ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale degli artt. 1,  comma
1, primo periodo, e 13, comma 1, del decreto legislativo 18  dicembre
1997, n. 471, recante «Riforma delle sanzioni tributarie  non  penali
in materia di imposte dirette, di imposta sul valore  aggiunto  e  di
riscossione dei tributi, a norma dell'articolo 3, comma 133,  lettera
q), della legge 23 dicembre 1996, n. 662», promosso dalla Commissione
tributaria provinciale di Bari nel procedimento vertente tra Trade  &
Real Estate srl e l'Agenzia delle entrate - Direzione provinciale  di
Bari, con ordinanza del 25 marzo 2022, iscritta al n. 54 del registro
ordinanze 2022 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 21, prima serie speciale, dell'anno 2022. 
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nella camera di consiglio del 25 gennaio  2023  il  Giudice
relatore Luca Antonini; 
    deliberato nella camera di consiglio del 6 febbraio 2023. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza del 25 marzo 2022 (r.o. n.  54  del  2022),  la
Commissione  tributaria  provinciale  di  Bari   ha   sollevato,   in
riferimento agli artt. 3, 53 e 76 della  Costituzione,  questioni  di
legittimita' costituzionale degli artt. 1, comma 1, primo periodo,  e
13, comma 1, del  decreto  legislativo  18  dicembre  1997,  n.  471,
recante «Riforma delle sanzioni tributarie non penali in  materia  di
imposte dirette, di imposta sul valore aggiunto e di riscossione  dei
tributi, a norma dell'articolo 3, comma 133, lettera q), della  legge
23 dicembre 1996, n. 662». 
    1.1.- L'art. 1, comma 1, primo periodo, del  d.lgs.  n.  471  del
1997, nella versione successiva alle  modifiche  apportate  dall'art.
15, comma 1, lettera a), del decreto legislativo 24  settembre  2015,
n.158   (Revisione   del   sistema   sanzionatorio,   in   attuazione
dell'articolo 8, comma 1, della legge 11 marzo 2014, n. 23),  prevede
che «[n]ei casi di omessa presentazione della dichiarazione  ai  fini
delle imposte sui redditi e dell'imposta  regionale  sulle  attivita'
produttive, si applica la sanzione amministrativa dal  centoventi  al
duecentoquaranta per cento dell'ammontare delle imposte  dovute,  con
un minimo di euro 250». 
    1.2.- A sua volta l'art. 13, comma 1, del d.lgs. n. 471 del 1997,
dispone che «[c]hi non esegue, in tutto o in parte,  alle  prescritte
scadenze,  i  versamenti  in  acconto,  i  versamenti  periodici,  il
versamento di conguaglio o  a  saldo  dell'imposta  risultante  dalla
dichiarazione, detratto in questi  casi  l'ammontare  dei  versamenti
periodici e in acconto,  ancorche'  non  effettuati,  e'  soggetto  a
sanzione amministrativa pari al trenta per cento di ogni importo  non
versato, anche quando, in seguito alla correzione di errori materiali
o di calcolo  rilevati  in  sede  di  controllo  della  dichiarazione
annuale,  risulti  una  maggiore  imposta  o  una  minore   eccedenza
detraibile. Per i versamenti effettuati con un ritardo non  superiore
a novanta giorni, la sanzione di cui  al  primo  periodo  e'  ridotta
della  meta'.  Salva  l'applicazione  dell'articolo  13  del  decreto
legislativo 18 dicembre 1997, n. 472, per i versamenti effettuati con
un ritardo non superiore a quindici giorni, la  sanzione  di  cui  al
secondo periodo e' ulteriormente ridotta  a  un  importo  pari  a  un
quindicesimo per ciascun giorno di ritardo». 
    1.3.- Il giudice rimettente riferisce che le questioni sono sorte
nel corso di un  giudizio  riguardante  due  avvisi  di  accertamento
emessi  dall'Agenzia  delle  entrate  nei  confronti  della  societa'
consolidante Trade & Real Estate srl, con riferimento  agli  anni  di
imposta 2014 e 2015, non avendo essa  provveduto  alla  presentazione
della dichiarazione dei redditi relativa al consolidato fiscale,  pur
avendo presentato la propria (come emerge dal  fascicolo),  come  del
resto le consolidate, per le quali e' pacifico  che  a  tale  obbligo
«hanno ottemperato». 
    In particolare, il giudice a quo chiarisce che con i  due  avvisi
sono stati accertati redditi imponibili pari a euro  54.440,00  (anno
2014) e 3.815.165,00 (anno 2015)  e  comminate  sanzioni  per  omessa
presentazione delle dichiarazioni dei redditi,  rispettivamente,  per
euro 17.637,60 e 1.256.652,00, pari al  centoventi  per  cento  delle
imposte accertate. 
    Il rimettente precisa,  pero',  che  la  societa'  ricorrente  ha
dimostrato  «di  avere  pagato  integralmente  le  imposte   dovute»,
unitamente agli interessi e alle sanzioni «ridotte», «avvalendosi del
ravvedimento operoso» e in ogni caso «prima di ricevere gli avvisi di
accertamento impugnati». 
    Nel riferire lo svolgimento dei fatti di causa il giudice  a  quo
evidenzia che la  prima  doglianza  della  societa'  consolidante  ha
riguardato la circostanza che la sanzione  per  omessa  dichiarazione
dei redditi, applicata nei  suoi  confronti,  e'  stata  quantificata
dall'Agenzia delle entrate, ai sensi  dell'art.  1,  comma  1,  primo
periodo, del d.lgs. n. 471 del 1997, nella misura del centoventi  per
cento  delle  «imposte  accertate»,  invece  che  «di  quelle  ancora
dovute», con una iniqua applicazione della norma citata. 
    La seconda doglianza, invece, e' imperniata sulla circostanza che
l'Agenzia delle entrate non ha  ritenuto  operante  il  «ravvedimento
operoso effettuato ai sensi dell'art. 13 del d.lgs. 18 dicembre  1997
n. 471 [recte: 472] perche' a suo dire consentito solo  nel  caso  di
omesso  o   tardivo   pagamento   delle   imposte   liquidate   nella
dichiarazione dei redditi, e percio' incompatibile con  l'ipotesi  di
omessa dichiarazione». 
    2.- Quanto alla rilevanza,  il  rimettente  evidenzia  che  «[i]l
dubbio di legittimita' costituzionale  della  normativa  indicata  e'
rilevante ai fini della decisione del presente  giudizio,  che  verte
principalmente sulla applicazione delle sanzioni da esse previste». 
    3.- In punto di non manifesta infondatezza  delle  questioni,  il
giudice a quo premette, in particolare,  che  questa  Corte,  con  la
sentenza n. 194 del 1995, avrebbe gia'  evidenziato  che  l'art.  10,
secondo comma, punto 11), della legge 9 ottobre 1971, n. 825  (Delega
legislativa al Governo della Repubblica per la  riforma  tributaria),
aveva  previsto  la  commisurazione  delle  sanzioni   «all'effettiva
entita'  oggettiva  e  soggettiva  delle  violazioni».  La  pronuncia
avrebbe  quindi  stigmatizzato,  in  tema  di  sanzioni  per   omessa
dichiarazione del sostituto d'imposta, ma  nell'ipotesi  in  cui  sia
stato regolarmente versato  l'ammontare  complessivo  delle  ritenute
d'acconto, «l'incongruenza dell'attuale sistema che  assoggetta  alla
medesima sanzione fattispecie in  realta'  fra  loro  diverse,  senza
distinguere in  ragione  della  loro  maggiore  o  minore  gravita'».
Infine,  essa  avrebbe  espresso   «l'auspicio   di   un   intervento
legislativo che conferisca al  sistema  l'invocata  razionalita',  in
modo da eliminare gli inconvenienti che e'  dato  obbiettivamente  di
riscontrare nella normativa vigente». 
    3.1.- Tali auspici sarebbero pero'  rimasti  «ad  oggi  privi  di
effetto»,  al  punto  di  indurre  la  CTP  a  sollevare  le  odierne
questioni, data  l'impossibilita'  «di  disporre  [...]  una  diversa
applicazione, c.d. "costituzionalmente  orientata"»,  non  consentita
dalla lettera della legge, di ciascuna delle disposizioni censurate. 
    4.- La CTP dubita della legittimita' costituzionale dell'art.  1,
comma 1, primo periodo, del d.lgs. n. 471 del 1997,  sotto  un  primo
profilo, con riferimento all'art. 3 Cost., con riguardo  ai  principi
di eguaglianza, proporzionalita' e ragionevolezza nella parte in  cui
prevede che, ove all'omessa  presentazione  della  dichiarazione  dei
redditi faccia comunque seguito, prima della ricezione dell'avviso di
accertamento, il versamento spontaneo dell'imposta, la  sanzione  dal
centoventi al duecentoquaranta  per  cento  si  applichi  sull'intero
ammontare «di tutte le imposte dovute sulla base della  dichiarazione
omessa», anziche' solo sull'«importo residuo delle imposte da versare
da parte del contribuente». 
    Dovrebbe, infatti, rimanere ben  distinta  l'«offensivita'  della
condotta di chi omette la presentazione della dichiarazione  al  fine
di evadere il pagamento delle imposte» da quella di chi,  pur  avendo
omesso  la  presentazione  della  dichiarazione  dei  redditi,  «paga
spontaneamente le imposte pur senza un previo accertamento fiscale». 
    Invece, la sanzione prevista dall'art. 1, comma 1, primo periodo,
del d.lgs. n. 471 del  1997  «colpisce  indiscriminatamente»,  «senza
alcun riguardo all'entita' oggettiva e  soggettiva  della  violazione
commessa, sottoponendo cosi' al  medesimo  trattamento  condotte  fra
loro diverse e aventi conseguenze diverse». 
    In altri termini la suddetta previsione normativa ancorerebbe «la
sanzione al criterio meramente formale  ed  estrinseco  della  omessa
presentazione  della  dichiarazione  fiscale,  invece  che  a  quello
sostanziale  dell'ostacolo  all'accertamento  e  della  evasione  del
pagamento dell'imposta». 
    Osserva, quindi, il rimettente che la condotta  del  contribuente
che, pur non presentando la dichiarazione  dei  redditi,  effettui  i
pagamenti  per  intero,  prima   della   ricezione   dell'avviso   di
accertamento, sarebbe all'evidenza meno grave di quella di  chi,  non
soltanto ometta la presentazione della dichiarazione dei  redditi  ma
anche il pagamento delle imposte. 
    4.1.- L'art. 3 Cost., per la CTP, subirebbe un vulnus anche sotto
un ulteriore profilo, in quanto scoraggerebbe l'adempimento  tardivo,
ma spontaneo, del pagamento delle imposte, demotivando i contribuenti
che non ne ricaverebbero alcun vantaggio. 
    5.- La norma censurata contrasterebbe, poi, anche con i parametri
costituzionali  di  cui  agli  artt.  53  e  76  Cost.,   in   quanto
divergerebbe «dallo scopo indicato  dalla  legge  delega  di  riforma
tributaria n. 825/1971» e in particolare da quello di commisurare  le
sanzioni  «all'effettiva  entita'  oggettiva   e   soggettiva   delle
violazioni». 
    6.- «Per  gli  stessi  motivi  sopra  evidenziati»,  prosegue  il
rimettente, non sarebbe ragionevole l'esclusione  dalla  possibilita'
di fruire del «ravvedimento» contemplato «dall'art.  13,  co.  1  del
d.lgs. 18 dicembre 1971 [recte: 1997] n. 471 per il contribuente che,
pur avendo omesso la presentazione della dichiarazione fiscale, abbia
provveduto al versamento spontaneo delle imposte dovute». 
    Tale disposizione sarebbe quindi in contrasto con gli artt. 3, 53
e 76 Cost. «nella parte in cui prevede che solo chi abbia  presentato
la dichiarazione fiscale senza eseguire i prescritti  versamenti  sia
soggetto alla sanzione amministrativa pari al  30%  dell'importo  non
pagato e possa fruire delle riduzioni previste nel caso di versamento
spontaneo e non anche chi abbia omesso di presentare la dichiarazione
fiscale ma abbia poi effettuato  spontaneamente  il  pagamento  delle
imposte   prima   di    ricevere    un    accertamento    da    parte
dell'Amministrazione finanziaria». 
    7.- Nel giudizio e' intervenuto il Presidente del  Consiglio  dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, eccependo preliminarmente l'inammissibilita' delle questioni e
deducendone, comunque, la non fondatezza. 
    7.1.- L'eccepita inammissibilita'  e'  basata,  in  primo  luogo,
sull'asserita insufficiente descrizione della fattispecie concreta. 
    Dall'ordinanza di rimessione -  osserva  sul  punto  l'Avvocatura
generale - non sarebbe possibile comprendere i motivi  che  avrebbero
determinato l'omessa presentazione delle dichiarazioni dei redditi (i
cui termini scadevano, rispettivamente, nel 2015 e nel 2016) per  due
anni consecutivi, ne' il rimettente avrebbe precisato se i versamenti
delle «imposte dovute» siano stati nella specie  eseguiti  a  ridosso
della scadenza dei termini per la presentazione  della  dichiarazione
stessa «o invece due anni dopo»: circostanza,  questa,  che  potrebbe
«avere la sua rilevanza». 
    Il rimettente neppure avrebbe chiarito le  modalita'  di  computo
delle imposte pagate, in quanto, al momento del  pagamento,  non  era
stato emesso alcun avviso  di  accertamento  con  la  quantificazione
delle stesse e ne' vi  era  una  dichiarazione  dei  redditi  da  cui
emergesse l'importo dei vari tributi da versare. 
    Le descritte lacune sarebbero, in definitiva, «di ostacolo ad una
ricostruzione dei fatti sulla cui base valutare eventuali  carenze  -
sotto il profilo costituzionale - della normativa applicabile». 
    7.2.- L'Avvocatura eccepisce l'inammissibilita'  delle  questioni
anche per insufficiente motivazione  sulla  rilevanza,  in  quanto  i
«precedenti»  di  questa  Corte   citati   dal   giudice   rimettente
«riguardano questioni diverse da  quella  oggetto  dell'ordinanza  di
rimessione  oggetto  di  questo  giudizio»,  per  cui  non  sarebbero
sufficienti a motivare le  ragioni  a  sostegno  delle  questioni  di
legittimita'  costituzionale   sollevate,   rendendo   «difficilmente
comprensibile il suo ragionamento». 
    7.3.-   Inoltre,   con   particolare   riferimento   all'asserita
violazione degli artt. 53 e 76 Cost., la difesa dello Stato eccepisce
l'inammissibilita' delle censure per insufficiente motivazione  sulla
non manifesta infondatezza, in quanto l'ordinanza avrebbe  affermato,
in forma dubitativa, che l'art. 1, comma 1, del  d.lgs.  n.  471  del
1997 «sembra ancorare la sanzione al criterio  meramente  formale  ed
estrinseco della omessa presentazione  della  dichiarazione  fiscale,
invece che a  quello  sostanziale  dell'ostacolo  all'accertamento  e
della evasione». 
    7.4.- Le censure  formulate  sarebbero,  poi,  inammissibili  per
omesso esperimento del tentativo di una interpretazione  delle  norme
sospettate in senso costituzionalmente orientato. 
    Infatti, lo stesso giudice  rimettente  avrebbe  evidenziato  che
entrambe  le  disposizioni  in  esame  presenterebbero   aspetti   di
«"ambiguita' interpretativa"» e, pertanto, in presenza di due diverse
possibili interpretazioni, egli avrebbe dovuto  tentare  una  lettura
adeguatrice delle norme censurate, mentre, al contrario,  si  sarebbe
limitato ad affermare, apoditticamente, che «la  Commissione  esclude
la possibilita' di disporre in questa sede una diversa  applicazione,
c.d. "costituzionalmente orientata"». 
    7.5.-  Infine,  le  questioni  di   legittimita'   costituzionale
sarebbero inammissibili, a giudizio della difesa statale, perche'  al
fine dell'auspicata reductio ad legitimitatem sarebbe imprescindibile
un  intervento  del  legislatore  che,   nell'esercizio   della   sua
discrezionalita', dovrebbe graduare le conseguenze delle condotte  in
esame tenendo conto delle «concrete modalita' con cui il contribuente
ha quantificato e  versato  le  imposte  dovute  pur  in  assenza  di
dichiarazione, graduandone le conseguenze sotto il profilo punitivo». 
    7.6.- Nel merito, le questioni sollevate non sarebbero fondate. 
    L'Avvocatura generale prende le mosse dall'art. 1, comma  1,  del
d.lgs. n. 471 del 1997, osservando che il ragionamento del rimettente
in ordine al minor grado di offensivita' del  comportamento  di  chi,
pur non  presentando  la  dichiarazione,  abbia  comunque  pagato  le
imposte, non terrebbe conto della  importanza  e  del  ruolo  che  la
dichiarazione  stessa  svolge  nel  rapporto  tra  lo   Stato   e   i
contribuenti. 
    Nella dichiarazione, infatti, il  contribuente  espone  i  propri
redditi e  calcola  l'imposta  dovuta,  secondo  il  principio  della
autoliquidazione. La  dichiarazione,  quindi,  avrebbe  una  spiccata
rilevanza procedimentale, in quanto  condizionerebbe  l'attivita'  di
controllo dell'amministrazione, i metodi  di  rettifica  del  reddito
dichiarato e il tipo di avviso  di  accertamento  che  dovra'  essere
eventualmente emesso. 
    La presentazione della  dichiarazione  dei  redditi,  precisa  al
riguardo la difesa statale, lungi  dall'essere  un  mero  adempimento
burocratico,    agevola    invero     l'Agenzia     delle     entrate
nell'effettuazione dei controlli sia di natura automatizzata ex  art.
36-bis del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 (Disposizioni  comuni  in
materia di accertamento delle imposte  sui  redditi)  sia  di  natura
formale ex art. 36-ter del medesimo d.P.R. 
    In assenza, quindi, della presentazione della dichiarazione,  per
l'esatta ricostruzione  della  materia  imponibile  l'amministrazione
dovrebbe  espletare  controlli  molto  piu'  impegnativi,  attraverso
attivita'  di  accertamento  complesse,  quali   l'effettuazione   di
accessi,  verifiche  ed  ispezioni,  oppure  mediante  l'esame  delle
scritture contabili, l'invio  di  questionari  e  lo  svolgimento  di
indagini bancarie. Cio' implicherebbe un aggravio degli  accertamenti
sia per la maggiore durata degli stessi, sia per le ingenti spese  da
sopportare, in termini di risorse umane e mezzi da impiegare. 
    Anche dinanzi a  versamenti  spontanei,  quindi,  l'attivita'  di
controllo dell'Agenzia delle entrate sarebbe ostacolata dalla mancata
presentazione della dichiarazione dei redditi. 
    Alla luce di tali considerazioni non  vi  sarebbe  quindi  alcuna
violazione dell'art. 3 Cost. 
    Per le stesse  motivazioni,  ad  avviso  della  difesa  erariale,
nemmeno sarebbero violati gli artt. 53 e 76  Cost.,  quest'ultimo  in
relazione all'art. 10, secondo comma, punto 11), della  legge  delega
n. 825 del 1971. 
    Contrariamente  a  quanto  sostenuto  dal  rimettente,   inoltre,
proprio  in  ragione  del  ruolo  essenziale  assegnato  dal  sistema
tributario alla  dichiarazione  dei  redditi,  correttamente  la  sua
presentazione sarebbe prevista  come  condizione  indispensabile  per
l'applicazione dell'art. 13, comma 1, del d.lgs. n. 471 del 1997 (con
irrogazione della sanzione nella misura  del  trenta  per  cento)  e,
quindi,  sarebbe  giustificata  la   differenza   tra   la   sanzione
disciplinata dall'art. 1, comma 1, primo periodo, del d.lgs.  n.  471
del 1997 (dal centoventi al duecentoquaranta per cento) e la sanzione
di  minore  importo  prevista  per  l'omesso  versamento   di   somme
dichiarate. 
    In definitiva, conclude  l'Avvocatura  generale,  il  legislatore
avrebbe ragionevolmente  esercitato  la  sua  discrezionalita'  nella
determinazione delle condotte illecite e delle relative sanzioni. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- La CTP di Bari, con ordinanza del 25 marzo 2022 (r.o.  n.  54
del 2022) dubita, in riferimento agli artt. 3, 53 e 76  Cost.,  della
legittimita' costituzionale degli artt. 1, comma 1, primo periodo,  e
13, comma 1, del d.lgs. n. 471 del 1997. 
    1.1.- La prima disposizione censurata (nella versione  successiva
alle modifiche apportare dall'art. 15, comma 1, lettera a, del d.lgs.
n. 158 del 2015) prevede che: «[n]ei  casi  di  omessa  presentazione
della dichiarazione ai fini delle imposte sui redditi e  dell'imposta
regionale  sulle  attivita'  produttive,  si  applica   la   sanzione
amministrativa  dal  centoventi   al   duecentoquaranta   per   cento
dell'ammontare delle imposte dovute, con un minimo di euro 250». 
    1.2.-  La   seconda   disposizione,   a   sua   volta,   sancisce
l'irrogazione della sanzione pari al trenta per cento  degli  importi
non versati  per  il  contribuente  che,  dopo  avere  presentato  la
dichiarazione dei redditi, non esegue, in  tutto  o  in  parte,  alle
prescritte scadenze, i pagamenti delle imposte dovute. 
    1.3.- Il giudice rimettente riferisce che le questioni sono sorte
nel corso di un  giudizio  riguardante  due  avvisi  di  accertamento
emessi dalla Agenzia delle entrate  nei  confronti  di  una  societa'
consolidante, con riferimento agli anni di imposta 2014 e  2015,  non
avendo essa provveduto alla  presentazione  della  dichiarazione  dei
redditi relativa al consolidato fiscale,  pur  avendo  presentato  la
propria (come emerge dal fascicolo), come del resto  le  consolidate,
per le quali e' pacifico che a tale obbligo «hanno ottemperato». 
    In particolare, il giudice a quo chiarisce che con i  due  avvisi
sono  state  comminate  sanzioni  per  omessa   presentazione   delle
dichiarazioni dei redditi,  rispettivamente,  per  euro  17.637,60  e
1.256.652,00, pari al centoventi per cento delle imposte accertate. 
    La CTP precisa, pero', che la societa' ricorrente  ha  dimostrato
«di avere pagato integralmente le imposte  dovute»,  unitamente  agli
interessi e alle sanzioni «ridotte», «prima di ricevere gli avvisi di
accertamento impugnati». 
    2.- In punto di rilevanza, il rimettente precisa di  ritenere  di
dover fare applicazione delle sanzioni  previste  dalle  disposizioni
censurate. 
    3.- La CTP, dopo aver escluso la  possibilita'  di  disporre  una
diversa applicazione, costituzionalmente orientata, delle  due  norme
censurate, stante il tenore  inequivoco  delle  stesse,  si  sofferma
sulla non manifesta  infondatezza  delle  questioni  di  legittimita'
costituzionale sollevate. 
    3.1.-   Innanzitutto,   la   CTP   dubita   della    legittimita'
costituzionale dell'art. 1, comma 1, primo periodo, del d.lgs. n. 471
del 1997, sotto un primo profilo, in riferimento  all'art.  3  Cost.,
con  riguardo  ai  principi  di   eguaglianza,   proporzionalita'   e
ragionevolezza, nella parte in  cui  prevede  che,  ove  alla  omessa
presentazione  della  dichiarazione  dei  redditi   faccia   comunque
seguito,  prima  della  ricezione  di  avvisi  di  accertamento,   il
versamento spontaneo dell'imposta,  la  sanzione  dal  centoventi  al
duecentoquaranta per cento  si  applichi  sull'intero  ammontare  «di
tutte le imposte  dovute  sulla  base  della  dichiarazione  omessa»,
anziche' solo sull'«importo residuo delle imposte da versare da parte
del contribuente». 
    Ad avviso del rimettente, infatti, dovrebbe rimanere ben distinta
l'«offensivita' della condotta di chi omette la  presentazione  della
dichiarazione al fine di  evadere  il  pagamento  delle  imposte»  da
quella di chi, pur avendo omesso la presentazione della dichiarazione
dei redditi, «paga spontaneamente le  imposte  pur  senza  un  previo
accertamento fiscale». 
    Invece, la sanzione prevista dall'art. 1, comma 1, primo periodo,
del d.lgs. n. 471 del  1997  «colpisce  indiscriminatamente»,  «senza
alcun riguardo all'entita' oggettiva e  soggettiva  della  violazione
commessa, sottoponendo cosi' al medesimo trattamento condotte fra  di
loro diverse e aventi conseguenze diverse». 
    In  altri  termini  la  suddetta  previsione  normativa   avrebbe
ancorato «la sanzione al criterio  meramente  formale  ed  estrinseco
della omessa presentazione della dichiarazione fiscale, invece che  a
quello sostanziale dell'ostacolo all'accertamento  e  della  evasione
del pagamento dell'imposta». 
    Osserva, quindi, il rimettente che la condotta di  chi,  pur  non
presentando la dichiarazione dei redditi, effettui  i  pagamenti  per
intero, prima della ricezione dell'avviso  di  accertamento,  sarebbe
meno grave di quella di chi ometta non solo  la  presentazione  della
dichiarazione dei redditi ma anche il pagamento delle imposte. 
    Inoltre, l'art. 3 Cost., per la CTP, subirebbe  un  vulnus  anche
sotto un ulteriore profilo,  in  quanto  scoraggerebbe  l'adempimento
tardivo, ma spontaneo, del pagamento  delle  imposte,  demotivando  i
contribuenti che non ne ricaverebbero alcun vantaggio. 
    3.2.-  La  norma  censurata  contrasterebbe,  poi,  anche  con  i
parametri costituzionali di cui agli artt. 53 e 76 Cost.,  in  quanto
divergerebbe «dallo scopo indicato  dalla  legge  delega  di  riforma
tributaria n. 825/1971» e in particolare da quello di commisurare  le
sanzioni  «all'effettiva  entita'  oggettiva   e   soggettiva   delle
violazioni». 
    3.3.- In secondo luogo, per «gli stessi motivi sopra evidenziati»
non sarebbe ragionevole - prosegue il rimettente - l'esclusione della
possibilita' di fruire del «ravvedimento» di cui all'art.  13,  comma
1, del d.lgs. n. 471 del 1997 «per il contribuente  che,  pur  avendo
omesso la presentazione della dichiarazione fiscale, abbia provveduto
al versamento spontaneo delle imposte dovute». 
    Tale disposizione sarebbe, quindi, in contrasto con gli artt.  3,
53 e 76 Cost.  «nella  parte  in  cui  prevede  che  solo  chi  abbia
presentato la  dichiarazione  fiscale  senza  eseguire  i  prescritti
versamenti sia soggetto alla  sanzione  amministrativa  pari  al  30%
dell'importo non pagato e possa fruire delle riduzioni  previste  nel
caso di  versamento  spontaneo  e  non  anche  chi  abbia  omesso  di
presentare  la  dichiarazione  fiscale  ma   abbia   poi   effettuato
spontaneamente il  pagamento  delle  imposte  prima  di  ricevere  un
accertamento da parte dell'Amministrazione Finanziaria». 
    4.- Nel giudizio e' intervenuto il Presidente del  Consiglio  dei
ministri, rappresentato e  difeso  dalla  Avvocatura  generale  dello
Stato, eccependo preliminarmente l'inammissibilita' delle questioni. 
    4.1.-  La  prima   eccezione,   sollevata   dall'Avvocatura   per
insufficiente descrizione della fattispecie concreta, non e' fondata. 
    La difesa erariale  lamenta  un'insufficiente  descrizione  della
fattispecie in quanto l'ordinanza di rimessione: a)  non  enuncerebbe
le ragioni alla base delle omesse dichiarazioni dei redditi  per  ben
due anni consecutivi; b) non indicherebbe le date  in  cui  sarebbero
stati eseguiti i pagamenti delle «imposte dovute», in  quanto  «avere
eseguito i versamenti a ridosso della scadenza  dei  termini  per  la
dichiarazione o invece due anni dopo, puo' avere la  sua  rilevanza»;
c) non chiarirebbe la modalita' di calcolo  delle  imposte  da  parte
della societa'. 
    La mancanza di tali elementi sarebbe, dunque, «di ostacolo ad una
ricostruzione dei fatti sulla cui base valutare eventuali  carenze  -
sotto il  profilo  costituzionale  -  della  normativa  applicabile»,
incidendo, ad avviso della  difesa  statale,  sull'adeguatezza  della
motivazione in punto di non manifesta infondatezza. 
    L'assunto non e' condivisibile. 
    Gli elementi a questi  fini  essenziali,  puntualmente  riportati
nell'ordinanza di rimessione, sono  difatti  costituiti  dall'oggetto
degli avvisi di accertamento impugnati nel giudizio a quo, dai motivi
di gravame in tale sede formulati  dalla  contribuente,  dall'importo
del  reddito  accertato  in  ciascuno  dei  due  anni   di   imposta,
dall'ammontare delle sanzioni irrogate  e,  infine,  dall'intervenuto
pagamento integrale delle somme  dovute  dalla  contribuente  stessa,
prima della ricezione dei due avvisi di accertamento. 
    L'ordinanza   di   rimessione   contiene,   dunque,   indicazioni
sufficienti per una corretta ricostruzione della fattispecie  oggetto
del processo principale, necessaria ai  fini  di  valutare  tanto  la
rilevanza della questione di legittimita' costituzionale,  quanto  la
sua non manifesta infondatezza. 
    4.2.- L'Avvocatura ha,  poi,  eccepito  l'inammissibilita'  delle
questioni, per insufficiente motivazione sulla rilevanza, in quanto i
precedenti di questa Corte citati  dal  giudice  a  quo,  riguardando
fattispecie diverse da quella oggetto dell'ordinanza  di  rimessione,
non sarebbero sufficienti a motivare  le  ragioni  a  sostegno  delle
stesse. 
    Anche tale eccezione non e' fondata. 
    In  realta',  come  si  evince  dal   tenore   della   doglianza,
l'eccezione  riguarda,  non  la  rilevanza,  ma  la   non   manifesta
infondatezza delle questioni di legittimita' costituzionale. 
    4.2.1.- Anche a volerle considerare sotto tale profilo, tuttavia,
le ragioni per cui l'art. 1, comma 1, primo periodo,  del  d.lgs.  n.
471 del 1997 violerebbe  l'art.  3  Cost.  sono  state  adeguatamente
esposte dal  rimettente:  con  riguardo  a  tale  parametro,  quindi,
l'eccezione in esame non e' fondata (quanto all'art. 13, comma 1, del
d.lgs. n. 471  del  1997  si  rimanda,  invece,  complessivamente  al
successivo punto 6). 
    La questione di  legittimita'  costituzionale  con  la  quale  il
rimettente ipotizza che l'art. 1, comma 1, primo periodo, del  d.lgs.
n.  471  del  1997  contrasti  con  l'art.  53  Cost.   e',   invece,
inammissibile in punto di non  manifesta  infondatezza,  perche'  del
tutto immotivata: il giudice a  quo  si  e'  limitato  a  evocare  la
suddetta disposizione senza specificare alcuna ragione per  la  quale
la norma censurata violerebbe  il  parametro  evocato  (ex  plurimis,
sentenza n. 178 del 2021). 
    Con riferimento, infine, alla dedotta lesione dell'art. 76 Cost.,
va rilevato che il rimettente ha in realta' indicato le ragioni della
doglianza, individuandole nel contrasto con i principi  e  i  criteri
direttivi dettati dalla legge delega n. 825 del 1971  in  materia  di
sanzioni amministrative e, in particolare, con la previsione  di  una
migliore commisurazione «all'effettiva entita' oggettiva e soggettiva
delle violazioni». Sotto tale profilo,  quindi,  l'eccezione  non  e'
fondata. 
    4.3.- L'Avvocatura dello Stato eccepisce l'inammissibilita' delle
questioni  anche  per  omesso  tentativo   di   una   interpretazione
costituzionalmente orientata. 
    L'eccezione non e' fondata. 
    Nella  specie,  il  giudice  a  quo,  pur  ponendo  in   evidenza
l'ambiguita'  delle  norme  censurate,   esclude   espressamente   la
possibilita' di procedere ad una interpretazione adeguatrice  e  cio'
e' sufficiente alla stregua della costante giurisprudenza  di  questa
Corte (tra le tante, sentenze n. 18 del 2022, n. 59 e n. 32 del 2021,
e n. 32 del 2020). 
    4.4.- La difesa erariale  eccepisce,  infine,  l'inammissibilita'
delle  questioni   perche'   l'ambita   reductio   ad   legitimitatem
richiederebbe  un  intervento  rimesso  alla   discrezionalita'   del
legislatore. 
    Si chiederebbe, in particolare,  a  questa  Corte  un  intervento
manipolativo a fronte di una pluralita' di  soluzioni  possibili  nel
graduare le risposte sanzionatorie. 
    Anche questa eccezione non e' fondata. 
    Secondo la ormai costante  giurisprudenza  di  questa  Corte  «la
"ammissibilita'  delle  questioni  di   legittimita'   costituzionale
risulta [...]  condizionata  non  tanto  dall'esistenza  di  un'unica
soluzione  costituzionalmente  obbligata,   quanto   dalla   presenza
nell'ordinamento di una o piu' soluzioni costituzionalmente adeguate,
che si inseriscano nel tessuto normativo coerentemente con la  logica
perseguita dal legislatore"» (ex plurimis, sentenza n. 62 del 2022). 
    5.- Va dichiarata d'ufficio la manifesta  inammissibilita'  della
questione di legittimita'  costituzionale  sollevata  in  riferimento
all'art. 76 Cost. per erronea individuazione  della  norma  parametro
interposta. 
    5.1.- Il rimettente deduce  la  lesione  dell'art.  76  Cost.  in
quanto  risulterebbero  in  tesi  violati  i  principi  e  i  criteri
direttivi della legge delega n. 825 del 1971; in  realta'  l'art.  1,
comma 1, primo periodo, del d.lgs. n. 471 del 1997 trae  origine  non
dalla legge delega n. 825 del 1971, ma dalla delega di  cui  all'art.
3, comma 133, lettera q),  della  legge  23  dicembre  1996,  n.  662
(Misure di razionalizzazione della finanza pubblica). 
    Il rimettente ha pertanto individuato in modo errato la norma  di
delega alla cui stregua va apprezzata la sussistenza della violazione
dedotta, svolgendo di conseguenza argomentazioni inconferenti ai fini
di  tale  valutazione,  sicche'  la   questione   e'   manifestamente
inammissibile (sentenza n. 382 del 2004; ordinanze n. 295 e n. 95 del
2010, n. 73 del 2009). 
    6.- Va infine dichiarata d'ufficio anche l'inammissibilita' delle
questioni di legittimita' costituzionale aventi ad oggetto l'art. 13,
comma 1, del d.lgs. n. 471 del 1997, non dovendo  il  giudice  a  quo
fare applicazione di tale disposizione. 
    Questa infatti dispone, nei confronti di chi non esegue, in tutto
o in parte, alle prescritte scadenze i  versamenti  risultanti  dalla
dichiarazione   dei    redditi,    l'irrogazione    della    sanzione
amministrativa pari al trenta per cento di ogni importo non versato. 
    Dall'ordinanza di rimessione emerge, pero',  che  gli  avvisi  di
accertamento emessi, per il biennio in contestazione, semmai recavano
quale  motivazione  il  mancato  perfezionamento  del   "ravvedimento
operoso" di cui all'art. 13 del decreto legislativo 18 dicembre 1997,
n. 472 (Disposizioni generali in materia di  sanzioni  amministrative
per le violazioni di norme tributarie, a norma dell'articolo 3, comma
133, della legge 23 dicembre 1996, n.  662),  il  quale  consente  la
riduzione delle sanzioni, in percentuali diverse, man mano che ci  si
allontana dal momento del dovuto adempimento, ma esclusivamente nelle
ipotesi in cui non sia stata omessa la dichiarazione dei redditi. 
    La questione avente ad oggetto l'art. 13, comma 1, del d.lgs.  n.
471 del 1997 risulta quindi priva  di  rilevanza,  dal  momento  che,
secondo quanto riferito dallo stesso giudice a  quo,  egli  non  deve
fare applicazione di questa norma, ma  solamente  di  quella  di  cui
all'art. 1, comma 1, primo periodo, del d.lgs. n. 471 del 1997. 
    Ne' potrebbe ritenersi che il rimettente, anziche' sull'art.  13,
comma 1, del  d.lgs.  n.  471  del  1997,  abbia  in  realta'  inteso
sollevare questione di legittimita' costituzionale sull'art.  13  del
d.lgs.  n.  472  del  1997,  nella  parte  in  cui  non  consente  il
"ravvedimento operoso" al contribuente che abbia omesso di presentare
la dichiarazione dei redditi. 
    Infatti, come emerge in  modo  inequivocabile  dall'ordinanza  di
rimessione, la questione e' stata posta  in  relazione  all'art.  13,
comma 1,  del  d.lgs.  n.  471  del  1997,  e  di  cio'  e'  lampante
dimostrazione il richiamo alla sanzione amministrativa  pari  al  «30
per cento dell'importo non pagato». 
    7.-  Nel  merito  le  questioni  di  legittimita'  costituzionale
sollevate sul primo periodo dell'art. 1, comma 1, del d.lgs.  n.  471
del 1997, in riferimento all'art. 3  Cost.  sotto  il  profilo  della
violazione  dei   principi   di   eguaglianza,   proporzionalita'   e
ragionevolezza non sono fondate, nei termini di cui in motivazione. 
    8.- Con tali questioni il  rimettente  pone  in  discussione  una
sanzione che ritiene  eccessivamente  afflittiva,  anche  nel  minimo
edittale, in riferimento a un comportamento  del  contribuente  quale
quello risultante dal giudizio a quo. 
    Di qui la richiesta a questa Corte di una  sentenza  sostitutiva,
volta a commisurare la  sanzione  solo  sull'«importo  residuo  delle
imposte   da   versare   da   parte   del   contribuente»,   anziche'
sull'ammontare  «di  tutte  le  imposte  dovute  sulla   base   della
dichiarazione omessa». 
    9.- Al riguardo, va  innanzitutto  premesso  che  un  sistema  di
fiscalita'  di  massa  poggia  sull'architrave  dell'autoliquidazione
delle imposte, cui deve corrispondere, nell'ambito  dell'imposta  sui
redditi, la fedele compilazione e la tempestiva  presentazione  della
dichiarazione,  che  costituisce  uno  degli  atti  piu'   importanti
nell'ambito della disciplina attuativa di tale imposta. 
    Tramite la dichiarazione dei redditi il contribuente e'  pertanto
chiamato  a   collaborare   -   in   quanto   cio'   e'   finalizzato
all'adempimento  di  un  dovere  inderogabile  di  solidarieta'   (ex
plurimis,  sentenza  n.  288  del  2019)  -   con   l'amministrazione
finanziaria, esponendosi quindi ai relativi controlli. 
    Tale dichiarazione ha,  infatti,  una  rilevanza  procedimentale:
consente all'Agenzia  delle  entrate,  innanzitutto,  di  attivare  i
controlli automatizzati e  formali,  di  cui,  rispettivamente,  agli
artt. 36-bis e 36-ter del d.P.R. n.  600  del  1973;  condiziona  poi
l'accertamento e determina, in particolare, i metodi di rettifica del
reddito dichiarato. 
    In tal modo  la  presentazione  della  dichiarazione  agevola  le
attivita'  dell'amministrazione  finanziaria,   che   dovra'   invece
ricorrere ad altri e piu' impegnativi strumenti nei confronti di quei
contribuenti che, non  assumendo  tale  atteggiamento  collaborativo,
presumibilmente sono orientati a sottrarsi totalmente  al  versamento
delle imposte dovute. 
    In caso di omessa presentazione della dichiarazione dei  redditi,
infatti, l'Agenzia delle  entrate  puo'  anche  procedere,  ai  sensi
dell'art. 41 del d.P.R. n. 600 del 1973, all'accertamento  d'ufficio,
di carattere  induttivo,  che  consente  di  determinare  il  reddito
complessivo del contribuente «sulla base dei  dati  e  delle  notizie
comunque  raccolti  o  venuti  a  sua  conoscenza,  con  facolta'  di
avvalersi anche di presunzioni prive dei requisiti di  cui  al  terzo
comma dell'art. 38 e  di  prescindere  in  tutto  o  in  parte  dalle
risultanze della dichiarazione,  se  presentata,  e  dalle  eventuali
scritture contabili del contribuente ancorche' regolarmente tenute». 
    Ma resta fermo che questa attivita' di accertamento implica, come
correttamente  rilevato  dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  un
impegno ben superiore, in termini di risorse umane, rispetto a quello
normalmente richiesto per la effettuazione degli altri  controlli,  e
in particolare di quelli automatizzati e formali. 
    Di  qui  l'esigenza,  per  il  buon  funzionamento  del   sistema
tributario,  che  l'omessa  presentazione  della  dichiarazione   dei
redditi  sia  presidiata  da  una  sanzione  con  un  forte   effetto
deterrente. 
    10.-  Cio'  precisato,  il  problema   della   ragionevolezza   e
proporzionalita'  della  sanzione   in   questione,   sollevato   dal
rimettente, non puo' ritenersi sic et simpliciter superato. 
    Emblematica, al riguardo, e' la fattispecie del giudizio  a  quo,
dove si e' in presenza di  un  contribuente  che  si'  ha  omesso  di
presentare la dichiarazione dei redditi relativa  al  regime  fiscale
del consolidato, ma, da un lato,  ha  tempestivamente  presentato  la
propria dichiarazione, in tal modo esponendosi inequivocabilmente  ai
controlli dell'Agenzia delle  entrate,  e,  dall'altro,  ha  comunque
interamente versato, sebbene in ritardo, ma prima  di  aver  ricevuto
qualsivoglia avviso di accertamento, le imposte dovute. 
    La circostanza che,  nonostante  il  comportamento  tenuto,  tale
contribuente, per  effetto  dell'applicazione  del  minimo  edittale,
debba versare una cifra  maggiore  dell'imposta  gia'  versata  -  il
centoventi per cento dell'imposta dovuta: nel caso di specie, quindi,
oltre un milione di euro - evidenzia, piu'  in  generale,  che  nella
fattispecie sanzionatoria censurata puo' venir meno,  in  determinate
situazioni, un rapporto di congruita' tra il concreto  disvalore  dei
fatti e la misura della sanzione. 
    11.- La soluzione auspicata dal rimettente  non  puo',  tuttavia,
essere  accolta,  in  quanto  depotenzierebbe  gravemente   l'effetto
deterrente che deve presidiare, per quanto prima detto,  la  corretta
presentazione della dichiarazione dei redditi. 
    Infatti, tale soluzione  porterebbe,  addirittura,  al  risultato
estremo che nessuna  sanzione  sarebbe  irrogata  ogni  qualvolta  il
contribuente, pur avendo omesso di presentare la dichiarazione, abbia
comunque effettuato, anche  dopo  anni  dalla  scadenza  dei  termini
stabiliti, l'integrale pagamento delle imposte dovute. 
    12.- E' invece possibile  una  lettura  sistematica  della  norma
censurata  in  correlazione   con   un'interpretazione   conforme   a
Costituzione dell'art. 7 del d.lgs. n. 472 del 1997. Tale  soluzione,
senza  minare  in  radice  l'effetto  deterrente,  e'  in  grado   di
ricondurre  entro   i   limiti   della   proporzionalita'   e   della
ragionevolezza  la  sanzione  prevista  dalla  norma   censurata   in
riferimento a situazioni come quella del giudizio a quo. 
    Al  fine  di  evidenziarla  e'  utile  ripercorrere,  in  estrema
sintesi, l'evoluzione del sistema sanzionatorio tributario. 
    12.1.- La disciplina delle sanzioni  tributarie,  come  e'  noto,
trova le sue radici nella legge 7 gennaio 1929, n. 4 (Norme  generali
per la repressione delle violazioni delle  leggi  finanziarie),  che,
effettuando una scelta dalla  quale  l'ordinamento  non  si  e'  piu'
discostato, ha previsto due differenti modelli  sanzionatori  per  la
repressione dell'illecito fiscale, distinguendo tra le violazioni che
danno luogo a reati e quelle che generano obbligazioni di  «carattere
civile» (l'antecedente storico  delle  sanzioni  amministrative):  la
pena pecuniaria, che aveva carattere afflittivo, e la soprattassa,  a
carattere retributivo e risarcitorio (artt. 3 e 5). 
    Una prima organica modifica di tale disciplina  e'  poi  avvenuta
con la legge delega n. 825 del 1971, diretta, quanto al sistema delle
sanzioni,  a  introdurre  una  «migliore   commisurazione   di   esse
all'effettiva entita' oggettiva e soggettiva delle violazioni»  (art.
10, secondo comma, punto 11). 
    Nei relativi decreti attuativi le sanzioni sono  state  collocate
all'interno della disciplina dei singoli tributi, con una  partizione
specialistica  delle  stesse  e  con  la  creazione   di   microcosmi
sanzionatori separati. Le singole condotte sanzionate, pur costituite
da  elementi  omogenei  (omessa  presentazione  della  dichiarazione,
dichiarazioni infedele, omesso versamento e altre), non hanno  quindi
trovato  una  collocazione  unitaria,  ma  si  sono  innestate  nella
disciplina dei singoli tributi. 
    Con la delega contenuta nell'art. 3, comma 133,  della  legge  n.
662 del 1996, il sistema sanzionatorio tributario non penale e' stato
poi innovato profondamente. 
    Tale  disposizione,  infatti,  alla  lettera  q),  ha   previsto:
«adeguamento delle disposizioni sanzionatorie  attualmente  contenute
nelle singole leggi  di  imposta  ai  principi  e  criteri  direttivi
dettati con il presente comma e revisione dell'entita' delle sanzioni
attualmente previste con loro migliore  commisurazione  all'effettiva
entita' oggettiva e soggettiva delle violazioni in modo da assicurare
uniformita' di disciplina per violazioni identiche anche se  riferite
a  tributi  diversi,  tenendo  conto  al  contempo  delle  previsioni
punitive  dettate  dagli  ordinamenti  tributari  dei  Paesi   membri
dell'Unione europea». 
    In attuazione di tale delega sono stati  quindi  emanati:  a)  il
d.lgs.  n.  471  del  1997,  relativo  alle  sanzioni  e  nel  quale,
eliminando  la   frammentazione   che   caratterizzava   il   sistema
previgente, sono state inserite unitariamente quelle  in  materia  di
imposte dirette e IVA; b) il d.lgs. n. 472 del 1997, in base al quale
la sanzione amministrativa tributaria e' stata adeguata  ai  principi
generali della legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche  al  sistema
penale);  c)  il  decreto  legislativo  18  dicembre  1997,  n.   473
(Revisione delle sanzioni amministrative in materia di tributi  sugli
affari, sulla produzione e sui  consumi,  nonche'  di  altri  tributi
indiretti, a norma dell'articolo 3, comma 133, lettera q, della legge
23 dicembre 1996,  n.  662)  dedicato  alle  sanzioni  amministrative
relative ai tributi indiretti. 
    Il nuovo modello di sanzione amministrativa  pecuniaria,  che  e'
emerso da questa riforma, ha sotto piu' profili  mutuato  la  propria
disciplina  dal  diritto  punitivo,  come   dimostra,   ad   esempio,
l'introduzione del principio della intrasmissibilita' delle  sanzioni
agli eredi e quello della retroattivita' della  normativa  successiva
piu' favorevole. 
    Secondo la Corte di cassazione, sezioni unite civili, sentenza 27
aprile 2022, n.  13145,  del  resto:  «l'impianto  sanzionatorio  non
penale nella materia tributaria risponde a uno stampo penalistico». 
    12.2.-  Nell'ambito  di  questa  evoluzione,  ai  fini  che   qui
rilevano,  va  soprattutto  considerata  l'innovazione  rappresentata
dall'art. 7 del d.lgs. n. 472 del 1997. 
    Il  comma  1  del  medesimo  articolo   ha   infatti   stabilito,
sostanzialmente ricalcando quanto gia' previsto  dall'art.  11  della
legge n. 689 del 1981, che «[n]ella determinazione della sanzione  si
ha riguardo  alla  gravita'  della  violazione  desunta  anche  dalla
condotta dell'agente, all'opera da lui svolta  per  l'eliminazione  o
l'attenuazione delle conseguenze, nonche'  alla  sua  personalita'  e
alle condizioni economiche e sociali». 
    Il comma 4, poi, ha contemplato la facolta' di  ridurre  in  modo
consistente  la  misura   della   sanzione:   «[q]ualora   concorrano
eccezionali circostanze che rendano  manifesta  la  sproporzione  tra
l'entita' del tributo cui la violazione si riferisce e  la  sanzione,
questa puo' essere ridotta fino alla meta' del minimo». 
    12.3.- Nella legge 11  marzo  2014,  n.  23  (Delega  al  Governo
recante disposizioni per un sistema fiscale piu' equo, trasparente  e
orientato  alla  crescita),  infine,  l'esigenza  di  una   «migliore
commisurazione» delle sanzioni  «all'effettiva  entita'  oggettiva  e
soggettiva delle violazioni», considerata, come si  e'  visto,  nelle
due deleghe precedenti, e'  stata  nuovamente  ribadita,  ma  con  un
riferimento  esplicito  al  «principio  di  proporzionalita'»   delle
sanzioni tributarie. 
    All'art. 8, comma  1,  infatti,  dopo  aver  dettato  principi  e
criteri direttivi per la revisione del sistema  sanzionatorio  penale
tributario, la richiamata legge delega ha previsto la revisione  «del
sistema sanzionatorio amministrativo al fine di meglio correlare, nel
rispetto del principio di proporzionalita', le sanzioni all'effettiva
gravita' dei comportamenti». 
    E' in attuazione di tale disposto che l'art. 16, comma 1, lettera
c), numero 2),  del  d.lgs.  n.  158  del  2015,  ha  eliminato,  nel
menzionato art. 7, comma 4,  l'aggettivo  «eccezionali»,  dinanzi  al
termine «circostanze», rendendo quindi applicabile in  via  ordinaria
la possibilita' di riduzione della sanzione. 
    12.4.- Nonostante questa evoluzione,  tuttavia,  il  criterio  di
proporzionalita' introdotto dal comma 4 dell'art. 7 del d.lgs. n. 472
del 1997, ha ricevuto una ben  limitata  applicazione,  probabilmente
anche a causa di una imprecisa e generica formulazione  che,  di  per
se', legando il giudizio sulla sanzione all'entita' del tributo,  non
appare in grado di fornire un chiaro criterio ermeneutico. 
    Al  riguardo,  tra  i  circoscritti  casi  in   cui   la   citata
disposizione e' stata presa in considerazione - tra i quali  peraltro
va  segnalato  il  richiamo  normativo  avvenuto  nell'ambito   della
disciplina della voluntary disclosure nell'art.  1,  comma  1,  della
legge 15 dicembre 2014, n. 186 (Disposizioni in materia di  emersione
e  rientro  di  capitali   detenuti   all'estero   nonche'   per   il
potenziamento  della  lotta  all'evasione  fiscale.  Disposizioni  in
materia di antiriciclaggio) -, nella giurisprudenza, infatti, si puo'
ricordare, essenzialmente, quella di legittimita' in tema di sanzioni
attinenti al reverse charge. 
    In tale occasione, pero', la sua evocazione  e'  stata  solamente
funzionale  a  giustificare,  in  modo  meramente   incidentale,   la
compatibilita'  con  la  giurisprudenza  della  Corte  di   giustizia
dell'Unione europea in tema di proporzionalita' di una  sanzione  dal
novanta  al  centottanta  per  cento  dell'imposta,  in  quanto  tale
sanzione era «ulteriormente graduabile per effetto dell'art. 7,  c.4,
del d.lgs. n.  472»  (Corte  di  cassazione,  sezioni  unite  civili,
sentenza 20 luglio 2022, n. 22727). 
    In  altri  limitati  casi,  inoltre,  ne  e'  stata   legittimata
l'applicazione in presenza di situazioni del tutto particolari, quali
l'errore del professionista  (Corte  di  cassazione,  sezione  quinta
civile, ordinanza 24 ottobre 2019, n. 27273), o il lieve ritardo  nel
pagamento dell'acconto dell'imposta sulle attivita' produttive (IRAP)
(Corte di cassazione, sezione quinta civile,  ordinanza  12  dicembre
2019, n. 32630). 
    13.- A fronte di questo quadro normativo e giurisprudenziale,  la
possibilita' di ricondurre nell'ambito dei principi di ragionevolezza
e di proporzionalita' una sanzione come quella comminata dalla  norma
censurata, passa attraverso  una  interpretazione  costituzionalmente
orientata dell'art. 7 del d.lgs. n. 472 del 1997 che va applicata  al
sistema delle sanzioni tributarie. 
    In ipotesi come quella del giudizio a quo, infatti,  la  risposta
sanzionatoria all'omessa presentazione della dichiarazione  (relativa
alla fiscal unit) della societa' consolidante, non puo' trascurare di
considerare il comportamento del contribuente che, come detto, da  un
lato,  ha  tempestivamente  presentato   la   propria   dichiarazione
(adempimento espletato anche dalle societa'  consolidate),  di  fatto
rendendosi visibile  e  facilmente  intercettabile  dal  sistema  dei
controlli fiscali; e dall'altro, sebbene con alcuni anni  di  ritardo
rispetto alle scadenze legali, ma  comunque  prima  di  ricevere  gli
avvisi di accertamento, ha interamente versato le imposte. 
    In relazione a simili situazioni, la previsione di  una  sanzione
pari al centoventi per cento dell'imposta dovuta,  non  potrebbe,  di
per se', superare il test di proporzionalita'. 
    La frizione, peraltro, si manifesterebbe anche  con  riguardo  al
sindacato di ragionevolezza, dal momento che il peso  della  sanzione
potrebbe effettivamente scoraggiare, come evidenziato dal rimettente,
il pur tardivo adempimento. 
    Il vulnus a tali principi e' pero' evitato, senza  necessita'  di
incidere sulla dosimetria in astratto definita dal legislatore  nella
norma censurata, considerando, nella determinazione  delle  sanzioni,
le potenzialita' offerte dal citato art. 7 del d.lgs. n. 472 del 1997
che, interpretato in correlazione con l'art. 3 Cost., puo'  riportare
la norma censurata in termini conformi al  volto  costituzionale  del
sistema sanzionatorio, consentendo al giudice a quo di ridurla a  una
misura proporzionata e ragionevole. 
    Occorre quindi che, come  del  resto  da  tempo  auspicato  dalla
dottrina, il comma 4 non venga letto atomisticamente, ma in  rapporto
con il comma 1 del medesimo art. 7 del d.lgs. n.  472  del  1997:  in
questi termini, infatti, il perimetro di  applicazione  del  comma  4
viene  dilatato,  considerando,  tra  le  «circostanze»  -  non  piu'
necessariamente "eccezionali" - che possono determinare la  riduzione
fino al dimezzamento della sanzione, quanto indicato nel comma  1  di
tale articolo, e in particolare la condotta dell'agente e l'opera  da
lui svolta per l'eliminazione o l'attenuazione delle conseguenze. 
    Valorizzato in questi termini, alla luce di  una  interpretazione
costituzionalmente orientata,  che  fornisce  maggiore  chiarezza  ai
criteri di determinazione delle sanzioni in esso stabiliti, l'art. 7,
comma 4, del d.lgs. n. 472  del  1997  si  pone  come  una  opportuna
valvola di decompressione che e' atta a  mitigare  l'applicazione  di
sanzioni,  come  quella  stabilita  dalla   norma   censurata,   che,
strutturate per garantire un forte  effetto  deterrente  al  fine  di
evitare evasioni anche  totali  delle  imposte,  tendono  a  divenire
draconiane quando colpiscono contribuenti  che  invece  tale  intento
chiaramente non rivelano. 
    Peraltro, la riduzione nei sensi indicati ben puo' essere operata
gia' da parte  dell'Agenzia  delle  entrate,  poiche'  questa  spesso
dispone, fin dal momento  della  irrogazione  della  sanzione,  degli
elementi di valutazione utili al  riguardo.  In  ogni  caso  ad  essa
potra' ricorrere il giudice  nell'ambito  del  contenzioso,  anche  a
prescindere da una formale istanza di parte, ogni qualvolta sia stato
articolato un motivo di impugnazione  sulla  debenza  o  sull'entita'
delle sanzioni irrogate e  risultino  allegate  circostanze  tali  da
consentirlo. 
    14.- Tale valorizzazione dell'art. 7 del d.lgs. n. 472  del  1997
alla luce dell'art. 3 Cost. trova solide basi  nell'evoluzione  della
giurisprudenza di questa Corte, che in piu' occasioni  ha  precisato,
da un lato, che «il  principio  di  proporzionalita'  della  sanzione
rispetto alla gravita'  dell'illecito»  e'  «applicabile  anche  alla
generalita' delle sanzioni amministrative» (ex plurimis, sentenza  n.
112 del 2019) e, dall'altro, che anche per le sanzioni amministrative
si  prospetta  «l'esigenza  che  non  venga  manifestamente  meno  un
rapporto di congruita' tra la sanzione e  la  gravita'  dell'illecito
sanzionato», in particolare dando rilievo «al disvalore  concreto  di
fatti pure ricompresi nella sfera applicativa della norma»  (sentenza
n. 185 del 2021). Cio' in quanto «il  principio  di  proporzionalita'
postula  l'adeguatezza  della  sanzione  al  caso  concreto  e   tale
adeguatezza non puo' essere raggiunta se non attraverso  la  concreta
valutazione  degli  specifici  comportamenti  messi  in  atto   nella
commissione dell'illecito» (sentenza n. 161 del 2018). 
    15.-   Va,   infine,   incidentalmente   considerato    che    la
valorizzazione in questi termini del menzionato  art.  7  puo'  anche
permettere  una  piu'  efficace  risposta,  quando  ne  ricorrano  le
condizioni, a quelle  esigenze  -  ad  esempio  gia'  rilevate  dalla
ricordata giurisprudenza di legittimita' in tema di reverse charge  -
di  conformita'  del  sistema  sanzionatorio  nazionale  ai   criteri
indicati dalla giurisprudenza della Corte  di  giustizia  dell'Unione
europea  in  tema  di  proporzionalita'  delle  sanzioni   tributarie
relative ai  tributi  armonizzati  (Corte  di  giustizia  dell'Unione
europea, sentenza 26 aprile  2017,  in  causa  C-564/15,  Farkas;  26
novembre 2015, in causa C-487/14, Total Waste  Recycling;  16  luglio
2015, in causa  C-255/14,  Chmielewski;  17  luglio  2014,  in  causa
C-272/13, Equoland; 18 dicembre 1997, nelle cause  riunite  C-286/94,
C-340/95, C-401/95 e C-47/96, Molenheide e altri). 
    La Corte di giustizia, ad  esempio,  nel  contesto  dell'IVA,  ha
stabilito che «una sanzione pari al  100%  dell'importo  dell'imposta
indebitamente detratta a monte, irrogata senza tener conto del  fatto
che un medesimo importo dell'IVA era  stato  regolarmente  assolto  a
valle e che  l'Erario  non  aveva  subito,  in  conseguenza,  nessuna
perdita di gettito fiscale, costituisce una  sanzione  sproporzionata
rispetto  all'obiettivo  da  essa  perseguito»  (Corte  di  giustizia
dell'Unione europea, sezione prima, sentenza 8 maggio 2019, in  causa
C-712/17, En.Sa). 
    16.- La questione di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  1,
comma 1, primo periodo, del d.lgs. n.  471  del  1997,  sollevata  in
riferimento all'art. 3 Cost., va dichiarata non fondata nel  contesto
di un'interpretazione sistematica e costituzionalmente orientata.