ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art.  14,  comma
3, del decreto-legge 28 gennaio 2019, n. 4 (Disposizioni  urgenti  in
materia di reddito di cittadinanza e di  pensioni),  convertito,  con
modificazioni, nella  legge  28  marzo  2019,  n.  26,  promosso  dal
Tribunale ordinario di Trento, in funzione di giudice del lavoro, nel
procedimento  vertente  tra  M.  B.  e  l'Istituto  nazionale   della
previdenza sociale (INPS), con ordinanza del 25 agosto 2021, iscritta
al n. 211 del registro ordinanze 2021  e  pubblicata  nella  Gazzetta
Ufficiale della Repubblica n.  1,  prima  serie  speciale,  dell'anno
2022. 
    Visti  l'atto  di  costituzione  dell'INPS,  nonche'  l'atto   di
intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; 
    udito  nell'udienza  pubblica  del  4  ottobre  2022  il  Giudice
relatore Silvana Sciarra; 
    uditi gli avvocati  Mirella  Mogavero  e  Antonella  Patteri  per
l'INPS  e  l'avvocato  dello  Stato  Fabrizio  Urbani  Neri  per   il
Presidente del Consiglio dei ministri; 
    deliberato nella camera di consiglio del 4 ottobre 2022. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza del 25 agosto 2021,  iscritta  al  n.  211  del
registro  ordinanze  2021,  il  Tribunale  ordinario  di  Trento,  in
funzione  di  giudice  del  lavoro,   ha   sollevato   questione   di
legittimita' costituzionale dell'art. 14, comma 3, del  decreto-legge
28 gennaio 2019, n. 4 (Disposizioni urgenti in materia di reddito  di
cittadinanza e di pensioni),  convertito,  con  modificazioni,  nella
legge 28 marzo 2019, n. 26, in riferimento all'art. 3,  primo  comma,
della Costituzione, nella parte in cui prevede la  non  cumulabilita'
della pensione anticipata maturata per aver raggiunto  la  cosiddetta
"quota 100" - a far  tempo  dal  primo  giorno  di  decorrenza  della
pensione e fino alla data di maturazione dei requisiti per  l'accesso
alla pensione di vecchiaia - con  i  redditi  da  lavoro  dipendente,
qualunque sia il relativo ammontare, mentre consente il cumulo con  i
redditi da lavoro autonomo occasionale entro il limite di 5.000  euro
lordi annui. 
    2.- Dinanzi al giudice a quo pende il procedimento introdotto  da
M. B. nei confronti dell'Istituto nazionale della previdenza  sociale
(INPS), con le domande di accertamento negativo del diritto dell'INPS
alla restituzione dei ratei di pensione versati  nel  periodo  maggio
2019-agosto 2020, e di condanna del medesimo Istituto a corrispondere
i ratei di pensione  relativi  al  periodo  settembre-dicembre  2020,
compresa la tredicesima. 
    2.1.- Il rimettente riferisce che M. B. ha maturato  la  pensione
anticipata ai sensi dell'art. 14, comma 1, del d.l. n.  4  del  2019,
come convertito, nella categoria VO/COM a far data dal 1° maggio 2019
e che, successivamente, ha  svolto  prestazioni  di  lavoro  di  tipo
intermittente senza obbligo di disponibilita', percependo redditi per
complessivi 1.472,47 euro lordi. 
    L'INPS ha quindi chiesto la ripetizione dei ratei versati  e  non
ha corrisposto i ratei relativi al periodo  settembre-dicembre  2020,
facendo applicazione dell'art. 14, comma 3, del d.l. n. 4  del  2019,
come convertito, che dispone il  divieto  di  cumulo  della  pensione
anticipata con i redditi da lavoro dipendente. 
    2.2.-  Riferisce  ancora  il  giudice  a  quo  che,  secondo   il
ricorrente,  la  violazione  del  divieto  di  cumulo  non   potrebbe
comportare la sospensione del trattamento pensionistico per  l'intero
anno solare in cui siano stati percepiti i redditi  da  lavoro,  come
ritenuto  invece  dall'INPS.  Un'interpretazione   costituzionalmente
orientata  della  previsione  sul  divieto   di   cumulo   imporrebbe
all'Istituto di procedere soltanto alla decurtazione della  pensione,
in misura corrispondente ai redditi da lavoro dipendente percepiti. 
    2.3.- In via subordinata, per l'ipotesi  di  non  percorribilita'
della  prospettata  interpretazione  conforme,   il   ricorrente   ha
sollevato questioni  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  14,
comma 3, del d.l. n. 4 del 2019, come convertito, in riferimento agli
artt. 3, 4, 36, primo comma, e 38, secondo comma, Cost. 
    La disposizione in oggetto avrebbe introdotto una  ingiustificata
e irragionevole disparita'  di  trattamento  tra  il  pensionato  che
svolga attivita' di lavoro autonomo occasionale, percependo  compensi
fino a 5.000 euro lordi annui, e il pensionato che  svolga  attivita'
di lavoro dipendente, con retribuzioni contenute  entro  il  medesimo
limite, giacche' soltanto il primo conserva il diritto alla  pensione
nell'anno solare in cui ha conseguito il reddito da lavoro. 
    Sarebbe  violato,  inoltre,  l'art.  38,  secondo  comma,  Cost.,
poiche', anche a fronte della percezione  di  redditi  da  lavoro  di
entita'  esigua,  la  decurtazione  del   trattamento   pensionistico
interverrebbe per l'intero anno solare. 
    Vi sarebbe anche contrasto con gli artt. 4  e  36,  primo  comma,
Cost. poiche' il sacrificio non proporzionato e irragionevole imposto
al pensionato limiterebbe il diritto al lavoro. 
    2.4.- Il giudice a quo riferisce il contenuto della difesa svolta
dall'INPS, parte resistente nel giudizio principale. 
    L'Istituto reputa non praticabile l'interpretazione dell'art. 14,
comma 3, del d.l. n. 4  del  2019,  come  convertito,  suggerita  dal
ricorrente, ritenendola  in  aperto  contrasto  con  la  ratio  della
pensione  anticipata  a  "quota  100",  che  consiste  nel  garantire
flessibilita'  in  uscita  a  coloro  che  intendono  usufruire   del
trattamento pensionistico in data anteriore a quella  prevista  dalla
disciplina ordinaria, e di  favorire  il  ricambio  generazionale,  a
fronte di un costo significativo per l'intero sistema previdenziale. 
    Priva di consistenza sarebbe anche l'eccezione di  illegittimita'
costituzionale riguardante la mancata fissazione di un importo minimo
entro il quale i redditi da lavoro  dipendente  dovrebbero  risultare
cumulabili con il trattamento pensionistico, in analogia  con  quanto
previsto per i redditi da  lavoro  autonomo  occasionale.  L'Istituto
sottolinea in proposito che il limite previsto dall'art. 14, comma 3,
del  d.l.  n.  4  del  2019,  come  convertito,  non  e'  di   natura
quantitativa ma  qualitativa,  essendo  ancorato  alla  tipologia  di
lavoro svolto dal pensionato. 
    2.5.- Cosi' ricostruita la fattispecie controversa, il rimettente
esclude  in  primo  luogo  la   praticabilita'   dell'interpretazione
prospettata in via principale dal ricorrente. 
    Nella  disciplina  della  pensione  anticipata  a  "quota   100",
infatti, la percezione di redditi da lavoro rileverebbe non gia' come
fattore che determina la decurtazione del trattamento  pensionistico,
bensi' quale evento impeditivo della  corresponsione  della  pensione
anticipata nell'anno solare in cui siano stati percepiti i redditi da
lavoro. Inoltre, sul piano sistematico, se «il titolare  di  pensione
anticipata   subisse   solamente   una   decurtazione   del   quantum
corrispondente  all'ammontare  dei  redditi  da   lavoro   percepiti,
verrebbe notevolmente frustrata la  possibilita'  di  realizzare  gli
obiettivi sottesi all'introduzione della pensione,  vale  a  dire  la
flessibilita'  in  uscita  solamente  per  chi  intende   abbandonare
pressoche' del tutto  l'attivita'  lavorativa  e  il  favore  per  un
ricambio generazionale nelle attivita' produttive». 
    2.6.- Il rimettente procede, quindi, all'esame delle eccezioni di
illegittimita' costituzionale dell'art. 14, comma 3, del  d.l.  n.  4
del 2019, come convertito, ritenendo che il giudizio  principale  non
possa essere definito senza fare applicazione di tale norma, e che da
cio' discenderebbe il rigetto delle domande proposte dal ricorrente. 
    2.7.- In punto  di  non  manifesta  infondatezza,  il  rimettente
sottolinea l'evidente sproporzione tra i redditi da lavoro conseguiti
dal ricorrente negli anni  2019  e  2020,  pari  a  complessivi  euro
1.472,47, e i ratei di pensione anticipata, pari a  complessivi  euro
34.508,69,  che,  per  effetto  del  divieto  di  cumulo,   non   gli
spetterebbero. 
    Muovendo da tale rilievo il rimettente procede a una ricognizione
della giurisprudenza costituzionale che si e' formata  sul  tema  del
cumulo tra pensione e redditi da lavoro, pure a fronte di un contesto
normativo ripetutamente mutato nel tempo (e' richiamata  la  sentenza
n. 241 del 2016). 
    2.7.1.- Con riferimento alla pensione di  vecchiaia,  osserva  il
giudice a quo, questa Corte ha piu' volte affermato che non e' di per
se' illegittima la riduzione del trattamento pensionistico in caso di
concorso con altra prestazione retribuita (sentenza n. 275 del 1976).
Una disposizione che prevedesse la sospensione dell'erogazione  della
pensione in conseguenza della percezione di redditi da lavoro,  senza
dare   rilievo   all'ammontare   di   questi,   sarebbe   priva    di
giustificazione  e  dunque   costituzionalmente   illegittima   (sono
richiamate le sentenze n. 197 del 2010, n. 232 e n. 204 del 1992,  n.
566 del 1989). 
    Siffatto ragionamento non sarebbe proponibile per  i  trattamenti
pensionistici di anzianita' o anticipati, come quello in esame. Essi,
infatti,  prescindendo  dall'eta'  pensionabile,   costituiscono   un
beneficio discrezionalmente concesso dal  legislatore  che  ben  puo'
essere limitato al solo caso di cessazione  effettiva  dell'attivita'
lavorativa,   con   la   conseguenza   che   sono   state    ritenute
costituzionalmente legittime le normative che  prevedono  il  divieto
assoluto di cumulo delle pensioni di anzianita'  con  il  reddito  da
lavoro dipendente (sentenze n. 416 del 1999, n. 433 del 1994, n.  576
del 1989, n. 155 del 1969; ordinanza n. 47 del 1994). 
    Il rimettente richiama, in particolare, la sentenza  n.  416  del
1999, secondo cui il divieto di cumulo e'  espressione  di  esercizio
non  irragionevole  della  discrezionalita'  legislativa,  che  trova
giustificazione sia nella  tendenza  a  disincentivare  l'accesso  al
trattamento pensionistico in anticipo rispetto all'eta' pensionabile,
sia nelle esigenze di bilancio, il cui carattere  contingente  spiega
anche la mutevolezza della disciplina in tema di cumulo tra  pensione
e redditi da lavoro. 
    Nell'ambito dei  trattamenti  pensionistici  anticipati,  osserva
quindi il giudice a quo, non sarebbe invocabile la  garanzia  sancita
dall'art. 38, secondo comma, Cost.,  che  e'  legata  allo  stato  di
bisogno ed e', come tale, riservata alle pensioni che  trovano  causa
nella  cessazione  dell'attivita'  lavorativa  per  ragioni  di  eta'
anagrafica. 
    Analogamente, non potrebbe  dubitarsi  della  compatibilita'  del
divieto assoluto di cumulo previsto nella disciplina  della  pensione
anticipata a "quota 100" con gli artt. 4 e 36 Cost., posto che,  come
in casi analoghi gia' affermato da questa Corte, e' comunque  rimessa
al  pensionato  la  scelta  tra  la   sospensione   del   trattamento
pensionistico e la rinuncia ad avviare un nuovo  rapporto  di  lavoro
dipendente (sono richiamate le sentenze n. 433 del 1994, n.  576  del
1989 e n. 531 del 1988). 
    Il rimettente reputa, invece,  non  manifestamente  infondato  il
dubbio di compatibilita' dell'art. 14, comma 3, del  d.l.  n.  4  del
2019, come convertito,  con  il  principio  di  eguaglianza  formale,
sancito dall'art. 3, primo comma, Cost., nella parte in cui la  norma
indicata stabilisce il divieto di cumulo della pensione anticipata  a
"quota 100" con redditi da lavoro dipendente di qualsiasi  ammontare,
mentre consente il cumulo con redditi da lavoro autonomo  occasionale
fino all'importo di 5.000 euro lordi annui. 
    2.8.- Per argomentare la non manifesta infondatezza, il giudice a
quo muove dall'esame della sentenza n. 433 del 1994 di questa  Corte,
che ha dichiarato non fondata la questione, analoga a quella odierna,
avente a oggetto l'art. 10 del decreto-legge 29 gennaio 1983,  n.  17
(Misure per il contenimento del  costo  del  lavoro  e  per  favorire
l'occupazione), convertito, con modificazioni, nella legge  25  marzo
1983, n. 79, nonche' l'art. 22 della legge 30  aprile  1969,  n.  153
(Revisione degli ordinamenti pensionistici  e  norme  in  materia  di
sicurezza sociale), nella parte in cui  dette  norme  disponevano  il
divieto di cumulo di trattamento pensionistico anticipato con redditi
da lavoro dipendente. 
    In  quel  caso  questa  Corte  aveva  escluso  la  disparita'  di
trattamento rispetto ai redditi da  lavoro  autonomo  richiamando  la
conclamata diversita' dei rapporti di lavoro  dipendente  rispetto  a
quelli di  lavoro  autonomo,  anche  sotto  il  profilo  dei  sistemi
contributivi, per  poi  evidenziare  che  la  scelta  legislativa  di
disincentivare  il  lavoro  dipendente  nella  fase   successiva   al
collocamento a riposo risultava funzionale a rimuovere  gli  ostacoli
per l'accesso dei giovani al lavoro. 
    Il precedente citato non sarebbe pero' dirimente  ai  fini  della
questione odierna. Non sarebbe in discussione,  infatti,  il  sistema
contributivo cui assoggettare la prestazione  lavorativa  svolta  dal
pensionato,  quanto  piuttosto  le  conseguenze  che  tale  attivita'
produce sulla spettanza del trattamento  pensionistico  nell'anno  di
percezione dei redditi da lavoro. 
    Inoltre, nel contesto normativo attuale la distinzione tra lavoro
dipendente  e  lavoro  autonomo  risulterebbe   meno   nitida,   come
dimostrerebbe  in  modo  paradigmatico  la  fattispecie  oggetto  del
giudizio principale. Il pensionato ricorrente ha  svolto  prestazioni
nell'ambito di un rapporto di lavoro intermittente senza  obbligo  di
disponibilita' a rispondere alle chiamate,  rapporto  di  lavoro  che
sarebbe di dubbia assimilazione con il lavoro subordinato. 
    In ogni caso, lo svolgimento di attivita' produttiva  di  redditi
da lavoro dipendente fino a 5.000 euro lordi annui non pone in dubbio
la volonta' dell'interessato di conservare la qualita' di pensionato,
ne'   sarebbe   tale   da   incidere   sul   ricambio   generazionale
nell'occupazione  stabile,  obiettivo   quest'ultimo   indicato   dal
legislatore del 2019. 
    3.- Con atto depositato il 24 gennaio  2022,  il  Presidente  del
Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e  difeso   dall'Avvocatura
generale dello Stato, e' intervenuto  nel  giudizio  incidentale  per
chiedere che la questione sollevata sia dichiarata  inammissibile  o,
comunque, priva di fondamento. 
    3.1.- La questione sarebbe inammissibile per la perplessita'  che
la connoterebbe, giacche' nell'ordinanza di rimessione il  giudice  a
quo avrebbe mostrato di dubitare della  riconducibilita'  del  lavoro
intermittente,  svolto  dal   ricorrente,   all'ambito   del   lavoro
subordinato, la'  dove  solo  a  fronte  di  tale  configurazione  la
questione sarebbe rilevante. 
    3.2.- Nel merito la questione sarebbe manifestamente infondata. 
    La difesa dello Stato sottolinea la  complessita'  della  manovra
economica all'interno della quale si colloca la normativa  in  esame,
come si desumerebbe gia' dal preambolo del d.l. n. 4 del  2019,  come
convertito. 
    A fronte di emergenze finanziarie, l'obiettivo  primario  di  una
misura pensionistica temporanea era quello di  favorire  un  ricambio
generazionale   nelle   attivita'    produttive,    consentendo    la
flessibilita' in uscita soltanto a  quanti  intendessero  abbandonare
pressoche' integralmente l'attivita' lavorativa. 
    Il  divieto   di   cumulo   non   costituirebbe   dunque   misura
sproporzionata e  irragionevole,  fermo  restando  che  il  godimento
anticipato dei trattamenti  pensionistici  rappresenta  un  beneficio
discrezionalmente concesso dal legislatore (e' richiamata la sentenza
di questa Corte n. 155 del 1969). 
    3.3.- Quanto alla denunciata disparita' di trattamento, la difesa
statale richiama anch'essa la sentenza n. 433 del 1994, in cui questa
Corte ha sottolineato che il  disfavore  per  l'attivita'  lavorativa
prestata in posizione  subordinata  dopo  il  collocamento  a  riposo
«potrebbe  costituire  l'espressione  di  un  indirizzo  di  politica
legislativa, inteso a rimuovere ostacoli all'accesso dei  giovani  ad
occasioni lavorative», ostacoli che di  regola  non  sono  costituiti
dall'espletamento di un'attivita' libero-professionale. 
    4.- Con atto depositato in data 25 gennaio  2022,  l'INPS  si  e'
costituito nel giudizio incidentale per chiedere che la questione sia
dichiarata non fondata. 
    4.1.-   Dopo   avere   richiamato   in   sintesi   il   contenuto
dell'ordinanza  di  rimessione,  l'Istituto  osserva  che  la   netta
differenziazione  tra   lavoro   subordinato   e   lavoro   autonomo,
ripetutamente  affermata  da   questa   Corte   quanto   ai   sistemi
contributivi  e  ai  requisiti  utili  per  accedere  alla  pensione,
costituisce il presupposto per valutare la razionalita'  della  norma
censurata. 
    La  diversita'  strutturale  tra  le  due  tipologie  di   lavoro
rileverebbe anche sul piano del trattamento retributivo, che  per  il
lavoro dipendente comporta il versamento obbligatorio dei  contributi
nel Fondo  pensioni  lavoratori  dipendenti.  Il  reddito  da  lavoro
autonomo occasionale e',  invece,  esente  dall'obbligo  contributivo
fino all'importo di euro 5.000 lordi annui. 
    L'art. 44, comma 2, del decreto-legge 30 settembre 2003,  n.  269
(Disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e  per  la  correzione
dell'andamento dei conti pubblici),  convertito,  con  modificazioni,
nella legge 24 novembre 2003, n. 326, ha previsto,  infatti,  che,  a
decorrere dal 1° gennaio  2004,  i  lavoratori  autonomi  occasionali
debbano iscriversi  alla  gestione  separata  INPS  solo  qualora  il
reddito annuo  derivante  dall'attivita'  sia  superiore  all'importo
sopra indicato. 
    In questa diversa disciplina contributiva, del  tutto  trascurata
dal giudice a quo, risiederebbe la giustificazione dell'esenzione dal
divieto di cumulo prevista  dal  legislatore  del  2019  per  i  soli
redditi da lavoro autonomo occasionale entro il limite di 5.000  euro
lordi annui. 
    4.2.- L'Istituto osserva, inoltre,  che  il  censurato  art.  14,
comma 3, del d.l. n. 4 del 2019, come  convertito,  consente  per  un
periodo limitato (2019-2021) l'accesso alla pensione  anticipata,  se
si raggiunge un'eta' anagrafica di almeno  62  anni  e  un'anzianita'
contributiva minima di 38 anni. 
    L'impianto     redistributivo     dell'intervento     legislativo
sperimentale,  che  incide  sulle  dinamiche  previdenziali,  intende
favorire l'accesso all'impiego di giovani e non occupati, come  anche
rilevato da questa Corte nella sentenza n. 234 del 2020. 
    In ogni  caso,  poiche'  l'accesso  alla  pensione  anticipata  a
''quota  100''  costituisce  un'eccezione  al  regime  generale,  che
prevede il pensionamento a 67  anni,  eta'  anagrafica  sensibilmente
piu' alta di  quella  richiesta  dalla  disposizione  censurata,  non
sarebbe irragionevole il divieto di svolgere attivita' lavorativa. 
    4.3.- Il punto critico individuato dal rimettente  risiede  nella
eccezione prevista per il lavoro autonomo occasionale che non  superi
i 5.000 euro lordi annui. Si tratta,  sostiene  l'INPS  di  eccezione
sorretta da giustificazione, poiche' riguarda un'attivita' esente  da
obbligo contributivo, laddove il pensionato che  svolgesse  attivita'
da lavoro dipendente continuerebbe ad incrementare  la  contribuzione
presso il Fondo pensioni lavoratori dipendenti. 
    Le situazioni poste a  raffronto  dal  rimettente  non  sarebbero
comparabili  e  cio'  escluderebbe  la  lesione  del   principio   di
eguaglianza. 
    4.4.-  L'Istituto  segnala  infine  che,  nella  prospettiva   di
favorire  l'occupazione  e  il  ricambio  generazionale,  il  divieto
assoluto di svolgere attivita' di lavoro subordinato, anche di  breve
durata, troverebbe giustificazione nel  ruolo  crescente  che  talune
tipologie di contratti assumono per l'accesso al mercato del  lavoro,
in funzione della copertura di periodi di assenza di contribuzione. 
    5.- Ai sensi  dell'art.  4-ter  delle  Norme  integrative  per  i
giudizi davanti alla  Corte  costituzionale,  il  Sindacato  cronisti
romani presso l'Associazione stampa  romana  ha  depositato  opinione
scritta a titolo di amicus curiae, che e' stata ammessa  con  decreto
presidenziale  dell'8  luglio  2022.  L'opinione  si  diffonde  sulla
situazione previdenziale dei giornalisti e pubblicisti, segnalando le
possibili ricadute del divieto di cumulo nel settore di riferimento. 
    6.- Nel corso dell'udienza pubblica le parti  hanno  ribadito  le
considerazioni  svolte  nei  rispettivi  atti  di  intervento  e   di
costituzione,  in  punto  di  inammissibilita'  o,  comunque  di  non
fondatezza della questione. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Con l'ordinanza indicata in epigrafe (r.o. n. 211 del  2021),
il Tribunale ordinario di Trento, in funzione di giudice del  lavoro,
solleva questione di legittimita' costituzionale dell'art. 14,  comma
3, del d.l. n. 4 del 2019, n.  4,  come  convertito,  in  riferimento
all'art. 3, primo comma, Cost. 
    1.1.- La  disposizione  censurata,  collocata  all'interno  della
disciplina della pensione anticipata, cosiddetta "quota 100", prevede
che essa  «non  e'  cumulabile,  a  far  data  dal  primo  giorno  di
decorrenza della pensione e fino alla maturazione dei  requisiti  per
l'accesso alla  pensione  di  vecchiaia,  con  i  redditi  da  lavoro
dipendente o autonomo, ad eccezione di  quelli  derivanti  da  lavoro
autonomo occasionale, nel limite di 5.000 euro lordi annui». 
    2.- L'ordinanza di rimessione e' stata pronunciata nell'ambito di
un giudizio introdotto da M. B., titolare di  pensione  anticipata  a
"quota 100" a far data dal 1° maggio 2019, nei confronti dell'INPS. 
    Il ricorrente, che ha svolto lavoro  di  tipo  intermittente  nel
periodo successivo al pensionamento, contesta la pretesa dell'INPS di
ripetere i ratei di pensione gia' corrispostigli e  chiede,  inoltre,
la condanna dell'Istituto a versargli i ratei di pensione relativi al
periodo settembre-dicembre 2020. 
    3.- Il giudice a  quo  argomenta  la  rilevanza  della  questione
evidenziando che il giudizio  principale  non  puo'  essere  definito
prescindendo dall'applicazione dell'art. 14, comma 3, del d.l.  n.  4
del 2019, come convertito. 
    4.- Quanto alla non manifesta infondatezza, il rimettente ritiene
privo di giustificazione il trattamento differenziato del divieto  di
cumulo a seconda che i redditi percepiti dal pensionato  derivino  da
attivita'  di  lavoro  dipendente  o  di   lavoro   autonomo;   anche
l'obiettivo  di  favorire  l'occupazione  giovanile,   esplicitamente
perseguito dal legislatore con la pensione anticipata a quota  "100",
non  sembrerebbe  compromesso  dallo  svolgimento,   da   parte   del
pensionato, di attivita' di lavoro dipendente produttiva  di  redditi
fino a 5.000 euro lordi annui, o comunque non lo  sarebbe  in  misura
maggiore rispetto all'attivita' di lavoro autonomo occasionale. 
    5.- Il Presidente del  Consiglio  dei  ministri,  intervenuto  in
giudizio per mezzo dell'Avvocatura generale dello Stato,  ritiene  la
questione inammissibile per difetto di motivazione sulla rilevanza. 
    Il giudice a quo non avrebbe sciolto il dubbio  circa  la  natura
del  rapporto  di  lavoro  intermittente,  svolto  nella  fattispecie
oggetto  del  giudizio  principale.  Soltanto  se  tale   prestazione
lavorativa  fosse   riconducibile   all'ampia   nozione   di   lavoro
subordinato,  sussisterebbe  il   nesso   di   pregiudizialita'   fra
risoluzione della  questione  di  legittimita'  costituzionale  e  la
decisione del caso concreto. 
    6.- L'eccezione non e' fondata. 
    Il rimettente dubita che il lavoro intermittente senza obbligo di
rispondere alla  chiamata  possa  essere  ricondotto  nell'alveo  del
lavoro  subordinato,  in  ragione  della  natura   flessibile   della
prestazione richiesta. Si tratta,  a  ben  vedere,  di  un  argomento
strumentale, adoperato a sostegno della tesi di fondo secondo cui  la
distinzione tra lavoro dipendente e lavoro autonomo, oggi sempre meno
nitida, non potrebbe giustificare il diverso trattamento riguardo  al
divieto di cumulo con la pensione anticipata. 
    Cio' non rende incerta o perplessa la motivazione sulla rilevanza
(ex plurimis, sentenze n. 39 del 2021, n. 254 del 2020 e n.  102  del
2016; ordinanza n. 147 del 2013), posto  che  il  rimettente  afferma
chiaramente  la  necessita'  di  applicare  la  norma  censurata  nel
giudizio principale, prefigurandone l'esito sfavorevole al ricorrente
a disposizione invariata, e coerentemente chiede a  questa  Corte  un
intervento additivo, che valga a estendere l'esenzione dal divieto di
cumulo prevista per i soli redditi  da  lavoro  autonomo  occasionale
entro il limite di 5.000 euro lordi annui, ai redditi di pari entita'
frutto di un'attivita' di lavoro  "saltuaria",  quale  e'  il  lavoro
intermittente. 
    7.- Nel merito, la questione non e' fondata. 
    7.1.-  Il  divieto  di  cumulo  previsto  dalla  norma  censurata
risponde  a  piu'  ampie  esigenze  di   razionalita'   del   sistema
pensionistico, all'interno del quale il regime derogatorio introdotto
dal legislatore del 2019 con una misura sperimentale e  temporalmente
limitata, risulta particolarmente vantaggioso per chi scelga di farvi
ricorso. 
    Il legislatore ha preteso, non irragionevolmente, che il soggetto
che sceglie di usufruire di tale trattamento  esca  dal  mercato  del
lavoro, sia per la sostenibilita' del sistema previdenziale, sia  per
favorire il ricambio generazionale. 
    Di cio' e' consapevole  il  giudice  rimettente,  il  quale,  pur
adombrando che possa  ritenersi  sproporzionata  la  sospensione  del
trattamento pensionistico per l'intero anno solare in cui siano stati
percepiti redditi da lavoro, specialmente se  si  tratta  di  importi
modesti, incentra il dubbio di legittimita' costituzionale sul regime
differenziato del divieto di cumulo. Mentre  il  lavoro  occasionale,
prestato senza vincolo di subordinazione, remunerato entro la  soglia
massima di 5.000 euro lordi annui e' cumulabile  con  il  trattamento
pensionistico, non lo e' il lavoro intermittente, foss'anche quello -
come accaduto nella vicenda oggetto del giudizio principale - che non
prevede alcun obbligo di disponibilita' nel rispondere alla  chiamata
del datore di lavoro. 
    A  sostegno  di  tale  prospettazione  il   rimettente   richiama
ripetutamente la sentenza n. 416 del 1999. Questa Corte ha  affermato
in tale occasione che, quanto  al  divieto  di  cumulo  tra  pensione
anticipata e redditi da lavoro, le differenze tra lavoro  autonomo  e
lavoro subordinato  non  erano,  nella  prospettiva  del  legislatore
dell'epoca, tali da imporre una disciplina diversificata del cumulo. 
    7.2.- Il riferimento  alla  decisione  citata  non  e'  dirimente
nell'impostazione  dell'odierna  questione.  La   comparazione,   ora
proposta dal rimettente, fra redditi da lavoro  autonomo  occasionale
entro la soglia di  5.000  euro  lordi  annui  e  redditi  da  lavoro
intermittente  non  ha  fondamento,  poiche'  non  sono  omogenee  le
situazioni poste a raffronto. 
    Il  lavoro  intermittente  deve   essere   ricondotto   all'ampia
categoria   del   lavoro   flessibile,   che   il   legislatore    ha
progressivamente circondato di regole (da ultimo, con gli articoli da
13 a 18 del decreto  legislativo  15  giugno  2015,  n.  81,  recante
«Disciplina organica  dei  contratti  di  lavoro  e  revisione  della
normativa in tema di mansioni, a  norma  dell'articolo  1,  comma  7,
della legge 10 dicembre 2014, n. 183»). 
    In assenza di una disciplina tradizionale dell'orario di  lavoro,
specialmente nei settori produttivi in cui l'offerta  di  occupazione
non e' costante e non ha cadenze regolari, l'intento e' quello di non
ostacolare le scelte organizzative del datore di  lavoro,  garantendo
al  contempo  la  tutela  della  dignita'  del  lavoratore,  che   si
sostanzia, tra l'altro, nella compatibilita' fra tempi  di  lavoro  e
vita privata. 
    La disposizione che consente al lavoratore di  non  obbligarsi  a
rispondere alla chiamata del datore di lavoro (art. 13 del d.lgs.  n.
81 del 2015), come nella fattispecie oggetto del giudizio principale,
si differenzia da quella in cui  e'  prevista  la  corresponsione  di
un'indennita', commisurata alla retribuzione, che compensa i tempi di
attesa di quanti optano per una disponibilita' costante (art. 16  del
d.lgs. n. 81 del 2015). Entrambe le prestazioni di lavoro flessibile,
sia pure nella loro peculiare frammentarieta', rispondono pur  sempre
a esigenze organizzative del datore di lavoro. 
    L'eterodirezione e', al contrario, del tutto assente  nel  lavoro
autonomo  occasionale.  Quest'ultimo  costituisce,  infatti,  un'area
residuale  del  lavoro  autonomo,  riconducibile   alla   definizione
contenuta  nell'art.  2222  del   codice   civile.   L'occasionalita'
caratterizza una prestazione  non  abituale,  sottratta  a  qualunque
vincolo di subordinazione. 
    7.3.- La differenza tra le tipologie di  attivita'  in  esame  si
riflette  coerentemente  sulla  diversa  disciplina  del  divieto  di
cumulo. Mentre al lavoro intermittente, proprio perche'  subordinato,
si accompagna l'obbligo di contribuzione, cosi'  non  accade  per  il
lavoro autonomo occasionale produttivo di  redditi  entro  la  soglia
massima dei 5.000 euro lordi annui (art. 44, comma 2, del d.l. n. 269
del 2003, come convertito). 
    Come chiarito anche di recente da questa Corte, sia pure  in  una
fattispecie diversa da quella ora  in  esame  (sentenza  n.  104  del
2022), il lavoratore autonomo occasionale percettore di redditi entro
la soglia indicata non e' tenuto a iscriversi alla Gestione  separata
di cui all'art. 2, comma 26,  della  legge  8  agosto  1995,  n.  335
(Riforma del sistema pensionistico obbligatorio e  complementare),  e
quei redditi, ai sensi dell'art. 44, comma 2, del  d.l.  n.  269  del
2003, come convertito, non sono soggetti a prelievo previdenziale. 
    7.4.- In ragione della  diversita'  delle  situazioni  lavorative
poste   a   raffronto,   si   deve   dunque   escludere    che    sia
costituzionalmente illegittimo il difforme trattamento riservato,  ai
fini del divieto di cumulo con la pensione anticipata a "quota  100",
ai redditi  da  esse  derivanti.  L'assenza  di  omogeneita'  fra  le
prestazioni di lavoro qui esaminate porta alla conclusione che non e'
violato il principio di eguaglianza (ex plurimis, sentenze n. 127 del
2020, n. 32 del 2018 e n. 241 del 2016; ordinanza n. 346 del 2004). 
    7.5.-  La  scelta  del  legislatore,  volta  a  diversificare  il
trattamento  previsto  per  il  divieto  di   cumulo,   non   risulta
costituzionalmente illegittima neppure considerando  la  sproporzione
che puo' in concreto determinarsi - come  nella  fattispecie  oggetto
del giudizio  principale  -  fra  l'entita'  dei  redditi  da  lavoro
percepiti dal pensionato che ha  usufruito  della  cosiddetta  "quota
100" e i ratei di pensione la cui erogazione e' sospesa. 
    Non  si  puo'  non  considerare  l'eccezionalita'  della   misura
pensionistica in esame, che ha consentito, per il triennio 2019-2021,
il  ritiro  dal  lavoro  all'eta'  di  62  anni,  con   un'anzianita'
contributiva di almeno 38  anni,  senza  penalizzazioni  nel  calcolo
della  rendita.  Nell'adottare  una   disciplina   sperimentale,   il
legislatore ha configurato un regime di  quiescenza  disciplinato  da
regole molto  piu'  favorevoli  rispetto  al  sistema  ordinario.  La
prevista  sospensione  del  trattamento  di  quiescenza  in  caso  di
violazione del  divieto  di  cumulo  e',  per  l'appunto,  rivolta  a
garantire un'effettiva uscita del  pensionato  che  ha  raggiunto  la
cosiddetta "quota 100" dal mercato  del  lavoro,  anche  al  fine  di
creare  nuova  occupazione  e  favorire  il  ricambio  generazionale,
all'interno di un sistema previdenziale sostenibile. 
    Nel regime ora descritto, la percezione da parte  del  pensionato
di  redditi  da  lavoro,  qualunque  ne  sia  l'entita',  costituisce
elemento  fattuale  che  contraddice  il  presupposto  richiesto  dal
legislatore   per   usufruire   di   tale   favorevole    trattamento
pensionistico anticipato (come rilevato peraltro da questa Corte  con
riferimento  al  diritto  all'erogazione  della  Nuova  assicurazione
sociale per l'impiego - NASpI -, nella sentenza n. 194 del  2021),  e
mette a rischio l'obiettivo occupazionale. 
    Anche in questa prospettiva,  l'assenza  di  omogeneita'  fra  le
situazioni  lavorative  poste  a  raffronto  dal  rimettente  risulta
decisiva per escludere la fondatezza della questione. 
    Il lavoro autonomo occasionale, per la sua natura residuale,  non
incide in modo diretto e significativo sulle dinamiche occupazionali,
ne' su quelle previdenziali e si differenzia per  questo  dal  lavoro
subordinato,  sia  pure  nella  modalita'   flessibile   del   lavoro
intermittente.