TRIBUNALE DI FIRENZE Prima sezione penale Il Giudice, dott. Franco Attina', nel procedimento sopra indicato a carico di D. M. A. nato a... il...; residente e dichiaratamente domiciliato in via..., (dichiarazione confermata all'udienza del 24 ottobre 2022); - difeso dall'avv. di fiducia Stefania Scarpati del foro di Firenze (il codifensore avv. Mauro Montini era revocato all'udienza del 21 marzo 2022); imputato del seguente reato: del reato p.p. dagli articoli 81 cpv. 615-ter, comma 1 e 2 n. 1 e 3 e 61 n. 9 c.p., perche', con piu' azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, in tempi diversi, nella sua qualita' di Funzionario dell'Agenzia delle Entrate, in servizio presso la Direzione Provinciale di... - Ufficio Legale, (persona incaricata di pubblico servizio) accedeva abusivamente ad un sistema informatico protetto da misura di sicurezza (Sistema informativo dell'anagrafe tributaria), utilizzando il computer assegnato (ed associato all'indirizzo IP... con le proprie credenziali di accesso, interrogava in data 7 luglio 2014: dalle ore 10:44:32 alle ore 10:45:47 i nominativi O. R. con codice fiscale...; dalle ore 10:45:49 alle ore 10:52:42, la posizione fiscale di O. R. - codice fiscale... (direttrice pro-tempore... per un totale di quindici accessi sulle varie dichiarazioni presentate negli anni. Con le aggravanti di aver commesso il fatto con abuso dei poteri e con violazione dei doveri inerenti una pubblica funzione e di aver violato un sistema di pubblico interesse. Commesso in... il... Sentite le parti; premesso che: - con decreto del Gup dell'8 aprile 2021 A. D. M. era rinviato a giudizio davanti al Tribunale di Firenze per rispondere del reato ex art. 615-ter comma 2 n. 1 e 3 del codice penale, in ipotesi commesso il 7 luglio 2014 nella qualita' di funzionario dell'Agenzia delle Entrate e mediante accesso al sistema informativo dell'Anagrafe Tributaria; - il processo si e' svolto nell'arco di piu' udienze, nel corso delle quali sono stati sentiti i testimoni M. M. (appuntato della Guardia di Finanza) e L. Z. (all'epoca Direttore Centrale della funzione Audit dell'Agenzia delle Entrate), sono stati acquisiti vari documenti ed e' stato assunto l'esame dell'imputato; - all'udienza del 27 febbraio 2023 le parti rassegnavano le rispettive conclusioni. Il Pm chiedeva la condanna dell'imputato, previa esclusione della circostanza ex art. 61 n. 9 del codice penale, alla pena di anni tre di reclusione. La Difesa chiedeva l'assoluzione; in via progressivamente subordinata domandava: previa esclusione dell'aggravante ex art. 615-ter comma 3 del codice penale, sentenza di non doversi procedere per intervenuta prescrizione; il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche in misura prevalente sulle aggravanti e l'assoluzione per tenuita' del fatto ex art. 131-bis del codice penale; il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche in misura prevalente sulle aggravanti e la concessione dei benefici di legge; - all'udienza odierna, cui il processo era rinviato per eventuali repliche, le parti vi rinunciavano; rilevato che: - l'istruttoria svolta ha consentito di accertare i fatti ascritti all'imputato e il richiesto elemento soggettivo; - quanto alla pronuncia nei confronti dell'imputato per il reato contestatogli, pare pero' necessario il pronunciamento della Corte costituzionale in ordine alla legittimita' costituzionale - per violazione dell'art. 76 della Costituzione - dell'art. 1, comma 2 decreto legislativo n. 28/2015 e conseguentemente dell'art. 131-bis comma 4 del codice penale (nella formulazione originaria, comma 5 nella formulazione attuale a seguito dell'introduzione di un ulteriore comma da parte del decreto legislativo n. 150/2022) limitatamente alle parole «ad eccezione di quelle per le quali la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato e di quelle ad effetto speciale. In quest'ultimo caso ai fini dell'applicazione del primo comma non si tiene conto del giudizio di bilanciamento delle circostanze di cui all'art. 69»; in subordine, in ordine alla legittimita' costituzionale - per violazione dell'art. 3 della Costituzione - dell'art. 131-bis comma 4 del codice penale (nella formulazione originaria, comma 5 nella formulazione attuale) limitatamente alle parole «In quest'ultimo caso ai fini dell'applicazione del primo comma non si tiene conto del giudizio di bilanciamento delle circostanze di cui all'art. 69»; cio' premesso, Osserva 1. Il procedimento a quo. La rilevanza della questione. 1.1 L'imputato e' accusato di avere fatto abusivamente accesso in data... alla banca dati dell'Anagrafe Tributaria, per la cui consultazione egli disponeva delle credenziali necessarie nella propria qualita' di funzionario dell'Agenzia delle Entrate. 1.2 In base all'istruttoria svolta la funzione Audit dell'... nel..., nel... corso di un controllo periodico sulle consultazioni della citata banca dati aventi ad oggetto particolari soggetti, rilevava che presso l'Ufficio Legale della Direzione Provinciale di in data... erano state effettuate alcune consultazioni concernenti la dott.ssa R. O., nata il..., all'epoca Direttrice a livello nazionale della stessa Agenzia delle Entrate. Piu' precisamente si trattava di piu' interrogazioni avvenute tra le ore 10,45 e le ore 10,52 del 7 luglio 2014 e aventi ad oggetto le dichiarazioni dei redditi presentate dalla dott.ssa O. Alla stregua di quanto rilevato attraverso apposita procedura informatica, l'operatore che aveva effettuato dette consultazioni aveva utilizzato le credenziali di accesso dell'attuale imputato (il relativo codice fiscale e una password personale); l'accesso era inoltre avvenuto tramite un collegamento alla rete informatica a partire dall'indirizzo Ip (...) assegnato al computer d'ufficio dell'attuale imputato dott. A. D. M., all'epoca in servizio presso il citato Ufficio Legale (oggi in pensione). 1.3 La dott.ssa O., pur residente nella circoscrizione della Direzione Provinciale di Firenze, non aveva alcun contenzioso in corso; ne' e' comunque emersa alcuna ragione che giustificasse l'accesso alla relativa posizione in Anagrafe Tributaria. D'altro canto e' altresi' emerso che l'autore di detto accesso nei minuti immediatamente precedenti la consultazione del profilo della dott.ssa O. aveva effettuato talune interrogazioni di brevissima durata concernenti delle persone omonime (R. O. nata nel... c.f...; R. O. nata nel..., c.f...; R. O. nata nel..., c.f...); e' evidente che l'operatore conoscesse soltanto il nome e cognome della persona di cui voleva visualizzare la posizione (e forse l'eta' indicativa) e dunque abbia posto in essere piu' tentativi prima di individuare con esattezza il codice fiscale di suo effettivo interesse; cio' conferma che l'operatore non disponesse di una pratica tributaria relativa alla dott.ssa O., in quanto diversamente il fascicolo avrebbe riportato le generalita' e il codice fiscale della stessa. Si e' trattato dunque di consultazioni abusive, effettuate per finalita' estranee all'attivita' dell'ufficio, e pertanto rilevanti ai sensi dell'art. 615-ter del codice penale Si veda in tal senso, tra le tante pronunce di legittimita', Cass. Sez. U. n. 41210 del 18 maggio 2017 rv. 271061-01: «Integra il delitto previsto dall'art. 615-ter, secondo comma, n. 1, del codice penale la condotta del pubblico ufficiale o dell'incaricato di un pubblico servizio che, pur essendo abilitato e pur non violando le prescrizioni formali impartite dal titolare di un sistema informatico o telematico protetto per delimitarne l'accesso, acceda o si mantenga nel sistema per ragioni ontologicamente estranee rispetto a quelle per le quali la facolta' di accesso gli e' attribuita»). Il dott. Z. ha inoltre precisato che, prima di utilizzare la banca dati in questione, il funzionario doveva necessariamente confermare che l'accesso alla stessa avveniva per ragioni di ufficio (in mancanza di tale conferma vi era un blocco informatico e la banca dati non era concretamente utilizzabile); del resto l'Agenzia aveva piu' volte negli anni ricordato al proprio personale la necessita' di un uso corretto delle banche dati. 1.4 Si puo' affermare con certezza che autore dell'accesso abusivo sia stato l'attuale imputato A. D. M. Le consultazioni sono state effettuate con le sue credenziali e utilizzando il computer d'ufficio a lui assegnato. Il prevenuto ha negato di avere posto in essere le interrogazioni in questione. Si e' difeso sostenendo che il giorno... egli era effettivamente in servizio e presente in ufficio (non era in Commissione Tributaria), ma che e' possibile che qualcun altro (necessariamente un collega, posto che all'ufficio in questione non accedeva il pubblico) - nel corso di un suo momentaneo allontanamento dalla postazione di lavoro - sia entrato a sua insaputa nella sua stanza (egli disponeva di una stanza ad uso esclusivo) e abbia utilizzato il suo computer e le sue credenziali per effettuare le consultazioni in questione; cio' sarebbe stato possibile in quanto il suo codice fiscale (che valeva come nome utente dell'account) era facilmente conoscibile da tutti e la sua password era annotata in un'agenda che egli teneva per comodita' sulla scrivania. Tale versione non e' credibile. Gli accessi abusivi (considerando sia quelli aventi ad oggetto la..., sia le sue omonime) si sono verificati tra le ore 10,44 e le ore 10,52 del 7 luglio 2014, per una durata complessiva di 8 minuti. Non e' affatto plausibile che in un ufficio pubblico, nelle ore centrali della mattina, un operatore entri clandestinamente nella stanza di un collega e, sempre clandestinamente, acceda al relativo computer, trattenendosi nell'utilizzo abusivo per 8 minuti: e' infatti elevato ed evidente il rischio che nel citato arco temporale il titolare del computer o altri funzionari rilevino l'abuso, con tutte le relative conseguenze in termini penali e disciplinari. Se e' vero che anche l'accesso abusivo ora in contestazione (accesso ad un sistema informatico protetto, utilizzando le proprie credenziali, per finalita' estranee all'ufficio) comporta delle conseguenze negative, e' altresi' vero pero' che si tratta di un rischio assai piu' remoto e comunque meno percepibile da parte del pubblico funzionario che operi in tranquillita' al proprio computer (per di piu' in una stanza ad uso esclusivo) e che sia inconsapevole dei controlli che ponga in essere a distanza e per via telematica l'amministrazione centrale. Si aggiunga che - in base alle rilevazioni informatiche (e' stato acquisito il file relativo alle interrogazioni effettuate dall'imputato, rectius con le credenziali dell'imputato) - le interrogazioni in questione erano le prime effettuate nella giornata del 7 luglio 2014; le credenziali erano state dunque inserite immediatamente prima (secondo quanto riferito dal dott. Z., dopo un certo lasso di tempo la sessione s'interrompe e occorre reinserire i codici di accesso), per cui non e' possibile che un eventuale intruso abbia approfittato del momentaneo allontanamento di D. M. per accedere al suo computer, ivi trovando gia' inserite le relative credenziali. Inoltre, quand'anche si ritenesse che effettivamente l'imputato avesse scritto la password necessaria per l'accesso alla banca dati sull'agenda lasciata sulla scrivania, tale circostanza difficilmente poteva essere nota all'eventuale intruso; in ogni caso, quest'ultimo molto difficilmente poteva distinguere tra le varie password scritte sull'agenda, sia in relazione alle varie procedure e applicazioni informatiche. sia in relazione al periodo di validita' (il teste Z. ha riferito che la password per l'accesso alla banca dati ora in esame aveva una validita' massima di sessanta giorni, per cui decorso tale periodo era comunque necessario modificarla; sull'agenda dell'imputato, nella citata ipotesi. vi sarebbero state scritte dunque numerose password). L'individuazione della parola chiave esatta avrebbe dunque richiesto per l'intruso un notevole e ulteriore lasso di tempo. cio' che rende l'ipotesi avanzata dalla Difesa ancor piu' inverosimile. 1.5 Alla luce di quanto precede si dovrebbe affermare la responsabilita' dell'imputato, con conseguente condanna. 1.6 Sussistono le contestate circostanze aggravanti ex art. 615-ter comma 2 n. 1) e comma 3 del codice penale. In primo luogo, l'imputato - funzionario dell'Agenzia delle Entrate, addetto all'ufficio Contenzioso (e percio' tra l'altro rappresentante dell'Agenzia dinanzi alla Commissione Tributaria) era certamente un incaricato di pubblico servizio (se non un pubblico ufficiale) e ha tenuto la condotta in contestazione in violazione dei doveri propri del servizio (che gli imponevano di accedere alle banche dati dell'Amministrazione solo in relazione alle attivita' dell'ufficio, come ripetutamente ricordato dall'Agenzia e come lo stesso sistema informatico richiamava (esigendo un'apposita conferma per consentire l'accesso alla banca dati). In secondo luogo, non vi e' dubbio che l'Anagrafe Tributaria - contenendo tutte le informazioni relative ai dati fiscali dei contribuenti (soggetti a carico, redditi, ritenute e versamenti, atti registrati, ecc.) - costituisca un sistema informatico o telematico di interesse pubblico. La sentenza Cass. Sez. 5, n. 22024/2013 invocata in senso contrario dalla Difesa e' proprio relativa ad un caso in cui il ricorrente (funzionario dell'Agenzia delle Entrate che aveva fatto accesso abusivamente all'Anagrafe Tributaria) era stato condannato per il delitto di cui all'art. 615-ter comma 2 n. 1 e 3 del codice penale e il ricorso era respinto. Sussistendo le circostanze aggravanti in questione, il massimo edittale e' di anni otto, per cui il reato non risulta prescritto (il termine massimo e' di anni dieci, per cui scadra' in data 7 luglio 2024, fatte salve le sospensioni). 1.7 Va viceversa esclusa l'applicazione della contestata circostanza aggravante ex art. 61 n. 9 del codice penale, costituendo la circostanza ex art. 615-ter comma 2 n. 1) del codice penale un'ipotesi speciale di quest'ultima. 1.8 All'imputato si possono riconoscere le circostanze attenuanti generiche in ragione sia della gravita' minimale del fatto, sia delle sue condizioni soggettive. Sotto il primo profilo si deve rilevare innanzi tutto che i dati oggetto della consultazione abusiva non erano segreti in senso stretto (a differenza ad es. di informazioni che potrebbero rinvenirsi nella banca dati interforze c.d. SDI o nella banca dati in cui le Procure iscrivono le notizie di reato), venendo piuttosto in rilievo una semplice riservatezza delle informazioni. L'imputato inoltre non risulta avere fatto alcun uso delle informazioni ottenute abusivamente (verosimilmente egli ha tenuto la condotta in questione per mera curiosita'). Il comportamento risulta quindi censurabile in ragione dell'indebito utilizzo dello strumento a disposizione, ma l'offesa che ne e' derivata al bene giuridico protetto deve ritenersi di speciale tenuita'. Si aggiunga che, dopo i fatti in esame, lo stesso legislatore con l'art. 13, decreto legislativo n. 97/2016 ha modificato l'art. 14 decreto legislativo n. 33/2013, estendendo ai titolari di incarichi dirigenziali nelle amministrazioni pubbliche gli obblighi di trasparenza gia' previsti per i titolari di incarichi politici; tra i dati oggetto di pubblicazione figurano anche le dichiarazioni fiscali. La carica dirigenziale (di vertice) che ricopriva all'epoca dei fatti la dott.ssa O. rientrava tra quelle per le quali era previsto tale obbligo di pubblicazione (e tale obbligo sarebbe sopravvissuto per la citata carica anche a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 20 del 2019, che viceversa l'avrebbe eliminato con riferimento agli incarichi dirigenziali «minori»"). In effetti, a seguito della citata modifica normativa, le dichiarazioni fiscali della dott.ssa O. erano pubblicate (la Difesa ha prodotto le dichiarazioni relative agli anni d'imposta 2015 e 2016). Dunque gli accessi abusivi posti in essere dall'imputato hanno riguardato dati che lo stesso legislatore due anni dopo avrebbe ritenuto meritevoli di pubblicazione. Sotto il profilo soggettivo occorre tenere conto sia dell'incensuratezza, sia del meritevole stato di servizio dell'imputato (la Difesa ha prodotto una lettera di elogio precedente i fatti in esame). 1.9 Le citate circostanze attenuanti per la loro pregnanza devono essere bilanciate in termini di prevalenza rispetto alle ritenute circostanze aggravanti. 1.10 Potrebbe trovare applicazione la causa di non punibilita' di cui all'art. 131-bis. L'offesa, in ragione di quanto gia' evidenziato, e' infatti di speciale tenuita'; il dolo risulta di intensita' minima. Il comportamento non e' abituale. L'imputato e' del tutto incensurato. La circostanza che egli abbia effettuato piu' interrogazioni della banca dati (nell'arco di otto minuti) e dunque piu' violazioni della medesima norma incriminatrice non vale a rendere abituale il comportamento: le plurime condotte sono state tenute nel medesimo contesto spazio-temporale - c.d. continuazione sincronica - venendo cosi' in rilievo una deliberazione criminosa unitaria e circoscritta, incompatibile con l'abitualita' presa in considerazione in negativo dall'art. 131-bis del codice penale (secondo il criterio valorizzato dall'orientamento di legittimita' pur piu' restrittivo, come ad es. la sentenza Cass. Sez 3, n. 35630 del 13 luglio 2021, rv 282034, e la sentenza Cass. Sez. 4, n. 47772 del 25 settembre 2018, rv. 274430); d'altro canto, nella fattispecie in esame, considerate tutte le caratteristiche del caso concreto, le condotte contestate non appaiono espressione di una serialita' nell'attivita' criminosa e di un'abitudine a violare la legge (criterio fissato dalla Corte di Cassazione a Sezioni Unite, con la sentenza n. 18891 del 27 gennaio 2022). L'applicazione della causa di non punibilita' trova pero' ostacolo nei limiti edittali del reato in contestazione, come calcolati ai sensi dell'art. 131-bis del codice penale (comma 4 nella formulazione originaria; comma 5 nella formulazione attuale a seguito dell'introduzione di un ulteriore comma da parte del decreto legislativo n. 150/2022). 1.11 Piu' precisamente, ai sensi dell'art. 131-bis comma 1 del codice penale, quale vigente fino al 30 dicembre 2022, l'istituto in questione puo' applicarsi ai «reati per i quali e' prevista la pena detentiva non superiore nel massimo a cinque anni, ovvero la pena pecuniaria, sola o congiunta alla predetta pena»; ai sensi dell'art. 131-bis, comma 1 del codice penale, come modificato dal decreto legislativo n. 150/2022, l'istituto puo' trovare applicazione per i «reati per i quali e' prevista la pena detentiva non superiore nel minimo a due anni, ovvero la pena pecuniaria, sola o congiunta alla predetta pena». E' rimasto viceversa immutato il criterio di determinazione della citata pena detentiva: «Ai fini della determinazione della pena detentiva prevista nel primo comma non si tiene conto delle circostanze, ad eccezione di quelle per le quali la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato e di quelle ad effetto speciale. In quest'ultimo caso ai fini dell'applicazione del primo comma non si tiene conto del giudizio di bilanciamento delle circostanze di cui all'art. 69» (art. 131-bis del codice penale comma 4 nella formulazione originaria, comma 5 nella formulazione post decreto legislativo n. 150/2022). In ragione della sussistenza delle circostanze ad effetto speciale di cui all'art. 615-ter comma 2 n. 1) e comma 3 del codice penale e dell'impossibilita' di bilanciarle con le circostanze attenuanti ad effetto comune (nel caso di specie le circostanze attenuanti generiche), l'applicazione dell'istituto di cui all'art. 131-bis del codice penale e' preclusa tanto ai sensi della disciplina attualmente vigente (il minimo edittale e' di anni tre di reclusione e dunque superiore ad anni due), quanto ai sensi della disciplina precedente (il massimo edittale e' di anni otto di reclusione e dunque superiore ad anni cinque). In particolare, la citata causa di non punibilita' non pare poter trovare applicazione sulla base della sentenza della Corte Costituzionale n. 156/2020. Con tale pronuncia la Corte ha dichiarato l'illegittimita' dell'art. 131-bis del codice penale «nella parte in cui non consente l'applicazione della causa di non punibilita' per particolare tenuita' del fatto ai reati per i quali non e' previsto un minimo edittale di pena detentiva». Tuttavia tale sentenza pare doversi interpretare nel quadro comunque della disciplina dettata dall'art. 131-bis del codice penale e quindi in relazione ai reati per i quali, una volta considerate le eventuali circostanze aggravanti e attenuanti ad effetto speciale (senza possibilita' di bilanciamento con le circostanze ad effetto comune), non sia previsto un minimo edittale di pena detentiva; in effetti, la questione sottoposta alla Corte concerneva un'ipotesi (art. 648, comma 2 del codice penale) in cui proprio per effetto della ricorrenza di un'attenuante ad effetto speciale non vi era un minimo edittale (se non quello generale di cui all'art. 23, comma 1 del codice penale). Nel caso di specie, al contrario, la fattispecie base non prevede un minimo edittale (reclusione fino a tre anni), ma una volta considerate le circostanze aggravanti ad effetto speciale il minimo edittale risulta pari ad anni tre. 1.12 Se viceversa fosse accolta la questione di legittimita' costituzionale qui sollevata in via principale, sarebbe applicabile l'indicata causa di non punibilita': non considerando infatti le circostanze aggravanti, neppure quelle ad effetto speciale, il minimo edittale sarebbe di quindici giorni di reclusione e il massimo edittale sarebbe di tre anni di reclusione. Il reato in esame rientrerebbe dunque nell'ambito applicativo della causa di non punibilita' sia ai sensi della formulazione attuale dell'art. 13-bis comma 1 del codice penale (minimo inferiore a due anni), sia ai sensi di quella previgente (sia in ragione del massimo inferiore a cinque anni, sia in ragione del minimo di quindici giorni). 1.13 La citata causa di non punibilita' sarebbe parimenti applicabile ove fosse accolta la questione di legittimita' costituzionale sollevata in via subordinata. Ove fosse possibile tenere conto del giudizio di bilanciamento ex art. 69 del codice penale, infatti, nel caso di specie - posto che le circostanze attenuanti generiche devono valutarsi in termini di prevalenza rispetto alle indicate circostanze aggravanti ad effetto speciale - i limiti edittali (sia il minimo, sia il massimo) sarebbero inferiori alle soglie di legge (sia l'attuale, sia la previgente). 1.14 Da ultimo, una precisazione pare necessaria quanto alla modifica normativa concernente l'art. 131-bis comma 1 del codice penale operata dal decreto legislativo n. 150/2022. Non pare che la citata novella possa incidere sulle dedotte questioni di legittimita' costituzionale. Come si e' evidenziato, se non intervenisse l'auspicata pronuncia di illegittimita' la causa di non punibilita' non potrebbe trovare applicazione ne' ai sensi della disciplina vigente, ne' ai sensi della precedente; viceversa, ove la questione fosse accolta, la causa di non punibilita' potrebbe trovare applicazione indifferentemente ai sensi della disciplina vigente e della disciplina precedente. D'altro canto, il fatto che il legislatore sia nuovamente intervenuto sulla materia gia' oggetto del decreto legislativo n. 28/2015 non pare sufficiente di per se' a privare di rilevanza la questione posta con riguardo alla violazione dell'art. 76 della Costituzione Potrebbe in astratto muoversi tale obiezione posto che il criterio fissato dall'art. 1, comma 1, lettera m) della legge n. 67/2014 per l'esercizio della delega aveva riguardo al massimo edittale, laddove la disciplina attuale - a seguito delle modifiche operate dal decreto legislativo n. 150/2022 - ha riguardo unicamente al minimo edittale. In realta', il criterio di determinazione della pena (vuoi nel massimo, vuoi nel minimo edittale), fissato dal decreto legislativo n. 28/2015 ad avviso di questo giudice in contrasto con i criteri della legge delega, e' rimasto immutato. In ogni caso, la causa di non punibilita' ex art. 131-bis del codice penale e' un istituto di diritto sostanziale, per cui deve trovare applicazione la disciplina piu' favorevole. Quindi - quand'anche si dovesse ritenere che a seguito delle modifiche introdotte dal decreto legislativo n. 150/2022 la disciplina del citato istituto sia stata completamente rivisitata - la questione qui posta sarebbe comunque rilevante: ove infatti fosse accolta, potrebbe trovare applicazione al fatto in esame - commesso nel 2014 - la disciplina intermedia piu' favorevole introdotta dal decreto legislativo n. 28/2015 e precedente le modifiche di cui al decreto legislativo n. 150/2022, con la modifica apportata dalla Corte. 2. Non manifesta infondatezza: la violazione dell'art. 76 della Costituzione. 2.1 Questo giudice sospetta dell'illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 2 decreto legislativo n. 28/2015, per violazione dell'art. 76, della Costituzione, nella parte in cui - introducendo l'art. 131-bis del codice penale e prevedendo al quarto comma dello stesso che «ai fini della determinazione della pena detentiva prevista nel primo comma non si tiene conto delle circostanze» - ha previsto un'eccezione con riguardo alle circostanze «per le quali la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato e di quelle ad effetto speciale» (prevedendo inoltre che «in quest'ultimo caso ai fini dell'applicazione del primo comma non si tiene conto del giudizio di bilanciamento delle circostanze di cui all'art. 69»). Tale questione si ritiene debba essere affrontata per prima perche', afferendo al decreto legislativo che ha introdotto la nuova norma nel codice penale, pare logicamente pregiudiziale rispetto alla seconda questione, che quindi viene sollevata in via subordinata. 2.2 Occorre premettere che il citato decreto legislativo e' stato adottato in forza della delega di cui all'art. 1 della legge n. 67/2014, che al comma 1 lettera m) delegava il Governo ad «escludere la punibilita' di condotte sanzionate con la sola pena pecuniaria o con pene detentive non superiori nel massimo a cinque anni, quando risulti la particolare tenuita' dell'offesa e la non abitualita' del comportamento, senza pregiudizio per l'esercizio dell'azione civile per il risarcimento del danno e adeguando la relativa normativa processuale penale». 2.3 Dunque, per quel che qui rileva, il legislatore delegante individuava l'ambito di applicabilita' della causa di non punibilita' avendo riguardo unicamente al massimo edittale di cinque anni della pena detentiva (o alla natura pecuniaria della pena). Il Governo esercitando la delega con il decreto legislativo n. 28/2015, oltre a prevedere al comma 1 del nuovo art. 131-bis del codice penale l'applicabilita' del nuovo istituto ai reati per i quali e' prevista la pena detentiva non superiore nel massimo a cinque anni (ovvero la pena pecuniaria, sola o congiunta alla pena detentiva), ha previsto al comma 4 dello stesso art. 131-bis del codice penale che «ai fini della determinazione della pena detentiva prevista nel primo comma non si tiene conto delle circostanze», salvo subito dopo prevedere un'eccezione con riguardo alle circostanze c.d. autonome e alle circostanze ad effetto speciale («ad eccezione di quelle per le quali la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato e di quelle ad effetto speciale»), che quindi devono essere considerate. Si tratta quindi di valutare se, nel prevedere tale eccezione, il Governo abbia rispettato o meno il criterio fissato dall'art. 1, comma 1, lettera m) della legge n. 67/2014. 2.4 Come la giurisprudenza della Corte costituzionale ha sottolineato a piu' riprese, «la delega legislativa non esclude ogni discrezionalita' del legislatore delegato [...] la determinazione dei principi e criteri direttivi non osta all'emanazione di norme che rappresentino un coerente sviluppo e, se del caso, anche un completamento delle scelte espresse dal legislatore delegante, essendo escluso che le funzioni del legislatore delegato siano limitate ad una mera scansione linguistica delle previsioni contenute nella delega» (cosi', tra le altre, la sentenza n. 426/2008). Pertanto, («se pure nell'ambito invalicabile dei confini dati dalle possibilita' applicative desumibili dalle norme di delega, il legislatore delegato ha un'indiscutibile liberta' di interpretazione e di scelta fra le alternative ad esso offerte» (cosi, tra le altre, la sentenza n. 355/1993); tale discrezionalita', peraltro, «puo' essere piu' o meno ampia, in relazione al grado di specificita' dei criteri fissati nella legge delega» (cosi', tra le altre, la sentenza n. 84/2017); non si e' mancato inoltre di sottolineare che («nella materia penale e' piu' elevato il grado di determinatezza richiesto per le regole fissate nella legge delega; cio' perche' il controllo del rispetto, da parte del Governo, dei «principi e criteri direttivi», e' anche strumento di garanzia della riserva di legge e del rispetto del principio di stretta legalita', spettando al Parlamento l'individuazione dei fatti da sottoporre a pena e delle sanzioni loro applicabili» (sentenza n. 175/2022). In definitiva, «e' richiesto lo svolgimento di un duplice processo ermeneutico, condotto in parallelo: l'uno, concernente la norma che determina l'oggetto, i principi e i criteri direttivi della delega; l'altro, relativo alla norma delegata, da interpretare nel significato compatibile con questi ultimi. Nel determinare il contenuto della delega si deve tenere conto del complessivo contesto normativo nel quale si inseriscono la legge delega e i relativi principi e criteri direttivi, nonche' delle finalita' che la ispirano, che costituiscono non solo la base e il limite delle norme delegate, ma anche gli strumenti per l'interpretazione della loro portata. [...] Pertanto, per valutare se il legislatore abbia ecceduto tali margini di discrezionalita', occorre individuare la ratio della delega per verificare se la norma delegata sia stata con questa coerente» (sentenza n. 153/2014). 2.5 A parere di chi scrive, la norma dettata dal legislatore delegato all'art. 131-bis comma 4 del codice penale non ha costituito ne' un coerente sviluppo del criterio dettato dalla legge delega, nell'esercizio di fisiologici margini di discrezionalita', ne' il portato di una interpretazione plausibile delle scelte effettuate dal Parlamento in sede di delega. 2.6 Come evidenziato anche dalla Corte costituzionale (sentenza n. 173/2022), la legge n. 67/2014 «nel contesto di una piu' ampia riforma del sistema sanzionatorio, ha anche previsto l'introduzione di nuovi istituti processuali, diretti ad escludere la punibilita' della condotta con possibile dichiarazione di estinzione del reato, vuoi per la particolare tenuita' dell'offesa, vuoi per l'esito positivo della messa alla prova dell'imputato con sospensione del procedimento. [...] «il fatto particolarmente lieve, cui fa riferimento l'art. 131-bis del codice penale, e' comunque un fatto offensivo, che costituisce reato e che il legislatore preferisce non punire, sia per riaffermare la natura di extrema ratio della pena e agevolare la "rieducazione del condannato", sia per contenere il gravoso carico di contenzioso penale gravante sulla giurisdizione"». La stessa legge n. 67/2014, sempre nell'ottica di riduzione al minimo dell'intervento penale e di alleggerimento del sistema della giustizia penale, delegava inoltre il Governo ad adottare decreti legislativi per abrogare una molteplicita' di reati e per trasformarne altri in illeciti amministrativi. 2.7 In tale ampio quadro, l'art. 1, comma 1, lettera m) legge n. 67/2014 individuava nei reati puniti con pene detentive non superiori nel massimo a cinque anni (o con pene pecuniarie) l'ambito di applicabilita' della nuova causa di non punibilita'. Si trattava di un criterio sufficientemente preciso e non - bisognoso di ulteriori sviluppi. Si consideri che l'art. 3 della stessa legge 67/2014 - nell'introdurre nel codice penale gli articoli 168-bis ss. disciplinanti l'istituto della sospensione del processo con messa alla prova - utilizzava una formula analoga per delimitarne l'ambito di applicabilita', individuato nei «reati puniti con la sola pena edittale pecuniaria o con la pena edittale detentiva non superiore nel massimo a quattro anni, sola, congiunta o alternativa alla pena pecuniaria» (oltre che nei reati di cui all'art. 550, comma 2 del codice penale). In proposito, la Corte di Cassazione a Sezioni Unite, con la sentenza n. 36272 del 31 marzo 2016, ha affermato il seguente principio di diritto: «Ai fini dell'individuazione dei reati ai quali e' astrattamente applicabile la disciplina dell'istituto della sospensione con messa alla prova, il richiamo contenuto nell'art. 168-bis del codice penale alla pena edittale detentiva non superiore nel massimo a quattro anni va riferito alla pena massima prevista per la fattispecie-base, non assumendo a tal fine alcun rilievo le circostanze aggravanti, comprese le circostanze ad effetto speciale e quelle per cui la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato». Le Sezioni Unite giungevano a tale conclusione innanzi tutto sulla base del dato letterale della norma, «tenuto conto che il riferimento alla lettera della legge costituisce la prima regola interpretativa (art. 12 preleggi) e, allo stesso tempo, il limite di ogni altro criterio ermeneutico cui ricorrere solo quando il testo risulti poco chiaro o di significato non univoco». Il dato letterale pare doversi valorizzare anche ai fini dell'interpretazione della norma dell'art. 1, comma 1, lettera m) legge n. 67/2014, nel senso per l'appunto della rilevanza unicamente della cornice edittale prevista per la fattispecie base (si deve peraltro dare atto che nella gia' citata sentenza n. 36272/2016 te Sezioni Unite evidenziavano che il legislatore delegato nel dare attuazione alla citata delega avesse «opportunamente» ridimensionato la portata applicativa della causa di non punibilita' della particolare tenuita' del fatto, non ipotizzando la possibile illegittimita' di tale ridimensionamento). 2.8 La stessa legge n. 67/2014 - nel delegare all'art. 1, comma 1, lettere b), c) e g) il Governo all'adozione di decreti legislativi per la riforma del sistema sanzionatorio - individuava i reati interessati dalle modifiche (introduzione delle pene della reclusione domiciliare e dell'arresto domiciliare) sempre attraverso il riferimento alla pena massima edittale; precisava pero' al contempo che quest'ultima dovesse essere determinata «secondo quanto disposto dall'art. 278 del codice di procedura penale»; ai sensi del quale «non si tiene conto della continuazione, della recidiva e delle circostanze del reato, fatta eccezione della circostanza aggravante prevista al numero 5) dell'art. 61 del codice penale e della circostanza attenuante prevista dall'art. 62 n. 4 del codice penale nonche' delle circostanze per le quali la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato e di quelle ad effetto speciale». Dunque la medesima legge - che ad alcuni fini (delega al Governo per la previsione delle pene detentive non carcerarie) integrava il riferimento al massimo edittale attribuendo espressamente rilevanza alle aggravanti autonome o ad effetto speciale e a singole aggravanti e attenuanti ad effetto comune (art. 1, comma 1, lettere b), e) e g)) - in relazione ad altri istituti (particolare tenuita' del fatto e messa alla prova) faceva unicamente riferimento alla pena massima edittale (art. 1, comma 1, lettera m) e art. 3, comma 1), «a dimostrazione che il legislatore quando vuole dare rilevanza alle circostanze lo fa in modo esplicito» (cosi' le Sezioni Unite gia' citate). 2.9 Oltre al dato letterale e al dato sistematico, ai fini di una corretta interpretazione della legge delega pare utile fare riferimento anche alla «intenzione del legislatore», ricostruita attraverso i lavori preparatori che hanno condotto all'approvazione della legge n. 67/2014. Il percorso parlamentare del disegno di legge e' stato piuttosto articolato (inizialmente erano presentati i disegni di legge n. 110, d'iniziativa dei senatori Palma e Caliendo, e 666, d'iniziativa del senatore Casson e di altri, che poi erano assorbiti unitamente ad altri nel disegno di legge n. 925). Appare significativo quanto riportato nel Dossier del Servizio Studi del Senato sull'A.S. n. 925, 110, 111, 113 e 666-A (dicembre 2013, n. 89) in relazione all'art. 1, comma 1, lettera n) (che sarebbe poi diventato art. 1, comma 1, lettera m): «Per quanto riguarda la lettera n) del comma 1 dell'art. 1, va evidenziato come la formulazione della medesima - laddove prevede la possibilita' di escludere la punibilita' di condotte sanzionate "con la sola pena pecuniaria o con pene detentive non superiori nel massimo a cinque anni", quando risulti la particolare tenuita' dell'offesa e la non abitualita' del comportamento - potrebbe ritenersi come riferita alle sole cornici edittali e tale da non attribuire quindi rilievo, ai fini dell'applicabilita' della nuova causa di esclusione della punibilita', a tutte le circostanza aggravanti, incluse quelle per le quali la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria e quelle ad effetto speciale, In proposito potrebbe osservarsi come, dal punto di vista sistematico, i riferimenti ai limiti edittali sono, in genere, integrati da previsioni che tengono conto in modo specifico degli effetti delle circostanze per le quali la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria e di quelle ad effetto speciale (si vedano, a titolo esemplificativo, il disposto dell'art. 157 del codice penale in tema di prescrizione ovvero quello dell'art. 4 del codice di procedura penale o ancora quello dell'art. 278 dello stesso codice di procedura, al quale, tra l'altro, fanno rinvio le precedenti lettere b), c) e g) del medesimo comma 1 dell'art. in commento)» (pag. 18 del Dossier). In termini sostanzialmente analoghi si pronunciava il Servizio Studi della Camera con riguardo all'articolato del disegno di legge «Delega al Governo in materia di pene detentive non carcerarie e riforma del sistema sanzionatorio. Disposizioni in materia di sospensione del procedimento con messa alla prova e nei confronti degli irreperibili» A.C. 331-927-B (scheda di lettura n. 7/2 del 5 febbraio 2014, pag. 31): «Il nuovo art. 168-bis del codice penale prevede che nei seguenti procedimenti l'imputato possa chiedere la sospensione del processo con messa alla prova (primo comma): § procedimenti per reati puniti con la sola pena pecuniaria; § procedimenti per reati puniti con pena detentiva fino a 4 anni (sola, congiunta o alternativa a pena pecuniaria); La formulazione del testo esclude che abbiano qualsiasi rilievo, ai fini dell'applicabilita' dell'istituto della sospensione, tutte le circostanze aggravanti, incluse quelle per le quali la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria e quelle ad effetto speciale. Si osserva, dal punto di vista sistematico, che i riferimenti ai limiti edittali sono, in genere, integrati da previsioni che tengono conto in modo specifico degli effetti delle circostanze per le quali la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria e di quelle ad effetto speciale (si veda, a titolo esemplificativo, il disposto dell'art. 157 del codice penale in tema di prescrizione ovvero quello dell'art. 4 del codice di procedura penale o ancora quello dell'art. 278 dello stesso codice in materia di misure cautelari [...]». Come risulta dalle citate analisi dei due Servizi Studi del Senato e della Camera, il legislatore in sede di approvazione della legge delega era dunque ben consapevole di quale sarebbe stato il significato del mero riferimento al massimo edittale in assenza di previsioni ulteriori: l'esclusione della rilevanza di tutte le circostanze aggravanti, incluse quelle autonome e quelle ad effetto speciale. Ulteriore conferma in tal senso si ricava dal fatto che inizialmente il disegno di legge 111 (d'iniziativa del senatore Palma) prevedeva che - per la determinazione della pena massima ai fini dell'individuazione dell'ambito applicativo della messa alla prova - non si tenesse conto delle circostanze del reato, 'fatta eccezione delle circostanze per le quali la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato e di quelle ad effetto speciale. (1) Tale eccezione era pero' poi soppressa nel corso dei lavori parlamentari. E' stata dunque una precisa scelta del legislatore quella di attribuire rilevanza alla sola cornice edittale della fattispecie base. L'unicita' dell'atto normativo consente di ritenere che tale scelta sia stata compiuta anche con riguardo all'istituto della non punibilita' per particolare tenuita' del fatto. In effetti, nel Dossier dei lavori parlamentari era confluito anche il lavoro della Commissione Fiorella (istituita con decreto del Ministro della Giustizia del 14.12.2012), che aveva dato origine ad un disegno di legge che all'art. 14 comma 2, per individuare l'ambito applicativo della non procedibilita' per la particolare tenuita' del fatto, attribuiva rilevanza alle sole circostanze attenuanti ad effetto speciale o autonome. (2) Anche tale riferimento nel testo finale approvato dal Parlamento non era piu' presente. 2.10 In sede di esercizio della delega il Governo ridimensionava viceversa l'ambito applicativo della causa di non punibilita' della particolare tenuita'. In proposito, si deve rilevare che astrattamente il decreto legislativo delegato attribuiva rilevanza sia alle circostanze aggravanti ad effetto speciale (o autonome), sia alle attenuanti ad effetto speciale (o autonome). Di fatto pero' era soprattutto la rilevanza riconosciuta alle circostanze aggravanti (ad effetto speciale o autonome) ad incidere sull'ambito applicativo del nuovo istituto, escludendo dallo stesso numerose figure di reato staticamente frequenti (si pensi al furto aggravato, al reato ex art. 615-ter del codice penale ora in esame alle lesioni gravi, a talune forme di resistenza a pubblico ufficiale aggravate ex art. 339 del codice penale); la rilevanza attribuita alle circostanze attenuanti (ad effetto speciale o autonome) aveva viceversa scarsa rilevanza pratica posto che il riferimento all'epoca al massimo edittale (e non al minimo) faceva si' che il nuovo istituto non potesse comunque trovare applicazione nelle fattispecie piu' importanti (dal punto di vista della frequenza) di circostanze attenuanti ad effetto speciale (ad es. non per la ricettazione ex art. 648 comma 2 del codice penale, ne' per la violenza sessuale di minore gravita' ex art. 609-bis ultimo comma del codice penale, ne' per la bancarotta fraudolenta attenuata ex art. 219 ultimo comma 1.fall. (3) Tale «ridimensionamento» non pare coerente con la ratio sottostante alla legge delega, che, come si e' visto, mirava viceversa a riaffermare la natura di extrema ratio della pena e a contenere il gravoso carico di contenzioso penale gravante sulla giurisdizione. Si pensi, per fare un esempio, al caso oggetto della sentenza Cass. Sez. 5, Sentenza n. 12823 del 2018, relativo al furto aggravato di una - una sola - melanzana, prelevata da un campo coltivato: soltanto la derubricazione da ultimo in tentativo consentiva - dopo lo svolgimento di piu' gradi di giudizio, nel corso di diversi anni, e il lavoro di plurimi magistrati, cancellieri, ecc. - l'applicazione del nuovo istituto ex art. 131-bis del codice penale, altrimenti all'epoca impossibile (per il furto aggravato ex art. 625 del codice penale e' prevista la pena massima di anni sei di reclusione). E' evidente come la rilevanza attribuita da parte del legislatore delegato alle circostanze aggravanti ad effetto speciale (unitamente all'impossibilita' di bilanciamento con l'attenuante ex art. 62 n. 4 del codice penale o con le attenuanti generiche) contraddicesse quella logica di ricorso minimo al diritto penale e di razionalizzazione del sistema giustizia che aveva ispirato la legge delega. Non a caso la vicenda del furto di melanzana attiro' l'attenzione non solo delle riviste giuridiche specializzate, ma anche dei principali quotidiani nazionali, non potendo l'opinione pubblica comprendere e accettare simili inefficienze. Si rilevi incidentalmente che, anche a seguito della modifica operata dal decreto legislativo n. 150/2022 (per effetto della quale si ha ora riguardo al minimo edittale e non piu' al massimo) il furto di una melanzana pluriaggravato (ad es. per l'esposizione alla pubblica fede e per la destrezza) non sarebbe suscettibile di applicazione della causa di non punibilita' in esame, con buona pace del principio de minimis non curat praetor. 2.11 D'altro canto il Governo, in sede di relazione illustrativa dello schema di decreto delegato, mostrava di muovere da un presupposto interpretativo che pare erroneo: «Lo schema di decreto delegato ha qui adottato un criterio gia' presente nella vigente legislazione, secondo il quale andranno considerate solo quelle circostanze che, comportando una specie di pena diversa od essendo "ad effetto speciale", rivelano una particolare "significativita'"), tale da essere in qualche modo accostabili - nelle valutazioni del legislatore - a sottospecie di fattispecie autonome» (punto 5 della relazione). In realta', come sottolineato dalla Corte di Cassazione a Sezioni Unite nella piu' volte citata sentenza n. 36272 del 31 marzo 2016, «ogni tentativo di ricercare una rigorosa e indefettibile coerenza del sistema in materia e' destinato all'insuccesso, in quanto i criteri per la selezione dei reati attraverso il riferimento alla quantita' di pena sono influenzati dagli istituti a cui si riferiscano e sono utilizzati, di volta in volta, in base a valutazioni discrezionali del legislatore» (punto 5.1 della decisione). In effetti, i criteri previsti dall'ordinamento sono i piu' vari e bisogna rilevare che - quanto meno con riguardo agli istituti sostanziali e processuali piu' importanti - il criterio previsto dalla norma qui censurata non e' mai contemplato: in materia di competenza, di attribuzione collegiale, di citazione diretta a giudizio e di intercettazioni, ai sensi degli articoli 4, 33-bis comma 2, 550 e 266 del codice penale rilevano le sole circostanze aggravanti autonome o ad effetto speciale (non le attenuanti quindi, per quanto autonome o ad effetto speciale), esclusa peraltro la recidiva pur qualificata; in materia di misure cautelari e di arresto, ai sensi degli articoli 278 e 379 del codice penale rilevano le sole circostanze (aggravanti o attenuanti) autonome o ad effetto speciale (esclusa peraltro la recidiva pur qualificata), ma anche l'aggravante ex art. 61 n. 5 del codice penale e l'attenuante ex art. 62 n. 4 del codice penale; in materia di prescrizione ai sensi dell'art. 157 del codice penale rilevano tutte le circostanze aggravanti autonome o ad effetto speciale, ivi compresa la recidiva qualificata (non viceversa le attenuanti); in materia di continuazione, per individuare il reato piu' grave da porre a base del calcolo della pena, occorre avere riguardo alla pena edittale prevista per ciascun reato in rapporto alle singole circostanze (tutte le circostanze) in cui la fattispecie si e' manifestata e all'eventuale giudizio di comparazione fra di esse (4) ; in materia di messa alla prova, come ritenuto dalle Sezioni Unite, assume rilievo la sola pena prevista per la fattispecie-base, non avendo viceversa rilievo le circostanze (di alcun tipo). La stessa relazione illustrativa inoltre riconosce che il criterio adottato non puo' «eliminare la possibile incongruenza che si presentera' tutte le volte in cui una di quelle circostanze, pur presente e come tale da considerare ai fini della determinazione dei limiti di pena, sarebbe pero' destinata a soccombere per la prevalenza di circostanze ad effetto comune di segno opposto». In realta', tale incongruenza - cui la scelta compiuta in sede di decreto legislativo da' effettivamente origine - avrebbe potuto essere evitata qualora il legislatore delegato si fosse attenuto rigorosamente al criterio indicato nella legge delega e cioe' se avesse attribuito rilevanza alla sola cornice edittale della fattispecie base (o se, in alternativa, avesse consentito di tenere conto del bilanciamento con le circostanze attenuanti ad effetto comune: cfr. infra). 2.12 Non pare possibile un'interpretazione conforme della norma censurata. In particolare, il dato letterale dell'art. 1, comma 2, decreto legislativo n. 28/2015 non sembra potersi interpretare in modo compatibile con il criterio fissato dall'art. 1, comma 1, lettera m) legge n. 67/2014, cosi' come sopra ricostruito. 2.13 Ad avviso di questo giudice dalla prospettata illegittimita' deriva l'illegittimita' in via consequenziale, ai sensi dell'art. 27 legge n. 87/1953, dell'art. 131-bis comma 4 del codice penale (nella formulazione originaria; comma 5 nella formulazione attuale) limitatamente alle parole «ad eccezione di quelle per le quali la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato e di quelle ad effetto speciale. In quest'ultimo caso ai fini dell'applicazione del primo comma non si tiene conto del giudizio di bilanciamento delle circostanze di cui all'art. 69». 2.14 Si deve ancora rilevare che, ove la questione proposta fosse accolta, per una pluralita' di fattispecie (in presenza di circostanze aggravanti ad effetto speciale, come nel presente procedimento) ne deriverebbe - in presenza degli altri presupposti - la possibile applicazione dell'art. 131-bis del codice penale; per altre ipotesi (in presenza di circostanze attenuanti ad effetto speciale) potrebbe derivarne un effetto sfavorevole all'autore del fatto, vale a dire l'esclusione dall'ambito applicativo della causa di non punibilita' in esame (ove il limite edittale della fattispecie base fosse superiore alla soglia di legge). Occorre pero' ricordare che, secondo la giurisprudenza della Corte Costituzionale, «gli eventuali effetti in malam parte»: di una decisione della Corte non precludono l'esame nel merito della normativa impugnata, fermo restando il divieto per la Corte (in virtu' della riserva di legge vigente in Materia penale, di cui all'art. 25 della Costituzione) di «configurare nuove norme penali» (sentenza n. 394 del 2006), siano esse incriminatrici o sanzionatorie. Quanto agli effetti sui singoli imputati, e' compito del giudice comune, quale interprete delle leggi, impedire che la dichiarazione di illegittimita' costituzionale vada a detrimento della loro posizione giuridica, tenendo conto dei principi in materia di successione di leggi penali nel tempo ex art. 2 del codice penale, che implica l'applicazione della norma penale piu' favorevole al reo (sentenza n. 32 del 2014). 3. Non manifesta infondatezza: la violazione dell'art. 3 della Costituzione. 3.1 In subordine, laddove si dovesse ritenere non fondata la questione relativa all'illegittimita' dell'art. 1 comma 2 decreto legislativo n. 28/2015, e' lo stesso art. 131-bis comma 4 del codice penale (nella formulazione originaria; comma 5 nella formulazione attuale), che - per la stessa disposizione ivi formulata - pare illegittimo per violazione dell'all'art. 3 della Costituzione, limitatamente alle parole «In quest'ultimo caso ai fini dell'applicazione del primo comma non si tiene conto del giudizio di bilanciamento delle circostanze di cui all'art. 69». Si ritiene cioe' che l'impossibilita' di tenere conto del bilanciamento delle eventuali circostanze attenuanti ad effetto comune con le eventuali circostanze aggravanti ad effetto speciale violi il canone della ragionevolezza (e' invece astrattamente consentito il bilanciamento delle aggravanti ad effetto speciale con le attenuanti ad effetto speciale, come riconosciuto anche dalla relazione ministeriale). 3.2 Come sottolineato piu' volte dalla Corte costituzionale, l'individuazione delle cause di non punibilita' e del relativo ambito applicativo rientra nell'ambito di discrezionalita' del legislatore. Cosi', tra le altre, la sentenza n. 30 del 2021: «le cause di non punibilita' costituiscono altrettante deroghe a norme penali generali, sicche' la loro estensione comporta strutturalmente un giudizio di ponderazione a soluzione aperta tra ragioni diverse e confliggenti, in primo luogo quelle che sorreggono da un lato la norma generale e dall'altro la norma derogatoria, giudizio che appartiene primariamente al legislatore (sentenze n. 156 del 2020, n. 140 del 2009 e n. 8 del 1996). Da tale premessa discende che le scelte del legislatore relative all'ampiezza applicativa della causa di non punibilita' di cui all'art. 131-bis del codice penale sono sindacabili soltanto per irragionevolezza manifesta (sentenze n. 156 del 2020 e n. 207 del 2017)». Ad avviso di chi scrive, la scelta di non tenere conto del bilanciamento con le eventuali circostanze attenuanti ad effetto comune e' per l'appunto manifestamente irragionevole. 3.3 Occorre in primo luogo considerare che le circostanze attenuanti ad effetto speciale rilevano ai fini della determinazione della pena per l'applicazione della causa di non punibilita' ex art. 131-bis del codice penale, sia autonomamente, sia nell'ambito del giudizio di bilanciamento con le eventuali circostanze aggravanti ad effetto speciale. Le circostanze attenuanti ad effetto speciale sono spesso nel nostro ordinamento circostanze cosiddette «indefinite o discrezionali», ricollegate alla tenuita' o lievita' o minore gravita' del fatto o del danno, senza che il legislatore abbia compiutamente precisato tali concetti. Le stesse «hanno la funzione di mitigare una risposta punitiva improntata a particolare rigore, che proprio per questo rischia di rivelarsi incapace di adattamento alla varieta' delle situazioni concrete riconducibili al modello legale» (cosi' la sentenza n. 207/2017). In altri termini, il legislatore - allorche' ha delineato fattispecie di particolare gravita' e quindi punite severamente - ha al tempo stesso previsto delle circostanze attenuanti speciali e ad effetto speciale per mitigare la risposta sanzionatoria per quei fatti che, pur astrattamente riconducibili alla fattispecie incriminata, risultassero di minore gravita'. Ma tale previsione e' per l'appunto spesso legata al fatto che per la fattispecie base sia stata prevista una cornice edittale ispirata a particolare rigore (si pensi alle ipotesi di attenuanti ad effetto speciale previste per i reati di ricettazione, violenza sessuale, bancarotta). Vi sono pero' altre figure criminose - e' il caso ad esempio del delitto ex art. 615-ter del codice penale o del furto - in cui per la fattispecie base e' prevista una risposta sanzionatoria mite o comunque non particolarmente severa, ma al tempo stesso sono delineate delle circostanze aggravanti ad effetto speciale in ragione delle quali i limiti edittali sono notevolmente aumentati. In tali casi, non vi era evidentemente alcun bisogno di individuare delle circostanze attenuanti ad effetto speciale che consentissero di mitigare la risposta sanzionatoria, essendo a tale scopo sufficiente il bilanciamento con una qualunque circostanza attenuante, anche ad effetto comune, eventualmente pure le circostanze attenuanti generiche. In siffatti casi, come evidenziato ad esempio dalla Corte costituzionale in tema di furto pluriaggravato, «con la nuova formulazione dell'art. 69 del codice penale, le aggravanti del furto possono essere neutralizzate anche dalle sole attenuanti generiche che, se del caso, il giudice puo' persino dichiarare prevalenti. La gravita' di questo delitto e' attualmente, percio', soltanto nell'astratta comminazione della pena, ma non lo e' piu' nella realta' dell'esperienza giuridica, come ben dimostra la casistica giudiziaria, ispirata ai nuovi principi costituzionali» (sentenza n. 268 del 1986, poi citata dalla sentenza n. 259 del 2021). 3.4 In tale quadro la scelta del legislatore di non tenere conto del bilanciamento con le circostanze attenuanti ad effetto comune comporta, paradossalmente, che la causa di non punibilita' e' ora applicabile a quei reati per i quali la fattispecie base sia contrassegnata da limiti edittali elevati ma per i quali sussista una circostanza attenuante ad effetto speciale, mentre la stessa causa di non punibilita' non e' applicabile a quei reati, connotati da una fattispecie base punita mitemente, ma per i quali la sussistenza di una circostanza ad effetto speciale elevi particolarmente i limiti edittali, pur quando il fatto risulti in concreto di particolare tenuita' e ricorrano delle attenuanti ad effetto comune. Esemplificando, la causa di non punibilita' ex art. 131-bis del codice penale risulta ora applicabile - a seguito delle modifiche apportate dal decreto legislativo n. 150/2022 - alla bancarotta fraudolenta patrimoniale attenuata ex art. 219, ultimo comma 1.fall. (art. 326, comma 3 codice della crisi d'impresa), per la quale il minimo edittale e' di un anno di reclusione, (5) mentre non e' applicabile al furto pluriaggravato (consumato) di una melanzana, per il quale il minimo e' di tre anni di reclusione, a nulla valendo al riguardo il riconoscimento dell'attenuante ex art. 62 n. 4 del codice penale in misura prevalente. Puo' trovare applicazione per la violenza sessuale attenuata ex art. 609-bis, ultimo comma del codice penale, per la quale il minimo edittale e' di due anni di reclusione, ma non per l'accesso abusivo ad un sistema informatico oggetto del presente procedimento, pur quando si riconoscano le circostanze attenuanti generiche in misura prevalente sulle ritenute aggravanti. 3.5 Lo stesso legislatore delegato si e' reso conto di tale anomalia allorche' - nella relazione illustrativa dello schema di decreto legislativo - ha segnalato che il criterio adottato non puo' eliminare «la possibile incongruenza che si presentera' tutte le volte in cui una di quelle circostanze, pur presente e come tale da considerare ai fini della determinazione dei limiti di pena, sarebbe pero' destinata a soccombere per la prevalenza di circostanze ad effetto comune di segno opposto». In proposito, il legislatore delegato ha ritenuto «di non poter intervenire su tale aspetto indubbiamente problematico ma costituente in verita' un nodo dell'intero sistema non affrontabile in questa sede». 3.6 In realta', l'anomalia avrebbe potuto risolversi attribuendo rilevanza al bilanciamento con le eventuali circostanze attenuanti, quand'anche ad effetto comune. D'altro canto, posto che secondo la Corte di Cassazione «Ai fini della configurabilita' della causa di esclusione della punibilita' per particolare tenuita' del fatto, prevista dall'art. 131-bis del codice penale, il giudizio sulla tenuita' richiede una valutazione complessa e congiunta di tutte le peculiarita' della fattispecie concreta, che tenga conto, ai sensi dell'art. 133, primo comma, del codice penale, delle modalita' della condotta, del grado di colpevolezza da esse desumibile e dell'entita' del danno o del pericolo» (Cass. Sez. U, Sentenza n. 13681 del 25 febbraio 2016 Rv. 266590 - 01, citata anche dalla Corte costituzionale nella sentenza 207/2017 e nelle sentenze successive concernenti l'art. 131-bis del codice penale), sarebbe stato coerente tenere conto - ai fini della determinazione della pena per l'individuazione dell'ambito di applicabilita' - di tutti gli elementi della fattispecie, ivi comprese le circostanze attenuanti ad effetto comune, quanto meno ai fini del bilanciamento con le eventuali circostanze aggravanti ad effetto speciale. 3.7 Tale soluzione pare ancor piu' necessaria a seguito delle modifiche apportate all'art. 131-bis comma 1 del codice penale dal decreto legislativo n. 150/2022, per effetto delle quali occorre ora avere riguardo al minimo edittale (non superiore a due anni di pena detentiva) e non piu' al massimo edittale (non superiore a cinque anni). Infatti, se occorre avere riguardo al minimo di pena applicabile, pare logico tenere conto anche di quelle circostanze attenuanti (pur ad effetto comune) che, per la loro pregnanza, neutralizzino le eventuali circostanze aggravanti ad effetto speciale. 3.8 Tornando al caso oggetto del presente procedimento, una volta riconosciute le circostanze attenuanti generiche in misura prevalente sulle contestate aggravanti e' applicabile la pena minima di quindici giorni di reclusione (ex art. 23 del codice penale posto che la fattispecie base di accesso abusivo ex art. 615-ter del codice penale non contempla un minimo). Pare allora illogico che per il citato reato - per il quale e' possibile l'irrogazione di una pena di quindici giorni, che evoca necessariamente in termini logici un'offensivita' minimale del fatto e «quindi l'eventualita' applicativa dell'esimente di particolare tenuita' del fatto» (Corte della costituzione n. 156 del 2020) - non sia applicabile la causa di non punibilita' in esame, che viceversa e' applicabile ad esempio per la violenza sessuale, per la quale - pur riconoscendo l'attenuante ad effetto speciale ex art. 609-bis ultimo comma del codice penale - la pena minima applicabile e' di anni due di reclusione (riconoscendo anche le attenuanti generiche la pena minima e' di anni uno e mesi quattro di reclusione). Lo stesso dicasi ove si raffronti il furto pluriaggravato ex art. 625 del codice penale (ad es. di una melanzana), per il quale la pena minima applicabile - ove si riconoscano le attenuanti generiche o l'attenuante ex art. 62 n. 4 del codice penale in misura prevalente sulle aggravanti ad effetto speciale - e' pari a mesi quattro di reclusione (o anche inferiore, riconoscendo piu' attenuanti), con i ben piu' gravi reati di usura o di tentata rapina. Per il primo non puo' trovare applicazione la causa di non punibilita' ex art. 131-bis del codice penale, applicabile invece per i secondi. 3.9 Anche sotto tale profilo non pare esservi spazio per un'interpretazione conforme della norma censurata, chiaro e univoco essendo il dato letterale. In particolare, per le ragioni gia' evidenziate, non pare possibile interpretare l'art. 131-bis del codice penale, quale vigente a seguito della sentenza Corte della Costituzione n. 156 del 2020, nel senso che la causa di non punibilita' della particolare tenuita' del fatto sia applicabile ai reati per i quali - solo a seguito del bilanciamento delle circostanze aggravanti ad effetto speciale con le circostanze attenuanti ad effetto comune - non e' previsto un minimo edittale di pena detentiva. (1) «Nei procedimenti relativi a reati puniti con la sola pena pecuniaria o con pena detentiva non superiore nel massimo a quattro anni, sola o congiunta con la pena pecuniaria, l'imputato puo' chiedere la sospensione del procedimento con messa alla prova. A tal fine non si tiene conto delle circostanze del reato, fatta eccezione delle circostanze per le quali la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato e di quelle ad effetto speciale.» (2) «Dopo l'art. 131 del codice penale e' inserito il seguente: «131-bis (Esclusione della procedibilita' per la particolare tenuita' del fatto). - Nelle contravvenzioni e nei delitti per i quali la legge stabilisce la pena della reclusione non superiore nel minimo a tre anni o la pena della multa, sola o congiunta alla predetta pena detentiva, non si procede quando per le modalita' della condotta, per l 'esiguita' del danno o del pericolo, per il grado della colpevolezza e per la sua occasionalita', il fatto e' di particolare tenuita'. Ai fini della determinazione della pena prevista nel comma precedente non si tiene conto delle circostanze, salvo che si tratti di circostanze attenuanti ad effetto speciale o per le quali la legge prevede una pena diversa da quella ordinaria del reato o ne determina la misura in modo indipendente. La disposizione prevista nel primo comma si applica anche quando la legge prevede la particolare la particolare tenuita' del fatto come circostanza attenuante». (3) Cfr. Sez. 3, Sentenza n. 35591 del 11 maggio 2016 Rv. 267647 - 01 («L'istituto della particolare tenuita' del fatto non e' applicabile al reato di violenza sessuale attenuato dalla minore gravita' del fatto. (In motivazione, la S.C. ha osservato che la pena massima edittale, una volta applicata la riduzione minima di un giorno di reclusione per la diminuente prevista dall'ultimo comma 609-bis del codice penale, e' ampiamente superiore al limite di cinque anni di reclusione previsto per l'applicazione della speciale causa di non punibilita' dall'art. 131-bis, stesso codice)») e Cass. Sez. 3, sentenza n. 35591 del 11 maggio 2016 Rv. 267647 - 01 ("L'istituto della particolare tenuita' del fatto non e' applicabile al reato di violenza sessuale attenuato dalla minore gravita' del fatto. (In motivazione, la S. C. ha osservato che la pena massima edittale, una volta applicata la riduzione minima di un giorno di reclusione per la diminuente prevista dall'ultimo comma dell'art. 609-bis del codice penale, e' ampiamente superiore al limite di cinque anni di reclusione previsto per l'applicazione della speciale causa di non punibilita' dall'art. 131-bis, stesso codice)»). (4) Cass. Sez. U, Sentenza n. 25939 del 28 febbraio 2013 Rv. 255347 (5) Ma anche all'usura, alla tentata rapina, alla tentata estorsione.