ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale degli artt. 4,  commi
1, 2 e 5, 5, 7, commi 1, 2 e 3, e  10  della  legge  della  Provincia
autonoma di Trento 2 maggio  2022,  n.  4,  recante  «Misure  per  la
promozione  dell'uso  dell'energia  da  fonti  rinnovabili   per   il
raggiungimento degli obiettivi di sviluppo  delle  fonti  rinnovabili
previsti dal decreto legislativo 8 novembre 2021, n. 199  (Attuazione
della  direttiva  (UE)  2018/2001  del  Parlamento  europeo   e   del
Consiglio,  dell'11  dicembre   2018,   sulla   promozione   dell'uso
dell'energia da  fonti  rinnovabili),  e  modifiche  di  disposizioni
connesse», promosso dal Presidente del  Consiglio  dei  ministri  con
ricorso spedito per la notifica il  28  giugno  2022,  depositato  in
cancelleria il 5 luglio 2022, iscritto al n. 42 del registro  ricorsi
2022 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della  Repubblica  n.  33,
prima serie speciale, dell'anno 2022. 
    Visto l'atto di costituzione della Provincia autonoma di Trento; 
    udito nell'udienza  pubblica  del  25  gennaio  2023  il  Giudice
relatore Maria Rosaria San Giorgio; 
    uditi l'avvocato dello Stato Giancarlo Caselli per il  Presidente
del Consiglio dei ministri  e  l'avvocato  Sabrina  Azzolini  per  la
Provincia autonoma di Trento; 
    deliberato nella camera di consiglio dell'8 febbraio 2023. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ricorso spedito per la notifica in data 28  giugno  2022,
depositato il successivo 5 luglio ed iscritto al n. 42  del  registro
ricorsi 2022, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato
e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, ha promosso  questioni
di legittimita' costituzionale degli artt. 4, commi 1, 2 e 5,  5,  7,
commi 1, 2 e 3, e 10 della legge della Provincia autonoma di Trento 2
maggio 2022,  n.  4,  recante  «Misure  per  la  promozione  dell'uso
dell'energia  da  fonti  rinnovabili  per  il  raggiungimento   degli
obiettivi di sviluppo delle fonti rinnovabili  previsti  dal  decreto
legislativo 8 novembre 2021, n. 199 (Attuazione della direttiva  (UE)
2018/2001 del Parlamento europeo e del  Consiglio,  dell'11  dicembre
2018, sulla promozione dell'uso dell'energia da fonti rinnovabili), e
modifiche di disposizioni connesse». 
    Il  ricorrente  premette   che,   in   relazione   alla   materia
dell'energia, il decreto del Presidente della  Repubblica  31  agosto
1972, n. 670 (Approvazione del testo unico delle leggi costituzionali
concernenti lo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige),  recante
lo   statuto   speciale   della   Regione   autonoma    Trentino-Alto
Adige/Südtirol, «non attribuisce specifiche competenze alle  Province
autonome di Trento e di Bolzano».  Aggiunge  il  ricorrente  che,  ai
sensi dell'art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001,  n.  3
(Modifiche al titolo V della parte seconda  della  Costituzione),  la
competenza  legislativa  concorrente   nella   materia   «produzione,
trasporto e  distribuzione  nazionale  dell'energia»  deve  ritenersi
devoluta  alle  Province  autonome  nei  limiti  in  cui  viene  loro
conferita una potesta' piu' ampia di  quella  connessa  all'autonomia
statutaria in materia di energia (viene citata la sentenza di  questa
Corte  n.  383  del  2005).  Tale  competenza,  tuttavia,  rimarrebbe
comunque  condizionata  all'osservanza  dei  limiti  e  dei  principi
stabiliti dalle leggi dello Stato nella  materia.  Rileverebbero,  al
riguardo, le norme dettate dal decreto legislativo 29 dicembre  2003,
n.  387  (Attuazione  della  direttiva   2001/77/CE   relativa   alla
promozione  dell'energia  elettrica  prodotta  da  fonti  energetiche
rinnovabili  nel  mercato  interno  dell'elettricita'),  dal  decreto
legislativo  3  marzo  2011,  n.  28  (Attuazione   della   direttiva
2009/28/CE  sulla   promozione   dell'uso   dell'energia   da   fonti
rinnovabili,  recante  modifica  e   successiva   abrogazione   delle
direttive 2001/77/CE e 2003/30/CE), dal decreto  del  Ministro  dello
sviluppo   economico   10   settembre   2010   (Linee    guida    per
l'autorizzazione degli impianti alimentati da fonti  rinnovabili)  e,
da ultimo, dal decreto legislativo 8 novembre 2021, n.  199,  recante
«Attuazione della direttiva (UE) 2018/2001 del Parlamento  europeo  e
del Consiglio,  dell'11  dicembre  2018,  sulla  promozione  dell'uso
dell'energia da fonti rinnovabili». 
    In tale contesto, posizione preminente assumerebbe l'art. 12  del
d.lgs. n. 387 del 2003, volto  a  razionalizzare  e  semplificare  le
procedure autorizzative per la costruzione e  per  l'esercizio  degli
impianti di produzione di energia alimentati da fonti rinnovabili  e,
in  particolare,  la  previsione  di  un'autorizzazione  unica,   ivi
contemplata. Particolare rilevanza avrebbe, inoltre, la previsione di
cui al d.m.  10  settembre  2010,  secondo  cui  le  regioni  possono
procedere  all'indicazione   di   aree   e   di   siti   non   idonei
all'installazione di specifiche tipologie di impianti. 
    In generale, la normativa statale avrebbe intrapreso un  percorso
di semplificazione, culminato con le recenti  previsioni  di  cui  al
decreto-legge 16 luglio 2020, n. 763 (recte: n. 76), recante  «Misure
urgenti per la semplificazione e l'innovazione digitale», convertito,
con modificazioni,  in  legge  11  settembre  2020,  n.  120),  e  al
decreto-legge 31 maggio 2021, n. 77 (Governance del  Piano  nazionale
di ripresa  e  resilienza  e  prime  misure  di  rafforzamento  delle
strutture amministrative  e  di  accelerazione  e  snellimento  delle
procedure), convertito, con modificazioni, in legge 29  luglio  2021,
n. 108. Il ricorrente opera un  riferimento  alle  previsioni  ancora
piu' recentemente dettate dal decreto-legge 1°  marzo  2022,  n.  174
(recte: n. 17), recante «Misure urgenti per il contenimento dei costi
dell'energia elettrica e del gas  naturale,  per  lo  sviluppo  delle
energie rinnovabili e per il rilancio delle  politiche  industriali»,
convertito, con modificazioni, in legge 27 aprile 2022, n.  34),  dal
decreto-legge 21 marzo 2022, n. 215 (recte: n. 21),  recante  «Misure
urgenti per contrastare gli effetti economici e umanitari della crisi
ucraina», convertito, con modificazioni, in legge 20 maggio 2022,  n.
51), e dal decreto-legge 17 maggio  2022,  n.  506  (recte:  n.  50),
recante  «Misure  urgenti  in  materia   di   politiche   energetiche
nazionali,   produttivita'   delle   imprese   e   attrazione   degli
investimenti, nonche' in materia di  politiche  sociali  e  di  crisi
ucraina», convertito, con modificazioni, in legge 15 luglio 2022,  n.
91. 
    Le menzionate fonti statali  perseguirebbero,  in  modo  armonico
sull'intero territorio  nazionale,  «un  obiettivo  di  accelerazione
della diffusione delle installazioni di fonti di energie  rinnovabili
(FER)», riducendo gli ostacoli normativi e non. 
    La legge provinciale oggetto delle censure  del  ricorrente,  pur
perseguendo la condivisibile finalita' di promozione  e  di  sostegno
alla produzione  di  energia  da  fonti  rinnovabili,  oltre  che  di
semplificazione,  introdurrebbe  tuttavia  una  disciplina  che   «si
sovrappone, in parte discostandosene, da quella statale». 
    1.1.- Cosi' delineato il contesto normativo generale  in  cui  si
inquadra la legge prov. Trento n. 4 del  2022,  il  ricorso  solleva,
anzitutto, censure concernenti l'art. 4, commi 1,  2  e  5,  di  tale
legge provinciale. 
    La  disposizione  disciplina   l'installazione   degli   impianti
alimentati da fonti rinnovabili e stabilisce  che,  a  tal  fine,  si
considerano «idonee» le aree elencate nell'apposito Allegato B (comma
1); per l'effetto, si consente  ivi  l'installazione  degli  impianti
anche in deroga alle previsioni degli  strumenti  urbanistici  (comma
2). Il comma 5, inoltre, consente ai comuni, entro certi  limiti,  di
individuare ulteriori aree idonee,  utilizzando  lo  strumento  della
variante semplificata al Piano regolatore generale (PRG). 
    L'individuazione "aprioristica" delle aree idonee, cosi' compiuta
dalla  legge  provinciale,  contrasterebbe  tuttavia  -  secondo   il
ricorrente - con le previsioni dell'art. 20 del  d.lgs.  n.  199  del
2021 che, al contrario, impone il coinvolgimento del  Ministro  della
transizione ecologica, del Ministro  della  cultura  e  del  Ministro
delle politiche agricole, alimentari e forestali, nonche' l'intesa in
sede  di  Conferenza  unificata  di  cui  all'art.  8   del   decreto
legislativo 28 agosto 1997, n. 281 (Definizione ed ampliamento  delle
attribuzioni della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato,
le  regioni  e  le  province  autonome  di  Trento   e   Bolzano   ed
unificazione, per le materie ed i compiti di interesse  comune  delle
regioni, delle province e dei comuni, con la Conferenza  Stato-citta'
ed autonomie locali). Il contrasto con questa previsione statale  «di
riferimento»  determinerebbe  l'illegittimita'  costituzionale  delle
norme provinciali  impugnate  per  violazione  dell'art.  117,  commi
secondo, lettera s), e terzo della Costituzione. 
    1.2.- Oggetto di impugnazione e', poi, l'art. 5 della legge prov.
Trento n. 4 del 2022, rubricato «Procedura abilitativa semplificata».
Il comma 1 di questa  disposizione  prevede  che  gli  interventi  di
installazione degli impianti alimentati  da  fonti  rinnovabili,  con
potenza  inferiore  a  determinate  soglie,   sono   assoggettati   a
segnalazione certificata di inizio attivita' (SCIA),  nell'ambito  di
una  procedura  abilitativa  semplificata  descritta  dai  successivi
commi. In particolare,  si  prevede  che  la  SCIA,  corredata  dagli
elaborati tecnici per la connessione, redatti dal  gestore  di  rete,
venga presentata al comune «almeno trenta giorni prima dell'effettivo
inizio dei lavori» (comma 2), onerandosi l'amministrazione di opporre
divieto all'inizio dei lavori se, entro il termine di  trenta  giorni
dalla presentazione della SCIA, risulti accertata l'assenza di una  o
piu' condizioni dichiarate  nella  relazione;  in  mancanza  di  tale
divieto, l'installazione dell'impianto si  ritiene  assentita  (comma
3). Qualora siano necessari atti di assenso, di competenza del comune
o di altre amministrazioni, ed essi non  siano  stati  allegati  alla
SCIA, il comune  provvede  ad  acquisirli  d'ufficio  ovvero  convoca
un'apposita conferenza di servizi decisoria (comma 4). La sussistenza
del titolo a realizzare l'intervento e' provata con  la  copia  della
SCIA da cui risultino, oltre alla data di presentazione della  stessa
SCIA,  l'elenco  di  quanto  presentato  a  corredo   del   progetto,
l'attestazione del professionista e gli atti di assenso eventualmente
necessari (comma 5). Il  comma  6  fa  poi  rinvio,  per  quanto  non
disciplinato, all'art. 86 della legge  della  Provincia  autonoma  di
Trento 4 agosto 2015, n. 15 (Legge provinciale  per  il  governo  del
territorio). 
    Rispetto  a  tali  previsioni,  come  vigenti  al  momento  della
proposizione del ricorso, questo ne censura la «difformita' da quanto
previsto dal quadro normativo nazionale», richiamando  l'art.  6  del
d.lgs. n. 28 del 2011, che disciplina un titolo  abilitativo  diverso
dalla SCIA, ossia  la  procedura  autorizzativa  semplificata  (PAS),
caratterizzata «da un regime  giuridico  differente».  La  scelta  di
prevedere la SCIA, in relazione a fattispecie ormai sottoposte a PAS,
violerebbe l'art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.,  «in  quanto
espone a rischio i valori della tutela dell'ambiente, dell'ecosistema
e dei beni culturali», posto che, «mentre la  SCIA  viene  presentata
contestualmente all'inizio dei lavori, la PAS deve essere  presentata
trenta giorni prima dell'avvio del cantiere dando cosi' modo all'ente
locale di intervenire per scongiurare il pregiudizio ai valori  sopra
indicati e dunque prima dell'inizio dei  lavori».  Sarebbe,  inoltre,
violato l'art. 117, terzo comma, Cost., in quanto la disciplina cosi'
dettata   dalla   norma   provinciale    impugnata    «si    discosta
pericolosamente dal modello procedurale indicato nell'art. 6 del Dlgs
n. 28/2011, che rappresenta un principio fondamentale della materia». 
    1.3.- Il Presidente del  Consiglio  dei  ministri  impugna,  poi,
l'art. 7, commi 1, 2 e 3, della legge prov. Trento n. 4 del 2022,  in
materia di  «interventi  di  edilizia  libera».  La  disposizione  si
riferisce all'installazione di impianti solari fotovoltaici e termici
sulle coperture delle costruzioni esistenti e ne consente  la  libera
realizzazione  «previa  comunicazione  al  comune»   e   prescindendo
dall'«acquisizione di permessi, autorizzazioni o atti  amministrativi
di   assenso   comunque    denominati,    inclusa    l'autorizzazione
paesaggistica» (comma 1). Detta previsione, con  il  comma  2,  viene
estesa anche «all'installazione, nelle pertinenze delle  costruzioni,
di impianti solari fotovoltaici e termici a terra  con  capacita'  di
generazione inferiore alle soglie previste dall'articolo 3, comma  1,
per  l'applicazione  dell'autorizzazione  integrata».  Si   aggiunge,
comunque, che «nei centri storici e negli insediamenti storici sparsi
gli impianti solari fotovoltaici e termici devono  essere  installati
in modo da minimizzarne la visibilita', con inclinazione  identica  o
coerente rispetto alla  copertura  nel  caso  di  tetti  a  falda  in
aderenza o integrati, e  possono  essere  installati  a  terra  nelle
pertinenze  delle  costruzioni  solo  in  caso  di  insufficienza   o
inidoneita' della copertura della costruzione medesima» (comma 3). 
    Le norme cosi' riportate, che individuano i  tipi  di  intervento
realizzabili in edilizia libera, contrasterebbero  con  la  normativa
statale concernente i medesimi interventi,  di  cui  all'art.  7-bis,
comma 5, del d.lgs. n. 28 del  2011  (come  sostituito  dall'art.  9,
comma 1, del d.l. n. 17 del 2022, come  convertito),  ivi  ricondotti
alla categoria degli interventi di manutenzione ordinaria. Il dedotto
contrasto starebbe nella previsione che  esonera  dall'autorizzazione
paesaggistica; cio'  che  non  sarebbe  contemplato  dalla  normativa
nazionale. 
    Il ricorrente ricorda che la  Provincia  autonoma  di  Trento  ha
potesta' legislativa primaria nelle materie dell'«urbanistica e piani
regolatori» e della «tutela del paesaggio» (rispettivamente, numeri 5
e 6 dell'art. 8 dello statuto speciale) e che dette  competenze  sono
state esercitate con la legge della Provincia autonoma  di  Trento  4
marzo  2008,  n.  1  (Pianificazione  urbanistica   e   governo   del
territorio), e con la legge della Provincia  autonoma  di  Trento  27
maggio  2008,  n.  5  (Approvazione  del  nuovo   piano   urbanistico
provinciale). Quest'ultima, in  particolare,  ha  dettato  specifiche
disposizioni che individuano i «beni ambientali» sottoposti a  tutela
(art. 12 dell'Allegato B, recante le norme di  attuazione  del  Piano
urbanistico provinciale - PUP). Successivamente, nel medesimo  solco,
si e' collocata la  legge  prov.  Trento  n.  15  del  2015,  che  ha
riconosciuto  alla  Provincia   le   attribuzioni   in   materia   di
«pianificazione  provinciale,  anche   con   valenza   paesaggistica,
relativa all'intero territorio provinciale, secondo le  modalita'  ed
entro i limiti indicati dagli articoli 21  e  22»  (cosi'  l'art.  4,
comma 1, lettera a), e ha precisato la valenza paesaggistica del  PUP
(art. 21, comma 2). Inoltre, il Capo I del Titolo  III  della  citata
legge provinciale n. 15 del 2015 (artt. 63 e seguenti) individua  gli
interventi assoggettati ad autorizzazione paesaggistica, nonche'  gli
organi competenti  al  rilascio  del  titolo  e  i  relativi  profili
procedurali. Tra gli interventi che  necessitano  dell'autorizzazione
paesaggistica l'art. 64, comma  2,  lettera  d),  della  legge  prov.
Trento n. 15 del 2015 vi include anche quelli che interessano i «beni
ambientali» (cosi' come definiti dall'art. 12 dell'Allegato  B  della
legge prov. Trento n. 5 del 2008 e  individuati,  poi,  dall'art.  65
della stessa legge provinciale n. 15 del 2015). 
    Per effetto delle menzionate norme, l'esonero dall'autorizzazione
paesaggistica, imposto dalla disposizione provinciale impugnata,  non
coinvolgerebbe   i   menzionati   «beni   ambientali»,   in    quanto
specificamente individuati dalla legislazione  provinciale:  e  cio',
grazie alla norma di salvezza contenuta nell'ultimo periodo del comma
1 dell'art. 7 impugnato, secondo cui «[r]estano fermi  l'acquisizione
delle autorizzazioni previste dalle norme di  settore  a  tutela  dei
beni ambientali e dei beni culturali e il rispetto delle norme  sulla
sicurezza, antisismiche, igienico-sanitarie e di tutela del  pericolo
idrogeologico». Tuttavia, la  categoria  dei  «beni  ambientali»  non
esaurirebbe tutti i beni paesaggistici  indicati  dall'art.  134  del
decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali
e del paesaggio, ai sensi dell'articolo 10 della legge 6 luglio 2002,
n.  137),  con  conseguente  venir  meno  di  una   completa   tutela
paesaggistica nel territorio  provinciale.  Sotto  tale  aspetto,  la
disposizione  impugnata  sarebbe  affetta  da   «un'evidente   aporia
interna» e da contraddittorieta', in quanto, pur intendendo far salva
l'acquisizione delle autorizzazioni previste dalle norme di  settore,
finirebbe per limitare  tale  clausola  di  salvezza  ai  soli  «beni
ambientali» predetti. 
    Secondo    il    ricorrente,    l'esonero     dall'autorizzazione
paesaggistica, consentito dalla normativa impugnata, si  porrebbe  in
contrasto con le previsioni, di cui alla invocata disciplina statale,
che invece impongono quel titolo per  determinati  impianti  (secondo
procedure  ora  ordinarie,  ora  semplificate).  Cio'   comporterebbe
un'alterazione sostanziale della ratio  sottesa  agli  interventi  di
semplificazione recentemente introdotti dal legislatore nazionale. In
particolare, il ricorrente richiama l'art. 7-bis, comma 5, del d.lgs.
n. 28 del 2011, che impone  comunque  l'autorizzazione  paesaggistica
per le installazioni effettuate  sui  beni  indicati  dall'art.  136,
comma 1, lettera b), del d.lgs. n. 42 del  2004  (ville,  giardini  e
parchi, non tutelati dalle disposizioni della Parte  II  del  codice,
che si distinguono  per  la  loro  non  comune  bellezza)  nonche'  -
limitatamente ai pannelli non integrati nelle  coperture  e  visibili
dagli spazi pubblici esterni e dai punti di vista panoramici,  ovvero
ai pannelli su immobili aventi  coperture  tradizionali  -  sui  beni
indicati dall'art. 136, comma 1, lettera c), dello stesso  cod.  beni
culturali  (i  complessi  di  cose   immobili   che   compongono   un
caratteristico aspetto avente valore estetico e tradizionale, inclusi
i centri e i nuclei storici). 
    Tale contrasto non sarebbe risolto neppure con la  previsione  di
cui al comma 3 dell'art.  7  impugnato,  che  prevede  bensi'  alcuni
criteri («peraltro elastici») di contemperamento per  l'installazione
degli impianti de quibus nei  centri  storici  e  negli  insediamenti
storici sparsi, ma pur sempre senza mai  richiedere  l'autorizzazione
paesaggistica. 
    Il legislatore provinciale si sarebbe dunque mosso  al  di  fuori
dei  limiti  consentiti   dalle   norme   fondamentali   di   riforma
economico-sociale, tra le quali andrebbero annoverate proprio  quelle
che individuano le fattispecie per le quali e' necessario il rilascio
dell'autorizzazione paesaggistica, anche semplificata.  La  Provincia
autonoma, regolando i profili anche procedurali che  vengono  qui  in
rilievo, avrebbe inoltre travalicato le proprie  competenze  pure  in
relazione alla spettanza esclusiva allo Stato  della  «determinazione
dei livelli essenziali  delle  prestazioni»,  di  cui  all'art.  117,
secondo comma, lettera m),  Cost.  Che  la  disciplina  nazionale  di
semplificazione   delle   procedure   in   tema   di   autorizzazioni
paesaggistiche sia riconducibile a tale ultimo titolo di  competenza,
del resto, discenderebbe «dall'oggettiva necessita' di dettare regole
uniformi e valide in ogni contesto geografico della Repubblica». 
    Analoghe considerazioni, secondo il ricorrente, dovrebbero valere
anche per la norma provinciale (art. 7, comma 2,  della  legge  prov.
Trento n. 4  del  2022)  che  estende  l'esonero  dall'autorizzazione
paesaggistica  all'installazione  degli  impianti   (fotovoltaici   e
termici) a terra, nelle pertinenze delle costruzioni.  Si  tratta  di
ulteriori fattispecie per le quali, in base alle fonti statali (artt.
6 e 6-bis del d.lgs. n. 28 del 2011), l'autorizzazione  paesaggistica
sarebbe «sempre indefettibile, in presenza di vincoli». 
    1.4.- Oggetto di impugnazione e', infine, l'art. 10  della  legge
prov. Trento n. 4 del 2022, che - nel sostituire il  testo  dell'art.
114, comma 2, della legge  prov.  Trento  n.  15  del  2015,  nonche'
nell'aggiungere la  lettera  d)  al  comma  4  di  tale  art.  114  -
stabilisce le modalita' di alimentazione  e  di  funzionamento  degli
impianti  per  la  produzione  di   biogas   nelle   aree   destinate
all'agricoltura. Il nuovo comma 2 prevede che gli impianti de  quibus
«devono essere alimentati con materiali  e  sostanze  definiti  dalla
deliberazione prevista dal comma 4 e  con  l'utilizzo  prevalente  di
effluenti zootecnici prodotti dall'azienda». A tal  fine  si  precisa
che «gli effluenti zootecnici rappresentano almeno il  70  per  cento
del  materiale  che  alimenta  l'impianto».  Si  aggiunge  che  «[l]a
distribuzione nel suolo del  digestato  avviene  nel  rispetto  delle
disposizioni stabilite da quest'articolo e dall'articolo  19-bis  del
D.P.G.P. 26 gennaio 1987, n. 1-41/Legisl.  (testo  unico  provinciale
sulla tutela dell'ambiente dagli inquinamenti 1987)». Inoltre, con la
nuova lettera d) del comma 4, si demanda alla Giunta  provinciale  di
definire «la tipologia e il territorio di provenienza dei materiali e
delle sostanze che alimentano l'impianto». 
    Il ricorrente ricorda che, a livello nazionale, gli  impianti  di
biogas trovano disciplina negli artt. 5 e 12 del d.lgs.  n.  387  del
2003, negli artt. 8-bis, 24 e 26 del d.lgs. n. 28 del  2011,  nonche'
negli artt. 11 e 14 del d.lgs. n. 199 del 2021.  Vi  sarebbero,  poi,
«appositi decreti ministeriali» che  regolamentano  gli  incentivi  a
tariffa, applicati agli impianti medesimi. In tale quadro,  le  norme
impugnate introdurrebbero, per il funzionamento di  questi  impianti,
«requisiti che non trovano alcun riscontro nella normativa statale» e
la  cui  previsione,  peraltro  rimessa  alla   Giunta   provinciale,
«potrebbe  limitare  gli  investimenti  sul  biogas  ed   essere   in
controtendenza  con  la  finalita'  di   promozione   delle   energie
rinnovabili seguita dal Legislatore  nazionale».  Ne  deriverebbe  il
contrasto con l'art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., e con  la
normativa statale interposta gia' citata. 
    2.- Si e' costituita in giudizio la Provincia autonoma di Trento,
in   persona   del   Presidente   pro   tempore,   concludendo    per
l'inammissibilita' e/o la non fondatezza delle questioni promosse dal
Presidente del Consiglio dei ministri. 
    La resistente riferisce che la legge prov. Trento n. 4  del  2022
e' volta a realizzare il principio  della  massima  diffusione  degli
impianti  da  fonte  rinnovabile,  in  ottemperanza  alle  previsioni
dell'Unione europea (in particolare, della direttiva 2018/2001/UE del
Parlamento europeo e  del  Consiglio  dell'11  dicembre  2018,  sulla
promozione dell'uso dell'energia da fonti rinnovabili). La  Provincia
autonoma di  Trento,  sulla  base  del  Piano  energetico  ambientale
provinciale (PEAP) 2021-2030, afferma di essere riuscita a rispettare
e a superare gli obiettivi ad essa assegnati in materia di produzione
di energia da fonti rinnovabili, in tal modo attualmente coprendo  il
34,8 per cento  del  fabbisogno  energetico  provinciale,  nel  pieno
recepimento  degli  obiettivi  europei.  Cio',  in  particolare,   e'
avvenuto «sulla base di studi che hanno consentito di quantificare il
potenziale  del  territorio  provinciale»,  con  elaborazione  di  un
apposito «modello digitale  del  territorio»  grazie  al  quale,  tra
l'altro, sarebbe oggi possibile «individuare in  maniera  puntuale  e
concreta le aree maggiormente idonee all'effettivo raggiungimento del
target previsto». 
    In tale contesto, la legge provinciale n. 4 del 2022 conferirebbe
attuazione proprio alle  finalita'  indicate  dalle  disposizioni  di
rango primario dello Stato nella materia, di competenza  concorrente,
della «produzione, trasporto e distribuzione nazionale  dell'energia»
(art. 117, terzo comma, Cost.). Il  legislatore  provinciale  avrebbe
esercitato la competenza che  ad  esso  e'  attribuita  dall'art.  8,
numeri 5) e 6) dello statuto speciale, che si riferisce alle  materie
«urbanistica e piani regolatori» e «tutela  del  paesaggio»,  e  cio'
avrebbe fatto nel rispetto del  principio  della  massima  diffusione
delle  fonti  di  energia  rinnovabili,  che  costituisce  una  norma
fondamentale di riforma economico-sociale. Sarebbero stati  recepiti,
in tal modo, gli istituti e la disciplina delineati dal d.lgs. n. 199
del 2021: cio' in un contesto  in  cui,  comunque,  l'art.  49  dello
stesso d.lgs. n. 199 del 2021 fa salve le competenze  delle  province
autonome, rendendo applicabili le norme statali solo a condizione che
siano rispettati gli  statuti  speciali  e  le  norme  di  attuazione
statutaria. 
    In  definitiva,  rimarca  la  resistente,  la  legge  provinciale
impugnata e' intervenuta a perseguire le finalita' di sviluppo  delle
energie  rinnovabili  «all'interno  di  una  struttura  ordinamentale
differente  rispetto  a  quella  statale,  sia  per  i   profili   di
pianificazione  territoriale  che  per  i  profili  di   tutela   del
paesaggio», come tali  rientranti  nella  competenza  primaria  della
Provincia.  Non  opererebbe,  pertanto,  la  competenza   legislativa
statale esclusiva di cui all'art. 117,  secondo  comma,  lettera  s),
Cost. (e' richiamata la sentenza n. 226 del 2009 di questa Corte). 
    Le questioni di legittimita' costituzionale promosse dal Governo,
pertanto, eluderebbero il confronto con le competenze legislative  di
carattere primario della Provincia autonoma, come  detto  ascrivibili
all'art. 8, numeri 5) e 6), dello statuto speciale. Del resto, questa
Corte avrebbe gia' affermato che le linee guida di  cui  al  d.m.  10
settembre 2010 non troverebbero applicazione  nei  confronti  proprio
della Provincia autonoma di Trento, nelle parti in  cui  esse  recano
prescrizioni riconducibili alla tutela del paesaggio  (e'  richiamata
la sentenza n. 275 del 2011). 
    2.1.-  Venendo  quindi  alla  disamina  delle  singole  questioni
promosse dal Presidente del  Consiglio  dei  ministri,  la  Provincia
autonoma  resistente  eccepisce  anzitutto  l'inammissibilita'  della
prima questione, avente ad oggetto l'art. 4, commi 1, 2  e  5,  della
legge prov. Trento n.  4  del  2022.  A  giudizio  della  resistente,
infatti, il ricorso avrebbe trascurato del tutto la circostanza della
riconducibilita'  delle  disposizioni  impugnate  alle   materie   di
competenza legislativa primaria, di cui all'art. 8, numeri 5)  e  6),
dello  statuto  di  autonomia.  La  loro  riconduzione  alla  materia
concorrente della «produzione, trasporto  e  distribuzione  nazionale
dell'energia» sarebbe stata affermata, nel ricorso, in modo del tutto
generico. 
    Nel merito, la prima questione sarebbe comunque non fondata. 
    La resistente fa notare che le aree idonee elencate nell'Allegato
B della legge prov. Trento n. 4 del 2022 corrispondono  (con  l'unica
eccezione di  quelle  indicate  dalle  lettere  e  ed  f)  a  precise
categorie urbanistiche «che si ritrovano nella  cartografia  standard
dei  Piani  Regolatori  Comunali»:  cio',  al  fine   di   «garantire
uniformita'   sul   territorio   a   livello   provinciale,   nonche'
prevedibilita'  e   certezza   in   termini   di   individuazione   e
funzionamento del meccanismo autorizzatorio». In tal modo,  la  norma
provinciale prevarrebbe  sulle  previsioni  comunali  concernenti  le
specifiche aree e  sarebbe,  altresi',  funzionale  al  rispetto  del
paesaggio. 
    Le   aree   idonee   cosi'    individuate,    in    ogni    caso,
corrisponderebbero  nella  sostanza  a  quelle  gia'   indicate   dal
legislatore statale all'art. 20, comma 8, del d.lgs. n. 199 del  2021
(norma, quest'ultima, destinata a  trovare  applicazione  nelle  more
dell'adozione dei decreti ministeriali recanti le nuove linee guida),
salva l'introduzione, da parte della Provincia, di criteri ancor piu'
stringenti di quelli statali. Si ricorda  che,  proprio  per  effetto
delle previsioni introdotte dall'art. 22 del d.lgs. n. 199 del  2021,
l'accertamento della "idoneita'" di un'area comporta che gli impianti
potranno ivi essere realizzati  senza  autorizzazione  paesaggistica,
essendo  sufficiente  un  mero  parere  non   vincolante   da   parte
dell'autorita' competente in materia paesaggistica (art. 22, comma 1,
lettera  a,  del  d.lgs.  n.   199   del   2021).   Di   conseguenza,
l'individuazione  delle  aree  idonee  assumerebbe   una   «specifica
rilevanza» proprio sotto il profilo paesaggistico, che rientra  nelle
competenze legislative primarie della  Provincia  autonoma  ai  sensi
dell'art. 8, numero 6), dello statuto di autonomia. 
    Il  legislatore  provinciale,  pertanto,  laddove  ha   stabilito
criteri piu' rigorosi e limitanti in punto  di  individuazione  delle
aree idonee per  l'installazione  degli  impianti  di  produzione  di
energia da fonte rinnovabile, avrebbe compiuto  «una  precisa  scelta
urbanistica e di tutela del paesaggio  trentino».  Simile  scelta  si
rinviene, anzitutto,  per  quanto  concerne  le  fasce  adiacenti  ad
autostrade e  aree  industriali  le  quali  -  pur  se  genericamente
rientranti  tra  le  aree  idonee  per  l'installazione  di  impianti
fotovoltaici a terra, ai sensi dell'art. 20, comma 8, lettere  c-ter)
e c-quater), del d.lgs. n. 199 del 2021 -  per  il  territorio  della
Provincia autonoma di Trento non necessariamente risulteranno incluse
in    tale     classificazione:     un'agevolazione     generalizzata
dell'installazione  degli  impianti  fotovoltaici   avrebbe   infatti
comportato, assume la resistente, «un rilevante rischio di consumo di
suolo e di compromissione del paesaggio in aree in cui la commistione
tra superficie agricola e industriale e' molto  stretta,  perche'  le
condizioni orografiche non lasciano quelle grandi  superfici  di  cui
dispongono altre regioni». Analoga scelta, poi, si  rinviene  laddove
la legge  provinciale  impugnata  ha  omesso  di  includere  le  aree
agricole tra quelle "idonee" indicate dell'apposito Allegato B. 
    In definitiva, il legislatore provinciale,  nell'esercizio  della
propria potesta' primaria ai sensi  dell'art.  8,  numero  6),  dello
statuto di autonomia, avrebbe compiuto un «bilanciamento in  concreto
degli interessi, strettamente aderente alla specificita' dei luoghi»,
in ossequio al «principio-guida  della  limitazione  del  consumo  di
suolo, quale bene comune e risorsa non rinnovabile», sancito all'art.
18 della legge prov. Trento n. 15 del 2015. In tal modo, le impugnate
disposizioni provinciali consentirebbero di raggiungere «un punto  di
equilibrio tra esigenze di sviluppo della produzione  di  energia  da
fonte  rinnovabile  ed  esigenze   di   salvaguardia   paesaggistica,
ambientale e di limitazione del  consumo  di  suolo,  considerata  la
particolare conformazione orografica del Trentino». 
    Nel dettaglio,  la  Provincia  autonoma  resistente  osserva  che
l'art. 4, comma 1, della legge  provinciale  impugnata  avrebbe  dato
attuazione proprio alle previsioni dell'art. 20 del d.lgs. n. 199 del
2021, il cui comma 4, dopo aver rimesso alle sole regioni il  compito
di  individuare  con  legge  le  aree   idonee   conformemente   alle
indicazioni provenienti dai decreti ministeriali, all'ultimo  periodo
cosi' testualmente  dispone:  «Le  Province  autonome  provvedono  al
processo programmatorio di individuazione delle aree idonee ai  sensi
dello Statuto speciale e delle relative norme di attuazione». Per  le
sole province autonome, dunque, il legislatore nazionale non  avrebbe
prescritto la necessita' di rispettare i principi e i criteri dettati
dai  decreti  ministeriali,  ne'  di  provvedere  entro  un   termine
stabilito.  Cio',  del  resto,  sarebbe  in  coerenza  con  l'assetto
statutario delle competenze, riconosciuto dall'art. 49  dello  stesso
d.lgs. n. 199 del 2021. La Provincia autonoma  di  Trento,  pertanto,
nel caso  specifico  avrebbe  legiferato  in  ragione  della  propria
potesta' legislativa primaria in materia di «tutela  del  paesaggio»,
potesta' che - secondo quanto affermato da questa  Corte,  in  specie
con  la  sentenza  n.   224   del   2012   -   non   e'   "annullata"
dall'attribuzione allo Stato della  competenza  a  porre  i  principi
fondamentali nella materia concorrente dell'energia. La  disposizione
contestata, peraltro, non comporterebbe alcun arresto o rallentamento
del percorso di promozione delle energie  rinnovabili,  al  contrario
concorrendo alla sua realizzazione  «tramite  l'individuazione  certa
delle aree alle quali si applica la procedura  prevista  dall'art.  4
della legge provinciale n.  4  del  2022».  Non  potrebbe,  pertanto,
trovare qui applicazione la ratio decidendi di cui alla  sentenza  di
questa Corte n. 166 del 2009, incentrata sul principio  fondamentale,
tratto dall'art. 12, comma 10,  del  d.lgs.  n.  387  del  2003,  che
precludeva alle regioni  l'autonoma  individuazione  dei  criteri  di
inserimento degli impianti nel paesaggio. 
    Anche  l'elencazione  delle  aree   idonee   compiuta,   in   via
transitoria, dall'art. 20, comma 8, del d.lgs.  n.  199  del  2021  -
prosegue la  resistente  -  non  sarebbe  applicabile  alle  Province
autonome, proprio per effetto  della  richiamata  previsione  di  cui
all'ultimo periodo del comma 4 dello stesso art. 20. 
    Con riferimento, poi, all'ulteriore norma  impugnata,  l'art.  4,
comma 5, della legge prov.  Trento  n.  4  del  2022,  la  resistente
osserva che essa - nel rimettere ai singoli comuni la possibilita' di
individuare ulteriori aree idonee, mediante variante semplificata  al
PRG - non introduce, di per se',  alcuna  deroga  alla  normativa  di
tutela del patrimonio culturale  e  del  paesaggio,  posto  che,  per
espressa previsione della legge prov. Trento  n.  15  del  2015,  gli
strumenti urbanistici devono essere coerenti  con  le  previsioni  di
tutela   paesaggistica.   Non   si   tratterebbe,   peraltro,   della
«devoluzione di una  competenza  provinciale  al  Comune»,  ma  della
«possibilita' data all'ente locale di proporre ulteriori aree idonee,
ad integrazione di quelle risultanti dall'Allegato B»,  nel  rispetto
dei criteri ivi indicati, e  subordinatamente  all'assenso  da  parte
della Giunta provinciale, chiamata ad approvare la variante del PRG. 
    2.2.-  Inammissibile  sarebbe   anche   la   seconda   questione,
concernente l'art. 5 della legge prov.  Trento  n.  4  del  2022.  Il
ricorrente  avrebbe  mancato  di  considerare  che  la   disposizione
impugnata «e' riconducibile alla materia  di  competenza  legislativa
primaria "urbanistica e piani regolatori"  ex  art.  8,  n.  5  dello
Statuto speciale di autonomia»,  con  cio'  trascurando  di  spiegare
perche' il legislatore provinciale non avrebbe potuto  recepire,  tra
gli istituti  giuridici  propri  dell'ordinamento  provinciale  nella
materia  dell'urbanistica,  lo  strumento  di  semplificazione  cosi'
introdotto. 
    Nel merito, la questione sarebbe comunque non fondata. 
    La  SCIA  indicata  dalla   norma   provinciale   impugnata   non
integrerebbe affatto  un  titolo  abilitativo  differente  da  quello
previsto dalla  norma  statale  interposta.  Mentre  quest'ultima  si
riferisce, con  la  locuzione  «procedura  abilitativa  semplificata»
(PAS), al «tipo di procedimento amministrativo nell'ambito del  quale
e'   presentata   la    dichiarazione    dell'istante    accompagnata
dall'attestazione di conformita'  urbanistica»,  il  termine  «SCIA»,
utilizzato dall'art. 5 della  legge  prov.  Trento  n.  4  del  2022,
«indica  la  tipologia  di  atto  che  il  richiedente  e'  tenuto  a
presentare per la realizzazione dell'intervento edilizio  nell'ambito
della procedura  semplificata».  In  altri  termini,  il  legislatore
provinciale avrebbe recepito la PAS utilizzando il termine «SCIA», ma
mantenendo le medesime scansioni procedimentali previste dall'art.  6
del d.lgs. n. 28 del 2011 (in particolare, il termine  di  30  giorni
entro  il  quale  il  comune  e'  chiamato  a  pronunciarsi).  Simile
impostazione  risulterebbe  coerente  con  la  normativa  statale  di
riferimento che individua proprio nella SCIA  il  titolo  abilitativo
per la costruzione, l'esercizio  e  la  modifica  degli  impianti  di
produzione di energia da fonti rinnovabili, con potenza  inferiore  a
determinate soglie. 
    2.3.- Anche la terza questione,  concernente  gli  interventi  di
edilizia libera senza autorizzazione paesaggistica, di  cui  all'art.
7, commi 1, 2 e 3, della legge prov. Trento n. 4 del  2022,  sarebbe,
nel complesso, non fondata. 
    Premessa un'eccezione di  inammissibilita'  riguardante  solo  la
questione  sul   comma   3   dell'art.   7   (in   quanto   l'esonero
dall'autorizzazione paesaggistica - osserva la resistente  -  sarebbe
previsto solo dai commi 1 e 2, il comma 3  limitandosi  a  introdurre
criteri per l'inserimento degli impianti nei  centri  storici,  senza
che alcuna censura,  nel  ricorso,  abbia  raggiunto  tale  specifica
previsione), nel  merito  la  resistente  sostiene  l'erroneita'  del
presupposto di partenza del ricorso,  secondo  cui  i  beni  indicati
dall'art. 136, comma 1, lettere b) e c), del d.lgs. n.  42  del  2004
non  troverebbero  tutela   quali   «beni   ambientali»   nell'ambito
dell'ordinamento provinciale. Al contrario, detti beni - in  esito  a
un   quadro   riepilogativo   della   legislazione   provinciale    -
risulterebbero   «tutelati   quali   beni   ambientali    nell'ambito
dell'ordinamento provinciale». 
    Di  conseguenza,  grazie  alla  clausola  di  salvezza   di   cui
all'ultimo periodo dell'art. 7, comma 1, della legge prov. Trento  n.
4 del 2022, il legislatore provinciale avrebbe inteso  «tenere  ferma
l'autorizzazione paesaggistica per gli interventi riguardanti i  beni
ambientali individuati ex art. 65 della legge prov. Trento n. 15  del
2015 e, dunque, riguardanti tutti i beni predetti»,  rimanendo  sulla
stessa linea di quanto prevede l'art. 7-bis, comma 5, del  d.lgs.  n.
28 del 2011. Le due discipline, quella provinciale e quella  statale,
sarebbero pertanto «equivalenti, pur nella diversita' degli  istituti
giuridici previsti dai due  ordinamenti  in  materia  di  tutela  del
paesaggio»,   e   l'una   costituirebbe   l'adattamento    dell'altra
nell'ordinamento provinciale. 
    Il legislatore provinciale, peraltro, avrebbe anche provveduto  a
recepire - con apposite modifiche apportate alla legge  prov.  Trento
n.  15  del  2015,  «condivise  con  le  competenti  strutture  della
Presidenza  del  Consiglio  dei  Ministri»  -  la  disciplina   della
procedura  autorizzatoria  semplificata  di  cui   al   decreto   del
Presidente della Repubblica 13  febbraio  2017,  n.  31  (Regolamento
recante individuazione degli interventi  esclusi  dall'autorizzazione
paesaggistica o sottoposti a procedura autorizzatoria  semplificata),
e cio' mediante le previsioni della legge della Provincia autonoma di
Trento 15 marzo 2018, n. 5  (Modificazioni  della  legge  provinciale
sull'attivita' amministrativa 1992, della legge  provinciale  per  il
governo  del  territorio  2015   e   disposizione   in   materia   di
autorizzazione integrata ambientale), e della legge  della  Provincia
autonoma di Trento 3 agosto 2018, n. 15 (Assestamento del bilancio di
previsione della  Provincia  autonoma  di  Trento  per  gli  esercizi
finanziari 2018 - 2020). Cio', pur nella consapevolezza che, a  mente
dell'art. 2, comma 1, del decreto legislativo 16 marzo 1992,  n.  266
(Norme di attuazione dello  statuto  speciale  per  il  Trentino-Alto
Adige concernenti il rapporto tra atti legislativi  statali  e  leggi
regionali e provinciali, nonche' la potesta' statale di  indirizzo  e
coordinamento), le previsioni del d.P.R. n. 31 del  2017,  in  quanto
non aventi rango legislativo, non potrebbero essere considerate norme
fondamentali di riforma economico-sociale,  atte  -  come  tali  -  a
configurare un limite per la legislazione provinciale. 
    In ogni caso - precisa la resistente - le competenze  legislative
primarie in materia di urbanistica e tutela  del  paesaggio,  di  cui
all'art. 8, numeri 5) e 6), dello statuto speciale  di  autonomia,  e
alle quali sarebbero da ricondurre le norme impugnate, non  sarebbero
venute meno a fronte del titolo  di  competenza  legislativa  statale
esclusiva di cui all'art. 117,  secondo  comma,  lettera  s),  Cost.;
tanto cio' vero  che  questa  Corte  ha  dichiarato  l'illegittimita'
costituzionale dell'art. 131, comma 3, del  d.lgs.  n.  42  del  2004
«nella parte in cui include le  Province  autonome  di  Trento  e  di
Bolzano tra gli enti territoriali soggetti al limite  della  potesta'
legislativa esclusiva statale di cui  all'art.  117,  secondo  comma,
lettera s), della Costituzione» (e' citata la  sentenza  n.  226  del
2009). 
    Del resto il legislatore provinciale, di  fronte  alle  norme  di
grande riforma economico-sociale recate dal cod. beni culturali,  «ha
dovuto tenere conto del sistema giuridico provinciale di  tutela  del
paesaggio»,  adattandovi  quelle  norme  ma  non  potendo  menzionare
espressamente le aree e i beni contemplati dall'art.  136,  comma  1,
lettere b) e c),  del  d.lgs.  n.  42  del  2004,  che  non  trovano,
nell'ambito   della   pianificazione   urbanistica   provinciale,   i
riferimenti necessari ad identificarli  immediatamente.  Pertanto,  a
giudizio della resistente, qualora le  norme  statali  invocate  come
interposte nel ricorso dovessero imporsi alla Provincia  autonoma  di
Trento «fin nel dettaglio della loro formulazione», esse «finirebbero
con il travolgere l'intero sistema giuridico di tutela del  paesaggio
e con il travolgere la potesta' legislativa provinciale  primaria  in
materia di tutela del paesaggio», dovendosi viceversa  ricordare  che
spetta al legislatore provinciale  provvedere  a  recepire  le  norme
fondamentali di riforma economico-sociale in subiecta materia. 
    In  ogni   caso,   a   giudizio   della   resistente,   l'esonero
dall'autorizzazione paesaggistica nell'ambito delle aree di cui  alla
lettera c) dell'art. 136, comma 1, del d.lgs. n. 42  del  2004,  come
previsto dall'art. 7-bis, comma 5, del d.lgs.  n.  28  del  2011,  in
quanto «disposizione di  estremo  dettaglio»,  sarebbe  «inidonea  ad
integrare una norma fondamentale di riforma economico  sociale  o  ad
essere  considerata  una  disposizione  coessenziale  rispetto   alla
realizzazione di una norma avente detta  rilevanza»  (e'  citata,  di
questa Corte, la sentenza n. 482 del 1995). 
    Quanto, poi, ai criteri specifici dettati per  i  centri  storici
dal comma 3 dell'art. 7 impugnato, la resistente evidenzia  che  essi
mirano a minimizzare  la  visibilita'  degli  impianti,  in  modo  da
tutelare  «la  percezione  visiva  di  tutti  i  centri  storici  del
territorio trentino per il valore identitario ad essi  riconosciuto».
Verrebbe  in  considerazione,   pertanto,   un   aspetto   pienamente
riconducibile alla materia della tutela del paesaggio, di  competenza
legislativa primaria provinciale, la  quale  non  potrebbe  ritenersi
"annullata" dall'attribuzione allo Stato della competenza a  porre  i
principi fondamentali della materia «energia». 
    2.4.- Infine, con riguardo alla  quarta  questione  promossa  dal
Presidente del Consiglio dei ministri, concernente  l'art.  10  della
legge prov. Trento n. 4 del 2022, la resistente - sulla premessa  che
anche  questa  disposizione  sarebbe   riconducibile   alla   propria
competenza  legislativa  primaria  nelle  materie  della  tutela  del
paesaggio e dell'urbanistica - ripropone l'eccezione preliminare gia'
sollevata per le altre questioni, contestando al  ricorrente  di  non
aver  «spiegato  perche'  la  disposizione  impugnata   non   sarebbe
riconducibile alle ridette materie». 
    Nel merito, anche tale questione sarebbe non fondata. 
    La resistente ricorda che uno degli  obiettivi  fondamentali  del
PUP, approvato con la legge prov. Trento n. 5 del 2008, e' la  tutela
delle  aree  agricole  che  rappresentano  una  parte  molto  ridotta
dell'intero territorio provinciale (circa il 10  per  cento),  in  un
contesto  economico  in  cui  (come   evidenziato   nella   relazione
illustrativa del PUP) il settore agricolo presenta  evidenti  limiti,
specie se confrontato con i dati  di  rilievo  nazionale.  L'art.  18
della legge prov. Trento n. 15  del  2015  pone  il  principio  della
limitazione del consumo di suolo, quale bene  comune  e  risorsa  non
rinnovabile: tale principio - fa notare la resistente -  «costituisce
uno strumento di difesa delle aree agricole da  istanze  di  sviluppo
insediativo che non trovino giustificazione nel  soddisfacimento  del
bisogno abitativo primario o, per le esigenze di  natura  produttiva,
ove non vi siano soluzioni alternative con riferimento al possibile e
razionale utilizzo delle aree esistenti e gia' insediate».  Per  tali
ragioni, l'art. 114 della legge prov. Trento n. 15 del 2015 limita la
possibilita' di insediamento, nelle aree  agricole,  solo  di  quegli
impianti,  strutture  e  infrastrutture  che  abbiano  attinenza   ad
attivita' agricole esercitate professionalmente. Analoghe limitazioni
sono poste dagli artt. 37 e 38 delle norme  di  attuazione  del  PUP,
riportate nella legge prov. Trento n. 5 del 2008. 
    Coerentemente con tali previsioni, allora, l'art. 114 della legge
prov. Trento n. 15 del 2015 ammette la realizzazione di  impianti  di
biogas nelle aree agricole subordinatamente alla condizione che  essi
assolvano  a  una  funzione   accessoria   e   strumentale   rispetto
all'attivita' principale dell'allevamento zootecnico. 
    La  novella  introdotta  con  la  disposizione   impugnata,   nel
confermare tale assetto, si sarebbe limitata ad  ampliare  il  novero
dei materiali e delle sostanze che possono alimentare gli impianti di
biogas, facendo venir meno  il  previgente  vincolo  delle  «biomasse
vegetali» e rinviando a una deliberazione  della  Giunta  provinciale
quanto alla definizione delle tipologie di materiali  e  di  sostanze
destinate a tale scopo. Essa, pertanto,  perseguirebbe  l'intento  di
incentivare la realizzazione di questi impianti  (che,  di  per  se',
«costituisce una deroga al principio di inedificabilita'» nelle  aree
agricole),  pur  sempre  nel  rispetto  della  regola  di   attinenza
all'attivita' agricola esercitata sul territorio.  In  tal  modo,  si
contribuirebbe  a  perseguire  l'obiettivo   della   «promozione   di
strategie di gestione integrata degli  effluenti  zootecnici  per  il
riequilibrio  del  rapporto   agricoltura-ambiente,   proteggendo   e
risanando le zone vulnerabili dall'inquinamento provocato da  nitrati
di origine animale». 
    Per contro - fa notare la resistente -, al di  fuori  delle  aree
agricole, non e' previsto alcun criterio concernente la  tipologia  e
la provenienza dei materiali e  delle  sostanze  che  alimentano  gli
impianti di biogas: cio', in conformita' a quanto previsto a  livello
nazionale dalle norme invocate, quali interposte, dal ricorrente. 
    In definitiva, la disciplina provinciale impugnata  consentirebbe
di perseguire, anche nelle zone agricole, il  fine  della  promozione
delle energie rinnovabili,  «limitando  solo  il  dimensionamento  di
questi impianti allo scopo  di  preservare  l'estensione  delle  aree
agricole,  quali  aree  soggette  a  tutela».  Sarebbero,   pertanto,
rispettati  i  principi  fondamentali  dettati  dallo   Stato   sulla
promozione della  produzione  e  del  consumo  di  energia  da  fonti
rinnovabili  e,  al  contempo,  rimarrebbe  intatta   la   competenza
legislativa  primaria  della   Provincia   autonoma   nelle   materie
dell'urbanistica  e  della  tutela  del  paesaggio,  cui  sarebbe  da
ascrivere la disposizione impugnata. 
    3.- Con memoria successivamente depositata, la Provincia autonoma
di Trento ha svolto ulteriori difese. 
    La  resistente,  anzitutto,   ha   ribadito   la   eccezione   di
inammissibilita' riferita  alla  circostanza  che,  nel  ricorso,  si
sarebbe omesso «di  considerare  i  rilevanti  ambiti  di  competenza
legislativa  provinciale  in  materia   di   "urbanistica   e   piani
regolatori"  [...]  e  in  materia  di  "tutela  del  paesaggio"»   e
«l'impianto  normativo  provinciale  vigente  nell'ambito  del  quale
dovrebbe innestarsi il regime abilitativo semplificato in materia  di
impianti alimentati da fonti energetiche rinnovabili (FER)». 
    Si rimarca, poi, anche l'inammissibilita' delle censure  riferite
al parametro di cui all'art.  117,  primo  comma,  Cost.,  in  quanto
richiamato  nelle  premesse  del  ricorso  ma  poi  «in  alcun   modo
argomentato» nelle pagine successive. 
    3.1.- Con specifico riguardo alla prima questione, la  resistente
evidenzia che il ricorrente avrebbe  «trascura[to]  completamente  di
considerare che l'art. 20,  co.  8,  del  d.lgs.  199/2021  pone  una
disciplina transitoria, da applicare nelle  more  dell'individuazione
delle aree idonee sulla base dei criteri e delle  modalita'  definiti
dai decreti ministeriali previsti dal comma 1 del medesimo  articolo,
e che questa disciplina transitoria trova tutt'ora applicazione senza
limite di tempo, mentre e'  ampiamente  decorso  il  termine  di  180
giorni fissato dal comma 1  per  l'adozione  dei  ridetti  criteri  e
modalita' di individuazione di aree idonee e superfici».  Quanto  poi
alla possibilita', rimessa ai comuni  dall'art.  4,  comma  5,  della
legge prov. Trento n.  4  del  2022,  di  individuare,  con  variante
semplificata al PRG, «ulteriori aree idonee» (oltre a quelle  di  cui
all'Allegato B  della  medesima  legge  provinciale),  la  resistente
contesta al ricorrente di non aver «spiega[to] in  cosa  consista  la
difformita' dalla  disciplina  di  principio  dettata  dallo  Stato»,
essendosi limitato «ad affermare  genericamente  che,  dalla  lettura
dell'art.  20  del  d.lgs.  n.  199  del  2021,  emerge  la  volonta'
legislativa di pervenire all'adozione di criteri omogenei ed uniformi
per tutto il territorio nazionale». Ne deriverebbe l'inammissibilita'
della questione per genericita'. 
    Nel merito, la resistente ricorda di essere titolare di  potesta'
legislativa primaria in materia di «urbanistica e piani regolatori» e
di «tutela del paesaggio», ai sensi dell'art.  8,  numeri  5)  e  6),
dello statuto di autonomia. L'art. 16 del medesimo statuto,  poi,  le
assegna le funzioni amministrative in tutte le  materie  nelle  quali
essa puo' legiferare. Ricorda, inoltre, che  per  tali  materie  «gli
artt. 2 e 3 del d.lgs. n. 266 del  1992  escludono  che  la  potesta'
legislativa provinciale possa essere limitata  da  atti  statali  non
legislativi e prevede vincoli sostanziali e procedurali affinche' gli
atti di indirizzo e coordinamento possano essere ritenuti efficaci in
confronto delle Province autonome». 
    La clausola di salvezza di cui all'art. 49 del d.lgs. n. 199  del
2021  determinerebbe  l'esclusione  delle   due   Province   autonome
dall'ambito  di  applicazione  del  vincolo  di   conformita'   posto
dall'art.  20,  comma  5,  del  medesimo  decreto  legislativo;  cio'
risulterebbe  «coerente  con   la   riconducibilita'   alle   materie
dell'urbanistica  e  della  tutela   del   paesaggio   del   processo
pianificatorio  concernente  l'individuazione   delle   aree   idonee
all'installazione di impianti alimentati  da  FER,  disciplinata  del
medesimo articolo». Analogamente, sarebbe centrale l'art.  20,  comma
4, ultimo periodo, del d.lgs. n. 199 del 2021, che porta ad escludere
che la Provincia autonoma di Trento debba uniformarsi ai  principi  e
ai criteri dettati per  l'individuazione  delle  aree  idonee  e  non
idonee. 
    3.2.- Quanto alla seconda  questione,  la  memoria  difensiva  si
limita a richiamare  le  conclusioni  gia'  rassegnate  nell'atto  di
costituzione in giudizio. 
    3.3.- Sulla terza questione, la  resistente,  nel  richiamarsi  a
quanto gia' dedotto, solleva una nuova eccezione di inammissibilita',
contestando  al  ricorrente  di  non  essere  «stato  in   grado   di
identificare quale delle tipologie di immobili identificate dall'art.
136 del d.lgs. n. 42 del  2004  sarebbe  da  ritenere  esclusa  dalla
categoria dei beni ambientali prevista dall'art. 12  delle  norme  di
attuazione  del  PUP  approvate  con  legge  prov.  n.  5  del   2008
("manufatti e siti di particolare pregio paesaggistico e ambientale")
e dall'art. 65 della legge prov. n. 15 del 2015». Ne'  il  ricorrente
avrebbe  spiegato  per  quale  ragione  la   disciplina   provinciale
dell'autorizzazione paesaggistica,  di  cui  all'art.  64,  comma  2,
lettera d), e all'art. 65 della legge prov. Trento  n.  15  del  2015
integrerebbe un minor livello di tutela  rispetto  a  quanto  prevede
l'art. 146 cod. beni  culturali.  Ne  deriverebbe  l'inammissibilita'
della questione per difetto o genericita' della motivazione. 
    Nel merito, le norme provinciali censurate  avrebbero  «mantenuto
integro il perimetro della tutela  paesaggistica  previsto  dall'art.
136 del d.lgs. n. 42 del 2004, in quanto l'installazione di  impianti
sugli edifici costituenti beni ambientali risulta sempre  subordinata
ad autorizzazione paesaggistica per  tutte  le  fattispecie  di  beni
immobili previste dall'art. 136». Non si avrebbe,  nella  specie,  un
livello di tutela paesaggistica inferiore rispetto a  quello  offerto
dall'art. 7-bis, comma 5, del  d.lgs.  n.  28  del  2011,  in  quanto
l'esonero dall'autorizzazione paesaggistica, introdotto  dalla  norma
censurata, sarebbe destinato ad operare solo per  l'installazione  di
impianti su edifici che si trovino in aree di tutela ambientale e che
«non siano stati  individuati  quali  beni  ambientali  dalla  Giunta
provinciale». 
    Quanto al lamentato contrasto con le norme di semplificazione  di
cui al d.P.R. n. 31 del 2017, la resistente ribadisce che tale  fonte
«ha natura di regolamento amministrativo  e  non  puo'  recare  norme
fondamentali di riforma economico sociale vincolanti  in  materia  di
tutela del paesaggio in  confronto  delle  due  province  autonome  o
principi  fondamentali  nelle  materie  di   competenza   concorrenza
concorrente». 
    Riguardo,  poi,  alle  prescrizioni  concernenti  l'installazione
degli impianti nei centri storici (di cui all'impugnato art. 7, comma
3), la resistente, nel ribadire l'eccezione di inammissibilita'  gia'
sollevata nel ricorso, osserva trattarsi di  un  completamento  della
cornice normativa gia' posta, dal legislatore provinciale,  a  tutela
del  valore  identitario  di  tutti  gli  insediamenti  storici   del
territorio. 
    3.4.- Infine, con riferimento alla quarta questione, la Provincia
autonoma resistente ribadisce che il novellato art. 114  della  legge
prov. Trento n. 15 del 2015 sarebbe  riconducibile  alle  materie  di
competenza legislativa primaria «tutela del paesaggio» e «urbanistica
e piani regolatori», posto  che  esso  non  avrebbe  ad  oggetto,  in
generale, la realizzazione  degli  impianti  di  biogas,  «bensi'  lo
speciale  regime  abilitativo  relativo  alla   realizzazione   degli
impianti di biogas nelle aree  destinate  all'agricoltura,  [...]  in
deroga alla generale disciplina in materia di edificazione nelle aree
agricole»; cio', pur sempre «in coerenza con le  previsioni  del  PUP
riguardanti le aree agricole che, in considerazione del loro  rilievo
paesaggistico, vietano  l'edificazione  in  dette  aree  se  non  per
esigenze connesse all'esercizio dell'attivita' agricola medesima». 
    Le previsioni recate dalle norme  impugnate  garantirebbero  che,
nelle aree destinate all'agricoltura, «siano realizzati solo impianti
per la produzione di biogas di  carattere  accessorio  e  strumentale
rispetto all'attivita' principale dell'allevamento zootecnico».  Cio'
sarebbe coerente con lo scopo di evitare che, in dette aree,  possano
essere  realizzati  impianti  di   produzione   di   energia   aventi
«dimensioni urbanisticamente non coerenti rispetto alla  destinazione
dell'area e all'attivita' agricola svolta, in ossequio  al  principio
urbanistico dell'attinenza degli edifici realizzati in area  agricola
all'attivita' agricola esercitata  sull'area,  sancito  dall'art.  37
delle norme di attuazione del PUP». Le aree non  agricole,  comunque,
rimarrebbero sottratte all'operativita' delle norme censurate. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Il Presidente del Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e
difeso dall'Avvocatura generale  dello  Stato,  ha  promosso  diverse
questioni di legittimita' costituzionale aventi a oggetto le seguenti
disposizioni della legge prov. Trento n. 4 del 2022: l'art. 4,  commi
1, 2 e 5, che  detta  norme  sull'individuazione  delle  aree  idonee
all'installazione di impianti alimentati da fonti  rinnovabili  (aree
che sono, specificamente, elencate  nell'Allegato  B  della  medesima
legge provinciale), consentendo ai comuni  di  individuare  ulteriori
aree idonee mediante una variante semplificata  al  Piano  regolatore
generale (PRG); l'art. 5, che, in punto di regime autorizzatorio  per
gli impianti alimentati da fonti rinnovabili, con potenza inferiore a
determinate  soglie,  stabilisce   il   regime   della   segnalazione
certificata di inizio attivita' (SCIA)  e  detta  le  relative  norme
procedimentali; l'art. 7, commi 1, 2 e 3, che introduce un regime  di
liberalizzazione per l'installazione di impianti solari  fotovoltaici
e termici, consentendo di procedere senza necessita'  di  alcun  atto
amministrativo di assenso, comunque denominato, con esplicito esonero
anche   dall'autorizzazione   paesaggistica;    l'art.    10,    che,
nell'introdurre alcune  modifiche  all'art.  114  della  legge  prov.
Trento n. 15 del 2015, stabilisce le modalita' di alimentazione e  di
funzionamento  degli  impianti  di  biogas   nelle   aree   destinate
all'agricoltura. 
    E' dedotta la violazione degli artt. 4 e 8 dello statuto speciale
e dell'art. 117, commi primo, secondo, lettere  s)  e  m),  e  terzo,
Cost.: detti parametri sono indicati  nella  parte  introduttiva  del
ricorso, con la precisazione che le doglianze ex  art.  117,  secondo
comma, lettere s) e m), Cost.,  si  riferiscono  specificamente  alle
questioni  concernenti  l'art.  7,  commi  1,  2  e  3,  della  legge
provinciale, mentre la successiva trattazione delle singole doglianze
richiama, di volta in volta, gli specifici  parametri  costituzionali
che vengono dedotti per ciascuna delle questioni. 
    2.- Nel costituirsi in giudizio, la Provincia autonoma di  Trento
ha preliminarmente dedotto che il ricorso eluderebbe il confronto con
le proprie competenze legislative di carattere primario,  ascrivibili
in via prevalente alle materie «urbanistica  e  piani  regolatori»  e
«tutela del paesaggio» di cui all'art.  8,  numeri  5)  e  6),  dello
statuto di autonomia. 
    Tale eccezione - che, per la  sua  natura  trasversale,  conviene
esaminare  prima  ancora  di  iniziare  la  disamina  delle   singole
questioni - non e' fondata. 
    Nella parte introduttiva del ricorso, invero, il  Presidente  del
Consiglio dei ministri ha espressamente richiamato gli artt.  4  e  8
dello statuto speciale, deducendone la violazione, e  ha  considerato
la particolare situazione di autonomia delle due Province di Trento e
di Bolzano. In specie, il ricorrente ha evidenziato  che  lo  statuto
non attribuisce specifiche competenze alle due Province  autonome  in
materia di energia e che, di conseguenza, a norma dell'art. 10  della
legge cost. n. 3 del 2001, si deve ritenere  attribuita  alle  stesse
una competenza legislativa di natura concorrente, ai sensi  dell'art.
117, terzo comma, Cost. 
    Tali affermazioni,  ancorche'  sintetiche,  appaiono  adeguate  a
consentire lo scrutinio nel merito delle singole questioni, in quanto
il nucleo del ragionamento condotto dal ricorrente, che  sostiene  il
travalicamento delle competenze rimesse al  legislatore  provinciale,
emerge con sufficiente nettezza  (da  ultimo,  sentenza  n.  117  del
2022). Cio' vale, a maggior ragione, e pur a prescindere da specifici
rilievi sollevati dalla Provincia resistente, anche per le  questioni
(trattate, nel ricorso, all'interno del terzo e del quarto motivo  di
doglianza) che involgono i titoli di competenza  legislativa  statale
esclusiva di cui alle lettere m) e s) dell'art. 117,  secondo  comma,
Cost., e in specie per la questione promossa sull'art. 7 della  legge
prov. Trento n. 4 del 2022, in tema di  autorizzazione  paesaggistica
per l'installazione di impianti solari  fotovoltaici  e  termici.  In
tali  casi,  infatti,  il  ricorrente,  nell'argomentare  la  propria
competenza legislativa esclusiva negli ambiti coinvolti  dalle  norme
provinciali contestate, non ha mancato di richiamare (ora  attraverso
uno specifico riferimento che si rinviene all'interno del  motivo  di
impugnazione, ora attraverso la generale premessa  che  e'  anteposta
alla trattazione dei singoli motivi) proprio le norme statutarie  che
attribuiscono competenza primaria alla Provincia autonoma  di  Trento
in materia  di  urbanistica  e  di  paesaggio,  con  cio'  sostenendo
implicitamente, ma comunque chiaramente, la prevalenza dei richiamati
titoli di competenza statali. 
    3.- In via preliminare, devono essere dichiarate inammissibili le
censure promosse in riferimento al parametro  di  cui  all'art.  117,
primo comma, Cost., posto che esso  e'  fugacemente  richiamato  solo
nella premessa generale del ricorso, senza  poi  essere  citato,  ne'
tantomeno argomentato, all'interno dei singoli motivi  di  doglianza.
Non  e'  peraltro  indicata   alcuna   fonte   interposta   derivante
dall'ordinamento  comunitario  o  da  quello   internazionale.   Tali
omissioni non consentono lo scrutinio, nel merito, delle censure. 
    Puo' dunque passarsi alla disamina delle singole questioni. 
    4.- Con la prima  questione,  il  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri impugna l'art. 4, commi 1, 2 e 5, della legge  prov.  Trento
n. 4 del 2022, che, ai fini del «raggiungimento  degli  obiettivi  di
sviluppo delle fonti rinnovabili previsti dal decreto legislativo  n.
199  del  2021»,  individua,  tramite  rinvio   a   quelle   indicate
nell'Allegato B,  le  aree  «idonee»  all'installazione  di  impianti
alimentati da fonti rinnovabili  (comma  1).  Tale  allegato,  a  sua
volta,  individua  le   seguenti   aree:   «a)   aree   per   servizi
infrastrutturali     e     discariche;     b)     aree     produttive
industriali-artigianali;  c)  aree  miste  commerciali,  terziarie  e
produttive; d) aree «estrattive effettive» e cave; e) siti ancora  da
bonificare aventi interesse nazionale e siti d'interesse  locale;  f)
discariche non controllate e bonificate; g) aree di servizio  per  la
mobilita';  h)  strade  esistenti  o  da  potenziare;   i)   aree   a
parcheggio». 
    Il comma 2 dell'art. 4 stabilisce che,  nelle  aree  idonee,  «e'
ammessa l'installazione di impianti alimentati da  fonti  rinnovabili
anche in deroga agli strumenti urbanistici subordinati al  PUP  e  in
assenza di  una  specifica  previsione  urbanistica.  L'installazione
degli impianti avviene nel rispetto degli standard urbanistici  e  in
modo da non limitare la destinazione d'uso della zona prevista  dagli
strumenti urbanistici». 
    Il successivo comma 5 consente ai comuni di individuare, mediante
apposita  «variante  semplificata  al  piano  regolatore   generale»,
ulteriori  aree  idonee,  «con   particolare   riguardo   alle   aree
compromesse, alle aree non piu' utilizzabili per altri scopi  e  alle
aree  acquisite  al  patrimonio  dell'ente  pubblico   in   esito   a
procedimenti repressivi di abusi edilizi». 
    Le  censure  statali  lamentano  la  non  conformita'  di  questa
disciplina rispetto al quadro normativo nazionale,  costituito  dalle
previsioni dell'art. 20 del d.lgs. n. 199 del 2021. Cio',  in  quanto
le  norme  impugnate,  senza  considerare  le  prescrizioni  all'uopo
stabilite da  quest'ultima  disposizione,  individuano  esse  stesse,
«aprioristicamente», le  aree  idonee,  per  di  piu'  rimettendo  ai
singoli comuni la potesta' di individuarne altre ancora, in tal  modo
prescindendo da criteri  di  omogeneita'  e  uniformita'  sull'intero
territorio  nazionale  che  la   disciplina   dello   Stato   intende
perseguire. 
    Viene dunque dedotta - sulla scorta del  generale  richiamo  agli
artt. 4 e 8 dello statuto di autonomia, operato  nella  premessa  del
ricorso - la violazione dell'art. 117, commi secondo, lettera  s),  e
terzo, Cost. (in relazione all'art. 20 del d.lgs. n.  199  del  2021:
sono, questi, i parametri specificamente richiamati nella rubrica del
motivo in esame). 
    4.1.- La questione e' inammissibile, con riguardo ad  entrambi  i
parametri evocati dal ricorrente. 
    4.2.- Con riferimento al parametro di cui all'art.  117,  secondo
comma, lettera s), Cost., la questione  e'  inammissibile  in  quanto
detto parametro non e' richiamato  dalla  deliberazione  a  impugnare
adottata dal Presidente del Consiglio dei ministri. 
    Quest'ultima, con specifico riguardo  alla  questione  in  esame,
aveva indicato solo i commi primo e terzo dell'art. 117 Cost.,  senza
mai menzionare il  secondo  comma,  lettera  s),  e  senza  tantomeno
operare  alcun  riferimento  a  profili  di   tutela   ambientale   o
paesaggistica in tesi pregiudicati dalla disposizione provinciale  de
qua. 
    Va ribadito, come da costante orientamento di questa  Corte,  che
nei giudizi in via principale deve sussistere «una piena e necessaria
corrispondenza tra la deliberazione con cui l'organo  legittimato  si
determina all'impugnazione ed il contenuto  del  ricorso,  attesa  la
natura politica dell'atto d'impugnazione» (sentenze n. 154 del 2017 e
n. 110 del 2016;  nello  stesso  senso,  ancor  prima,  ex  plurimis,
sentenze n. 46 del 2015 e n. 198 del 2012), poiche'  «l'omissione  di
qualsiasi accenno ad un parametro costituzionale  nella  delibera  di
autorizzazione   all'impugnazione   dell'organo   politico   comporta
l'esclusione della volonta' del ricorrente di promuovere la questione
al riguardo, con conseguente inammissibilita'  della  questione  che,
sul medesimo parametro, sia stata proposta dalla difesa nel  ricorso»
(sentenze n. 128 del 2018 e n. 239 del 2016). 
    Nel caso di specie, peraltro, l'evocazione dell'art. 117, secondo
comma, lettera s), Cost. non risulta affatto «meramente ancillare»  a
quella dell'art. 117, terzo comma, Cost. (con possibilita', in  tesi,
di ritenere sussistente la volonta' dell'organo politico di impugnare
la disposizione provinciale anche sotto tale profilo, secondo  quanto
ritenuto da questa Corte  in  casi  di  "ancillarita'":  ad  esempio,
sentenza n. 281 del 2020).  Essa,  infatti,  sottende  un  differente
titolo di competenza (statale esclusivo, anziche' concorrente),  tale
da richiedere un inquadramento e una motivazione,  nel  ricorso,  del
tutto diversa  da  quella  che  l'organo  tecnico  ha  svolto.  Deve,
pertanto,  escludersi  la  sussistenza  di  una   evidente   volonta'
dell'organo politico, titolare del potere di impugnativa, di porre la
questione di legittimita' costituzionale  concernente  la  violazione
della competenza legislativa esclusiva statale in materia  di  tutela
dell'ambiente, avendo quell'organo fatto riferimento solo  al  titolo
di competenza concorrente. 
    4.3.- Inammissibile, per altre e diverse ragioni, e' infine anche
la questione promossa ai sensi dell'art. 117, terzo comma, Cost. 
    4.3.1.- E' opportuno premettere alcuni  tratti  fondamentali  del
quadro normativo nazionale, concernente l'individuazione  delle  aree
in cui  e'  consentita  l'installazione  degli  impianti  di  energia
rinnovabile, dando atto del passaggio  -  tuttora  in  atto  -  dalla
disciplina introdotta con l'art. 12, comma 10, del d.lgs. n. 387  del
2003, e successivamente  attuata  con  le  linee  guida  ministeriali
adottate nel 2010, a quella recentemente  dettata  dall'art.  20  del
d.lgs. n. 199 del 2021. 
    L'art. 12 del d.lgs. n. 387 del 2003,  nell'introdurre  «principi
che [...] non tollerano eccezioni sull'intero  territorio  nazionale»
(sentenze n. 77 del 2022, n. 286 del 2019, n. 69 del 2018 e n. 99 del
2012; nello stesso senso, sentenza n. 177 del 2021), con  l'obiettivo
di razionalizzare e di semplificare le procedure autorizzative per la
costruzione e per l'esercizio degli impianti di produzione di energia
alimentati da fonti rinnovabili, ha previsto  lo  svolgimento  di  un
unico procedimento amministrativo,  nel  quale,  attraverso  apposita
conferenza  dei  servizi,   confluiscono   le   istanze   di   tutela
dell'ambiente, del paesaggio e del patrimonio  storico-artistico,  in
vista del conseguimento di un'«autorizzazione unica» (comma  3).  Per
lo  svolgimento  di  tale  procedimento,  l'art.   12   ha   previsto
l'approvazione  di  apposite  linee  guida  ministeriali  «volte,  in
particolare, ad assicurare un  corretto  inserimento  degli  impianti
[...] nel paesaggio»  (comma  10,  secondo  periodo).  Si  e'  quindi
stabilito che, «[i]n attuazione  di  tali  linee  guida,  le  regioni
possono procedere alla indicazione di aree e  siti  non  idonei  alla
installazione di specifiche tipologie di impianti» (comma  10,  terzo
periodo). 
    La giurisprudenza di questa Corte ha annoverato  le  linee  guida
ministeriali, poi  approvate  con  d.m.  10  settembre  2010,  tra  i
principi  fondamentali   della   materia   concorrente   «produzione,
trasporto e distribuzione nazionale dell'energia»,  di  cui  all'art.
117, terzo comma, Cost., vincolanti nei confronti  delle  regioni  in
quanto  «"costituiscono,  in  settori   squisitamente   tecnici,   il
completamento della normativa primaria" (sentenza n. 86  del  2019)»,
precisando che esse, nell'indicare puntuali modalita' attuative della
legge statale, «hanno "natura inderogabile e devono essere  applicate
in modo uniforme in tutto il territorio nazionale (sentenze n. 286  e
n. 86 del 2019,  n.  69  del  2018)"  (sentenza  n.  106  del  2020)»
(sentenza n. 177 del 2021 e, in senso analogo,  sentenze  n.  11  del
2022 e n. 46 del 2021; da ultimo, anche sentenza  n.  77  del  2022).
Sulla base di quanto previsto dalle linee guida - come  affermato  da
questa Corte -  le  regioni  sono  chiamate  a  svolgere  un'apposita
istruttoria per individuare le «aree non idonee», da intendersi quali
obiettivi di protezione ambientale e  paesaggistica  non  compatibili
con l'insediamento di specifiche tipologie e/o dimensioni di impianti
energetici. 
    In definitiva, nell'impianto delineato nel 2003  dal  legislatore
nazionale, come attuato dalle linee guida del 2010, le  regioni  sono
chiamate a individuare le aree «non idonee» all'esito di un  apposito
procedimento amministrativo, operando un  bilanciamento  in  concreto
degli interessi strettamente aderente alla specificita'  dei  luoghi,
senza poter imporre in via legislativa vincoli generali non  previsti
dalla disciplina statale (sentenza n. 177 del 2021). 
    4.3.2.- Rispetto a questo sistema, l'art. 20 del  d.lgs.  n.  199
del 2021 ha introdotto rilevanti novita'. Anzitutto, in base al comma
1, le regioni sono  ora  chiamate  a  individuare  le  aree  «idonee»
all'installazione degli impianti; cio', pur sempre sulla  scorta  dei
principi   e   dei   criteri   stabiliti   con    appositi    decreti
interministeriali, previsti dal comma 1. Inoltre, tale individuazione
dovra' avvenire non in sede amministrativa, bensi' «con legge»,  come
precisa il comma 4 (primo periodo), attivandosi, in difetto, a  norma
del secondo periodo del comma 4, i poteri sostitutivi dello Stato  di
cui all'art. 41 della legge 24 dicembre 2012, n. 234 (Norme  generali
sulla partecipazione dell'Italia  alla  formazione  e  all'attuazione
della normativa e delle politiche dell'Unione europea). 
    Questa Corte, di recente, ha avuto  modo  di  osservare  che,  in
raccordo con la disciplina dettata dall'art. 20 del d.lgs. n. 199 del
2021,  «l'art.  18,  comma  3,  del  medesimo   decreto   legislativo
stabilisce che,  solo  "[a]  seguito  dell'entrata  in  vigore  della
disciplina statale e regionale per l'individuazione  di  superfici  e
aree idonee ai sensi dell'art. 20, con decreto  del  Ministero  della
transizione ecologica, di concerto con il  Ministero  della  cultura,
previa intesa in sede di Conferenza unificata di cui  all'articolo  8
del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281,  sono  aggiornate  le
linee guida per l'autorizzazione degli impianti a  fonti  rinnovabili
di cui all'articolo 12, comma 10, del decreto legislativo 29 dicembre
2003, n. 387". Il citato iter non e' stato al momento completato e le
linee guida emanate con il d.m. 10  settembre  2010  non  sono  state
ancora aggiornate» (sentenza n. 27 del 2023). 
    Il nuovo sistema, imperniato  su  decreti  interministeriali  non
ancora adottati, e' completato da una disciplina transitoria, dettata
dal comma 8 dell'art. 20, a sua volta applicabile solo «[n]elle  more
dell'individuazione delle aree idonee sulla base dei criteri e  delle
modalita' stabiliti dai decreti di cui al comma 1». In  base  a  tale
disciplina transitoria, sono  considerate  idonee  le  aree  elencate
dalle lettere a) e seguenti del comma 8. 
    4.3.3.- Per quanto  piu'  specificamente  concerne  la  posizione
delle due Province autonome, l'art. 20, comma 4, del  d.lgs.  n.  199
del 2021 introduce una previsione che non si rinveniva  nell'impianto
del d.lgs. n. 387 del  2003,  secondo  cui  «[l]e  Province  autonome
provvedono al processo programmatorio di  individuazione  delle  aree
idonee ai sensi dello Statuto speciale  e  delle  relative  norme  di
attuazione». 
    Tale previsione deve essere coordinata con quella di cui all'art.
49 del medesimo d.lgs. n. 199 del 2021 che,  con  riferimento  questa
volta non  allo  specifico  aspetto  dell'individuazione  delle  aree
idonee, ma all'intera disciplina dettata da tale decreto legislativo,
e quindi a tutti gli aspetti afferenti alla promozione dell'uso delle
energie rinnovabili, stabilisce quanto segue: «Sono  fatte  salve  le
competenze delle Regioni a statuto speciale e delle Province autonome
di Trento e di Bolzano, che provvedono alle  finalita'  del  presente
decreto ai sensi dei rispettivi statuti  speciali  e  delle  relative
norme di attuazione». 
    La clausola dell'art.  49  corrisponde,  anche  letteralmente,  a
quella che si rinveniva nell'art. 19 del  d.lgs.  n.  387  del  2003,
avente  portata  generale  ma   comunque   riferibile,   secondo   la
giurisprudenza  di  questa  Corte,  anche  allo   specifico   aspetto
dell'individuazione delle aree. Proprio in base a tale clausola si e'
ritenuto che fosse da considerarsi salva  la  competenza  legislativa
primaria delle due Province autonome sul paesaggio (come riconosciuta
dall'art. 8, numero 6, dello statuto di autonomia),  la  quale  «deve
tuttavia coesistere con la competenza statale in  materia  di  tutela
dell'ambiente e con quella concorrente in materia di energia»  e  che
deve, pertanto, soggiacere agli obiettivi  nazionali  sul  consumo  e
sulla ripartizione, tra regioni  e  province  autonome,  della  quota
minima di incremento dell'energia rinnovabile (sentenza  n.  275  del
2011). In questa prospettiva, la Corte non ha  mancato  di  precisare
che le Province autonome di Trento e di  Bolzano  non  sono  tuttavia
svincolate dall'osservanza  dei  principi  fondamentali  dettati  dal
d.lgs. n. 387 del 2003 sulla localizzazione degli impianti, in quanto
la loro potesta'  legislativa  primaria  in  materia  di  tutela  del
paesaggio le  esonera  unicamente  dal  rispetto  delle  disposizioni
regolamentari e di dettaglio  contenute  in  alcuni  punti  specifici
delle linee guida ministeriali (sentenza n. 224 del 2012). 
    Nel complessivo contesto delle norme delineate sia dal d.lgs.  n.
387 del 2003, sia dalle linee guida  ministeriali,  questa  Corte  ha
ricondotto il regime dell'autorizzazione unica,  in  via  prevalente,
alla  materia  concorrente   dell'energia,   riconoscendo   ad   esso
«carattere di normazione di principio e non  di  dettaglio»,  nonche'
«valenza estesa all'intero territorio nazionale, senza eccezioni,  in
quanto funzionale alla creazione  di  un  sistema  di  regole  certe,
trasparenti ed uniformi di ingresso  degli  operatori  economici  nel
settore di  riferimento».  Ha  quindi  affermato  che  «le  autonomie
speciali dotate di competenza statutaria in  materia  di  tutela  del
paesaggio  possono  individuare  aree  e   siti   non   idonei   alla
installazione degli impianti al di fuori delle prescrizioni contenute
nelle linee guida, ma sempre all'interno  dei  principi  fondamentali
dettati dal legislatore statale nella materia dell'energia» (sentenza
n. 275 del 2012). 
    4.3.4.- Rispetto al quadro normativo statale cosi'  tratteggiato,
il ricorrente non si e' adeguatamente confrontato con la portata  del
d.lgs. n. 199 del 2021 in merito alla disciplina delle aree idonee  e
non idonee, mancando di verificare in quali termini il nuovo  sistema
di individuazione delle aree potesse considerarsi gia'  efficace.  In
proposito, questa Corte  ha  gia'  osservato  che,  nella  perdurante
assenza dei decreti interministeriali previsti dal comma 1  dell'art.
20, quello introdotto nel 2021 deve considerarsi «un quadro normativo
oggi ancora non compiutamente definito» (sentenza n. 216 del 2022). 
    Ma, ancor prima, il ricorrente non ha  adeguatamente  ricostruito
gli effettivi margini di autonomia che, per questo specifico profilo,
devono oggi considerarsi assegnati alle due Province autonome,  anche
in ordine alla corretta tempistica  dell'intervento  del  legislatore
provinciale. Cio', avuto riguardo al fatto che il legislatore statale
del 2021, pur riproducendo,  all'art.  49  la  clausola  generale  di
salvezza che gia' era contenuta nell'art. 19 del d.lgs.  n.  387  del
2003, ha aggiunto la nuova e piu' specifica clausola di cui  all'art.
20, comma 4, ultimo periodo, del d.lgs. n. 199 del 2021,  concernente
proprio il regime dell'individuazione  delle  aree  idonee  da  parte
delle  due  Province  autonome,  e  tuttavia  non   considerata   dal
ricorrente. 
    Le  riscontrate  carenze  comportano   l'inammissibilita'   della
questione. Come gia'  evidenziato  da  questa  Corte,  l'impugnazione
avverso una  disposizione  regionale  che  arrechi  pregiudizio  alle
attribuzioni  statali,  incidendo   su   materie   rientranti   nelle
competenze  legislative  dello  Stato,  deve  «essere   adeguatamente
motivat[a] e, a supporto delle censure prospettate, deve chiarire  il
meccanismo attraverso cui si realizza il preteso  vulnus  lamentato»;
in particolare, «quando il vizio sia prospettato in relazione a norme
interposte specificamente richiamate  e'  necessario  evidenziare  la
pertinenza e la coerenza  di  tale  richiamo  rispetto  al  parametro
evocato» (sentenza n. 232 del 2019; da ultimo,  sentenza  n.  71  del
2022). 
    5.- E' poi impugnato l'intero art. 5 della legge prov. Trento  n.
4 del 2022, rubricato «Procedura abilitativa semplificata». 
    La  disposizione  stabilisce  -  facendo  salve  le  ipotesi   di
comunicazione di  inizio  lavori  asseverata  (CILA)  e  di  edilizia
libera, di cui, rispettivamente, ai successivi artt. 6 e 7 - che  gli
interventi  di  installazione  di  impianti   alimentati   da   fonti
rinnovabili,  aventi  una  potenza  inferiore  a  determinate  soglie
(queste ultime, individuate sia mediante richiamo alla Tabella A  del
d.lgs. n. 387 del 2003, sia mediante  richiamo  all'Allegato  A  alla
stessa  legge  provinciale),   sono   assoggettati   a   segnalazione
certificata di inizio attivita' (SCIA), «nell'ambito della  procedura
abilitativa semplificata disciplinata dal presente  articolo»  (cosi'
il comma 1). 
    Il comma 2 prevede che la SCIA, accompagnata da una relazione del
progettista  e  dagli  elaborati  tecnici  per  la  connessione,   e'
presentata al  comune  «almeno  trenta  giorni  prima  dell'effettivo
inizio dei lavori». Qualora, entro trenta giorni dalla  presentazione
della  SCIA,  risulti  accertata  l'assenza  di  una  o  piu'   delle
condizioni dichiarate nella relazione, il comune «vieta di iniziare i
lavori».  Quando,  invece,  il  comune  non  procede  in  tal   modo,
«l'attivita' di costruzione e'  da  ritenersi  assentita»  (cosi'  il
comma 3). 
    A norma del comma 4, poi, se la costruzione e  l'esercizio  degli
impianti e' sottoposta ad atti di assenso di competenza del comune  o
di altre amministrazioni e questi atti non sono allegati  alla  SCIA,
«il comune provvede ad acquisirli d'ufficio o  convoca,  entro  venti
giorni dalla presentazione della  SCIA,  una  conferenza  di  servizi
decisoria dandone comunicazione al proponente». In  questo  caso,  il
termine di trenta giorni  previsto  dal  comma  2  «e'  sospeso  fino
all'acquisizione d'ufficio degli atti di assenso o fino  all'adozione
della determinazione motivata di conclusione del procedimento». 
    Il comma 5 stabilisce il titolo di assentimento dell'opera e,  al
riguardo,  prevede  quanto  segue:  «La  sussistenza  del  titolo   a
realizzare l'intervento e' provata con la copia  della  SCIA  da  cui
risulta la data di  presentazione  della  SCIA  stessa,  l'elenco  di
quanto  presentato  a  corredo  del  progetto,   l'attestazione   del
professionista, gli atti di assenso eventualmente necessari». 
    Con norma di chiusura, il comma 6 dispone che «[p]er  quanto  non
disciplinato da quest'articolo si applica l'articolo 86  della  legge
provinciale per il governo del territorio  2015»  (il  quale,  a  sua
volta, detta  la  disciplina  generale  della  SCIA  valida  per  gli
interventi edilizi nel territorio della Provincia autonoma di Trento,
stabilendone i requisiti e i soggetti che possono avvalersene). 
    Le censure del ricorrente attengono alla dedotta non  conformita'
di questa disciplina provinciale con quanto prescrive  l'art.  6  del
d.lgs. n. 28 del 2011, che ha introdotto  la  «procedura  abilitativa
semplificata» (PAS). Tale non conformita' starebbe in cio', che  «[i]
due istituti, PAS e SCIA costituiscono titoli abilitativi  diversi  e
sono  caratterizzati  da  un   regime   giuridico   differente».   In
particolare, precisa il ricorrente, «mentre la SCIA viene  presentata
contestualmente all'inizio dei lavori, la PAS deve essere  presentata
trenta giorni prima dell'avvio del cantiere dando cosi' modo all'ente
locale di intervenire [...] e dunque prima dell'inizio dei lavori». 
    Viene quindi censurata - sulla scorta, anche  qui,  del  generale
richiamo agli artt. 4 e 8 dello statuto di autonomia, compiuto  nella
premessa del ricorso - la violazione dell'art.  117,  commi  secondo,
lettera s), e terzo Cost. (quest'ultimo, in relazione all'art. 6  del
d.lgs. n. 28 del  2011:  sono,  questi,  i  parametri  specificamente
richiamati nella rubrica del motivo in esame). 
    5.1.- Va preliminarmente evidenziato  che,  successivamente  alla
proposizione del ricorso, l'art.  19,  comma  2,  della  legge  della
Provincia autonoma di Trento 6 luglio 2022, n.  7,  recante  «Riforma
delle comunita': modificazioni  della  legge  provinciale  16  giugno
2006, n. 3 (Norme in materia di governo dell'autonomia del Trentino),
e della  legge  provinciale  per  il  governo  del  territorio  2015.
Modificazioni della legge provinciale sulle fonti rinnovabili  2022»,
ha introdotto nell'art. 5 della legge prov. Trento n. 4 del  2022  il
comma  5-bis,  che  prevede   quanto   segue:   «[l]a   realizzazione
dell'intervento deve essere completata entro tre anni decorrenti  dal
termine di conclusione della procedura di cui al comma 3 o  al  comma
4». 
    Questo ius superveniens, avente peraltro portata marginale  e  di
completamento della disciplina  della  SCIA,  non  puo'  considerarsi
incluso nel sindacato di legittimita' costituzionale sollecitato  dal
ricorso  in  esame,  che  attiene  unicamente  all'originario   testo
dell'art.  5,  quale  all'epoca  in  vigore.  Le  considerazioni  che
seguono, pertanto, si riferiscono a tale disposizione, quale  vigente
al momento della proposizione del ricorso. 
    5.2.- La questione e' inammissibile, limitatamente  alla  pretesa
violazione del parametro di cui all'art. 117, secondo comma,  lettera
s), Cost.  Esso,  infatti,  non  e'  richiamato  dalla  deliberazione
adottata dal Presidente del Consiglio dei ministri. 
    5.3.- La censura relativa all'art. 5 della legge prov. Trento  n.
4 del 2022, promossa  per  violazione  dell'art.  117,  terzo  comma,
Cost., in relazione all'art. 6 del d.lgs. n.  28  del  2011,  non  e'
fondata. 
    5.3.1.- Giova premettere un inquadramento normativo. 
    L'art. 6 del d.lgs. n.  28  del  2011,  nella  formulazione  oggi
vigente, prevede la PAS per gli impianti che, in ragione  della  loro
bassa potenza, in precedenza erano assentiti con SCIA  (anziche'  con
il piu' complesso titolo dell'autorizzazione unica). 
    La procedura della PAS si articola,  nei  suoi  tratti  salienti,
come  segue.  Il  proprietario  dell'immobile  (ovvero,  chi  ha   la
disponibilita' degli immobili interessati dall'impianto e dalle opere
connesse)  presenta  al   comune,   «almeno   trenta   giorni   prima
dell'effettivo inizio dei lavori», una «dichiarazione»,  accompagnata
da «una dettagliata relazione a firma di un progettista  abilitato  e
dagli opportuni elaborati progettuali», che attesti la compatibilita'
del progetto con gli strumenti urbanistici approvati e i  regolamenti
edilizi vigenti e la  non  contrarieta'  agli  strumenti  urbanistici
adottati, nonche' il rispetto delle norme di sicurezza  e  di  quelle
igienico-sanitarie. Alla dichiarazione sono  allegati  gli  elaborati
tecnici per la connessione redatti dal gestore della rete.  Nel  caso
in cui siano richiesti  atti  di  assenso  nelle  materie  cosiddette
sensibili (di cui al comma 4 dell'art. 20 della legge 7 agosto  1990,
n.  241,  recante   «Nuove   norme   in   materia   di   procedimento
amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi»),
e tali atti non siano allegati alla dichiarazione, devono esserlo gli
elaborati tecnici richiesti dalle norme di settore (cosi'  l'art.  6,
comma 2). 
    Una volta presentata la  segnalazione,  pertanto,  i  lavori  non
possono iniziare immediatamente  (come  accade,  invece,  nel  regime
ordinario della SCIA, delineato dall'art. 19, comma 2, della legge n.
241 del 1990), ma solo a seguito del decorso del  termine  di  trenta
giorni, e solo se l'amministrazione non abbia  adottato  un  espresso
provvedimento inibitorio. 
    Invero il comune, ove entro detto termine riscontri l'assenza  di
una  o  piu'  delle  condizioni   attestate   nella   relazione   del
progettista,  «notifica  all'interessato  l'ordine  motivato  di  non
effettuare il previsto intervento».  In  assenza  di  tale  notifica,
decorso il termine di trenta giorni «l'attivita' di costruzione  deve
ritenersi assentita» (cosi' l'art. 6, comma 4). 
    Qualora alla dichiarazione non siano allegati i necessari atti di
assenso,  spetta  al  comune  renderli  tempestivamente  (se  di  sua
competenza) ovvero acquisirli d'ufficio (ove di competenza  di  altre
amministrazioni), se  del  caso  convocando  apposita  conferenza  di
servizi. In queste evenienze, «[i]l termine di trenta giorni  di  cui
al comma 2 e' sospeso fino alla acquisizione degli  atti  di  assenso
ovvero fino all'adozione della determinazione motivata di conclusione
del procedimento» (cosi' l'art. 6, comma 5). 
    La realizzazione dell'intervento va «completata  entro  tre  anni
dal perfezionamento della procedura abilitativa semplificata ai sensi
dei commi 4 o 5» (cosi' l'art. 6, comma 6). 
    La  sussistenza  del  titolo  «e'  provata  con  la  copia  della
dichiarazione  da  cui  risulta  la   data   di   ricevimento   della
dichiarazione stessa, l'elenco di quanto  presentato  a  corredo  del
progetto, l'attestazione del professionista  abilitato,  nonche'  gli
atti di assenso eventualmente necessari» (cosi' l'art. 6, comma 7). 
    Quello  fin  qui  descritto  costituisce  un   vero   e   proprio
procedimento amministrativo, caratterizzato  da  un  certo  grado  di
semplificazione      (rispetto       all'ordinario       procedimento
dell'autorizzazione unica), che parte su iniziativa del  privato  con
la presentazione al comune di una  «dichiarazione»  e  che  e'  volto
all'ottenimento  di  un  titolo.  La  sua  denominazione  («Procedura
abilitativa semplificata», da  cui  l'acronimo  PAS)  chiarisce  tale
natura e rende evidente la distinzione tra l'atto di  iniziativa  (la
«dichiarazione» del privato),  il  momento  procedimentale  e  l'atto
amministrativo finale (il titolo). 
    In   tale   contesto,   emerge   anche    dalla    giurisprudenza
amministrativa   la   sussumibilita'   della    speciale    procedura
"semplificata", prevista dall'art. 6 del d.lgs. n. 28  del  2011  nel
modello procedimentale della SCIA di cui all'art. 19 della  legge  n.
241 del 1990 (arg. ex Consiglio di Stato, sezione quarta, sentenze  4
gennaio 2023, n. 130 e 3 febbraio 2022, n. 771; TAR Calabria, sezione
prima, sentenza 16  giugno  2021,  n.  1243;  TAR  Campania,  sezione
staccata di Salerno, sezione prima, sentenza  20  dicembre  2018,  n.
1838). 
    Analogamente, questa Corte - nel considerare la disciplina  sulla
formazione del titolo edilizio a seguito di dichiarazione  di  inizio
di  attivita'  (DIA)  o  di  SCIA  come  rientrante  tra  i  principi
fondamentali della materia concorrente «governo del territorio» -  ha
precisato che la DIA, cosi' come la  SCIA,  «si  inseriscono  in  una
fattispecie il cui effetto e' pur sempre  quello  di  legittimare  il
privato ad effettuare gli interventi edilizi  (sentenze  n.  121  del
2014, n. 188 e n. 164 del 2012)»: una fattispecie  avente  «struttura
complessa»,  che  «non  si   esaurisce,   rispettivamente,   con   la
dichiarazione o la segnalazione, ma si sviluppa  in  fasi  ulteriori:
una prima, di ordinaria attivita' di  controllo  dell'Amministrazione
(rispettivamente nei  termini  di  sessanta  e  trenta  giorni);  una
seconda,  in  cui  puo'  esercitarsi   l'autotutela   amministrativa»
(sentenza n. 49 del 2016). Le modalita' di intervento della  pubblica
amministrazione costituiscono, dunque, «il  necessario  completamento
della   disciplina   di   tali   titoli   abilitativi,   poiche'   la
individuazione della loro consistenza e della loro efficacia non puo'
prescindere dalla capacita' di  resistenza  rispetto  alle  verifiche
effettuate  dall'Amministrazione  successivamente  alla   maturazione
degli stessi», sicche' «[l]a  disciplina  di  questa  fase  ulteriore
[...]  e'  parte  integrante  di  quella  del  titolo  abilitativo  e
costituisce  con  essa  un  tutt'uno  inscindibile»  (cosi',  ancora,
sentenza n. 49 del 2016). 
    5.3.2.- Alla luce di quanto precede, deve quindi concludersi  che
la SCIA introdotta dalle norme  provinciali  impugnate  non  presenta
alcuna sostanziale differenza rispetto alla PAS di cui all'art. 6 del
d.lgs. n. 28 del 2011. Il  legislatore  provinciale,  senza  peraltro
mancare di utilizzare proprio la denominazione «procedura abilitativa
semplificata» (che costituisce la rubrica della norma censurata),  ha
solo utilizzato la denominazione «SCIA» per  riferirsi  all'atto  che
segna l'inizio di un procedimento caratterizzato - nel raffronto  con
il citato art. 6 del d.lgs. n. 28 del 2011 - dalle medesime scansioni
e dai medesimi poteri di intervento inibitorio del comune. 
    Del resto, neanche l'art. 5 della legge prov.  Trento  n.  4  del
2022  consente  l'immediato  inizio  dei  lavori,  a  seguito   della
presentazione  della  «segnalazione»,  ma  impone  di  attendere  che
trascorra   il   termine   di   trenta   giorni,   entro   il   quale
l'amministrazione   potra'   svolgere   le   proprie   verifiche   ed
eventualmente intervenire con il provvedimento  inibitorio.  Inoltre,
detto  art.  5  delinea   tale   «segnalazione»   con   le   medesime
caratteristiche della  «dichiarazione»  menzionata  dall'art.  6  del
d.lgs. n. 28 del 2011 (il quale, peraltro, sin dalla sua formulazione
originaria, ha impiegato  tale  termine,  che  richiamava  l'istituto
della DIA, unico all'epoca vigente), prescrivendo che  sia  corredata
dalla relazione del progettista e  dagli  elaborati  tecnici  per  la
connessione. Uguale, poi, e' la disciplina sull'eventuale sospensione
del termine di trenta giorni,  ai  fini  dell'acquisizione  d'ufficio
degli atti di assenso necessari (ma non allegati dal privato) e dello
svolgimento  della  conferenza  di   servizi.   Ancora,   del   tutto
sovrapponibile e' la disciplina relativa  al  titolo  finale  che  e'
costituito dalla copia della «segnalazione», da cui risulti  la  data
della «presentazione» (ovvero, «la  data  di  ricevimento»,  come  si
esprime il comma 7 del citato art. 6 del  d.lgs.  n.  28  del  2011),
unitamente all'«elenco di quanto presentato a corredo  del  progetto,
[all]'attestazione  del  professionista,  [a]gli  atti   di   assenso
eventualmente necessari» (cosi' l'art. 5, comma 5, della legge  prov.
Trento n. 4 del 2022, che corrisponde quasi letteralmente al primo). 
    Da quanto precede emerge che la norma provinciale censurata,  nel
delineare le fasi  in  cui  e'  scandita  la  «procedura  abilitativa
semplificata»  per  l'ottenimento  della  SCIA,  e'  rispettosa   dei
principi fondamentali dettati dal legislatore statale con  l'invocata
disposizione interposta. Non  sussistono,  pertanto,  le  difformita'
lamentate dal ricorrente rispetto alla disciplina statale della  PAS,
con particolare riguardo a quella  relativa  al  momento  in  cui  e'
consentito l'inizio dei lavori, che  coincide  nelle  due  discipline
poste a raffronto. 
    Ne deriva la non fondatezza della questione. 
    6.- Viene poi impugnato l'art. 7, commi 1, 2  e  3,  della  legge
prov. Trento n. 4 del 2022, che consente la libera  installazione  di
impianti solari  fotovoltaici  e  termici,  e  delle  relative  opere
funzionali alla connessione alla rete elettrica, sia sulle  coperture
delle costruzioni esistenti (comma 1), sia a terra  nelle  pertinenze
delle costruzioni medesime (comma 2) e salvo il  rispetto  di  alcune
misure  di  mitigazione  (comma  3).  Le  ragioni   dell'impugnazione
poggiano sulla prevista esplicita esenzione - non solo  da  qualsiasi
atto di assenso, comunque denominato, ma anche -  dall'autorizzazione
paesaggistica. 
    In particolare, ai fini delle installazioni, il comma 1 dell'art.
7 richiede una semplice «previa comunicazione al  comune»  e  precisa
che  esse  «non  sono  subordinate  all'acquisizione   di   permessi,
autorizzazioni o atti amministrativi di assenso comunque  denominati,
inclusa  l'autorizzazione  paesaggistica».  Si  aggiunge,  all'ultimo
periodo del comma 1, la seguente clausola di salvezza: «Restano fermi
l'acquisizione delle autorizzazioni previste dalle norme di settore a
tutela dei beni ambientali e dei beni culturali e il  rispetto  delle
norme sulla sicurezza, antisismiche, igienico-sanitarie e  di  tutela
del pericolo idrogeologico». 
    Il  comma   2,   come   precisato,   estende   tale   regime   di
liberalizzazione anche  alle  installazioni  «a  terra»,  purche'  si
tratti di impianti aventi una  capacita'  di  generazione  «inferiore
alle soglie previste dall'articolo 3,  comma  1,  per  l'applicazione
dell'autorizzazione integrata». Con tale riferimento,  vengono  cosi'
richiamati i limiti di potenza indicati dal d.lgs. n.  387  del  2003
(Tabella A), validi, a livello nazionale, per segnare il confine  tra
l'autorizzazione unica e i regimi abilitativi piu' blandi. 
    Il comma 3 (parimenti impugnato) stabilisce poi alcune misure  di
mitigazione della liberalizzazione, da applicarsi «nei centri storici
e negli insediamenti  storici  sparsi».  Si  stabilisce  dunque  che,
«[f]ermo restando quanto previsto dai commi 1 e 2», in tali aree  gli
impianti solari fotovoltaici e termici devono essere  installati  «in
modo da minimizzarne la  visibilita',  con  inclinazione  identica  o
coerente rispetto alla  copertura  nel  caso  di  tetti  a  falda  in
aderenza o integrati, e  possono  essere  installati  a  terra  nelle
pertinenze  delle  costruzioni  solo  in  caso  di  insufficienza   o
inidoneita' della copertura della costruzione medesima». 
    Non sono invece sottoposti a impugnazione i successivi commi 4, 5
e 6 dell'art. 7, che recano ulteriori norme di  contorno,  volte,  in
particolare,  a  estendere  l'ambito  oggettivo   di   applicabilita'
dell'art. 7. 
    Le  censure  del   ricorrente   si   appuntano,   esclusivamente,
sull'esonero dall'autorizzazione paesaggistica, invocando  il  titolo
di competenza  legislativa  statale  esclusiva  nella  materia  della
tutela dell'ambiente (lettera  s  del  secondo  comma  dell'art.  117
Cost.) e nella materia della determinazione  dei  livelli  essenziali
delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali  che  devono
essere garantiti su tutto il territorio nazionale (lettera  m).  Allo
stesso tempo, e' lamentato  il  contrasto  con  una  serie  di  norme
statali (gli artt. 136, 142, 146 e 149 del d.lgs.  n.  42  del  2004,
come attuati mediante il d.P.R. n. 31 del 2017; gli artt. 6, 6-bis  e
7-bis del d.lgs. n. 28 del 2011). 
    Il punto centrale delle censure statali, riferite alla tutela dei
valori paesaggistici, e' costituito dal richiamo alle norme nazionali
che, nel quadro della semplificazione delle  procedure  autorizzative
per la realizzazione di interventi  di  efficienza  energetica  e  di
piccoli impianti a fonti rinnovabili, hanno di recente riformulato il
regime di liberalizzazione per  l'installazione  di  impianti  solari
fotovoltaici e termici. Si tratta delle previsioni  -  assunte  quale
parametro di raffronto, rispetto alle norme provinciali  impugnate  -
di cui all'art. 9, comma 1, del d.l. n. 17 del 2022, come  sostituito
dalla legge di conversione n. 34 del 2022, che ha riscritto il  comma
5 dell'art. 7-bis del d.lgs. n. 28 del 2011. 
    Con le disposizioni denunziate il legislatore provinciale avrebbe
travalicato i limiti imposti  dalle  norme  fondamentali  di  riforma
economico-sociale, tra le quali  andrebbero  annoverate  quelle  che,
limitatamente all'installazione degli impianti solari fotovoltaici  e
termici, individuano le fattispecie per le  quali  e'  necessario  il
rilascio  dell'autorizzazione  paesaggistica,   anche   semplificata.
Viene, inoltre, dedotta la violazione  della  competenza  legislativa
esclusiva dello Stato nella «determinazione  dei  livelli  essenziali
delle prestazioni», di cui all'art. 117, secondo comma,  lettera  m),
Cost., posto che, a giudizio del ricorrente, la disciplina  nazionale
sulla semplificazione delle  procedure,  in  tema  di  autorizzazioni
paesaggistiche,  sarebbe  riconducibile  a  tale  ultimo  titolo   di
competenza,  avuto  riguardo  all'«oggettiva  necessita'  di  dettare
regole  uniformi  e  valide  in  ogni   contesto   geografico   della
Repubblica». 
    In definitiva, viene denunciata - sulla scorta, anche  in  questo
caso,  del   preteso   superamento   della   competenza   legislativa
provinciale di cui agli artt. 4  e  8  dello  statuto  di  autonomia,
contestato con lo specifico motivo -  la  violazione  dell'art.  117,
secondo comma, lettere s) e  m),  Cost.  (in  relazione  alle  «norme
interposte» di cui agli artt. 136, 142, 146 e 149 del  d.lgs.  n.  42
del 2004, come attuati mediante il d.P.R. n.  31  del  2017,  e  agli
artt. 6, 6-bis e 7-bis del d.lgs. n. 28 del 2011). 
    6.1.-    Preliminarmente,    va    esaminata    l'eccezione    di
inammissibilita' concernente la sola parte del motivo di ricorso  con
il quale e' impugnato il comma 3 dell'art. 7 della legge prov. Trento
n. 4 del 2022. L'esonero  dall'autorizzazione  paesaggistica  -  che,
come  osserva  la  resistente,  costituisce  il  vero  nucleo   delle
doglianze di controparte - sarebbe infatti sancito solo dai commi 1 e
2, mentre il  comma  3  si  limiterebbe  ad  introdurre  criteri  per
l'inserimento degli impianti nei  centri  storici.  Rispetto  a  tale
specifica previsione, si afferma, il  ricorso  non  prospetta  alcuna
censura. 
    L'eccezione non e' fondata. 
    La doglianza che, nel corpo del  terzo  motivo  di  impugnazione,
viene rivolta contro la deroga  all'autorizzazione  paesaggistica  e'
invero chiara nel riferirsi anche al comma 3 dell'art.  7  impugnato,
posto  che,  come  argomenta  il  ricorrente,  anche  tale  specifica
disposizione introdurrebbe previsioni non idonee  a  controbilanciare
la deroga sancita dai primi due commi.  Del  resto,  pure  lo  stesso
comma 3, analogamente alle disposizioni che lo precedono, finisce per
ribadire   la   possibilita'   di   prescindere   dall'autorizzazione
paesaggistica, posto che si apre  con  la  clausola  «Fermo  restando
quanto previsto dai commi 1 e 2», in tal modo,  quindi,  riproducendo
la deroga contestata, che viene  fatta  valere  anche  per  i  centri
storici. 
    6.2.- Fondata e',  invece,  nei  termini  di  seguito  precisati,
l'ulteriore eccezione di inammissibilita', sollevata dalla  Provincia
autonoma nella memoria depositata il 3 gennaio 2023,  concernente  la
questione  promossa  in  riferimento  all'art.  117,  secondo  comma,
lettere s) e m), Cost. 
    Giova, al riguardo, ricordare che, in  base  alle  norme  statali
richiamate dal ricorrente, l'installazione, con qualunque  modalita',
anche  nelle  zone  A  degli  strumenti  urbanistici  comunali  (come
individuate ai sensi del decreto del Ministro dei lavori  pubblici  2
aprile 1968,  n.  1444,  recante  «Limiti  inderogabili  di  densita'
edilizia, di altezza, di distanza fra i fabbricati e rapporti massimi
tra spazi destinati agli insediamenti  residenziali  e  produttivi  e
spazi pubblici  o  riservati  alle  attivita'  collettive,  al  verde
pubblico o a parcheggi da osservare  ai  fini  della  formazione  dei
nuovi strumenti urbanistici o della revisione di quelli esistenti, ai
sensi dell'art. 17 della legge 6 agosto 1967, n. 765»),  di  impianti
solari fotovoltaici e termici sugli edifici, ovvero  su  strutture  e
manufatti fuori terra diversi dagli edifici (ivi compresi  strutture,
manufatti ed  edifici  gia'  esistenti  all'interno  dei  comprensori
sciistici),  nonche'  nelle  relative  pertinenze,   e'   considerata
intervento  di  manutenzione   ordinaria   e   non   e'   subordinata
all'acquisizione di permessi, autorizzazioni o atti amministrativi di
assenso comunque denominati, ivi compresi quelli  previsti  dal  cod.
beni  culturali.  La  stessa  disposizione  introduce,  poi,   alcune
eccezioni, con riguardo  alle  installazioni  effettuate  in  aree  o
immobili vincolati ai sensi dell'art.  136,  lettere  b)  e  c),  del
d.lgs. n. 42 del 2004, ossia, rispettivamente, presso  «le  ville,  i
giardini e i parchi, non  tutelati  dalle  disposizioni  della  Parte
seconda del [cod. beni culturali], che si distinguono per la loro non
comune  bellezza»  e  presso  «i  complessi  di  cose  immobili   che
compongono  un  caratteristico  aspetto  avente  valore  estetico   e
tradizionale, inclusi i centri ed i nuclei storici». 
    Dal  canto  suo,  la   disposizione   impugnata,   nell'includere
l'autorizzazione paesaggistica tra gli atti di assenso amministrativo
da  cui  si  prescinde   per   dette   installazioni,   fa   tuttavia
esplicitamente salva l'acquisizione  delle  autorizzazioni  previste,
tra le altre, «dalle norme di settore a tutela dei  beni  ambientali»
(cosi' l'art. 7, comma 1, ultimo periodo, della legge prov. Trento n.
4 del 2022). 
    Detti beni sono tutelati, nell'ordinamento provinciale, dall'art.
64, comma 2, lettera d), della legge prov. Trento n. 15 del 2015, che
assoggetta ad autorizzazione paesaggistica, per  l'appunto,  «i  beni
ambientali di  cui  all'articolo  65».  Quest'ultimo,  a  sua  volta,
rubricato «Individuazione  di  beni  ambientali  e  inclusione  negli
elenchi», stabilisce, al comma 1, che la Giunta provinciale,  sentita
la commissione per la  pianificazione  territoriale  e  il  paesaggio
(CPC) competente per territorio, individua e inserisce in uno o  piu'
elenchi: «a) i beni immobili, anche non compresi nelle aree di tutela
ambientale individuate dal PUP, che rivestono cospicui  caratteri  di
bellezza naturale o di singolarita'  ecologica  o  formano  punti  di
vista o di belvedere; b) gli alberi monumentali perche'  appartengono
a specie rare o hanno una forma particolare  o  un  peculiare  pregio
paesaggistico o rappresentano una testimonianza o  un  simbolo  della
storia, della  tradizione  o  della  cultura  locale,  e  gli  alberi
monumentali riconosciuti come beni ambientali tra quelli  censiti  ai
sensi dell'articolo 7 della legge 14 gennaio 2013, n. 10  (Norme  per
lo   sviluppo   degli   spazi   verdi   urbani);    c)    le    opere
d'infrastrutturazione  del  territorio,  le  aree  terrazzate   e   i
manufatti, anche non soggetti alle norme per  la  tutela  delle  cose
d'interesse storico o artistico, che si distinguono, singolarmente  o
nel loro insieme, per il loro peculiare interesse architettonico». Il
comma 2 dell'art. 65 aggiunge che, tra i beni  cosi'  inseriti  negli
elenchi, la Giunta provinciale individua le aree agricole di  pregio,
«che per la  presenza  di  singolari  produzioni  tipiche  o  per  lo
speciale rilievo paesaggistico si configurano  come  beni  ambientali
non suscettibili di riduzione [...]». 
    La   disciplina   provinciale   cosi'   richiamata    costituisce
espressione della potesta' legislativa primaria  che  lo  statuto  di
autonomia riconosce alle Province autonome di  Trento  e  di  Bolzano
nella materia  «tutela  del  paesaggio»  (art.  8,  numero  6).  Tale
potesta', che deve esercitarsi entro i limiti  indicati  dall'art.  4
del medesimo statuto (il quale richiama, in  particolare,  il  limite
delle  «norme  fondamentali  delle  riforme  economico-sociali  della
Repubblica»), deve ritenersi estesa alle modalita' di classificazione
dei beni oggetto di tutela  paesaggistica,  dovendosi  riconoscere  a
ciascuna delle due Province la possibilita' di utilizzare  proprie  e
autonome categorie giuridiche nelle quali far confluire, adattandole,
le  regole   desumibili   dalle   norme   fondamentali   di   riforma
economico-sociale dettate dallo Stato. 
    Tanto  premesso,  sarebbe  stato  preciso  onere  del  ricorrente
illustrare  compiutamente  la  disciplina   che   sovraintende   alla
classificazione  dei  beni  oggetto  di  tutela  paesaggistica  nella
Provincia  autonoma  di  Trento.  Il  sistema   delineato   da   tale
disciplina, come dianzi chiarito, si  riferisce  alla  categoria  dei
«beni  ambientali»  e  non  conosce,   invece,   quella   dei   «beni
paesaggistici» nelle stesse forme di cui al codice dei beni culturali
e del paesaggio. Tale sistema avrebbe dovuto essere  raffrontato  con
le previsioni statali di tutela, al fine di  individuare  le  ragioni
per le quali, ad avviso del ricorrente, la disciplina  impugnata  non
assicurerebbe il medesimo livello di tutela che  e'  previsto  per  i
beni indicati dalle lettere b) e c) dell'art. 136 del  d.lgs.  n.  42
del 2004. 
    La  genericita'  della  ricostruzione  operata,  sul  punto,  nel
ricorso determina una carenza della motivazione che non  consente  lo
scrutinio nel merito, con conseguente inammissibilita' della censura. 
    7.- La questione promossa  con  il  quarto  e  ultimo  motivo  di
ricorso ha ad oggetto l'art. 10 della legge prov.  Trento  n.  4  del
2022,  rubricato  «Modificazioni  dell'articolo   114   della   legge
provinciale  per  il  governo  del  territorio  2015,  relative  agli
impianti di  biogas».  La  disposizione  introduce  alcune  modifiche
all'art. 114 della legge prov. Trento n. 15 del 2015, concernente  la
realizzazione di impianti per la  produzione  di  biogas  nelle  aree
agricole, sostituendone il comma 2 e aggiungendo la nuova lettera  d)
nel comma 4. 
    Le modifiche attengono, in sostanza, al  collegamento  funzionale
che deve intercorrere tra l'impianto de quo, il terreno agricolo  sul
quale esso viene installato e l'impresa agricola  zootecnica  che  vi
insista.  Gia'  il  testo  previgente  dell'art.  114  consentiva  la
realizzazione,  da  parte  dell'imprenditore  agricolo,  nelle   aree
destinate all'agricoltura, della tipologia di impianti  in  esame,  a
patto che essi funzionassero «mediante il recupero e  il  trattamento
di residui zootecnici e agricoli» e «purche' questi impianti svolgano
una  funzione  accessoria  e   strumentale   rispetto   all'attivita'
principale di allevamento zootecnico e siano previsti dal PRG» (cosi'
il comma 1 dell'art. 114 della legge prov. Trento  n.  15  del  2015,
tuttora vigente). 
    La novella del 2022 aggiunge adesso che  «[g]li  impianti  devono
essere  alimentati  con   materiali   e   sostanze   definiti   dalla
deliberazione prevista dal comma 4 e  con  l'utilizzo  prevalente  di
effluenti zootecnici prodotti dall'azienda. A tal fine gli  effluenti
zootecnici rappresentano almeno il 70 per  cento  del  materiale  che
alimenta l'impianto. La distribuzione nel suolo del digestato avviene
nel  rispetto  delle  disposizioni  stabilite  da  quest'articolo   e
dall'articolo 19-bis del D.P.G.P. 26 gennaio  1987,  n.  1-41/Legisl.
(testo   unico   provinciale   sulla   tutela   dell'ambiente   dagli
inquinamenti 1987)» (cosi' il  nuovo  comma  2,  oggetto  di  odierno
scrutinio). 
    Il comma 4 dell'art.  114  demanda  alla  Giunta  provinciale  di
definire: «a) i limiti  dimensionali  degli  impianti;  b)  ulteriori
criteri relativi alla localizzazione degli  impianti;  c)  specifiche
condizioni per la realizzazione, la gestione - comprese le  modalita'
di distribuzione del digestato - e il controllo degli impianti; d) la
tipologia e il  territorio  di  provenienza  dei  materiali  e  delle
sostanze  che  alimentano  l'impianto»  (quest'ultima  e'  l'aggiunta
sottoposta a impugnazione da parte dello Stato). 
    Le censure promosse dal Presidente del Consiglio dei  ministri  -
sulla scorta, anche qui, del generale riferimento sia agli artt. 4  e
8 dello statuto di autonomia, sia all'art. 117, primo  comma,  Cost.,
compiuto nella premessa del ricorso - si appuntano  sulla  violazione
dell'art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., sostenendosi che  la
novella  introdurrebbe  «per  il  funzionamento  di  tali   impianti,
requisiti che non trovano alcun riscontro nella normativa statale», e
la  cui  previsione  «potrebbe»  comportare  limitazioni   per   «gli
investimenti sul biogas», in  «controtendenza  con  la  finalita'  di
promozione  delle  energie  rinnovabili   seguita   dal   Legislatore
nazionale». Il ricorrente rinvia, in proposito, alle previsioni degli
artt. 5 e 12 del d.lgs. n. 387 del 2003, degli artt. 8-bis, 24  e  26
del d.lgs. n. 28 del 2011 e degli artt. 11 e 14 del d.lgs. n. 199 del
2021: norme, tutte, delle quali e' lamentata la «violazione» ad opera
del legislatore provinciale. 
    7.1.- Preliminarmente, deve rimarcarsi che anche per la questione
in esame la delibera a impugnare della Presidenza del  Consiglio  dei
ministri   aveva   indicato,   quale   parametro   di    legittimita'
costituzionale, solo l'art. 117, terzo comma, Cost., sotto il profilo
della competenza legislativa concorrente in materia di energia. Essa,
invece, non aveva affatto indicato il parametro di cui all'art.  117,
secondo  comma,  lettera  s),  Cost.,   afferente   alla   competenza
legislativa esclusiva statale in  materia  di  ambiente,  che  invece
risulta essere l'unico parametro evocato nel ricorso. 
    A differenza delle precedenti questioni, tuttavia, in questo caso
e' possibile ritenere che l'organo tecnico statale,  nella  redazione
del ricorso, sia incorso in un mero errore materiale nell'indicazione
prettamente numerica del  parametro.  Le  argomentazioni  spese,  che
coincidono con quelle di cui alla delibera a impugnare,  sono  invero
impostate proprio nel senso di censurare la violazione  dei  principi
fondamentali dettati dallo  Stato  (attraverso  le  richiamate  norme
interposte),  nella  materia  concorrente  «produzione,  trasporto  e
distribuzione nazionale dell'energia», di  cui  all'art.  117,  terzo
comma, Cost. 
    Pertanto, puo' considerarsi che  sia  quest'ultimo  il  parametro
effettivamente evocato nel ricorso,  sulla  cui  scorta  deve  quindi
essere svolta la seguente disamina. 
    7.2.- Cosi'  delineato  il  thema  decidendum,  la  questione  e'
comunque inammissibile per eccessiva genericita'. 
    La disciplina dettata dall'art. 10 della legge prov. Trento n.  4
del 2022, nell'integrare le previsioni sugli impianti  di  biogas  di
cui all'art. 114 della legge prov. Trento n. 15 del 2015, ha regolato
sostanzialmente tre diversi aspetti, collegati alla gestione di  tali
impianti nelle aree agricole. Anzitutto, essa ha stabilito quale deve
essere la percentuale  di  «prevalenza»  degli  effluenti  zootecnici
prodotti dall'azienda  agricola  che  compongono  i  materiali  e  le
sostanze utilizzati per alimentare l'impianto. In secondo  luogo,  ha
precisato le modalita' di distribuzione,  nel  suolo,  del  digestato
proveniente dal ciclo di funzionamento  dell'impianto,  rimandando  a
quelle gia' precisate dall'art. 19-bis  del  decreto  del  Presidente
della  Giunta  provinciale   26   gennaio   1987,   n.   1-41/Legisl.
(Approvazione del testo unico delle leggi provinciali in  materia  di
tutela dell'ambiente dagli inquinamenti), come aggiunto dall'art. 29,
comma 2, della legge della Provincia autonoma di Trento  29  dicembre
2017, n. 17 (Legge collegata alla  manovra  di  bilancio  provinciale
2018), che disciplina per l'appunto le  modalita'  di  «Utilizzazione
agronomica degli effluenti di allevamento, delle acque reflue  e  del
digestato». Infine, detta disciplina ha fissato  la  tipologia  e  il
territorio di provenienza delle sostanze  utilizzate  per  alimentare
l'impianto, rinviando, sul punto, ad apposita delibera  della  Giunta
provinciale. 
    Nessuno  di  questi  tre  aspetti,  che  formano  oggetto   della
disposizione impugnata, e' considerato ex  professo  dalla  normativa
statale invocata, quale interposta, dal ricorrente.  Tale  normativa,
invero,  non  si  occupa  delle  modalita'  di  funzionamento  e   di
alimentazione degli impianti per la produzione di biogas, ma  prevede
e disciplina altri e diversi istituti e/o aspetti concernenti, in una
prospettiva  piu'  generale,  la  produzione  di  energia  da   fonti
rinnovabili e, talvolta piu' specificamente, anche  gli  impianti  di
biogas. 
    Nel dettaglio, quelle norme si  riferiscono:  all'istituzione  di
una «commissione di esperti»  presso  il  Ministero  delle  politiche
agricole  e  forestali  (oggi:  Ministero   dell'agricoltura,   della
sovranita'  alimentare  e  delle  foreste),  avente  il  compito   di
predisporre una relazione prodromica all'individuazione, da parte dei
ministeri a cio' competenti, dei criteri per  l'incentivazione  della
produzione di  energia  elettrica  da  biomasse,  gas  residuati  dai
processi di depurazione e biogas (cosi' l'art. 5 del  d.lgs.  n.  387
del 2003); alla possibilita' di collocare in zona agricola una  serie
di impianti alimentati  da  fonti  rinnovabili,  ivi  inclusi  quelli
«alimentati dalle biomasse» (cosi' l'art. 2, comma 1, lettera b,  del
d.lgs. n. 387 del 2003, come richiamato dall'art. 12, comma 7,  dello
stesso decreto); al regime di autorizzazione  per  la  costruzione  e
l'esercizio degli impianti per  la  produzione  di  biometano,  senza
peraltro nulla prevedere con specifico  riguardo  alle  modalita'  di
funzionamento e alimentazione (art. 8-bis del d.lgs. n. 28 del  2011,
come introdotto dall'art. 30, comma 2, del  decreto-legge  24  giugno
2014, n. 91, recante «Disposizioni urgenti per il  settore  agricolo,
la tutela ambientale  e  l'efficientamento  energetico  dell'edilizia
scolastica e universitaria, il rilancio e lo sviluppo delle  imprese,
il contenimento dei costi gravanti sulle tariffe elettriche,  nonche'
per la definizione immediata di adempimenti derivanti dalla normativa
europea», convertito, con modificazioni, in legge 11 agosto 2014,  n.
116, e successivamente oggetto di  varie  modifiche,  in  specie,  da
ultimo, ad opera del d.lgs.  n.  199  del  2021);  al  sistema  degli
incentivi pubblici per la produzione di energia  elettrica  da  fonte
rinnovabile con riferimento,  in  tale  contesto,  anche  alle  fonti
costituite da «biogas, biomasse e bioliquidi  sostenibili»  (art.  24
del  d.lgs.  n.  28  del  2011);   allo   specifico   aspetto   della
cumulabilita'  degli  incentivi  per   la   produzione   di   energie
rinnovabili  (generalmente  intese)  con  altri  incentivi   pubblici
comunque denominati (art. 26 del d.lgs. n. 28 del 2011);  al  sistema
incentivante per il biometano immesso nella rete del gas naturale  e,
piu' in generale, per gli impianti che producono energia  avvalendosi
di biogas e di altri gas (art.  11  del  d.lgs.  n.  199  del  2021);
infine, alle modalita' di raccordo tra talune misure previste in seno
al Piano nazionale di ripresa e  resilienza  (PNRR)  e  i  meccanismi
incentivanti di cui al d.lgs. n. 199 del 2021, anche con  riferimento
al biogas e al biometano  (art.  14  del  d.lgs.  n.  199  del  2021,
rubricato «Criteri specifici di coordinamento fra misure del  PNRR  e
strumenti di incentivazione settoriali»). 
    Rispetto a tale coacervo di disposizioni aventi portata  generale
(in materia  di  produzione  di  energia  da  fonti  rinnovabili)  e,
talvolta, piu' specifica (in materia di regime incentivante  per  gli
impianti di biogas e loro raccordo con le misure PNRR), il ricorrente
non  ha  precisato   quali   fossero   le   norme   da   considerarsi
effettivamente parametri interposti nella  disamina  della  questione
promossa, in tesi violate dalla previsione provinciale impugnata. Una
certa attinenza, tra tutte le  disposizioni  citate  dal  ricorrente,
puo' forse attribuirsi solo all'art. 24, comma 2, lettera  h),  punto
iii), del d.lgs. n. 28 del 2011, che coinvolge anche gli impianti per
la produzione di biogas nel quadro della  disciplina  (generale)  dei
relativi meccanismi incentivanti, determinando, in tale contesto,  un
certo favor  per  la  provenienza  delle  sostanze  di  alimentazione
dell'impianto  dall'azienda  agricola,  in  chiave  di   collegamento
funzionale tra l'esercizio dell'impianto e lo sfruttamento delle aree
agricole.  Nulla,  tuttavia,   questa   disposizione   precisa,   nel
dettaglio,  circa  i  territori  di  origine  e  le  "percentuali  di
prevalenza" delle sostanze provenienti  dall'azienda,  ne'  tantomeno
circa le modalita' di distribuzione, nel suolo, del digestato.  Anche
le piu' recenti disposizioni del d.lgs. n. 199 del 2021 (artt.  11  e
14), laddove specificamente si riferiscono  pure  agli  impianti  che
producono  biogas,  si  limitano  a  dettare  norme  aventi   portata
generale, dalle quali e' possibile cogliere solo  un  generico  favor
del legislatore per queste tipologie di impianti. 
    In definitiva,  le  censure  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri risultano motivate in modo generico attraverso  l'evocazione
di norme statali che, tutt'al piu',  sono  espressione  del  medesimo
favor per questo tipo di fonte rinnovabile e per la sussistenza di un
collegamento funzionale tra l'impianto e l'area  agricola  sul  quale
esso sorge. 
    In tal modo, il ricorrente e' venuto  meno  all'onere  di  esatta
definizione della questione e  di  puntuale  motivazione  che  questa
Corte ha piu' volte ribadito  essere  particolarmente  rilevante  nel
ricorso in  via  principale,  e  la  cui  carenza  conduce  alla  sua
inammissibilita' (ex plurimis, sentenze n. 5 del 2022  e  n.  83  del
2018).