ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 630,  terzo
comma,  del  codice  di  procedura  civile,  promosso  dal  Tribunale
ordinario di Udine, sezione seconda civile, nel procedimento vertente
tra M. L. V. e altro e S. S. e altro, con  ordinanza  del  21  aprile
2022, iscritta al n. 95 del  registro  ordinanze  2022  e  pubblicata
nella  Gazzetta  Ufficiale  della  Repubblica  n.  37,  prima   serie
speciale, dell'anno 2022. 
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udita nella camera di consiglio del 25 gennaio  2023  la  Giudice
relatrice Emanuela Navarretta; 
    deliberato nella camera di consiglio del 6 febbraio 2023. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza del 21 aprile  2022,  iscritta  al  n.  95  del
registro ordinanze 2022, il Tribunale  ordinario  di  Udine,  sezione
seconda civile, ha sollevato, in  riferimento  agli  artt.  3,  primo
comma, 111, secondo comma, e 117, primo  comma,  della  Costituzione,
quest'ultimo in relazione all'art. 6, paragrafo 1, della  Convenzione
europea   dei   diritti   dell'uomo,   questioni   di    legittimita'
costituzionale dell'art. 630, terzo comma, del  codice  di  procedura
civile, «nella parte in cui richiama  l'applicazione  dell'art.  178,
quarto e quinto comma c.p.c., disponendo quindi  che  il  reclamo  si
propone al giudice dell'esecuzione (con ricorso o all'udienza) e  che
del collegio giudicante sul reclamo faccia parte anche il giudice che
ha emesso il  provvedimento  reclamato,  anziche'  richiamare  quanto
previsto  dall'art.  669-terdecies,  comma  secondo,  primo  periodo,
c.p.c. o dall'art. 186-bis disp. att. c.p.c.». 
    2.- Il rimettente riferisce che, nell'ambito di una procedura  di
esecuzione immobiliare presso  il  Tribunale  di  Udine,  il  giudice
dell'esecuzione, con ordinanza del 30  dicembre  2021,  ha  rigettato
l'istanza  di  estinzione  del  giudizio  avanzata  dalle   debitrici
esecutate e che, avverso tale ordinanza, le debitrici hanno  proposto
tempestivo reclamo al collegio, ai sensi dell'art. 630, terzo  comma,
cod. proc. civ. 
    Costituitosi il  collegio,  le  reclamanti  hanno  formulato,  in
riferimento agli artt.  3,  24,  25  e  111  Cost.,  un'eccezione  di
illegittimita' costituzionale degli  artt.  50-bis,  50-quater,  178,
630, 669-terdecies e 738 cod. proc. civ., nonche'  dell'art.  186-bis
delle disposizioni per l'attuazione del codice di  procedura  civile,
in quanto  consentirebbero  la  partecipazione  del  giudice  che  ha
adottato il  provvedimento  reclamato  al  collegio  che  decide  sul
reclamo. 
    3.- Il Tribunale di Udine ha sollevato questioni di  legittimita'
costituzionale del solo art. 630, terzo comma, cod.  proc.  civ.  nel
suo rinvio all'art. 178, commi quarto e quinto, cod. proc.  civ.,  in
riferimento a  parametri  costituzionali  parzialmente  diversi:  gli
artt. 3, primo comma, 111, secondo comma, e 117, primo comma,  Cost.,
quest'ultimo in relazione all'art. 6, paragrafo 1, CEDU. 
    Il giudice a quo ritiene che il  citato  rimando  dell'art.  630,
terzo comma, cod. proc. civ. all'art. 178,  commi  quarto  e  quinto,
cod. proc. civ. comporti la necessaria partecipazione al collegio del
reclamo del magistrato che, in veste di giudice  dell'esecuzione,  si
e' pronunciato sull'estinzione. 
    3.1.- In punto di rilevanza, il Tribunale di Udine  afferma  che,
poiche' nel giudizio a quo del collegio che  esamina  il  reclamo  fa
parte anche il  giudice-persona  fisica  che  ha  emesso  l'ordinanza
reclamata,  la  norma  su  cui  vertono  i  dubbi   di   legittimita'
costituzionale sarebbe di «diretta applicazione [nel]  giudizio»,  in
quanto  volta  a  «determinare   la   composizione   [del]   collegio
giudicante». 
    3.2.- Quanto  alla  non  manifesta  infondatezza,  il  rimettente
ravvisa   plurime   ragioni   di   contrasto   con   diverse    norme
costituzionali. 
    3.2.1.- In primo luogo, il Tribunale di Udine svolge una  censura
in riferimento all'art. 3 Cost., che  si  sviluppa  a  partire  dalla
considerazione  che,  nell'attuale  ordinamento  giuridico,  numerose
previsioni sono volte a impedire la partecipazione del  giudice,  che
ha adottato un provvedimento, al successivo giudizio promosso  contro
il medesimo. 
    In  particolare,  ravvisa   una   irragionevole   disparita'   di
trattamento fra le disposizioni censurate e  la  disciplina  relativa
all'opposizione agli  atti  esecutivi,  rispetto  alla  quale  l'art.
186-bis disp. att. cod. proc. civ. prevede che «[i] giudizi di merito
di cui all'articolo 618, secondo  comma,  del  codice  [di  procedura
civile] sono trattati da un  magistrato  diverso  da  quello  che  ha
conosciuto degli atti avverso i quali e' proposta opposizione». 
    Inoltre, muove un'ulteriore,  analoga  censura,  adottando  quale
tertium comparationis  anche  la  disposizione  relativa  al  reclamo
avverso  l'ordinanza  con  la  quale  viene  concesso  o  negato   il
provvedimento cautelare nell'ambito del processo esecutivo. Si tratta
dell'art. 669-terdecies, secondo comma,  primo  periodo,  cod.  proc.
civ., in base al quale  «[i]l  reclamo  contro  i  provvedimenti  del
giudice singolo del tribunale si propone al collegio, del  quale  non
puo' far parte il giudice che ha emanato il provvedimento reclamato». 
    3.2.2.-  In  secondo  luogo,  il  rimettente  sostiene   che   la
partecipazione obbligatoria del giudice dell'esecuzione  al  giudizio
di   reclamo,   unitamente   all'omessa    previsione    della    sua
incompatibilita', arrechi  un  vulnus  all'art.  111  Cost.,  secondo
comma, Cost., nella parte in cui  «prescrive  che  ogni  processo  si
svolga dinanzi a un giudice imparziale». 
    A supporto di tale censura,  invoca  quanto  chiarito  da  questa
Corte in merito alla necessita' che il legislatore impedisca «che  il
giudice possa pronunciarsi due volte  sulla  medesima  res  iudicanda
(Corte  Cost.  n.  335/2002),  onde  evitare  la  c.d.  forza   della
prevenzione». 
    In particolare, dopo aver dato atto - sempre sulla  scorta  della
giurisprudenza di questa Corte - che le implicazioni del principio di
imparzialita' nel processo civile e in quello amministrativo non sono
le stesse che il  medesimo  principio  ha  nel  processo  penale,  il
giudice a quo osserva che il giudizio di reclamo, ex art. 630,  terzo
comma, cod. proc. civ., e' fondato su «un  contraddittorio  solamente
cartolare» e si limita ad accertare il «verificarsi  o  meno  di  una
fattispecie estintiva  del  processo,  e  cioe'  la  stessa  identica
questione che il giudice dell'esecuzione ha affrontato, allorche'  e'
stato chiamato in prima battuta a risolvere l'eccezione  sollevatagli
o rilevata d'ufficio». 
    L'identita' di  res  iudicanda  tra  la  valutazione  svolta  dal
giudice dell'esecuzione e quella destinata  a  compiersi  dinanzi  al
collegio del reclamo implicherebbe la  necessita'  costituzionale  di
non consentire la partecipazione  del  giudice  dell'esecuzione  alla
fase del reclamo. 
    3.2.3.- Infine, le medesime considerazioni concernenti  la  forza
della prevenzione inducono il  rimettente  a  ravvisare  una  lesione
anche dell'art. 117, primo comma, Cost.,  in  relazione  all'art.  6,
paragrafo 1, CEDU, nella parte in cui «afferma  il  diritto  di  ogni
persona a che il suo processo  si  svolga  dinanzi  ad  un  tribunale
"imparziale"». 
    Il giudice a quo richiama, in proposito, diverse  pronunce  della
Corte europea dei diritti dell'uomo  sull'imparzialita'  del  giudice
(sentenze 1° febbraio 2005, Indra contro Slovacchia; 24 luglio  2012,
Toziczka contro Polonia; 2 maggio 2019, Pasquini contro San  Marino),
osservando che, secondo la giurisprudenza convenzionale, «[u]na delle
possibili  situazioni  in  cui  si  puo'   temere   un   difetto   di
imparzialita' dell'organo giurisdizionale, di natura funzionale, puo'
riguardare l'esercizio nel medesimo procedimento di diverse  funzioni
giudiziarie da parte della stessa persona». 
    Di qui, il dubbio di un contrasto  delle  disposizioni  censurate
anche con l'art. 117, primo comma, Cost., in  relazione  all'art.  6,
paragrafo 1, CEDU, come interpretato dalla Corte EDU. 
    3.3.- Il rimettente sostiene di aver  tentato  un'interpretazione
costituzionalmente orientata, ma di averla reputata impraticabile. 
    Sarebbe di ostacolo alla via ermeneutica, innanzitutto, il rinvio
dell'art. 630 cod. proc. civ. all'art. 178, quinto comma, cod.  proc.
civ., nella parte in cui «prescrive, implicitamente  ma  chiaramente,
che il giudice dell'esecuzione integra il collegio decidente». 
    Inoltre, non sarebbe applicabile la disposizione  in  materia  di
astensione obbligatoria di cui all'art. 51, primo comma,  numero  4),
cod. proc. civ., in quanto il reclamo, al pari dell'opposizione  agli
atti esecutivi, non configurerebbe tecnicamente un «altro  grado  del
processo». 
    Il rimettente invoca, pertanto, una sentenza di questa Corte  che
dichiari costituzionalmente illegittimo l'art. 630  cod.  proc.  civ.
nella parte in cui richiama l'art. 178, commi quarto e  quinto,  cod.
proc. civ., disponendo che  del  collegio  chiamato  a  decidere  sul
reclamo debba far  parte  il  giudice  che  ha  adottato  l'ordinanza
contestata, anziche' prevedere una incompatibilita' di tale  giudice,
come nelle fattispecie  di  cui  agli  artt.  669-terdecies,  secondo
comma, primo periodo, cod. proc. civ. e 186-bis disp. att. cod. proc.
civ. 
    4.- E' intervenuto nel giudizio il Presidente del  Consiglio  dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato,  il  quale  ha  chiesto  che  le  questioni  di   legittimita'
costituzionale siano dichiarate inammissibili e, in  ogni  caso,  non
fondate. 
    4.1.- I motivi di inammissibilita' fatti valere sono due. 
    Innanzitutto, la difesa dello Stato osserva che l'estinzione  del
processo esecutivo puo' verificarsi per cause tipiche e  atipiche,  e
che, secondo il diritto vivente, il reclamo ex art.  630  cod.  proc.
civ. costituisce rimedio appropriato  solo  avverso  i  provvedimenti
concernenti cause tipiche  di  estinzione  del  processo.  Viceversa,
nell'ipotesi di estinzione per cause  atipiche,  il  rimedio  sarebbe
dato dall'opposizione agli atti esecutivi. 
    Secondo l'Avvocatura  dello  Stato,  il  rimettente  non  avrebbe
chiarito la ragione che giustificherebbe  l'estinzione  del  processo
nella fattispecie sottoposta al proprio esame. 
    Ne deriverebbe l'impossibilita' di comprendere se il  reclamo  ex
art. 630, terzo comma, cod. proc. civ. fosse  lo  strumento  corretto
per contestare il provvedimento del  giudice  dell'esecuzione  o  se,
invece, dovesse essere riqualificato dal collegio. In sostanza, posto
che la questione di legittimita' costituzionale sollevata verrebbe in
rilievo esclusivamente nell'ipotesi di effettiva  ammissibilita'  del
reclamo ex art. 630, terzo comma, cod. proc. civ., secondo la  difesa
statale  non  emergerebbe  dall'ordinanza  di   rimessione   «nessuna
valutazione in ordine alla  ammissibilita'  del  mezzo  di  reclamo»,
sicche' non vi sarebbero «i presupposti di una  compiuta  valutazione
della rilevanza della questione posta». 
    Di seguito, l'Avvocatura dello Stato obietta che il tentativo  di
interpretazione conforme esperito dal giudice a quo sarebbe assistito
da una motivazione meramente apodittica. 
    Dato che nessuna norma afferma esplicitamente che del collegio di
reclamo debba necessariamente far parte il giudice-persona fisica che
ha adottato l'ordinanza reclamata, la difesa statale ritiene  che  il
rimettente avrebbe potuto  ben  desumere  dai  principi  generali  la
sussistenza, anche in questo caso, di un dovere di astensione ex art.
51, primo comma, numero 4), cod. proc. civ. Tale conclusione  sarebbe
ulteriormente confortata dalla previsione per legge, nella  parallela
disciplina dell'opposizione agli atti  esecutivi,  dell'art.  186-bis
disp. att.  cod.  proc.  civ.,  che  dispone  l'incompatibilita'  tra
giudice dell'esecuzione e giudice dell'opposizione. 
    4.2.- Nel merito, l'Avvocatura dello Stato  reputa  le  questioni
non fondate. 
    La difesa statale evoca al riguardo la giurisprudenza  di  questa
Corte (ordinanza n. 497 del 2002) che, in materia di opposizione agli
atti esecutivi, prima dell'introduzione dell'art. 186-bis disp.  att.
cod.  proc.  civ.,  aveva  escluso  l'incompatibilita'  tra   giudice
dell'esecuzione e giudice dell'opposizione,  ritenendo  l'opposizione
non un incidente di esecuzione, ma un autonomo processo cognitivo che
si colloca al di fuori della procedura esecutiva. 
    Quanto al richiamo al reclamo  cautelare  ex  art.  669-terdecies
cod. proc. civ., il Presidente del Consiglio dei ministri  reputa  lo
stesso inconferente, data la disomogeneita' fra i due rimedi. 
    Da ultimo, la difesa statale si riporta alla pronuncia di  questa
Corte (n. 460  del  2005),  in  tema  di  opposizione  alla  sentenza
dichiarativa di fallimento, sostenendo che le argomentazioni spese in
quell'occasione dalla Corte, circa la natura impugnatoria del rimedio
e la definitivita' del provvedimento, ove  non  opposto,  si  possano
riferire anche al giudizio di reclamo disciplinato dall'art. 630 cod.
proc. civ. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Con ordinanza del 21 aprile  2022,  iscritta  al  n.  95  del
registro ordinanze 2022,  il  Tribunale  di  Udine,  sezione  seconda
civile, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, primo comma,  111,
secondo comma, e 117, primo comma, Cost., quest'ultimo  in  relazione
all'art.  6,   paragrafo   1,   CEDU,   questioni   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 630, terzo comma, cod.  proc.  civ.,  «nella
parte in cui richiama l'applicazione dell'art. 178, quarto  e  quinto
comma c.p.c., disponendo quindi che il reclamo si propone al  giudice
dell'esecuzione (con  ricorso  o  all'udienza)  e  che  del  collegio
giudicante sul reclamo faccia parte anche il giudice che ha emesso il
provvedimento  reclamato,   anziche'   richiamare   quanto   previsto
dall'art. 669-terdecies,  comma  secondo,  primo  periodo,  c.p.c.  o
dall'art. 186-bis disp. att. c.p.c.». 
    2.- Il giudice a quo riferisce che, nell'ambito di una esecuzione
immobiliare presso il Tribunale di Udine, il giudice  dell'esecuzione
ha  rigettato  l'istanza  di  estinzione  avanzata  dalle   debitrici
esecutate e che, avverso tale ordinanza, le debitrici hanno  proposto
reclamo al collegio ai sensi dell'art. 630, terzo comma,  cod.  proc.
civ. 
    3.- Il Tribunale di Udine lamenta che la  disposizione  censurata
vincoli il magistrato, che si e' pronunciato sull'estinzione in veste
di giudice dell'esecuzione, a partecipare al  collegio  del  reclamo,
anziche' obbligarlo all'astensione. 
    3.1.- In punto di rilevanza, il rimettente sostiene che la  norma
processuale censurata viene «in diretta applicazione» nel giudizio  a
quo, in quanto determina la  composizione  del  collegio  giudicante,
atteso che ne fa effettivamente parte il giudice-persona  fisica  che
ha emanato l'ordinanza reclamata. 
    3.2.- In ordine alla non manifesta infondatezza, il giudice a quo
ravvisa, in primo luogo, una irragionevole disparita' di trattamento,
in contrasto con l'art. 3 Cost., fra la disposizione censurata e  gli
artt. 186-bis disp. att. cod. proc.  civ.  e  669-terdecies,  secondo
comma,  primo  periodo,  cod.  proc.  civ.,  i  quali  prevedono   la
necessaria alterita' fra il giudice che  emette  il  provvedimento  e
quello chiamato a pronunciarsi sull'opposizione o sul reclamo avverso
lo stesso. 
    In secondo luogo, il rimettente  ritiene  che  la  partecipazione
obbligatoria del giudice dell'esecuzione al  giudizio  di  reclamo  e
l'omessa previsione della sua incompatibilita'  arrechino  un  vulnus
all'art. 111 Cost., secondo comma, Cost.,  la'  dove  «prescrive  che
ogni processo si svolga dinanzi a un giudice imparziale». 
    Infine, il giudice a quo denuncia un contrasto  con  l'art.  117,
primo comma, Cost., in relazione all'art. 6, paragrafo 1, CEDU, nella
parte in cui «afferma il  diritto  di  ogni  persona  a  che  il  suo
processo si svolga dinanzi ad un tribunale "imparziale"». 
    4.- L'Avvocatura generale dello Stato ha chiesto che le questioni
di legittimita' costituzionale siano dichiarate inammissibili  e,  in
ogni caso, non fondate. 
    5.- In rito, la difesa statale ha sollevato due eccezioni. 
    5.1.- Con la prima, ha rilevato che  il  rimettente  non  avrebbe
chiarito la ragione giustificativa dell'estinzione del processo nella
fattispecie sottoposta al suo esame. Tale omissione inciderebbe sulla
rilevanza, in quanto il rimedio del reclamo avverso il  provvedimento
di estinzione opererebbe solo per le ipotesi di estinzione  tipica  e
non per  quelle  di  estinzione  cosiddetta  atipica,  per  le  quali
andrebbe proposta l'opposizione agli atti esecutivi. 
    Nel caso  in  esame,  posto  che  le  questioni  di  legittimita'
costituzionalita' sollevate  verrebbero  «in  rilievo  esclusivamente
nell'ipotesi dell'effettiva ammissibilita' del reclamo ex  art.  630,
terzo comma  c.p.c.»,  non  sussisterebbero  «i  presupposti  di  una
compiuta   valutazione   della   rilevanza   della   questione».   In
particolare, secondo l'Avvocatura dello Stato, non sarebbero decisive
«ne' la qualificazione data dal G.E. al  provvedimento  adottato  ne'
quella data dalla parte  al  rimedio  in  concreto  esperito,  bensi'
quella offerta dal giudice "dell'impugnazione" nella decisione resa». 
    5.1.1.- L'eccezione non e' fondata. 
    Il  giudice  dell'impugnazione,  nel  promuovere   questioni   di
legittimita' costituzionale dell'art. 630, terzo  comma,  cod.  proc.
civ. e nel motivare la  loro  rilevanza,  sottintende  che  la  causa
estintiva su cui e' chiamato a giudicare sia proprio quella  regolata
da tale disposizione, riferita all'estinzione per  inattivita'  delle
parti. 
    Per  converso,  mancano  nell'ordinanza  elementi  idonei  a  far
ritenere di essere in presenza di  fattispecie  concrete  diverse  da
quella espressamente disciplinata dall'art. 630 cod. proc.  civ.,  il
che esclude in radice il problema di stabilire se trovi  applicazione
detta  disposizione  o  quella  relativa  all'opposizione  agli  atti
esecutivi. 
    Ne' puo' condividersi il  rilievo  dell'Avvocatura  dello  Stato,
secondo cui il rimettente non avrebbe  qualificato  il  provvedimento
impugnato. Nel motivare la rilevanza delle questioni di  legittimita'
costituzionale dell'art.  630,  terzo  comma,  cod.  proc.  civ.,  il
giudice  a   quo   ha,   infatti,   inequivocabilmente   operato   un
inquadramento normativo riferito alla citata disposizione e ha  cosi'
riconosciuto  la  correttezza  della  qualifica  data   dal   giudice
dell'esecuzione e dalle reclamanti. 
    In definitiva, gli argomenti desumibili  dall'ordinanza  superano
il vaglio di  non  implausibilita'  che  questa  Corte  richiede  per
ritenere ammissibili le questioni sotto il  profilo  della  rilevanza
(ex multis, sentenze n. 193 e n. 88 del 2022 e n. 194 del 2021). 
    5.2.- Quanto alla  seconda  eccezione  sollevata  in  rito  dalla
difesa  statale,  essa  contesta  il   carattere   apodittico   della
motivazione sulla impraticabilita' di una interpretazione conforme  a
Costituzione della disposizione censurata. In particolare, secondo la
difesa statale,  il  coordinamento  normativo  dell'art.  630,  terzo
comma, cod. proc. civ. con l'art. 178, commi quarto  e  quinto,  cod.
proc.   civ.   non   imporrebbe   affatto   la   partecipazione   del
giudice-persona fisica, che ha  adottato  l'ordinanza  reclamata,  al
collegio chiamato a giudicare sul reclamo. 
    5.2.1.- Anche la seconda eccezione non e' fondata. 
    In ordine alla rilevanza,  questa  Corte  -  come  gia'  ribadito
(supra, punto 5.1.1.) - si limita a operare uno  scrutinio  meramente
esterno,    volto    a    verificare    la    non     implausibilita'
dell'interpretazione  posta  dal   giudice   a   quo   a   fondamento
dell'incidente di legittimita' costituzionale. 
    Nel caso in esame, e' vero  che  le  disposizioni  censurate  non
prevedono espressamente  la  necessaria  partecipazione  del  giudice
dell'esecuzione al giudizio di reclamo. 
    Tuttavia, non e' implausibile desumere dal rinvio dell'art.  630,
terzo comma, cod. proc. civ. ai commi quarto e quinto  dell'art.  178
cod. proc.  civ.,  e  in  particolare  dall'attribuzione  al  giudice
dell'esecuzione del ruolo riferito  al  giudice  istruttore,  la  sua
necessaria partecipazione al collegio che giudica il reclamo. 
    Inoltre, va  comunque  sottolineato  che  la  censura  mossa  dal
rimettente e' diretta nei confronti della norma non soltanto perche',
a suo dire, contemplerebbe la suddetta  partecipazione  obbligatoria,
ma anche perche'  ometterebbe  di  escludere  la  partecipazione  del
giudice dell'esecuzione al collegio del reclamo. 
    E, a tal  riguardo,  non  e'  implausibile  quanto  argomenta  il
giudice a quo,  sostenendo  che  la  fattispecie  al  suo  esame  non
«costituisc[a] tecnicamente "altro grado del medesimo processo"», si'
da consentire l'applicazione dell'art. 51, primo  comma,  numero  4),
cod. proc. civ. 
    6.- Nel merito, questa Corte - avvalendosi del potere di decidere
discrezionalmente e insindacabilmente  l'ordine  delle  questioni  da
affrontare (ex plurimis, sentenze n. 246 del 2020; n. 258  del  2019;
n. 148 del 2018) - ritiene di dover esaminare in via  prioritaria  il
dubbio  di  legittimita'  costituzionale  sollevato  in   riferimento
all'art. 111, secondo comma, Cost. 
    7.- La questione e' fondata. 
    8.- E' importante ribadire - nel solco  della  giurisprudenza  di
questa Corte - che  il  «principio  di  imparzialità-terzieta'  della
giurisdizione  ha  pieno  valore  costituzionale  con  riferimento  a
qualunque tipo di processo (sentenze n.  51  del  1998;  n.  326  del
1997)» (sentenza n. 387 del 1999). 
    Corollario del  principio  e'  «l'esigenza  che  il  giudice  non
subisca  la  "forza  della  prevenzione"  derivante   da   precedenti
valutazioni relative alla stessa res iudicanda» (ordinanza n. 168 del
2002; nello stesso senso, ordinanza n. 28 del 2023 e sentenza n.  176
del 2001). 
    Vero e' che questa Corte ha  sottolineato  come,  in  materia  di
imparzialità-terzieta', non si possano applicare «al processo  civile
ed ai processi amministrativi e tributari i  principi  elaborati  con
riferimento al processo penale, e segnatamente [le]  incompatibilita'
di cui all'art. 34  del  codice  procedura  penale,  diverse  essendo
natura, struttura e funzione del processo penale (sentenze n. 326 del
1997, n. 51 del 1998, n. 363 del 1998 e, da ultimo, n. 78 del  2002)»
(ordinanza n. 497 del 2002; piu'  di  recente,  nello  stesso  senso,
sentenza n. 78 del 2015). 
    Nondimeno, la giurisprudenza costituzionale ha riconosciuto  che,
anche con riferimento al processo civile, l'art. 111, secondo  comma,
Cost. ha rilevanti implicazioni. 
    In particolare, il principio induce a escludere che  il  medesimo
giudice   possa   «ripercorrere    l'identico    itinerario    logico
precedentemente seguito; sicche',  condizione  necessaria  per  dover
ritenere una incompatibilita' endoprocessuale e' la  preesistenza  di
valutazioni che cadano sulla stessa res iudicanda (cfr.  sentenza  n.
131 del 1996)» (sentenza n. 387 del 1999). 
    8.1.- Facendo applicazione del principio, questa Corte,  chiamata
in passato a pronunciarsi sulla legittimita' costituzionale dell'art.
51, comma 1, numero 4), cod. proc. civ., che disciplina l'obbligo  di
astensione per il giudice che  «"ha  conosciuto"  della  causa  "come
magistrato  in  altro  grado  del   processo"»,   ha   ritenuto   che
l'«espressione "altro grado" non [possa] avere un ambito ristretto al
solo diverso  grado  del  processo,  secondo  l'ordine  degli  uffici
giudiziari, come previsto dal [relativo]  ordinamento»  (sentenza  n.
460 del  2005;  nello  stesso  senso,  sentenza  n.  387  del  1999).
Viceversa, la Corte ha sostenuto che la nozione debba  «ricomprendere
- con una interpretazione conforme a Costituzione  -  anche  la  fase
che, in un processo civile, si succede con  carattere  di  autonomia,
avente contenuto impugnatorio, caratterizzata [...] da pronuncia  che
attiene al medesimo oggetto e alle stesse valutazioni  decisorie  sul
merito dell'azione proposta nella prima fase, ancorche'  avanti  allo
stesso organo giudiziario» (ancora sentenza n. 460 del 2005). 
    L'intrinseca  natura  impugnatoria  viene,  pertanto,  ravvisata,
innanzitutto, nell'avere «il provvedimento soggetto  a  revisio  "una
funzione decisoria idonea di per se'  a  realizzare  un  assetto  dei
rapporti tra le parti, non  meramente  incidentale  o  strumentale  e
provvisorio ovvero interinale (fino alla decisione  del  merito),  ma
anzi suscettibile - in caso di  mancata  opposizione  -  di  assumere
valore di pronuncia definitiva,  con  effetti  di  giudicato  tra  le
parti"».  Inoltre,  la  medesima  natura  impugnatoria  si  inferisce
dall'«essere "la valutazione  delle  condizioni  che  legittimano  il
provvedimento" non divergente, quanto a parametri  di  giudizio,  "da
quella che deve compiere il giudice  dell'eventuale  opposizione,  se
non  per  il  carattere  del  contraddittorio  e   della   cognizione
sommaria"» (sentenza n. 460 del  2005,  che  nuovamente  riprende  la
sentenza n. 387 del 1999). 
    8.2.- Nel corso del tempo, il legislatore e' poi  intervenuto  in
numerose occasioni al fine di assicurare,  nell'ambito  del  processo
civile, l'imparzialita' rispetto a  mezzi  espressamente  qualificati
come reclami e a cui, in buona parte delle ipotesi, puo' riconoscersi
una natura impugnatoria, ancorche' si propongano dinanzi al  medesimo
ufficio giudiziario. 
    8.2.1.- Si tratta di interventi che hanno  riguardato  molteplici
procedimenti: di natura cautelare (art. 669-terdecies, secondo comma,
cod. proc. civ., introdotto dall'art. 74, comma  2,  della  legge  26
novembre 1990, n. 353, recante «Provvedimenti urgenti per il processo
civile»  e  modificato  dall'art.  108  del  decreto  legislativo  19
febbraio 1998, n. 51, recante «Norme in materia  di  istituzione  del
giudice  unico  di  primo  grado»);   relativi   all'apertura   della
successione (art. 749, terzo comma, cod. proc. civ., come  modificato
dall'art. 113, comma 1, lettera  c,  del  d.lgs.  n.  51  del  1998);
inerenti alle procedure  concorsuali  in  senso  stretto  (artt.  25,
secondo comma, e 99, decimo comma, del regio decreto 16  marzo  1942,
n.  267,  recante  «Disciplina   del   fallimento,   del   concordato
preventivo, dell'amministrazione  controllata  e  della  liquidazione
coatta amministrativa», come sostituiti rispettivamente dall'art.  22
del decreto legislativo  9  gennaio  2006,  n.  5,  recante  «Riforma
organica  della  disciplina  delle  procedure  concorsuali  a   norma
dell'articolo 1, comma 5, della  legge  14  maggio  2005,  n.  80»  e
dall'art. 6, comma 4, del decreto legislativo 12 settembre  2007,  n.
169, recante «Disposizioni integrative e correttive al regio  decreto
16 marzo 1942, n. 267, nonche' al decreto legislativo 9 gennaio 2006,
n. 5,  in  materia  di  disciplina  del  fallimento,  del  concordato
preventivo e  della  liquidazione  coatta  amministrativa,  ai  sensi
dell'articolo 1, commi 5, 5-bis e 6, della legge 14 maggio  2005,  n.
80»); concernenti la composizione delle crisi  da  sovraindebitamento
(artt. 10, comma 6, 11, comma 5, 12, comma 4, e 14,  comma  5,  della
legge 27 gennaio 2012, n. 3,  recante  «Disposizioni  in  materia  di
usura e  di  estorsione,  nonche'  di  composizione  delle  crisi  da
sovraindebitamento», come modificata  dal  decreto-legge  18  ottobre
2012, n. 179, recante «Ulteriori misure urgenti per la  crescita  del
Paese», convertito, con modificazioni, nella legge 17 dicembre  2012,
n. 221). 
    Anche di recente, il legislatore ha introdotto una nuova  ipotesi
di incompatibilita' con l'art. 3, comma 50, del  decreto  legislativo
10 ottobre 2022, n. 149 (Attuazione della legge 26 novembre 2021,  n.
206, recante delega al Governo per l'efficienza del processo civile e
per la revisione della  disciplina  degli  strumenti  di  risoluzione
alternativa delle controversie e misure urgenti di  razionalizzazione
dei procedimenti in materia di diritti delle persone e delle famiglie
nonche' in materia di esecuzione forzata), che ha  modificato  l'art.
739, primo comma, cod. proc. civ., relativo ai procedimenti in camera
di consiglio in materia  di  famiglia  e  stato  delle  persone.  Nel
prevedere che, avverso i decreti  del  giudice  tutelare  non  aventi
contenuto patrimoniale o gestorio, e' ammesso reclamo al tribunale in
composizione collegiale, la disposizione appena richiamata stabilisce
espressamente che «[d]el collegio non puo' fare parte il giudice  che
ha emesso il provvedimento reclamato». 
    Infine, la stessa fattispecie che regola l'opposizione agli  atti
esecutivi, e che  trova  applicazione  anche  alle  cause  cosiddette
atipiche di estinzione del processo esecutivo, ha visto  l'intervento
del legislatore che, con l'art. 52 della legge 18 giugno 2009, n.  69
(Disposizioni per  lo  sviluppo  economico,  la  semplificazione,  la
competitivita' nonche' in materia di processo civile), ha  introdotto
l'art.  186-bis  disp.  att.  cod.  proc.   civ.   Quest'ultimo,   in
particolare, dispone che  il  giudizio  di  opposizione  deve  essere
trattato da «un magistrato diverso da quello che ha conosciuto  degli
atti avverso i quali e' stata proposta opposizione». 
    8.2.2.- La tecnica con  cui  e'  intervenuto  il  legislatore  e'
stata, dunque,  quella  della  tipizzazione  delle  fattispecie,  con
l'adozione di formule  che  variamente  escludono  dalla  trattazione
dell'opposizione o dalla partecipazione al collegio  del  reclamo  il
giudice che ha emanato il provvedimento opposto o reclamato. 
    La Corte di cassazione, chiamata a pronunciarsi su  alcune  delle
citate ipotesi,  ha  chiarito  trattarsi  di  una  specificazione  di
obblighi di astensione per il giudice, dai quali consegue la facolta'
per le parti di far valere la ricusazione, ai sensi dell'art. 52 cod.
proc. civ. (Corte di cassazione, sezioni unite  civili,  sentenza  20
gennaio 2017, n. 1545;  nonche'  sezione  terza  civile,  sentenze  9
aprile 2015, n. 7121 e sezione  sesta  civile  28  ottobre  2014,  n.
22854, con riferimento all'art. 186-bis, disp. att. cod. proc.  civ.;
sezione prima civile, ordinanza 15 aprile 2019, n. 10492, sentenze  9
novembre 2016, n. 22835 e 4 dicembre 2015, n. 24718,  in  materia  di
opposizione  al  decreto  che  dichiara  l'esecutivita'  dello  stato
passivo fallimentare). 
    9.-   Nell'odierno   giudizio,   il   rimettente   dubita   della
legittimita' costituzionale della norma che regola il reclamo avverso
l'ordinanza con cui il giudice dell'esecuzione dichiara  l'estinzione
del processo per inattivita'  delle  parti  (o  per  le  altre  cause
tipiche di estinzione) ovvero rigetta la relativa eccezione. 
    L'art.  630,  terzo  comma,  cod.  proc.  civ.  dispone  che   la
proposizione del reclamo e' ammessa, da  parte  del  debitore  o  del
creditore pignorante ovvero degli altri  creditori  intervenuti,  con
l'osservanza delle forme di cui all'art. 178, commi terzo,  quarto  e
quinto, cod. proc. civ. e che il tribunale in composizione collegiale
provvede in camera di consiglio con sentenza. 
    A sua volta, il rinvio ai commi quarto  e  quinto  dell'art.  178
cod. proc. civ. comporta che il reclamo  sia  presentato  al  giudice
dell'esecuzione - cosi' dovendosi intendere, nell'economia  dell'art.
630 cod. proc. civ., il riferimento al giudice istruttore -, il quale
provvede ad assegnare alle parti i termini per le necessarie  difese,
scaduti i  quali  «il  collegio  provvede  entro  i  quindici  giorni
successivi». 
    Ebbene,  premesso  che  il  reclamo  ha  quale  destinatario   il
tribunale  in  composizione  collegiale,  l'aver  previsto   la   sua
proposizione al giudice dell'esecuzione se, da un  lato,  non  depone
nel  senso  della  obbligatorieta'  di  una  sua  partecipazione   al
collegio, da un altro lato, certamente non  lascia  inferire  un  suo
obbligo di astensione e la possibilita' di una sua ricusazione. 
    Queste,  viceversa,  si  renderebbero   necessarie,   ove   fosse
implicato il principio di imparzialità-terzieta' del giudice. 
    10.- Occorre, a questo punto, precisare che le istanze  correlate
al principio di imparzialità-terzieta' del giudice,  nell'ambito  del
processo  civile,  possono  ben  transitare  anche   attraverso   una
interpretazione sistematica e adeguatrice alla Costituzione dell'art.
51, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., relativamente alla nozione di
«altro grado del processo». 
    Nondimeno le  esigenze  di  certezza,  particolarmente  avvertite
nella  materia  processuale,  unitamente   alla   varieta'   e   alla
peculiarita' delle ipotesi potenzialmente  riconducibili  alla  ratio
del gravame interno allo stesso ufficio giudiziario - come attesta il
diffondersi di previsioni legislative che tipizzano la norma generale
- sono tali da rendere la pronuncia additiva,  invocata  dal  giudice
rimettente, un rimedio funzionale alle citate esigenze. 
    E invero questa Corte e' stata chiamata a  valutare  proprio  con
riguardo  alla  peculiare   disciplina   del   reclamo,   avverso   i
provvedimenti in materia di estinzione  del  processo  esecutivo  per
cause  tipiche,   l'eventuale   contrasto   con   il   principio   di
imparzialità-terzieta'. 
    E', dunque, tenuta a verificare se sussistano i  presupposti  per
aggiungere una ulteriore, espressa ipotesi  di  incompatibilita'  del
giudice, tale  da  implicare  un  suo  obbligo  di  astensione  e  la
conseguente facolta' per le parti di ricusazione, ai sensi  dell'art.
52 cod. proc. civ. Come gia' ribadito da questa Corte, infatti, «[l]e
insopprimibili esigenze di imparzialita' del giudice sono risolvibili
nel processo civile - per le sue  caratteristiche  -  attraverso  gli
istituti della astensione e della ricusazione civile  (ordinanze  nn.
359 del 1998 e 356 del 1997 e sentenza n. 326 del 1997)» (sentenza n.
387 del 1999 e nello stesso senso sentenza n. 460 del 2005). 
    11.- Tanto premesso, occorre ricostruire il tipo di rapporto  che
intercorre fra il  giudizio  svolto  dal  giudice  dell'esecuzione  e
quello che e' chiamato a operare il collegio in sede di reclamo. 
    Sulla relazione fra questi  due  giudizi  si  sono  espresse,  di
recente, sia pure per finalita' diverse rispetto a quelle  in  esame,
le sezioni unite civili della Corte di cassazione (sentenza 10  marzo
2022, n. 7877), che hanno posto in luce importanti indici ermeneutici
volti a escludere i tratti del procedimento meramente bifasico. 
    In primo  luogo,  viene  evidenziata  la  discontinuita'  fra  il
provvedimento del giudice  dell'esecuzione  e  il  reclamo,  «che  si
dipana sullo sfondo dell'esecuzione forzata, ma del tutto al di fuori
di essa» (cosi' la gia' citata sentenza della Corte di cassazione  n.
7877 del 2022),  aprendo  «un  giudizio  sul  contrapposto  interesse
sostanziale dei creditori e del debitore a  conseguire  il  risultato
utile   dell'espropriazione   ovvero   a   riottenere    la    libera
disponibilita' dei beni pignorati o di quanto e' stato ricavato dalla
loro espropriazione» (ancora sentenza n. 7877 del  2022,  richiamando
Corte di cassazione, sezione terza civile, sentenza 1°  luglio  2005,
n. 14096). 
    In secondo luogo, viene sottolineato che il reclamo  palesa  «una
chiara natura impugnatoria», in ragione del fatto che, «se  esso  non
e' proposto nei termini previsti, la decisione gia' adottata in punto
di estinzione si stabilizza» (Corte di cassazione, sentenza  n.  7877
del 2022), il che si traduce nella chiusura del processo esecutivo  -
con le conseguenze che ne derivano ai sensi dell'art. 632 cod.  proc.
civ.,  a  partire  dalla   cancellazione   della   trascrizione   del
pignoramento - o  nella  irrevocabilita'  della  decisione  reiettiva
della eccezione. 
    Questa Corte, nel  prendere  atto  del  rilievo  che  il  diritto
vivente assegna ai citati indici  ermeneutici,  riscontra  la  natura
lato sensu impugnatoria propria del  reclamo  di  cui  all'art.  630,
terzo comma, cod. proc. civ.,  corroborata  dalla  identita'  di  res
iudicanda oggetto dei due pronunciamenti, i quali parimenti esaminano
la ricorrenza o meno delle cause tipiche di estinzione  del  processo
esecutivo. 
    Ne' puo' ritenersi ostativa,  rispetto  a  tale  conclusione,  la
circostanza che il giudice  dell'esecuzione  puo'  pronunciare  anche
d'ufficio l'estinzione del processo, mentre il giudizio di reclamo si
svolge previa instaurazione del  contraddittorio  tra  le  parti.  Si
tratta, infatti,  in  ogni  caso  di  un  contraddittorio  di  natura
semplificata e cartolare, tale da determinare una  delibazione  delle
ragioni di estinzione del processo esecutivo, che non  differisce  in
modo sostanziale da  quella  compiuta  dal  giudice  dell'esecuzione.
Questo conferma quel meccanismo di reiterazione  provvedimentale,  in
cui puo' sprigionarsi la forza della prevenzione in termini  contrari
alle garanzie costituzionali. 
    In sostanza, il reclamo sollecita una revisio prioris instantiae,
che devolve al collegio lo stesso  tipo  di  valutazione  sottesa  al
provvedimento adottato dal giudice dell'esecuzione. 
    I tratti sopra evidenziati inscrivono,  dunque,  il  giudizio  di
reclamo fra i procedimenti di natura lato sensu  impugnatoria,  cosi'
attraendolo nella cornice delle garanzie costituzionali  in  tema  di
terzietà-imparzialita'  del  giudice,  che  si  protendono  sino   al
processo  esecutivo  volto  «a  rendere  effettiva  l'attuazione  dei
provvedimenti giurisdizionali» (ex multis, sentenza n. 321 del  1998;
nello stesso senso, sentenze n. 128 del 2021 e n. 522 del 2002). 
    12.- In conclusione, l'art. 630, terzo comma, cod. proc. civ., e'
costituzionalmente illegittimo nella parte  in  cui  stabilisce  che,
contro l'ordinanza che dichiara l'estinzione del  processo  esecutivo
ovvero rigetta la relativa eccezione, e' ammesso reclamo al  collegio
con l'osservanza delle forme di cui  all'art.  178,  commi  quarto  e
quinto, cod. proc. civ., senza prevedere che del collegio  non  possa
far parte il giudice che ha emanato il provvedimento reclamato. 
    Ne  conseguono  l'obbligo  per  il  giudice  dell'esecuzione   di
astenersi e la facolta' per le parti di ricusarlo, ai sensi dell'art.
52 cod. proc. civ. 
    Sono assorbite le ulteriori censure.