ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale  dell'art.  2,  comma
26,  della  legge  8  agosto  1995,  n.  335  (Riforma  del   sistema
pensionistico obbligatorio e complementare), e  dell'art.  18,  comma
12, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 (Disposizioni urgenti  per
la stabilizzazione finanziaria), convertito, con modificazioni, nella
legge 15 luglio 2011, n. 111, promosso  dal  Tribunale  ordinario  di
Rieti, in funzione di giudice del lavoro, nel  procedimento  vertente
tra P. M. e l'Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS), con
ordinanza dell'8 febbraio  2022,  iscritta  al  n.  14  del  registro
ordinanze 2022 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 9, prima serie speciale, dell'anno 2022. 
    Visti gli atti di costituzione di  P.  M.  e  dell'INPS,  nonche'
l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; 
    udito nell'udienza  pubblica  del  18  ottobre  2022  il  Giudice
relatore Giovanni Amoroso; 
    uditi gli avvocati Chiara Mestichelli per P. M.,  Lelio  Maritato
per  l'INPS  e  l'avvocato  dello  Stato  Federica  Varrone  per   il
Presidente del Consiglio dei ministri; 
    deliberato nella camera di consiglio del 18 ottobre 2022. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza dell'8 febbraio  2022  (reg.  ord.  n.  14  del
2022), il Tribunale ordinario di Rieti, in funzione  di  giudice  del
lavoro,  ha  sollevato  questioni  di   legittimita'   costituzionale
dell'art. 2, comma 26, della legge 8 agosto 1995, n. 335 (Riforma del
sistema pensionistico obbligatorio e complementare) e  dell'art.  18,
comma 12, del  decreto-legge  6  luglio  2011,  n.  98  (Disposizioni
urgenti  per  la  stabilizzazione   finanziaria),   convertito,   con
modificazioni, nella legge 15 luglio 2011, n. 111, per contrasto  con
gli artt. 3, anche in riferimento all'art.  118,  comma  quarto,  23,
anche  in  riferimento  all'art.  41,  e  117   della   Costituzione,
quest'ultimo in relazione all'art. 1 del Protocollo addizionale  alla
Convenzione  europea  dei  diritti  dell'uomo,  nella  parte  in  cui
prevedono   l'obbligo   di   iscrizione   alla   Gestione    separata
dell'Istituto nazionale della  previdenza  sociale  (INPS)  a  carico
degli ingegneri e degli  architetti  che,  pur  essendo  iscritti  ai
relativi  albi  professionali,  non  possono  iscriversi  alla  Cassa
previdenziale di riferimento in quanto svolgono contestualmente anche
un'altra  attivita'  lavorativa  e  sono,   dunque,   iscritti   alla
corrispondente forma di previdenza obbligatoria. 
    L'art. 2, comma 26, della legge n. 335  del  1995,  prevede,  con
decorrenza dal 1° gennaio 1996, l'obbligo di iscrizione alla Gestione
separata  costituita  presso  l'INPS,   «finalizzata   all'estensione
dell'assicurazione  generale  obbligatoria  per   l'invalidita',   la
vecchiaia e i superstiti»,  sia  dei  «soggetti  che  esercitano  per
professione abituale, ancorche' non esclusiva,  attivita'  di  lavoro
autonomo, di cui al comma 1 dell'articolo 49, del testo  unico  delle
imposte sui redditi,  approvato  con  decreto  del  Presidente  della
Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917», sia dei «titolari  di  rapporti
di collaborazione coordinata e  continuativa,  di  cui  al  comma  2,
lettera a), dell'articolo 49» predetto (ora, a seguito della  riforma
introdotta con il decreto  legislativo  12  dicembre  2003,  n.  344,
recante «Riforma dell'imposizione sul reddito delle societa', a norma
dell'articolo 4 della L. 7 aprile 2003, n. 80»: art. 53). 
    L'art. 18, comma 12, del d.l. n. 98 del 2011, come  convertito  -
norma dichiaratamente di interpretazione autentica del citato art. 2,
comma 26, della legge n. 335 del 1995 - dispone che  quest'ultimo  si
interpreta nel senso che i soggetti che  esercitano  per  professione
abituale, ancorche' non  esclusiva,  attivita'  di  lavoro  autonomo,
tenuti all'iscrizione presso l'apposita Gestione separata INPS, «sono
esclusivamente i soggetti che svolgono attivita' il cui esercizio non
sia subordinato all'iscrizione ad appositi albi professionali, ovvero
attivita' non soggette al versamento contributivo agli enti di cui al
comma 11, in base ai rispettivi statuti ed ordinamenti». 
    Gli enti a cui la norma interpretativa  fa  riferimento  sono  le
Casse, gli Enti e gli Istituti previdenziali gia'  istituiti  per  le
diverse categorie professionali, trasformati  in  persone  giuridiche
private dal decreto legislativo 30 giugno 1994,  n.  509  (Attuazione
della delega conferita dall'art. 1, comma 32, della legge 24 dicembre
1993, n. 537, in materia  di  trasformazione  in  persone  giuridiche
private di  enti  gestori  di  forme  obbligatorie  di  previdenza  e
assistenza) nonche' quelli successivamente costituiti  ai  sensi  del
decreto legislativo 10 febbraio 1996, n. 103 (Attuazione della delega
conferita dall'art. 2, comma 25, della legge 8 agosto 1995,  n.  335,
in materia di tutela  previdenziale  obbligatoria  dei  soggetti  che
svolgono attivita' autonoma di  libera  professione),  di  attuazione
della delega conferita dall'art. 2, comma 25, della legge n. 335  del
1995, in materia di tutela previdenziale dei  soggetti  che  svolgono
attivita'  autonoma  di  libera  professione,  il  cui  esercizio  e'
subordinato all'iscrizione ad appositi albi ed elenchi. 
    Nell'esegesi  della  norma  interpretativa  consolidatasi   nella
giurisprudenza di legittimita' e assurta a regola di diritto vivente,
e' prevalsa la tesi secondo la quale il  versamento  contributivo  in
favore degli  enti  previdenziali  di  riferimento  categoriale,  cui
l'attivita' di  lavoro  autonomo  abitualmente  esercitata  non  deve
essere soggetta perche' sorga l'obbligo di iscrizione  alla  Gestione
separata, si specificherebbe nel  contributo  cosiddetto  soggettivo,
vale  a  dire  nel  contributo  il  cui  versamento  e'   subordinato
all'iscrizione all'ente previdenziale di categoria e che determina la
costituzione di un vero e proprio rapporto  giuridico  previdenziale,
comportante il diritto alle prestazioni  erogate  dall'ente  medesimo
per l'invalidita', la vecchiaia e i superstiti. 
    In  base  al  prevalso  orientamento  giurisprudenziale,  dunque,
dovrebbero ritenersi obbligati ad iscriversi alla  Gestione  separata
INPS non solo i  soggetti  che  svolgono  abitualmente  attivita'  di
lavoro autonomo il cui esercizio non sia  subordinato  all'iscrizione
ad  appositi  albi  professionali,  ma  anche  i  soggetti  che,  pur
svolgendo  attivita'  il  cui  esercizio  sia  subordinato   a   tale
iscrizione, non sono  tuttavia  iscritti  alla  Cassa  di  previdenza
professionale  (eventualmente  in  ragione  del   divieto   derivante
dall'iscrizione ad altra forma di previdenza obbligatoria) e  restano
quindi  obbligati  al  versamento  del  solo  contributo   cosiddetto
integrativo (comportante l'erogazione di prestazioni assistenziali di
carattere mutualistico), non anche di quello cosiddetto soggettivo, a
cui  consegue  l'accensione  di  una   vera   e   propria   posizione
previdenziale. 
    L'obbligo di iscrizione, inoltre, vi  sarebbe  non  soltanto  nei
casi di esercizio per professione abituale dell'attivita'  di  lavoro
autonomo (conformemente al disposto testuale di cui all'art. 2, comma
26, della legge n. 335 del 1995), ma, con decorrenza dal  1°  gennaio
2004, anche nei casi di esercizio di  attivita'  di  lavoro  autonomo
occasionale, allorche' il reddito  annuo  da  essa  derivante  superi
l'importo di euro 5.000,00, ai  sensi  dell'art.  44,  comma  2,  del
decreto-legge 30 settembre 2003, n.  269  (Disposizioni  urgenti  per
favorire lo sviluppo e per la  correzione  dell'andamento  dei  conti
pubblici), convertito, con modificazioni,  nella  legge  24  novembre
2003, n. 326. 
    1.1.- Tra questi professionisti rientrano  gli  ingegneri  e  gli
architetti,  i  quali,  pur  essendo  iscritti   ai   relativi   albi
professionali,   svolgano,   tuttavia,   anche   un'altra   attivita'
lavorativa  e  siano  pertanto  iscritti  alla  forma  di  previdenza
obbligatoria corrispondente all'altra attivita' esercitata e non gia'
alla Cassa categoriale. 
    In vero, la legge 4 marzo 1958, n. 179 (Istituzione e ordinamento
della Cassa nazionale di previdenza ed assistenza per  gli  ingegneri
ed  architetti),  nell'istituire  la  Cassa  categoriale  (cosiddetta
Inarcassa)  con  personalita'  giuridica,  in  origine,  di   diritto
pubblico (art. 1), successivamente privatizzata in base al d.lgs.  n.
509 del 1994, aveva previsto che fossero iscritti  alla  Cassa  tutti
gli ingegneri e gli architetti che potessero esercitare,  per  legge,
la libera professione (art. 3). 
    Tale previsione, tuttavia, e' stata modificata dall'art. 2  della
legge 11 novembre 1971, n. 1046 (Modifiche ed integrazioni alla legge
4 marzo 1958, n. 179, concernente l'istituzione e l'ordinamento della
cassa nazionale di previdenza ed  assistenza  per  gli  ingegneri  ed
architetti ed abrogazione della legge 6 ottobre 1964, n. 983, recante
modificazioni alla predetta legge n. 179), il quale,  con  decorrenza
dal 1°gennaio 1972, ha stabilito il divieto di iscrizione alla  cassa
per «gli ingegneri ed  architetti  iscritti  a  forme  di  previdenza
obbligatorie in dipendenza di un rapporto  di  lavoro  subordinato  o
comunque di altra attivita' esercitata». 
    Il divieto e' stato ribadito dall'art. 21,  quinto  comma,  della
legge 3 gennaio 1981, n. 6 (Norme in materia di  previdenza  per  gli
ingegneri e gli  architetti),  la  quale  pero'  ha  anche  previsto,
all'art. 10, comma primo, con decorrenza dal 1° gennaio  del  secondo
anno successivo alla sua entrata in vigore, che «tutti  gli  iscritti
agli  albi  di  ingegnere  e  di  architetto  devono  applicare   una
maggiorazione percentuale su tutti  i  corrispettivi  rientranti  nel
volume annuale d'affari  ai  fini  dell'IVA  e  versarne  alla  cassa
l'ammontare indipendentemente dall'effettivo pagamento che  ne  abbia
eseguito il debitore». 
    Per un verso, dunque, i professionisti in parola,  pur  svolgendo
l'attivita' professionale abitualmente, non possono  iscriversi  alla
Cassa in ragione della diversa attivita' lavorativa  svolta  e  della
relativa posizione previdenziale assunta; per altro verso, in  quanto
iscritti all'albo di ingegnere od architetto, sono comunque tenuti  a
versare alla cassa medesima un contributo integrativo. 
    Movendo da una interpretazione dell'art. 18, comma 12,  del  d.l.
n. 98 del 2011, come convertito, conforme  a  quella  successivamente
fatta  propria  dalla  giurisprudenza  di  legittimita',  l'INPS   ha
proceduto  ad  iscrivere   d'ufficio   alla   Gestione   separata   i
professionisti che, pur  essendo  iscritti  all'albo  e  versando  il
contributo cosiddetto integrativo, non erano tuttavia  iscritti  alla
Cassa previdenziale  di  categoria  e  non  versavano,  pertanto,  il
contributo cosiddetto soggettivo. 
    1.2.- L'ordinanza di rimessione e' stata emessa  in  un  giudizio
introdotto  da  un  professionista  che  si   trovava   nelle   dette
condizioni, il quale, nel 2018, aveva ricevuto dall'INPS, oltre  alla
comunicazione  di  essere  stato  iscritto  d'ufficio  alla  Gestione
separata, ai sensi dell'art. 2, comma 26,  della  legge  n.  335  del
1995, anche l'intimazione di pagamento dei contributi ad essa  dovuti
in ragione del reddito da attivita' professionale maturato  nell'anno
2012. 
    Precisamente, l'architetto P. M., dopo aver vanamente  presentato
ricorso amministrativo avverso tali provvedimenti,  ha  proposto,  in
via principale, domanda  di  accertamento  negativo  dell'obbligo  di
iscrizione  alla  Gestione  separata   INPS   e   della   conseguente
obbligazione di versare i relativi contributi;  in  via  subordinata,
ha, invece, domandato l'annullamento delle sanzioni e degli interessi
applicati nell'intimazione impugnata. 
    Il professionista ha dedotto l'insussistenza del suo  obbligo  di
iscriversi alla Gestione separata INPS,  sul  presupposto  che  esso,
alla luce dell'art. 18, comma 12, del  d.l.  n.  98  del  2011,  come
convertito, recante l'interpretazione autentica  dell'art.  2,  comma
26, della legge n.  335  del  1995,  dovrebbe  reputarsi  sussistente
soltanto  a  carico  dei  professionisti  che  svolgono  abitualmente
attivita' di lavoro autonomo il cui  esercizio  non  sia  subordinato
all'iscrizione ad appositi  albi,  mentre  egli,  al  contrario,  pur
essendogli  preclusa  l'iscrizione   all'Inarcassa,   nondimeno   era
iscritto all'albo degli architetti ed era in regola con il  pagamento
del contributo cosiddetto integrativo a favore della Cassa medesima. 
    L'INPS, costituitosi in giudizio, ha resistito alle domande. 
    1.3.- Tanto evidenziato, il  rimettente  ritiene  che  l'art.  2,
comma 26, della legge n. 335 del 1995,  come  interpretato  dall'art.
18, comma 12, del d.l. n. 98 del 2011, come convertito - nella  parte
in cui prevede l'obbligo di iscrizione alla Gestione separata INPS da
parte degli ingegneri ed architetti  che,  pur  essendo  iscritti  ai
relativi  albi  professionali,  non  possono  iscriversi  alla  cassa
previdenziale di  riferimento,  in  quanto  svolgono  contestualmente
anche un'altra attivita'  lavorativa  e  sono  dunque  iscritti  alla
corrispondente forma di previdenza obbligatoria - non si sottragga al
sospetto di illegittimita' costituzionale. 
    Il  giudice  a  quo  prende  atto  che  nella  giurisprudenza  di
legittimita'  e'  prevalsa  e  si  e'  consolidata  l'interpretazione
estensiva della disposizione costituita dalla saldatura tra la  norma
interpretata e  la  norma  interpretativa,  in  ragione  della  quale
l'obbligo di iscrizione alla Gestione separata INPS,  con  decorrenza
dal 1° gennaio 1996, graverebbe non solo sui soggetti che, in ragione
dell'attivita'  esercitata,  non  devono  iscriversi   ad   un   albo
professionale, ma anche su quelli che, pur dovendo iscriversi  ad  un
albo, non  hanno  il  contestuale  obbligo  (o,  come  nel  caso  dei
professionisti titolari di rapporto  di  altro  rapporto  di  lavoro,
subiscono persino il divieto) di iscriversi alla Cassa  previdenziale
di riferimento, sempre che, naturalmente, l'attivita' sia  esercitata
in via abituale o, se occasionale, abbia prodotto  un  reddito  annuo
superiore ad euro 5.000,00 (in quest'ultimo  caso  l'obbligo  decorre
dal 1° gennaio 2004, conformemente al disposto dell'art. 44, comma 2,
del d.l. n. 269 del 2003, come convertito). 
    L'univocita' dell'interpretazione, prevalsa nella  giurisprudenza
di legittimita', vanificherebbe ogni tentativo  di  accedere  ad  una
diversa esegesi della disposizione in esame, mentre il consolidamento
della predetta interpretazione  in  una  regola  di  diritto  vivente
aprirebbe la strada al sindacato  della  legittimita'  costituzionale
della regola medesima. 
    2.- Cio' posto,  il  rimettente  evidenzia  come  le  prospettate
questioni di legittimita' costituzionale siano rilevanti nel giudizio
a quo. 
    Ove, infatti, la disciplina recata dall'art. 2, comma  26,  della
legge n. 335 del 1995, come interpretato dall'art. 18, comma 12,  del
d.l. n. 98  del  2011,  come  convertito,  secondo  l'interpretazione
giurisprudenziale, ormai consolidata in  una  situazione  di  diritto
vivente,  dovesse  ritenersi  legittima,  le  domande  proposte   dal
ricorrente dovrebbero essere rigettate in applicazione della  stessa,
essendo egli un architetto che nel 2012 (anno a cui si riferiscono  i
redditi tratti dall'attivita' professionale svolta in forma abituale,
oggetto dell'accertamento compiuto dall'INPS) era iscritto  all'albo,
ma non alla Cassa previdenziale di categoria (in quanto  titolare  di
posizione  previdenziale  correlata  ad  altra  attivita'  lavorativa
esercitata)  ed  era,  pertanto,  bensi'  tenuto  al  versamento  del
contributo integrativo, ma non anche di quello soggettivo. 
    Al contrario, ove le  questioni  di  legittimita'  costituzionale
dovessero ritenersi fondate, le domande proposte  dal  professionista
dovrebbero  essere  accolte,  accertandosi  l'insussistenza  del  suo
obbligo di iscriversi alla  Gestione  separata  e,  conseguentemente,
l'insussistenza del credito contributivo vantato dall'INPS  nei  suoi
confronti. 
    3.-  Oltre  che   rilevanti,   le   questioni   di   legittimita'
costituzionale sarebbero, altresi', non manifestamente infondate. 
    3.1.- In primo luogo, sussisterebbe il dubbio che l'art 2,  comma
26, della legge n. 335 del  1995,  come  interpretato  dall'art.  18,
comma 12, del d.l. n. 98 del 2011, come convertito,  violi  l'art.  3
Cost., ponendosi in contrasto con il principio di ragionevolezza. 
    Il rimettente osserva che l'impianto sistematico risultante,  per
un verso, dal processo di privatizzazione degli enti previdenziali di
categoria (contemplato dal d.lgs. n.  509  del  1994)  e,  per  altro
verso, dalla estensione della copertura  assicurativa  ai  lavoratori
autonomi realizzata attraverso la legge n. 335 del 1995, in  ossequio
al principio di universalizzazione delle tutele, era connotato da una
sua intrinseca razionalita'. 
    L'art. 2 della predetta legge aveva distinto  infatti  la  tutela
previdenziale dei liberi professionisti iscritti ad albi  (comma  25)
da quella dei lavoratori autonomi non iscritti ad albi  professionali
(comma 26). 
    Questa distinzione trovava conferma nel d.lgs. n. 103  del  1996,
attuativo della delega conferita dall'art. 2, comma 25,  della  legge
n. 335  del  1995,  che  aveva  ribadito  l'estensione  della  tutela
previdenziale  obbligatoria  ai  soggetti  che  svolgevano  attivita'
autonoma di libera professione senza vincolo  di  subordinazione,  il
cui esercizio fosse condizionato all'iscrizione in  appositi  albi  o
elenchi. 
    In questo contesto - ritiene il rimettente -  la  soluzione  piu'
coerente e ragionevole, in relazione alla copertura assicurativa  dei
professionisti  gia'  iscritti   ad   altre   forme   di   previdenza
obbligatoria (ma iscritti altresi' all'albo professionale  e  tenuti,
dunque, al versamento  del  contributo  integrativo),  sarebbe  stata
quella di assoggettarli all'obbligo di versare (anche) un  contributo
soggettivo alle relative casse categoriali,  in  conformita'  con  la
disciplina  introdotta  in  ordine   alla   analoga   posizione   dei
professionisti gia' pensionati. 
    Ad avviso del rimettente, l'esigenza di coerenza  con  la  scelta
sistematica fondamentale volta a differenziare la tutela  dei  liberi
professionisti iscritti ad albi da quella dei lavoratori autonomi non
iscritti ad albi professionali - unitamente al rapporto  di  analogia
sussistente  tra  la  fattispecie  relativa  ai  professionisti  gia'
pensionati e  quella  dei  professionisti  iscritti  ad  altre  forme
previdenziali (in entrambi i casi sussiste l'iscrizione all'albo  con
versamento del contributo integrativo, mentre  si  e'  esonerati  dal
versamento di quello soggettivo in ragione della non iscrizione  alla
cassa) - avrebbe dovuto indurre il legislatore a realizzare anche per
i secondi la piena copertura previdenziale all'interno della  propria
categoria professionale. 
    La diversa ed ingiustificata  scelta  legislativa  di  sottoporli
all'obbligo  di  iscrizione  alla  Gestione  separata  presso  l'INPS
avrebbe,  invece,  comportato  -  secondo  il  giudice  rimettente  -
l'irragionevole effetto di  comprimere  l'autonomia  regolamentare  e
statutaria  riconosciuta  dallo   stesso   legislatore   alle   casse
previdenziali private, tra cui figura quella degli architetti e degli
ingegneri. 
    3.2.- Oltre che il principio di  ragionevolezza,  ad  avviso  del
rimettente, l'art. 2, comma 26, della legge n.  335  del  1995,  come
interpretato dall'art. 18, comma 12, del d.l. n. 98  del  2011,  come
convertito,   porrebbe   in   sofferenza   anche   il    canone    di
proporzionalita'. 
    Per coprire il  "vuoto"  di  obbligo  assicurativo  esistente  in
relazione all'attivita' dei professionisti  gia'  iscritti  ad  altre
forme  di  previdenza  obbligatoria,  lo  strumento  piu'  idoneo   e
proporzionato in funzione del suo raggiungimento sarebbe stato quello
gia' adottato con riguardo all'analoga  fattispecie  dei  pensionati,
ossia l'introduzione di un obbligo di iscrizione e  di  contribuzione
soggettiva in favore della cassa categoriale. 
    3.3.-  Verrebbe  poi   in   rilievo   anche   il   principio   di
sussidiarieta' orizzontale di cui all'art. 118, quarto comma, Cost. 
    La circostanza che gli enti previdenziali di diritto privato (tra
cui  Inarcassa)   svolgano   un'attivita'   di   interesse   pubblico
consentirebbe di ritenere - secondo il  giudice  a  quo  -  che  tale
attivita' rappresenti una delle forme tipiche in  cui  si  esprime  e
trova attuazione la sussidiarieta' orizzontale, sia  quale  principio
che impegna lo Stato e gli enti territoriali  a  favorire  l'autonoma
iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento  di
attivita' di interesse generale, sia quale modalita' di esercizio del
potere pubblico, legislativo e amministrativo, rispetto all'autonomia
privata. 
    Tale principio di sussidiarieta' non  sarebbe  invece  rispettato
dalla norma censurata, la quale prevedrebbe l'obbligo  di  iscrizione
alla Gestione separata INPS  dei  professionisti  iscritti  ad  altre
forme di previdenza obbligatorie, senza attribuire  alcuna  autonomia
alla cassa di riferimento della relativa categoria professionale. 
    3.4.- Sarebbe altresi' violato anche l'art. 23 Cost. 
    Il giudice a quo - richiamata la pacifica opinione secondo cui la
riserva di legge  posta  da  questa  norma  costituzionale,  ai  fini
dell'imposizione  di  prestazioni  patrimoniali,  avrebbe   carattere
relativo - osserva che la concreta entita' della prestazione  imposta
dovrebbe essere chiaramente desumibile dagli  interventi  legislativi
che riguardano l'attivita' dell'amministrazione. Invece, nel caso  di
specie, la conformita'  della  disposizione  censurata  al  parametro
costituzionale sarebbe messa in  forse  dall'incerta  identificazione
dei soggetti tenuti alla prestazione contributiva. 
    Ne' - osserva il rimettente - potrebbe ritenersi che i  requisiti
di  certezza  richiesti  dall'art.  23  Cost.  possano  trarsi  dalla
prevalsa   interpretazione   giurisprudenziale   della   disposizione
censurata. 
    Tale interpretazione, al contrario, essendo priva  del  carattere
della prevedibilita', lungi  dal  concretare  la  «base  legislativa»
necessaria in funzione del rispetto della riserva di  legge  prevista
dal parametro costituzionale in  esame,  integrerebbe  piuttosto  una
violazione di quella garanzia di liberta' che e' insita nel principio
di legalita'. 
    3.5.- La norma risultante dalla saldatura tra l'art. 2, comma 26,
della legge n. 335 del 1995, e l'art. 18, comma 12, del  d.l.  n.  98
del 2011, come convertito, si  porrebbe,  infine,  in  contrasto  con
l'art. 117 Cost., in relazione all'art. 1 Prot. addiz. CEDU, il quale
dispone che ogni persona fisica o giuridica ha  diritto  al  rispetto
dei suoi beni, e che nessuno puo' essere privato della sua proprieta'
se non per causa di pubblica utilita'. 
    In particolare, difetterebbe «una sufficiente  determinazione  da
parte della legge delle  condizioni  soggettive  di  imposizione  del
contributo», si' che le disposizioni censurate sarebbero contrastanti
con il diritto convenzionale al rispetto dei  beni  per  le  medesime
ragioni per le quali esse si porrebbero in contrasto  con  l'art.  23
Cost. 
    4.- E' intervenuto nel giudizio di legittimita' costituzionale il
Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e   difeso
dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  chiedendo   di   dichiarare
inammissibili e, comunque, non fondate le questioni sollevate. 
    5.-  Nel  giudizio  incidentale  si  sono   costituiti   sia   il
professionista (che ha invocato  la  declaratoria  di  illegittimita'
costituzionale della norma censurata), sia l'INPS, il quale prima  di
invocare, invece, la declaratoria di non fondatezza delle  questioni,
ne ha contestato anche la rilevanza,  sul  presupposto  dell'avvenuta
estinzione  per  prescrizione  del   credito   contributivo   oggetto
dell'azione di accertamento negativo esercitata nel giudizio a quo. 
    6.- In  prossimita'  dell'udienza  pubblica,  sia  le  parti  che
l'interveniente hanno depositato memorie. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Con ordinanza dell'8 febbraio  2022  (reg.  ord.  n.  14  del
2022), il Tribunale ordinario di Rieti, in funzione  di  giudice  del
lavoro,  ha  sollevato  questioni  di   legittimita'   costituzionale
dell'art. 2, comma 26, della legge n. 335 del 1995, e  dell'art.  18,
comma 12, del d.l. n. 98 del 2011, come convertito, per contrasto con
gli artt. 3, anche in riferimento all'art.  118,  comma  quarto,  23,
anche in riferimento  all'art.  41,  e  117  Cost.,  quest'ultimo  in
relazione all'art. 1 Prot. addiz. CEDU, nella parte in cui  prevedono
l'obbligo di iscrizione alla Gestione  separata  dell'INPS  a  carico
degli ingegneri e degli  architetti  che,  pur  essendo  iscritti  ai
relativi  albi  professionali,  non  possono  iscriversi  alla  cassa
previdenziale di riferimento in quanto svolgono contestualmente anche
un'altra  attivita'  lavorativa   e   sono   dunque   iscritti   alla
corrispondente forma di previdenza obbligatoria. 
    Come sopra ricordato, la prima disposizione (art.  2,  comma  26,
della legge n. 335 del 1995) prevede, con decorrenza dal  1°  gennaio
1996  -  in  funzione  dell'estensione  dell'assicurazione   generale
obbligatoria  per  l'invalidita',  la  vecchiaia  e  i  superstiti  -
l'obbligo di iscrizione  alla  Gestione  separata  costituita  presso
l'INPS,  dei  soggetti  che  esercitano  per  professione   abituale,
ancorche' non esclusiva, attivita' di  lavoro  autonomo,  di  cui  al
comma 1 dell'art. 49 (ora, a seguito della riforma introdotta con  il
d.lgs. n. 344 del 2003: art. 53) del  decreto  del  Presidente  della
Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917  (Approvazione  del  testo  unico
delle imposte sui redditi). La seconda disposizione (art.  18,  comma
12, del d.l. n. 98 del 2011, come convertito)  -  dichiaratamente  di
interpretazione autentica della prima - dispone che  i  soggetti  che
esercitano  per  professione  abituale,  ancorche'   non   esclusiva,
attivita'  di  lavoro  autonomo,   e   che   sono   pertanto   tenuti
all'iscrizione presso l'apposita Gestione separata INPS, sono  quelli
che  svolgono  attivita'  il  cui  esercizio   non   e'   subordinato
all'iscrizione ad appositi albi professionali, ovvero  attivita'  non
soggette al versamento contributivo agli enti previdenziali istituiti
per  le  diverse  categorie  professionali;  enti,   questi   ultimi,
istituiti sia in  base  a  leggi  preesistenti  -  e  trasformati  da
soggetti pubblici in persone giuridiche private con il d.lgs. n.  509
del 1994 - sia all'esito dell'attuazione della delega conferita dalla
stessa legge n. 335 del 1995 (art. 2, comma 25) e attuata dal Governo
con il d.lgs. n. 103 del 1996. 
    1.1.- Secondo il giudice  rimettente  vi  sarebbe  contrasto  con
l'art.  3  Cost.  della  norma  risultante  dalla  saldatura  tra  la
disposizione   interpretata   e   la   disposizione   interpretativa,
nell'esegesi prevalsa nella giurisprudenza di legittimita' e  assurta
a  regola  di  diritto  vivente,  in  ragione  della  violazione  del
principio di ragionevolezza. 
    A suo avviso, infatti,  l'esigenza  di  coerenza  con  la  scelta
sistematica fondamentale volta a differenziare la tutela  dei  liberi
professionisti iscritti ad albi da quella dei lavoratori autonomi non
iscritti ad albi professionali (art. 2, commi 25 e 26, della legge n.
335 del 1995) - unitamente al rapporto di analogia sussistente tra la
fattispecie relativa ai professionisti gia' pensionati e  quella  dei
professionisti iscritti ad altre forme previdenziali - avrebbe dovuto
indurre il legislatore a realizzare anche per i  secondi  (come  gia'
previsto per i primi ai sensi dell'art. 18, comma 11, del d.l. n.  98
del  2011,  come  convertito)  la   piena   copertura   previdenziale
all'interno della propria categoria professionale, mentre la  diversa
e ingiustificata soluzione di sottoporli  all'obbligo  di  iscrizione
alla Gestione separata presso  l'INPS  comporterebbe  l'irragionevole
effetto  di  comprimere  l'autonomia   regolamentare   e   statutaria
riconosciuta  dallo  stesso  legislatore  alle  casse   previdenziali
private, tra cui figura quella degli architetti e degli ingegneri. 
    Oltre che il principio di ragionevolezza, la norma sospettata  di
illegittimita' costituzionale si porrebbe in contrasto con il  canone
di proporzionalita'  in  ragione  della  maggiore  ed  ingiustificata
incisivita' patrimoniale rispetto al criterio adottato  con  riguardo
all'analoga fattispecie dei pensionati. 
    L'art. 3 Cost. sarebbe  violato,  ancora,  anche  in  riferimento
all'art. 118, quarto comma, Cost., avuto  riguardo  alla  circostanza
che l'attivita' di interesse pubblico svolta dagli enti previdenziali
di diritto privato (tra cui, per quanto  di  interesse  nel  caso  in
esame, Inarcassa) rappresenta una delle forme in cui  si  esprime  la
sussidiarieta' orizzontale, intesa sia quale principio che impegna lo
Stato e gli enti territoriali a favorire  l'autonoma  iniziativa  dei
cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento  di  attivita'  di
interesse generale, sia  quale  modalita'  di  esercizio  del  potere
pubblico,  legislativo  e  amministrativo,   rispetto   all'autonomia
privata. 
    Quanto, infine, al contrasto della disciplina posta dal  precetto
unitario nascente dalla saldatura tra l'art. 2, comma 26, della legge
n. 335 del 1995 e l'art. 18, comma 12, del d.l. n. 98 del 2011,  come
convertito, con gli artt. 23 (da  considerare  anche  in  riferimento
all'art. 41  Cost.)  e  117,  primo  comma,  Cost.  (quest'ultimo  in
relazione  all'art.  1  Prot.  addiz.  CEDU),  esso  deriverebbe,  in
particolare, dall'incerta identificazione dei  soggetti  tenuti  alla
prestazione contributiva. 
    2.- Preliminarmente, va osservato che sussiste la  rilevanza  nel
giudizio  a   quo   delle   sollevate   questioni   di   legittimita'
costituzionale,  dovendo   il   giudice   fare   applicazione   delle
disposizioni censurate al fine di riconoscere,  o  negare,  l'obbligo
contributivo del ricorrente in favore della Gestione separata INPS. 
    La  rilevanza   delle   sollevate   questioni   di   legittimita'
costituzionale  e'  stata  messa  in  dubbio  dall'INPS,  il   quale,
costituendosi nel giudizio incidentale, ha obiettato che  il  credito
contributivo oggetto dell'azione di accertamento negativo  esercitata
nel processo a quo sarebbe estinto per  il  decorso  del  termine  di
prescrizione quinquennale, avuto riguardo alla circostanza  che  esso
aveva ad oggetto i versamenti dovuti dal professionista in  relazione
ai  redditi  dell'anno  2012  (in  ordine   ai   quali   il   termine
prescrizionale decorreva dall'8 luglio 2013, ai  sensi  dell'art.  3,
comma 9, della  legge  n.  335  del  1995)  e  che  la  richiesta  di
adempimento proveniente dal creditore era stata ricevuta dal debitore
solo in data 3 agosto 2018. 
    Deve in proposito osservarsi che - come risulta dall'ordinanza di
rimessione - la prescrizione del credito dedotto in giudizio  non  e'
stata eccepita nel giudizio a quo. 
    Pur dovendosi prendere atto che, nella materia  previdenziale,  a
differenza che in quella civile, il regime  della  prescrizione  gia'
maturata e' sottratto, ai sensi dell'art. 3, comma 9, della legge  n.
335 del 1995,  alla  disponibilita'  delle  parti  ed  e'  rilevabile
d'ufficio, va comunque osservato che essa, nella fattispecie, non  e'
stata in concreto rilevata  dal  giudice  nell'esercizio  del  potere
officioso di rilievo delle eccezioni in senso lato. 
    In ogni caso la  (eventuale)  declaratoria  di  non  debenza  dei
contributi,   perche'   prescritti,   muoverebbe   dal    presupposto
(controverso  tra  le  parti  in  giudizio)   dell'obbligo   per   il
professionista ricorrente di iscrizione alla Gestione  separata  INPS
per  l'anno  2012.  Quindi  il  giudice  rimettente   deve   comunque
pronunciarsi in ordine alla sussistenza, o no, di tale obbligo  sulla
base della  normativa  della  cui  legittimita'  costituzionale  egli
dubita. 
    Inoltre - e cio' e' dirimente - va rilevato  che  la  domanda  di
accertamento negativo del ricorrente nel giudizio a quo non  concerne
soltanto l'obbligazione contributiva avente ad oggetto  i  versamenti
relativi  ai  redditi  maturati  nell'anno  2012,  ma   anche   -   e
principalmente  -  l'obbligo  attuale  di  iscrizione  alla  Gestione
separata istituita presso l'INPS, rispetto al quale non  si  pone  un
problema di prescrizione. 
    Le questioni sollevate sono, pertanto, rilevanti  e  ammissibili,
avendone inoltre il giudice rimettente motivato  adeguatamente  anche
la non manifesta infondatezza. 
    3.- Giova premettere che questa Corte (sentenza n. 104 del 2022),
esaminando analoghe  questioni  di  legittimita'  costituzionale  con
riferimento  alla   previdenza   forense,   ha   gia'   operato   una
ricostruzione  del  quadro  normativo  di  riferimento,  quanto  alla
posizione della Gestione separata INPS nel sistema generale di tutela
previdenziale dei  professionisti  (con  particolare  riferimento  ai
rapporti  tra  questa  nuova  gestione  previdenziale  e   le   casse
professionali  categoriali),  nonche'  quanto  alla   interpretazione
giurisprudenziale della disciplina posta dall'art. 2, comma 26, della
legge n. 335 del 1995, prima e dopo l'entrata in vigore  della  norma
interpretativa introdotta con l'art. 18, comma 12, del d.l. n. 98 del
2011, come convertito. 
    Deve qui  aggiungersi,  con  riguardo  al  parallelo  sistema  di
previdenza degli ingegneri ed architetti, che, sebbene  la  legge  n.
179 del 1958, nell'istituire la relativa cassa categoriale, avesse in
origine previsto che vi fossero iscritti tutti gli  ingegneri  e  gli
architetti che potevano esercitare, per legge, la libera  professione
(art. 3), successivamente l'art. 2, secondo  comma,  della  legge  n.
1046 del 1971, modificando tale disposizione, ha stabilito  che,  con
decorrenza dal 1° gennaio 1972, l'iscrizione alla cassa  era  esclusa
per «gli ingegneri ed  architetti  iscritti  a  forme  di  previdenza
obbligatorie in dipendenza di un rapporto  di  lavoro  subordinato  o
comunque di altra attivita' esercitata». 
    L'esclusione e' stata poi ribadita dalla  legge  n.  6  del  1981
(art. 21, quinto comma),  la  quale  pero'  ha  anche  previsto,  con
decorrenza dal 1°  gennaio  del  secondo  anno  successivo  alla  sua
entrata in vigore, che «tutti gli iscritti agli albi di  ingegnere  e
di architetto devono applicare una maggiorazione percentuale su tutti
i corrispettivi  rientranti  nel  volume  annuale  d'affari  ai  fini
dell'IVA  e  versarne  alla   cassa   l'ammontare   indipendentemente
dall'effettivo pagamento che ne abbia eseguito il debitore». 
    Della legittimita' costituzionale di tale esclusione ex  lege  si
e' dubitato. Ma questa  Corte  (sentenza  n.  108  del  1989)  -  con
riferimento   al   contesto   normativo   dell'epoca,   in    seguito
profondamente mutato a  seguito  della  privatizzazione  delle  casse
previdenziali di categoria  e  della  tendenziale  universalizzazione
della copertura assicurativa  previdenziale  mediante  l'introduzione
della Gestione separata - ha dichiarato non fondata la  questione  di
legittimita' costituzionale dell'art. 2, secondo comma,  della  legge
n. 1046 del 1971, nella parte in cui escludeva  dall'iscrizione  alla
Inarcassa ingegneri e  architetti  iscritti  a  forme  di  previdenza
obbligatoria in dipendenza dell'esercizio di  un'altra  attivita'  di
lavoro autonomo, sollevata in riferimento agli artt. 3 e 38 Cost.  Ha
rilevato, con  riguardo  al  primo  parametro,  che  i  vari  sistemi
previdenziali, nell'ambito delle libere professioni,  conservano  una
propria autonoma individualita' e sono, pertanto, inconfrontabili tra
di loro, sicche' non rileva  che  una  simile  disposizione  non  sia
presente  nella   disciplina   previdenziale   di   altre   categorie
professionali; ed ha osservato, rispetto al secondo parametro, che la
norma non impedisce una tutela previdenziale  adeguata,  ma  preclude
soltanto una duplice posizione assicurativa. 
    Perdurando tale esclusione, che comportava una sorta  di  divieto
di  iscrizione  all'Inarcassa,  l'individuazione,  in  concreto,  dei
destinatari dell'obbligo di iscrizione alla Gestione separata di  cui
all'art. 2, comma 26, della legge n. 335 del 1995 poneva, dunque,  il
problema  se   essi   andassero   identificati   esclusivamente   nei
professionisti che esercitavano una attivita' per la  quale  non  era
prevista l'iscrizione ad un apposito albo professionale  (nonche'  in
quelli che svolgevano una  attivita'  che  presupponeva  bensi'  tale
iscrizione, ma in  relazione  alla  quale  gli  enti  esponenziali  a
livello nazionale di  quelli  abilitati  alla  tenuta  dell'albo  non
avessero ancora deliberato la costituzione di un  ente  previdenziale
categoriale o la partecipazione ad uno pluricategoriale o ad uno gia'
costituito  per  categorie  similari,  in  conformita'  al   disposto
dell'art. 3, comma 2, del d.lgs. n. 103 del 1996), oppure  anche  nei
professionisti che, benche' iscritti all'albo  ed  aventi  una  cassa
previdenziale di riferimento, non  avessero,  tuttavia,  per  ragioni
reddituali, l'obbligo (o subissero addirittura il divieto, in  ragion
dell'iscrizione  ad  altre  forme  previdenziali   obbligatorie)   di
iscriversi altresi' alla cassa medesima, alla quale versavano solo il
contributo  integrativo,  ma  non  anche  quello  soggettivo,   senza
acquisire il  diritto  alle  prestazioni  previdenziali  propriamente
dette. 
    Al fine di chiarire i dubbi circa l'effettiva  portata  dell'art.
2, comma 26, della  legge  n.  335  del  1995,  e'  intervenuto,  con
disposizione  dichiaratamente  di   interpretazione   autentica,   il
legislatore. Con l'art. 18, comma 12, del d.l. n. 98 del  2011,  come
convertito, e' stato, infatti, previsto che l'art. 2, comma 26, della
legge n. 335 del 1995 si interpreta nel  senso  che  i  soggetti  che
esercitano  per  professione  abituale,  ancorche'   non   esclusiva,
attivita' di lavoro autonomo, tenuti all'iscrizione presso l'apposita
Gestione separata INPS, «sono esclusivamente i soggetti che  svolgono
attivita' il cui esercizio  non  sia  subordinato  all'iscrizione  ad
appositi  albi  professionali,  ovvero  attivita'  non  soggette   al
versamento contributivo agli enti di cui al  comma  11,  in  base  ai
rispettivi statuti ed ordinamenti». 
    Il legislatore non si e' limitato  a  prevedere  che  i  soggetti
tenuti ad iscriversi alla Gestione  separata  INPS  sono  quelli  che
svolgono  «attivita'   il   cui   esercizio   non   sia   subordinato
all'iscrizione ad appositi albi professionali», ma  ha  aggiunto  che
tale obbligo compete anche  a  coloro  che  svolgono  «attivita'  non
soggette  al  versamento  contributivo  agli  enti»  della  categoria
professionale di appartenenza. 
    In proposito, questa Corte ha gia'  ritenuto,  con  la  ricordata
sentenza n. 104 del 2022, che l'art. 18, comma 12, del d.l. n. 98 del
2011,  come  convertito,  sia  una   disposizione   genuinamente   di
interpretazione autentica, in quanto il significato da essa espresso,
secondo   l'interpretazione   prevalsa   nella   giurisprudenza    di
legittimita' a partire dal 2017, poteva ritenersi gia' contenuto  tra
i   significati   plausibilmente    espressi    dalla    disposizione
interpretata. 
    In particolare, nella giurisprudenza di legittimita'  (a  partire
da Corte di cassazione, sezione lavoro, sentenze 18 dicembre 2017, n.
30344 e n. 30345) e' prevalsa l'interpretazione, ormai consolidata in
una  regola  di  diritto  vivente,  secondo  cui  l'unico  versamento
contributivo  rilevante  ai  fini  dell'esclusione  dell'obbligo   di
iscrizione alla Gestione separata e' quello - cosiddetto soggettivo -
correlato  all'obbligo  di  iscriversi  alla  propria   gestione   di
categoria e suscettibile di costituire in capo al lavoratore autonomo
una correlata posizione previdenziale. 
    Il  fondamento  di  questo  principio  risiede  nell'esigenza  di
«universalizzazione della  copertura  assicurativa»,  espressa  dagli
artt. 35 e 38 Cost., la quale obbliga lo Stato  a  prevedere  che  ad
ogni   attivita'   lavorativa,   subordinata    o    autonoma,    sia
necessariamente collegata un'effettiva tutela previdenziale. 
    Costituisce, dunque, regola di diritto  vivente  -  assunta  come
tale anche dal giudice rimettente - quella secondo cui sono obbligati
ad iscriversi alla Gestione separata INPS non  solo  i  soggetti  che
svolgono abitualmente attivita' di lavoro autonomo il  cui  esercizio
non sia subordinato all'iscrizione ad appositi albi professionali, ma
anche i soggetti iscritti ad altre forme di  previdenza  obbligatorie
per i  quali  e'  preclusa  l'iscrizione  alla  cassa  di  previdenza
categoriale, a cui versano esclusivamente un  contributo  integrativo
di carattere solidaristico in quanto  iscritti  agli  albi,  cui  non
segue la  costituzione  di  alcuna  posizione  previdenziale  a  loro
beneficio  (cosi',  da  ultimo,  segnatamente  con  riferimento  agli
architetti  e  agli  ingegneri,   nel   solco   di   un   consolidato
orientamento, Corte di cassazione, sezione sesta civile, sentenza  23
giugno 2022, n. 20288). 
    4.- Cio' premesso, possono ora essere  esaminate  nel  merito  le
sollevate questioni di legittimita' costituzionale, le quali  evocano
anzitutto il dubbio che il  precetto  normativo  unitario  risultante
dalla saldatura tra la disposizione interpretata, di cui all'art.  2,
comma  26,  della  legge  n.  335  del  1995,   e   la   disposizione
interpretativa, di cui all'art. 18, comma 12,  del  d.l.  n.  98  del
2011,   come    convertito,    nell'esegesi    consolidatasi    nella
giurisprudenza di legittimita' e assurta a regola di diritto vivente,
si ponga in contrasto con l'art. 3 Cost. 
    Il comune denominatore delle censure, sollevate in riferimento  a
tale parametro, risiede nell'assunto che la norma indubbiata,  da  un
lato, avrebbe introdotto una  disciplina  incoerente  con  l'impianto
sistematico  risultante  dalla   complessiva   riforma   volta   alla
privatizzazione degli enti previdenziali di categoria (d.lgs. n.  509
del 1994) e all'estensione della copertura assicurativa ai lavoratori
autonomi (legge n. 335 del 1995 e d.lgs. n. 103 del 1996); dall'altro
lato,  avrebbe  realizzato  l'irragionevole  effetto  di   comprimere
l'autonomia regolamentare  e  statutaria  riconosciuta  dallo  stesso
legislatore alle casse previdenziali private, e,  in  particolare,  a
quella degli architetti e degli ingegneri (Inarcassa). 
    Avuto riguardo a tale comune fondamento, le censure  in  esame  -
che peraltro si coniugano anche con quelle  riferite  agli  ulteriori
parametri dell'art. 23, dell'art. 41 e dell'art. 118,  quarto  comma,
Cost., nonche' a quello interposto dell'art. 1 Prot. addiz. CEDU, per
il tramite dell'art. 117, primo comma, Cost. - sono, nella  sostanza,
largamente   sovrapponibili   a   quelle   recentemente    sottoposte
all'attenzione di questa Corte -  sia  pure  con  riferimento  a  una
categoria professionale (gli avvocati del libero  foro)  assoggettata
ad un regime previdenziale in parte analogo a quello previsto per  la
categoria  degli  architetti  e  ingegneri,  a  cui   appartiene   il
professionista interessato dal giudizio a  quo  -  e  dichiarate  non
fondate con la gia' richiamata sentenza n. 104 del 2022. 
    4.1.- In tale pronuncia, questa Corte ha considerato la  funzione
e il fondamento della Gestione separata nel  sistema  generale  della
tutela previdenziale dei professionisti. 
    Il legislatore ha costantemente seguito  una  coerente  linea  di
progressivo ampliamento della tutela  previdenziale.  In  convergenza
con questa tendenza e' stato introdotto  l'istituto  residuale  della
Gestione separata, volto a colmarne  i  "vuoti"  e  a  realizzare  la
finalita' dell'estensione,  soggettiva  ed  oggettiva,  della  tutela
medesima. 
    La  vocazione   universalistica   della   gestione   separata   -
ulteriormente corroborata dai molti interventi legislativi successivi
alla legge n. 335 del  1995  volti  ad  estenderne  l'operativita'  -
consente  di  affermare,  in   conformita'   all'orientamento   della
giurisprudenza di legittimita' (Corte di cassazione, sezione  lavoro,
sentenze 14 dicembre 2018, n. 32508 e 12 dicembre 2018, n. 32166 e n.
32167),  che  tale  istituto,  lungi  dal  porsi  in   posizione   di
irragionevole distonia rispetto  al  sistema  generale  della  tutela
previdenziale, come assume  il  giudice  rimettente,  ne  costituisce
piuttosto  l'imprescindibile  momento  di  compimento   e   chiusura,
assolvendo a  una  funzione  complementare  e  non  gia'  rigidamente
alternativa. 
    La censura di irragionevolezza sollevata dal  giudice  a  quo  va
dunque ritenuta non fondata, ribadendo le considerazioni gia'  svolte
da questa Corte (sentenza n. 104 del 2022) in  ordine  al  fondamento
costituzionale dell'istituto, la cui  ratio  -  avuto  riguardo  alla
circostanza che la tutela previdenziale assume rilevanza,  sul  piano
costituzionale, sia per i lavoratori subordinati che per i lavoratori
autonomi, essendo il lavoro  tutelato  «in  tutte  le  sue  forme  ed
applicazioni» (art. 35, primo comma, Cost.) - risiede nell'attuazione
dell'obbligo dello Stato  di  dare  concretezza  al  principio  della
universalita' delle tutele assicurative obbligatorie relative a tutti
i lavoratori (art. 35 Cost.), rispetto agli eventi indicati nell'art.
38, secondo comma, Cost., nei modi previsti dal  comma  quarto  dello
stesso art. 38 (che assegna  tale  missione  a  «organi  ed  istituti
predisposti o integrati dallo Stato»). 
    Proprio in ragione di tale principio,  l'attivita'  professionale
degli ingegneri o degli  architetti,  svolta  con  modalita'  che  la
rendono assoggettata all'imposizione diretta sui  redditi,  non  puo'
rimanere senza copertura  assicurativa  per  il  solo  fatto  che  la
concorrente ulteriore attivita' lavorativa, quale quella svolta dagli
stessi soggetti con rapporto di  lavoro  subordinato,  comporti  gia'
l'iscrizione ad una distinta forma di assicurazione  obbligatoria.  A
questa  esigenza  di  copertura  assicurativa  supplisce   l'obbligo,
previsto dalla  normativa  censurata,  di  iscrizione  alla  Gestione
separata presso l'INPS. 
    4.2.- Il  meccanismo  introdotto  dalla  norma  censurata  -  che
individua i soggetti tenuti all'iscrizione  nella  Gestione  separata
mediante  riferimento  eteronomo  a  norme  fiscali  e  fa  dipendere
l'obbligo contributivo dal reddito tratto dal  lavoro  professionale,
ove  esercitato  in  via  abituale  -  esclude  sia   la   denunciata
irragionevolezza di tale assetto, sia la  violazione  del  canone  di
proporzionalita'. 
    Il giudice a  quo,  infatti,  per  sostenere  che  la  disciplina
sospettata di  illegittimita'  costituzionale  non  costituirebbe  il
"mezzo piu' mite" tra  quelli  possibili  al  fine  di  estendere  la
copertura assicurativa e di attuare il principio costituzionale della
universalita' della  tutela  previdenziale,  muove,  in  particolare,
dalla comparazione di essa con la diversa disciplina prevista  per  i
professionisti   gia'   pensionati,   rispetto    alla    quale    si
caratterizzerebbe  per   una   ingiustificata   maggiore   onerosita'
patrimoniale,  avuto  riguardo  sia   all'entita'   dell'obbligo   di
contribuzione alla Gestione separata (la  cui  aliquota,  per  l'anno
2012, rilevante nel giudizio a quo, e' stata piu' elevata  di  quella
del  contributo  soggettivo  dovuto  all'Inarcassa),  sia  alla   sua
estensione  temporale  (l'obbligo  di  contribuzione  alla   Gestione
separata ha decorrenza dal 1° gennaio 1996, trovando la propria fonte
nell'art. 2, comma 26, della legge n. 335 del 1995, come interpretato
dall'art. 18, comma 12, del d.l. n. 98  del  2011,  come  convertito,
mentre  quello  previsto  in  capo  ai   professionisti   pensionati,
dall'art. 18, comma 11, del medesimo  d.l.,  decorre  dal  7  gennaio
2012). 
    Ma, da una parte, non vi e' alcuna analogia tra la situazione  in
cui si trovano i professionisti  gia'  pensionati  (in  relazione  ai
quali, nell'ipotesi  di  prosecuzione  dell'esercizio  dell'attivita'
professionale dopo il pensionamento,  il  legislatore  ha  attribuito
alle  casse  categoriali  il  compito  di  prevedere   l'obbligo   di
iscrizione e contribuzione, stabilendo, in mancanza, il pagamento  di
un contributo soggettivo ridotto rispetto  a  quello  dovuto  in  via
ordinaria dagli iscritti a ciascun ente: art. 18, comma 11, del  d.l.
n. 98 del 2011, come  convertito)  e  la  diversa  fattispecie  degli
architetti e degli ingegneri iscritti ad  altre  forme  previdenziali
obbligatorie in dipendenza di un rapporto di lavoro subordinato o  di
altra attivita' esercitata (in  ordine  ai  quali  vige,  proprio  in
ragione di tale iscrizione,  il  divieto  di  iscriversi  alla  cassa
professionale categoriale: art. 2, secondo comma, della legge n. 1046
del 1971 e art. 21, quinto comma, della legge n. 6 del 1981). 
    Invero,  l'obbligo  di  contribuzione  a   favore   della   cassa
professionale, posto a carico dei professionisti gia' pensionati  con
decorrenza  dal  gennaio  2012,  ha  preso  il   posto   dell'obbligo
contributivo presso la Gestione separata, insorto in dipendenza della
decisione di molte casse professionali, a  seguito  del  processo  di
privatizzazione,  di  esonerare  i  pensionati,  che  pure   avessero
proseguito   nell'esercizio    abituale    della    loro    attivita'
professionale, dall'obbligo di pagamento del  contributo  soggettivo.
Si  versa,  dunque,  in  ipotesi  non  gia'  di  diversa   decorrenza
dell'obbligo di contribuzione, ma della  sua  sostituzione  verso  la
cassa  all'obbligo   contributivo   verso   la   Gestione   separata;
sostituzione che costituisce l'effetto del sopra illustrato  rapporto
di complementarita'  tra  i  due  regimi,  dovuto  all'incidenza  del
concreto esercizio dell'autonomia regolamentare delle  casse  e  alla
funzione complementare e di  chiusura  dell'istituto  della  Gestione
separata. 
    D'altra parte, va osservato che il  meccanismo  introdotto  dalla
norma sulla  Gestione  separata,  la  cui  decorrenza  muove  proprio
dall'istituzione  di  tale  forma   di   assicurazione   obbligatoria
residuale (ossia dal 1° gennaio 1996), e' fondato (al pari di  quello
che  regola  il  versamento  del  contributo  soggettivo  alle  casse
professionali) sul principio di graduazione dell'obbligo contributivo
del professionista, la cui entita' si incrementa  in  proporzione  al
reddito tratto dall'attivita' professionale. 
    Tale principio di graduazione - deve poi soggiungersi - trova nel
regime della Gestione separata un'attuazione piu'  rigorosa  che  nel
regime delle casse professionali, stante l'esclusione di un  minimale
contributivo, sicche' l'entita' del contributo dipende esclusivamente
dall'ammontare  del  reddito  tratto   dall'attivita'   professionale
abitualmente esercitata (Corte di cassazione, sezioni  unite  civili,
sentenza 12 febbraio 2010, n. 3240). 
    4.3.- La deduzione  circa  la  presunta  ingiustificata  maggiore
gravosita' patrimoniale  della  contribuzione  dovuta  alla  Gestione
separata INPS, rispetto a quella  che  verrebbe  versata  alla  cassa
professionale, e' stata formulata, dal giudice rimettente, anche  sul
rilievo dell'impossibilita' per il professionista  di  computare  gli
importi versati a titolo di  contributo  integrativo  nel  cosiddetto
"montante contributivo individuale". 
    Questo specifico rilievo investe il problema dell'effettivita'  e
dell'adeguatezza  della  tutela  previdenziale  realizzata   mediante
l'istituto della Gestione separata, problema  che,  in  termini  piu'
generali, si pone in ragione della sempre piu' frequente  interazione
di questo istituto residuale (il cui ambito soggettivo e oggettivo di
operativita' e' stato progressivamente ampliato  a  nuove  figure  di
lavoratori)  con  le  diverse  forme  di  assicurazione  obbligatoria
previste nell'ambito delle  singole  categorie,  nonche'  in  ragione
della  composita  realta'   sociale,   sempre   piu'   frequentemente
caratterizzata da percorsi professionali eterogenei che danno luogo a
distinti periodi assicurativi presso diverse gestioni di previdenza. 
    Dinanzi  a  questa  realta',  il  legislatore,   perseguendo   la
finalita' di consentire il cumulo di tutte le posizioni  contributive
maturate  durante  la  vita  lavorativa  per  conseguire   un   unico
trattamento pensionistico, ha introdotto, gia' da tempo, due  diversi
istituti, la ricongiunzione (legge  5  marzo  1990,  n.  45,  recante
«Norme  per  la  ricongiunzione  dei  periodi  assicurativi  ai  fini
previdenziali per  i  liberi  professionisti»)  e  la  totalizzazione
(decreto legislativo 2 febbraio 2006, n. 42, recante «Disposizioni in
materia di totalizzazione dei periodi assicurativi»), nonche',  negli
ultimi anni, il nuovo istituto del cumulo  gratuito  (art.  1,  comma
239, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, recante "Disposizioni  per
la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello  Stato  «Legge
di stabilita' 2013»"), prevedendone, piu'  di  recente,  l'estensione
anche alle casse professionali (art. 1, comma  195,  della  legge  11
dicembre 2016, n. 232, recante «Bilancio di  previsione  dello  Stato
per l'anno finanziario 2017 e bilancio pluriennale  per  il  triennio
2017-2019»). 
    Per effetto di questa disciplina, dal 1° gennaio 2017  il  cumulo
contributivo - che consente al lavoratore la possibilita' di cumulare
i periodi assicurativi accreditati presso differenti gestioni,  senza
oneri a suo carico, per il riconoscimento  di  un'unica  pensione  da
liquidarsi secondo le regole di calcolo previste da ciascun  fondo  e
sulla base delle rispettive retribuzioni di riferimento - e' fruibile
anche  dagli  iscritti  alle  casse  professionali  e  alla  Gestione
separata. 
    5.- Quanto alla censura  di  violazione  dell'art.  3,  anche  in
riferimento all'art. 118, quarto  comma,  Cost.,  per  lesione  della
sussidiarieta' orizzontale (intesa sia quale principio che impegna lo
Stato e gli enti territoriali a favorire  l'autonoma  iniziativa  dei
cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento  di  attivita'  di
interesse generale, sia  quale  modalita'  di  esercizio  del  potere
pubblico,  legislativo  e  amministrativo,   rispetto   all'autonomia
privata), essa ripropone la questione  della  lesione  dell'autonomia
delle casse previdenziali professionali privatizzate  laddove  queste
prevedano un  perimetro  dell'obbligo  assicurativo  meno  esteso  di
quello della  Gestione  separata;  questione  che,  in  termini  piu'
generali, e' gia'  stata  dichiarata  non  fondata  da  questa  Corte
(sentenza n. 104 del 2022). 
    Al  riguardo,  si  e'   infatti   osservato   che   il   rapporto
intercorrente tra le casse professionali e la  Gestione  separata  si
pone in termini non gia' di alternativita', ma  di  complementarita',
in quanto l'istituto residuale della Gestione separata opera  proprio
in relazione ai soggetti e alle attivita' eventualmente esclusi dalla
cassa  professionale  di  categoria  (Corte  di  cassazione,  sezione
lavoro, sentenza 23 marzo 2020, n. 7485). 
    Il legislatore, con l'introduzione dell'istituto, non ha  fissato
un rigido riparto di competenze tra la Gestione separata e  le  casse
professionali, ma piuttosto ha attribuito un carattere elastico  alla
capacita'  di  espansione  della  Gestione   separata,   in   diretta
dipendenza    dal    concreto    esercizio    della    potesta'    di
autoregolamentazione della cassa professionale. 
    Soltanto  se  quest'ultima,  nell'esercizio   di   tale   potere,
riconosciutole  dalla  legge,  decide  di  non  assoggettare   taluni
professionisti  all'obbligo  di  versamento  di  contributi  utili  a
costituire una posizione previdenziale, l'operativita' della Gestione
separata, quale istituto residuale a vocazione universalistica,  vede
espandere la sua sfera di operativita',  sempre  che,  beninteso,  ne
ricorrano i  relativi  presupposti,  ossia  che  ricorra  l'esercizio
abituale di un'attivita' professionale o, se  occasionale,  che  esso
abbia prodotto un reddito superiore  a  un  determinato  importo.  Al
contrario, se la cassa  professionale,  sempre  nell'esercizio  della
autonomia stabilita dalla legge, decide  di  estendere  l'obbligo  di
versare contributi utili alla costituzione del diritto a  prestazioni
pensionistiche a professionisti precedentemente esclusi, la capacita'
elastica della Gestione separata si comprime, restringendosi  il  suo
campo di applicazione. 
    Avuto riguardo al peculiare regime previdenziale degli architetti
e degli ingegneri iscritti ad altre forme di previdenza  obbligatorie
in dipendenza di altra attivita' esercitata, la  cassa  professionale
di  riferimento  (Inarcassa),  diversamente  da   altre,   non   puo'
esercitare il proprio potere di autoregolamentazione estendendo  loro
l'obbligo di versare contributi utili alla costituzione del diritto a
prestazioni previdenziali. Questa preclusione, tuttavia, dipende  non
gia'  dalla  disciplina   dell'istituto   della   Gestione   separata
(censurata dal giudice rimettente),  bensi'  dal  divieto  introdotto
dall'art. 2 della legge n. 1046 del 1971 e confermato  dall'art.  21,
quinto comma, della legge n. 6 del 1981, che  ha  posto  fuori  dalla
cassa categoriale di riferimento tutti gli ingegneri e gli architetti
titolari di altro rapporto lavorativo e, per conseguenza, di  diversa
iscrizione previdenziale. 
    Ove non vi fosse tale specifico divieto -  peraltro  in  passato,
come gia' ricordato, ritenuto costituzionalmente non  illegittimo  da
questa Corte (sentenza n. 108 del  1989)  -  la  Cassa  professionale
degli architetti e degli ingegneri sarebbe libera  di  esercitare  il
proprio potere di autoregolamentazione. 
    Il meccanismo introdotto dalla norma sospettata di illegittimita'
costituzionale, dunque, non solo non si pone in contraddizione con il
regime previsto dalle norme  speciali  costitutive  della  previdenza
categoriale, ma ne integra l'operativita' in funzione dell'attuazione
di una piu' ampia finalita' mutualistica. 
    6.- Una ulteriore questione di  legittimita'  costituzionale  del
precetto  normativo  unitario  risultante  dalla  saldatura  tra   la
disposizione interpretata (art 2, comma 26, della legge  n.  335  del
1995) e quella interpretativa (art. 18, comma 12, del d.l. n. 98  del
2011, come convertito) e' posta dal Tribunale di Rieti in riferimento
all'art. 23 Cost. (da considerare anche in riferimento all'art. 41) e
con riguardo  all'art.  117,  primo  comma,  Cost.,  quest'ultimo  in
relazione all'art. 1 Prot. addiz. CEDU. 
    La  conformita'  della  disposizione   censurata   al   parametro
dell'art.   23   Cost.   sarebbe   messa   in   dubbio   dall'incerta
identificazione dei soggetti tenuti alla prestazione  contributiva  e
tale incertezza rileverebbe anche  sotto  il  profilo  del  parametro
sovranazionale, poiche' da essa deriverebbe il mancato  rispetto  dei
requisiti di compatibilita' dell'ingerenza con il principio enunciato
dall'art. 1 Prot. addiz. CEDU. 
    6.1.- Anche queste ulteriori censure non sono fondate. 
    Va  infatti  rilevato  che  l'ambito  soggettivo  di   estensione
dell'istituto della Gestione separata risulta chiaro - e dunque certo
-  alla  luce  del  pacifico   e   consolidato   orientamento   della
giurisprudenza di legittimita', la quale, dopo  l'entrata  in  vigore
della   norma   interpretativa,   ha   accolto,   senza   incertezze,
l'interpretazione estensiva, consolidatasi in una regola  di  diritto
vivente, secondo cui sono tenuti ad iscriversi alla Gestione separata
tanto i lavoratori autonomi e i professionisti sprovvisti di un  albo
professionale, quanto quelli  che,  pur  essendo  iscritti,  a  causa
dell'attivita' esercitata, a  uno  specifico  albo  (e  versando,  in
ragione di tale iscrizione, il contributo integrativo), tuttavia  non
sono altresi' iscritti  alla  relativa  cassa  professionale  (e  non
versano pertanto il contributo soggettivo), sia che la non iscrizione
alla cassa professionale sia dovuta  alla  mancata  integrazione  dei
presupposti al verificarsi dei quali scatta l'obbligo di  iscriversi,
sia che dipenda, al contrario, dalla sussistenza di un divieto in tal
senso,  derivante  dall'iscrizione  ad  altra  forma  di   previdenza
obbligatoria. 
    La prevalsa interpretazione giurisprudenziale,  che  ha  superato
quella  di  segno  contrario  affermatasi   in   un   primo   momento
nell'esegesi  della  norma  originaria,  si  fonda  sulla  norma   di
interpretazione autentica dell'art. 18, comma 12, del d.l. n. 98  del
2011,  come  convertito,  e  pertanto  assicura   la   prevedibilita'
dell'obbligo  contributivo  con  riferimento  alla  fattispecie   del
giudizio  a  quo.  Cio'  consente  di  ritenere  integrata  la  «base
legislativa» necessaria in funzione del  rispetto  della  riserva  di
legge prevista dal parametro costituzionale. 
    7.- Non sfugge a questa Corte che le argomentazioni del giudice a
quo, fondate sull'incertezza dell'interpretazione dell'art. 2,  comma
26, della legge n. 335 del 1995 e sull'asserita imprevedibilita'  del
successivo orientamento giurisprudenziale, pur non integrando,  nella
specie, una specifica questione di legittimita' costituzionale  della
norma di interpretazione autentica, evocano,  tuttavia,  il  problema
della tutela dell'affidamento scusabile, riposto - prima del d.l.  n.
98 del 2011 - dai professionisti destinatari  della  norma  censurata
nell'interpretazione  restrittiva  della  citata  disposizione,  gia'
accolta dalla giurisprudenza anteriore all'entrata  in  vigore  della
disposizione interpretativa; affidamento non rilevante nel giudizio a
quo che concerne unicamente  un  periodo  successivo  alla  norma  di
interpretazione autentica. 
    In proposito questa Corte, con riguardo alla previdenza  forense,
ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale dell'art. 18, comma 12,
del d.l. n. 98 del 2011, come convertito,  nella  parte  in  cui  non
prevede che gli avvocati del libero foro non iscritti  alla  relativa
Cassa di categoria per mancato raggiungimento delle soglie di reddito
o di volume di affari di cui all'art. 22  della  legge  20  settembre
1980, n. 576 (Riforma  del  sistema  previdenziale  forense),  tenuti
all'obbligo di iscrizione alla Gestione  separata  costituita  presso
l'INPS,  siano  esonerati  dal   pagamento,   in   favore   dell'ente
previdenziale, delle sanzioni  civili  per  l'omessa  iscrizione  con
riguardo al periodo anteriore alla sua entrata in vigore (sentenza n.
104 del 2022). 
    Per il  periodo  precedente  quello  che  viene  in  rilievo  nel
giudizio  a  quo,  l'INPS  ha  adottato,  in  termini  generali,   la
regolamentazione di cui alla recente circolare del 3 ottobre 2022, n.
107 (Operazione Poseidone. Titolari di reddito di arti e professioni,
il cui esercizio e' subordinato all'iscrizione ad  Albi  e  obbligati
all'iscrizione alla Gestione separata di cui  all'articolo  2,  comma
26,  della  legge  8  agosto  1995,  n.  335.  Sentenza  della  Corte
costituzionale 22 aprile 2022, n. 104), per dare seguito ai  principi
affermati da questa Corte nella sentenza n. 104 del 2022. 
    8.- In conclusione, per le  considerazioni  fin  qui  svolte,  le
questioni sollevate dal  Tribunale  di  Rieti  vanno  dichiarate  non
fondate in riferimento a tutti i parametri evocati nell'ordinanza  di
rimessione.