ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 3, comma 1,
della legge 25  febbraio  1992,  n.  210  (Indennizzo  a  favore  dei
soggetti danneggiati da complicanze di tipo irreversibile a causa  di
vaccinazioni  obbligatorie,   trasfusioni   e   somministrazione   di
emoderivati), promosso dalla Corte di cassazione, sezione lavoro, nel
procedimento vertente tra il Ministero della salute e F.  C.  e  C.A.
C., nella qualita' di genitori della minore F. C., con ordinanza  del
17 gennaio 2022, iscritta al n. 33  del  registro  ordinanze  2022  e
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della  Repubblica  n.  15,  prima
serie speciale, dell'anno 2022. 
    Visti l'atto di costituzione di F. C. e C.A. C.,  nella  qualita'
di genitori della minore F. C., nonche' gli atti  di  intervento  del
Presidente del Consiglio  dei  ministri  e  dell'Associazione  malati
emotrasfusi e vaccinati (AMEV); 
    udito nell'udienza  pubblica  del  10  gennaio  2023  il  Giudice
relatore Maria Rosaria San Giorgio, sostituito per la redazione della
decisione dal Giudice Stefano Petitti; 
    uditi l'avvocato Armanda Lessini per  F.  C.  e  C.A.  C.,  nella
qualita' di genitori della minore F. C., e gli avvocati  dello  Stato
Enrico De Giovanni e Gaetana Natale per il Presidente  del  Consiglio
dei ministri; 
    deliberato nella camera di consiglio del 9 febbraio 2023. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza del 17 gennaio 2022,  iscritta  al  n.  33  del
registro ordinanze 2022, la Corte di cassazione, sezione  lavoro,  ha
sollevato,  in  riferimento  agli  artt.  2,  3,  32   e   38   della
Costituzione, questioni di legittimita' costituzionale  dell'art.  3,
comma 1, della legge 25 febbraio 1992, n. 210  (Indennizzo  a  favore
dei soggetti danneggiati da complicanze di tipo irreversibile a causa
di  vaccinazioni  obbligatorie,  trasfusioni  e  somministrazione  di
emoderivati), «nella parte  in  cui  non  prevede  che  l'effetto  di
decadenza conseguente  alla  presentazione  della  domanda  oltre  il
triennio, decorrente dal momento in cui l'avente diritto risulti aver
avuto conoscenza del danno, sia limitato ai ratei relativi al periodo
antecedente al suddetto periodo triennale». 
    La Corte rimettente espone di dover decidere sul ricorso proposto
dal Ministero della salute avverso una sentenza  d'appello  che,  nel
confermare la decisione  di  primo  grado,  aveva  ritenuto  corretto
applicarsi  all'indennizzo  per  danno  vaccinale  chiesto  oltre  il
termine triennale di legge il  criterio  della  decadenza  cosiddetta
"mobile",  in  base  al  quale  la  causa   estintiva   del   diritto
indennitario opera limitatamente ai ratei interni al triennio. 
    1.1.- Ad avviso del giudice a quo, il  criterio  della  decadenza
"mobile", stabilito per i  trattamenti  pensionistici  dall'art.  47,
comma sesto, del d.P.R. 30 aprile  1970,  n.  639  (Attuazione  delle
deleghe conferite al Governo con gli articoli 27 e 29 della legge  30
aprile  1969,  n.  153,  concernente  revisione   degli   ordinamenti
pensionistici e norme in materia di sicurezza sociale), non  potrebbe
essere  esteso  in  via  interpretativa  all'indennizzo   del   danno
vaccinale, atteso che l'art. 3, comma 1, della legge n. 210 del  1992
«non fa cenno alcuno ad un effetto decadenziale  limitato  a  singole
parti della prestazione economica oggetto del diritto». 
    Pertanto  -  continua  il  rimettente  -,  in  base  alla   norma
censurata, «questa Corte dovrebbe ritenere la parte istante  decaduta
dal diritto ad  ottenere  l'indennizzo  nella  sua  interezza,  senza
possibilita'  di  limitare  la  suddetta  decadenza  alle  mensilita'
maturate prima del triennio». 
    1.2.- Da quanto sopra emergerebbe  la  violazione  degli  evocati
parametri, considerato l'«analogo  fondamento  costituzionale»  delle
due erogazioni pubbliche - quella pensionistica e quella indennitaria
- entrambe «fondate sugli obblighi di  solidarieta'  sociale  fissati
dalla Costituzione», ed entrambe caratterizzate da una «significativa
estensione temporale periodica». 
    Protraendosi ben oltre  il  triennio  di  legge,  la  menomazione
vaccinale esigerebbe infatti una  provvidenza  capace  di  rispondere
alle perduranti  difficolta'  di  gestione  dello  stato  patologico,
specie quando l'inoculazione nociva e' avvenuta in tenera eta'. 
    Un «effetto decadenziale unitario», come quello  stabilito  dalla
norma censurata,  determinerebbe  viceversa  «la  piena  frustrazione
dello scopo dell'indennizzo», generando nel contempo «una vistosa  ed
irragionevole disparita' di trattamento tra i soggetti destinatari di
tale misura ed i pensionati». 
    Il vulnus costituzionale sarebbe aggravato dal fatto  che,  oltre
all'indennizzo di durata ex art. 2, comma 1, della legge n.  210  del
1992,  una  decadenza  non  temperata  dal  criterio   di   mobilita'
colpirebbe in radice anche l'assegno una tantum previsto dall'art. 2,
comma 2, della medesima legge, pari al 30 per  cento  dell'indennizzo
per ciascun anno del periodo compreso tra il manifestarsi dell'evento
dannoso e l'ottenimento dell'indennizzo stesso. 
    2.- E' intervenuto in giudizio il Presidente  del  Consiglio  dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, chiedendo che le questioni siano  dichiarate  inammissibili  o
manifestamente infondate. 
    2.1.- L'inammissibilita'  deriverebbe  dall'incongruenza  tra  la
motivazione e il dispositivo dell'ordinanza di rimessione, in  quanto
il secondo evoca i parametri di cui agli artt.  2,  32  e  38  Cost.,
mentre la parte motiva concerne essenzialmente il  parametro  di  cui
all'art. 3 Cost., viceversa non menzionato in dispositivo. 
    Inoltre, il rimettente non  avrebbe  compiutamente  esaminato  la
disciplina del tertium  comparationis,  non  essendosi  adeguatamente
confrontato con l'eterogeneita' tra la pensione e  l'indennizzo,  ne'
con le ragioni per cui l'una  e'  soggetta  a  decadenza  "mobile"  e
l'altro a decadenza "tombale". 
    La richiesta di estendere la  previsione  di  decadenza  "mobile"
dall'una  provvidenza  all'altra   corrisponderebbe   del   resto   a
un'istanza di carattere «estremamente  manipolativo»,  sollecitandosi
in definitiva una pronuncia «additiva di prestazione»,  dalla  quale,
con  invasione   dell'ambito   di   discrezionalita'   riservato   al
legislatore, sarebbe imposta ai pubblici poteri l'erogazione  di  una
nuova prestazione sociale. 
    2.2.- Le questioni sarebbero comunque non fondate nel merito. 
    Gli istituti posti a confronto dal rimettente  sarebbero  infatti
tra loro eterogenei, avendo  l'indennizzo  per  danno  vaccinale  una
natura  «assistenziale-solidaristica»,  mentre  la   fattispecie   in
comparazione ha natura «assistenziale-pensionistica». 
    A   differenza   dell'indennizzo   vaccinale,   le    prestazioni
pensionistiche si innestano su un rapporto giuridico che  include  il
versamento dei contributi previdenziali,  cosi'  giustificandosi  che
l'effetto estintivo della decadenza operi solo pro quota  e  non  per
l'intero. 
    Diverso sarebbe lo stesso  fondamento  costituzionale  delle  due
erogazioni, che risiederebbe nell'art. 32 Cost.  per  l'indennizzo  e
nell'art. 38 Cost. per la pensione. 
    Quanto alla congruita' del termine  di  decadenza  sancito  dalla
norma censurata, l'Avvocatura richiama la sentenza n. 342  del  2006,
con la quale questa Corte ha ritenuto tale  termine,  decorrente  dal
momento dell'acquisita conoscenza dell'esito dannoso, non cosi' breve
da impedire l'esercizio del diritto alla prestazione. 
    Da ultimo,  l'interveniente  rappresenta  che  una  pronuncia  di
accoglimento delle sollevate questioni  «determinerebbe  un  notevole
impatto organizzativo in ragione della rilevante platea  di  soggetti
coinvolti, stimabile nell'ordine di diverse migliaia di interessati»,
con  «conseguente  rilevante  aggravio  di  oneri  per   la   finanza
pubblica». 
    3.-  Si  sono  costituiti  in  giudizio   gli   esercenti   della
responsabilita' genitoriale  sulla  minore  danneggiata  da  vaccino,
parte del giudizio  a  quo,  e  hanno  chiesto  l'accoglimento  delle
questioni,  sul  presupposto  dell'imprescrittibilita'  del   diritto
all'indennizzo quale erogazione assistenziale,  diritto  suscettibile
di decadenza, quindi, unicamente per singoli ratei, mai per l'intero. 
    La parte ha aggiunto che, essendo  stata  la  minore  lesa  dalla
vaccinazione  antimorbillosa,  trattamento  sanitario  all'epoca  non
obbligatorio, ma solo raccomandato,  l'applicazione  della  decadenza
"tombale" negherebbe l'indennizzo ingiustificatamente, atteso che  il
triennio di cui alla norma censurata era gia' maturato  al  tempo  in
cui - con la sentenza di questa Corte n. 107  del  2012  -  e'  stato
riconosciuto  il  diritto  all'indennizzo  per   i   danneggiati   da
vaccinazioni non obbligatorie. 
    4.-  E'   intervenuta   ad   adiuvandum   l'Associazione   malati
emotrasfusi e vaccinati (AMEV). 
    Con  istanza  successiva  all'atto   di   intervento,   essa   ha
sollecitato la  trattazione  camerale  circa  l'ammissibilita'  dello
stesso e, in subordine, ha chiesto intendersi  l'atto  medesimo  come
un'opinione di amicus curiae; con  nota  ulteriore,  dolendosi  della
mancata adozione di una pronuncia di ammissibilita'  dell'intervento,
ha sollecitato la fissazione di un'apposita udienza e, in  subordine,
l'autorimessione di  una  questione  di  legittimita'  costituzionale
dell'art. 5, comma 1, delle Norme integrative per i  giudizi  davanti
alla Corte costituzionale, giacche' a suo avviso  contrario  all'art.
24, secondo comma, Cost. 
    5.- In data 9 e 12 agosto  2022,  quindi  ben  oltre  il  termine
perentorio del 3 maggio 2022, hanno depositato opinioni  in  qualita'
di  amici  curiae,  rispettivamente,   il   Coordinamento   nazionale
danneggiati da vaccino (CONDAV  ODV)  e  l'Associazione  di  studi  e
informazioni sulla salute (ASSIS APS). 
    6.-  In  prossimita'  della  pubblica  udienza  hanno  depositato
memorie illustrative l'Avvocatura generale e la parte. 
    6.1.- Nel replicare all'atto  di  costituzione  di  quest'ultima,
l'Avvocatura   sostiene   che   essa,   facendo   riferimento    alla
pubblicazione della citata sentenza n. 107 del 2012 come dies  a  quo
del termine di decadenza del diritto all'indennizzo, abbia posto  una
questione  estranea  all'oggetto  del  giudizio   incidentale,   come
definito dall'ordinanza di rimessione,  la  quale  invero  atterrebbe
unicamente all'applicazione  della  decadenza  "mobile"  in  caso  di
maturata decadenza. 
    Oltre che per la  novita'  rispetto  al  thema  decidendum,  tale
questione sarebbe inammissibile anche per irrilevanza, poiche'  nella
specie la domanda di indennizzo non venne proposta  a  seguito  della
sentenza n. 107 del 2012,  ma  prima  di  essa,  evidentemente  nella
convinzione gia' a quel tempo  acquisita  circa  la  titolarita'  del
diritto, cui pure non aveva corrisposto l'osservanza del  termine  di
legge:  maturata  la   decadenza   triennale   -   questa   la   tesi
dell'Avvocatura -, «il rapporto giuridico tra soggetto danneggiato  e
Stato obbligato all'indennizzo si era pienamente esaurito, in  quanto
il termine triennale della decadenza, al momento della  domanda,  era
completamente spirato». 
    6.2.- La memoria della parte insiste invece sul fatto  che  prima
della sentenza n. 107 del 2012 i danni da  vaccino  antimorbillo  non
erano indennizzabili, sicche' la domanda  era  stata  proposta  nella
speranza che  questa  Corte  accogliesse  la  relativa  questione  di
legittimita' costituzionale, nel frattempo  altrove  sollevata,  come
poi in effetti avvenuto. 
    Cio' posto, la memoria ribadisce che,  senza  l'applicazione  del
criterio di decadenza "mobile", la  minore  danneggiata  dal  vaccino
contro il morbillo resterebbe priva di ogni sostegno  economico,  per
effetto di una decadenza "tombale" che, al tempo della  domanda,  era
puramente virtuale. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- La Corte di cassazione,  sezione  lavoro,  ha  sollevato,  in
riferimento agli artt. 2, 3, 32 e 38 Cost., questioni di legittimita'
costituzionale dell'art. 3, comma 1, della legge  n.  210  del  1992,
nella parte in cui non prevede che la decadenza triennale del diritto
all'indennizzo per danni vaccinali abbia effetto  limitato  ai  ratei
interni al triennio. 
    Chiamata a decidere sul ricorso erariale avverso una sentenza  di
conferma dell'applicazione all'indennizzo vaccinale  della  decadenza
cosiddetta   "mobile",   che   estingue   il   diritto   indennitario
limitatamente ai ratei pregressi,  la  Corte  rimettente  assume  che
questo criterio, previsto per i trattamenti  pensionistici  dall'art.
47, comma sesto, del d.P.R. n. 639 del 1970, non possa essere  esteso
in via interpretativa all'indennizzo da vaccino, atteso  il  silenzio
della norma censurata. 
    La conseguenza di dover ritenere la parte  istante  decaduta  dal
diritto all'indennizzo nella sua interezza pare tuttavia al giudice a
quo incompatibile con gli evocati parametri. 
    1.1.- Considerato l'«analogo fondamento costituzionale» delle due
erogazioni - quella pensionistica e quella  indennitaria  -  entrambe
«fondate  sugli  obblighi  di  solidarieta'  sociale  fissati   dalla
Costituzione»,  ed  entrambe  caratterizzate  da  una  «significativa
estensione temporale periodica», la  disparita'  di  trattamento  sul
piano dell'incidenza dell'effetto decadenziale sarebbe irragionevole,
frustrando lo scopo dell'indennizzo per danno vaccinale,  soprattutto
quando esso, come  nel  caso  di  specie,  dovrebbe  soccorrere  vita
natural durante  persone  danneggiate  da  inoculazioni  ricevute  in
tenera eta'. 
    Peraltro,  una  decadenza   non   "mobile",   bensi'   "tombale",
priverebbe il danneggiato  anche  dell'assegno  una  tantum  previsto
dall'art. 2, comma 2, della legge n. 210  del  1992,  percentualmente
ragguagliato agli anni intercorsi  tra  il  manifestarsi  dell'evento
dannoso e l'ottenimento dell'indennizzo. 
    2.-  In  via  pregiudiziale,  occorre  dichiarare   inammissibile
l'intervento  ad   adiuvandum   spiegato   dall'Associazione   malati
emotrasfusi e vaccinati (AMEV). 
    Per costante giurisprudenza di questa Corte, ai sensi dell'art. 4
delle Norme integrative, nel  giudizio  incidentale  di  legittimita'
costituzionale possono intervenire solo i titolari  di  un  interesse
qualificato,  inerente  in  modo  diretto  e  immediato  al  rapporto
sostanziale dedotto nel giudizio principale,  sicche'  all'intervento
non sono legittimati i soggetti che non sono  parti  del  giudizio  a
quo, ne' portatori di un  interesse  differenziato,  suscettibile  di
essere pregiudicato immediatamente e irrimediabilmente dall'esito  di
tale giudizio (da ultimo, tra molte, sentenze n. 15 e n. 14 del 2023,
con allegate  ordinanze  lette  all'udienza  del  30  novembre  2022;
sentenze n. 263 e n. 31 del 2022). 
    Con ogni evidenza, l'AMEV, oltre a non essere parte del  giudizio
a quo, non vanta un interesse differenziato, esposto in modo  diretto
al relativo esito. 
    Essendo l'intervento inammissibile per carenza di  legittimazione
ai sensi dell'art. 4  delle  Norme  integrative,  non  e'  pertinente
l'istanza di  autorimessione  formulata  dall'interveniente  riguardo
all'art. 5 delle  Norme  stesse,  che  non  viene  qui  in  specifico
rilievo;  in  disparte  la  constatazione  che  le   medesime   Norme
integrative sono estranee al sindacato  di  legittimita'  affidato  a
questa Corte, qualunque sia la collocazione che ad  esse  si  intenda
attribuire nel sistema delle fonti (ordinanze n. 185 del  2014  e  n.
295 del 2006). 
    Neppure puo' essere accolta la subordinata richiesta dell'AMEV di
qualificare il suo atto di  intervento  come  un'opinione  di  amicus
curiae; infatti, «questa Corte ha gia' piu' volte sottolineato che la
ratio dell'intervento nel  giudizio  costituzionale  e'  radicalmente
diversa, anche sotto  il  profilo  della  legittimazione,  da  quella
sottesa alle opinioni degli amici curiae, come diversi sono i termini
per  l'ingresso  in  giudizio  e  le  relative  facolta'  processuali
(sentenze n. 259, n. 221 e n. 121 del  2022)»  (sentenza  n.  15  del
2023). 
    3.- Le eccezioni di inammissibilita' delle  questioni,  sollevate
dal Presidente del Consiglio dei ministri,  intervenuto  in  giudizio
per  il  tramite  dell'Avvocatura  generale  dello  Stato,  non  sono
fondate. 
    3.1.- In primo luogo, l'Avvocatura ha eccepito  l'incertezza  del
petitum, che  a  suo  avviso  deriverebbe  dall'incongruenza  tra  la
motivazione e il dispositivo dell'ordinanza di  rimessione,  giacche'
il secondo evoca soltanto i parametri di cui agli artt. 2,  32  e  38
Cost., mentre la motivazione  richiama  anche  il  parametro  di  cui
all'art. 3 Cost. 
    Tuttavia,  per  costante   giurisprudenza   costituzionale,   «le
discrepanze tra la motivazione e  il  dispositivo  dell'ordinanza  di
rimessione possono essere risolte tramite  l'impiego  degli  ordinari
criteri ermeneutici, quando dalla lettura coordinata delle due  parti
dell'atto emerga l'effettiva volonta' del  rimettente  (ex  plurimis,
sentenze n. 88 del 2022 e n. 58 del 2020; ordinanze n. 214 del 2021 e
n. 244 del 2017)» (sentenza n. 228 del 2022). 
    Nella specie, l'omessa menzione dell'art. 3 Cost. nel dispositivo
dell'ordinanza di rimessione appare frutto di  un  errore  materiale,
ininfluente alla luce degli argomenti che  la  motivazione  dedica  a
tale parametro; anche se -  giova  anticiparlo  -  in  una  questione
relativa  all'indennizzo  vaccinale,   cioe'   a   un   istituto   di
solidarieta'   sociale   per   danno   alla    salute,    prioritaria
considerazione meritano i parametri di cui agli artt. 2 e 32 Cost. 
    Resta quindi in secondo piano, e attiene comunque al merito delle
questioni, l'eccezione dell'Avvocatura sull'eterogeneita' del tertium
comparationis individuato dal rimettente nella  regola  di  decadenza
"mobile" dei trattamenti pensionistici. 
    3.2.- La difesa statale lamenta anche il  carattere  manipolativo
del petitum, che a suo  avviso  si  tradurrebbe  nella  richiesta  di
un'additiva  di   prestazione,   con   invasione   della   sfera   di
discrezionalita' riservata al legislatore  nella  configurazione  dei
presupposti delle erogazioni pubbliche. 
    In  realta',  l'ordinanza  di  rimessione  circoscrive  il  thema
decidendum all'operativita'  della  decadenza  prevista  dalla  norma
censurata, sicche' il punto di caduta delle questioni  sollevate  non
riguarda  la  titolarita'  del  diritto  alla   prestazione,   bensi'
unicamente l'eventuale, e controversa, estinzione di tale diritto per
inosservanza delle condizioni normative di esercizio. 
    Segnatamente,   le   questioni   in   scrutinio    non    tendono
all'introduzione di una prestazione nuova, bensi' all'attribuzione  -
nella fattispecie  concreta  -  della  prestazione  conseguente  alla
sentenza  n.  107  del  2012,  con  la  quale  e'  stata   dichiarata
l'illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 1, della legge  n.
210 del 1992, nella parte in cui  non  prevedeva  l'indennizzabilita'
del  danno  cagionato  dalla  vaccinazione  contro  il  morbillo,  la
parotite e la rosolia. 
    3.3.-  Questa  Corte  deve  ritenersi  dunque   investita   della
questione, necessariamente implicata dallo specifico  profilo  legato
all'estensione  della  decadenza  "mobile"  alla  materia   de   qua,
riguardante la decorrenza del termine triennale nel caso  in  cui  il
diritto all'indennizzo non fosse  previsto  dalla  legge  al  momento
della conoscenza del danno e sia poi sorto soltanto per effetto della
menzionata sentenza n. 107 del 2012. 
    Non e' di ostacolo all'esame di tale questione la circostanza che
gli effetti della citata sentenza trovino un limite nel  consolidarsi
dell'estinzione della pretesa indennitaria a causa della  maturazione
del termine perentorio triennale fissato dall'art. 3, comma 1,  della
legge n. 210 del 1992.  Proprio  la  declaratoria  di  illegittimita'
costituzionale dei presupposti per la decorrenza  di  questo  termine
escluderebbe infatti la  conseguente  preclusione  e,  con  essa,  il
prospettato  esaurimento  del  rapporto   sottostante,   nonche'   la
necessita' del ricorso al criterio della decadenza "mobile". 
    4.- Nei termini oggettivi appena illustrati,  le  questioni  sono
fondate con riferimento ai parametri di cui agli artt. 2 e 32 Cost. 
    5.- Giova premettere che questa Corte, con la sentenza n. 307 del
1990,  ebbe  a  dichiarare   l'illegittimita'   costituzionale,   per
violazione dell'art. 32 Cost., della legge 4  febbraio  1966,  n.  51
(Obbligatorieta' della vaccinazione antipoliomielitica), nella  parte
in cui non prevedeva, a carico dello Stato, un'equa indennita' per il
caso di danno derivante, al di fuori  dell'ipotesi  di  cui  all'art.
2043 del codice civile, da contagio o da altra apprezzabile  malattia
causalmente    riconducibile    alla    vaccinazione     obbligatoria
antipoliomielitica,  riportato  dal  bambino  vaccinato  o  da  altro
soggetto a causa dell'assistenza personale diretta prestata al primo. 
    Questa pronuncia affermo' che il corretto  bilanciamento  fra  la
dimensione individuale e collettiva della salute - in relazione  alle
ragioni di (reciproca) solidarieta' fra individuo e  collettivita'  -
implica il riconoscimento di un equo  ristoro  in  favore  di  chi  -
obbligato a sottoporsi a un  trattamento  sanitario  che  importi  un
rischio specifico, o prestando la relativa assistenza - subisca,  per
l'avverarsi del rischio, un danno ulteriore rispetto alle conseguenze
normalmente proprie (e tollerabili) di ogni intervento sanitario. 
    5.1.- Su tali premesse e' nata  la  disciplina  introdotta  dalla
legge n. 210 del 1992, che, riconosciuto il diritto a  un  indennizzo
da  parte  dello  Stato  a  chiunque  abbia  riportato,  a  causa  di
vaccinazioni obbligatorie per legge o per ordinanza di una  autorita'
sanitaria,  lesioni  o  infermita',  dalle  quali  sia  derivata  una
menomazione permanente della integrita' psico-fisica (art. 1), ha poi
stabilito, in particolare, la consistenza e individuato i beneficiari
di tale indennizzo (art. 2) e le  modalita'  della  relativa  domanda
(art. 3). 
    L'art. 3, comma 1, della legge n. 210 del 1992,  come  sostituito
dapprima dall'art. 7, comma 4, del decreto-legge 23 ottobre 1996,  n.
548 (Interventi per le aree depresse e protette,  per  manifestazioni
sportive internazionali, nonche' modifiche  alla  legge  25  febbraio
1992, n. 210), convertito, con modificazioni, nella legge 20 dicembre
1996, n. 641, e successivamente dall'art. 1, comma 9, della legge  25
luglio 1997, n. 238 (Modifiche ed integrazioni alla legge 25 febbraio
1992, n. 210, in materia di indennizzi  ai  soggetti  danneggiati  da
vaccinazioni obbligatorie, trasfusioni ed emoderivati),  dispone  che
«[i] soggetti interessati ad ottenere l'indennizzo di cui all'art. 1,
comma  1,  presentano  alla  USL  competente  le  relative   domande,
indirizzate al Ministro della sanita', entro il termine perentorio di
tre anni nel caso di vaccinazioni o di epatiti  post-trasfusionali  o
di dieci anni nei casi di infezioni da HIV. I termini  decorrono  dal
momento in cui, sulla base delle documentazioni di cui ai commi  2  e
3, l'avente diritto risulti aver avuto conoscenza del danno.  La  USL
provvede, entro novanta giorni  dalla  data  di  presentazione  delle
domande, all'istruttoria delle domande stesse e all'acquisizione  del
giudizio di cui all'art. 4, sulla base  di  direttive  del  Ministero
della sanita', che garantiscono il diritto  alla  riservatezza  anche
mediante opportune modalita' organizzative». 
    L'art.  5-quater  del  decreto-legge  7  giugno   2017,   n.   73
(Disposizioni  urgenti  in  materia  di  prevenzione  vaccinale,   di
malattie infettive e di controversie relative  alla  somministrazione
di farmaci), convertito, con modificazioni,  nella  legge  31  luglio
2017, n. 119, ha poi reso applicabili le  disposizioni  di  cui  alla
legge n. 210  del  1992  a  tutti  i  soggetti  che,  a  causa  delle
vaccinazioni  indicate  nell'art.  1,  abbiano  riportato  lesioni  o
infermita'  dalle  quali  sia  derivata  una  menomazione  permanente
dell'integrita' psico-fisica. 
    5.2.- Gli artt. 2, comma 2, e 3, comma 7, della legge n. 210  del
1992,  peraltro,  erano  gia'  stati  dichiarati   costituzionalmente
illegittimi, con la sentenza n. 118 del 1996,  per  violazione  degli
artt. 32 e 136 Cost., nella parte in cui escludevano, per il  periodo
ricompreso tra il  manifestarsi  dell'evento  prima  dell'entrata  in
vigore  della  predetta  legge  e  l'ottenimento  della   prestazione
determinata  a  norma  della  stessa  legge,  il  diritto   -   fuori
dell'ipotesi dell'art. 2043 cod. civ. - a un equo indennizzo a carico
dello Stato per le menomazioni  riportate  a  causa  di  vaccinazione
obbligatoria antipoliomelitica. Questa Corte -  sul  rilievo  che  la
menomazione della salute derivante da vaccinazione obbligatoria fonda
il diritto a un equo indennizzo discendente  dall'art.  32  Cost.  in
collegamento con l'art. 2 Cost., atteso che il danno,  non  derivante
da fatto illecito, e' stato subito in conseguenza dell'adempimento di
un obbligo legale - ha ritenuto che la disposizione censurata ponesse
una limitazione temporale, equivalente a una riduzione  parziale  del
danno indennizzabile, collidente  sia  con  la  natura  del  predetto
diritto protetto dalla Costituzione, sia con la sentenza n.  307  del
1990. 
    5.3.- Questa Corte ha inoltre esteso, con  diverse  pronunce,  il
riconoscimento dell'indennizzo - che l'art. 1, comma 1,  della  legge
n. 210 del 1992  testualmente  riserva  alle  menomazioni  permanenti
derivanti da vaccinazioni obbligatorie, poi ridefinite  alla  stregua
degli artt. 1 e 5-quater del d.l. n. 73 del 2017, come  convertito  -
anche  a  fronte  di  gravi  e  permanenti   lesioni   all'integrita'
psico-fisica insorte a seguito di alcune, specificamente individuate,
vaccinazioni   non   obbligatorie,   ma   raccomandate,   dichiarando
l'illegittimita' costituzionale di tale disposizione, in  riferimento
agli artt. 2, 3 e 32  Cost.,  per  l'omessa  previsione  del  diritto
all'indennizzo  in  caso  di  accertamento  del  nesso  causale   tra
patologia  irreversibile  e   specifica   vaccinazione:   cosi',   in
particolare,  con  le  sentenze  n.  27   del   1998   (quanto   alla
vaccinazione, allora solo raccomandata, contro la  poliomielite),  n.
423 del 2000 (con riferimento  alla  vaccinazione,  anch'essa  allora
solo raccomandata, contro l'epatite B), n. 107 del 2012 (in relazione
alla vaccinazione contro morbillo, parotite e rosolia),  n.  268  del
2017 (con riguardo alla vaccinazione antinfluenzale)  e  n.  118  del
2020 (per la vaccinazione contro l'epatite A). 
    Alla  base  delle  richiamate  pronunce  additive,   vi   e'   la
considerazione che la mancata previsione del  diritto  all'indennizzo
in  caso  di  patologie  irreversibili   derivanti   da   determinate
vaccinazioni raccomandate si risolve in una lesione degli artt. 2,  3
e 32 Cost., in quanto le esigenze di solidarieta' sociale e di tutela
della salute del singolo  richiedono  che  sia  la  collettivita'  ad
accollarsi  l'onere  del  pregiudizio  individuale,  mentre   sarebbe
ingiusto consentire che siano i singoli danneggiati a  sopportare  il
costo del beneficio anche collettivo (sentenza n. 107 del 2012). 
    L'estensione  dell'indennizzo  ai  citati  casi  di  vaccinazioni
raccomandate e' stata, dunque,  volta  a  «completare  il  "patto  di
solidarieta'" tra individuo e collettivita' in tema di  tutela  della
salute» e a rendere «piu' serio e affidabile ogni programma sanitario
volto alla diffusione dei trattamenti vaccinali, al fine  della  piu'
ampia copertura della popolazione» (sentenza n. 268 del 2017). 
    Appare  opportuno  sin  da  ora  ricordare   che,   proprio   per
regolamentare gli effetti conseguenti alla sentenza n. 27  del  1998,
l'art. 3, comma 3, della legge 14 ottobre 1999, n. 362  (Disposizioni
urgenti in  materia  sanitaria),  dispose  che  l'indennizzo  di  cui
all'art. 1, comma 1, della legge n. 210 del 1992  spettasse  anche  a
coloro che si fossero sottoposti a vaccinazione antipoliomelitica non
obbligatoria nel periodo di vigenza della legge 30  luglio  1959,  n.
695   (Provvedimenti   per   rendere   integrale   la    vaccinazione
antipoliomielitica), stabilendo che i soggetti danneggiati  dovessero
presentare la domanda alla azienda unita' sanitaria locale competente
«entro il termine perentorio di quattro anni dalla data di entrata in
vigore» della medesima legge n. 362 del 1999. 
    In definitiva, la giurisprudenza  di  questa  Corte  e'  costante
nell'affermare  che  uno  degli  elementi  essenziali  affinche'   un
trattamento sanitario obbligatorio di  tipo  vaccinale  sia  conforme
all'art. 32 Cost. consiste nella previsione di un'equa indennita'  in
favore del soggetto danneggiato (sentenze n. 15 e n. 14 del 2023,  n.
5 del 2018 e n. 258 del 1994). 
    5.4.- In rapporto  alla  determinazione  del  contenuto  e  delle
modalita' di realizzazione dell'indennizzo  erogato  ai  sensi  della
legge n. 210 del 1992, questa Corte ha altresi' affermato che essa e'
rimessa  alla  discrezionalita'  del  legislatore,  il   quale,   nel
ragionevole bilanciamento dei  diversi  interessi  costituzionalmente
rilevanti   coinvolti,   puo'   subordinare   l'attribuzione    delle
provvidenze alla presentazione della relativa domanda entro  un  dato
termine. 
    Il vaglio di legittimita' costituzionale  implica,  tuttavia,  la
verifica che le scelte legislative sul punto  non  siano  affette  da
palese  arbitrarieta'  o  irrazionalita':  vizi,  questi,   che   non
inficiano il termine di tre anni fissato con l'art. 1, comma 9, della
legge  n.  238  del  1997,  decorrente  dal  momento   dell'acquisita
conoscenza  dell'esito  dannoso  dell'intervento   terapeutico,   non
apparendo  esso  talmente  breve  da  frustrare  la  possibilita'  di
esercizio del diritto alla prestazione  e  vanificare  la  previsione
dell'indennizzo (sentenze n. 342 del 2006, n. 226 del 2000  e  n.  27
del 1998). 
    5.5.- Le sezioni unite civili  della  Corte  di  cassazione,  con
sentenza 22 luglio  2015,  n.  15352,  hanno  peraltro  affermato,  a
proposito dell'estensione del termine  di  decadenza  triennale  alle
domande di indennizzo correlate a epatiti post-trasfusionali  operata
dall'art. 1, comma 9, della legge n. 238 del 1997, che la  decorrenza
dello stesso termine debba essere fissata con riferimento all'entrata
in vigore della modifica legislativa. 
    Richiamando gli argomenti in  tema  di  decadenza  addotti  nelle
sentenze di questa Corte n. 69 del 2014 e n. 191  del  2005,  secondo
cui non puo' «logicamente configurarsi una ipotesi di estinzione  del
diritto [...] per mancato esercizio da parte del titolare in  assenza
di una previa determinazione del termine entro il  quale  il  diritto
[...]  debba  essere  esercitato»,  le  Sezioni  unite  civili  hanno
sostenuto che, in base al bilanciamento  dei  contrapposti  interessi
che e' alla base della disciplina in  esame,  il  fine  acceleratorio
implicito  nel  termine  di  decadenza  triennale  non  determina  un
eccessivo sacrificio  dell'interesse  del  privato  alla  tutela  del
proprio diritto, a condizione che  l'esercizio  di  quest'ultimo  sia
reso sufficientemente agevole. 
    6.- Nello specifico  contesto  dell'indennizzo,  le  esigenze  di
solidarieta' sociale e di tutela della salute del  singolo,  poste  a
fondamento della disciplina introdotta dalla legge n. 210  del  1992,
portano a ritenere che la conoscenza del danno, che segna il  dies  a
quo del triennio per la presentazione della  domanda  amministrativa,
suppone  che  il  danneggiato  abbia  acquisito  consapevolezza   non
soltanto   dell'esteriorizzazione   della   menomazione    permanente
dell'integrita' psico-fisica e della sua riferibilita'  causale  alla
vaccinazione, ma  anche  della  sua  rilevanza  giuridica,  e  quindi
dell'azionabilita' del diritto all'indennizzo. 
    L'art. 3, comma 1, della legge n. 210 del 1992, ove  dispone  che
il termine di tre anni per la  presentazione  della  domanda,  pur  a
fronte di una prestazione indennitaria "nuova", ovvero di una "nuova"
categoria di beneficiari, aggiunta dalla sentenza  di  illegittimita'
costituzionale, decorra comunque dal pregresso momento di  conoscenza
del danno, pone una limitazione temporale che collide con la garanzia
costituzionale del diritto alla prestazione, ne vanifica  l'esercizio
e,  in  definitiva,  impedisce  il  completamento   del   "patto   di
solidarieta'" sotteso alla pronuncia additiva. 
    L'impossibilita' di presentare la  domanda  volta  all'indennizzo
dei danni da vaccinazione  contro  il  morbillo,  la  parotite  e  la
rosolia in un periodo precedente alla pubblicazione della sentenza n.
107 del 2012, cosi' come resa evidente dalla previsione  del  termine
decadenziale di cui al censurato art. 3, comma 1, della legge n.  210
del 1992, si pone in contrasto con i richiamati artt. 2 e 32 Cost. 
    In relazione ai  danni  da  vaccinazione  antipoliomielitica  non
obbligatoria il legislatore, a seguito della sentenza di questa Corte
n. 27 del 1998, e' intervenuto, come detto, con l'art.  3,  comma  3,
della legge n. 362 del  1999,  stabilendo  che  l'indennizzo  di  cui
all'art. 1, comma 1, della legge n. 210 del 1992  spettasse  anche  a
coloro che si fossero sottoposti a tale vaccinazione nel  periodo  di
vigenza della legge n.  695  del  1959,  e  consentendo  ai  soggetti
danneggiati di presentare la domanda entro quattro anni  dall'entrata
in vigore della medesima legge n. 362 del 1999. 
    Nulla del genere e' avvenuto nel caso di cui al giudizio a quo. 
    E anzi, alla compressione del  diritto  a  ottenere  l'indennizzo
nella fase antecedente alla  sentenza  n.  107  del  2012  si  unisce
l'illogica pretesa che gli interessati rispettassero un  termine  per
la proposizione di una domanda relativa a un indennizzo per il quale,
al momento in cui ebbero conoscenza  del  danno,  non  avevano  alcun
titolo. 
    L'effettivita'  del  diritto  alla   provvidenza   dei   soggetti
danneggiati da vaccinazioni impone, pertanto,  di  far  decorrere  il
termine perentorio di tre anni per la  presentazione  della  domanda,
fissato dall'art. 3, comma 1,  della  legge  n.  210  del  1992,  dal
momento  in  cui  l'avente  diritto  risulti  aver  avuto  conoscenza
dell'indennizzabilita' del danno. Prima di tale momento, infatti, non
e' possibile  che  il  diritto  venga  fatto  valere,  ai  sensi  del
principio desumibile dall'art. 2935 cod. civ. 
    7.- Non rilevano qui i maggiori oneri organizzativi e di  finanza
pubblica paventati dall'Avvocatura nell'atto  di  intervento:  da  un
lato, la  deduzione  e'  formulata  in  modo  assertivo  e  privo  di
qualsiasi riferimento alle situazioni  interessate  dalla  pronuncia;
dall'altro, il sistema della vaccinazione di massa  si  fonda  -  nel
quadro costituzionale e nella percezione sociale -  sull'effettivita'
dell'indennizzo, quale compensazione del sacrificio  individuale  per
un interesse collettivo. E  la  giurisprudenza  di  questa  Corte  e'
costante  nell'affermare  che   «[e']   la   garanzia   dei   diritti
incomprimibili ad incidere sul bilancio, e non l'equilibrio di questo
a condizionarne la doverosa erogazione» (cosi', sentenza n.  275  del
2016; nello stesso senso: sentenze n. 10 del 2022, n. 142  del  2021,
n. 62 del 2020, n. 169 del 2017). 
    8.- Per tutto quanto esposto, in riferimento agli artt.  2  e  32
Cost.,  deve  essere   dichiarata   l'illegittimita'   costituzionale
dell'art. 3, comma 1, della legge n. 210 del  1992,  nella  parte  in
cui, al secondo periodo, dopo le parole «conoscenza del  danno»,  non
prevede «e della sua indennizzabilita'». 
    Restano assorbite le censure riferite agli artt. 3 e 38 Cost.