CORTE DI APPELLO DI ROMA Quarta Sezione Lavoro La Corte composta dai signori magistrati: dott. Alessandro Nunziata - Presidente; dott.ssa Alessandra Trementozzi - consigliere, relatore; dott. Michele Forziati - consigliere; Il giorno 20 settembre 2022, nella causa civile in grado di appello iscritta al n. 3514 del Ruolo generale degli affari contenziosi dell'anno 2017 e vertente tra R. G., con l'avv. Giuseppe Romeo, come da procura in atti - appellante e Ministero della salute, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato - appellato, ha pronunziato la presente ordinanza. Premesso che: con ricorso depositato in data 11 ottobre 2017 R. G. ha proposto appello avverso la sentenza del Tribunale di Tivoli in funzione di giudice del lavoro n. 336/2017 dell'11 aprile 2017 con cui e' stata respinta la domanda, presentata da e nella qualita' di genitori di R. G. (all'epoca minorenne), volta ad ottenere l'indennizzo previsto dall'art. 1 della legge n. 210/1992 e l'assegno una tantum di cui all'art. 3, comma 1, della medesima legge. In particolare il Tribunale ha respinto la domanda per insussistenza del nesso causale fra la terza dose della vaccinazione con Gardasil per la prevenzione delle lesioni causate dal papilloma virus di tipo 6, 11, 16 e 18, effettuata in data (richiamo successivo a quelle eseguite il e ) e l'insorgenza del diabete mellito insulinodipendente diagnosticato nell' . L'appellante ha specificatamente censurato le risultanze della CTU espletata in primo grado, condivise dal giudice di prime cure e ha chiesto, in riforma della gravata sentenza, l'accoglimento delle conclusioni formulate con l'originario ricorso introduttivo e la condanna del Ministero della salute all'erogazione dell'indennizzo e dell'assegno una tantum previsti dall'art. 1 e dall'art. 3, comma 1, della legge n. 210/1992. A fondamento della domanda l'appellante ha richiamato le pronunce della Corte costituzionale (vd. sentenza n. 107/2012) che hanno dichiarato l'illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 1, della legge citata nella parte in cui non prevede il diritto all'indennizzo di coloro che erano stati sottoposti a vaccinazioni non obbligatorie (antipolio, antiepatite B, morbillo, parotite e rosolia) a seguito di campagne legalmente promosse dall'autorita' sanitaria per la diffusione di tali vaccinazioni. Ha inoltre evidenziato che la vaccinazione antipapilloma virus, sebbene non imposta come obbligo giuridico, era stata fortemente incentivata e pubblicizzata dal Ministero della salute che aveva posto nel piano nazionale della prevenzione vaccinale l'obiettivo di vaccinare almeno il 95 per cento delle fanciulle in eta' profilattica. Il Ministero si e' costituito nel grado, senza riproporre l'eccezione di decadenza, gia' respinta dal giudice di prime cure (sulla quale deve pertanto ritenersi formato il giudicato interno) e ribadendo l'insussistenza del nesso causale nonche' la correttezza delle conclusioni cui era pervenuto il CTU nel corso del giudizio di primo grado. Considerato che: all'esito della CTU espletata in appello e' emerso che «verosimilmente e attendibilmente, su una patologia emergente ed in fieri (diabete insulinodipendente), i cui sintomi nell'immediato antecedente non erano stati adeguatamente valorizzati e/o indagati (quali appunto la stessa polidipsia e poliuria), la somministrazione in data della terza dose del vaccino Gardasil abbia fatto acutamente emergere sul piano sintomatologico-clinico la patologia in questione (diabete). Tale somministrazione risulta concausa efficiente nell'aggravare l'espressivita' della sintomatologia connessa a detta patologia, pertanto, a sua volta correlabile, come sopra evidenziato, con i meccanismi etiopatogenetici ricollegabili con le precedenti somministrazioni ( e )». Tali conclusioni sono state ribadite dal CTU anche all'esito dell'esame dei rilievi critici formulati dal Ministero appellato. Ritenuto che: appare rilevante e non manifestamente infondata, in riferimento agli artt. 2, 3 e 32 della Costituzione, la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 1, della legge 25 febbraio 1992, n. 210 (Indennizzo a favore dei soggetti danneggiati da complicanze di tipo irreversibile a causa di vaccinazioni obbligatorie, trasfusioni e somministrazione di emoderivati), nella parte in cui non prevede che il diritto all'indennizzo, istituito e regolato dalla stessa legge e alle condizioni ivi previste, spetti anche ai soggetti che abbiano subito lesioni e/o infermita' da cui siano derivati danni irreversibili all'integrita' psico-fisica, per essere stati sottoposti a vaccinazione non obbligatoria, ma raccomandata, anti papilloma virus. In punto di rilevanza si consideri che l'appellante si e' sottoposta alla vaccinazione in esame nel corso di una campagna vaccinale con cui lo Stato si prefiggeva di realizzare una copertura vaccinale contro l'infezione da HPV pari al 95 per cento della categoria target, come documentato dall'atto protocollo n. 264/2007 e n. 54/2012 della Conferenza Stato-regioni (doc. 10 e 11 allegati all'originario ricorso introduttivo). La pubblicizzazione e la forte raccomandazione della vaccinazione per la fascia di eta' in cui si trovava all'epoca l'odierna appellante sono state ampiamente allegate e documentate nell'originario atto introduttivo e mai contestate dal Ministero, per cui devono ritenersi circostanze incontroverse. E' altresi' incontestato che la vaccinazione in esame non e' mai stata resa obbligatoria da ordinanza dell'autorita' sanitaria italiana. Considerato che: la sussistenza del nesso causale tra il diabete mellito di tipo 1 da cui e' affetta R. G. e la vaccinazione cui si era sottoposta, non consente comunque la possibilita' di riconoscere il diritto all'indennizzo di cui alla legge n. 210 del 1992, trattandosi di vaccinazione non qualificabile come obbligatoria ai sensi di tale legge. La questione di costituzionalita' sollevata e' pertanto rilevante, sussistendo ogni altra condizione per il riconoscimento del richiesto indennizzo ed essendo, quindi, dirimente per l'esito della controversia la decisione di cui si investe la Corte costituzionale. Come autorevolmente rilevato dalla Corte di cassazione nell'ordinanza di remissione n. 6/2020 (che ha dato luogo alla recente sentenza della Corte costituzionale n. 118/2020), non sembra attuabile un'interpretazione costituzionalmente conforme della disposizione censurata che riconosca il diritto all'indennizzo sulla base degli stessi principi che hanno condotto la Corte costituzionale a dichiarare l'illegittimita' costituzionale del medesimo art. 1, comma 1, della legge n. 210 del 1992, nella parte in cui non prevedeva quel diritto, a seguito di menomazione permanente derivante da altre vaccinazioni: infatti, le precedenti pronunce di incostituzionalita' si riferiscono a determinate vaccinazioni e non potrebbero essere estese al caso di specie, perche' cio' determinerebbe la sostanziale disapplicazione ope iudicis della disposizione censurata. Il tenore testuale della disposizione, inequivocabilmente riferita alle «vaccinazioni obbligatorie per legge o per ordinanza di una autorita' sanitaria italiana», e l'impossibilita' di ravvisare nelle mere raccomandazioni del Ministero atti amministrativi di sostanziale imposizione d'un obbligo di vaccinazione impediscono di risolvere la controversia mediante una mera interpretazione compatibile con i parametri costituzionali invocati. Circa la non manifesta infondatezza della questione qui sollevata, giova segnalare che l'art. 1, comma 1, della legge n. 210 del 1992 ha introdotto nell'ordinamento, in via generale, il diritto ad un indennizzo per chiunque abbia riportato, a causa di vaccinazioni obbligatorie per legge o per ordinanza di un'autorita' sanitaria italiana, lesioni o infermita', dalle quali sia derivata una menomazione permanente della integrita' psicofisica. Identico diritto ha riconosciuto ai soggetti contagiati da infezioni da HIV a seguito di somministrazione di sangue e suoi derivati (art. 1, comma 2, legge n. 210 cit.) e a coloro che presentino danni irreversibili da epatiti post-trasfusionali (comma 3 del citato art. 1). La tutela indennitaria, inizialmente riconosciuta solo nell'ambito delle vaccinazioni obbligatorie, e' stata poi ampliata ricomprendendovi le vaccinazioni imposte o sollecitate da interventi finalizzati alla protezione della salute pubblica a seguito di significativi arresti della Corte costituzionale, fino a ricomprendere conseguenze invalidanti di vaccinazioni assunte nell'ambito della politica sanitaria anche solo promossa dallo Stato. La Corte costituzionale, da ultimo con la sentenza 23 giugno 2020, n. 118, ridisegnando, ancora una volta, l'asse portante della tutela indennitaria (art. 1, comma 1, legge n. 210), ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale della norma nella parte in cui non prevede il diritto all'indennizzo in favore di soggetti danneggiati da vaccinazioni contro il contagio dal virus dell'epatite A, ribadendo che nella prospettiva incentrata sulla salute quale interesse, anche obiettivo, della collettivita' non vi e' differenza qualitativa tra obbligo e raccomandazione, essendo l'obbligatorieta' del trattamento vaccinale semplicemente uno degli strumenti, a disposizione delle autorita' sanitarie pubbliche, per il perseguimento della tutela della salute collettiva, al pari della raccomandazione, sicche' i diversi attori (autorita' pubbliche e individui) finiscono per realizzare l'obiettivo della piu' ampia immunizzazione dal rischio di contrarre la malattia, a prescindere da una loro specifica volonta' di collaborare. In relazione alle vaccinazioni raccomandate, in presenza di diffuse e reiterate campagne di comunicazione a favore dei trattamenti vaccinali, il giudice delle leggi, con la decisione da ultimo richiamata, ha ribadito il naturale svilupparsi di un affidamento nei confronti di quanto consigliato dalle autorita' sanitarie che rende la scelta individuale di aderire alla raccomandazione obiettivamente votata alla salvaguardia anche dell'interesse collettivo, al di la' delle particolari motivazioni che muovono i singoli; percio', sul piano degli interessi garantiti dagli artt. 2, 3 e 32 della Costituzione, e' giustificata la traslazione in capo alla collettivita', obiettivamente favorita dalle scelte individuali, degli effetti dannosi che eventualmente conseguano dalle vaccinazioni raccomandate. Gia' in precedenza il giudice delle leggi, con la sentenza n. 268 del 2017, aveva rimarcato che la ragione determinante del diritto all'indennizzo non deriva dall'essersi sottoposti a un trattamento obbligatorio in quanto tale, ma risiede, piuttosto, nelle esigenze di solidarieta' sociale che si impongono alla collettivita', ove il singolo subisca conseguenze negative per la propria integrita' psico-fisica derivanti da un trattamento sanitario (obbligatorio o raccomandato) effettuato anche nell'interesse della collettivita'. Di conseguenza, la mancata previsione del diritto all'indennizzo in caso di patologie irreversibili derivanti da determinate vaccinazioni raccomandate si risolve in una lesione degli artt. 2, 3 e 32 della Costituzione perche' le esigenze di solidarieta' sociale e di tutela della salute del singolo richiedono che sia la collettivita' ad accollarsi l'onere del pregiudizio individuale, mentre sarebbe ingiusto consentire che siano i singoli danneggiati a sopportare il costo del beneficio anche collettivo (vd. Corte costituzionale n. 268 del 2017 e n. 107 del 2012). Ritiene questo collegio che possano essere estesi alla fattispecie in esame i principi affermati dalla ricordata giurisprudenza costituzionale, dovendo valere anche per la vaccinazione anti papilloma virus le medesime considerazioni relative alle vaccinazioni non obbligatorie, ma raccomandate atteso che «in presenza di diffuse e reiterate campagne di comunicazione a favore dei trattamenti vaccinali, e' naturale che si sviluppi un affidamento nei confronti di quanto consigliato dalle autorita' sanitarie: e cio' rende la scelta individuale di aderire alla raccomandazione di per se' obiettivamente votata alla salvaguardia anche dell'interesse collettivo, al di la' delle particolari motivazioni che muovono i singoli». Giova ribadire che la vaccinazione anti papilloma virus risulta somministrata all'appellante nell'ambito di una estesa campagna di vaccinazioni avviata sin dal 2007, finalizzata ad ottenere un livello di copertura pari al 95 per cento della fascia di popolazione di riferimento. Ritiene pertanto questo collegio che anche la vaccinazione anti papilloma virus, sebbene non imposta come obbligo giuridico, ma fortemente incentivata dallo Stato, possa ricondursi nella sfera di applicabilita' della legge n. 210/1992, rientrando a pieno titolo tra quelle raccomandate. Ne consegue che deve dichiararsi rilevante e non manifestamente infondata, in riferimento agli artt. 2, 3 e 32 della Costituzione, la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 1, della legge 25 febbraio 1992, n. 210, nella parte in cui non prevede che il diritto all'indennizzo, istituito e regolato dalla stessa legge e alle condizioni ivi previste, spetti anche ai soggetti che abbiano subito lesioni e/o infermita', da cui siano derivati danni irreversibili all'integrita' psico-fisica, per essere stati sottoposti a vaccinazione non obbligatoria, ma raccomandata, anti papilloma virus. A norma dell'art. 23, legge 11 marzo 1953, n. 87, va dichiarata la sospensione del presente procedimento con l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale. La cancelleria provvedera' alla notifica di copia della presente ordinanza alle parti e al Presidente del Consiglio dei ministri e alla comunicazione della stessa ai Presidenti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica.