TRIBUNALE DI FIRENZE 
                        Prima sezione penale 
 
    Il Giudice, dott. Franco Attina', nel procedimento sopra indicato
a carico di D. M. A. nato a...  il...;  residente  e  dichiaratamente
domiciliato in via..., (dichiarazione confermata all'udienza  del  24
ottobre 2022); 
    - difeso dall'avv. di  fiducia  Stefania  Scarpati  del  foro  di
Firenze (il codifensore avv. Mauro Montini era  revocato  all'udienza
del 21 marzo 2022); 
    imputato del seguente reato: 
      del reato p.p. dagli articoli 81 cpv. 615-ter, comma 1 e 2 n. 1
e 3 e 61 n. 9 c.p., perche', con piu' azioni esecutive di un medesimo
disegno  criminoso,  in  tempi  diversi,  nella   sua   qualita'   di
Funzionario  dell'Agenzia  delle  Entrate,  in  servizio  presso   la
Direzione Provinciale di... - Ufficio Legale, (persona incaricata  di
pubblico servizio) accedeva abusivamente ad  un  sistema  informatico
protetto da misura di sicurezza  (Sistema  informativo  dell'anagrafe
tributaria),  utilizzando  il  computer   assegnato   (ed   associato
all'indirizzo  IP...  con  le   proprie   credenziali   di   accesso,
interrogava in data 7 luglio 2014: 
      dalle ore 10:44:32 alle ore 10:45:47 i  nominativi  O.  R.  con
codice fiscale...; 
      dalle ore 10:45:49 alle ore 10:52:42, la posizione  fiscale  di
O. R. - codice fiscale... (direttrice pro-tempore... per un totale di
quindici accessi sulle varie dichiarazioni presentate negli anni. Con
le aggravanti di aver commesso il fatto con abuso dei  poteri  e  con
violazione dei doveri  inerenti  una  pubblica  funzione  e  di  aver
violato un sistema di pubblico interesse. 
    Commesso in... il... 
    Sentite le parti; 
    premesso che: 
      - con decreto del Gup dell'8 aprile 2021 A. D. M. era  rinviato
a giudizio davanti al Tribunale di Firenze per rispondere  del  reato
ex art. 615-ter comma 2 n. 1  e  3  del  codice  penale,  in  ipotesi
commesso il 7 luglio 2014 nella qualita' di funzionario  dell'Agenzia
delle Entrate e mediante accesso al sistema informativo dell'Anagrafe
Tributaria; 
      - il processo si e' svolto nell'arco di piu' udienze, nel corso
delle quali sono stati sentiti i testimoni  M.  M.  (appuntato  della
Guardia di Finanza) e  L.  Z.  (all'epoca  Direttore  Centrale  della
funzione Audit dell'Agenzia delle Entrate), sono stati acquisiti vari
documenti ed e' stato assunto l'esame dell'imputato; 
        - all'udienza del 27 febbraio 2023 le parti  rassegnavano  le
rispettive conclusioni. Il Pm  chiedeva  la  condanna  dell'imputato,
previa esclusione della circostanza  ex  art.  61  n.  9  del  codice
penale, alla pena di anni  tre  di  reclusione.  La  Difesa  chiedeva
l'assoluzione; in via progressivamente subordinata domandava:  previa
esclusione dell'aggravante ex art. 615-ter comma 3 del codice penale,
sentenza di non doversi procedere per  intervenuta  prescrizione;  il
riconoscimento  delle  circostanze  attenuanti  generiche  in  misura
prevalente sulle aggravanti e l'assoluzione per tenuita' del fatto ex
art. 131-bis del codice penale; il riconoscimento  delle  circostanze
attenuanti generiche in  misura  prevalente  sulle  aggravanti  e  la
concessione dei benefici di legge; 
      -  all'udienza  odierna,  cui  il  processo  era  rinviato  per
eventuali repliche, le parti vi rinunciavano; 
    rilevato che: 
      - l'istruttoria svolta  ha  consentito  di  accertare  i  fatti
ascritti all'imputato e il richiesto elemento soggettivo; 
      - quanto alla pronuncia  nei  confronti  dell'imputato  per  il
reato contestatogli, pare pero' necessario  il  pronunciamento  della
Corte costituzionale in ordine alla legittimita' costituzionale - per
violazione dell'art. 76 della Costituzione -  dell'art.  1,  comma  2
decreto legislativo n. 28/2015 e conseguentemente  dell'art.  131-bis
comma 4 del codice penale (nella  formulazione  originaria,  comma  5
nella  formulazione  attuale  a  seguito  dell'introduzione   di   un
ulteriore  comma  da  parte  del  decreto  legislativo  n.  150/2022)
limitatamente alle parole «ad eccezione di quelle  per  le  quali  la
legge stabilisce una pena di specie diversa da quella  ordinaria  del
reato e di quelle ad effetto speciale. In quest'ultimo caso  ai  fini
dell'applicazione del primo comma non si tiene conto del giudizio  di
bilanciamento delle circostanze di cui all'art. 69»; in subordine, in
ordine alla legittimita' costituzionale - per violazione dell'art.  3
della Costituzione - dell'art. 131-bis  comma  4  del  codice  penale
(nella formulazione originaria, comma 5 nella  formulazione  attuale)
limitatamente   alle   parole   «In   quest'ultimo   caso   ai   fini
dell'applicazione del primo comma non si tiene conto del giudizio  di
bilanciamento delle circostanze di cui all'art. 69»; 
    cio' premesso, 
 
                               Osserva 
 
1. Il procedimento a quo. La rilevanza della questione. 
    1.1 L'imputato e' accusato di avere fatto abusivamente accesso in
data...  alla  banca  dati  dell'Anagrafe  Tributaria,  per  la   cui
consultazione  egli  disponeva  delle  credenziali  necessarie  nella
propria qualita' di funzionario dell'Agenzia delle Entrate. 
    1.2 In base all'istruttoria svolta  la  funzione  Audit  dell'...
nel..., nel... corso di un controllo  periodico  sulle  consultazioni
della citata banca  dati  aventi  ad  oggetto  particolari  soggetti,
rilevava che presso l'Ufficio Legale della Direzione  Provinciale  di
in data... erano state effettuate alcune consultazioni concernenti la
dott.ssa R. O., nata il..., all'epoca Direttrice a livello  nazionale
della stessa Agenzia delle Entrate. Piu' precisamente si trattava  di
piu' interrogazioni avvenute tra le ore 10,45 e le ore  10,52  del  7
luglio  2014  e  aventi  ad  oggetto  le  dichiarazioni  dei  redditi
presentate dalla dott.ssa O. 
    Alla stregua di quanto  rilevato  attraverso  apposita  procedura
informatica, l'operatore che  aveva  effettuato  dette  consultazioni
aveva utilizzato le credenziali di accesso dell'attuale imputato  (il
relativo codice fiscale e  una  password  personale);  l'accesso  era
inoltre avvenuto tramite un  collegamento  alla  rete  informatica  a
partire dall'indirizzo  Ip  (...)  assegnato  al  computer  d'ufficio
dell'attuale imputato dott. A. D. M., all'epoca in servizio presso il
citato Ufficio Legale (oggi in pensione). 
    1.3 La dott.ssa O.,  pur  residente  nella  circoscrizione  della
Direzione Provinciale di Firenze,  non  aveva  alcun  contenzioso  in
corso; ne'  e'  comunque  emersa  alcuna  ragione  che  giustificasse
l'accesso alla relativa posizione  in  Anagrafe  Tributaria.  D'altro
canto e' altresi' emerso che l'autore di  detto  accesso  nei  minuti
immediatamente precedenti la consultazione del profilo della dott.ssa
O.  aveva  effettuato  talune  interrogazioni  di  brevissima  durata
concernenti delle persone omonime (R. O. nata nel...  c.f...;  R.  O.
nata nel..., c.f...; R. O. nata  nel...,  c.f...);  e'  evidente  che
l'operatore conoscesse soltanto il nome e cognome  della  persona  di
cui voleva visualizzare la posizione (e forse  l'eta'  indicativa)  e
dunque abbia posto in essere piu' tentativi prima di individuare  con
esattezza il codice fiscale di suo effettivo interesse; cio' conferma
che l'operatore non disponesse di  una  pratica  tributaria  relativa
alla  dott.ssa  O.,  in  quanto  diversamente  il  fascicolo  avrebbe
riportato le generalita' e il codice fiscale della stessa. 
    Si e' trattato dunque di consultazioni  abusive,  effettuate  per
finalita' estranee all'attivita' dell'ufficio, e  pertanto  rilevanti
ai sensi dell'art. 615-ter del codice penale Si veda  in  tal  senso,
tra le tante pronunce di legittimita', Cass. Sez. U. n. 41210 del  18
maggio 2017 rv. 271061-01: «Integra  il  delitto  previsto  dall'art.
615-ter, secondo comma, n. 1,  del  codice  penale  la  condotta  del
pubblico ufficiale o dell'incaricato di un pubblico servizio che, pur
essendo  abilitato  e  pur  non  violando  le  prescrizioni   formali
impartite  dal  titolare  di  un  sistema  informatico  o  telematico
protetto per delimitarne l'accesso, acceda o si mantenga nel  sistema
per ragioni ontologicamente estranee rispetto a quelle per  le  quali
la facolta' di accesso gli e' attribuita»). 
    Il dott. Z. ha inoltre precisato  che,  prima  di  utilizzare  la
banca  dati  in  questione,  il  funzionario  doveva  necessariamente
confermare che l'accesso alla stessa avveniva per ragioni di  ufficio
(in mancanza di tale conferma vi era un blocco informatico e la banca
dati non era concretamente utilizzabile); del resto  l'Agenzia  aveva
piu' volte negli anni ricordato al proprio personale la necessita' di
un uso corretto delle banche dati. 
    1.4 Si  puo'  affermare  con  certezza  che  autore  dell'accesso
abusivo sia stato l'attuale imputato A. D. M. Le  consultazioni  sono
state effettuate con le sue credenziali  e  utilizzando  il  computer
d'ufficio a lui assegnato. 
    Il prevenuto ha negato di avere posto in essere le interrogazioni
in questione. Si e' difeso  sostenendo  che  il  giorno...  egli  era
effettivamente  in  servizio  e  presente  in  ufficio  (non  era  in
Commissione Tributaria),  ma  che  e'  possibile  che  qualcun  altro
(necessariamente un collega, posto che all'ufficio in  questione  non
accedeva il pubblico) - nel corso di un suo momentaneo allontanamento
dalla postazione di lavoro - sia entrato a  sua  insaputa  nella  sua
stanza (egli disponeva di  una  stanza  ad  uso  esclusivo)  e  abbia
utilizzato il suo computer e le sue  credenziali  per  effettuare  le
consultazioni in questione; cio' sarebbe stato possibile in quanto il
suo codice fiscale (che valeva come  nome  utente  dell'account)  era
facilmente conoscibile da tutti e la sua  password  era  annotata  in
un'agenda che egli teneva per comodita' sulla scrivania. 
    Tale versione non e' credibile. Gli accessi abusivi (considerando
sia quelli aventi ad oggetto la...,  sia  le  sue  omonime)  si  sono
verificati tra le ore 10,44 e le ore 10,52 del 7 luglio 2014, per una
durata complessiva di 8 minuti. Non e' affatto plausibile che  in  un
ufficio pubblico, nelle ore  centrali  della  mattina,  un  operatore
entri  clandestinamente  nella  stanza  di  un  collega   e,   sempre
clandestinamente,  acceda   al   relativo   computer,   trattenendosi
nell'utilizzo abusivo per 8 minuti: e' infatti elevato ed evidente il
rischio che nel citato arco temporale  il  titolare  del  computer  o
altri funzionari rilevino l'abuso, con tutte le relative  conseguenze
in termini penali e disciplinari. Se  e'  vero  che  anche  l'accesso
abusivo ora in  contestazione  (accesso  ad  un  sistema  informatico
protetto, utilizzando le proprie credenziali, per finalita'  estranee
all'ufficio) comporta delle conseguenze negative,  e'  altresi'  vero
pero' che si tratta di un rischio assai piu' remoto e  comunque  meno
percepibile  da  parte  del  pubblico  funzionario   che   operi   in
tranquillita' al proprio computer (per di piu' in una stanza  ad  uso
esclusivo) e che sia inconsapevole dei controlli che ponga in  essere
a distanza e per via telematica l'amministrazione centrale. 
    Si aggiunga che - in base alle rilevazioni informatiche (e' stato
acquisito   il   file   relativo   alle   interrogazioni   effettuate
dall'imputato,  rectius  con  le  credenziali  dell'imputato)  -   le
interrogazioni in questione erano le prime effettuate nella  giornata
del 7  luglio  2014;  le  credenziali  erano  state  dunque  inserite
immediatamente prima (secondo quanto riferito dal dott. Z.,  dopo  un
certo lasso di tempo la sessione s'interrompe e occorre reinserire  i
codici di accesso), per cui non e' possibile che un eventuale intruso
abbia  approfittato  del  momentaneo  allontanamento  di  D.  M.  per
accedere al suo computer, ivi  trovando  gia'  inserite  le  relative
credenziali. 
    Inoltre, quand'anche si ritenesse che  effettivamente  l'imputato
avesse scritto la password necessaria per l'accesso alla  banca  dati
sull'agenda lasciata sulla scrivania, tale circostanza  difficilmente
poteva essere nota all'eventuale intruso; in ogni caso,  quest'ultimo
molto difficilmente poteva distinguere tra le varie password  scritte
sull'agenda, sia in relazione alle  varie  procedure  e  applicazioni
informatiche. sia in relazione al periodo di validita' (il  teste  Z.
ha riferito che la password per l'accesso  alla  banca  dati  ora  in
esame aveva una validita' massima di sessanta giorni, per cui decorso
tale  periodo  era  comunque  necessario   modificarla;   sull'agenda
dell'imputato, nella  citata  ipotesi.  vi  sarebbero  state  scritte
dunque  numerose  password).  L'individuazione  della  parola  chiave
esatta avrebbe dunque richiesto per l'intruso un notevole e ulteriore
lasso di tempo. cio' che rende l'ipotesi avanzata dalla Difesa  ancor
piu' inverosimile. 
    1.5  Alla  luce  di  quanto  precede  si  dovrebbe  affermare  la
responsabilita' dell'imputato, con conseguente condanna. 
    1.6 Sussistono  le  contestate  circostanze  aggravanti  ex  art.
615-ter comma 2 n. 1) e comma 3 del codice penale. 
    In primo  luogo,  l'imputato  -  funzionario  dell'Agenzia  delle
Entrate, addetto  all'ufficio  Contenzioso  (e  percio'  tra  l'altro
rappresentante dell'Agenzia dinanzi alla Commissione Tributaria)  era
certamente un incaricato di pubblico servizio  (se  non  un  pubblico
ufficiale) e ha tenuto la condotta in contestazione in violazione dei
doveri propri del servizio  (che  gli  imponevano  di  accedere  alle
banche dati dell'Amministrazione solo  in  relazione  alle  attivita'
dell'ufficio, come ripetutamente ricordato  dall'Agenzia  e  come  lo
stesso sistema informatico richiamava (esigendo un'apposita  conferma
per consentire l'accesso alla banca dati). 
    In secondo luogo, non vi e' dubbio che  l'Anagrafe  Tributaria  -
contenendo  tutte  le  informazioni  relative  ai  dati  fiscali  dei
contribuenti (soggetti a carico, redditi, ritenute e versamenti, atti
registrati, ecc.) - costituisca un sistema informatico  o  telematico
di interesse pubblico. 
    La sentenza  Cass.  Sez.  5,  n.  22024/2013  invocata  in  senso
contrario dalla Difesa e' proprio relativa  ad  un  caso  in  cui  il
ricorrente (funzionario dell'Agenzia delle Entrate  che  aveva  fatto
accesso abusivamente all'Anagrafe Tributaria)  era  stato  condannato
per il delitto di cui all'art. 615-ter comma 2 n. 1 e  3  del  codice
penale e il ricorso era respinto. 
    Sussistendo le circostanze aggravanti in  questione,  il  massimo
edittale e' di anni otto, per cui il reato non risulta prescritto (il
termine massimo e' di anni dieci, per cui scadra' in  data  7  luglio
2024, fatte salve le sospensioni). 
    1.7  Va  viceversa  esclusa   l'applicazione   della   contestata
circostanza aggravante ex art. 61 n. 9 del codice penale, costituendo
la circostanza ex art. 615-ter  comma  2  n.  1)  del  codice  penale
un'ipotesi speciale di quest'ultima. 
    1.8 All'imputato si possono riconoscere le circostanze attenuanti
generiche in ragione sia della gravita' minimale del fatto, sia delle
sue condizioni soggettive. 
    Sotto il primo profilo si deve rilevare innanzi tutto che i  dati
oggetto della  consultazione  abusiva  non  erano  segreti  in  senso
stretto  (a  differenza  ad  es.  di  informazioni   che   potrebbero
rinvenirsi nella banca dati interforze c.d. SDI o nella banca dati in
cui le Procure iscrivono le notizie di reato), venendo  piuttosto  in
rilievo una semplice riservatezza delle informazioni. 
    L'imputato inoltre  non  risulta  avere  fatto  alcun  uso  delle
informazioni ottenute abusivamente (verosimilmente egli ha tenuto  la
condotta in questione per mera curiosita'). Il comportamento  risulta
quindi censurabile in ragione dell'indebito utilizzo dello  strumento
a disposizione, ma l'offesa che ne  e'  derivata  al  bene  giuridico
protetto deve ritenersi di speciale tenuita'. 
    Si aggiunga che, dopo i fatti in esame, lo stesso legislatore con
l'art. 13, decreto legislativo n. 97/2016  ha  modificato  l'art.  14
decreto legislativo n. 33/2013, estendendo ai titolari  di  incarichi
dirigenziali  nelle  amministrazioni  pubbliche   gli   obblighi   di
trasparenza gia' previsti per i titolari di incarichi politici; tra i
dati  oggetto  di  pubblicazione  figurano  anche  le   dichiarazioni
fiscali. 
    La carica dirigenziale (di vertice) che ricopriva  all'epoca  dei
fatti la dott.ssa O. rientrava tra quelle per le quali  era  previsto
tale obbligo di pubblicazione (e tale obbligo  sarebbe  sopravvissuto
per la citata carica anche  a  seguito  della  sentenza  della  Corte
costituzionale n. 20 del 2019, che viceversa l'avrebbe eliminato  con
riferimento agli incarichi dirigenziali  «minori»").  In  effetti,  a
seguito della citata modifica  normativa,  le  dichiarazioni  fiscali
della  dott.ssa  O.  erano  pubblicate  (la  Difesa  ha  prodotto  le
dichiarazioni relative agli anni d'imposta 2015 e 2016). 
    Dunque gli accessi abusivi posti in  essere  dall'imputato  hanno
riguardato dati che lo  stesso  legislatore  due  anni  dopo  avrebbe
ritenuto meritevoli di pubblicazione. 
    Sotto  il   profilo   soggettivo   occorre   tenere   conto   sia
dell'incensuratezza,   sia   del   meritevole   stato   di   servizio
dell'imputato (la Difesa ha prodotto una lettera di elogio precedente
i fatti in esame). 
    1.9 Le citate circostanze attenuanti per la loro pregnanza devono
essere bilanciate in termini di  prevalenza  rispetto  alle  ritenute
circostanze aggravanti. 
    1.10 Potrebbe trovare applicazione la causa di non punibilita' di
cui all'art. 131-bis. 
    L'offesa, in ragione di quanto gia' evidenziato,  e'  infatti  di
speciale tenuita'; il dolo risulta di intensita' minima. 
    Il  comportamento  non  e'  abituale.  L'imputato  e'  del  tutto
incensurato.  La  circostanza  che   egli   abbia   effettuato   piu'
interrogazioni della banca dati (nell'arco di otto minuti)  e  dunque
piu' violazioni  della  medesima  norma  incriminatrice  non  vale  a
rendere abituale il comportamento: le  plurime  condotte  sono  state
tenute nel medesimo contesto spazio-temporale  -  c.d.  continuazione
sincronica - venendo cosi' in  rilievo  una  deliberazione  criminosa
unitaria e circoscritta, incompatibile  con  l'abitualita'  presa  in
considerazione  in  negativo  dall'art.  131-bis  del  codice  penale
(secondo il criterio valorizzato  dall'orientamento  di  legittimita'
pur piu' restrittivo, come ad es. la sentenza Cass. Sez 3,  n.  35630
del 13 luglio 2021, rv 282034, e la sentenza Cass. Sez. 4,  n.  47772
del 25 settembre 2018, rv. 274430); d'altro canto, nella  fattispecie
in esame, considerate tutte le caratteristiche del caso concreto,  le
condotte  contestate  non  appaiono  espressione  di  una  serialita'
nell'attivita'  criminosa  e  di  un'abitudine  a  violare  la  legge
(criterio fissato dalla Corte di Cassazione a Sezioni Unite,  con  la
sentenza n. 18891 del 27 gennaio 2022). 
    L'applicazione  della  causa  di  non  punibilita'  trova   pero'
ostacolo  nei  limiti  edittali  del  reato  in  contestazione,  come
calcolati ai sensi dell'art. 131-bis del codice penale (comma 4 nella
formulazione originaria; comma 5 nella formulazione attuale a seguito
dell'introduzione  di  un  ulteriore  comma  da  parte  del   decreto
legislativo n. 150/2022). 
    1.11 Piu' precisamente, ai sensi dell'art. 131-bis  comma  1  del
codice penale, quale vigente fino al 30 dicembre 2022, l'istituto  in
questione puo' applicarsi ai «reati per i quali e' prevista  la  pena
detentiva non superiore nel massimo a cinque  anni,  ovvero  la  pena
pecuniaria, sola o congiunta alla predetta pena»; ai sensi  dell'art.
131-bis, comma 1 del  codice  penale,  come  modificato  dal  decreto
legislativo n. 150/2022, l'istituto puo' trovare applicazione  per  i
«reati per i quali e' prevista la pena detentiva  non  superiore  nel
minimo a due anni, ovvero la pena pecuniaria, sola o  congiunta  alla
predetta  pena».  E'  rimasto  viceversa  immutato  il  criterio   di
determinazione  della  citata  pena   detentiva:   «Ai   fini   della
determinazione della pena detentiva prevista nel primo comma  non  si
tiene conto delle circostanze, ad eccezione di quelle per le quali la
legge stabilisce una pena di specie diversa da quella  ordinaria  del
reato e di quelle ad effetto speciale. In quest'ultimo caso  ai  fini
dell'applicazione del primo comma non si tiene conto del giudizio  di
bilanciamento delle circostanze di cui all'art. 69» (art. 131-bis del
codice penale comma 4 nella formulazione originaria,  comma  5  nella
formulazione post decreto legislativo n. 150/2022). 
    In  ragione  della  sussistenza  delle  circostanze  ad   effetto
speciale di cui all'art. 615-ter comma 2 n. 1) e comma 3  del  codice
penale  e  dell'impossibilita'  di  bilanciarle  con  le  circostanze
attenuanti ad effetto comune  (nel  caso  di  specie  le  circostanze
attenuanti generiche), l'applicazione dell'istituto di  cui  all'art.
131-bis del codice penale e' preclusa tanto ai sensi della disciplina
attualmente vigente (il minimo edittale e' di anni tre di  reclusione
e dunque superiore ad anni due), quanto  ai  sensi  della  disciplina
precedente (il massimo edittale e'  di  anni  otto  di  reclusione  e
dunque superiore ad anni cinque). 
    In particolare, la citata causa di non punibilita' non pare poter
trovare  applicazione  sulla  base   della   sentenza   della   Corte
Costituzionale n. 156/2020. Con tale pronuncia la Corte ha dichiarato
l'illegittimita' dell'art. 131-bis del codice penale «nella parte  in
cui non consente l'applicazione della causa di  non  punibilita'  per
particolare tenuita' del fatto ai reati per i quali non  e'  previsto
un minimo edittale di pena detentiva». Tuttavia  tale  sentenza  pare
doversi interpretare nel quadro  comunque  della  disciplina  dettata
dall'art. 131-bis del codice penale e quindi in  relazione  ai  reati
per  i  quali,  una  volta  considerate  le   eventuali   circostanze
aggravanti e attenuanti ad effetto speciale  (senza  possibilita'  di
bilanciamento con le circostanze ad effetto comune), non sia previsto
un minimo edittale  di  pena  detentiva;  in  effetti,  la  questione
sottoposta alla Corte concerneva un'ipotesi (art. 648,  comma  2  del
codice penale)  in  cui  proprio  per  effetto  della  ricorrenza  di
un'attenuante ad effetto speciale non vi era un minimo  edittale  (se
non quello generale di cui all'art. 23, comma 1 del codice penale). 
    Nel caso di specie, al contrario, la fattispecie base non prevede
un minimo edittale  (reclusione  fino  a  tre  anni),  ma  una  volta
considerate le circostanze aggravanti ad effetto speciale  il  minimo
edittale risulta pari ad anni tre. 
    1.12 Se viceversa fosse  accolta  la  questione  di  legittimita'
costituzionale qui sollevata in via principale,  sarebbe  applicabile
l'indicata causa di non  punibilita':  non  considerando  infatti  le
circostanze aggravanti, neppure quelle ad effetto speciale, il minimo
edittale sarebbe di  quindici  giorni  di  reclusione  e  il  massimo
edittale sarebbe di  tre  anni  di  reclusione.  Il  reato  in  esame
rientrerebbe  dunque  nell'ambito  applicativo  della  causa  di  non
punibilita' sia ai sensi della formulazione attuale dell'art.  13-bis
comma 1 del codice penale (minimo inferiore a due anni), sia ai sensi
di quella previgente (sia in ragione del massimo inferiore  a  cinque
anni, sia in ragione del minimo di quindici giorni). 
    1.13  La  citata  causa  di  non  punibilita'  sarebbe  parimenti
applicabile  ove  fosse  accolta   la   questione   di   legittimita'
costituzionale sollevata in  via  subordinata.  Ove  fosse  possibile
tenere conto del giudizio di bilanciamento  ex  art.  69  del  codice
penale, infatti, nel caso  di  specie  -  posto  che  le  circostanze
attenuanti  generiche  devono  valutarsi  in  termini  di  prevalenza
rispetto alle indicate circostanze aggravanti ad effetto speciale - i
limiti edittali (sia il minimo, sia il massimo)  sarebbero  inferiori
alle soglie di legge (sia l'attuale, sia la previgente). 
    1.14 Da ultimo, una  precisazione  pare  necessaria  quanto  alla
modifica normativa concernente l'art.  131-bis  comma  1  del  codice
penale operata dal decreto legislativo n. 150/2022. 
    Non pare che la  citata  novella  possa  incidere  sulle  dedotte
questioni di legittimita' costituzionale. Come si e' evidenziato,  se
non intervenisse l'auspicata pronuncia di illegittimita' la causa  di
non punibilita' non potrebbe trovare applicazione ne' ai sensi  della
disciplina vigente, ne' ai sensi della precedente; viceversa, ove  la
questione fosse accolta, la causa di non punibilita' potrebbe trovare
applicazione indifferentemente ai sensi della  disciplina  vigente  e
della disciplina precedente. 
    D'altro  canto,  il  fatto  che  il  legislatore  sia  nuovamente
intervenuto sulla materia gia' oggetto  del  decreto  legislativo  n.
28/2015 non pare sufficiente di per se' a  privare  di  rilevanza  la
questione posta con  riguardo  alla  violazione  dell'art.  76  della
Costituzione Potrebbe in astratto muoversi tale obiezione  posto  che
il criterio fissato dall'art. 1, comma 1, lettera m) della  legge  n.
67/2014 per  l'esercizio  della  delega  aveva  riguardo  al  massimo
edittale, laddove la disciplina attuale - a seguito  delle  modifiche
operate dal decreto legislativo n. 150/2022 - ha riguardo  unicamente
al minimo edittale. In realta', il criterio di  determinazione  della
pena (vuoi nel  massimo,  vuoi  nel  minimo  edittale),  fissato  dal
decreto legislativo  n.  28/2015  ad  avviso  di  questo  giudice  in
contrasto con i criteri della legge delega, e' rimasto immutato. 
    In ogni caso, la causa di non punibilita'  ex  art.  131-bis  del
codice penale e' un istituto di diritto  sostanziale,  per  cui  deve
trovare  applicazione  la  disciplina  piu'  favorevole.   Quindi   -
quand'anche  si  dovesse  ritenere  che  a  seguito  delle  modifiche
introdotte dal decreto legislativo  n.  150/2022  la  disciplina  del
citato istituto sia stata completamente rivisitata - la questione qui
posta sarebbe comunque rilevante: ove infatti fosse accolta, potrebbe
trovare applicazione al fatto in esame  -  commesso  nel  2014  -  la
disciplina  intermedia  piu'  favorevole   introdotta   dal   decreto
legislativo n. 28/2015 e precedente le modifiche di  cui  al  decreto
legislativo n. 150/2022, con la modifica apportata dalla Corte. 
2. Non manifesta  infondatezza:  la  violazione  dell'art.  76  della
Costituzione. 
    2.1 Questo giudice  sospetta  dell'illegittimita'  costituzionale
dell'art. 1, comma 2 decreto legislativo n. 28/2015,  per  violazione
dell'art. 76, della Costituzione, nella parte in cui  -  introducendo
l'art. 131-bis del codice penale e prevedendo al quarto  comma  dello
stesso  che  «ai  fini  della  determinazione  della  pena  detentiva
prevista nel primo comma non si tiene conto delle circostanze»  -  ha
previsto un'eccezione con riguardo alle circostanze «per le quali  la
legge stabilisce una pena di specie diversa da quella  ordinaria  del
reato e di quelle ad effetto speciale» (prevedendo  inoltre  che  «in
quest'ultimo caso ai fini dell'applicazione del primo  comma  non  si
tiene conto del giudizio di bilanciamento delle  circostanze  di  cui
all'art. 69»). 
    Tale questione si  ritiene  debba  essere  affrontata  per  prima
perche', afferendo al decreto legislativo che ha introdotto la  nuova
norma nel codice penale, pare logicamente pregiudiziale rispetto alla
seconda questione, che quindi viene sollevata in via subordinata. 
    2.2 Occorre premettere che il citato decreto legislativo e' stato
adottato in forza della delega di  cui  all'art.  1  della  legge  n.
67/2014, che al comma 1 lettera m) delegava il Governo ad  «escludere
la punibilita' di condotte sanzionate con la sola pena  pecuniaria  o
con pene detentive non superiori nel massimo a  cinque  anni,  quando
risulti la particolare tenuita' dell'offesa e la non abitualita'  del
comportamento, senza pregiudizio per l'esercizio  dell'azione  civile
per il risarcimento del  danno  e  adeguando  la  relativa  normativa
processuale penale». 
    2.3 Dunque, per quel che qui  rileva,  il  legislatore  delegante
individuava l'ambito di applicabilita' della causa di non punibilita'
avendo riguardo unicamente al massimo edittale di cinque  anni  della
pena detentiva (o alla natura pecuniaria della pena). 
    Il Governo esercitando la delega con il  decreto  legislativo  n.
28/2015, oltre a prevedere al comma 1  del  nuovo  art.  131-bis  del
codice penale l'applicabilita' del nuovo  istituto  ai  reati  per  i
quali e' prevista la pena  detentiva  non  superiore  nel  massimo  a
cinque anni (ovvero la pena pecuniaria, sola o  congiunta  alla  pena
detentiva), ha previsto al comma 4  dello  stesso  art.  131-bis  del
codice penale che «ai fini della determinazione della pena  detentiva
prevista nel primo comma non si tiene conto delle circostanze», salvo
subito dopo prevedere un'eccezione con riguardo alle circostanze c.d.
autonome e alle circostanze ad effetto  speciale  («ad  eccezione  di
quelle per le quali la legge stabilisce una pena di specie diversa da
quella ordinaria del reato e di quelle  ad  effetto  speciale»),  che
quindi devono essere considerate. 
    Si tratta quindi di valutare se, nel prevedere tale eccezione, il
Governo abbia rispettato o meno  il  criterio  fissato  dall'art.  1,
comma 1, lettera m) della legge n. 67/2014. 
    2.4  Come  la  giurisprudenza  della  Corte   costituzionale   ha
sottolineato a piu' riprese, «la delega legislativa non esclude  ogni
discrezionalita' del legislatore delegato [...] la determinazione dei
principi e criteri direttivi non osta  all'emanazione  di  norme  che
rappresentino  un  coerente  sviluppo  e,  se  del  caso,  anche   un
completamento  delle  scelte  espresse  dal  legislatore   delegante,
essendo escluso  che  le  funzioni  del  legislatore  delegato  siano
limitate ad una mera scansione linguistica delle previsioni contenute
nella delega»  (cosi',  tra  le  altre,  la  sentenza  n.  426/2008).
Pertanto, («se pure nell'ambito invalicabile dei confini  dati  dalle
possibilita'  applicative  desumibili  dalle  norme  di  delega,   il
legislatore delegato ha un'indiscutibile liberta' di  interpretazione
e di scelta fra le alternative ad esso offerte» (cosi, tra le  altre,
la sentenza n.  355/1993);  tale  discrezionalita',  peraltro,  «puo'
essere piu' o meno ampia, in relazione al grado di  specificita'  dei
criteri fissati nella legge delega» (cosi', tra le altre, la sentenza
n. 84/2017); non si e' mancato inoltre di  sottolineare  che  («nella
materia penale e' piu' elevato il grado di  determinatezza  richiesto
per le regole fissate nella legge delega; cio' perche'  il  controllo
del  rispetto,  da  parte  del  Governo,  dei  «principi  e   criteri
direttivi», e' anche strumento di garanzia della riserva di  legge  e
del  rispetto  del  principio  di  stretta  legalita',  spettando  al
Parlamento l'individuazione dei fatti da sottoporre a  pena  e  delle
sanzioni loro applicabili» (sentenza n. 175/2022). 
    In  definitiva,  «e'  richiesto  lo  svolgimento  di  un  duplice
processo ermeneutico, condotto in parallelo:  l'uno,  concernente  la
norma che determina l'oggetto, i principi e i criteri direttivi della
delega; l'altro, relativo alla norma delegata,  da  interpretare  nel
significato  compatibile  con  questi  ultimi.  Nel  determinare   il
contenuto della delega si deve tenere conto del complessivo  contesto
normativo nel quale si inseriscono  la  legge  delega  e  i  relativi
principi  e  criteri  direttivi,  nonche'  delle  finalita'  che   la
ispirano, che costituiscono non solo la base e il limite delle  norme
delegate, ma anche gli strumenti  per  l'interpretazione  della  loro
portata.  [...]  Pertanto,  per  valutare  se  il  legislatore  abbia
ecceduto tali margini di  discrezionalita',  occorre  individuare  la
ratio della delega per verificare se la norma delegata sia stata  con
questa coerente» (sentenza n. 153/2014). 
    2.5 A parere di chi scrive,  la  norma  dettata  dal  legislatore
delegato all'art. 131-bis comma 4 del codice penale non ha costituito
ne' un coerente sviluppo del criterio  dettato  dalla  legge  delega,
nell'esercizio di fisiologici margini  di  discrezionalita',  ne'  il
portato di una interpretazione plausibile delle scelte effettuate dal
Parlamento in sede di delega. 
    2.6 Come evidenziato anche dalla Corte  costituzionale  (sentenza
n. 173/2022), la legge n. 67/2014 «nel contesto  di  una  piu'  ampia
riforma del sistema sanzionatorio, ha anche  previsto  l'introduzione
di nuovi istituti processuali, diretti ad  escludere  la  punibilita'
della condotta con possibile dichiarazione di estinzione  del  reato,
vuoi per  la  particolare  tenuita'  dell'offesa,  vuoi  per  l'esito
positivo della messa alla prova  dell'imputato  con  sospensione  del
procedimento.  [...]  «il  fatto  particolarmente   lieve,   cui   fa
riferimento l'art. 131-bis del codice penale, e'  comunque  un  fatto
offensivo, che costituisce reato e che il legislatore preferisce  non
punire, sia per riaffermare la natura di extrema ratio della  pena  e
agevolare la "rieducazione del  condannato",  sia  per  contenere  il
gravoso carico di contenzioso penale gravante sulla giurisdizione"». 
    La stessa legge n. 67/2014, sempre nell'ottica  di  riduzione  al
minimo dell'intervento penale e di alleggerimento del  sistema  della
giustizia penale, delegava inoltre il  Governo  ad  adottare  decreti
legislativi  per  abrogare  una  molteplicita'   di   reati   e   per
trasformarne altri in illeciti amministrativi. 
    2.7 In tale ampio quadro, l'art. 1, comma 1, lettera m) legge  n.
67/2014 individuava nei reati puniti con pene detentive non superiori
nel massimo a  cinque  anni  (o  con  pene  pecuniarie)  l'ambito  di
applicabilita' della nuova causa di non punibilita'. 
    Si trattava di un  criterio  sufficientemente  preciso  e  non  -
bisognoso di ulteriori sviluppi. Si  consideri  che  l'art.  3  della
stessa legge 67/2014 - nell'introdurre nel codice penale gli articoli
168-bis ss. disciplinanti l'istituto della sospensione  del  processo
con messa alla prova - utilizzava una formula analoga per delimitarne
l'ambito di applicabilita', individuato nei «reati puniti con la sola
pena edittale  pecuniaria  o  con  la  pena  edittale  detentiva  non
superiore nel massimo a quattro anni, sola, congiunta  o  alternativa
alla pena pecuniaria» (oltre che nei reati di cui all'art. 550, comma
2 del codice penale). 
    In proposito, la Corte di Cassazione  a  Sezioni  Unite,  con  la
sentenza n. 36272  del  31  marzo  2016,  ha  affermato  il  seguente
principio di diritto: «Ai fini dell'individuazione dei reati ai quali
e'  astrattamente  applicabile  la  disciplina  dell'istituto   della
sospensione con messa alla prova,  il  richiamo  contenuto  nell'art.
168-bis del codice penale alla pena edittale detentiva non  superiore
nel massimo a quattro anni va riferito alla pena massima prevista per
la fattispecie-base, non  assumendo  a  tal  fine  alcun  rilievo  le
circostanze aggravanti, comprese le circostanze ad effetto speciale e
quelle per cui la legge stabilisce una  pena  di  specie  diversa  da
quella ordinaria del reato».  Le  Sezioni  Unite  giungevano  a  tale
conclusione innanzi tutto sulla base del dato letterale della  norma,
«tenuto conto che il riferimento alla lettera della legge costituisce
la prima regola interpretativa (art.  12  preleggi)  e,  allo  stesso
tempo, il limite di ogni altro  criterio  ermeneutico  cui  ricorrere
solo quando il  testo  risulti  poco  chiaro  o  di  significato  non
univoco». 
    Il  dato  letterale  pare  doversi  valorizzare  anche  ai   fini
dell'interpretazione della norma dell'art. 1,  comma  1,  lettera  m)
legge n. 67/2014, nel senso per l'appunto della rilevanza  unicamente
della cornice edittale prevista per  la  fattispecie  base  (si  deve
peraltro dare atto che nella gia' citata sentenza  n.  36272/2016  te
Sezioni Unite evidenziavano che  il  legislatore  delegato  nel  dare
attuazione alla citata delega avesse «opportunamente»  ridimensionato
la  portata  applicativa  della  causa  di  non   punibilita'   della
particolare  tenuita'  del  fatto,  non  ipotizzando   la   possibile
illegittimita' di tale ridimensionamento). 
    2.8 La stessa legge n. 67/2014 - nel delegare all'art.  1,  comma
1, lettere b), c) e g) il Governo all'adozione di decreti legislativi
per la riforma  del  sistema  sanzionatorio  -  individuava  i  reati
interessati dalle modifiche (introduzione delle pene della reclusione
domiciliare  e  dell'arresto  domiciliare)   sempre   attraverso   il
riferimento alla pena massima edittale; precisava pero'  al  contempo
che quest'ultima dovesse essere determinata «secondo quanto  disposto
dall'art. 278 del codice di procedura penale»;  ai  sensi  del  quale
«non si tiene conto  della  continuazione,  della  recidiva  e  delle
circostanze del reato, fatta eccezione della  circostanza  aggravante
prevista al  numero  5)  dell'art.  61  del  codice  penale  e  della
circostanza attenuante prevista dall'art. 62 n. 4 del  codice  penale
nonche' delle circostanze per le quali la legge stabilisce  una  pena
di specie diversa da quella  ordinaria  del  reato  e  di  quelle  ad
effetto speciale». 
    Dunque la medesima legge - che ad alcuni fini (delega al  Governo
per la previsione delle pene detentive non carcerarie)  integrava  il
riferimento al massimo edittale attribuendo  espressamente  rilevanza
alle aggravanti autonome o ad effetto speciale e a singole aggravanti
e attenuanti ad effetto comune (art. 1, comma 1, lettere b), e) e g))
- in relazione ad altri istituti (particolare tenuita'  del  fatto  e
messa alla prova) faceva unicamente  riferimento  alla  pena  massima
edittale (art. 1, comma  1,  lettera  m)  e  art.  3,  comma  1),  «a
dimostrazione che il legislatore quando  vuole  dare  rilevanza  alle
circostanze lo fa in modo esplicito» (cosi'  le  Sezioni  Unite  gia'
citate). 
    2.9 Oltre al dato letterale e al dato sistematico, ai fini di una
corretta  interpretazione  della  legge  delega   pare   utile   fare
riferimento anche  alla  «intenzione  del  legislatore»,  ricostruita
attraverso i lavori preparatori che hanno  condotto  all'approvazione
della legge n. 67/2014. Il percorso parlamentare del disegno di legge
e'  stato  piuttosto  articolato  (inizialmente  erano  presentati  i
disegni di legge n. 110, d'iniziativa dei senatori Palma e  Caliendo,
e 666, d'iniziativa del senatore Casson e di  altri,  che  poi  erano
assorbiti unitamente ad altri nel disegno di legge n. 925). 
    Appare significativo quanto riportato nel  Dossier  del  Servizio
Studi del Senato sull'A.S. n. 925, 110, 111, 113  e  666-A  (dicembre
2013, n. 89) in relazione  all'art.  1,  comma  1,  lettera  n)  (che
sarebbe poi diventato art.  1,  comma  1,  lettera  m):  «Per  quanto
riguarda la lettera n) del comma 1 dell'art. 1, va  evidenziato  come
la formulazione della medesima - laddove prevede la  possibilita'  di
escludere la punibilita' di condotte sanzionate  "con  la  sola  pena
pecuniaria o con pene detentive non superiori nel  massimo  a  cinque
anni", quando risulti la particolare tenuita' dell'offesa  e  la  non
abitualita' del comportamento - potrebbe ritenersi come riferita alle
sole cornici edittali e tale da non  attribuire  quindi  rilievo,  ai
fini  dell'applicabilita'  della  nuova  causa  di  esclusione  della
punibilita', a tutte le circostanza aggravanti, incluse quelle per le
quali la legge stabilisce  una  pena  di  specie  diversa  da  quella
ordinaria  e  quelle  ad  effetto  speciale,  In  proposito  potrebbe
osservarsi come, dal punto di vista  sistematico,  i  riferimenti  ai
limiti edittali sono, in genere, integrati da previsioni che  tengono
conto in modo specifico degli effetti delle circostanze per le  quali
la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria  e
di quelle ad effetto speciale (si vedano, a  titolo  esemplificativo,
il disposto dell'art. 157 del codice penale in tema  di  prescrizione
ovvero quello dell'art. 4 del codice di  procedura  penale  o  ancora
quello dell'art. 278 dello stesso codice di procedura, al quale,  tra
l'altro, fanno rinvio le precedenti lettere b), c) e g) del  medesimo
comma 1 dell'art. in commento)» (pag. 18 del Dossier). 
    In termini sostanzialmente analoghi si  pronunciava  il  Servizio
Studi della Camera con riguardo all'articolato del disegno  di  legge
«Delega al Governo in materia di  pene  detentive  non  carcerarie  e
riforma  del  sistema  sanzionatorio.  Disposizioni  in  materia   di
sospensione del procedimento con messa alla  prova  e  nei  confronti
degli irreperibili» A.C. 331-927-B (scheda  di  lettura  n.  7/2  del
5 febbraio 2014, pag. 31): «Il nuovo art. 168-bis del  codice  penale
prevede che nei seguenti procedimenti l'imputato  possa  chiedere  la
sospensione del processo  con  messa  alla  prova  (primo  comma):  §
procedimenti  per  reati  puniti  con  la  sola  pena  pecuniaria;  §
procedimenti per reati puniti con pena detentiva fino a 4 anni (sola,
congiunta o alternativa a pena pecuniaria); La formulazione del testo
esclude che abbiano qualsiasi rilievo,  ai  fini  dell'applicabilita'
dell'istituto della sospensione,  tutte  le  circostanze  aggravanti,
incluse quelle per le quali la legge stabilisce una  pena  di  specie
diversa da quella ordinaria e quelle ad effetto speciale. Si osserva,
dal punto di vista sistematico, che i riferimenti ai limiti  edittali
sono, in genere, integrati da previsioni che tengono  conto  in  modo
specifico degli effetti delle  circostanze  per  le  quali  la  legge
stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria e di quelle
ad effetto speciale (si veda, a titolo esemplificativo,  il  disposto
dell'art. 157 del codice penale in tema di prescrizione ovvero quello
dell'art. 4 del codice di procedura penale o ancora quello  dell'art.
278 dello stesso codice in materia di misure cautelari [...]». 
    Come risulta dalle citate  analisi  dei  due  Servizi  Studi  del
Senato e della Camera, il legislatore in sede di  approvazione  della
legge delega era dunque ben consapevole di  quale  sarebbe  stato  il
significato del mero riferimento al massimo edittale  in  assenza  di
previsioni  ulteriori:  l'esclusione  della  rilevanza  di  tutte  le
circostanze aggravanti, incluse quelle autonome e quelle  ad  effetto
speciale. 
    Ulteriore  conferma  in  tal  senso  si  ricava  dal  fatto   che
inizialmente il disegno  di  legge  111  (d'iniziativa  del  senatore
Palma) prevedeva che - per la determinazione della  pena  massima  ai
fini dell'individuazione dell'ambito  applicativo  della  messa  alla
prova - non si tenesse conto  delle  circostanze  del  reato,  'fatta
eccezione delle circostanze per le quali la legge stabilisce una pena
di specie diversa da quella  ordinaria  del  reato  e  di  quelle  ad
effetto speciale. (1) Tale eccezione  era  pero'  poi  soppressa  nel
corso dei lavori parlamentari. E' stata dunque una precisa scelta del
legislatore quella di attribuire rilevanza alla sola cornice edittale
della fattispecie base. L'unicita' dell'atto  normativo  consente  di
ritenere che tale  scelta  sia  stata  compiuta  anche  con  riguardo
all'istituto della  non  punibilita'  per  particolare  tenuita'  del
fatto. 
    In effetti, nel Dossier dei  lavori  parlamentari  era  confluito
anche il lavoro della Commissione Fiorella (istituita con decreto del
Ministro della Giustizia del 14.12.2012), che aveva dato  origine  ad
un disegno di legge che all'art. 14 comma 2, per individuare l'ambito
applicativo della non procedibilita' per la particolare tenuita'  del
fatto, attribuiva  rilevanza  alle  sole  circostanze  attenuanti  ad
effetto speciale o autonome. (2) Anche  tale  riferimento  nel  testo
finale approvato dal Parlamento non era piu' presente. 
    2.10 In sede di esercizio della delega il Governo  ridimensionava
viceversa l'ambito applicativo della causa di non  punibilita'  della
particolare tenuita'. 
    In proposito, si  deve  rilevare  che  astrattamente  il  decreto
legislativo  delegato  attribuiva  rilevanza  sia  alle   circostanze
aggravanti ad effetto speciale (o autonome), sia alle  attenuanti  ad
effetto speciale (o autonome). Di  fatto  pero'  era  soprattutto  la
rilevanza  riconosciuta  alle  circostanze  aggravanti  (ad   effetto
speciale o autonome) ad incidere sull'ambito  applicativo  del  nuovo
istituto,  escludendo  dallo  stesso   numerose   figure   di   reato
staticamente frequenti (si pensi al furto aggravato, al reato ex art.
615-ter del codice penale ora in esame alle lesioni gravi,  a  talune
forme di resistenza a pubblico ufficiale aggravate ex  art.  339  del
codice penale); la rilevanza attribuita alle  circostanze  attenuanti
(ad effetto speciale o autonome)  aveva  viceversa  scarsa  rilevanza
pratica posto che il riferimento all'epoca al massimo edittale (e non
al minimo) faceva si' che il  nuovo  istituto  non  potesse  comunque
trovare applicazione nelle fattispecie piu' importanti (dal punto  di
vista della frequenza) di circostanze attenuanti ad effetto  speciale
(ad es. non per la ricettazione  ex  art.  648  comma  2  del  codice
penale, ne' per la violenza  sessuale  di  minore  gravita'  ex  art.
609-bis ultimo  comma  del  codice  penale,  ne'  per  la  bancarotta
fraudolenta attenuata ex art. 219 ultimo comma 1.fall. (3) 
    Tale  «ridimensionamento»  non  pare  coerente   con   la   ratio
sottostante  alla  legge  delega,  che,  come  si  e'  visto,  mirava
viceversa a riaffermare la natura di extrema ratio  della  pena  e  a
contenere il gravoso carico  di  contenzioso  penale  gravante  sulla
giurisdizione. 
    Si pensi, per fare un esempio, al  caso  oggetto  della  sentenza
Cass. Sez. 5, Sentenza n. 12823 del 2018, relativo al furto aggravato
di una - una sola -  melanzana,  prelevata  da  un  campo  coltivato:
soltanto la derubricazione da ultimo in tentativo consentiva  -  dopo
lo svolgimento di piu' gradi di giudizio, nel corso di diversi  anni,
e il lavoro di plurimi magistrati, cancellieri, ecc. - l'applicazione
del nuovo istituto ex art.  131-bis  del  codice  penale,  altrimenti
all'epoca impossibile (per il furto aggravato ex art. 625 del  codice
penale e' prevista la pena massima di anni  sei  di  reclusione).  E'
evidente come  la  rilevanza  attribuita  da  parte  del  legislatore
delegato alle circostanze aggravanti ad effetto speciale  (unitamente
all'impossibilita' di bilanciamento con l'attenuante ex art. 62 n.  4
del codice penale  o  con  le  attenuanti  generiche)  contraddicesse
quella  logica  di  ricorso   minimo   al   diritto   penale   e   di
razionalizzazione del sistema giustizia che aveva ispirato  la  legge
delega. Non  a  caso  la  vicenda  del  furto  di  melanzana  attiro'
l'attenzione non solo  delle  riviste  giuridiche  specializzate,  ma
anche dei principali quotidiani  nazionali,  non  potendo  l'opinione
pubblica comprendere  e  accettare  simili  inefficienze.  Si  rilevi
incidentalmente che, anche  a  seguito  della  modifica  operata  dal
decreto legislativo n. 150/2022 (per effetto della quale  si  ha  ora
riguardo al minimo edittale e non piu' al massimo) il  furto  di  una
melanzana pluriaggravato (ad es. per l'esposizione alla pubblica fede
e per la destrezza) non sarebbe suscettibile  di  applicazione  della
causa di non punibilita' in esame, con buona pace  del  principio  de
minimis non curat praetor. 
    2.11 D'altro canto il Governo, in sede di relazione  illustrativa
dello  schema  di  decreto  delegato,  mostrava  di  muovere  da   un
presupposto interpretativo che pare erroneo: «Lo  schema  di  decreto
delegato ha qui adottato un  criterio  gia'  presente  nella  vigente
legislazione, secondo  il  quale  andranno  considerate  solo  quelle
circostanze che, comportando una specie di pena  diversa  od  essendo
"ad effetto speciale", rivelano una particolare  "significativita'"),
tale da essere in qualche modo accostabili -  nelle  valutazioni  del
legislatore - a sottospecie di fattispecie autonome» (punto  5  della
relazione). 
    In realta', come sottolineato dalla Corte di Cassazione a Sezioni
Unite nella piu' volte citata sentenza n. 36272 del  31  marzo  2016,
«ogni tentativo di ricercare una rigorosa  e  indefettibile  coerenza
del sistema in materia  e'  destinato  all'insuccesso,  in  quanto  i
criteri per la selezione dei reati  attraverso  il  riferimento  alla
quantita'  di  pena  sono  influenzati  dagli  istituti  a   cui   si
riferiscano  e  sono  utilizzati,  di  volta  in  volta,  in  base  a
valutazioni  discrezionali  del   legislatore»   (punto   5.1   della
decisione). 
    In effetti, i criteri previsti dall'ordinamento sono i piu'  vari
e bisogna rilevare che -  quanto  meno  con  riguardo  agli  istituti
sostanziali e processuali piu'  importanti  -  il  criterio  previsto
dalla norma qui censurata non  e'  mai  contemplato:  in  materia  di
competenza,  di  attribuzione  collegiale,  di  citazione  diretta  a
giudizio e di intercettazioni, ai  sensi  degli  articoli  4,  33-bis
comma 2, 550 e 266 del codice penale  rilevano  le  sole  circostanze
aggravanti autonome o ad effetto speciale (non le attenuanti  quindi,
per quanto autonome o  ad  effetto  speciale),  esclusa  peraltro  la
recidiva pur  qualificata;  in  materia  di  misure  cautelari  e  di
arresto, ai sensi degli articoli 278 e 379 del codice penale rilevano
le sole circostanze (aggravanti o attenuanti) autonome o  ad  effetto
speciale (esclusa peraltro la recidiva  pur  qualificata),  ma  anche
l'aggravante ex art. 61 n. 5 del codice penale e l'attenuante ex art.
62 n. 4 del codice  penale;  in  materia  di  prescrizione  ai  sensi
dell'art.  157  del  codice  penale  rilevano  tutte  le  circostanze
aggravanti autonome o ad effetto speciale, ivi compresa  la  recidiva
qualificata  (non   viceversa   le   attenuanti);   in   materia   di
continuazione, per individuare il reato piu' grave da  porre  a  base
del calcolo della pena, occorre avere  riguardo  alla  pena  edittale
prevista per ciascun  reato  in  rapporto  alle  singole  circostanze
(tutte le circostanze) in cui la  fattispecie  si  e'  manifestata  e
all'eventuale giudizio di comparazione fra di esse (4)  ; in  materia
di messa alla  prova,  come  ritenuto  dalle  Sezioni  Unite,  assume
rilievo la sola pena prevista per  la  fattispecie-base,  non  avendo
viceversa rilievo le circostanze (di alcun tipo). 
    La  stessa  relazione  illustrativa  inoltre  riconosce  che   il
criterio adottato non puo' «eliminare la possibile  incongruenza  che
si presentera' tutte le volte in cui una di quelle  circostanze,  pur
presente e come tale da considerare ai fini della determinazione  dei
limiti  di  pena,  sarebbe  pero'  destinata  a  soccombere  per   la
prevalenza di circostanze ad effetto comune  di  segno  opposto».  In
realta', tale incongruenza -  cui  la  scelta  compiuta  in  sede  di
decreto legislativo  da'  effettivamente  origine  -  avrebbe  potuto
essere evitata qualora il  legislatore  delegato  si  fosse  attenuto
rigorosamente al criterio indicato nella  legge  delega  e  cioe'  se
avesse  attribuito  rilevanza  alla  sola  cornice   edittale   della
fattispecie base (o se, in alternativa, avesse consentito  di  tenere
conto del bilanciamento con  le  circostanze  attenuanti  ad  effetto
comune: cfr. infra). 
    2.12 Non pare possibile un'interpretazione conforme  della  norma
censurata. 
    In particolare, il dato letterale dell'art. 1, comma  2,  decreto
legislativo n.  28/2015  non  sembra  potersi  interpretare  in  modo
compatibile con il criterio fissato dall'art. 1, comma 1, lettera  m)
legge n. 67/2014, cosi' come sopra ricostruito. 
    2.13 Ad avviso di questo giudice dalla prospettata illegittimita'
deriva l'illegittimita' in via consequenziale, ai sensi dell'art.  27
legge n. 87/1953, dell'art. 131-bis comma 4 del codice penale  (nella
formulazione  originaria;  comma  5   nella   formulazione   attuale)
limitatamente alle parole «ad eccezione di quelle  per  le  quali  la
legge stabilisce una pena di specie diversa da quella  ordinaria  del
reato e di quelle ad effetto speciale. In quest'ultimo caso  ai  fini
dell'applicazione del primo comma non si tiene conto del giudizio  di
bilanciamento delle circostanze di cui all'art. 69». 
    2.14 Si deve ancora rilevare che, ove la questione proposta fosse
accolta,  per  una  pluralita'  di  fattispecie   (in   presenza   di
circostanze  aggravanti  ad  effetto  speciale,  come  nel   presente
procedimento) ne deriverebbe - in presenza degli altri presupposti  -
la possibile applicazione dell'art. 131-bis del  codice  penale;  per
altre ipotesi (in  presenza  di  circostanze  attenuanti  ad  effetto
speciale) potrebbe derivarne un effetto  sfavorevole  all'autore  del
fatto, vale a dire l'esclusione dall'ambito applicativo  della  causa
di non punibilita' in esame (ove il limite edittale della fattispecie
base fosse superiore alla soglia di legge). 
    Occorre pero' ricordare  che,  secondo  la  giurisprudenza  della
Corte Costituzionale, «gli eventuali effetti in malam parte»: di  una
decisione  della  Corte  non  precludono  l'esame  nel  merito  della
normativa impugnata, fermo restando  il  divieto  per  la  Corte  (in
virtu' della riserva di legge  vigente  in  Materia  penale,  di  cui
all'art. 25 della Costituzione) di «configurare nuove  norme  penali»
(sentenza  n.  394   del   2006),   siano   esse   incriminatrici   o
sanzionatorie. 
    Quanto agli effetti sui singoli imputati, e' compito del  giudice
comune, quale interprete delle leggi, impedire che  la  dichiarazione
di  illegittimita'  costituzionale  vada  a  detrimento  della   loro
posizione  giuridica,  tenendo  conto  dei  principi  in  materia  di
successione di leggi penali nel tempo ex art. 2  del  codice  penale,
che implica l'applicazione della norma penale piu' favorevole al  reo
(sentenza n. 32 del 2014). 
3. Non  manifesta  infondatezza:  la  violazione  dell'art.  3  della
Costituzione. 
    3.1 In subordine, laddove si  dovesse  ritenere  non  fondata  la
questione relativa all'illegittimita' dell'art.  1  comma  2  decreto
legislativo n. 28/2015, e' lo stesso art. 131-bis comma 4 del  codice
penale (nella formulazione originaria;  comma  5  nella  formulazione
attuale), che - per la  stessa  disposizione  ivi  formulata  -  pare
illegittimo  per  violazione  dell'all'art.  3  della   Costituzione,
limitatamente   alle   parole   «In   quest'ultimo   caso   ai   fini
dell'applicazione del primo comma non si tiene conto del giudizio  di
bilanciamento delle circostanze di cui all'art. 69». 
    Si  ritiene  cioe'  che  l'impossibilita'  di  tenere  conto  del
bilanciamento  delle  eventuali  circostanze  attenuanti  ad  effetto
comune con le eventuali circostanze aggravanti  ad  effetto  speciale
violi  il  canone  della  ragionevolezza  (e'  invece   astrattamente
consentito il bilanciamento delle aggravanti ad effetto speciale  con
le attenuanti ad effetto  speciale,  come  riconosciuto  anche  dalla
relazione ministeriale). 
    3.2 Come sottolineato  piu'  volte  dalla  Corte  costituzionale,
l'individuazione delle cause di non punibilita' e del relativo ambito
applicativo rientra nell'ambito di discrezionalita' del  legislatore.
Cosi', tra le altre, la sentenza n. 30 del 2021:  «le  cause  di  non
punibilita'  costituiscono  altrettante  deroghe   a   norme   penali
generali, sicche' la  loro  estensione  comporta  strutturalmente  un
giudizio di ponderazione a soluzione aperta  tra  ragioni  diverse  e
confliggenti, in primo luogo quelle che  sorreggono  da  un  lato  la
norma generale  e  dall'altro  la  norma  derogatoria,  giudizio  che
appartiene primariamente al legislatore (sentenze n. 156 del 2020, n.
140 del 2009 e n. 8 del 1996).  Da  tale  premessa  discende  che  le
scelte del legislatore relative all'ampiezza applicativa della  causa
di non punibilita' di cui all'art. 131-bis  del  codice  penale  sono
sindacabili soltanto per irragionevolezza manifesta (sentenze n.  156
del 2020 e n. 207 del 2017)». 
    Ad avviso di chi scrive,  la  scelta  di  non  tenere  conto  del
bilanciamento con le  eventuali  circostanze  attenuanti  ad  effetto
comune e' per l'appunto manifestamente irragionevole. 
    3.3  Occorre  in  primo  luogo  considerare  che  le  circostanze
attenuanti ad effetto speciale rilevano ai fini della  determinazione
della pena per l'applicazione della causa di non punibilita' ex  art.
131-bis del codice penale, sia  autonomamente,  sia  nell'ambito  del
giudizio di bilanciamento con le eventuali circostanze aggravanti  ad
effetto speciale. 
    Le circostanze attenuanti ad effetto  speciale  sono  spesso  nel
nostro   ordinamento    circostanze    cosiddette    «indefinite    o
discrezionali»,  ricollegate  alla  tenuita'  o  lievita'  o   minore
gravita' del fatto o  del  danno,  senza  che  il  legislatore  abbia
compiutamente precisato tali concetti. Le stesse «hanno  la  funzione
di mitigare una risposta punitiva improntata  a  particolare  rigore,
che proprio per questo rischia di rivelarsi incapace  di  adattamento
alla varieta' delle  situazioni  concrete  riconducibili  al  modello
legale» (cosi' la sentenza n. 207/2017). 
    In  altri  termini,  il  legislatore  -  allorche'  ha  delineato
fattispecie di particolare gravita' e quindi punite severamente -  ha
al tempo stesso previsto delle circostanze attenuanti speciali  e  ad
effetto speciale per mitigare  la  risposta  sanzionatoria  per  quei
fatti  che,  pur   astrattamente   riconducibili   alla   fattispecie
incriminata, risultassero di minore gravita'. 
    Ma tale previsione e' per l'appunto spesso legata  al  fatto  che
per la fattispecie base  sia  stata  prevista  una  cornice  edittale
ispirata a particolare rigore (si pensi alle ipotesi di attenuanti ad
effetto speciale previste  per  i  reati  di  ricettazione,  violenza
sessuale, bancarotta). 
    Vi sono pero' altre figure criminose - e' il caso ad esempio  del
delitto ex art. 615-ter del codice penale o del furto - in cui per la
fattispecie base  e'  prevista  una  risposta  sanzionatoria  mite  o
comunque  non  particolarmente  severa,  ma  al  tempo  stesso   sono
delineate delle circostanze aggravanti ad effetto speciale in ragione
delle quali i limiti edittali sono notevolmente  aumentati.  In  tali
casi, non vi era evidentemente alcun  bisogno  di  individuare  delle
circostanze attenuanti  ad  effetto  speciale  che  consentissero  di
mitigare la risposta sanzionatoria, essendo a tale scopo  sufficiente
il bilanciamento con una qualunque circostanza attenuante,  anche  ad
effetto  comune,  eventualmente  pure   le   circostanze   attenuanti
generiche. 
    In  siffatti  casi,  come  evidenziato  ad  esempio  dalla  Corte
costituzionale  in  tema  di  furto  pluriaggravato,  «con  la  nuova
formulazione dell'art. 69 del codice penale, le aggravanti del  furto
possono essere neutralizzate anche dalle  sole  attenuanti  generiche
che, se del caso, il giudice puo' persino dichiarare  prevalenti.  La
gravita'  di  questo  delitto  e'  attualmente,   percio',   soltanto
nell'astratta comminazione della  pena,  ma  non  lo  e'  piu'  nella
realta' dell'esperienza giuridica, come  ben  dimostra  la  casistica
giudiziaria, ispirata ai nuovi principi costituzionali» (sentenza  n.
268 del 1986, poi citata dalla sentenza n. 259 del 2021). 
    3.4 In tale quadro la scelta del legislatore di non tenere  conto
del bilanciamento con le circostanze  attenuanti  ad  effetto  comune
comporta, paradossalmente, che la causa di  non  punibilita'  e'  ora
applicabile a  quei  reati  per  i  quali  la  fattispecie  base  sia
contrassegnata da limiti edittali elevati ma per i quali sussista una
circostanza attenuante ad effetto speciale, mentre la stessa causa di
non punibilita' non e' applicabile a quei  reati,  connotati  da  una
fattispecie base punita mitemente, ma per i quali la  sussistenza  di
una circostanza ad effetto speciale elevi  particolarmente  i  limiti
edittali, pur quando il fatto  risulti  in  concreto  di  particolare
tenuita' e ricorrano delle attenuanti ad effetto comune. 
    Esemplificando, la causa di non punibilita' ex art.  131-bis  del
codice penale risulta ora applicabile -  a  seguito  delle  modifiche
apportate dal decreto  legislativo  n.  150/2022  -  alla  bancarotta
fraudolenta patrimoniale attenuata ex art. 219, ultimo comma  1.fall.
(art. 326, comma 3 codice della crisi d'impresa),  per  la  quale  il
minimo edittale e' di un  anno  di  reclusione,  (5)  mentre  non  e'
applicabile al furto pluriaggravato (consumato) di una melanzana, per
il quale il minimo e' di tre anni di reclusione, a nulla  valendo  al
riguardo il riconoscimento dell'attenuante ex art. 62 n. 4 del codice
penale  in  misura  prevalente.  Puo'  trovare  applicazione  per  la
violenza sessuale attenuata ex art. 609-bis, ultimo comma del  codice
penale, per la quale il minimo edittale e' di due anni di reclusione,
ma non per l'accesso abusivo ad un sistema  informatico  oggetto  del
presente procedimento,  pur  quando  si  riconoscano  le  circostanze
attenuanti generiche in misura prevalente sulle ritenute aggravanti. 
    3.5 Lo stesso legislatore delegato  si  e'  reso  conto  di  tale
anomalia allorche' - nella relazione  illustrativa  dello  schema  di
decreto legislativo - ha segnalato che il criterio adottato non  puo'
eliminare «la possibile incongruenza  che  si  presentera'  tutte  le
volte in cui una di quelle circostanze, pur presente e come  tale  da
considerare ai fini della determinazione dei limiti di pena,  sarebbe
pero' destinata a soccombere per  la  prevalenza  di  circostanze  ad
effetto comune  di  segno  opposto».  In  proposito,  il  legislatore
delegato ha ritenuto  «di  non  poter  intervenire  su  tale  aspetto
indubbiamente  problematico  ma  costituente  in  verita'   un   nodo
dell'intero sistema non affrontabile in questa sede». 
    3.6 In realta', l'anomalia avrebbe potuto risolversi  attribuendo
rilevanza al bilanciamento con le eventuali  circostanze  attenuanti,
quand'anche ad effetto comune. 
    D'altro canto, posto che secondo la Corte di Cassazione «Ai  fini
della configurabilita' della causa di  esclusione  della  punibilita'
per particolare tenuita' del fatto, prevista  dall'art.  131-bis  del
codice penale, il giudizio sulla tenuita'  richiede  una  valutazione
complessa e congiunta di  tutte  le  peculiarita'  della  fattispecie
concreta, che tenga conto, ai sensi dell'art. 133, primo  comma,  del
codice  penale,  delle  modalita'  della  condotta,  del   grado   di
colpevolezza da esse  desumibile  e  dell'entita'  del  danno  o  del
pericolo» (Cass. Sez. U, Sentenza n. 13681 del 25 febbraio  2016  Rv.
266590 - 01, citata anche dalla Corte costituzionale  nella  sentenza
207/2017 e nelle sentenze successive concernenti l'art.  131-bis  del
codice penale), sarebbe stato coerente tenere conto - ai  fini  della
determinazione  della  pena  per  l'individuazione   dell'ambito   di
applicabilita'  -  di  tutti  gli  elementi  della  fattispecie,  ivi
comprese le circostanze attenuanti ad effetto comune, quanto meno  ai
fini del bilanciamento con le  eventuali  circostanze  aggravanti  ad
effetto speciale. 
    3.7 Tale soluzione pare ancor piu'  necessaria  a  seguito  delle
modifiche apportate all'art. 131-bis comma 1 del  codice  penale  dal
decreto legislativo n. 150/2022, per effetto delle quali occorre  ora
avere riguardo al minimo edittale (non superiore a due anni  di  pena
detentiva) e non piu' al massimo edittale  (non  superiore  a  cinque
anni). 
    Infatti, se occorre avere riguardo al minimo di pena applicabile,
pare logico tenere conto anche di quelle circostanze attenuanti  (pur
ad effetto comune) che,  per  la  loro  pregnanza,  neutralizzino  le
eventuali circostanze aggravanti ad effetto speciale. 
    3.8 Tornando al caso oggetto del presente procedimento, una volta
riconosciute le circostanze attenuanti generiche in misura prevalente
sulle contestate aggravanti e' applicabile la pena minima di quindici
giorni di reclusione (ex art. 23  del  codice  penale  posto  che  la
fattispecie base di accesso abusivo ex art. 615-ter del codice penale
non contempla un minimo). 
    Pare allora illogico che per il citato reato - per  il  quale  e'
possibile l'irrogazione di una pena di  quindici  giorni,  che  evoca
necessariamente in termini logici un'offensivita' minimale del  fatto
e «quindi l'eventualita'  applicativa  dell'esimente  di  particolare
tenuita' del fatto» (Corte della costituzione n. 156 del 2020) -  non
sia applicabile la causa di non punibilita' in esame,  che  viceversa
e' applicabile ad esempio per la violenza sessuale, per  la  quale  -
pur riconoscendo l'attenuante ad effetto  speciale  ex  art.  609-bis
ultimo comma del codice penale - la pena  minima  applicabile  e'  di
anni due di reclusione (riconoscendo anche le attenuanti generiche la
pena minima e' di anni uno e mesi quattro di reclusione). 
    Lo stesso dicasi ove si raffronti il furto pluriaggravato ex art.
625 del codice penale (ad es. di una melanzana), per il quale la pena
minima applicabile - ove si riconoscano  le  attenuanti  generiche  o
l'attenuante ex art. 62 n. 4 del codice penale in  misura  prevalente
sulle aggravanti ad effetto speciale - e'  pari  a  mesi  quattro  di
reclusione (o anche inferiore, riconoscendo piu' attenuanti),  con  i
ben piu' gravi reati di usura o di tentata rapina. Per il  primo  non
puo' trovare applicazione la causa di non punibilita' ex art. 131-bis
del codice penale, applicabile invece per i secondi. 
    3.9  Anche  sotto  tale  profilo  non  pare  esservi  spazio  per
un'interpretazione conforme della norma censurata, chiaro  e  univoco
essendo il dato letterale. 
    In  particolare,  per  le  ragioni  gia'  evidenziate,  non  pare
possibile  interpretare  l'art.  131-bis  del  codice  penale,  quale
vigente a seguito della sentenza Corte della Costituzione n. 156  del
2020, nel senso che la causa di  non  punibilita'  della  particolare
tenuita' del fatto sia applicabile ai reati per  i  quali  -  solo  a
seguito del bilanciamento delle  circostanze  aggravanti  ad  effetto
speciale con le circostanze attenuanti ad effetto  comune  -  non  e'
previsto un minimo edittale di pena detentiva. 

(1) «Nei procedimenti relativi  a  reati  puniti  con  la  sola  pena
    pecuniaria o con pena  detentiva  non  superiore  nel  massimo  a
    quattro anni, sola o congiunta con la pena pecuniaria, l'imputato
    puo' chiedere la sospensione  del  procedimento  con  messa  alla
    prova. A tal fine non si tiene conto delle circostanze del reato,
    fatta  eccezione  delle  circostanze  per  le  quali   la   legge
    stabilisce una pena di specie diversa  da  quella  ordinaria  del
    reato e di quelle ad effetto speciale.» 

(2) «Dopo l'art. 131 del  codice  penale  e'  inserito  il  seguente:
    «131-bis (Esclusione  della  procedibilita'  per  la  particolare
    tenuita' del fatto). - Nelle contravvenzioni e nei delitti per  i
    quali la legge stabilisce la pena della reclusione non  superiore
    nel minimo a tre anni o la pena della  multa,  sola  o  congiunta
    alla predetta pena  detentiva,  non  si  procede  quando  per  le
    modalita' della condotta,  per  l  'esiguita'  del  danno  o  del
    pericolo,  per  il  grado  della  colpevolezza  e  per   la   sua
    occasionalita', il fatto e'  di  particolare  tenuita'.  Ai  fini
    della determinazione della pena prevista nel comma precedente non
    si  tiene  conto  delle  circostanze,  salvo  che  si  tratti  di
    circostanze attenuanti ad effetto speciale  o  per  le  quali  la
    legge prevede una pena diversa da quella ordinaria del reato o ne
    determina  la  misura  in  modo  indipendente.  La   disposizione
    prevista nel primo comma si applica anche quando la legge prevede
    la particolare la particolare tenuita' del fatto come circostanza
    attenuante».  

(3) Cfr. Sez. 3, Sentenza n. 35591 del 11 maggio 2016 Rv. 267647 - 01
    («L'istituto  della  particolare  tenuita'  del  fatto   non   e'
    applicabile al reato di violenza sessuale attenuato dalla  minore
    gravita' del fatto. (In motivazione, la S.C. ha osservato che  la
    pena massima edittale, una volta applicata la riduzione minima di
    un giorno di reclusione per la  diminuente  prevista  dall'ultimo
    comma 609-bis del  codice  penale,  e'  ampiamente  superiore  al
    limite di cinque anni di reclusione previsto  per  l'applicazione
    della speciale causa di non punibilita' dall'art. 131-bis, stesso
    codice)») e Cass. Sez. 3, sentenza n. 35591 del  11  maggio  2016
    Rv. 267647 - 01 ("L'istituto della particolare tenuita' del fatto
    non e' applicabile al reato di violenza sessuale attenuato  dalla
    minore gravita' del fatto. (In motivazione, la S. C. ha osservato
    che la pena massima edittale, una volta  applicata  la  riduzione
    minima di un giorno di  reclusione  per  la  diminuente  prevista
    dall'ultimo  comma  dell'art.  609-bis  del  codice  penale,   e'
    ampiamente superiore al  limite  di  cinque  anni  di  reclusione
    previsto  per  l'applicazione  della  speciale   causa   di   non
    punibilita' dall'art. 131-bis, stesso codice)»). 

(4) Cass. Sez. U, Sentenza n. 25939 del 28 febbraio 2013 Rv. 255347 

(5) Ma anche all'usura, alla tentata rapina, alla tentata estorsione.