ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di  legittimita'  costituzionale  degli  artt.  451,
commi 5 e 6, e 558, commi 7 e 8,  del  codice  di  procedura  penale,
promosso dal Tribunale ordinario di Firenze, prima sezione penale, in
composizione monocratica, nel procedimento penale a carico di G.  P.,
con ordinanza del 13 maggio 2021, iscritta al  n.  169  del  registro
ordinanze 2021 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 45, prima serie speciale, dell'anno 2021. 
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nella camera di consiglio del 9 novembre  2022  il  Giudice
relatore Stefano Petitti; 
    deliberato nella camera di consiglio del 10 novembre 2022. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza del 13 maggio 2021,  iscritta  al  n.  169  del
registro ordinanze del 2021, il Tribunale ordinario di Firenze, prima
sezione penale, in composizione monocratica, ha  sollevato  questioni
di legittimita' costituzionale degli artt. 451, commi 5 e 6,  e  558,
commi 7 e 8, del codice di  procedura  penale  «nella  parte  in  cui
prevedono il diritto ad  un  termine  a  difesa  soltanto  a  seguito
dell'apertura del dibattimento, invece di prevedere  la  possibilita'
di accedere ai riti alternativi anche all'esito del termine a  difesa
eventualmente richiesto», in riferimento agli  artt.  3,  24  e  117,
primo comma, della Costituzione, quest'ultimo in  relazione  all'art.
6, paragrafo 3, lettera b), della  Convenzione  europea  dei  diritti
dell'uomo  e  all'art.  14,  paragrafo  3,  lettera  b),  del   Patto
internazionale relativo ai diritti civili e politici, adottato a  New
York il 16 dicembre 1966, ratificato e reso esecutivo  con  legge  25
ottobre 1977, n. 881. 
    1.1.-  Il  rimettente  riferisce  di  doversi  pronunciare,   nel
procedimento a carico di G. P. per il reato di cui  all'art.  497-bis
del codice penale, sulla richiesta di applicazione della pena a norma
dell'art. 444 cod. proc. pen., formulata dal difensore  dell'imputato
all'udienza fissata per la prosecuzione del giudizio  direttissimo  a
seguito  della  concessione  del  termine  a  difesa  in  esito  alla
precedente udienza di convalida dell'arresto. 
    2.- Secondo l'ordinanza di rimessione, le disposizioni  censurate
sarebbero  costituzionalmente  illegittime,  per  contrasto   con   i
riferiti  parametri,  nella  parte  in  cui  prevedrebbero  che,  nel
giudizio  direttissimo,  il   termine   a   difesa   venga   concesso
all'imputato solo a seguito dell'apertura del  dibattimento,  con  la
conseguente preclusione per la richiesta di  riti  alternativi  nella
prima udienza successiva al suddetto termine. 
    2.1.- In punto di rilevanza, l'ordinanza  di  rimessione  ritiene
che tali disposizioni potrebbero essere «in astratto» interpretate in
modo conforme ai principi costituzionali in  materia  di  diritto  di
difesa,  sulla  scorta  di   quanto   affermato   da   questa   Corte
nell'ordinanza n. 254 del 1993 in relazione al rito allora vigente di
fronte  al  pretore,  nella  sostanza  coincidente  con  quello  oggi
disciplinato per i procedimenti dinnanzi al tribunale in composizione
monocratica. 
    Secondo la pronuncia richiamata,  infatti,  la  richiesta  di  un
termine a difesa, comportando «la sospensione del dibattimento -  non
ancora aperto  -  fino  all'udienza  immediatamente  successiva  alla
scadenza del termine», non impedirebbe al giudicabile  «di  formulare
la richiesta  di  applicazione  della  pena,  potendo  questa  essere
avanzata, anche nell'ipotesi  in  questione  [...]  fino  al  normale
termine previsto dall'art. 446 cod. proc. pen.,  e  cioe'  fino  alla
dichiarazione di apertura del dibattimento». 
    Tuttavia, tale orientamento, ad avviso del rimettente,  e'  stato
fatto proprio solo da un numero limitato di pronunce della  Corte  di
cassazione (sono richiamate le sentenze della  sezione  sesta  penale
del 23 ottobre 2008, n. 42696, e del 19 gennaio 2010, n.  13118),  la
quale, nell'«orientamento  prevalente  e  infine  consolidatosi»,  ha
invece interpretato le disposizioni oggetto di esame  nel  senso  che
l'avvenuta concessione del termine a difesa, presupponendo che  abbia
gia'  avuto  luogo   l'apertura   del   dibattimento,   preclude   la
possibilita' di richiedere il giudizio  abbreviato  o  l'applicazione
della pena su richiesta (sono richiamate, tra le altre,  le  sentenze
della sezione prima penale del 5 maggio 2008, n. 17796, della sezione
quinta penale del 18 febbraio 2010, n.  12778,  della  sezione  prima
penale del 5 giugno 2018, n. 25153, della sezione quinta  penale  del
27 dicembre 2019, n. 52042). 
    A  fronte,  pertanto,  di  una  giurisprudenza  di   legittimita'
asseritamente assurta al rango di diritto vivente e orientata in  tal
senso,  il  rimettente  ritiene  di  dover  fare  applicazione  delle
disposizioni censurate e, per l'effetto, rigettare  la  richiesta  di
applicazione della pena ex  art.  444  cod.  proc.  pen.,  in  quanto
tardiva,  e  procedere  con  il  dibattimento,   «risultando   questo
implicitamente gia' aperto a seguito della concessione del termine  a
difesa». 
    3.- Il Tribunale rimettente ritiene, tuttavia, non manifestamente
infondate le  questioni  di  legittimita'  costituzionale  aventi  ad
oggetto gli artt. 451, commi 5 e 6, e 558, commi 7 e  8,  cod.  proc.
pen. 
    3.1.- Il mancato riconoscimento all'imputato  della  possibilita'
di formulare richiesta di accesso a  un  rito  alternativo  dopo  che
questi abbia ottenuto il termine a difesa lederebbe,  innanzi  tutto,
l'art. 24 Cost. 
    Il fatto che l'accesso ai riti  alternativi  comporti  «modalita'
piu' limitate di esercizio del diritto di difesa»  non  escluderebbe,
invero, la necessita' che  l'imputato  sia  messo  in  condizione  di
ponderare  adeguatamente  le  conseguenze  di  una  simile  strategia
processuale. Esigenza, questa, che sarebbe frustrata  ove  l'imputato
venisse posto di fronte all'«alternativa secca» tra i  due  strumenti
e, pertanto, gli si imponesse - tanto piu' in esito  al  giudizio  di
convalida dell'arresto - di formulare tale richiesta «seduta  stante»
e non, invece,  allo  spirare  del  termine  a  difesa  eventualmente
richiesto, «la  cui  funzione  deve  poter  essere  anche  quella  di
valutare in un  periodo  di  tempo  adeguato  l'opzione  per  i  riti
alternativi». 
    3.2.- Le disposizioni censurate si porrebbero in contrasto  anche
con l'art.  3  Cost.,  a  causa  della  irragionevole  disparita'  di
trattamento che ne deriverebbe, per l'imputato  condotto  in  udienza
per rispondere del reato con rito direttissimo, rispetto  a  chi  sia
giudicato sulla base di altro rito. 
    In tali evenienze -  come,  ad  esempio,  nel  rito  ordinario  a
seguito della richiesta di rinvio a giudizio, nella citazione diretta
a giudizio, nel giudizio immediato e nel procedimento per  decreto  -
all'imputato viene sempre riconosciuto un termine piu' o  meno  lungo
per la preparazione della  difesa  e,  quindi,  anche  per  «valutare
l'eventuale scelta di procedere con un rito alternativo». Ne' sarebbe
di ostacolo alla speditezza che contrassegna il giudizio direttissimo
l'assegnazione di  un  termine  per  preparare  la  difesa  in  vista
dell'eventuale richiesta di accesso ai  riti  speciali,  poiche',  in
ogni caso, si tratterebbe di un termine di pochi giorni. 
    La rilevata disparita' di trattamento, inoltre, emergerebbe anche
con riguardo all'imputato che si sia visto modificare l'imputazione o
contestare nuovi reati e nuove  circostanze  da  parte  del  pubblico
ministero nel corso dell'istruttoria dibattimentale. Peraltro, rileva
l'ordinanza  di  rimessione,   ove   l'imputato   sia   assente,   la
contestazione deve essere inserita nel verbale di  dibattimento,  che
deve essere notificato per estratto all'imputato, «con il rispetto di
un termine almeno pari a quello previsto dall'art.  429  c.p.p.».  In
casi del genere, proprio la giurisprudenza di  questa  Corte  avrebbe
dichiarato costituzionalmente illegittime le preclusioni  poste  alla
facolta' di accedere ai riti speciali (e' richiamata la  sentenza  n.
82 del 2019). 
    A fronte di cio',  sarebbe  quindi  irragionevole  la  disciplina
approntata, per il rito direttissimo, dalle disposizioni  oggetto  di
scrutinio, nella misura in cui non consentono che il termine a difesa
richiesto e ottenuto dall'imputato  all'esito  della  convalida  «sia
funzionale anche all'eventuale scelta dei riti alternativi». 
    3.3.- Sarebbe violato, infine, l'art. 117, primo comma, Cost., in
relazione agli artt. 6, paragrafo 3, lettera b), CEDU e 14, paragrafo
3, lettera b), del Patto internazionale relativo ai diritti civili  e
politici. 
    Con riguardo al primo, in particolare, il rimettente ricorda  che
la Corte  europea  dei  diritti  dell'uomo  ha,  in  piu'  occasioni,
affermato che l'equita' del  processo  non  dipende  solamente  dalla
tempestiva informazione dell'imputato circa le contestazioni mosse  a
suo carico, ma anche dalla garanzia di tempo e  mezzi  necessari  per
preparare adeguatamente le sue difese (sono richiamate le sentenze 21
dicembre 2006, Borisova contro Bulgaria e 12 febbraio 2019, Muchnik e
Mordovin contro Russia). In tale giurisprudenza, inoltre, il tempo  e
i mezzi in questione andrebbero commisurati ad aspetti quali, tra gli
altri, la gravita' e la complessita' delle accuse e la condizione  di
detenzione o, al  contrario,  di  liberta'  dell'accusato.  Elementi,
questi ultimi,  che,  ad  avviso  del  rimettente,  assumerebbero  un
particolare rilievo nel rito direttissimo, nel quale le  accuse  sono
sempre di gravita' tale da giustificare l'arresto dell'accusato e  la
richiesta, da parte del pubblico ministero, di una  misura  cautelare
coercitiva. 
    Nella medesima  direzione  deporrebbe,  da  ultimo,  il  richiamo
all'art. 14, comma 3, lettera b), del Patto  internazionale  relativo
ai diritti civili e politici. 
    4.- E' intervenuto in giudizio il Presidente  del  Consiglio  dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, chiedendo che le questioni siano dichiarate  inammissibili  e,
comunque, non fondate. 
    4.1.-  Ad  avviso   dell'Avvocatura,   le   questioni   sarebbero
irrilevanti perche',  nel  caso  di  specie,  non  sarebbe  possibile
ritenere preclusa la richiesta di applicazione  della  pena  avanzata
dall'imputato e su cui il giudice a quo e' chiamato a pronunciarsi. 
    Contrariamente a quanto stabilisce il diritto  vivente,  ritenuto
dal  rimettente  lesivo  dei  richiamati  parametri   costituzionali,
secondo il quale vi sarebbe una rigida scansione logico-temporale tra
la facolta' per l'imputato nel giudizio direttissimo di richiedere  i
riti speciali e la richiesta del termine a difesa, dall'ordinanza  di
rimessione emerge che il giudice a  quo,  in  esito  al  giudizio  di
convalida,  avrebbe  provveduto  contestualmente  ad   entrambi   gli
adempimenti. 
    Solamente nella  successiva  udienza  egli  sarebbe  tornato  sui
propri passi, ritenendo di dover fare applicazione  dell'orientamento
piu'  restrittivo,  denunciandone  la  contrarieta'   ai   richiamati
parametri  costituzionali.   Secondo   l'Avvocatura,   tuttavia,   il
pregresso  avviso  «cumulativo»  impedirebbe  di  ritenere  che  alla
scelta, effettuata dall'imputato,  per  il  termine  a  difesa  possa
ricondursi  il  «significato  processualmente  tipico»  di   rinuncia
all'accesso  ai  riti  speciali,  che,  in  base  all'interpretazione
contestata dal  rimettente,  «si  riconnette  indissolubilmente  alla
preliminare  prospettazione  dell'alternativa  ("secca")   tra   riti
alternativi  e  giudizio  direttissimo,  solo   all'esito   del   cui
scioglimento  il  Giudice  e'  tenuto   ad   impartire   all'imputato
l'ulteriore avviso circa la  facolta'  di  fruire  di  un  termine  a
difesa». 
    Non essendosi pertanto realizzata la  fattispecie  procedimentale
prefigurata dall'orientamento giurisprudenziale  che  l'ordinanza  di
rimessione ritiene contrario  a  Costituzione,  quest'ultima  avrebbe
dato seguito all'interpretazione delle disposizioni  censurate  fatta
propria dall'ordinanza di questa Corte n. 254 del 1993, con l'effetto
di rendere prive di rilevanza le questioni in esame. 
    4.2.- Nel merito, le questioni  sarebbero  comunque  non  fondate
perche' non vi sarebbe alcuna  norma  che  impedisce  al  giudice  di
accordare all'interessato  un  eventuale  spatium  deliberandi  prima
dell'apertura del dibattimento. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Con ordinanza del 13 maggio 2021,  iscritta  al  n.  169  del
registro ordinanze del 2021, il Tribunale di Firenze,  prima  sezione
penale,  in  composizione  monocratica,  ha  sollevato  questioni  di
legittimita' costituzionale degli artt. 451, commi  5  e  6,  e  558,
commi 7 e 8, cod. proc. pen. «nella parte in cui prevedono il diritto
ad  un  termine  a  difesa  soltanto  a  seguito  dell'apertura   del
dibattimento, invece di prevedere la possibilita' di accedere ai riti
alternativi  anche  all'esito  del  termine  a  difesa  eventualmente
richiesto», in riferimento agli artt.  3,  24  e  117,  primo  comma,
Cost., quest'ultimo in relazione all'art. 6, paragrafo 3, lettera b),
CEDU e all'art. 14, paragrafo 3, lettera b), del Patto internazionale
relativo ai diritti civili e politici. 
    1.1.-  Il  rimettente  riferisce  di  doversi  pronunciare  sulla
richiesta di applicazione della pena a norma dell'art. 444 cod. proc.
pen., avanzata dall'imputato dopo che questi, in esito all'udienza di
convalida, aveva ottenuto il termine a difesa di  cui  all'art.  558,
comma 7, cod. proc. pen., previsto nel giudizio direttissimo  che  si
svolge dinnanzi al tribunale in composizione monocratica. 
    A impedire l'accoglimento della richiesta si porrebbe,  tuttavia,
la lettura che, dell'art. 558, commi 7 e 8, cod. proc. pen.,  nonche'
dell'art. 451, commi 5 e 6, cod. proc.  pen.  (relativo  al  giudizio
direttissimo che si svolge  dinnanzi  al  tribunale  in  composizione
collegiale), ha dato la «consolidata giurisprudenza di  legittimita'»
della Corte di cassazione, «assur[ta] al rango di  diritto  vivente»,
secondo cui la concessione  del  termine  a  difesa  (previsto  dalle
disposizioni censurate senza apprezzabili differenze tra i due  riti)
comporterebbe   l'apertura   del   dibattimento,   con    conseguente
preclusione della possibilita' di richiedere il giudizio abbreviato e
l'applicazione della pena su richiesta. 
    L'atto introduttivo del giudizio rileva che, secondo  l'ordinanza
n. 254 del 1993 di questa Corte e alcune  successive  pronunce  della
Corte di cassazione (sono richiamate le sentenze della sezione  sesta
penale 23 ottobre 2008, n. 42696, e 19 gennaio 2010,  n.  13118),  il
termine a  difesa,  non  determinando  l'apertura  del  dibattimento,
sarebbe  rivolto  anche  a  consentire  all'imputato   nel   giudizio
direttissimo  la  scelta  di  accedere  o  meno  ai   predetti   riti
alternativi.  Tuttavia,  nell'«orientamento   prevalente   e   infine
consolidatosi della Corte di Cassazione», si e' invece affermata  una
interpretazione  diversa  e  piu'  restrittiva   delle   disposizioni
censurate, secondo la quale il termine a difesa  sarebbe  strumentale
unicamente alla preparazione della difesa  nel  dibattimento  per  il
rito ordinario, sicche' la  sua  concessione  renderebbe  ipso  facto
tardiva la richiesta di accesso ai riti alternativi. 
    Pur    ritenendo,     pertanto,     «astrattamente     possibile»
un'interpretazione delle censurate  disposizioni  in  senso  conforme
alla Costituzione, l'ordinanza di rimessione afferma  che  questa  si
«scontr[erebbe] con la consolidata giurisprudenza  di  legittimita'»,
il che consentirebbe di ritenere validamente radicato il giudizio  di
legittimita' costituzionale in  via  incidentale  (e'  richiamata  la
sentenza di questa Corte n. 95 del 2020). 
    1.2.-  Nel  merito,  le  disposizioni  censurate  si  porrebbero,
innanzi tutto, in contrasto con l'art. 24 Cost. 
    Ad avviso del giudice a quo, infatti, affermare  che  l'imputato,
nel giudizio direttissimo, non possa fruire del termine a difesa  per
operare una scelta sul rito implicherebbe  una  compromissione  delle
sue garanzie difensive, tanto piu' grave perche' priverebbe colui che
e' a  giudizio  della  possibilita'  di  ponderare  adeguatamente  le
conseguenze di quella che questa Corte,  proprio  con  riguardo  alla
richiesta di riti speciali, ha qualificato  come  «una  modalita'  di
esercizio, e  tra  le  piu'  qualificanti,  del  diritto  di  difesa»
(sentenza n. 82 del 2019). Tale compromissione, peraltro, si  avrebbe
in un giudizio, quello direttissimo, che  e'  contrassegnato  da  una
notevole compressione dei tempi processuali, soprattutto nel caso  in
cui (come nel  giudizio  a  quo)  esso  consegue  senza  apprezzabili
soluzioni di continuita' al giudizio  di  convalida  dell'arresto  in
flagranza. 
    Sarebbe  leso,  inoltre,  l'art.   3   Cost.,   a   causa   della
irragionevole disparita' di trattamento che subirebbe l'imputato  nel
giudizio direttissimo rispetto al soggetto che venga  processato  con
altro rito (vengono richiamate le ipotesi della richiesta di rinvio a
giudizio nel rito ordinario, della citazione diretta a giudizio,  del
giudizio immediato e del procedimento per decreto), cui l'ordinamento
riconosce un termine per preparare la difesa  e  per  valutare  anche
l'eventuale scelta di procedere  con  rito  alternativo.  Altrettanto
irragionevole, e parimenti lesiva dell'art. 3 Cost., sarebbe  poi  la
disparita'  di  trattamento  rispetto  all'imputato   che   si   veda
modificare  l'imputazione  o   contestare   nuovi   reati   o   nuove
circostanze,   da   parte   del   pubblico   ministero,   nel   corso
dell'istruttoria dibattimentale,  cui  la  giurisprudenza  di  questa
Corte  (e'  ancora  richiamata  la  sentenza  n.  82  del  2019)   ha
riconosciuto, attraverso la caducazione delle  relative  preclusioni,
la facolta' di accedere ai riti alternativi. 
    Da ultimo, il rimettente lamenta  la  violazione  dell'art.  117,
primo comma, Cost., in relazione all'art. 6, paragrafo 3, lettera b),
CEDU, perche' la preclusione ricavata  dalle  disposizioni  censurate
violerebbe il principio, piu' volte ribadito dalla Corte europea  dei
diritti dell'uomo (sono richiamate  le  sentenze  21  dicembre  2006,
Borisova contro Bulgaria, e 12  febbraio  2019,  Muchnik  e  Mordovin
contro Russia),  secondo  cui  al  soggetto  accusato  devono  essere
garantiti il tempo e i mezzi necessari per preparare adeguatamente le
proprie difese. Nei medesimi termini, il contrasto e' riferito  anche
all'art. 14,  paragrafo  3,  lettera  b),  del  Patto  internazionale
relativo ai diritti civili e politici. 
    2.- Il Presidente del  Consiglio  dei  ministri,  intervenuto  in
giudizio tramite l'Avvocatura generale dello Stato,  ha  eccepito  il
difetto di rilevanza delle questioni, perche' il rimettente, sia pure
per effetto di una condotta processuale ritenuta «decettiva», avrebbe
in realta' fatto applicazione delle norme censurate in senso conforme
a Costituzione. Il giudice  a  quo,  ad  avviso  dell'Avvocatura,  ha
censurato, infatti, l'orientamento interpretativo  maggioritario,  il
cui assunto fondamentale (compendiato nella sentenza della  Corte  di
cassazione, sezione  quinta  penale,  27  dicembre  2019,  n.  52042)
consiste nel dovere del giudice di far precedere  l'avviso  sui  riti
alternativi a quello sul termine a difesa. 
    Dall'ordinanza introduttiva, tuttavia, emerge che  i  due  avvisi
sarebbero stati formulati in modo  contestuale,  con  la  conseguenza
che, una volta intrapresa una via diversa  da  quella  fatta  propria
dall'orientamento maggioritario della Corte di cassazione,  egli  non
avrebbe dovuto attribuire  alla  concessione  del  termine  a  difesa
l'effetto  di  rendere  tardiva  la  richiesta  di  riti  alternativi
nell'udienza successiva alla concessione di detto termine. 
    2.1.- L'eccezione non e' fondata. 
    Con essa, l'Avvocatura  imputa  al  rimettente  un  atteggiamento
contraddittorio,  rilevante  in  questa  sede  unicamente  in  quanto
mostrerebbe che questi ha omesso di dare seguito  all'interpretazione
conforme a Costituzione derivante dalla formulazione contestuale  dei
due avvisi, e consistente  nella  possibilita'  di  chiedere  i  riti
alternativi alla prima udienza successiva allo spirare del termine  a
difesa. 
    In realta',  sebbene  l'anteriorita'  dell'avviso  relativo  alla
facolta' di avvalersi di uno dei due riti alternativi costituisca  un
presupposto da cui muove l'ordinanza  di  rimessione  per  contestare
l'orientamento  della  Corte  di  cassazione  ritenuto   consolidato,
l'oggetto delle odierne  questioni  e'  un  altro,  e  si  identifica
propriamente nell'efficacia preclusiva che la concessione del termine
a difesa avrebbe rispetto alla richiesta di riti alternativi. 
    Non  influisce,   quindi,   sull'ammissibilita'   delle   odierne
questioni il fatto che il rimettente abbia  formulato  i  due  avvisi
contestualmente, poiche' egli - prima e indipendentemente da  cio'  -
ha ritenuto che la presenza di un diritto vivente non gli consenta di
accogliere la richiesta di applicazione della pena su richiesta delle
parti quando il termine a difesa  e'  stato  concesso,  poiche',  per
effetto di cio', si sarebbe  avuta  l'apertura  del  dibattimento.  A
deporre, del resto, nel senso che le  questioni  non  si  esauriscono
nella sola anteposizione di un avviso all'altro vi e' il fatto che la
precedenza di carattere logico che la  richiamata  giurisprudenza  di
legittimita' ricava dalla successione dei commi 5  (avviso  sui  riti
alternativi) e 6 (termine a difesa) dell'art. 451 cod. proc. pen.,  e
su cui l'Avvocatura incentra  l'eccezione  di  inammissibilita',  non
trova riscontro nelle omologhe previsioni di cui all'art. 558,  commi
7 e 8, cod. proc. pen., dove il relativo ordine e' invertito. 
    Non e'  quindi  censurabile  in  limine  litis  la  condotta  del
rimettente, poiche' egli,  con  motivazione  non  incongrua,  ritiene
esistente un  orientamento  giurisprudenziale  maggioritario  che  fa
propria un'interpretazione delle disposizioni censurate  contraria  a
quella  che  egli  ritiene  conforme  a  Costituzione  e  che  assume
costituire diritto vivente.  In  base  al  costante  orientamento  di
questa  Corte,  in  presenza  di  un  orientamento  giurisprudenziale
consolidato,  il  giudice  a  quo  ha   la   facolta'   di   assumere
l'interpretazione censurata in termini  di  "diritto  vivente"  e  di
richiederne su tale presupposto il controllo di compatibilita' con  i
parametri costituzionali (sentenze n. 20 del 2022, n. 180 e n. 1  del
2021, n. 95, n. 32 e n. 12 del 2020, n. 189, n. 141 del 2019,  n.  75
del 2019 e n. 39 del 2018). 
    Le questioni devono pertanto ritenersi ammissibili. 
    3.- All'esame nel merito della questione relativa alla violazione
dell'art. 24 Cost., affrontata dall'ordinanza di  rimessione  in  via
prioritaria, giova premettere una ricognizione del quadro normativo e
giurisprudenziale nella quale si collocano le disposizioni censurate. 
    3.1.- Gli avvisi  disciplinati  da  queste  ultime  costituiscono
imprescindibili adempimenti cui il giudice  (sia  esso  collegiale  o
monocratico) e' chiamato a dar seguito, nel giudizio direttissimo, in
vista   dell'esercizio   di    essenziali    prerogative    difensive
dell'imputato. 
    In particolare, secondo l'art. 451, comma  5,  cod.  proc.  pen.,
«[i]l presidente avvisa l'imputato  della  facolta'  di  chiedere  il
giudizio  abbreviato  ovvero  l'applicazione  della  pena   a   norma
dell'articolo  444»;  in  termini  sostanzialmente  coincidenti,  con
riferimento al giudizio che si svolge davanti al giudice monocratico,
statuisce l'art. 558, comma 8, cod. proc. pen. 
    L'art.  451,  comma  6,  cod.  proc.  pen.,  stabilisce  poi  che
«[l]'imputato e' altresi' avvisato  della  facolta'  di  chiedere  un
termine per preparare la difesa non superiore a dieci giorni.  Quando
l'imputato si avvale di tale facolta',  il  dibattimento  e'  sospeso
fino  all'udienza  immediatamente  successiva   alla   scadenza   del
termine». L'art. 558, comma 7,  cod.  proc.  pen.  dispone,  con  una
formulazione per il resto coincidente, che il termine  per  preparare
la difesa nel rito che si svolge di fronte al giudice monocratico non
puo' essere superiore a cinque giorni. 
    Entrambi tali avvisi si collocano in una fase  caratterizzata  da
una marcata contrazione dei tempi processuali, sia che essa  consegua
immediatamente alla convalida dell'arresto (art. 449, comma  1,  cod.
proc. pen.), sia che essa venga attivata negli  altri  casi  previsti
dal codice di rito (art. 449, commi 4 e 5, cod. proc. pen.).  Proprio
tale contrazione, del resto coessenziale ad un rito contrassegnato da
esigenze  di  celerita'  e  speditezza,  rende  non  sempre   agevole
distinguere nettamente la fase preliminare al dibattimento da  quella
propriamente dibattimentale, tanto piu' nell'ipotesi in  cui  -  come
nel giudizio a quo e nella maggior  parte  dei  casi  -  il  giudizio
direttissimo sia immediatamente conseguente al giudizio di  convalida
dell'arresto. 
    Pur a fronte di tali difficolta', ripetutamente evidenziate dalla
dottrina,  la   giurisprudenza   della   Corte   di   cassazione   ha
costantemente sottolineato la natura  inderogabile  degli  avvisi  in
parola. Con riguardo, in particolare, al termine a difesa,  e'  stato
ribadito che, se richiesto, esso «deve essere  concesso  dal  giudice
che deve pertanto disporre il rinvio del processo ad  altra  udienza,
altrimenti incorrendo in un'ipotesi di nullita', generale e a  regime
intermedio, riguardando la stessa  non  l'assenza  del  difensore  in
giudizio  ma  l'assistenza  nel  medesimo  dell'imputato»  (Corte  di
cassazione, sezione quinta penale, sentenza 16 marzo 2022, n. 8951). 
    Incontestata, pertanto, la natura essenziale del termine a difesa
rispetto all'esercizio del diritto di difesa  dell'imputato,  oggetto
dell'odierna questione e' se di esso ci si debba avvalere  -  secondo
l'orientamento  fatto  proprio  dalla  prevalente  giurisprudenza  di
legittimita'  -   unicamente   per   la   prosecuzione   della   fase
dibattimentale del giudizio direttissimo, ovvero se esso debba essere
concesso anche in vista delle scelte che l'imputato ha la facolta' di
compiere  sull'accesso  ai  riti  alternativi,  come  auspicato   dal
rimettente. 
    Peraltro, non impropriamente il rimettente ha  investito  con  le
sue censure le richiamate disposizioni, applicabili ai due  riti  che
si svolgono di fronte al giudice collegiale e a  quello  monocratico.
Attesa la sostanziale  identita'  di  disciplina,  non  puo'  infatti
dubitarsi  che  tali   disposizioni,   implicandosi   reciprocamente,
enuncino  una  medesima  norma,  e  che  sia  quindi  quest'ultima  a
costituire propriamente l'oggetto dello scrutinio di questa Corte. 
    3.2.- Di una questione sostanzialmente coincidente con quella  in
esame questa Corte si e' gia'  occupata  nell'ordinanza  n.  254  del
1993. 
    In  quell'occasione,  essa  era   chiamata   a   decidere   della
legittimita' costituzionale dell'abrogato  art.  566,  ottavo  comma,
cod. proc. pen. «nella parte in cui dispone che la formulazione della
richiesta di applicazione della pena sia fatta subito dopo  l'udienza
di convalida e non, invece, prima della dichiarazione di apertura del
dibattimento»,   alla   luce   dell'orientamento    giurisprudenziale
«generalmente  accolt[o]»  secondo  il  quale  l'imputato,  dopo   la
convalida dell'arresto, «deve subito scegliere tra due  facolta':  la
formulazione  della  richiesta  di  giudizio  abbreviato  ovvero   di
applicazione della pena,  oppure  la  richiesta  di  un  termine  per
preparare la difesa. Mentre  l'esercizio  della  prima  facolta'  non
preclude [giova precisare, secondo  la  disciplina  ratione  temporis
applicabile], in caso di dissenso del pubblico ministero, l'esercizio
della seconda, la richiesta del  "termine  a  difesa"  precluderebbe,
invece, definitivamente, la  possibilita'  di  chiedere  il  giudizio
abbreviato  o  l'applicazione  della  pena  allorche'  ha  inizio  il
dibattimento "all'udienza preliminare successiva  alla  scadenza  del
termine" concesso». 
    La questione e' stata  dichiarata  manifestamente  infondata  sul
rilievo che l'informazione sul termine a difesa  si  colloca  in  una
fase anteriore al dibattimento, sicche', ove questo  venga  concesso,
«il dibattimento, non ancora  aperto,  e'  sospeso  fino  all'udienza
immediatamente successiva alla scadenza del termine (art. 451,  sesto
comma)». Inoltre, questa  Corte  ha  affermato  che  la  disposizione
censurata (sostanzialmente coincidente con  quelle  oggi  scrutinate)
non si poneva in contrasto con la regola per cui i riti speciali  (e,
in quel caso, l'applicazione della pena  su  richiesta  delle  parti)
dovessero  essere  richiesti  dall'imputato  fino  all'apertura   del
dibattimento, perche' le due richieste (di  termine  a  difesa  e  di
accesso ai riti speciali) «vengono  semplicemente  riconosciute  come
facolta' che il giudicabile "puo'" (e non  "deve")  formulare  subito
dopo l'udienza di convalida,  e  cioe'  a  partire  da  quel  momento
processuale, sicche' la richiesta di applicazione della pena puo' ben
intervenire fino al normale termine previsto  nel  citato  art.  446,
primo comma, del codice di procedura penale». 
    3.3.- Dopo tale pronuncia, solo una parte della giurisprudenza di
legittimita' si e' orientata nel senso di ritenere che la concessione
del termine a difesa non precluda, sino  alla  formale  apertura  del
dibattimento di primo grado, la richiesta di riti speciali (Corte  di
cassazione, sezione settima  penale,  ordinanza  6  luglio  2017,  n.
32867, sezione quinta penale, sentenza  17  luglio  2012,  n.  28922,
sezione sesta penale, sentenza  13  gennaio  2012,  n.  934,  sezione
settima penale, ordinanza 24 aprile 2010,  n.  15998,  sezione  sesta
penale, sentenze 8 aprile 2010, n. 13118,  e  14  novembre  2008,  n.
42696). 
    E' prevalso nettamente, invece, l'orientamento  giurisprudenziale
incline a configurare il rapporto tra i  due  avvisi  in  termini  di
netta alternativita'. Questa e' stata fatta derivare tanto da ragioni
legate al tenore letterale delle disposizioni  in  esame,  quanto  da
considerazioni connesse alle diverse  rationes  dei  due  avvisi  nel
quadro delle fasi che si svolgono nel giudizio direttissimo. 
    Dal primo punto di vista, si e' sottolineato come la  concessione
del termine a difesa, per il fatto di determinare la sospensione  del
dibattimento (artt. 451, comma 6, e 558, comma 7, cod.  proc.  pen.),
implica che questo si sia gia' aperto al momento  della  formulazione
del relativo avviso, con la conseguenza che, alla successiva udienza,
la richiesta di riti  alternativi  sarebbe  tardiva  (sulla  base  di
quanto previsto dagli artt. 446, comma 1, e 452, comma 2, cod.  proc.
pen.). 
    Dal secondo punto di vista, si e' ritenuto che  «la  ratio  della
previsione del giudizio direttissimo in caso di arresto in  flagranza
di reato e' quella della immediatezza e contestualita'  del  giudizio
rispetto alla convalida dell'arresto, di talche' le opzioni sul  rito
non  possono  che  essere   immediate   e   contestuali   in   quanto
propedeutiche  alla  celere  celebrazione  del  processo»  (Corte  di
cassazione, quinta sezione penale, sentenza 10 marzo 2021, n.  9567).
Ancor  piu'  chiaramente,  sintetizzando  i  termini  della  costante
giurisprudenza sul punto, si e' affermato che «l'avvenuta concessione
del termine a difesa [...], presupponendo che abbia gia' avuto  luogo
l'apertura  del  dibattimento,  preclude  la  richiesta  di  giudizio
abbreviato», senza che cio' si traduca in alcun vulnus al diritto  di
difesa,  «attesa  la  evidente  differenza  tra  l'ipotesi   in   cui
l'arrestato abbia scelto di non difendersi (concordando la pena) o di
farsi giudicare "allo stato degli atti", mostrando  in  tal  modo  di
rinunciare ad un diritto  di  difesa  pieno,  ed  in  particolare  al
diritto di chiedere ed ottenere nuove prove al fine di  ottenere  una
riduzione di pena, e l'ipotesi  in  cui  l'imputato  abbia  preferito
conservare un  pieno  e  illimitato  diritto  di  difesa»  (Corte  di
cassazione, sezione quinta penale, 27 dicembre  2019,  n.  52042;  in
senso conforme, pur con varieta' di  accenti,  Corte  di  cassazione,
sezione sesta penale, sentenza 1°  aprile  2019,  n.  14129,  sezione
prima penale, sentenza 5 giugno 2018, n. 25153, sezione terza penale,
sentenza 15 febbraio 2017, n. 7159, sezione settima penale, ordinanza
13 settembre 2012, n. 35113,  sezione  seconda  penale,  sentenza  11
novembre 2011, n. 41014, sezione quinta penale,  sentenza  1°  aprile
2010, n. 12778, sezione prima penale,  sentenza  5  maggio  2008,  n.
17796, sezione quinta penale, sentenza 30 dicembre  2002,  n.  43713,
sezione prima penale, sentenza 20  luglio  2001,  n.  29446,  sezione
quarta penale, sentenza 18 maggio 2001, n. 20189). 
    3.4.- Muovendo dal progressivo  consolidamento  di  un  indirizzo
giurisprudenziale contrastante con quanto espresso  da  questa  Corte
nell'ordinanza n. 254 del 1993, e nel presupposto che esso  impedisca
un'interpretazione delle disposizioni censurate  in  continuita'  con
tale precedente,  il  rimettente  sollecita  dunque  questa  Corte  a
vagliare la legittimita' costituzionale delle disposizioni  censurate
per come interpretate dalla giurisprudenza prevalente. 
    4.-  Tanto  premesso,  la  questione  sollevata  in   riferimento
all'art. 24 Cost. e' fondata, nei termini di seguito precisati. 
    Secondo  la  giurisprudenza  costante   di   questa   Corte,   la
possibilita' di accedere a uno  dei  riti  alternativi  previsti  dal
legislatore costituisce «una modalita', tra le piu' qualificanti,  di
esercizio del diritto di difesa» dell'imputato (sentenze n.  174  del
2022, n. 192 del 2020, nonche' sentenze n. 19 e n. 14  del  2020,  n.
131 del 2019, n. 141 del 2018). Muovendo dai medesimi presupposti, e'
stata ulteriormente  specificata  la  consistenza  delle  prerogative
difensive, con  riferimento  alla  scelta  di  valersi  del  giudizio
abbreviato - ma con considerazioni in questo caso  estensibili  anche
all'applicazione della pena su richiesta ex art. 444 cod. proc.  pen.
-, affermando che «"condizione primaria per l'esercizio  del  diritto
di difesa e' che l'imputato abbia ben chiari  i  termini  dell'accusa
mossa nei suoi confronti": e cio' particolarmente  in  rapporto  alla
"scelta di valersi del giudizio abbreviato", la quale "e'  certamente
una delle piu' delicate, fra quelle tramite le quali si esplicano  le
facolta' defensionali"» (sentenza n. 273 del  2014,  con  riferimento
alla sentenza n. 237 del 2012). 
    Piu' di  recente,  e  in  termini  ancora  piu'  ampi,  e'  stato
ulteriormente evidenziato che «[l]a scelta del rito deve, in effetti,
poter  essere  effettuata  dall'imputato  -  assistito  dal   proprio
difensore - con piena consapevolezza delle possibili conseguenze  sul
piano sanzionatorio connesse all'uno o all'altro rito,  in  relazione
ai reati contestati dal pubblico  ministero»  (sentenza  n.  146  del
2022). 
    4.1.- Nel caso del giudizio direttissimo, la scelta dell'imputato
di accedere  a  uno  dei  riti  speciali  previsti  dalle  richiamate
disposizioni del codice di rito deve raccordarsi  con  la  disciplina
particolarmente serrata dei  tempi  di  instaurazione  del  giudizio,
senza che  cio'  possa  comportare  il  sacrificio  delle  essenziali
esigenze difensive dell'imputato  sull'altare  della  speditezza  dei
tempi processuali. 
    Non  puo'  dunque  ritenersi  che  la  scelta  del   rito   debba
necessariamente avvenire seduta stante e incognita causa, senza cioe'
un'adeguata ponderazione delle  implicazioni  che  derivano  da  tale
strategia processuale. Proprio  al  fine  della  salvaguardia  di  un
imprescindibile spatium deliberandi, il giudice,  ove  l'imputato  ne
faccia richiesta, e' quindi tenuto a concedere il termine non solo in
vista dell'approntamento della  migliore  difesa  nella  prosecuzione
della  fase  dibattimentale,  ma  anche  in  funzione  dell'esercizio
consapevole  della  scelta  sull'accesso  al  giudizio  abbreviato  e
all'applicazione della pena a norma dell'art. 444 cod. proc. pen. 
    4.2.- La necessita' di una piena garanzia del diritto di  difesa,
che  si  traduce  nel  carattere  effettivo  della  scelta  sui  riti
alternativi per come assicurato  dal  riconoscimento  di  condizioni,
materiali  e  temporali,  che  consentano  all'imputato   un'adeguata
ponderazione della propria  strategia  processuale,  vale  a  maggior
ragione in un rito, quello direttissimo, segnato, come detto,  da  un
rapido avvicendamento delle fasi processuali. 
    Nella sentenza n.  113  del  2020,  questa  Corte,  sia  pur  con
riferimento a una disciplina diversa da quella oggi in esame, perche'
riguardante l'art. 30-ter, comma 7, della legge 26  luglio  1975,  n.
354 (Norme sull'ordinamento penitenziario e  sulla  esecuzione  delle
misure privative e limitative della liberta'), censurato nella  parte
in cui prevedeva che il  termine  per  proporre  reclamo  avverso  il
provvedimento del magistrato di  sorveglianza  in  tema  di  permesso
premio  fosse   pari   a   24   ore,   ha   rilevato   il   carattere
«[i]ngiustificatamente pregiudizievole rispetto all'effettivita'  del
diritto di difesa di cui all'art. 24  Cost.  [di]  un  termine  cosi'
breve» affinche' l'interessato potesse articolare le proprie  difese.
E cio', ha aggiunto la Corte,  «anche  in  relazione  alla  oggettiva
difficolta', per il detenuto, di ottenere in un cosi' breve lasso  di
tempo l'assistenza tecnica di un difensore, che  pure  e'  -  in  via
generale - parte integrante del diritto di difesa  in  ogni  stato  e
grado del procedimento». 
    Tale principio merita di essere qui richiamato, tenuto conto  che
la compressione del diritto  di  difesa  dell'imputato  nel  giudizio
direttissimo  e',  secondo   l'interpretazione   delle   disposizioni
censurate offerta dalla  giurisprudenza  prevalente,  anche  maggiore
rispetto al caso deciso dalla sentenza n. 113 del 2020. 
    Basta considerare, al riguardo, come il rapido susseguirsi  delle
fasi  processuali  del   giudizio   di   convalida   dell'arresto   e
dell'instaurazione del giudizio  direttissimo,  seppure  consente  di
«pervenire  con  immediatezza  all'accertamento  di   responsabilita'
penale dell'imputato» (sentenza n. 41  del  2022),  puo'  risolversi,
talvolta, anche in  uno  spazio  di  poche  ore,  il  che  rende  non
infrequente  che  l'imputato  non  sia  assistito  dal  difensore  di
fiducia, e che si trovi, inoltre, a dover compiere la scelta sul rito
senza disporre di alcun apprezzabile lasso di tempo,  quando  non  in
modo addirittura istantaneo. 
    5.- Alla luce di tali ragioni, si  rende  quindi  necessario  che
questa Corte, riaffermando quanto contenuto nell'ordinanza n. 254 del
1993  e  preso  atto  dell'incompatibilita'  con  l'art.   24   Cost.
dell'interpretazione delle disposizioni censurate fatta propria dalla
«consolidata giurisprudenza di  legittimita'»  (sentenza  n.  68  del
2021), dichiari  l'illegittimita'  costituzionale  degli  artt.  451,
commi 5 e 6,  e  558,  commi  7  e  8,  cod.  proc.  pen.  in  quanto
interpretati nel senso che la concessione del termine  a  difesa  nel
giudizio direttissimo preclude all'imputato di formulare, nella prima
udienza successiva allo spirare del suddetto termine, la richiesta di
giudizio abbreviato o di applicazione  della  pena  su  richiesta  ai
sensi dell'art. 444 cod. proc. pen. 
    5.1.- Restano assorbite le questioni sollevate dall'ordinanza  di
rimessione in riferimento agli artt. 3 e  117,  primo  comma,  Cost.,
quest'ultimo in relazione all'art. 6, paragrafo 3, lettera b), CEDU e
all'art. 14,  paragrafo  3,  lettera  b),  del  Patto  internazionale
relativo ai diritti civili e politici.