commercio,  industria,  artigianato  e  agricoltura
della Maremma e  del  Tirreno  e  la  Presidenza  del  Consiglio  dei
ministri e altri, con ordinanza del 26 gennaio 2021, iscritta  al  n.
176 del registro ordinanze 2021 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale
della Repubblica n. 46, prima serie speciale, dell'anno 2021. 
    Visto  l'atto  di  costituzione  della   Camera   di   commercio,
industria, artigianato e agricoltura della  Maremma  e  del  Tirreno,
nonche'  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nell'udienza pubblica del  14  settembre  2022  il  Giudice
relatore Angelo Buscema; 
    uditi l'avvocato Alfonso Celotto  per  la  Camera  di  commercio,
industria, artigianato e agricoltura della Maremma e  del  Tirreno  e
l'avvocato  dello  Stato  Federica  Varrone  per  il  Presidente  del
Consiglio dei ministri; 
    deliberato nella camera di consiglio del 14 settembre 2022. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Il Tribunale ordinario di Roma, sezione  seconda  civile,  ha
sollevato -  in  riferimento  agli  artt.  3,  53,  97  e  118  della
Costituzione,  per  violazione  dei   principi   di   ragionevolezza,
proporzionalita',  buon  andamento,  sussidiarieta'   orizzontale   -
questioni di legittimita' costituzionale degli artt. 61, commi l,  2,
5 e 17, del  decreto-legge  25  giugno  2008,  n.  112  (Disposizioni
urgenti  per  lo   sviluppo   economico,   la   semplificazione,   la
competitivita',  la  stabilizzazione  della  finanza  pubblica  e  la
perequazione tributaria), convertito, con modificazioni, in  legge  6
agosto 2008, n. 133; 6, commi l, 3, 7,  8,  12,  13,  14  e  21,  del
decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure  urgenti  in  materia  di
stabilizzazione   finanziaria   e   di   competitivita'   economica),
convertito, con modificazioni, in legge 30 luglio 2010,  n.  122;  8,
comma 3, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95 (Disposizioni urgenti
per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei  servizi  ai
cittadini nonche' misure di rafforzamento patrimoniale delle  imprese
del settore bancario), convertito,  con  modificazioni,  in  legge  7
agosto 2012, n. 135; 50, comma 3, del decreto-legge 24  aprile  2014,
n. 66, (Misure urgenti per la competitivita' e la giustizia sociale),
convertito, con modificazioni, in legge 23 giugno 2014, n. 89. 
    Il giudice rimettente  riferisce  che,  nel  procedimento  civile
pendente  dinanzi  a  se',  la  Camera   di   commercio,   industria,
artigianato e agricoltura della Maremma e del Tirreno ha chiesto  di:
a) accertare e dichiarare che l'art. 8, comma 3, del d.l. n.  95  del
2012,  come  convertito,  laddove  prevede  l'obbligo  di  versamento
all'entrata del bilancio dello  Stato  delle  somme  derivanti  dalla
riduzione della spesa per consumi intermedi, non si applica nei  suoi
confronti e  che  la  medesima  non  e'  pertanto  tenuta  a  versare
all'entrata del bilancio dello Stato la somma di euro 188.310,46;  b)
accertare e dichiarare che l'art. 50, comma 3, del  d.l.  n.  66  del
2014,  come  convertito,  laddove  prevede  l'obbligo  di  versamento
all'entrata del bilancio dello  Stato  delle  somme  derivanti  dalla
riduzione della spesa per acquisti di beni e servizi, non si  applica
nei suoi confronti  e  che  la  medesima  non  e'  tenuta  a  versare
all'entrata del bilancio dello Stato la somma di euro  94.155,23;  c)
accertare e dichiarare che l'art. 61, commi 1, 2, 5 e 17, del d.l. n.
112  del  2008,  come  convertito,  laddove  prevede   l'obbligo   di
versamento all'entrata del bilancio dello Stato delle somme derivanti
dalla  riduzione  delle  spese  per  studi  e  consulenze,  relazioni
pubbliche, convegni, mostre, pubblicita' e di rappresentanza, non  si
applica nei suoi confronti e che la medesima non e' pertanto tenuta a
versare all'entrata  del  bilancio  dello  Stato  la  somma  di  euro
34.966,75; d) accertare e dichiarare che l'art. 6, commi l, 3, 7,  8,
12, 13, 14 e 21 del d.l. n. 78 del  2010,  come  convertito,  laddove
prevede l'obbligo di versamento all'entrata del bilancio dello  Stato
delle somme  derivanti  dalla  riduzione  dei  costi  degli  apparati
amministrativi, non si applica nei suoi confronti e che  la  medesima
non e' tenuta a versare all'entrata del bilancio dello Stato la somma
di euro 76.685,45. 
    In via subordinata, in caso di mancato accoglimento della domanda
principale volta a ottenere la pronuncia  di  accertamento  negativo,
riferisce  il  Tribunale  che  la  Camera  di  commercio,  industria,
artigianato e agricoltura della Maremma e del Tirreno ha  chiesto  di
rimettere gli  atti  a  questa  Corte  affinche'  si  pronunci  sulla
legittimita' costituzionale delle predette norme in riferimento  agli
artt. 3, 97 e 118, ultimo comma, Cost. 
    Il rimettente, nel disattendere le  argomentazioni  del  ricorso,
esclude  il   carattere   discriminatorio   dell'applicazione   della
normativa censurata anche  alle  Camere  di  commercio  che  si  sono
accorpate e hanno dato vita a  un  nuovo  ente,  come  la  Camera  di
commercio  di  Livorno  e  di  Grosseto,  ricorrente   nel   giudizio
principale. Cio' posto,  il  giudice  a  quo  ritiene  di  non  poter
definire il giudizio senza che siano prima risolte  le  questioni  di
legittimita'   costituzionale   prospettate   dal   ricorrente:   «la
controversia si concentra esattamente sulla  debenza  o  non  debenza
delle somme pretese dal Ministero dell'Economia e delle  Finanze,  ai
sensi delle disposizioni indicate». La declaratoria di illegittimita'
costituzionale  delle  norme  in  esame  produrrebbe,   difatti,   la
caducazione della fonte delle pretese creditorie del Ministero e  del
titolo giustificativo dei pagamenti operati in corso di giudizio. 
    Sul requisito  della  non  manifesta  infondatezza  evidenzia  il
giudice rimettente l'impossibilita' di pervenire a un'interpretazione
costituzionalmente conforme delle norme  censurate,  atteso  il  loro
tenore letterale chiaro e specifico. 
    Asserisce  il  giudice  a  quo  che  il   dichiarato   fine   del
contenimento  della  spesa  pubblica  non  sarebbe   congruente   con
l'obbligo di riversamento dei  risparmi  conseguiti  dagli  enti  del
settore pubblico al bilancio dello Stato; tale  operazione,  infatti,
lascerebbe invariato il saldo complessivo  della  spesa  consolidata,
vanificando lo sforzo compiuto da tutti i soggetti tenuti al  taglio.
Essendo le disposizioni in esame  destinate  a  valere  per  l'intero
settore economico facente capo alla pubblica amministrazione  -  come
definita, in ambito sovranazionale, dal regolamento (UE) n.  549/2013
del Parlamento europeo e del Consiglio del 21 maggio  2013,  relativo
al Sistema  europeo  dei  conti  nazionali  e  regionali  nell'Unione
europea (cosiddetto SEC 2010), che sostituisce il regolamento (CE) n.
2223/96 del Consiglio,  del  25  giugno  1996,  relativo  al  Sistema
europeo dei conti nazionali e regionali nella  Comunita'  (cosiddetto
SEC 95) e  in  ambito  interno,  dall'elenco  pubblicato  annualmente
dall'Istituto  nazionale  di  statistica   (ISTAT),   sulla   scorta,
dapprima, dell'art. 1, comma 5, della legge 30 dicembre 2004, n. 311,
recante «Disposizioni  per  la  formazione  del  bilancio  annuale  e
pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2005)» e,  poi,  dell'art.
1, commi 2 e 3, della legge 31 dicembre 2009, n. 196, recante  «Legge
di contabilita' e finanza pubblica»  -  l'operazione  si  tradurrebbe
sostanzialmente in una diversa allocazione  di  spese  nel  complesso
invariate, senza produrne la auspicata complessiva riduzione. 
    Nel merito, il giudice a quo ritiene che le norme  in  esame  non
sarebbero compatibili con l'art. 3  Cost.,  sotto  il  profilo  della
intrinseca irragionevolezza del mezzo  utilizzato  rispetto  al  fine
dichiarato e codificato dal legislatore, e con l'art. 97 Cost., sotto
il profilo del buon andamento dell'amministrazione. 
    Il  rimettente  evidenzia,  inoltre,  che  le   norme   censurate
avrebbero valenza tendenzialmente sine die comportando, in tal  modo,
non solo l'imposizione di tagli permanenti di spesa - imposizione che
avrebbe dovuto essere calibrata, sotto il profilo della congruenza  e
ragionevolezza, sui risultati via via conseguiti - ma anche  obblighi
permanenti di riversamento, rapportati a parametri cristallizzati nel
tempo  e  quindi  suscettibili  di  risultare  superati  e  non  piu'
congruenti con la reale situazione economica dei  soggetti  obbligati
negli esercizi finanziari successivi. 
    Le norme censurate sarebbero in contrasto con gli artt. 3, 53, 97
e 118 Cost., anche sotto il  profilo  della  proporzionalita'  tra  i
sacrifici  imposti  alle  Camere  di   commercio   e   il   beneficio
correlativamente  conseguito  dall'Erario  (artt.  3  e  53   Cost.),
frustrando gli interessi  tutelati  da  tali  enti  facenti  capo  ai
rispettivi iscritti, e intralciando la corretta ed economica gestione
dei compiti amministrativi spettanti  alle  Camere  di  commercio,  a
fronte  di  utilita'  meramente  patrimoniali  e  non   adeguatamente
delineate, con  pregiudizio  del  principio  di  correttezza  e  buon
andamento dell'amministrazione (art. 97 Cost.). 
    2.- Il Presidente del Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e
difeso  dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  e'  intervenuto  in
giudizio concludendo per l'inammissibilita' o, comunque, per  la  non
fondatezza delle questioni di legittimita' costituzionale. 
    Sostiene l'Avvocatura  generale  che  le  censure  sollevate  dal
rimettente sarebbero contraddittorie in quanto  il  Tribunale  stesso
riconoscerebbe la debenza delle somme in  argomento  da  parte  della
Camera di  commercio,  industria,  artigianato  e  agricoltura  della
Maremma e del Tirreno subentrante nella titolarita' delle posizioni e
dei rapporti giuridici attivi e passivi, anche processuali, afferenti
alle preesistenti Camere di commercio di Livorno e di Grosseto. 
    Il giudice a quo, inoltre, non avrebbe individuato  compiutamente
i termini delle questioni e non  avrebbe  motivato  adeguatamente  le
ragioni che lo hanno indotto a sollevare il  dubbio  di  legittimita'
costituzionale. 
    Nel merito, le norme censurate non  risulterebbero  in  contrasto
con i parametri costituzionali evocati. La scelta del legislatore  di
imporre il versamento dei risparmi di spesa all'entrata del  bilancio
statale non sarebbe irragionevole sotto il profilo del  bilanciamento
dei valori costituzionali ma, al contrario,  sarebbe  rispettosa  del
dettato  dell'art.  97  Cost.,  che  richiede  alle   amministrazioni
pubbliche di assicurare l'equilibrio dei bilanci e la  sostenibilita'
del debito pubblico. 
    Il Presidente del Consiglio dei ministri sottolinea  altresi'  la
natura tributaria dei diritti camerali  costituenti  entrate  proprie
dello Stato che ne determina la misura con decreto del Ministro dello
sviluppo economico; le  Camere  di  commercio  sarebbero  delegate  a
incassare  tali  tributi  erariali,  superando   il   meccanismo   di
stanziamento e trasferimento delle somme a carico del bilancio  dello
Stato. 
    L'inclusione nelle disposizioni censurate degli enti e  organismi
dotati di autonomia finanziaria consentirebbe il loro  contributo  al
contenimento della spesa pubblica al pari degli enti  beneficiari  di
trasferimenti diretti provenienti dal bilancio dello  Stato.  Con  il
versamento in entrata si otterrebbe un miglioramento del saldo  netto
da finanziare, determinando  un  effetto  di  riduzione  della  spesa
complessiva della pubblica amministrazione secondo gli  obiettivi  di
finanza   pubblica   indicati   nei   documenti   di   programmazione
economico-finanziaria  presentati   alle   Autorita'   europee,   con
conseguente minore necessita' di reperire copertura e di ricorrere al
debito pubblico. 
    Inoltre, il giudice a quo non avrebbe dato  puntuale  e  distinta
contezza delle motivazioni a sostegno della  ritenuta  non  manifesta
infondatezza delle questioni sollevate in riferimento agli artt. 53 e
118 Cost. 
    Con memoria depositata  il  18  luglio  2022  il  Presidente  del
Consiglio dei ministri ha ribadito la piena  conformita'  al  dettato
costituzionale   delle    norme    sospettate    di    illegittimita'
costituzionale, confermando le conclusioni preliminari  e  di  merito
gia' rassegnate. 
    3.-  Si  e'  costituita  in  giudizio  la  Camera  di  commercio,
industria, artigianato e agricoltura della  Maremma  e  del  Tirreno,
ricorrente nel  giudizio  a  quo,  concludendo  per  l'illegittimita'
costituzionale delle norme censurate dal  rimettente  per  violazione
degli artt. 3, 53 e 97 Cost. nella parte in cui si applicano nei suoi
confronti. 
    4.- Nel giudizio e' stata ammessa, ai sensi dell'art. 4-ter delle
Norme integrative per i giudizi davanti  alla  Corte  costituzionale,
vigenti ratione temporis, l'opinione dell'ente Unione italiana  delle
Camere   di   commercio,   industria,   artigianato   e   agricoltura
(Unioncamere) che cura  e  rappresenta  gli  interessi  generali  del
sistema camerale italiano. 
    Unioncamere  asserisce  l'illegittimita'   costituzionale   delle
disposizioni censurate, per violazione degli artt. 3, 53,  97  e  118
Cost., nella parte in cui  impongono  alle  Camere  di  commercio  di
riversare i risparmi  conseguiti  in  attuazione  degli  obblighi  di
contenimento della spesa imposti dalle  medesime  norme  al  bilancio
dello Stato. Le motivazioni addotte  da  Unioncamere  sostanzialmente
riproducono quelle formulate dal giudice a quo. 
    Nella   pubblica   udienza   le   parti   hanno   insistito   per
l'accoglimento delle conclusioni gia' rassegnate. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Il Tribunale ordinario di Roma, sezione  seconda  civile,  ha
sollevato, in riferimento agli artt. 3,  53,  97  e  118  Cost.,  per
violazione dei principi  di  ragionevolezza,  proporzionalita',  buon
andamento,  sussidiarieta'  orizzontale,  questioni  di  legittimita'
costituzionale dell'art. 61, commi l, 2, 5 e 17, del d.l. n. 112  del
2008, come convertito; dell'art. 6, commi l, 3, 7, 8, 12,  13,  14  e
21, del d.l. n. 78 del 2010, come convertito; dell'art. 8,  comma  3,
del d.l. n. 95 del 2012, come convertito; dell'art. 50, comma 3,  del
d.l. n. 66 del 2014, come convertito. 
    I commi 1, 2, 5 e 17 dell'art. 61 del d.l. n. 112 del 2008,  come
convertito, stabiliscono: «1. A decorrere  dall'anno  2009  la  spesa
complessiva sostenuta dalle amministrazioni  pubbliche  inserite  nel
conto economico  consolidato  della  pubblica  amministrazione,  come
individuate dall'Istituto nazionale di statistica  (ISTAT)  ai  sensi
del comma 5 dell'articolo 1 della legge 30  dicembre  2004,  n.  311,
[...] e' ridotta del trenta per cento  rispetto  a  quella  sostenuta
nell'anno  2007.  A  tale  fine  le  amministrazioni   adottano   con
immediatezza, e comunque entro trenta giorni dalla data di entrata in
vigore della legge di conversione del presente decreto, le necessarie
misure di adeguamento ai  nuovi  limiti  di  spesa.  2.  Al  fine  di
valorizzare  le  professionalita'   interne   alle   amministrazioni,
riducendo ulteriormente la spesa per studi e consulenze, all'articolo
1, comma 9, della legge  23  dicembre  2005,  n.  266,  e  successive
modificazioni,  sono  apportate  le  seguenti  modificazioni:  a)  le
parole: "al 40 per cento", sono sostituite dalle seguenti: "al 30 per
cento"; b) in fine, e' aggiunto il seguente periodo: "Nel  limite  di
spesa stabilito ai sensi del primo periodo deve  rientrare  anche  la
spesa annua per studi ed incarichi di consulenza conferiti a pubblici
dipendenti". [...] 5. A decorrere dall'anno 2009  le  amministrazioni
pubbliche inserite nel conto  economico  consolidato  della  pubblica
amministrazione,  come   individuate   dall'Istituto   nazionale   di
statistica (ISTAT) ai sensi del comma 5 dell'articolo 1  della  legge
30 dicembre 2004, n. 311, non possono effettuare spese per  relazioni
pubbliche, convegni, mostre, pubblicita' e di rappresentanza, per  un
ammontare superiore al 50 per cento della spesa  sostenuta  nell'anno
2007 per le medesime finalita'. [...] 17. Le somme provenienti  dalle
riduzioni di spesa e le maggiori entrate di cui al presente articolo,
[...] sono versate annualmente dagli  enti  e  dalle  amministrazioni
dotati di autonomia finanziaria ad apposito capitolo dell'entrata del
bilancio dello Stato [...]. Le  somme  versate  ai  sensi  del  primo
periodo sono riassegnate ad  un  apposito  fondo  di  parte  corrente
[...]». 
    I commi 1, 3, 7, 8, 12, 13, 14 e 21 dell'art. 6 del  d.l.  n.  78
del 2010, come convertito, stabiliscono: «1. A decorrere  dalla  data
di entrata in vigore del presente  decreto,  la  partecipazione  agli
organi collegiali di cui all'articolo 68, comma 1, del  decreto-legge
25 giugno 2008, n. 112, convertito con modificazioni  dalla  legge  6
agosto 2008, n. 133, e' onorifica; essa puo' dar luogo esclusivamente
al rimborso  delle  spese  sostenute  ove  previsto  dalla  normativa
vigente; eventuali gettoni di presenza non possono superare l'importo
di 30 euro a seduta  giornaliera.  [...]  3.  Fermo  restando  quanto
previsto dall'art. 1 comma 58 della legge 23 dicembre 2005 n. 266,  a
decorrere dal 1° gennaio 2011 le indennita', i compensi,  i  gettoni,
le retribuzioni o le altre utilita' comunque denominate,  corrisposti
dalle pubbliche amministrazioni di cui al  comma  3  dell'articolo  1
della  legge  31  dicembre   2009   n.196,   incluse   le   autorita'
indipendenti, ai componenti  di  organi  di  indirizzo,  direzione  e
controllo, consigli di amministrazione e organi  collegiali  comunque
denominati ed ai  titolari  di  incarichi  di  qualsiasi  tipo,  sono
automaticamente ridotte  del  10  per  cento  rispetto  agli  importi
risultanti alla data del 30 aprile 2010. Sino al  31  dicembre  2017,
gli emolumenti di cui al presente  comma  non  possono  superare  gli
importi risultanti alla data del 30  aprile  2010,  come  ridotti  ai
sensi del  presente  comma.  [...]  7.  Al  fine  di  valorizzare  le
professionalita' interne alle amministrazioni, a decorrere  dall'anno
2011 la spesa annua per studi ed  incarichi  di  consulenza,  inclusa
quella relativa a  studi  ed  incarichi  di  consulenza  conferiti  a
pubblici dipendenti, sostenuta dalle pubbliche amministrazioni di cui
al comma 3 dell'articolo  1  della  legge  31  dicembre  2009  n.196,
incluse le autorita' indipendenti, [...] non puo' essere superiore al
20 per cento di quella sostenuta  nell'anno  2009.  L'affidamento  di
incarichi in  assenza  dei  presupposti  di  cui  al  presente  comma
costituisce  illecito  disciplinare   e   determina   responsabilita'
erariale. [...] 8. A decorrere dall'  anno  2011  le  amministrazioni
pubbliche inserite nel conto  economico  consolidato  della  pubblica
amministrazione,  come   individuate   dall'Istituto   nazionale   di
statistica (ISTAT) ai sensi del comma 3 dell'articolo 1  della  legge
31 dicembre 2009, n. 196,  incluse  le  autorita'  indipendenti,  non
possono effettuare spese per relazioni pubbliche,  convegni,  mostre,
pubblicita' e di rappresentanza, per un ammontare superiore al 20 per
cento della spesa sostenuta nell'anno 2009 per le medesime finalita'.
Al fine di ottimizzare la produttivita'  del  lavoro  pubblico  e  di
efficientare i servizi delle pubbliche Amministrazioni,  a  decorrere
dal 1° luglio 2010 l'organizzazione di convegni, di giornate e  feste
celebrative, nonche' di cerimonie di inaugurazione e di altri  eventi
similari, da parte delle Amministrazioni dello Stato e delle Agenzie,
nonche' da parte degli enti e delle strutture  da  esse  vigilati  e'
subordinata alla preventiva autorizzazione del  Ministro  competente;
L'autorizzazione e' rilasciata nei soli casi in cui non sia possibile
limitarsi alla pubblicazione, sul  sito  internet  istituzionale,  di
messaggi e discorsi ovvero  non  sia  possibile  l'utilizzo,  per  le
medesime  finalita',  di  video/audio  conferenze  da  remoto,  anche
attraverso il sito internet istituzionale; in ogni  caso  gli  eventi
autorizzati, che non devono comportare aumento delle spese  destinate
in bilancio alle predette finalita', si devono svolgere al  di  fuori
dall'orario di ufficio. Il personale che vi partecipa non ha  diritto
a percepire compensi per lavoro  straordinario  ovvero  indennita'  a
qualsiasi  titolo.  [...]  12.  A   decorrere   dall'anno   2011   le
amministrazioni pubbliche inserite nel  conto  economico  consolidato
della  pubblica  amministrazione,  come   individuate   dall'Istituto
nazionale di statistica (ISTAT) ai sensi del comma 3 dell'articolo  1
della  legge  31  dicembre  2009,  n.  196,  incluse   le   autorita'
indipendenti,  non  possono  effettuare  spese  per  missioni,  anche
all'estero, [...] per un ammontare superiore al 50  per  cento  della
spesa sostenuta nell'anno 2009. Gli  atti  e  i  contratti  posti  in
essere in violazione della disposizione contenuta nel  primo  periodo
del presente comma costituiscono illecito disciplinare e  determinano
responsabilita' erariale. Il limite di spesa stabilito  dal  presente
comma puo' essere superato in casi eccezionali, previa adozione di un
motivato    provvedimento    adottato    dall'organo    di    vertice
dell'amministrazione, da comunicare preventivamente  agli  organi  di
controllo ed agli organi di revisione dell'ente.  [...]  A  decorrere
dalla data di entrata in vigore del presente decreto le diarie per le
missioni all'estero di cui all'art. 28  del  decreto-legge  4  luglio
2006, n. 223, convertito con legge 4 agosto 2006, n.  248,  non  sono
piu' dovute [...]. Con decreto del Ministero degli affari  esteri  di
concerto  con  il  Ministero  dell'economia  e  delle  finanze   sono
determinate le misure e i limiti concernenti il rimborso delle  spese
di vitto e alloggio per il personale inviato all'estero. [...] 13.  A
decorrere   dall'anno   2011   la   spesa   annua   sostenuta   dalle
amministrazioni pubbliche inserite nel  conto  economico  consolidato
della  pubblica  amministrazione,  come   individuate   dall'Istituto
nazionale di statistica (ISTAT) ai sensi del comma 3 dell'articolo  1
della  legge  31  dicembre  2009,  n.  196,  incluse   le   autorita'
indipendenti, per attivita' esclusivamente di formazione deve  essere
non superiore al 50 per cento della spesa sostenuta  nell'anno  2009.
Le predette amministrazioni svolgono prioritariamente l'attivita'  di
formazione tramite la Scuola superiore della pubblica amministrazione
ovvero tramite i  propri  organismi  di  formazione.  Gli  atti  e  i
contratti posti in essere in violazione della disposizione  contenuta
nel  primo  periodo  del  presente   comma   costituiscono   illecito
disciplinare e determinano  responsabilita'  erariale.  [...]  14.  A
decorrere dall'anno 2011, le amministrazioni pubbliche  inserite  nel
conto economico  consolidato  della  pubblica  amministrazione,  come
individuate dall'Istituto nazionale di statistica  (ISTAT)  ai  sensi
dell'articolo 1, comma 3, della  legge  31  dicembre  2009,  n.  196,
incluse le autorita' indipendenti, non possono  effettuare  spese  di
ammontare superiore all'80 per cento della spesa sostenuta  nell'anno
2009 per l'acquisto, la manutenzione, il noleggio  e  l'esercizio  di
autovetture, nonche' per l'acquisto di buoni taxi; il predetto limite
puo' essere derogato, per  il  solo  anno  2011,  esclusivamente  per
effetto  di  contratti  pluriennali  gia'  in  essere.  La   predetta
disposizione non si applica alle  autovetture  utilizzate  dal  Corpo
nazionale dei vigili del fuoco  e  per  i  servizi  istituzionali  di
tutela dell'ordine  e  della  sicurezza  pubblica.  Non  si  applica,
altresi', alle autovetture utilizzate dall'Ispettorato centrale della
tutela   della   qualita'   e   repressione   frodi   dei    prodotti
agroalimentari. [...] 21. Le somme  provenienti  dalle  riduzioni  di
spesa di cui al presente articolo, con esclusione di quelle di cui al
primo periodo del comma 6, sono  versate  annualmente  dagli  enti  e
dalle amministrazioni dotati di  autonomia  finanziaria  ad  apposito
capitolo dell'entrata del bilancio dello Stato. [...]». 
    Il comma 3 dell'art. 8 del d.l. n. 95 del 2012, come  convertito,
stabilisce: «3. Ferme restando le misure di contenimento della  spesa
gia' previste dalle vigenti disposizioni, al fine  di  assicurare  la
riduzione delle spese per  consumi  intermedi,  i  trasferimenti  dal
bilancio dello Stato agli enti e agli organismi anche  costituiti  in
forma societaria, dotati di autonomia finanziaria, inseriti nel conto
economico   consolidato   della   pubblica   amministrazione,    come
individuati dall'Istituto nazionale di statistica  (ISTAT)  ai  sensi
dell'articolo 1, comma 2, della legge 30 dicembre 2009, n. 196 [...],
sono ridotti in misura pari al 5 per cento nell'anno 2012 e al 10 per
cento a decorrere dall'anno 2013 della spesa  sostenuta  per  consumi
intermedi  nell'anno  2010.  Nel  caso  in  cui  per  effetto   delle
operazioni di gestione la predetta riduzione non fosse possibile, per
gli enti interessati si applica la disposizione  di  cui  ai  periodi
successivi. Gli enti  e  gli  organismi  anche  costituiti  in  forma
societaria,  dotati  di  autonomia  finanziaria,  che  non   ricevono
trasferimenti  dal  bilancio  dello  Stato  adottano  interventi   di
razionalizzazione per la riduzione della spesa per consumi  intermedi
in modo da assicurare risparmi corrispondenti  alle  misure  indicate
nel periodo precedente; le somme derivanti  da  tale  riduzione  sono
versate annualmente ad apposito capitolo  dell'entrata  del  bilancio
dello Stato entro il 30 giugno di ciascun anno. Per  l'anno  2012  il
versamento avviene entro il 30 settembre [...]». 
    Il comma 3 dell'art. 50 del d.l. n. 66 del 2014, come convertito,
stabilisce: «3. [...] Gli enti e gli organismi  anche  costituiti  in
forma societaria, dotati di autonomia finanziaria, che  non  ricevono
trasferimenti  dal  bilancio  dello  Stato  adottano  interventi   di
razionalizzazione per la riduzione della spesa per consumi  intermedi
in modo da assicurare risparmi corrispondenti  alla  misura  indicata
nel periodo precedente; le somme derivanti  da  tale  riduzione  sono
versate annualmente ad apposito capitolo  dell'entrata  del  bilancio
dello Stato entro il 30 giugno di ciascun anno [...]». 
    Nelle more del giudizio, il legislatore e' intervenuto in materia
con una nuova disciplina. L'art. 1, comma  590  e  successivi,  della
legge 27 dicembre 2019, n. 160 (Bilancio di  previsione  dello  Stato
per l'anno finanziario 2020 e bilancio pluriennale  per  il  triennio
2020-2022) prevede, al fine di una semplificazione del  quadro  delle
misure di contenimento, la cessazione dell'applicazione, a  decorrere
dall'anno  2020,   della   precedente   normativa   in   materia   di
razionalizzazione della spesa  pubblica  (con  esclusione  di  quella
riferita al personale), e l'istituzione, sempre a decorrere dall'anno
2020,  di  un  unico  limite  legato  al  valore  medio  delle  spese
effettuate per acquisti di beni e servizi nel triennio 2016-2018 come
risultanti dai bilanci approvati, incrementato del dieci  per  cento.
Tale normativa, tuttavia, non ha alcun effetto diretto sul giudizio a
quo e, pertanto, non rileva nel  presente  giudizio  di  legittimita'
costituzionale. 
    1.1.- Il  rimettente,  nel  disattendere  le  argomentazioni  del
ricorso, esclude il carattere discriminatorio dell'applicazione della
normativa censurata anche  alle  Camere  di  commercio  che  si  sono
accorpate e hanno dato vita a  un  nuovo  ente,  come  la  Camera  di
commercio  di  Livorno  e  di  Grosseto,  ricorrente   nel   giudizio
principale. Cio' posto,  il  giudice  a  quo  ritiene  di  non  poter
definire il giudizio senza che siano prima risolte  le  questioni  di
legittimita'   costituzionale   prospettate   dal   ricorrente:   «la
controversia si concentra esattamente sulla  debenza  o  non  debenza
delle somme pretese dal Ministero dell'Economia e delle  Finanze,  ai
sensi delle disposizioni indicate». La declaratoria di illegittimita'
costituzionale  delle  norme  in  esame  produrrebbe,   difatti,   la
caducazione della fonte delle pretese creditorie del Ministero e  del
titolo giustificativo dei pagamenti operati in corso di giudizio. 
    Evidenzia, altresi', il rimettente l'impossibilita' di  pervenire
a un'interpretazione costituzionalmente conforme  delle  disposizioni
in esame, atteso il loro tenore letterale. 
    1.2.-  Quanto  alla  non  manifesta  infondatezza,  la  normativa
censurata non sarebbe compatibile con gli artt. 3, 53, 97 e 118 Cost. 
    Il rimettente evidenzia che la predetta imposizione  non  sarebbe
calibrata, sotto il profilo della congruenza e della  ragionevolezza,
rispetto ai risultati via via conseguiti dalle Camere  di  commercio,
essendo rapportata a parametri  cristallizzati  nel  tempo  e  quindi
suscettibili di risultare superati e non piu' corrispondenti  con  la
reale   situazione   economica   degli   enti   camerali   sottoposti
all'applicazione  delle  norme  censurate.  Cio'   costituirebbe   un
ulteriore profilo di contrasto con il principio di buon andamento  di
cui all'art. 97 Cost. 
    Le disposizioni in esame sarebbero in contrasto con gli artt.  3,
53, 97 e 118 Cost. Esse sarebbero illegittime sotto plurimi  profili:
della dubbia proporzionalita' (artt. 3 e 53 Cost.)  tra  i  sacrifici
imposti a tali autonomie funzionali e il  beneficio  correlativamente
conseguito  dall'Erario,  in  quanto  risulterebbero  frustrati   gli
interessi tutelati dalle  Camere  di  commercio  e  facenti  capo  ai
rispettivi iscritti,  e  sarebbero  di  intralcio  alla  corretta  ed
economica gestione dei compiti amministrativi spettanti alle  Camere,
a fronte di  utilita'  meramente  patrimoniali  e  non  adeguatamente
delineate, con  pregiudizio  del  principio  di  correttezza  e  buon
andamento  dell'amministrazione  (art.  97  Cost.);  della  eccessiva
frustrazione (anziche' valorizzazione)  delle  economie  di  gestione
conseguite dagli organismi ed enti del settore classificatorio  della
pubblica amministrazione (elenco ISTAT) e, tra questi,  delle  Camere
di commercio, a detrimento dei principi di intrinseca ragionevolezza,
proporzionalita', buon andamento dell'amministrazione, sussidiarieta'
orizzontale (artt.  3,  97  e  118  Cost.);  dell'imposizione  di  un
prelievo continuativo prevalentemente gravante sul  patrimonio  degli
iscritti e dei soggetti tenuti ai versamenti  obbligatori  in  favore
della Camera di commercio, senza  alcun  rispetto  dei  principi  (di
rispetto della capacita' contributiva e di progressivita') codificati
all'art. 53 Cost. 
    2.- In via preliminare, non puo' essere condivisa l'eccezione  di
inammissibilita' dell'Avvocatura generale dello Stato, secondo cui le
censure sollevate dal  rimettente  sarebbero  contraddittorie  e  non
sarebbero stati compiutamente individuati i termini delle  questioni,
in quanto l'ordinanza e' adeguatamente  argomentata  in  ordine  alle
ragioni del preteso contrasto  delle  disposizioni  censurate  con  i
parametri costituzionali evocati. 
    Neanche puo' essere condivisa l'eccezione di inammissibilita'  in
ordine alla contraddittorieta'  del  petitum;  esso  risulta  difatti
chiaramente individuabile: sebbene inizialmente il giudice a  quo  si
dilunghi nel descrivere la particolare  situazione  della  Camera  di
commercio della Maremma e del  Tirreno,  e'  chiaro  che  l'ordinanza
censuri le norme che  impongono  alle  sole  Camere  di  commercio  i
riversamenti in favore del bilancio dello Stato. 
    Il  thema  decidendum  e'  quindi   cosi'   circoscritto:   dalla
motivazione e dal tenore complessivo dell'ordinanza di rimessione, si
evince che le questioni sollevate in riferimento ai parametri evocati
riguardano  le  disposizioni  censurate   limitatamente   alla   loro
applicazione alle Camere di commercio, nella parte in  cui  prevedono
che le somme derivanti dalle riduzioni di spesa  ivi  previste  siano
versate annualmente ad apposito  capitolo  di  entrata  del  bilancio
dello Stato. La possibilita' di limitare l'oggetto  del  giudizio  di
legittimita' costituzionale  a  una  parte  soltanto  della  o  delle
disposizioni censurate - quando cio' si  arguisce  dall'ordinanza  di
rimessione   -   trova   costante   conforto   nella   giurisprudenza
costituzionale (ex plurimis, sentenze n. 262 del  2020,  n.  108  del
2019, n. 35 del 2017, n. 203 del 2016 e n. 244 del 2011). 
    3.- Cio' posto, le questioni di legittimita' costituzionale degli
artt. 61, commi l, 2, 5  e  17,  del  d.l.  n.  112  del  2008,  come
convertito; 6, commi l, 3, 7, 8, 12, 13, 14 e 21, del d.l. n. 78  del
2010, come convertito; 8, comma 3, del d.l.  n.  95  del  2012,  come
convertito, e 50, comma 3, del d.l. n. 66 del 2014, come  convertito,
sono fondate in riferimento agli artt. 3 e 97 Cost., nei  termini  di
seguito precisati. 
    3.1.-  L'applicazione  alle   Camere   di   commercio   di   tali
disposizioni  risulta  irragionevole,  a  fronte  della   particolare
autonomia finanziaria di detti soggetti, che preclude la possibilita'
di ottenere finanziamenti adeguati da parte dello Stato e  interventi
di  ripianamento  di  eventuali  deficit  generati   dalla   gestione
amministrativa dei medesimi. 
    Al  fine  dell'inquadramento  delle  questioni  di   legittimita'
costituzionale,  e'  necessario  ricostruire  le  peculiarita'  delle
Camere di commercio. Le Camere di commercio sono dotate del carattere
di autarchia: l'art. 1, comma 1, della legge 29 dicembre 1993, n. 580
(Riordinamento delle camere di commercio,  industria,  artigianato  e
agricoltura), afferma, infatti, esplicitamente  che  esse  sono  enti
autonomi  di  diritto  pubblico  che  svolgono,   nell'ambito   della
circoscrizione territoriale  di  competenza,  funzioni  di  interesse
generale  per  il  sistema  delle  imprese,  curandone  lo   sviluppo
nell'ambito delle economie locali (risultano in tal modo  espressione
delle  imprese  che  compongono  i  diversi   settori   dell'economia
provinciale, con funzioni di supporto e di promozione degli interessi
generali delle imprese stesse). 
    Tale qualificazione e' confermata dalla giurisprudenza di  questa
Corte, che le ha configurate come «ente  pubblico  locale  dotato  di
autonomia funzionale, che entra  a  pieno  titolo,  formandone  parte
costitutiva,  nel  sistema  dei  poteri  locali  secondo  lo   schema
dell'art. 118 della Costituzione» (sentenza n. 477 del 2000). 
    E' stata precisata altresi' la natura "anfibia" delle  Camere  di
commercio, le quali sono, per un  verso,  «organi  di  rappresentanza
delle categorie mercantili» e, per un altro verso, «strumenti per  il
perseguimento   di   politiche   pubbliche»:   da   tale    vocazione
pubblicistica discende la qualifica di  «enti  di  diritto  pubblico,
dotati di personalita' giuridica» (sentenze n. 225 del 2019 e n.  261
del 2017). 
    Cosi', nella  formula  dell'"autonomia  funzionale",  accanto  ai
caratteri dell'autogoverno e dell'autoamministrazione organizzativa e
funzionale, e' ricompresa anche  l'autonomia  finanziaria,  cioe'  la
richiamata assenza di finanziamenti statali correnti e di  interventi
finalizzati  a  garantirne  il  risanamento  nei  casi   di   deficit
accumulati dalla gestione ordinaria. 
    Per questo motivo, tutti gli  atti  di  gestione  che  comportino
conseguenze economico-finanziarie per il  bilancio  delle  Camere  di
commercio  devono  essere  corredati  -  da  parte  dei  loro  organi
decidenti - dalla verifica in ordine alle relative coperture, con  la
specificazione, per la spesa e per le eventuali minori entrate, degli
oneri  annuali  e  pluriennali  al  fine  di  mantenere  un  costante
equilibrio nei saldi di competenza e di cassa nonche' di fronteggiare
gli eventuali scostamenti  in  modo  tempestivo  prima  che  il  loro
accumulo possa produrre deficit significativi e non riparabili con le
proprie risorse. 
    Giova ricordare, in proposito, che l'art. 1, comma 1, lettera r),
del d.lgs. n. 219 del 2016, modificando l'art. 18 della legge n.  580
del 1993, ha disciplinato in maniera puntuale  le  risorse  destinate
alle Camere di commercio, collegando il loro finanziamento al diritto
camerale.  La  novella  normativa  ha  eliminato  la  previsione  che
contemplava, tra le fonti di finanziamento delle Camere di commercio,
anche entrate e contributi  derivanti  da  leggi  statali,  da  leggi
regionali e da convenzioni, previsti in relazione  alle  attribuzioni
delle Camere di commercio. 
    In tal  modo  il  diritto  camerale  e'  divenuto  il  principale
strumento  di  sostegno  di  iniziative  finalizzate  a  tutelare   e
sviluppare quei settori economici capaci, a loro volta,  di  generare
effetti di crescita e di occupazione. 
    Cio'  posto,  la  normativa  censurata,  riducendo   le   risorse
disponibili (ormai principalmente garantite da quelle  versate  dalle
imprese) finisce per frustrare le aspettative che le imprese  nutrono
a  seguito  del  versamento  del  diritto  annuale  alle  Camere   di
commercio. 
    L'entita' del diritto camerale che le imprese corrispondono  alle
Camere di commercio e' stata, peraltro, oggetto di riduzione da parte
del legislatore (art. 28 del decreto-legge 24  giugno  2014,  n.  90,
recante «Misure urgenti  per  la  semplificazione  e  la  trasparenza
amministrativa  e  per   l'efficienza   degli   uffici   giudiziari»,
convertito, con modificazioni, in legge  11  agosto  2014,  n.  114),
nella misura del trentacinque per cento per l'anno 2015, del quaranta
per cento per l'anno 2016 e  del  cinquanta  per  cento  a  decorrere
dall'anno 2017. 
    Le predette riduzioni, incidendo in maniera progressivamente piu'
gravosa sui bilanci delle Camere di commercio, hanno reso, dal 2017 -
anno in cui e' disposta a regime la riduzione  del  diritto  camerale
del cinquanta per cento -  i  sacrifici  imposti  dalle  disposizioni
censurate non piu' sostenibili  e  non  compatibili  con  il  dettato
costituzionale.  Conseguentemente,  dall'anno  2017  e  fino  al   31
dicembre 2019 (dal 1° gennaio 2020 decorrono gli effetti della  legge
n. 160 del 2019, la quale all'art. 1, comma 590, prevede che «cessano
di applicarsi le norme in materia  di  contenimento  e  di  riduzione
della  spesa»,  sottoposte  all'odierno  scrutinio  di   legittimita'
costituzionale), l'obbligo di  versamento  allo  Stato  dei  risparmi
conseguiti  mina  gravemente   la   sostenibilita'   della   gestione
economico-finanziaria e determina  un  aggravamento  dei  bilanci  di
detti enti,  le  cui  entrate  risultano,  a  regime,  effettivamente
dimezzate. 
    Seppure l'imposizione di regole di contenimento della spesa  puo'
ritenersi appropriata alle finalita' degli interventi legislativi  in
esame, operati in contesti  di  grave  crisi  economica,  non  appare
altrettanto congruente con le finalita' dell'intervento l'obbligo  di
riversamento di tali risparmi al bilancio dello Stato, vanificando lo
sforzo sostenuto dalle  Camere  di  commercio  nel  conseguire  detti
risparmi e lasciando  invariato  il  saldo  complessivo  della  spesa
consolidata. 
    L'equilibrio della finanza pubblica  allargata  non  puo'  essere
realizzato attraverso lo "sbilanciamento" dei conti delle  Camere  di
commercio. E' di tutta evidenza, difatti, come realizzare un punto di
equilibrio macroeconomico  attraverso  il  correlato  squilibrio  del
sistema camerale costituisca una intrinseca irragionevolezza. 
    Cio', oltretutto, provoca indubbi riflessi negativi  sui  servizi
alle imprese. 
    3.2.- Il meccanismo delineato dalle disposizioni censurate non e'
inoltre ragionevole, non  solo  perche'  incide  negativamente  sulla
piena realizzazione degli interessi tutelati da tali enti  e  facenti
capo ai rispettivi iscritti, ma anche perche' penalizza  la  corretta
ed efficace gestione dei compiti amministrativi spettanti alle Camere
di commercio, con pregiudizio del principio  di  correttezza  e  buon
andamento dell'amministrazione di cui all'art. 97 Cost. 
    La prospettiva costituzionale  cosi'  sintetizzata  evidenzia  la
fondatezza delle questioni sollevate in riferimento agli artt. 3 e 97
Cost. sotto il profilo della ragionevolezza e del generale  principio
dell'equilibrio del bilancio, obiettivo imprescindibile delle  Camere
di commercio. 
    4.- Quanto detto in generale si riscontra con riguardo a  ciascun
gruppo di disposizioni censurate dal giudice rimettente. 
    4.1.- Come in precedenza  evidenziato,  le  disposizioni  di  cui
all'art. 61, commi 1, 2, 5 e 17, del  d.l.  n.  112  del  2008,  come
convertito, al fine di contenere la spesa complessiva sostenuta dalle
amministrazioni pubbliche inserite nel  conto  economico  consolidato
della PA,  prevedono  la  riduzione,  in  riferimento  a  percentuali
variamente determinate, della spesa per  studi  e  consulenze,  anche
conferiti a pubblici dipendenti,  nonche'  di  quella  per  relazioni
pubbliche, convegni, mostre, pubblicita' e  di  rappresentanza.  Tali
disposizioni  contengono,  da  un  lato,  una  serie  di  restrizioni
standardizzate e indifferenziate  alla  gestione  amministrativa  dei
soggetti   appartenenti   al   conto   consolidato   e,   dall'altro,
stabiliscono che le somme provenienti dalle riduzioni di spesa  e  le
eventuali maggiori entrate  siano  versate  annualmente  ad  apposito
capitolo dell'entrata del bilancio dello Stato per  essere  destinate
alla spesa corrente statale. 
    In tal modo, le disposizioni in  parola  sottraggono,  attraverso
l'obbligo di riversamento al bilancio dello  Stato  dei  risparmi  di
spesa conseguiti dalle Camere di commercio, anche  le  somme  versate
dalle imprese, legate alla  fornitura  di  servizi  in  favore  delle
medesime.   Contemporaneamente    viene    violato    il    principio
dell'autarchia  funzionale,  consistente  nell'autosufficienza  delle
risorse per assicurare l'adempimento delle funzioni, ed  e'  alterato
l'equilibrio del bilancio del singolo ente. 
    Il principio di ragionevolezza di cui  all'art.  3  Cost.  viene,
dunque, violato perche'  parte  delle  somme  che  potrebbero  essere
destinate alla missione istituzionale delle Camere di commercio,  per
il sostegno alle imprese nelle varie forme previste  dalla  normativa
specifica, viene devoluta all'indifferenziata  spesa  corrente  dello
Stato. 
    Analogamente, la normativa in questione  viola  il  principio  di
equilibrio del bilancio e di buon andamento dell'amministrazione,  in
quanto sottrae ai naturali destinatari gli eventuali miglioramenti in
termini  di  efficienza  della  gestione,  senza  neppure  il  previo
accertamento dell'esistenza di tale miglioramento. 
    4.2.- Le medesime argomentazioni valgono per le  disposizioni  di
cui all'art. 6, commi 1, 3, 7, 8, 12, 13, 14 e 21, del d.l. n. 78 del
2010, come convertito, i quali, nello stabilire una  serie  di  tagli
per le Camere di commercio, prevedono il  riversamento  di  somme  in
favore del bilancio statale. Le disposizioni in esame  presentano  un
irragionevole  scollamento  tra  il  loro  specifico  contenuto,   la
traducibilita' in  termini  economico-finanziari  dello  stesso,  gli
effetti  sul  risultato  di  amministrazione  e  sugli  equilibri  di
bilancio. Ed e' ben chiaro che cio'  comporta  altresi'  un  giudizio
negativo in  termini  di  compressione  dell'autonomia  organizzativa
delle Camere di commercio. 
    4.3.- Anche il comma 3 dell'art. 8 del d.l. n. 95 del 2012,  come
convertito, contrasta con gli artt. 3 e  97  Cost.,  per  i  medesimi
profili inerenti alle disposizioni precedentemente prese in esame. 
    La disposizione viene in rilievo per la parte in cui  prevede  la
riduzione della spesa per consumi intermedi. Essa  statuisce  per  le
Camere di commercio la conferma di  restrizioni  standardizzate  alla
peculiare  gestione  di  tali  soggetti,  prevedendo  che  le   somme
provenienti dalle riduzioni di  spesa  per  consumi  intermedi  siano
versate "annualmente" - e quindi introducendo un regime pluriennale -
ad apposito capitolo di entrata del bilancio statale. 
    In tal modo le disposizioni  in  parola  sottraggono,  attraverso
l'obbligo a regime di versamento al bilancio dello Stato dei risparmi
di spesa conseguiti dalle Camere di commercio,  somme  versate  dalle
imprese per perseguire le finalita' istituzionali. 
    Cosi' facendo viene altresi' violato il principio  dell'autonomia
funzionale, consistente, per i profili  in  esame,  nell'inderogabile
autosufficienza delle risorse per assicurare l'equilibrio del singolo
bilancio. 
    4.4.- Il comma 3 dell'art. 50 del  d.l.  n.  66  del  2014,  come
convertito, riproduce sostanzialmente il comma 3 dell'art. 8 del d.l.
n. 95 del 2012,  come  convertito,  e  per  le  stesse  ragioni  gia'
illustrate contrasta con gli artt. 3 e 97 Cost. 
    5.- Per i motivi sopra individuati, e  in  virtu'  dell'acclarata
peculiarita' della situazione delle Camere di commercio, deve  essere
dunque dichiarata  l'illegittimita'  costituzionale,  per  violazione
degli artt. 3 e 97 Cost., degli artt. 61, commi l, 2,  5  e  17,  del
d.l. n. 112 del 2008, come convertito; 6, commi l, 3, 7, 8,  12,  13,
14 e 21, del d.l. n. 78 del 2010, come convertito; 8,  comma  3,  del
d.l. n. 95 del 2012, come convertito; 50, comma 3, del d.l. n. 66 del
2014, come convertito, nella parte in  cui  prevedono,  limitatamente
alla  loro  applicazione  alle  Camere   di   commercio,   industria,
artigianato e agricoltura dal 1° gennaio 2017 al  31  dicembre  2019,
che le somme derivanti dalle riduzioni di spesa  ivi  previste  siano
versate annualmente ad apposito  capitolo  di  entrata  del  bilancio
dello Stato. 
    6.- Restano assorbite le ulteriori censure sollevate dal  giudice
rimettente.