CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE 
                        prima sezione civile 
 
    Composta dagli Ill.mi signori magistrati: 
        Francesco Antonio Genovese, Presidente; 
        Laura Tricomi, consigliere; 
        Giulia Iofrida, Consigliere; 
        Antonio Pietro Lamorgese, consigliere; 
        Alberto Pazzi, consigliere-relatore; 
    Ha pronunciato la seguente ordinanza interlocutoria  sul  ricorso
iscritto  al  n.  5742/2022  R.G.  proposto  da   Sturchio   Armando,
elettivamente domiciliato in Caposele, via Caprio n.  12,  presso  lo
studio dell'avvocato Alfonso Sturchio, che lo rappresenta  e  difende
giusta procura speciale in calce al ricorso, ricorrente; 
    Contro Casale Luigi e Damiano Eliseo,  elettivamente  domiciliati
in Roma, via Astura n. 2/b,  presso  lo  studio  dell'avvocato  Maria
Ludovica De  Beaumont,  che  li  rappresenta  e  difende,  unitamente
all'avvocato Francesco  De  Beaumont,  giusta  procura  in  calce  al
controricorso, controricorrenti; 
    Nonche' contro Melillo Lorenzo, procura generale presso la  Corte
d'appello di Napoli e Comune di Caposele, intimati; 
    Avverso la sentenza della Corte d'appello di Napoli  n.  371/2022
depositata in data 1° febbraio 2022; 
    Udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 31 maggio
2023 dal consigliere Alberto Pazzi; 
    Rilevato che: 
        1. Il consiglio comunale di Caposele, con  deliberazione  del
16 luglio 2019, rigettava la richiesta presentata da Luigi Casale  ed
Eliseo Damiano perche' fosse revocata la nomina di  Armando  Sturchio
alla carica di vicesindaco, giudicando la  stessa  come  legittima  e
coerente con il disposto dell'art.  64  del  decreto  legislativo  18
agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle leggi  sull'ordinamento  degli
enti locali, di seguito, per brevita', T.U.E.L.), benche' lo Sturchio
fosse gia' stato sposato con Angela  Melillo,  sorella  del  sindaco,
dalla quale aveva divorziato il 18 ottobre 2016. 
        2. Il Tribunale di Avellino,  con  ordinanza  del  16  giugno
2020, respingeva il ricorso presentato Luigi Casale ed Eliseo Damiano
affinche' fosse dichiarata l'incompatibilita' di Armando  Sturchio  a
far parte della giunta  municipale  del  Comune  di  Caposele  e,  di
conseguenza, a rivestire la carica di vicesindaco  ed  assessore  del
medesimo comune, in ragione dell'esistenza di un vincolo di affinita'
con il sindaco. 
        3. La Corte d'appello di Napoli, a seguito  dell'impugnazione
presentata dai menzionati Casale e Damiano, riteneva, invece, che  la
chiara dizione letterale dell'art. 78 del codice civile  ricostruisse
il legame di affinita' come un rapporto che si instaura a seguito  di
un matrimonio valido e non cessa con la fine del  vincolo  coniugale,
ma solo nel caso in cui sia accertata l'invalidita' dell'atto. 
        Osservava  che  il  disposto  della  norma  non   era   stato
modificato ne' all'atto di introduzione della legge sul divorzio, ne'
in seguito, a dimostrazione del fatto che il vincolo di affinita' non
viene meno a seguito  della  cessazione  del  matrimonio  da  cui  e'
scaturito, tanto in caso di morte di uno dei  coniugi,  quanto  nelle
ipotesi di pronuncia  di  scioglimento  o  cessazione  degli  effetti
civili del matrimonio, casi in cui lo scioglimento  del  rapporto  di
coniugio interviene ex nunc. 
    Ravvisava, di conseguenza, l'incompatibilita' denunciata ex  art.
64 del T.U.E.L., conseguente al vincolo di affinita' esistente tra il
vicesindaco nominato, Armando Sturchio, e  Lorenzo  Melillo,  sindaco
del comune, perche' il primo, benche'  divorziato  dalla  sorella  di
Melillo, era comunque suo affine alla  luce  del  disposto  letterale
dell'art. 78 del codice civile. 
    Reputava,  inoltre,  che  la   questione   di   costituzionalita'
dell'art. 78 del codice civile, proposta in rapporto agli articoli 2,
3 e 51 della Costituzione, fosse manifestamente infondata perche' mal
posta, in quanto  l'accesso  agli  uffici  pubblici  e  alle  cariche
elettive  non  era  direttamente  inciso  dalla  norma  tacciata   di
incostituzionalita', contenente la mera definizione del  rapporto  di
affinita',  quanto  piuttosto  dall'art.  64  del  T.U.E.L.,  che  la
richiama senza porre alcuna eccezione. 
    Evidenziava, peraltro, che il  diritto  di  elettorato  attivo  e
passivo, valevole  senza  disuguaglianze  fra  i  cittadini,  ammette
restrizioni in presenza di situazioni peculiari e per motivi adeguati
e ragionevoli, finalizzati alla tutela di un interesse  generale,  in
un tendenziale bilanciamento fra tale diritto e le cause che  possono
motivatamente compromettere l'imparzialita' dell'organo. 
    4. Armando Sturchio ha proposto  ricorso  per  la  Cassazione  di
questa sentenza, pubblicata in data 1°  febbraio  2022,  prospettando
due motivi di doglianza, ai quali hanno resistito  con  controricorso
Luigi Casale ed Eliseo Damiano. 
    Gli intimati Lorenzo Melillo  e  Camune  di  Caposele  non  hanno
svolto difese. 
    La trattazione del  ricorso,  inizialmente  fissata  in  adunanza
camerale, e' stata poi rinviata alla pubblica udienza, in ragione del
rilievo nomofilattico delle questioni da esaminare. 
    Il Procuratore generale, nella persona del sostituto  dott.  Anna
Maria Soldi, ha depositato conclusioni scritte,  ex  art.  23,  comma
8-bis,  decreto-legge  n.  137/2020,  sollecitando  il  rigetto   del
ricorso. 
    Entrambe le parti hanno depositato memoria. 
    Considerato che: 
        5.1. Il primo motivo di ricorso, sotto la rubrica «violazione
dell'art.  360,  primo  comma,  n.  3,  codice  procedura  civile  in
relazione all'art. 78 del codice civile e  all'art.  64  del  decreto
legislativo n. 267/2000  -  violazione  e  falsa  applicazione  degli
articoli 78, del codice civile, 64 T.U.E.L.  e  art.  12  Preleggi  -
Cessazione dell'affinita' con la pronuncia di divorzio», sostiene che
l'art. 78 del codice civile non esclude affatto  che  il  vincolo  di
affinita'  cessi  con   la   pronuncia   di   divorzio,   limitandosi
semplicemente a chiarire che esso non cessa con la morte. 
    La pronuncia impugnata - in tesi - ha preferito  interpretare  la
norma in  maniera  strettamente  letterale,  come  se  fosse  slegata
dall'impianto   in   cui   inserita,   piuttosto   che    in    forma
logico-sistematica, attraverso la ricerca di un suo adeguamento  agli
istituti introdotti nell'ordinamento con la legge n. 898/1970, ove e'
prevista una nuova ipotesi di cessazione del vincolo matrimoniale. 
    In  questa  prospettiva  il   divorzio   e   la   nullita',   pur
differenziandosi rispetto alla decorrenza dei loro effetti,  hanno  -
sottolinea  il  ricorrente  -  un  importante  elemento  in   comune,
costituito  dal  fatto  che  in  entrambi   i   casi,   prima   della
dichiarazione  di  nullita'  del  matrimonio  o  della  pronuncia  di
divorzio, tra i coniugi si sono creati rapporti di affinita'  con  le
rispettive famiglie, cosicche' e' del tutto logico che tali  rapporti
cessino, sia de facto che de iure, in entrambi i casi. 
    Una conferma in questo senso verrebbe sia dall'art. 87, comma  1,
n. 4, del codice civile (che stabilisce, al pari di quanto avviene in
caso di nullita' del matrimonio, una  deroga  al  principio  generale
secondo cui la caducazione del vincolo di affinita' tra un coniuge  e
i parenti dell'altro viene meno in caso di scioglimento o  cessazione
degli  effetti  civili  del  matrimonio),  che,  con  ragionamento  a
contrario, dall'art. 87, comma 1, n. 5, codice civile  (il  quale,  a
differenza  dell'altra  menzionata  disposizione,  non   prevede   la
permanenza dell'impedimento dopo la pronuncia di divorzio). 
    La caducazione del vincolo di affinita' a  seguito  del  divorzio
trova la sua ragione - aggiunge il ricorrente -  nella  sua  origine,
che derivando da un atto volontario, quale il  matrimonio,  non  puo'
che venire  meno  quando  con  il  divorzio,  di  natura  altrettanto
volontaria,  si  rompe  il  vincolo  matrimoniale  e  i  rapporti  di
affinita' che da questi derivano. 
    Non sarebbe, invece, possibile porre in correlazione la morte  di
uno dei coniugi con il divorzio al fine di  escludere  la  cessazione
dell'affinita' in  relazione  al  divorzio,  in  quanto,  benche'  in
ambedue i casi lo scioglimento avvenga ex nunc, la morte  costituisce
un evento naturale, mentre il divorzio e' una situazione  determinata
dalla volonta' di  almeno  un  coniuge  di  far  cessare  il  vincolo
matrimoniale con l'altro. 
        5.2. Il secondo motivo di  ricorso  denuncia  la  «violazione
dell'art. 360, primo comma, n. 3,  codice  di  procedura  penale,  in
relazione all'art. 78 del codice civile e agli articoli  2,  3  e  51
Cost.»: la Corte di merito ha compiuto un errore di  valutazione  nel
ritenere  manifestamente  infondata  la  questione  di   legittimita'
costituzionale sollevata dall'appellato, che intendeva contestare non
la  legittimita'  dell'art.  64  del  T.U.E.L.,  volta   a   tutelare
l'imparzialita' della P.A., ma dell'art. 78 del  codice  civile,  nel
caso in cui la norma fosse interpretata nel senso di escludere che il
divorzio costituisca causa di cessazione del rapporto di affinita'. 
    Una simile interpretazione  comporta  -  in  tesi  -  un'evidente
disparita' di trattamento tra chi abbia  visto  cessare  gli  effetti
civili del matrimonio in conseguenza di una sentenza di  annullamento
e chi, invece, abbia ottenuto gli stessi effetti  in  virtu'  di  una
sentenza di divorzio, perche'  discrimina  in  base  alla  condizione
personale  del  soggetto  interessato  e  risulta,  di   conseguenza,
ostativa alla partecipazione di  costui  all'organizzazione  politica
del paese e all'accesso agli uffici pubblici e alle cariche  elettive
in condizioni di eguaglianza. 
    6. L'art. 64, comma 4, T.U.E.L.  prevede  che  «il  coniuge,  gli
ascendenti, i discendenti, i parenti e affini entro il  terzo  grado,
del sindaco o del presidente della giunta  provinciale,  non  possono
far parte della rispettiva giunta ne' essere nominati  rappresentanti
del comune e della provincia». 
    La norma, nel precludere  la  nomina  -  quali  componenti  della
giunta di comuni e province o come loro rappresentanti - del coniuge,
degli ascendenti, dei discendenti e degli affini entro il terzo grado
del sindaco o dei presidenti della giunta  provinciale,  intende  far
concreta applicazione del principio di imparzialita'  della  pubblica
amministrazione, previsto dall'art. 97 della Costituzione, e mira  ad
evitare  il  rischio,  anche  potenziale,  di  commistione  tra   gli
interessi  pubblici  dell'ente  territoriale,  che  il   sindaco   ha
l'obbligo di garantire, e gli interessi  privati  dei  suoi  prossimi
congiunti, al fine di assicurare, soprattutto nei confronti di  tutti
gli  amministrati,  l'obiettivita'  e  l'equanimita'   della   scelta
amministrativa discrezionale. 
    Il contenuto della disposizione, laddove evoca «il  coniuge,  gli
ascendenti, i discendenti, i parenti e affini entro il terzo  grado»,
non aggiunge  alcuna  ulteriore  e  specifica  indicazione  e  dunque
richiama, implicitamente, la disciplina generale  prevista  a  questo
proposito dall'ordinamento. 
    Pertanto, l'inclusione tra i soggetti non suscettibili di  nomina
degli affini funge da richiamo  alle  regole  in  tema  di  affinita'
previste  dall'art.  78  del  codice  civile,  il  cui  terzo   comma
stabilisce che «l'affinita' non  cessa  per  la  morte,  anche  senza
prole, del coniuge da  cui  deriva,  salvo  che  per  alcuni  effetti
specialmente determinati. Cessa se il matrimonio e' dichiarato nullo,
salvi gli effetti di cui all'art.  87,  n.  4».  Quest'ultima  norma,
volta  a  regolare  la  cessazione  dei  rapporti  di  affinita'   in
conseguenza di eventi che incidono  sul  rapporto  matrimoniale,  non
tiene in alcun conto la disciplina introdotta dalla legge n. 898/1970
(ne', d'altronde, poteva farlo, essendo rimasta inalterata dall'epoca
in cui entro' in vigore il codice  civile),  ma  regola  due  diverse
evenienze, la morte del coniuge da cui deriva l'affinita', prevedendo
che il vincolo non cessi e l'annullamento del matrimonio, stabilendo,
invece, che in questo caso il vincolo cessi. 
    Il legislatore non solo non e' mai intervenuto  a  modificare  la
norma  codicistica,  ma  ha  anche  introdotto   nel   T.U.E.L.   una
disposizione (nella sua attuale versione attraverso l'art.  7,  comma
1, lettera b-ter, del decreto-legge 29 marzo 2004, n. 80,  convertito
con modificazioni dalla legge 28 maggio 2004,  n.  140)  che,  seppur
adottata in epoca largamente posteriore all'approvazione della  legge
sul divorzio,  non  si  cura  di  considerare  le  conseguenze  della
dissoluzione del vincolo matrimoniale da cui  pure  l'affinita'  trae
origine e che, in qualche misura, ne dovrebbe subire le conseguenze. 
    L'implicito rinvio compiuto dall'art. 64, comma 4, T.U.E.L.  alle
regole generali, rimaste inalterate nel loro originario  assetto,  fa
si' che la disciplina in tema  di  incompatibilita'  a  rivestire  la
carica di assessore sia  priva  di  una  norma  che  regolamenti  gli
effetti dello scioglimento del matrimonio sul  vincolo  di  affinita'
che dal coniugio e' derivato. 
    In  mancanza  di  alcuna  espressa  regola  che   stabilisca   la
cessazione del vincolo in  una  simile  evenienza,  esso  sembrerebbe
dover  persistere,  inalterato,  anche  in  caso  di  scioglimento  o
cessazione degli effetti civili del matrimonio. 
    7. Questo collegio dubita che il disposto dell'art. 64, comma  4,
T.U.E.L., cosi' come integrato dall'art. 78, comma 3, codice civile -
la cui rilevanza deriva  dalla  diretta  conseguenza  sull'esito  del
giudizio che avrebbe il riconoscimento della persistenza del rapporto
di affinita' - sia coerente con una serie di precetti costituzionali,
perche' in contrasto con essi. 
    7.1. L'annullamento del matrimonio e  il  suo  scioglimento  sono
situazioni accomunate  da  un'evidente  vicinanza  sotto  il  profilo
effettuale, dato che in  entrambi  i  casi  interviene  un'iniziativa
giudiziale funzionale alla demolizione del vincolo matrimoniale. 
    Divorzio e annullamento costituiscono, allo stesso modo, un  atto
contrastante con la fonte del rapporto di affinita', per  quanto  uno
(il divorzio) incida  direttamente  sul  matrimonio  rapporto  mentre
l'altro   (l'annullamento)    colpisca    il    matrimonio    negozio
(direttamente) e il rapporto in via di ripercussione. 
    Sussiste, anche, un'evidente coincidenza  di  interessi,  poiche'
annullamento e divorzio si  fondano  su  un  interesse  contrario  al
protrarsi della vita coniugale. 
    Cio' nonostante, in caso di annullamento del matrimonio il  venir
meno del vincolo coniugale comporta la  cessazione  del  rapporto  di
affinita' e abilita  l'(oramai  ex)  affine  a  ricoprire  la  carica
pubblica. 
    Accesso  alla  carica  che,  invece,  precluso   all'affine   del
divorziato, il cui vincolo permane, benche' il rapporto coniugale  da
cui deriva sia parimenti venuto meno. 
    In questo modo situazioni analoghe rimangono regolate in  maniera
ingiustificatamente  dissimile,  in  violazione  del   principio   di
eguaglianza formale previsto dall'art. 3 Cost. 
    Infatti,  l'incisione  (diretta   o   indiretta)   sul   rapporto
matrimoniale giunge, allo  stesso  modo,  a  recidere  le  reciproche
ramificazioni e i complessi di diritti e  doveri  tra  le  parti  del
rapporto coniugale, senza alcuna apprezzabile  differenza;  cosicche'
eventuali labili differenze fra le cause di demolizione del  medesimo
rapporto matrimoniale perdono del tutto di significato in rapporto al
persistere delle relazioni di affinita' (specie  quando,  come  ormai
accade non di rado, i rapporti coniugali si succedano nel tempo e  le
relazioni di affinita' si sovrappongano in una rete di  status  assai
ampia ma proprio percio' sbiadita). 
    7.2.  Questa  ingiustificata  diversita'  di   trattamento   pare
costituire anche una violazione degli articoli 2 e 51 Cost. 
    Infatti, il combinato disposto delle norme in discorso  impedisce
all'affine,  il  cui  rapporto  sia   determinato   da   un   vincolo
matrimoniale oramai sciolto  o  cessato,  di  esercitare  il  proprio
diritto  di  accedere  a  un  ufficio  pubblico  in   condizioni   di
eguaglianza nonostante che il diritto di elettorato  passivo  rientri
fra quelli inviolabili riconosciuti dall'art. 2 Cost. e possa  subire
restrizioni soltanto nei limiti strettamente necessari alla tutela di
altro interesse costituzionalmente protetto e secondo la regola della
necessita'  e  della   ragionevole   proporzionalita'   (cfr.   Corte
costituzionale n. 141/1996). 
    Peraltro, se ben vero che  l'art.  51  Cost.  puo'  subire  delle
compressioni al fine di  assicurare  l'imparzialita'  della  pubblica
amministrazione, queste ragioni di limitazione devono individuarsi in
termini coincidenti per categorie analoghe; non pare quindi possibile
dubitare,  in  un  caso  ma  non  nell'altro,  dell'imparzialita'  di
soggetti che si trovino in situazioni sostanzialmente identiche. 
    7.3. D'altra parte, risulta fuori da ogni logica di sistema e  di
corrispondenza alla realta' sociale ipotizzare l'esistenza di «affini
del divorziato», come  se  si  potesse  predicare  il  perdurare,  ad
libitum e in termini indissolubili, di una relazione  che  scaturisce
da un rapporto che, secondo l'ordinamento, ha natura dissolubile. 
    Per dirla nei termini gia' evidenziati da  attenta  dottrina  fin
dagli anni settanta del secolo scorso, se  il  vincolo  di  affinita'
costituisce la proiezione sociale del matrimonio, appare senza  senso
voler  conservare,  oltre  la  distruzione  del  rapporto  di   base,
quell'affinita'  che  trova  il  suo   significato   soltanto   nella
proiezione di tale rapporto originario. 
    In questo  modo  si  finirebbe  per  sostenere  che  il  divorzio
comporta  il  venir  meno  del  rapporto   coniugale   fra   i   suoi
protagonisti, ma lascia inalterato il  suo  riflesso  sui  rispettivi
parenti (o se si preferisce, che permane un vincolo quando e'  oramai
definitivamente cessato il  rapporto  matrimoniale  che  vi  ha  dato
causa), con la conseguenza che tutti gli effetti (sia attributivi che
preclusivi) che gli affini condividono con gli sposi  restano  per  i
parenti del coniuge, pur venendo meno per quest'ultimo. 
    Cosicche', nel caso di specie, al sindaco sarebbe stato possibile
nominare in giunta la propria ex moglie, con la quale il rapporto  di
coniugio era definitivamente cessato, ma, paradossalmente, non il  di
lei fratello. 
    Pensare che si possa parlare di ex moglie e non di ex cognato  e'
un'interpretazione  che  mal  si  concilia,  all'evidenza,   con   il
principio di ragionevolezza presidiato dall'art. 3 Cost. 
    8. Questo collegio ritiene che  la  questione  non  possa  essere
risolta attraverso  un'operazione  interpretativa  costituzionalmente
orientata della normativa da applicare e, nello specifico,  dell'art.
78, comma 3, del codice civile, a cui l'art. 64, comma 4, T.U.E.L. fa
implicito richiamo. Le tesi seguite dal tribunale e  dalla  corte  di
merito nel caso di specie corrispondono alle opposte teorie  che,  in
dottrina come in giurisprudenza,  si  sono  confrontate  al  fine  di
stabilire a quale delle  due  ipotesi  espressamente  regolate  dalla
norma debba essere avvicinata, in termini analogici,  la  fattispecie
del divorzio; nell'ambito di questa  disputa  e'  stato  ritenuto  da
alcuni  (v.  Cassazione  2848/1978)  che  il  divorzio  debba  essere
accostato alla morte, stante il  loro  comune  effetto  ex  tunc  sul
vincolo  matrimoniale,  al  fine  di  trarne   la   convinzione   che
l'affinita' perdura anche dopo il divorzio del parente, da altri  (v.
Tribunale di Grosseto 9 ottobre 2003, Tribunale di Milano  19  luglio
2019)  che  il  divorzio   sia   accomunato   «all'annullamento   del
matrimonio» in ragione della loro coincidente volonta' disgregatrice,
dovendosi da cio' arguire che l'affinita' cessa con il venir meno del
matrimonio. 
    Entrambe le operazioni ermeneutiche rispetto  alle  quali  questa
Corte e' chiamata ad  esprimersi,  esercitando  la  propria  funzione
nomofilattica, si fondano, tuttavia, su un ragionamento in termini di
analogia,  come  si  addice  alle  lacune  normative,  che  ha   come
riferimento il testo  di  una  norma  scritta  quando  l'ipotesi  non
regolata   non   esisteva   e   lasciata   inalterata    a    seguito
dell'introduzione della legge sul divorzio. 
    Si tratterebbe, cosi', di intervenire, attraverso un ragionamento
analogico, per aggiornare una  norma  piuttosto  che  per  stabilire,
sulla base delle sue regole (pensate rispetto a un  quadro  normativo
del tutto diverso), quale sia la disciplina per  la  fattispecie  non
prevista. Un simile  intervento  avrebbe  percio'  natura  non  tanto
interpretativa, ma integrativa della lacuna normativa (o creativa) ed
essa non rientra nella funzione  che  l'art.  65,  regio  decreto  n.
12/1941 attribuisce a questa Corte. 
    9. In conclusione questa Corte: 
        ritiene rilevante e non manifestamente infondata la questione
di legittimita' costituzionale, in riferimento agli articoli 2,  3  e
51 Cost., dell'art. 78, comma 3, del  codice  civile,  implicitamente
richiamato dall'art. 64,  comma  4,  T.U.E.L.,  nella  parte  in  cui
stabilisce che «l'affinita' non  cessa  per  la  morte,  anche  senza
prole, del coniuge da  cui  deriva,  salvo  che  per  alcuni  effetti
specialmente determinati. Cessa se il matrimonio e' dichiarato nullo,
salvi gli effetti di cui all'art. 87, n. 4», cosi' prevedendo che  il
vincolo di affinita' permanga per il parente del coniuge  divorziato,
malgrado il rapporto  di  coniugio  da  cui  tale  vincolo  e'  stato
determinato sia oramai  sciolto  e  impedendo  la  partecipazione  di
quest'ultimo alla giunta municipale  a  seguito  di  designazione  ad
opera dell'ex coniuge di un parente; 
        sospende il presente giudizio; 
        ordina che, a cura della cancelleria, la  presente  ordinanza
sia notificata alle parti del giudizio  di  cassazione,  al  pubblico
ministero presso questa Corte ed  al  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
        ordina, altresi', che la presente ordinanza venga  comunicata
dal cancelliere ai Presidenti delle due Camere del Parlamento; 
        dispone  l'immediata  trasmissione  degli  atti,  comprensivi
della documentazione attestante il perfezionamento  delle  prescritte
notificazioni e comunicazioni, alla Corte costituzionale.