IL TRIBUNALE ORDINARIO DI PADOVA 
                           Sezione lavoro 
 
    Il  giudice,  letti  gli  atti  del  proc.  n.  1283/2022  RG,  a
scioglimento della riserva assunta all'udienza dell'8 settembre 2022; 
    lette  altresi'  le  memorie  depositate  da  entrambe  le  parti
relativamente  alla  presente  questione;   pronunzia   la   presente
ordinanza  di  rimessione  degli  atti  alla  eccellentissima   Corte
costituzionale in relazione alla questione di legittimita'  dell'art.
75, primo e secondo comma del codice di procedura civile, e dell'art.
300 del codice di procedura civile, per  eventuale  violazione  degli
articoli 3, 24, 32, 111, primo e secondo comma, e 117,  primo  comma,
Cost. (con riferimento alle due Convenzioni citate  in  motivazione),
nella parte in cui non prevedono che, quando  abbia  seri  e  fondati
dubbi che la parte persona fisica che ha conferito  la  procura  alle
liti, lo abbia fatto in una condizione di  incapacita'  naturale,  il
giudice disponga l'interruzione del processo e  la  segnalazione  del
caso al pubblico ministero affinche'  promuova  il  giudizio  per  la
nomina di un amministratore di sostegno oppure quello di interdizione
o di inabilitazione. 
1. La rilevanza della questione. 
    Il  ricorrente  P.  E.,  nel  contraddittorio  con   l'Inps,   ha
instaurato  il  presente   procedimento   di   accertamento   tecnico
preventivo obbligatorio (ai sensi dell'art. 445-bis c.p.c.)  al  fine
di ottenere il  riconoscimento  del  suo  diritto  all'indennita'  di
accompagnamento prevista dall'art. 1 della legge 11 febbraio 1980, n.
18. 
    L'Inps ha eccepito la nullita' della procura alle liti in  quanto
dalla documentazione sanitaria da lui stesso  prodotta  in  giudizio,
emergerebbe che, sebbene non interdetto ne' inabilitato ne' assistito
da un amministratore di sostegno, egli si  troverebbe  in  condizioni
psicofisiche tali  da  renderlo  incapace  di  provvedere  ai  propri
interessi, e non avrebbe pertanto la capacita' processuale  richiesta
dall'art. 75 c.p.c. 
    Il ricorrente ha replicato che, secondo la giurisprudenza,  anche
costituzionale, il cit. art. 75 c.p.c. non si riferirebbe ai soggetti
colpiti  da  incapacita'  naturale,  ma  soltanto   a   quelli   gia'
interdetti, inabilitati  o  ai  quali  sia  gia'  stato  nominato  un
amministratore di sostegno; ne' potrebbe  applicarsi  la  sospensione
del giudizio - prevista dall'art. 295 c.p.c. - al fine di  consentire
l'instaurazione di un procedimento volto all'adozione di  una  misura
di protezione nei confronti dell'incapace naturale. 
    Delineato cosi'  l'oggetto  del  procedimento,  questo  tribunale
rileva, in punto di fatto, che in  effetti,  dalla  predetta  recente
documentazione sanitaria risulta che  il  ricorrente  e'  affetto  da
«psicosi   maniaco   depressiva   tipo   maniacale    con    disturbi
comportamentali e con numerosi ricoveri in reparti psichiatrici molto
spesso tramite TSO»; «Il paziente ha presentato numerosi  episodi  di
scompenso   caratterizzato   da   umore   disforico,    accelerazione
psicomotoria,   comportamenti    aggressivi    e    disinibiti.    La
consapevolezza di malattia e l'aderenza alle  cure  e'  sempre  parsa
molto limitata ... il funzionamento del paziente (testuale, ndr), che
gia'  appariva  compromesso,  e'  andato   incontro   a   progressivo
deterioramento. Il paziente necessita di essere supervisionato  nella
gestione della quotidianita' anche per quanto riguarda  le  attivita'
piu'  elementari,  non  essendo   adeguato   nella   cura   di   se',
nell'assunzione della terapia farmacologica ...  nella  gestione  del
denaro e nell'organizzazione dei ritmi di vita. Va inoltre  contenuto
nelle sue bizzarrie comportamentali,  che  denotano  sempre  maggiore
disorganizzazione.  Nella  fase  di  espansione  timica  i  familiari
segnalano   inoltre   comparsa   di   comportamenti   disinibiti   ed
esibizionistici». Allo stato degli atti, quindi, sembrerebbe  che  in
effetti il ricorrente versi  in  una  condizione  di  incapacita'  di
intendere e di volere, tale  da  consigliare  l'applicazione  di  una
delle predette misure di protezione. 
    La rilevanza della questione risiede dunque nel dover decidere in
merito alla possibilita'  -  o  meno  -  che  il  procedimento  possa
proseguire, pur in presenza di seri  e  documentati  dubbi  circa  la
capacita' naturale del ricorrente. 
2. La non manifesta infondatezza. 
    Come noto, sulla  questione  della  capacita'  processuale  -  ex
articoli 75 e 78 c.p.c. - della parte  incapace  di  intendere  o  di
volere ex art. 428 c.c., esiste un orientamento  monolitico  sia  del
giudice di legittimita' sia di codesta Corte; ma forse non e' inutile
riflettere nuovamente sull'argomento, che  involge  la  tutela  delle
persone ccdd. «fragili»,  come  sono  quelle  che  si  trovano  nella
predetta condizione. 
    Secondo la costante giurisprudenza di  legittimita',  «l'art.  75
c.p.c.,  nell'indicare  le  persone  processualmente   incapaci,   si
riferisce ai soggetti che siano  stati  privati  della  capacita'  di
agire, in modo assoluto, per effetto di una sentenza di  interdizione
o in modo parziale, per effetto di una sentenza di  inabilitazione  e
che siano rappresentati o assistiti da un tutore  o  curatore,  senza
far menzione, invece, dei soggetti colpiti da  incapacita'  naturale,
che non risultino ancora interdetti  o  inabilitati  nelle  forme  di
legge; ne', in relazione a questi ultimi, si pone l'esigenza  di  una
sospensione del processo, ex art.  295  c.p.c.  per  il  promovimento
della procedura di interdizione mediante il  rito  camerale  previsto
dagli  articoli  712  e  ss.  c.p.c.,  posto  che  la   ratio   della
disposizione  dettata  dall'art.  75  cit.  si  fonda,  da  un  lato,
sull'esigenza che ogni limitazione della capacita' di agire,  con  le
relative ricadute sul piano processuale, possa operare solo all'esito
finale di uno specifico procedimento e, dall'altro,  sull'altrettanto
incontestabile esigenza di impedire il  pericolo  che  ogni  processo
possa subire interruzioni o sospensioni sulla base di  situazioni  di
non sollecito ed agevole accertamento, con il conseguente pregiudizio
del diritto di tutela giurisdizionale della parte che ha proposto  la
domanda» (per tutte, v. la recente sentenza n. 21.507 del  20  agosto
2019). 
    Si tratta di un orientamento  costante  e  risalente  nel  tempo.
Proprio in un caso analogo, Cass., sez. L, 7 giugno  2003,  n.  9147,
aveva testualmente affermato che «questa Corte  regolatrice  ha  gia'
avuto occasione di affermare che l'art. 75 c.p.c., nell'escludere  la
capacita' processuale delle persone che non hanno il libero esercizio
dei propri diritti, si  riferisce  solo  a  quelle  che  siano  state
legalmente private della capacita'  di  agire  con  una  sentenza  di
interdizione o di inabilitazione o con provvedimento di nomina di  un
tutore o di un curatore provvisorio e non  alle  persone  colpite  da
incapacita' naturale (Cass. 26 maggio 1999, n. 5152; 3 dicembre 1994,
n. 10425). Infatti, e' stato ulteriormente  precisato,  l'incapacita'
processuale e' collegata all'incapacita' legale di agire  di  diritto
sostanziale  e  non  alla  mera   incapacita'   naturale,   cosicche'
l'incapace naturale conserva la piena capacita'  processuale  sino  a
quando non sia stata pronunciata nei suoi confronti una  sentenza  di
interdizione, ovvero non gli sia stato nominato, durante il  giudizio
che fa  capo  a  tale  pronuncia,  il  tutore  provvisorio  ai  sensi
dell'art. 419 c.p.c. (Cass. 1° febbraio 1988, n. 910; 14 giugno 1977,
n.  2480).  Questa  Corte   ha   anche   sottolineato   che,   mentre
l'incapacita' legale  risulta  dai  registri  delle  tutele  e  delle
curatele e dai registri dello stato  civile,  l'incapacita'  naturale
richiederebbe un'assurda indagine, da parte di chi agisce  o  resiste
in giudizio, sulle  condizioni  mentali  della  controparte,  il  che
costituisce  ulteriore  ragione  per  affermare  che  la  incapacita'
naturale di un soggetto non basta  a  determinare  la  perdita  della
capacita' processuale e non puo' essere allegata e fatta  valere,  in
via di eccezione, dalla controparte». 
    Tale e' dunque l'orientamento costante della suprema Corte. 
    Anche le varie  questioni  di  legittimita'  costituzionale  sono
state dichiarate tutte infondate. 
    Il pretore di Palma di Montechiaro aveva sollevato  la  questione
di legittimita' costituzionale  del  cit.  art.  75,  secondo  comma,
c.p.c., in riferimento agli articoli  3,  primo  comma,  e  24  della
Costituzione, in quanto, la norma impugnata, non  includendo  tra  le
persone processualmente incapaci, che non hanno il  libero  esercizio
dei loro diritti, gli infermi di mente non interdetti ne' inabilitati
ne'  muniti   di   tutore   provvisorio,   da   un   lato   creerebbe
un'ingiustificata disparita di trattamento tra gli incapaci legali  e
gli incapaci naturali, sprovvisti di tutore provvisorio, e dall'altro
vulnererebbe il diritto di difesa dell'incapace naturale, consentendo
la prosecuzione  del  processo  fino  alla  res  iudicata  anche  nei
confronti dell'incapace naturale  convenuto  in  giudizio  e  rimasto
contumace. Corte cost. 19 gennaio  1988,  n.  41,  ha  dichiarato  la
questione  manifestamente  infondata,   osservando   che   «qualsiasi
limitazione della capacita' processuale per gli incapaci naturali  si
giustifica solo nei casi in cui  l'infermita'  mentale  sia  tale  da
poter  dare  luogo  ad  un  procedimento   di   interdizione   o   di
inabilitazione; che, per l'interdicendo e  l'inabilitando  il  nostro
ordinamento gia' prevede le  figure  del  tutore  provvisorio  e  del
curatore provvisorio la  nomina  dei  quali  presuppone,  come  unica
formalita'  necessaria,  l'esame  dell'infermo  di   mente   il   cui
compimento  appare  indispensabile  per  legittimare  una   qualsiasi
limitazione del libero esercizio dei diritti; che,  conseguentemente,
la norma impugnata non crea alcuna disparita' di trattamento tra  gli
incapaci legali e gli incapaci naturali trattandosi di situazioni fra
loro diverse che, pertanto,  richiedono  una  differente  disciplina;
che, d'altra parte, non si  ravvisa  alcun  contrasto  tra  la  norma
impugnata ed il diritto di difesa degli infermi  di  mente  garantito
proprio dalla mancata estensione dell'incapacita' processuale  al  di
fuori della disciplina dell'interdizione e dell'inabilitazione». 
    In termini analoghi, Corte cost. 5 novembre  1992,  n.  468,  nel
dichiarare non fondata la questione di legittimita' degli articoli 75
e  300  c.p.c.  sollevata  con  riferimento  all'art.  24  Cost.,  ha
evidenziato che «non e' menomato il diritto di difesa di chi, pur non
essendo interdetto, si trovi in  stato  di  abituale  incapacita'  di
intendere o di volere ed  essendo  convenuto  non  sia  in  grado  di
rendersi conto che nei suoi confronti e' stato instaurato un giudizio
civile. L'ordinamento,  infatti,  gia'  appresta,  anche  se  sarebbe
opportuno  predisporne  di  piu'  efficaci,   strumenti   di   tutela
dell'infermo, come la previsione, tra le  attribuzioni  generali  del
pubblico ministero, della tutela dei diritti  degli  incapaci,  anche
mediante  la  richiesta,  nei  casi   di   urgenza,   dei   necessari
provvedimenti cautelari (art. 73 del regio decreto 30  gennaio  1941,
n. 12). Inoltre, in presenza di una causa  nella  quale  il  pubblico
ministero puo' intervenire, e' previsto che  il  giudice  davanti  al
quale il giudizio e' proposto ordini la comunicazione degli  atti  al
titolare di quell'ufficio (art. 71  c.p.c.)  perche',  nell'esercizio
delle  sue  funzioni  e  ricorrendone  i  presupposti,  il   pubblico
ministero assuma le iniziative necessarie per tutelare  la  posizione
dell'incapace nel processo gia' pendente, promuovendo, ove del  caso,
il procedimento di interdizione o di inabilitazione  e  chiedendo  la
urgente nomina di un tutore o di un curatore provvisorio». In  merito
a tale decisione, questo  tribunale  osserva  che  la  Corte  non  ha
spiegato cosa accada  nel  processo  in  cui  e'  parte  un  incapace
naturale, nel senso che non sembra essersi posta  il  problema  degli
eventuali effetti pregiudizievoli  che  l'incapace  puo'  subire  nel
processo e dal  processo,  fino  al  momento  in  cui  intervenga  il
provvedimento di protezione. 
    Lo stesso esito ha avuto la questione di  legittimita'  dell'art.
75, secondo comma, c.p.c., sollevata dal Tribunale di Verbania sempre
con riferimento agli articoli 3 e 24  Cost.  Corte  cost.  30  maggio
1995, n. 206, l'ha  dichiarata  manifestamente  infondata,  ribadendo
«che  qualsiasi  limitazione  della  capacita'  processuale  per  gli
incapaci naturali si giustifica solo nei casi in cui l'infermita' sia
tale  da  poter  dar  luogo  ad  un  procedimento  d'interdizione   o
inabilitazione e che per l'interdicendo e  l'inabilitando  il  nostro
ordinamento  gia'  prevede  la  figura  del  tutore  e  del  curatore
provvisorio; - che, conseguentemente, la  norma  impugnata  non  crea
alcuna disparita' di  trattamento  tra  gli  incapaci  legali  e  gli
incapaci  naturali  trattandosi  di  situazioni   differenziate   che
richiedono una diversificata disciplina, ne'  e'  ravvisabile  alcuna
violazione del diritto di difesa degli  infermi  di  mente  garantito
proprio dalla mancata estensione dell'incapacita' processuale, al  di
fuori della disciplina  dell'interdizione  e  dell'inabilitazione;  -
che, inoltre, essendo la tutela degli incapaci prevista quale  tipica
attribuzione del pubblico ministero, il giudice innanzi al  quale  e'
proposta una causa con una parte della cui  incapacita'  naturale  si
dubiti, deve  dame  comunicazione  al  pubblico  ministero  affinche'
agisca o intervenga nei modi previsti dalla legge». 
    Va infine ricordata Corte cost. 5 aprile 2006,  n.  198,  che  ha
ugualmente  dichiarato  manifestamente  infondata  la  questione   di
legittimita' costituzionale dell'art. 78 c.p.c., in riferimento  agli
articoli 3, comma primo, e 24,  comma  secondo,  della  Costituzione,
nella parte in cui, secondo il  «diritto  vivente»,  non  prevede  la
nomina di un curatore speciale anche per  l'incapace  naturale,  «dal
momento che, da un lato, una norma certamente eccezionale (dettata in
tema  di  comparizione  personale  dei  coniugi   nel   giudizio   di
scioglimento  del  matrimonio)  non  puo'  costituire  parametro   di
riferimento  per  una  disciplina  generale,  e,   dall'altro   lato,
l'ordinamento prevede - specie a seguito della legge 9 gennaio  2004,
n. 6 -  forme  di  protezione  dell'incapace  naturale,  che,  attesa
l'estrema varieta' di ipotesi nelle quali tale forma  di  incapacita'
puo' darsi (sentenza n. 468 del 1992; ordinanza  n.  206  del  1995),
prendono gia' in  considerazione  -  anche  attraverso  provvedimenti
provvisori  -  l'esigenza  che  tale  protezione   consegua   ad   un
procedimento adeguato alla gravita' di un  provvedimento  che  incide
sulla capacita' di agire, anche processuale, del soggetto che  appare
affetto da incapacita' naturale». 
    Nel caso all'esame di questo tribunale, e' difficile non porsi il
problema degli eventuali effetti pregiudizievoli che l'incapace  puo'
subire  per  aver  anche  solo  iniziato  un  processo  senza  essere
minimamente in grado di rendersi conto di cio' che  questo  comporta,
ad esempio in caso di soccombenza  e  di  conseguente  condanna  alla
refusione delle spese giudiziali. 
    Riguardando un argomento  per  certi  versi  analogo,  merita  di
essere ricordata Corte cost. 14 ottobre 1986, n.  220,  la  quale  ha
dichiarato l'illegittimita' costituzionale degli articoli  75  e  300
c.p.c. nella parte in cui non prevedono, ove emerga una situazione di
scomparsa  del  convenuto,   l'interruzione   del   processo   e   la
segnalazione, ad opera del giudice, del caso  al  pubblico  ministero
perche' promuova la nomina di un curatore, nei cui confronti l'attore
debba  riassumere  il   giudizio.   La   Corte   ha   osservato   che
l'interpretazione estensiva dell'art. 182  c.p.c.,  in  virtu'  della
quale  rientrerebbe  nei  poteri  del  giudice  invitare  l'attore  a
chiedere al tribunale  competente  la  nomina  di  un  curatore  e  a
rinnovare la  citazione  entro  un  dato  termine  nei  confronti  di
quest'ultimo, non puo' essere assunta al  livello  di  quel  «diritto
vivente» che consentirebbe di dire la proposta  questione  risolubile
con l'applicazione,  condotta  dai  giudici  a  quibus,  dei  dettami
espressi nell'art. 12 delle  disposizioni  sulla  legge  in  generale
preliminari  al  codice  civile,  questa  Corte  non  puo'   esimersi
dall'esaminare la questione, che e' da giudicare fondata  perche'  il
processo nel quale lo «scomparso» non sia rappresentato dal  curatore
e' contrario all'ideale del «processo giusto» che  i  commi  primo  e
secondo dell'art.  24  Cost.  confluiscono  a  garantire.  Il  giusto
processo civile vien celebrato non  gia'  per  sfociare  in  pronunce
procedurali che non coinvolgono i rapporti  sostanziali  delle  parti
che vi partecipano - siano esse attori o convenuti - ma  per  rendere
pronuncia di merito rescrivendo chi ha ragione e  chi  ha  torto:  il
processo civile deve avere per oggetto la verifica della  sussistenza
dell'azione in senso sostanziale di chiovendiana memoria,  ne'  deve,
nei  limiti  del  possibile,  esaurirsi   nella   discettazione   sui
presupposti processuali, e per evitare che cio' si verifichi si  deve
adoperare il giudice. Questa verita'  ...  (omissis)  ha  sentito  il
Pretore di S. Margherita di Belice che, a differenza del  Pretore  di
Viadana, non ha dichiarato la  contumacia  dello  «scomparso»  ma  ha
ravvisato la contrarieta' ai commi primo e secondo dell'art. 24 Cost.
degli articoli 75 e 300 c.p.c. nell'assenza di un potere che consenta
al giudice, il  quale  avverta  una  situazione  di  «scomparsa»  del
convenuto, di disporre l'interruzione del processo e di darne notizia
al pubblico ministero perche' il rappresentante della  legge  rivolga
al  tribunale  competente  istanza  di  nomina  del  curatore   dello
scomparso; processo che  sara'  riassunto  ad  istanza  del  curatore
nominato ovvero dei  controinteressati.  Vero  che  a  presentare  la
istanza di nomina del curatore dello scomparso sono legittimati anche
i contraddittori dello scomparso  ma  costoro  possono  non  nutrirvi
concreto interesse - il che non ha avvertito il Pretore di Viadana  -
e migliore e',  pertanto,  il  partito  di  affidare  la  nomina  del
curatore al congiunto magistero del  giudice  adito  e  del  pubblico
ministero. 8 - La individuazione dei criteri, cui  deve  obbedire  la
verifica  della   sussistenza   in   concreto   di   situazioni   che
giustifichino la nomina del curatore allo  «scomparso»,  non  rientra
nei compiti di questa Corte la quale non puo' esimersi  dal  rilevare
che il merito delle due vicende sottoposte al suo esame si basa sulla
inattivita' anche sostanziale dello «scomparso»  e  sulla  usucapione
dei beni controversi che i contraddittori ne hanno desunto. Di qui la
declaratoria di illegittimita' costituzionale degli articoli 75 e 300
c.p.c. nella parte in cui non prevedono, ove emerga una situazione di
scomparsa  del  convenuto,   l'interruzione   del   processo   e   la
segnalazione, ad opera del giudice, del caso  al  pubblico  ministero
perche' promuova la nomina di un curatore, nei cui confronti l'attore
debba riassumere il giudizio. 
    Alla luce di tale illuminante sentenza di codesta  Corte,  questo
tribunale ritiene che i principi  in  essa  richiamati  si  attaglino
anche al presente procedimento, nel quale,  come  visto,  sulla  base
della documentazione sanitaria prodotta dal  ricorrente,  sembra  che
egli abbia rilasciato la procura alle liti ed instaurato il  presente
giudizio senza rendersi minimamente conto di cio' che stava  facendo.
Anche in tal caso, sussiste il sospetto della violazione dell'art. 24
Cost., poiche' il diritto di difesa esige anche che la  decisione  di
iniziare un processo venga assunta consapevolmente. Sotto il  profilo
del giusto processo, oltre al cit. art. 24 Cost., vengono in evidenza
anche l'art. 111, primo e secondo comma,  Cost.,  e  l'art.  6  della
Convenzione europea dei diritti dell'uomo, apparendo dubbio che possa
definirsi «giusto» ed «equo» un processo in cui una parte,  priva  di
alcuna misura di protezione, sia incapace di intendere o di volere  e
quindi non si renda minimamente conto dell'esistenza del  processo  e
delle sue conseguenze, con buona pace anche del principio  della  cd.
parita' delle armi, inteso - e' noto - come mantenimento del  «giusto
equilibrio» tra le parti: a ciascuna parte  deve  essere  offerta  la
ragionevole possibilita' di presentare la propria causa - comprese le
proprie prove - a condizioni che non  la  collochino  in  sostanziale
svantaggio rispetto alla parte  avversaria  (v.  Cedu,  Kress  contro
Francia [GC], 2001, § 72; Regner contro Repubblica Ceca [GC], 2017, §
146; e Dombo Beheer B.V. contro Paesi Bassi,  1993,  §  33).  Non  si
comprende come cio' possa accadere quando una parte sia  incapace  di
intendere e di volere. E' chiaro che la parte avversaria si trova  in
una posizione di soverchiante superiorita'. Superfluo  precisare  che
la cd. difesa tecnica non e'  idonea  a  sanare  una  situazione  del
genere, perche' i fatti storici che hanno dato  origine  al  processo
sono - all'evidenza - noti solo  ed  esclusivamente  alla  parte.  Ed
anzi, sotto tale profilo, va evidenziato  che  in  casi  del  genere,
stante l'incapacita' naturale della persona, la  difesa  tecnica  non
puo' che essere meramente apparente, oppure inammissibilmente  svolta
tramite la mediazione di terzi estranei che rimangono  sconosciuti  e
privi di ogni responsabilita'. 
    Questo tribunale dubita inoltre che, nel  presente  procedimento,
l'irrilevanza  dell'incapacita'  naturale   della   parte   a   causa
dell'infermita' che pare seriamente emergere dalla sua documentazione
sanitaria, sia conforme all'art. 32  Cost.,  poiche'  la  tutela  del
diritto  alla  salute  dovrebbe  avere  riflessi  anche   in   ambito
processuale,  come  sembra  confermare  anche  la  Convenzione  delle
Nazioni  Unite  sui  diritti  delle  persone  con  disabilita',   con
Protocollo  opzionale,  fatta  a  New  York  il  13  dicembre   2006,
ratificata con la legge 3 marzo 2009, n.  18.  Come  noto,  l'art.  1
della Convenzione prevede che «scopo della  presente  Convenzione  e'
promuovere, proteggere e garantire il pieno ed  uguale  godimento  di
tutti i diritti umani e di tutte le liberta'  fondamentali  da  parte
delle persone con disabilita', e promuovere il rispetto per  la  loro
intrinseca dignita'. 2. Per  persone  con  disabilita'  si  intendono
coloro  che  presentano  durature   menomazioni   fisiche,   mentali,
intellettuali o sensoriali che in interazione con barriere di diversa
natura possono ostacolare la loro piena ed  effettiva  partecipazione
nella societa' su base di uguaglianza con gli  altri».  E  l'art.  13
della stessa Convenzione,  in  materia  di  accesso  alla  giustizia,
sancisce che «1. Gli Stati  Parti  garantiscono  l'accesso  effettivo
alla giustizia per le persone con disabilita', su base di uguaglianza
con gli altri, anche attraverso la previsione di idonei accomodamenti
procedurali e accomodamenti in  funzione  dell'eta',  allo  scopo  di
facilitare la loro partecipazione  effettiva,  diretta  e  indiretta,
anche in qualita' di testimoni, in tutte  le  fasi  del  procedimento
giudiziario,  inclusa  la  fase  investigativa  e   le   altre   fasi
preliminari». Pare difficile che una persona incapace di intendere  e
di volere, priva di protezione, possa partecipare  effettivamente  ad
un processo di cui ella, purtroppo, a causa  delle  gravi  condizioni
psichiche, non sa neppure di essere parte. 
    Sembra contrario ad ogni elementare principio di  giustizia  che,
qualora dagli atti emergano seri e documentati dubbi in  merito  alla
capacita' di intendere o di volere di una  parte  del  giudizio,  non
tutelata da alcuna misura di protezione, il  giudice  possa  rimanere
indifferente e far tranquillamente proseguire il  processo  verso  il
suo esito finale. 
    La  preoccupazione  che  attribuire   rilevanza   all'incapacita'
naturale della parte possa prestarsi a presunte «tattiche dilatorie»,
non ha ragion d'essere, poiche' e'  chiaro  che  il  dubbio  relativo
all'incapacita'  deve  essere  serio,  documentato  e   rigorosamente
accertato dal giudice. La tutela processuale della persona  «fragile»
non sembra  sacrificabile  sull'altare  della  pretesa  «esigenza  di
impedire il pericolo che ogni processo possa  subire  interruzioni  o
sospensioni sulla base di situazioni  di  non  sollecito  ed  agevole
accertamento, con il conseguente pregiudizio del  diritto  di  tutela
giurisdizionale della parte che ha proposto la domanda». Il desiderio
di risparmiare tempo e accelerare  il  procedimento,  non  giustifica
l'inosservanza di un principio fondamentale quale il  diritto  ad  un
processo giusto ed equo (v.  Cedu,  Nideröst-Huber  contro  Svizzera,
1997, § 30). 
    Ancor  meno  condivisibile  e'  l'affermazione  secondo  cui   la
delibazione  dell'incapacita'  naturale   «richiederebbe   un'assurda
indagine». Di assurdo non sembra esservi nulla, se non il  consentire
che possa avere tranquillamente luogo, sotto gli occhi dell'autorita'
giudiziaria, un processo nei confronti di una persona che non  ha  la
benche' minima consapevolezza di esserne parte. 
    Questo tribunale ritiene quindi che, analogamente a quanto deciso
dalla cit.  Corte  cost.  14  ottobre  1986,  n.  220,  debba  essere
sollevata la questione di legittimita' costituzionale degli  articoli
75 e 300 c.p.c. nella parte in cui  non  prevedono,  ove  emerga  una
seria e documentata situazione di incapacita' naturale  della  parte,
l'interruzione del processo e la segnalazione, ad opera del  giudice,
del caso al pubblico ministero perche' promuova il  giudizio  per  la
nomina di  un  amministratore  di  sostegno  oppure  il  giudizio  di
interdizione o  di  inabilitazione;  anche  perche'  se  tali  stessi
principi  non  fossero  applicati  anche  al  caso  dell'incapace  di
intendere o di volere (situazione di mero fatto uguale  a  quella  in
cui si trova lo scomparso privo di curatore), si  prospetterebbe  una
violazione dell'art. 3 Cost., che viene qui formalmente sollevata. 
    Due     precisazioni,     infine.     Alcuna      interpretazione
costituzionalmente orientata appare possibile.  Ne'  soccorre  l'art.
182 c.p.c. (come modificato dall'art. 46, secondo comma, della  legge
18 giugno 2009, n. 69), considerato che nella  fattispecie  concreta:
non vi e' nulla da completare e da mettere in regola; la procura  non
e' nulla, ma annullabile ex art. 428 c.c.; non vi e'  alcuna  persona
alla quale spetti  la  rappresentanza  o  l'assistenza  dell'incapace
naturale che ha promosso personalmente il presente procedimento.