ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nei giudizi di legittimita' costituzionale degli artt. 125, comma
3, 191 e 352 del codice di procedura penale  promossi  dal  Tribunale
ordinario di Lecce, in composizione monocratica,  con  tre  ordinanze
del 19 ottobre 2021, iscritte, rispettivamente, ai numeri 16, 17 e 18
del registro ordinanze 2022 e  pubblicate  nella  Gazzetta  Ufficiale
della Repubblica n. 10, prima serie speciale, dell'anno 2022. 
    Visti gli atti di intervento del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nella camera di consiglio del 5  ottobre  2022  il  Giudice
relatore Franco Modugno; 
    deliberato nella camera di consiglio del 17 ottobre 2022. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con tre ordinanze, di tenore in larga parte  analogo,  emesse
nell'ambito di distinti giudizi il 19  ottobre  2021  e  iscritte  ai
numeri 16,  17  e  18  del  registro  ordinanze  2022,  il  Tribunale
ordinario  di  Lecce,  in  composizione  monocratica,  ha   sollevato
questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 191 del codice  di
procedura penale, in riferimento agli artt. 2, 3,  13,  14,  24,  97,
terzo  (recte:  secondo)  comma,  111  e  117,  primo  comma,   della
Costituzione, quest'ultimo in  relazione  agli  artt.  6  e  8  della
Convenzione europea dei diritti  dell'uomo,  nella  parte  in  cui  -
secondo  l'interpretazione  predominante  nella   giurisprudenza   di
legittimita',  assunta  quale   diritto   vivente   -   non   prevede
l'inutilizzabilita' degli esiti probatori delle perquisizioni e delle
ispezioni,  domiciliari   e   personali,   compiute   dalla   polizia
giudiziaria fuori dei casi previsti dalla legge, compresi,  fra  tali
esiti, anche il sequestro del corpo del reato o delle cose pertinenti
al reato e la possibilita' di deporre sui predetti atti  e  sui  loro
risultati. Nelle ordinanze iscritte ai numeri 17 e 18 r. o. del 2022,
il giudice a  quo  lamenta,  altresi',  che  l'inutilizzabilita'  non
colpisca anche  gli  esiti  probatori  delle  perquisizioni  e  delle
ispezioni operate  dalla  polizia  giudiziaria,  fuori  del  caso  di
flagranza di reato, in forza di segnalazioni anonime o  confidenziali
e su tali basi autorizzate  o  convalidate  dal  pubblico  ministero,
ovvero - secondo la sola ordinanza iscritta al n. 18 r. o. del 2022 -
convalidate  dal  pubblico  ministero  senza  indicare  gli  elementi
utilizzabili che le legittimavano, o  -  secondo  la  sola  ordinanza
iscritta al n. 17 r. o. del  2022  -  non  convalidate  dal  pubblico
ministero per qualsiasi ragione. 
    Le ordinanze iscritte ai numeri 16 e 18 r. o. del 2022 sollevano,
inoltre, questioni di  legittimita'  costituzionale,  in  riferimento
agli artt. 2, 13, 14 e 111, sesto comma, Cost.,  dell'art.  352  cod.
proc. pen., nella  parte  in  cui  non  prevede  che  il  decreto  di
convalida  della  perquisizione  debba   essere   motivato;   nonche'
dell'art. 125, comma 3, cod. proc.  pen.,  nella  parte  in  cui  non
prevede che la nullita' del decreto di convalida della  perquisizione
sia assoluta e rientri tra quelle considerate dall'art. 179, comma 2,
cod. proc. pen. 
    Con l'ordinanza iscritta al n. 17 r. o. del 2022 vengono, invece,
sollevate questioni di legittimita'  costituzionale,  in  riferimento
agli artt. 2, 13 e 14 Cost., del solo art. 352 cod. proc. pen., nella
parte in cui non prevede che, nel caso in cui il  pubblico  ministero
non  convalidi  la  perquisizione  nei  termini  di  legge,  tutti  i
risultati probatori della stessa divengano inutilizzabili, «anche  in
termini di "inutilizzabilita' derivata"». 
    1.1.- Il giudice a quo premette di essere investito  di  processi
per furto in abitazione (ordinanza iscritta al n. 16 r. o. del  2022)
e per reati in materia di stupefacenti (ordinanze iscritte ai  numeri
r. o. 17 e 18 del 2022), nei quali la prova  principale  o  esclusiva
dei fatti e' costituita dal sequestro del corpo del reato e  di  cose
pertinenti al reato rinvenuti presso l'abitazione  degli  imputati  a
seguito  di  perquisizioni  eseguite   dalla   polizia   giudiziaria:
perquisizioni che il rimettente reputa  abusive,  in  quanto  operate
fuori dei casi indicati dalla legge. 
    In base agli artt. 13 e 14 Cost., le ispezioni e le perquisizioni
personali e domiciliari possono essere, infatti,  disposte  solo  con
«atto motivato dell'autorita' giudiziaria e  nei  soli  casi  e  modi
previsti dalla legge». A tale  principio  puo'  derogarsi  unicamente
«[i]n  casi  eccezionali   di   necessita'   ed   urgenza,   indicati
tassativamente  dalla  legge»,  nei  quali  l'autorita'  di  pubblica
sicurezza  puo'  adottare  «provvedimenti  provvisori»   soggetti   a
convalida da parte dell'autorita' giudiziaria (da intendere,  secondo
il rimettente, come convalida motivata), in difetto della quale  essi
«si intendono revocati e restano privi di ogni effetto». 
    Nella specie, le perquisizioni erano state eseguite in assenza di
una situazione di flagranza di reato apprezzabile ex ante - richiesta
in via  generale  dall'art.  352  cod.  proc.  pen.  come  condizione
legittimante l'intervento eccezionale delle forze di polizia -  sulla
base di una segnalazione della persona offesa (ordinanza iscritta  al
n.  16  r.  o.  del  2022),  ovvero  di  notizie  fornite  da   fonti
confidenziali, delle  quali  la  legge  processuale  prevede  in  via
generale l'inutilizzabilita', in quanto non  verificabili  (ordinanze
iscritte ai numeri 17 e 18 r. o. del 2022). 
    Era mancato, altresi', un  valido  provvedimento,  antecedente  o
successivo,  dell'autorita'  giudiziaria.  In  un   caso   (ordinanza
iscritta al n. 16 r. o. del  2022),  infatti,  la  perquisizione  era
stata autorizzata oralmente dal pubblico ministero, fuori dei casi in
cui  la  legge  consente   l'autorizzazione   in   forma   orale,   e
successivamente convalidata, ma con motivazione incongrua,  idonea  a
giustificare, semmai,  solamente  il  sequestro.  In  un  altro  caso
(ordinanza iscritta al n. 17 r. o. del 2022),  la  perquisizione  era
stata autorizzata dal pubblico ministero  solo  oralmente,  ai  sensi
dell'art. 103 del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309  (Testo  unico  delle
leggi  in  materia  di  disciplina  degli  stupefacenti  e   sostanze
psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati  di
tossicodipendenza), senza peraltro che ne constassero le ragioni.  In
un altro caso ancora (ordinanza iscritta al n. 18 r. o. del 2022), la
perquisizione  era  stata   convalidata   successivamente,   ma   con
motivazione  che  si  limitava  ad   affermare   apoditticamente   la
sussistenza dei presupposti per la perquisizione e il sequestro. 
    1.2.-  Secondo  il  rimettente,   gli   esiti   probatori   della
perquisizione eseguita  dalla  polizia  giudiziaria  fuori  dei  casi
indicati dalla legge,  o  in  difetto  di  una  convalida  che  abbia
riscontrato l'effettiva ricorrenza di tali casi,  dovrebbero  restare
inutilizzabili. Rispetto alla perquisizione, infatti, la  perdita  di
efficacia prevista dagli artt. 13 e 14 Cost. non potrebbe attenere ad
altro che ai risultati di natura probatoria, posto  che  gli  effetti
limitativi della  liberta'  personale  e  domiciliare,  insiti  nella
perquisizione stessa, si esauriscono con il compimento dell'atto. 
    Tale esito interpretativo risulterebbe, tuttavia, contrastato  da
un  consolidato  indirizzo  della  giurisprudenza  di   legittimita',
originato dalla sentenza delle sezioni unite penali  della  Corte  di
cassazione 27 marzo-6 maggio 1996, n. 5021. Le  Sezioni  unite  hanno
ritenuto,  infatti,   valido   il   sequestro   conseguente   a   una
perquisizione eseguita fuori dai  casi  e  dai  modi  previsti  dalla
legge,  allorche'  abbia  ad  oggetto  il  corpo  del  reato  o  cose
pertinenti al reato, posto che, in tal caso, il sequestro costituisce
un atto dovuto ai sensi dell'art. 253, comma 1, cod. proc. pen.,  che
non potrebbe essere omesso dalla polizia  giudiziaria  solo  a  causa
dell'abuso  compiuto.  Correlativamente,  gli   agenti   di   polizia
giudiziaria  potrebbero  anche   testimoniare   sugli   esiti   della
perquisizione. 
    1.3.- Il giudice a quo ricorda di aver gia' sollevato piu'  volte
questioni  di  legittimita'  costituzionale   del   diritto   vivente
formatosi attorno all'art. 191  cod.  proc.  pen.,  denunciandone  il
contrasto con una pluralita' di parametri costituzionali. 
    Le questioni erano state, tuttavia, «respinte»  da  questa  Corte
dapprima con la sentenza n. 219 del 2019 e poi con la sentenza n. 252
del 2020, sul rilievo che il loro accoglimento avrebbe richiesto  una
pronuncia  «fortemente  "manipolativa"»,   dato   che   l'ordinamento
italiano non recepisce la figura  dell'«inutilizzabilita'  derivata»,
espressiva  della   cosiddetta   «teoria   dei   frutti   dell'albero
avvelenato». 
    1.4.- Con le odierne ordinanze di rimessione, emesse  nell'ambito
di tre dei giudizi che avevano  dato  luogo  alle  ordinanze  su  cui
questa Corte si e' pronunciata con la sentenza n. 252  del  2020,  il
Tribunale salentino ritiene, tuttavia, di dover tornare a prospettare
i dubbi di legittimita' costituzionale, con il supporto di  ulteriori
argomenti. 
    Ad avviso del giudice a quo, l'art. 191 cod.  proc.  pen.,  nella
lettura offertane dal diritto vivente, si porrebbe in  contrasto  con
gli artt. 13 e 14 Cost. proprio perche' non accoglie la  «teoria  dei
frutti  dell'albero  avvelenato»:  teoria  che,  oltre  a   risultare
implicitamente  recepita  dalle  norme  costituzionali  evocate,  non
sarebbe affatto estranea al sistema processuale  vigente,  conoscendo
almeno una esplicita applicazione nell'art. 103 cod. proc.  pen.,  in
tema di garanzie di liberta' del difensore. 
    Tale disposizione, dopo aver previsto una serie  di  prescrizioni
da osservare per l'esecuzione  di  ispezioni  e  perquisizioni  negli
uffici dei difensori, stabilisce espressamente, al  comma  7,  che  i
«risultati» degli atti eseguiti in violazione  di  tali  prescrizioni
«non  possono  essere  utilizzati»:   il   che   dimostrerebbe   come
l'inutilizzabilita' "derivata" non sia un istituto ignoto  al  nostro
ordinamento giuridico e come essa  possa  bene  fungere,  quindi,  da
«modello»  ai  fini  dell'invocata  declaratoria  di   illegittimita'
costituzionale dell'art. 191 cod. proc. pen. 
    1.5.- La disciplina recata dall'art. 103 cod.  proc.  pen.  viene
evocata dal rimettente anche quale tertium comparationis, a  sostegno
della censura di  violazione  dell'art.  3  Cost.  per  irragionevole
disparita' di trattamento. 
    Il citato art. 103 cod. proc. pen. mira, infatti, a garantire  la
liberta' e la riservatezza del rapporto tra difensore e imputato,  in
quanto  condizioni  necessarie  per  l'effettivita'  del  diritto  di
difesa.  Risulterebbe,   peraltro,   irrazionale   che   il   sistema
processuale assicuri a un diritto - quale quello di difesa - che,  se
pure  di  assoluta  importanza,  ha  natura  strumentale  e  servente
rispetto alla tutela della  liberta'  personale  e  domiciliare,  una
tutela piu' intensa ed efficace di quella apprestata rispetto ad atti
illegali direttamente lesivi di quei diritti fondamentali. 
    1.6.- Il rilevato profilo di contrasto  con  l'art.  3  Cost.  si
aggiungerebbe a quelli gia' denunciati con le precedenti ordinanze di
rimessione, e che il rimettente ripropone. 
    Il  diritto  vivente  censurato  prefigurerebbe,  per  gli   atti
considerati, una disciplina meno favorevole anche di quella stabilita
dall'art. 271 cod. proc. pen., che  prevede  l'inutilizzabilita'  dei
risultati delle intercettazioni illegittime,  benche'  queste  ultime
incidano  su  un  diritto   costituzionale   (la   segretezza   della
corrispondenza) di minor rilievo rispetto alla liberta'  personale  e
domiciliare. 
    Esso verrebbe a creare, altresi', un sistema che, «in maniera del
tutto  paradossale»,  considera  «inefficaci  ab  origine  le   leggi
incostituzionali»,  ma  «efficacissimi»,  anche  sotto   il   profilo
probatorio, gli atti di polizia giudiziaria  compiuti  in  danno  dei
diritti inviolabili dei cittadini, rendendo in tal modo prevalente su
questi ultimi l'azione illegale degli organi statali finalizzata alla
repressione dei reati, con conseguente violazione anche dell'art. 97,
secondo comma, Cost. 
    1.7.- Risulterebbe violato pure l'art. 2 Cost., che  impone  alla
Repubblica non solo di riconoscere, ma anche di garantire  i  diritti
inviolabili della persona, postulando, con cio', l'effettivita' delle
garanzie. 
    Non presterebbe, infatti, adeguata protezione una disciplina  che
consenta a una attivita' compiuta in violazione di  tali  diritti  di
produrre effetti giuridici favorevoli all'autore della  violazione  e
in danno di chi l'ha subita. 
    1.8.- Apparirebbero compromessi, ancora, il diritto a  un  giusto
processo (artt. 111 e 117 Cost., in relazione all'art. 6 CEDU)  e  il
diritto di difesa (art. 24 Cost.). 
    Il vulnus risulterebbe particolarmente evidente  ove  si  ammetta
l'utilizzabilita' degli esiti probatori di  perquisizioni  effettuate
sulla base di elementi non suscettibili di verifica, per non  esserne
indicata la fonte, quali notizie confidenziali o denunce anonime.  In
questo modo, l'imputato verrebbe, infatti, privato della possibilita'
di valersi degli elementi difensivi derivanti  dalla  conoscenza  del
soggetto che ha fornito le notizie, che potrebbe  essergli  noto,  ad
esempio, come persona mossa da astio nei suoi confronti o  in  grado,
comunque sia, di accedere nella  sua  abitazione  per  lasciarvi  gli
oggetti compromettenti. 
    1.9.- Alla luce della costante giurisprudenza della Corte europea
dei diritti dell'uomo,  il  principio  di  effettivita'  e'  proprio,
peraltro, anche della garanzia prevista dall'art. 8 CEDU,  che  vieta
le indebite interferenze nella vita  privata  e  nel  domicilio,  con
conseguente ulteriore violazione dell'art. 117 Cost. 
    Al riguardo, il  rimettente  richiama,  oltre  alla  sentenza  27
settembre 2018, Brazzi contro Italia, gia' evocata  in  alcune  delle
precedenti ordinanze di rimessione, anche la piu' recente sentenza 16
febbraio  2021,  Budak  contro  Turchia,  che,  nel   caso   di   una
perquisizione eseguita dalla polizia giudiziaria senza la presenza di
due testimoni, prescritta nella specie dal codice di procedura penale
turco, ha ritenuto la procedura illegale e violato l'art. 8 CEDU, non
solo perche' la perquisizione non era stata eseguita  nelle  forme  e
nei casi previsti dalla legge nazionale, ma anche perche'  i  giudici
nazionali avevano ignorato, non  dando  loro  adeguata  risposta,  le
doglianze  dell'imputato,  che  aveva  ricordato   come,   tanto   la
Costituzione, quanto il codice di procedura penale turco,  vietassero
di utilizzare le prove raccolte nel corso di perquisizioni illegali. 
    1.10.-  Prendendo  spunto  da   quest'ultima   pronuncia,   nelle
ordinanze iscritte ai numeri 16 e 18 r. o. del 2022 il rimettente  si
interroga sulle conseguenze della convalida della  perquisizione  con
provvedimento «inadeguato», perche' privo - come nei casi oggetto dei
giudizi  a  quibus  -  di  congrua  motivazione  circa  gli  elementi
legittimanti l'iniziativa della polizia giudiziaria. 
    Rileva il giudice a quo che, sebbene l'art. 13  Cost.  riconnetta
la perdita di  efficacia  degli  atti  di  polizia  giudiziaria  alla
mancata  convalida  da  parte  dell'autorita'  giudiziaria  entro  un
determinato termine, la  reale  causa  dell'inefficacia  risiederebbe
nella circostanza che l'atto e' stato compiuto dalle forze di polizia
fuori dei casi in cui la legge lo consente,  dato  che  e'  per  tale
ragione che la convalida difettera'. La  convalida  non  svolgerebbe,
quindi,  una  funzione   «sanante»   a   discrezione   dell'autorita'
giudiziaria, ma postulerebbe una concreta  verifica  in  ordine  alla
ricorrenza dei presupposti per  l'attivita'  compiuta  dalla  polizia
giudiziaria di propria iniziativa. 
    La  ratio  della  norma  costituzionale  sarebbe  di  conseguenza
frustrata se, ad evitare la perdita di efficacia dell'atto  illegale,
fosse sufficiente un provvedimento di convalida del tutto  immotivato
in ordine alla situazione  legittimante  la  perquisizione.  Di  tale
avviso si sarebbe mostrata anche questa Corte con la sentenza n.  252
del 2020, nell'accogliere la questione di legittimita' costituzionale
- sollevata dallo stesso Tribunale rimettente  -  dell'art.  103  del
d.P.R. n. 309 del 1990, censurato nella parte in  cui  consentiva  al
pubblico  ministero  di  autorizzare  verbalmente  le   perquisizioni
finalizzate alla prevenzione e alla repressione del traffico illecito
di stupefacenti, senza dover documentare successivamente  le  ragioni
fondanti il provvedimento. 
    Per altro verso, poi, sebbene le nullita' dei  provvedimenti  del
giudice per difetto di motivazione siano generalmente rilevabili solo
su eccezione di  parte,  nell'ipotesi  in  esame  una  nullita'  solo
relativa  non  garantirebbe  adeguatamente  i  diritti   fondamentali
incisi. Le nullita' relative debbono essere, infatti, eccepite  entro
tempi e con cadenze tali  da  richiedere  alla  parte  una  «notevole
diligenza» e che si giustificherebbero solo con la natura «minore» di
tali nullita', perche' riguardanti violazioni di scarsa importanza. 
    Ritenere che non possa essere rilevata d'ufficio la nullita', per
difetto  di  motivazione  del  provvedimento  con   cui   l'autorita'
giudiziaria «sani» un atto  compiuto  in  violazione  di  un  diritto
fondamentale  del  cittadino,  introdurrebbe,   d'altro   canto,   un
trattamento illogicamente deteriore rispetto a  quello  previsto  per
l'omessa  citazione  dell'imputato,  che   determina   una   nullita'
assoluta, pur incidendo sull'esercizio di un diritto, quale quello di
difesa, del quale  si  e'  gia'  sottolineata  la  natura  «servente»
rispetto alla tutela dei diritti fondamentali. 
    Le esposte considerazioni inducono quindi  il  giudice  a  quo  a
dubitare, in riferimento agli artt. 2,  13,  14,  111,  sesto  comma,
Cost., della legittimita' costituzionale  dell'art.  352  cod.  proc.
pen., nella parte in cui non prevede  che  il  decreto  di  convalida
della perquisizione debba essere  motivato;  nonche'  dell'art.  125,
comma 3, cod. proc. pen., nella parte  in  cui  non  prevede  che  la
nullita' del decreto di convalida della perquisizione sia assoluta  e
rientri tra quelle considerate dall'art. 179,  comma  2,  cod.  proc.
pen. 
    Con riguardo alle questioni aventi ad  oggetto  l'art.  352  cod.
proc. pen., il rimettente rileva che la necessita' della  motivazione
del decreto di convalida e' stata ritenuta da  questa  Corte  con  la
citata sentenza n. 252 del 2020, ma solo  nella  parte  motiva  della
pronuncia e non nel dispositivo: il che potrebbe «dar luogo in futuro
ad incertezze applicative». 
    1.11.- L'ordinanza iscritta al n. 17  r.  o.  del  2022  si  pone
analoghi interrogativi con riguardo all'ipotesi in  cui  -  come  nel
giudizio  a  quo  -  la  convalida  della  perquisizione  manchi,  in
particolare per il difetto dei relativi presupposti. 
    Il rimettente perviene anche qui alla conclusione  che  ammettere
che la polizia giudiziaria possa procedere a perquisizione fuori  dei
casi previsti dalla legge, sulla base di elementi vaghi e percio' non
verificabili  dall'autorita'  giudiziaria,  con  conseguente  mancata
convalida dell'atto,  senza  pero'  che  ne  sortiscano  effetti  sui
risultati  della  perquisizione,  comporterebbe  l'aggiramento  delle
cautele che la Costituzione ha previsto a garanzia  dell'effettivita'
del controllo sull'operato delle forze di polizia. 
    Su tali premesse, il giudice  a  quo  dubita  della  legittimita'
costituzionale, in riferimento agli artt. 2, 13 e 14 Cost., dell'art.
352 cod. proc. pen., nella parte in cui non prevede che, nel caso  in
cui il pubblico ministero non convalidi la perquisizione nei  termini
di  legge,  tutti  i  risultati  probatori  della  stessa   divengano
inutilizzabili, «anche in termini di "inutilizzabilita' derivata"». 
    2.- E' intervenuto in tutti i giudizi il Presidente del Consiglio
dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura  generale  dello
Stato,  il  quale  ha  chiesto  che  le  questioni  siano  dichiarate
inammissibili. 
    2.1.-  Con  riguardo  alle  questioni  sollevate   dall'ordinanza
iscritta al n. 16 r. o. del 2022, la difesa dell'interveniente rileva
preliminarmente che l'ordinanza di rimessione omette di riportare  il
capo d'imputazione e di  indicare  la  norma  penale  che  si  assume
violata dagli imputati, il che gia' di per se' costituirebbe causa di
inammissibilita'. 
    2.2.- L'Avvocatura dello  Stato  osserva,  poi,  come  il  nucleo
centrale delle questioni aventi ad  oggetto  l'art.  191  cod.  proc.
pen.,  sollevate  da  tutte  le  ordinanze,  riproduca,  nei   tratti
essenziali,  quello  delle  questioni  gia'  sollevate  dal  medesimo
Tribunale  di  Lecce  nell'ambito  degli  stessi   procedimenti   con
ordinanze del 5 luglio 2018, del 1° ottobre 2018 e  del  13  dicembre
2018. Su tali questioni, prospettate anche con ulteriori ordinanze di
contenuto in larga parte analogo, emesse sempre dal medesimo giudice,
questa Corte si e' pronunciata con  la  sentenza  n.  252  del  2020,
dichiarandone  la  manifesta  inammissibilita',   perche'   volte   a
conseguire  una  pronuncia  «fortemente  "manipolativa"»  in  materia
rimessa alla discrezionalita' del legislatore: cio'  sulla  falsariga
di quanto gia' affermato nella precedente sentenza n. 219  del  2019,
resa  a  seguito  di  altre  due  ordinanze  dello  stesso  Tribunale
salentino risalenti al 2017. 
    Contrariamente a quanto  sostenuto  dal  rimettente,  le  odierne
questioni non presenterebbero alcun carattere di novita'  rispetto  a
quelle gia' scrutinate. 
    Non potrebbe, in particolare,  considerarsi  argomento  nuovo  il
riferimento alla disciplina delle  perquisizioni  da  eseguire  negli
uffici dei difensori, di cui all'art. 103 cod.  proc.  pen.  Infatti,
gia' nelle ordinanze di rimessione del 2017 il giudice  a  quo  aveva
dedotto che il diritto vivente formatosi a  proposito  dell'art.  191
cod. proc. pen. avrebbe determinato una ingiustificata disparita'  di
trattamento rispetto all'ipotesi considerata dall'art. 271 cod. proc.
pen., che prevede l'inutilizzabilita' delle intercettazioni  eseguite
dalla  polizia   giudiziaria   in   assenza   di   decreto   motivato
dell'autorita' giudiziaria. Ma, se -  come  si  legge  nelle  odierne
ordinanze di rimessione - l'art. 271 cod. proc. pen. ha «la  medesima
ratio dell'art. 191 c.p.p. e [...] dell'art. 103 c.p.p.», non sarebbe
sostenibile che tale ultima disposizione non fosse  gia'  stata  illo
tempore dedotta quale tertium comparationis. 
    Tale  assorbente  rilievo  renderebbe  superflua  ogni  ulteriore
considerazione riguardo al fatto che, nel caso  previsto  dal  citato
art.  103  cod.  proc.   pen.,   l'eventuale   illegittimita'   della
perquisizione risulterebbe prima facie di maggiore portata lesiva dei
diritti fondamentali, stante la sua incidenza negativa,  tanto  sulla
liberta' personale e domiciliare, quanto sull'altrettanto inviolabile
diritto di difesa: diritto che il rimettente degrada a mero  «diritto
strumentale», ma che rappresenta, in  realta',  secondo  la  costante
giurisprudenza   di   questa   Corte,    un    «principio    supremo»
dell'ordinamento costituzionale italiano. 
    2.3.- Quanto, poi, alle questioni aventi ad  oggetto  l'art.  352
cod. proc. pen., nella parte in cui non prevede  che  il  decreto  di
convalida della perquisizione debba  essere  motivato,  le  stesse  -
secondo l'Avvocatura dello Stato - non sarebbero rilevanti, in quanto
dalle ordinanze di rimessione risulta  che  nei  casi  di  specie  la
convalida della perquisizione e' stata motivata,  sia  pure  in  modo
reputato «incongruo» dal giudice rimettente. 
    La citata sentenza n. 252 del 2020  ha  fornito,  in  ogni  caso,
un'interpretazione   costituzionalmente   orientata    della    norma
censurata, affermando che, pur nel silenzio dell'art. 352,  comma  4,
cod. proc. pen., la  perquisizione  eseguita  di  propria  iniziativa
dalla polizia giudiziaria deve, secondo l'opinione prevalente, essere
convalidata dal pubblico ministero con decreto motivato, proprio  per
un'esigenza di rispetto degli artt. 13 e 14 Cost. 
    2.4.- Con riguardo, infine,  alle  questioni  concernenti  l'art.
125, comma 3, cod. proc. pen., nella parte in cui non prevede che  la
nullita' del decreto di convalida della perquisizione  sia  assoluta,
l'Avvocatura dello Stato rileva che la nullita' e' un vizio soggetto,
come l'inutilizzabilita', ai paradigmi  della  tassativita'  e  della
legalita'. Solo la legge puo' dunque stabilire, con norme di  stretta
interpretazione, stante la loro natura eccezionale,  quali  siano  le
ipotesi di nullita', in funzione di scelte di «politica  processuale»
affidate al legislatore, nei limiti della ragionevolezza. 
    3.- Nel giudizio introdotto dall'ordinanza iscritta al n.  16  r.
o.  del  2022,  l'Unione  delle  camere  penali  italiane  (UCPI)  ha
depositato un'opinione  scritta  quale  amicus  curiae,  ammessa  con
decreto presidenziale dell'8  luglio  2022,  di  segno  adesivo  alle
censure del giudice a quo, ma  con  la  prospettazione  di  un  esito
diverso da quello auspicato da quest'ultimo. 
    Premesso che il richiamo all'art. 103, comma 7, cod.  proc.  pen.
in  chiave  di  tertium  comparationis  conferirebbe  alle  questioni
caratteri di novita',  tali  da  escludere  che  si  tratti  di  mera
riproposizione di quesiti gia' risolti da questa Corte, l'UCPI assume
che sarebbe possibile decidere nel merito le questioni  stesse  senza
effettuare interventi manipolativi sull'art. 191 cod. proc. pen.  che
spettano solo al legislatore,  ma  semplicemente  riconoscendo  -  in
particolare alla luce della giurisprudenza della Corte EDU, rilevante
ai fini del rispetto dell'art. 117, primo comma, Cost. -  l'esistenza
di un comando costituzionale minimo: quello, cioe', di consentire  al
giudice di rimuovere la prova acquisita a seguito della violazione di
un  diritto  costituzionale  o  convenzionale,  quando  cio'  risulti
necessario per una tutela effettiva del diritto leso, fermo restando,
sopra da tale soglia, il potere del legislatore di compiere le scelte
ritenute piu' opportune nel modulare l'inutilizzabilita' indiretta. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Con tre ordinanze di  tenore  per  larga  parte  analogo,  il
Tribunale ordinario di Lecce,  in  composizione  monocratica,  dubita
della legittimita' costituzionale di tre  distinte  disposizioni  del
codice di procedura penale. 
    1.1.- Il giudice a quo censura, in primo luogo, l'art.  191  cod.
proc.  pen.,  nella  parte  in  cui   -   secondo   l'interpretazione
predominante nella  giurisprudenza  di  legittimita',  assunta  quale
diritto  vivente  -  non  prevede  l'inutilizzabilita'  degli   esiti
probatori  delle  perquisizioni  e  delle  ispezioni,  domiciliari  e
personali, compiute dalla polizia giudiziaria fuori dei casi previsti
dalla legge, compresi, fra tali esiti, il  sequestro  del  corpo  del
reato o delle cose pertinenti al reato e la possibilita'  di  deporre
sui predetti atti e sui loro risultati. Nelle ordinanze  iscritte  ai
numeri 17 e 18 del registro ordinanze 2022,  il  rimettente  lamenta,
altresi',  che  l'inutilizzabilita'  non  colpisca  anche  gli  esiti
probatori delle perquisizioni e delle ispezioni operate dalla polizia
giudiziaria, fuori del caso  di  flagranza  di  reato,  in  forza  di
segnalazioni anonime o confidenziali e su  tali  basi  autorizzate  o
convalidate  dal  pubblico  ministero,  ovvero  -  secondo  la   sola
ordinanza iscritta al n. 18 r. o. del 2022 - convalidate dal pubblico
ministero  senza  indicare   gli   elementi   utilizzabili   che   le
legittimavano, o - secondo la sola ordinanza iscritta al n. 17 r.  o.
del 2022 - non  convalidate  dal  pubblico  ministero  per  qualsiasi
ragione. 
    Ad avviso del  giudice  a  quo,  la  norma  censurata  violerebbe
anzitutto gli artt. 13 e 14 Cost., in forza dei quali l'autorita'  di
pubblica sicurezza puo' procedere  a  ispezioni  e  a  perquisizioni,
personali e domiciliari, solo in casi  eccezionali  di  necessita'  e
urgenza indicati tassativamente dalla legge, mediante atti soggetti a
convalida da parte  dell'autorita'  giudiziaria  (da  intendere  come
convalida motivata), in mancanza della quale essi «restano  privi  di
ogni   efficacia»:   perdita   di   efficacia    che    implicherebbe
necessariamente l'inutilizzabilita'  dei  loro  risultati  sul  piano
probatorio, anche  perche'  solo  in  questo  modo  si  tutelerebbero
efficacemente  i  diritti  fondamentali  alla  liberta'  personale  e
domiciliare,  disincentivando  la  loro  violazione  ad  opera  della
polizia giudiziaria per finalita' di ricerca della prova. 
    Risulterebbe, altresi', violato l'art. 3 Cost., sotto un triplice
profilo. 
    In primo luogo, per l'ingiustificata  disparita'  di  trattamento
delle ipotesi in questione, rispetto  alla  fattispecie  disciplinata
dall'art.   103,   comma   7,   cod.   proc.   pen.,   che    prevede
l'inutilizzabilita'  dei  «risultati»   delle   ispezioni   e   delle
perquisizioni eseguite negli uffici dei difensori in violazione delle
disposizioni dei commi precedenti dello stesso articolo: disposizioni
poste a tutela dell'effettivita' del diritto di difesa,  che  ha  una
funzione  solo  strumentale  e   «servente»   rispetto   ai   diritti
fondamentali alla liberta' personale e domiciliare, direttamente lesi
dalle ispezioni e dalle perquisizioni illegittime. 
    In secondo luogo, per l'ingiustificata disparita' di  trattamento
rispetto all'ipotesi regolata dall'art.  271  cod.  proc.  pen.,  che
prevede  l'inutilizzabilita'  dei  risultati  delle   intercettazioni
illegittime,  benche'  queste   ultime   incidano   su   un   diritto
costituzionale - la segretezza della corrispondenza e di  ogni  altra
forma di comunicazione - di  minor  rilievo  rispetto  alla  liberta'
personale e domiciliare. 
    In terzo luogo e da ultimo, per contrasto  con  il  principio  di
ragionevolezza, venendosi  a  teorizzare  un  sistema  che  considera
«inefficaci   ab   origine    le    leggi    incostituzionali»,    ma
«efficacissimi», anche sotto  il  profilo  probatorio,  gli  atti  di
polizia giudiziaria compiuti in violazione dei diritti costituzionali
del cittadino. 
    Sarebbe  vulnerato  anche  l'art.   2   Cost.,   non   risultando
predisposte effettive garanzie contro le illecite compromissioni  dei
diritti inviolabili dell'uomo, potendo le forze  di  polizia  contare
sulla potenziale «fruttuosita'  processuale»  di  qualsiasi  atto  di
perquisizione vadano a compiere, legale o  illegale  che  sia;  cosi'
come apparirebbero violati gli artt. 3 e 97, terzo  (recte:  secondo)
comma, Cost., venendo resa prevalente l'azione illegale degli  organi
statali, finalizzata alla repressione dei reati, rispetto ai  diritti
inviolabili dei consociati. 
    Il rimettente deduce, ancora, la  violazione  del  diritto  a  un
giusto processo, garantito dagli artt. 111 e 117 Cost., in  relazione
all'art. 6 CEDU, il quale esige che l'imputato  possa  verificare  la
genuinita'  degli  elementi  di  prova   addotti   contro   di   lui:
possibilita' inficiata dal diritto vivente  formatosi  sull'art.  191
cod. proc. pen., particolarmente quando la polizia giudiziaria  abbia
posto, a base della  perquisizione  o  dell'ispezione,  elementi  non
verificabili, quali le notizie apprese tramite fonti confidenziali  o
denunce anonime. 
    Di qui anche la compromissione del diritto  di  difesa  (art.  24
Cost.). 
    Viene prospettata, infine, la violazione dell'art. 117 Cost.,  in
relazione all'art. 8 CEDU, giacche'  verrebbero  a  mancare  efficaci
disincentivi  agli  abusi  delle  forze  di  polizia  che  implichino
indebite interferenze nella vita privata  della  persona  o  nel  suo
domicilio. 
    1.2.- Le ordinanze iscritte ai numeri 16 e  18  r.  o.  del  2022
censurano, in secondo luogo, l'art. 352 cod. proc. pen., nella  parte
in cui non prevede che il decreto di  convalida  della  perquisizione
eseguita  d'iniziativa  dalla  polizia   giudiziaria   debba   essere
motivato, deducendo la violazione degli artt. 2, 13, 14 e 111,  sesto
comma,  Cost.  Essa   deriverebbe   dal   fatto   che   nel   disegno
costituzionale   la   convalida   esige   un   controllo    effettivo
dell'autorita'  giudiziaria   sulla   sussistenza   dei   presupposti
legittimanti  la  perquisizione,  onde  la   ratio   della   garanzia
costituzionale rimarrebbe frustrata  se  ad  evitare  la  perdita  di
efficacia dell'atto  illegale  bastasse  un  provvedimento  privo  di
motivazione. 
    1.3.-  Le   medesime   ordinanze   dubitano   ulteriormente,   in
riferimento agli stessi parametri, della legittimita'  costituzionale
dell'art. 125, comma 3, cod. proc.  pen.,  nella  parte  in  cui  non
prevede che la nullita' (per difetto di motivazione) del  decreto  di
convalida della perquisizione  sia  assoluta  e  rientri  tra  quelle
considerate dall'art. 179, comma 2, cod. proc. pen. 
    Secondo il rimettente, una  nullita'  solo  relativa,  rilevabile
esclusivamente su  eccezione  di  parte  nel  rispetto  di  «tempi  e
cadenze» tali da richiedere all'interessato una «notevole diligenza»,
non garantirebbe adeguatamente i diritti fondamentali incisi. 
    1.4.- L'ordinanza iscritta al n. 17 del r. o. 2022 censura invece
l'art. 352 cod. proc. pen. nella parte in cui non  prevede  che,  nel
caso in cui il pubblico ministero non convalidi la perquisizione  nei
termini di legge, tutti i risultati probatori della stessa  divengano
inutilizzabili, «anche in termini di "inutilizzabilita' derivata"». 
    A parere del giudice a quo, la norma  censurata  si  porrebbe  in
contrasto con gli artt. 2, 13 e 14 Cost., giacche' ammettere  che  la
polizia giudiziaria possa procedere a perquisizione  fuori  dei  casi
previsti dalla legge, sulla base di  elementi  vaghi  e  percio'  non
verificabili  dall'autorita'  giudiziaria,  con  conseguente  mancata
convalida dell'atto,  senza  pero'  che  ne  sortiscano  effetti  sui
risultati  della  perquisizione,  comporterebbe  l'aggiramento  delle
cautele che la Costituzione ha previsto a garanzia  dell'effettivita'
del controllo sull'operato delle forze di polizia. 
    2.- Le ordinanze sollevano questioni in  larga  misura  analoghe,
sicche' i relativi giudizi vanno  riuniti  per  essere  definiti  con
unica decisione. 
    3.- In via preliminare, occorre  rilevare  che  il  Tribunale  di
Lecce  aveva  gia'  sollevato  similari  questioni  di   legittimita'
costituzionale dell'art. 191 cod.  proc.  pen.  con  nove  precedenti
ordinanze di rimessione. 
    Le questioni sono state dichiarate da questa Corte  inammissibili
(sentenza n.  219  del  2019)  e  indi  manifestamente  inammissibili
(sentenza n. 252 del 2020). Una ulteriore declaratoria  di  manifesta
inammissibilita' e'  sopravvenuta  alla  proposizione  degli  odierni
incidenti (ordinanza n. 116 del 2022). 
    Nelle decisioni ora richiamate, questa Corte ha rilevato  che  le
questioni     miravano     a     trasferire     nella      disciplina
dell'inutilizzabilita'  delle  prove   un   regime   di   invalidita'
"derivata" che il sistema prevede, in via generale, solo in  rapporto
alla figura, ben distinta, della nullita' (art. 185,  comma  1,  cod.
proc.  pen.):  richiedendo,  con  cio',  una  pronuncia   «fortemente
"manipolativa"» in una  materia  rimessa  alla  discrezionalita'  del
legislatore (quale  quella  processuale)  e  con  caratteristiche  di
eccezionalita' (quale quella dei divieti probatori e  delle  clausole
di inutilizzabilita' processuale). 
    In tre dei giudizi nei quali erano state emesse le  ordinanze  di
rimessione su cui si e' pronunciata la sentenza n. 252 del  2020,  il
giudice a quo e' tornato a censurare, in parte qua, con le  ordinanze
oggi in esame, il citato art. 191 cod. proc. pen., assieme  ad  altre
disposizioni. Si tratta, dunque, in tutti e tre i casi, di  questioni
riproposte nello stesso grado di  giudizio,  dopo  una  pronuncia  di
questa Corte: il che genera un problema preliminare di ammissibilita'
delle questioni stesse alla luce del disposto dell'art.  137,  ultimo
comma, Cost. 
    3.1.- Il giudice a quo adduce, come elemento nuovo,  il  richiamo
alla  disciplina  delle  «[g]aranzie  di  liberta'   del   difensore»
racchiusa nell'art. 103  cod.  proc.  pen.,  ove  in  particolare  si
prevede l'inutilizzabilita' dei risultati  delle  ispezioni  e  delle
perquisizioni eseguite negli uffici dei difensori in violazione delle
speciali cautele stabilite dalla disposizione richiamata (comma 7). 
    L'argomento  viene  speso   dal   rimettente   in   una   duplice
prospettiva. 
    Da un lato, per dimostrare che la  figura  dell'inutilizzabilita'
"derivata" e'  gia'  prevista  dall'ordinamento  e  che,  pertanto  -
contrariamente a quanto ritenuto da  questa  Corte  -,  ben  potrebbe
essere estesa, tramite declaratoria di illegittimita' costituzionale,
alla  generalita'  delle  ispezioni  e   perquisizioni   di   polizia
giudiziaria illegittime. 
    Da un altro lato, l'art. 103 cod. proc. pen. e'  richiamato  come
argomento a sostegno di una  censura  aggiuntiva  rispetto  a  quelle
precedentemente formulate - censure che il rimettente ripropone,  per
il resto, pressoche' integralmente  -:  vale  a  dire  la  violazione
dell'art.  3  Cost.,  per  irragionevole  disparita'  di  trattamento
rispetto alla fattispecie disciplinata dalla citata disposizione  del
codice di rito. 
    Il giudice a quo evoca,  inoltre,  un  parametro  non  richiamato
dalle precedenti ordinanze emesse negli stessi giudizi (il diritto al
giusto processo, sancito dagli artt. 111 e 117  Cost.,  in  relazione
all'art. 6 CEDU). 
    Coinvolge,  infine,  nello  scrutinio  altre  due   disposizioni,
facendole oggetto di distinte censure (gli artt. 125, comma 3, e  352
cod. proc. pen.). 
    3.2.- Cio' posto, la giurisprudenza di questa Corte ha  affermato
in modo costante due principi. 
    Il giudice a quo non  puo'  riproporre,  nel  medesimo  grado  di
giudizio, una questione gia' dichiarata non fondata,  in  quanto  una
simile  iniziativa  si  porrebbe  in  contrasto   con   il   disposto
dell'ultimo  comma  dell'art.  137  Cost.,  secondo  cui  contro   le
decisioni  della  Corte  costituzionale   non   e'   ammessa   alcuna
impugnazione. Il rimettente puo'  rivolgersi  novamente  alla  Corte,
dopo la  declaratoria  di  non  fondatezza,  solo  ove  proponga  una
questione diversa dalla precedente in rapporto agli elementi  che  la
identificano: ossia «norme censurate, profili di  incostituzionalita'
dedotti  e  argomentazioni   svolte   a   sostegno   della   ritenuta
incostituzionalita'» (sentenza  n.  66  del  2019,  che  richiama  le
sentenze n. 113 del 2011 e n. 225 del  1994;  ordinanza  n.  183  del
2014). 
    Di contro, il giudice a quo e' abilitato a sollevare una  seconda
volta la medesima questione nello stesso giudizio quando questa Corte
abbia emesso una pronuncia a  carattere  non  decisorio,  fondata  su
motivi  rimovibili  dal  rimettente,  dato  che,  in  tal  caso,   la
riproposizione non collide con la ricordata previsione dell'art. 137,
ultimo comma, Cost. Cio', alla ovvia condizione che il giudice a  quo
abbia rimosso il vizio che aveva impedito  l'esame  di  merito  della
questione (ex plurimis, sentenze n. 115 del 2019, n. 252 del  2012  e
n. 189 del 2001; ordinanze n. 371 del 2004 e n. 399 del 2002). 
    3.3.- Questo secondo principio non puo' trovare applicazione  nel
caso oggi in esame, per l'assorbente ragione che la  pronuncia  sulle
precedenti questioni sollevate dal Tribunale salentino  negli  stessi
giudizi,    ancorche'    di    inammissibilita',     ha     carattere
incontestabilmente  decisorio.   Essa   si   basa,   infatti,   sulla
riscontrata impraticabilita' dell'intervento "manipolativo" richiesto
dal giudice a quo, in quanto introdurre figure  di  inutilizzabilita'
"derivata"  e   stabilirne   i   casi   e'   compito   rimesso   alla
discrezionalita' del legislatore. 
    Ne deriva che, analogamente a quanto  avviene  a  fronte  di  una
dichiarazione di non fondatezza, le odierne questioni possono  essere
considerate proponibili solo nella misura in cui  si  connotino  come
nuove  nelle   loro   componenti   (norma   censurata,   profili   di
incostituzionalita' dedotti, argomentazioni a sostegno della ritenuta
illegittimita' costituzionale). 
    A tale condizione rispondono senz'altro le  questioni  aventi  ad
oggetto gli artt. 125, comma 3, e  352  cod.  proc.  pen.:  le  norme
censurate sono  diverse  e  ad  esse  sono  mosse  distinte  censure.
Nell'ambito delle questioni relative all'art. 191 cod. proc. pen., il
requisito e' soddisfatto dalla questione sollevata in riferimento  al
parametro  del  giusto  processo  (non   evocato   dalle   precedenti
ordinanze), nonche' da quella proposta in riferimento al principio di
eguaglianza, sotto  il  profilo  della  irragionevole  disparita'  di
trattamento rispetto  all'ipotesi  disciplinata  dall'art.  103  cod.
proc. pen. (il parametro era gia'  stato  invocato,  ma  sotto  altri
profili). A questo riguardo, non  puo'  essere  recepita  l'eccezione
dell'Avvocatura generale dello Stato, che nega carattere  di  novita'
al riferimento alla citata  disposizione  del  codice  di  rito,  sul
rilievo che essa risponde alla medesima logica di altra  disposizione
gia' richiamata dal rimettente nelle precedenti occasioni (l'art. 271
cod. proc. pen.). Tale valutazione si colloca, infatti, in  una  fase
successiva a quella di verifica della proponibilita' della questione. 
    Tutte le altre questioni concernenti l'art. 191 cod.  proc.  pen.
risultano,  per  converso,  identiche  alle  precedenti  sotto   ogni
aspetto: la  norma  censurata  e'  la  stessa;  i  parametri  sono  i
medesimi; le argomentazioni a sostegno della ritenuta  illegittimita'
costituzionale ripetono - per  larghi  tratti  anche  testualmente  -
quelle svolte nelle precedenti ordinanze emesse negli stessi giudizi.
Per quanto  attiene,  in  particolare,  alla  censura  di  violazione
dell'art. 117 Cost. in relazione all'art. 8 CEDU, non basta a rendere
nuova la questione il richiamo a talune pronunce della Corte  europea
dei diritti dell'uomo non citate da dette ordinanze  (in  specie,  la
sentenza 27 settembre 2018, Brazzi contro Italia, e  la  sentenza  16
febbraio  2021,  Budak  contro  Turchia),  le  quali,  per  la  parte
pertinente a tale parametro, non enunciano principi innovativi  della
giurisprudenza della Corte di Strasburgo,  cui  il  rimettente  aveva
gia' fatto riferimento in precedenza. 
    A connotare come nuovo il complesso di questioni  in  parola  non
puo' valere neppure il mero richiamo alla disciplina delle  ispezioni
e delle perquisizioni  negli  uffici  dei  difensori.  Rispetto  alle
questioni dianzi indicate, infatti, tale riferimento rappresenta, non
gia'  un'argomentazione  a  sostegno  della  ritenuta  illegittimita'
costituzionale, ma una critica al ragionamento svolto da questa Corte
per dichiarare inammissibili le questioni precedenti: in pratica,  si
"rimprovera" alla Corte di non aver tenuto  conto,  nel  pervenire  a
tale conclusione,  della  presenza  nel  sistema  di  una  previsione
espressa di inutilizzabilita' "derivata",  quale  quella  contemplata
dal citato art. 103 cod. proc. pen. 
    Le questioni in discorso debbono  considerarsi,  di  conseguenza,
inammissibili "ante portas", in  quanto  la  loro  riproposizione  si
traduce in una non consentita impugnazione della sentenza n. 252  del
2020. 
    4.- Quanto alle questioni non precluse, l'Avvocatura dello  Stato
ha eccepito l'inammissibilita'  di  quelle  sollevate  dall'ordinanza
iscritta al n. 16 r. o. del 2022 per insufficiente descrizione  della
fattispecie concreta, avendo il rimettente  omesso  di  riportare  il
capo di imputazione e di indicare  la  norma  penale  che  si  assume
violata dagli imputati. 
    L'eccezione non e' fondata. 
    Di la' dalle omissioni denunciate dall'Avvocatura, dall'ordinanza
di rimessione emerge in modo inequivoco che, nel caso di  specie,  si
procede per furto in abitazione e che la prova cardine a carico degli
imputati e' costituita dalla refurtiva rinvenuta  nell'abitazione  di
questi ultimi a seguito di una perquisizione  operata  dalla  polizia
giudiziaria, che il rimettente  assume  illegittima.  Tanto  basta  a
consentire la verifica della rilevanza delle questioni  da  parte  di
questa Corte. 
    5.- Le questioni  relative  all'art.  191  cod.  proc.  pen.  non
precluse  sono,  peraltro,  inammissibili  per  la  medesima  ragione
sostanziale gia' posta in evidenza  da  questa  Corte  nelle  proprie
precedenti pronunce. 
    5.1.-  Quanto  all'asserita  violazione  dell'art.  3  Cost.  per
irragionevole disparita' di  trattamento  rispetto  alla  fattispecie
regolata dall'art. 103 cod. proc. pen., vale osservare che il giudice
a  quo  aveva  gia'  in  precedenza  richiamato  un'altra  previsione
espressa  di  inutilizzabilita'  "derivata"  -   quella   contemplata
dall'art. 271 cod. proc.  pen.,  in  tema  di  inutilizzabilita'  dei
risultati delle intercettazioni eseguite fuori  dei  casi  consentiti
dalla legge o senza l'osservanza delle  disposizioni  previste  dagli
artt. 267 e 268, commi 1  e  3,  cod.  proc.  pen.  -  formulando  in
relazione ad  essa  analoga  censura  di  lesione  del  principio  di
eguaglianza (censura replicata, peraltro, anche oggi). 
    Nella sentenza n. 219 del 2019, questa  Corte  aveva,  a  propria
volta, preso in esame una ulteriore  ipotesi:  quella  delineata  dal
comma 2-bis dello stesso art. 191 cod. proc.  pen.,  secondo  cui  le
dichiarazioni e le  informazioni  ottenute  mediante  il  delitto  di
tortura «non sono comunque utilizzabili» (salvo che contro le persone
accusate  di  tale  delitto  e  al   solo   fine   di   provarne   la
responsabilita' penale). 
    Cio'  non  ha  impedito,  tuttavia,  di  concludere   nel   senso
dell'inammissibilita' delle  questioni.  Questa  Corte  ha,  infatti,
rilevato come, «proprio in ragione  delle  peculiarita'  "funzionali"
che caratterizzano il sistema delle inutilizzabilita' e dei  connessi
divieti probatori, in ragione dei valori  che  mirano  a  preservare,
esista una gamma "differenziata" di regole di esclusione, alle  quali
corrisponde un altrettanto differenziato livello di lesione dei  beni
che quelle regole intendono tutelare: il tutto,  come  e'  ovvio,  in
funzione  di  scelte  di  "politica  processuale"  che  soltanto   il
legislatore  e'  abilitato,  nei  limiti  della  ragionevolezza,   ad
esercitare» (sentenza n. 219 del 2019). 
    L'osservazione e' riferibile anche alla fattispecie  disciplinata
dall'art. 103 cod. proc. pen., rispetto alla quale, peraltro,  e'  di
immediata evidenza la ragione che ha indotto il legislatore a dettare
regole  piu'  severe  quanto  all'inutilizzabilita'   dei   risultati
probatori ottenuti  contra  legem,  connettendosi  al  fatto  che  le
ispezioni e le perquisizioni eseguite presso gli uffici dei difensori
incidono non soltanto sull'inviolabilita'  del  domicilio,  ma  anche
sull'inviolabilita' del diritto di difesa: diritto che  -  come  nota
anche l'Avvocatura dello Stato - di la' dalla natura  "servente"  che
il  rimettente  gli  attribuisce,  si  erge  a  «principio   supremo»
dell'ordinamento costituzionale (sentenze n. 18 del 2022, n. 238  del
2014 e n. 232 del 1989). 
    5.2.- Riguardo, poi, all'asserita lesione del diritto  al  giusto
processo (artt. 111 e 117 Cost., in relazione all'art.  6  CEDU),  il
parametro e' nuovo, bensi', rispetto a quelli evocati dal  rimettente
nelle precedenti ordinanze emesse nell'ambito  degli  stessi  giudizi
principali. Ma il giudice a quo lo aveva gia' richiamato -  sia  pure
in relazione al  solo  referente  costituzionale  interno  (art.  111
Cost.) - in  un'altra  ordinanza  successiva  a  queste  (l'ordinanza
iscritta al n. 37 r. o. del 2021): e cio' non e' valso ad evitare che
fosse  ribadita  la  declaratoria  di   inammissibilita'   (ordinanza
iscritta al n. 116 r. o. del 2022). 
    Appare, in specie, riproponibile, anche  nell'odierno  frangente,
il rilievo  formulato  nell'occasione,  secondo  cui  la  censura  in
questione si presenta come  meramente  rafforzativa  della  denuncia,
gia' operata nelle altre precedenti ordinanze, della violazione degli
artt. 3 e 24 Cost.  connessa  alla  «ridotta  verificabilita'»  degli
elementi sulla cui base la  polizia  giudiziaria  ha  proceduto  alla
perquisizione, che si assume derivare dal diritto vivente censurato. 
    Va aggiunto che, a questo proposito, non puo' essere esaminata la
tesi che si ricava dall'opinione  scritta  depositata,  in  veste  di
amicus curiae, dall'UCPI, secondo la quale, alla  luce  dei  principi
affermati dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo, l'art.  191
cod.  proc.  pen.   dovrebbe   essere   ritenuto   costituzionalmente
illegittimo  nella  parte  in  cui  non  consente   al   giudice   di
estromettere  dal  processo  le  prove  acquisite  a  seguito   della
violazione di un diritto costituzionale o convenzionale, quando  cio'
risulti necessario per una tutela  effettiva  del  diritto  leso.  In
questo modo, l'UCPI prospetta una questione  sostanzialmente  diversa
da quella sollevata dal giudice a quo (che segna i confini del  thema
decidendum),   intesa   a   introdurre   un    inedito    vizio    di
"inutilizzabilita' derivata discrezionale": cio',  a  prescindere  da
ogni rilievo circa l'effettiva possibilita' di ritenere imposto dalla
giurisprudenza della Corte EDU un simile intervento e la  genericita'
del  criterio  sulla  cui   base   il   giudice   dovrebbe   decidere
sull'utilizzabilita' della prova. 
    6.-  Inammissibili,  per  la  medesima  ragione,  sono  anche  le
questioni, sollevate dalla sola ordinanza iscritta al n. 17 r. o. del
2022, dell'art. 352 cod. proc. pen., nella parte in cui  non  prevede
che, ove il pubblico ministero non  convalidi  la  perquisizione  nei
termini di legge, tutti i risultati probatori della stessa  divengano
inutilizzabili. 
    Posto che - come lo stesso rimettente  sottolinea  -  la  mancata
convalida dipende, di norma, dal fatto che la perquisizione e'  stata
eseguita fuori dei casi previsti dalla legge, il giudice a quo  viene
a chiedere di nuovo, per altra via, quello che questa Corte  ha  gia'
riscontrato di  non  poter  fare:  ossia  introdurre  una  figura  di
inutilizzabilita' "derivata". 
    7.-  Per  quel  che  concerne  le  questioni  -  sollevate  dalle
ordinanze iscritte ai numeri 16 e 18 r. o. del 2022  -  del  medesimo
art. 352 cod. proc. pen., nella parte  in  cui  non  prevede  che  il
decreto del pubblico ministero che convalida la  perquisizione  debba
essere motivato, l'Avvocatura dello  Stato  ne  ha  eccepito  in  via
preliminare l'inammissibilita' per difetto  di  rilevanza,  giacche',
nei casi di specie, per quanto risulta dalle ordinanze di rimessione,
la convalida era stata  motivata,  sia  pure  in  modo  reputato  dal
rimettente incongruo, in  quanto  idoneo  a  giustificare,  al  piu',
soltanto il sequestro (ordinanza iscritta al n. 16 r. o.  del  2022),
ovvero apoditticamente affermativo della sussistenza dei  presupposti
della perquisizione (ordinanza iscritta al n. 18 r. o. del 2022). 
    L'eccezione non e' fondata, tenuto conto  del  controllo  esterno
che questa Corte e' chiamata ad effettuare sulla plausibilita'  della
motivazione addotta dal giudice a quo in ordine  al  requisito  della
rilevanza  (ex  multis:  sentenze  n.  197  e  n.  150   del   2022);
plausibilita' che  risulta  tanto  piu'  confortata  dal  consolidato
indirizzo della giurisprudenza di legittimita' che considera mancante
anche  la  motivazione  solo  "apparente",  in   quanto   basata   su
affermazioni di genere o meramente apodittiche,  prive  di  efficacia
dimostrativa (tra le molte,  Corte  di  cassazione,  sezione  seconda
penale, 13-22 novembre  2018,  n.  52617;  sezione  terza  penale,  7
luglio-2 settembre 2016, n. 36388). 
    Nel merito, le questioni non sono fondate, nei sensi  di  seguito
indicati. 
    Nella sentenza n. 252 del 2020, questa  Corte  -  nell'accogliere
una distinta questione di legittimita' costituzionale  sollevata  dal
medesimo giudice rimettente, avente ad oggetto l'art. 103 del  d.P.R.
n.  309  del  1990  -  ha  gia'  rilevato  che,  secondo   l'opinione
prevalente, malgrado il silenzio dell'art. 352, comma 4,  cod.  proc.
pen.  sul  punto,  la  convalida  della  perquisizione  deve   essere
motivata, sia per un'esigenza di rispetto degli artt. 13 e 14  Cost.,
sia per ragioni di coerenza sistematica. 
    In virtu' del combinato disposto degli artt. 13, secondo comma, e
14, secondo  comma,  Cost.,  infatti,  le  perquisizioni  domiciliari
possono essere  disposte  solo  «per  atto  motivato»  dell'autorita'
giudiziaria: laddove la  motivazione  dell'atto  e'  funzionale  alla
tutela della persona che subisce  la  perquisizione,  la  quale  deve
essere posta in grado di conoscere le ragioni  -  cosi'  da  poterle,
all'occorrenza, anche contestare - per le quali e' stata disposta una
limitazione del suo diritto alla liberta' domiciliare. 
    Benche' il  riferimento  all'«atto  motivato»  compaia  solo  nel
secondo comma dell'art. 13 Cost.,  a  proposito  delle  perquisizioni
disposte ab origine dall'autorita' giudiziaria, e non nel  successivo
terzo  comma,  a  proposito  della   convalida   dei   «provvedimenti
provvisori» adottati dall'autorita' di pubblica  sicurezza  nei  casi
eccezionali di necessita' e urgenza,  tassativamente  indicati  dalla
legge, l'esigenza  della  motivazione  anche  della  convalida  «deve
ritenersi implicita nel dettato costituzionale, rimanendo  altrimenti
frustrata la ratio della garanzia apprestata dall'art. 13  Cost.  Non
avrebbe senso, in  effetti,  che  la  norma  costituzionale  richieda
l'"atto motivato" quando l'autorita' giudiziaria, titolare  ordinaria
del potere, operi di sua iniziativa, e non pure nell'ipotesi  -  piu'
delicata - in cui sia chiamata a verificare se la polizia giudiziaria
abbia agito nell'ambito dei casi eccezionali di necessita' e  urgenza
nei quali la legge le consente di intervenire» (sentenza n.  252  del
2020). 
    Una esegesi letterale dell'art. 352, comma 4, cod. proc. pen., il
quale non richiede  esplicitamente  la  motivazione  del  decreto  di
convalida,  determinerebbe,  d'altro  canto,  «una   ingiustificabile
differenza  di  disciplina  rispetto  alla  analoga   ipotesi   della
convalida del sequestro,  per  la  quale  invece  la  motivazione  e'
richiesta (art. 355, comma 2, cod. proc. pen.)» (sentenza n. 252  del
2020). 
    La norma censurata si presta,  pertanto,  a  una  interpretazione
diversa da quella posta a base dei dubbi di legittimita'  prospettati
e conforme a Costituzione. 
    Per completezza, va aggiunto che la motivazione  del  decreto  di
convalida della perquisizione risulta ora espressamente  imposta  dal
nuovo testo dell'art. 352, comma 4, secondo periodo, cod. proc. pen.,
come sostituito dall'art. 17, comma 1, lettera  d),  numero  1),  del
decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150 (Attuazione  della  legge
27 settembre 2021, n. 134, recante delega al Governo per l'efficienza
del processo penale, nonche' in materia  di  giustizia  riparativa  e
disposizioni per la celere definizione dei procedimenti  giudiziari),
non ancora entrato in vigore  a  seguito  del  differimento  disposto
dall'art. 6 del decreto-legge 31 ottobre 2022, n. 162 (Misure urgenti
in materia di divieto di concessione dei  benefici  penitenziari  nei
confronti dei  detenuti  o  internati  che  non  collaborano  con  la
giustizia, nonche' in  materia  di  entrata  in  vigore  del  decreto
legislativo 10 ottobre 2022, n. 150, di obblighi di vaccinazione anti
SARS-COV-2 e di prevenzione e contrasto dei raduni illegali). 
    8.- Non fondate sono, infine,  anche  le  questioni  -  sollevate
dalle medesime ordinanze iscritte ai numeri 16 e 18 r. o. del 2022  -
dell'art. 125, comma 3, cod. proc.  pen.,  nella  parte  in  cui  non
prevede che la nullita' del decreto di convalida della  perquisizione
(si sottintende, per difetto di motivazione) sia di natura assoluta. 
    Il  rimettente  muove  dal  corretto  rilievo  che,  secondo   la
giurisprudenza di legittimita' largamente prevalente, la nullita' per
difetto di motivazione dei provvedimenti  del  giudice  (comprese  le
sentenze), prevista dalla norma denunciata, ha carattere relativo (ex
plurimis, Corte di cassazione, sezione  sesta  penale,  12  settembre
2018-4 febbraio 2019, n. 5457;  sezione  quinta  penale,  8  febbraio
2005-25 marzo 2005, n. 11961). 
    A parere del giudice a quo, tuttavia,  quando  si  discuta  della
convalida della perquisizione, una  nullita'  di  tipo  relativo  non
tutelerebbe adeguatamente i  diritti  fondamentali  incisi:  cio'  in
quanto il vizio non potrebbe essere rilevato ex officio, ma  solo  su
eccezione di parte, da  proporre  entro  termini  rigorosi,  tali  da
richiedere al soggetto leso una «notevole diligenza». 
    Va, peraltro, osservato che, nella specie, si verte  in  tema  di
disciplina  degli  istituti  processuali,  materia  nella  quale   il
legislatore gode di ampia  discrezionalita',  nei  limiti  della  non
manifesta irragionevolezza o arbitrarieta' delle  soluzioni  adottate
(ex plurimis, sentenze n. 230 e n. 74 del 2022, n. 213 del  2021,  n.
252, n. 95 e n. 79 del 2020; ordinanza n. 116 del 2022): il che  vale
anche quanto alla scelta del tipo di nullita' con cui sanzionare  una
determinata violazione processuale. 
    Cio' posto, che la previsione di una nullita' relativa non tuteli
adeguatamente  i  diritti  incisi  dalla  perquisizione   illegittima
sarebbe sostenibile solo qualora si dimostrasse che i termini per  la
proposizione delle eccezioni di nullita', previsti  in  via  generale
dall'art. 181 cod. proc. pen., rendono impossibile  o  eccessivamente
difficoltoso l'esercizio del  diritto  di  difesa:  conclusione  alla
quale neppure il rimettente perviene,  limitandosi  a  parlare  della
necessita' di una «notevole diligenza» da parte dell'interessato.  La
realta' e' che, intervenendo di regola la  perquisizione  nella  fase
delle indagini preliminari, la parte interessata e' posta in grado di
eccepire l'eventuale nullita' della convalida,  potendolo  fare  fino
alla chiusura della discussione nell'udienza preliminare o, se questa
manchi, nella fase degli atti introduttivi del dibattimento, entro il
termine previsto dall'art. 491, comma 1, cod. proc. pen.  (art.  181,
comma 2, cod. proc. pen.). 
    Si  aggiunga  che,  accogliendo  le  questioni,  si   perverrebbe
all'incongruo risultato di attribuire all'obbligo di motivazione  del
decreto di convalida della  perquisizione  uno  "statuto  rafforzato"
persino rispetto all'obbligo di motivazione delle sentenze. 
    Privo di  pregio  appare,  altresi',  l'assunto  del  rimettente,
secondo cui escludere  la  nullita'  assoluta  nel  caso  considerato
significherebbe riservare a quest'ultimo un trattamento illogicamente
deteriore  rispetto  a  quello  previsto   per   l'omessa   citazione
dell'imputato (inclusa tra le ipotesi di nullita' assoluta  dall'art.
179,  comma  1,  cod.  proc.  pen.).  E'  evidente,   infatti,   che,
diversamente dalla previsione di termini per  la  proposizione  delle
eccezioni  di  nullita',  l'omessa  citazione   priva   alla   radice
l'imputato della possibilita' di difendersi davanti al giudice. 
    9.- In conclusione, tutte le questioni relative all'art. 191 cod.
proc. pen., nonche' quelle aventi ad oggetto l'art.  352  cod.  proc.
pen. sollevate dall'ordinanza iscritta  al  n.  17  r.  o.  del  2022
debbono essere dichiarate  inammissibili  per  le  varie  ragioni  in
precedenza indicate; mentre debbono essere  dichiarate  non  fondate,
nei sensi di cui in motivazione, le questioni relative  all'art.  352
cod. proc. pen. sollevate dalle ordinanze iscritte ai numeri 16 e  18
r. o. del 2022, e non fondate quelle concernenti l'art. 125, comma 3,
cod. proc. pen. sollevate dalle medesime ordinanze.