TRIBUNALE DI FIRENZE Prima Sezione penale Il Giudice, dott. Franco Attina', nel procedimento sopra indicato a carico di H. S., nato in ... i1 ... (C.U. ...); difeso di fiducia dall'avv. Niccolo' Lombardi Sernesi del Foro di Firenze (nomina depositata all'udienza dinanzi al giudice di pace del 15 novembre 2021); notifiche presso il difensore ex art. 161, comma 4 codice di procedura penale (nel verbale del 16 luglio 2019 non era in grado di eleggere un domicilio); ammesso al Patrocinio a spese dello Stato (provvedimento del giudice di pace del 10 gennaio 2023; istanza dep. 3 dicembre 2021); imputato del seguente reato: art. 10-bis decreto legislativo 25 luglio 1998 n. 286 (come inserito dall'art. 1, comma 16, lettera a), legge 15 luglio 2009, n. 94) perche' faceva ingresso nel territorio dello Stato in violazione delle norme contenute nel testo unico citato. In ... accertato il ... sentite le parti; premesso che: con decreto del pubblico ministero emesso il 23 marzo 2020 H. S. - cittadino tunisino - era citato dinanzi al giudice di pace di Firenze per rispondere del reato ex art. 10-bis decreto legislativo n. 286/1998, in ipotesi commesso entrando nel territorio dello Stato italiano in violazione delle norme di cui al decreto legislativo n. 286/1998 (reato accertato il ...); all'esito del processo di primo grado il giudice di pace di Firenze con sentenza n. 1299/2022 del 14 novembre 2022 (dep. il 29 novembre 2022) condannava l'imputato alla pena di euro ... di ammenda; ai sensi degli articoli 62-bis decreto legislativo n. 274/2000 e 16 decreto legislativo n. 286/1998 il giudice di pace disponeva «la sostituzione della pena inflitta con la misura dell'espulsione immediata dal territorio nazionale, per un periodo non inferiore ad anni 5»; avverso detta sentenza proponeva appello in data 22 dicembre 2022 il difensore dell'imputato: senza contestare il giudizio di responsabilita' dell'imputato, con un unico motivo lamentava che il giudice di pace avesse disposto la citata sostituzione dell'ammenda con l'espulsione dal territorio nazionale senza motivare in alcun modo circa la sussistenza di un pericolo di fuga dell'imputato, condizione indefettibile per la citata sostituzione secondo la direttiva UE 2008/115 e la giurisprudenza di legittimita'; chiedeva quindi che, in riforma della pronuncia di primo grado, il Tribunale applicasse unicamente la pena pecuniaria, eliminando la sanzione sostitutiva dell'espulsione; all'udienza odierna le parti illustravano le rispettive conclusioni: il pubblico ministero chiedeva la conferma della sentenza di primo grado; il difensore si riportava ai motivi di appello. Rilevato che: l'appello proposto dal difensore dell'imputato e' ammissibile; in particolare, come sottolineato dallo stesso difensore, la giurisprudenza di legittimita' ha chiarito che «La sentenza di condanna emessa del giudice di pace in relazione al reato di ingresso e soggiorno illegale dello straniero nel territorio dello Stato con applicazione della misura dell'espulsione a titolo di sanzione sostitutiva della pena pecuniaria e' appellabile e non ricorribile per cassazione» (Cass. Sez. 1, sentenza n. 49871 del 28 ottobre 2015 Rv. 265417-01); come ricostruito nella sentenza di primo grado, l'imputato si e' reso responsabile del reato ascritto; ai fini della pronuncia in questa sede nei confronti dell'imputato pare necessario il pronunciamento della Corte Costituzionale in ordine alla legittimita' costituzionale - per violazione dell'art. 76 Cost. - dell'art. 1, comma 4, decreto legislativo n. 8/2016 nella parte in cui prevede che la disposizione del comma 1 dello stesso art. 1, decreto legislativo n. 8/2016 non si applichi ai reati di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286; in subordine, dell'art. 1 decreto legislativo n. 7/2016 nella parte in cui non prevede l'abrogazione, trasformandolo in illecito amministrativo, del reato previsto dall'art. 10-bis, decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, e conseguentemente dell'art. 10-bis decreto decreto legislativo n. 286/1998 nella parte in cui prevede la pena dell'ammenda da 5.000 a 10.000 euro anziche' la sanzione amministrativa da 5.000 a 10.000 euro. Cio' premesso; Osserva 1. Il procedimento a quo. La rilevanza delle questioni. 1.1 L'imputato e' accusato del reato ex art. 10-bis decreto legislativo n. 286/1998 per avere fatto ingresso nel territorio dello Stato italiano in violazione delle norme di cui al decreto legislativo n. 286/1998 (reato accertato il ...). 1.2 Nel corso del giudizio di primo grado era accertata la responsabilita' dell'imputato per il reato di ingresso nel territorio dello Stato in violazione delle norme di cui al decreto legislativo n. 286/1998: sottoposto ad un controllo in strada a ... in data ... , egli risultava privo di documenti identificativi; i successivi accertamenti da parte della polizia giudiziaria evidenziavano come lo stesso fosse privo di titolo per l'ingresso e la permanenza sul territorio italiano; come affermato dalla giurisprudenza di legittimita', «Ai fini della configurabilita' del reato di ingresso illegale nel territorio dello Stato e' sufficiente fornire la dimostrazione che il cittadino extracomunitario sia sprovvisto di un titolo legittimante l'ingresso o soggiorno, ovvero che questo non sia in grado di allegare detta documentazione» (cosi' Cassazione sez. 1 - sentenza n. 1405 del 26 novembre 2019 Rv. 277920 - 01; nello stesso senso anche Cassazione sez. I, sentenza n. 31998 del 17 maggio 2013 Rv. 256503 - 01); «Dunque, per non incorrere nell'affermazione di responsabilita' penale, incombe sul soggetto extracomunitario l'onere di dimostrare l'esistenza di un titolo di ingresso o soggiorno legittimante il suo ingresso o la sua permanenza nello Stato» (cosi' Cassazione sez. 7, ordinanza n. 46354 del 2022). Alla luce di quanto precede e' evidente la responsabilita' dell'imputato per il fatto ascritto, responsabilita' che d'altronde non e' contestata neppure nell'atto di appello (che censura solo il profilo della sostituzione dell'ammenda con l'espulsione dal territorio nazionale), per cui si dovrebbe confermare sul punto la condanna pronunciata in primo grado. Di qui la rilevanza della questione circa la natura di reato o piuttosto di illecito amministrativo del fatto in contestazione. 1.3 Con la questione qui sollevata in via principale si chiede alla Corte costituzionale di dichiarare l'illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 4, decreto legislativo n. 8/2016 nella parte in cui prevede che la disposizione del comma 1 dello stesso art. 1 decreto legislativo n. 8/2016 non si applichi ai reati di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286. Ove la questione fosse accolta, la norma dell'art. 1, comma 1, decreto legislativo n. 8/2016 - secondo cui «Non costituiscono reato e sono soggette alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma di denaro tutte le violazioni per le quali e' prevista la sola pena della multa o dell'ammenda» - troverebbe quindi applicazione anche ai reati di cui al decreto legislativo n. 286/1998 e in particolare al fatto ora in contestazione di cui all'art. 10-bis decreto legislativo n. 286/1998. La sanzione per l'illecito di ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato verrebbe quindi ad essere disciplinata dall'art. 1, comma 5, decreto legislativo n. 8/2016 secondo cui «La sanzione amministrativa pecuniaria, di cui al primo comma, e' cosi' determinata: a) da euro 5.000 a euro 10.000 per i reati puniti con la multa o l'ammenda non superiore nel massimo a euro 5.000; b) da euro 5.000 a euro 30.000 per i reati puniti con la multa o l'ammenda non superiore nel massimo a euro 20.000; c) da euro 10.000 a euro 50.000 per i reati puniti con la multa o l'ammenda superiore nel massimo a euro 20.000». In definitiva, ove la questione fosse accolta, questo giudice dovrebbe ai sensi dell'art. 9 decreto legislativo n. 8/2016, in riforma della sentenza di primo grado, pronunciare sentenza di assoluzione perche' il fatto non e' piu' previsto dalla legge come reato e disporre la trasmissione degli atti all'autorita' amministrativa competente. E' bene osservare che la depenalizzazione del reato sarebbe rilevabile dal giudice anche d'ufficio. Il principio e' affermato in modo costante dalla giurisprudenza di legittimita' (cfr. Cassazione sez. 5, sentenza n. 1787 del 22 settembre 2016 Rv. 268753-01, Cassazione sez. 5, sentenza n. 27821 del 19 aprile 2017 Rv. 270378 - 01, Cassazione sez. 5, sentenza n. 39764 del 29 maggio 2017 Rv. 271850 - 01; Cassazione sez. 5, sentenza n. 21923 del 3 aprile 2018 Ud. Rv. 273191 - 01; Cassazione sez. 2 - , sentenza n. 48552 del 10 settembre 2018 Rv. 274241 - 01), al cui interno le pronunzie si distinguono solo con riguardo alla rilevabilita' o meno anche nel caso di inammissibilita' dell'impugnazione per alcune specifiche cause: pare preferibile l'orientamento secondo cui «L'inammissibilita' del ricorso per cassazione per qualunque causa verificatasi non impedisce la possibilita' di dichiarare la depenalizzazione del reato nel frattempo intervenuta» (in questo senso, tra le altre, Cassazione sez. 5, sentenza n. 1787 del 22 settembre 2016 Rv. 268753 - 01, relativa proprio ad un reato depenalizzato dal decreto legislativo n. 8/2016); in ogni caso, nel presente procedimento detta distinzione non rileva posto che non ricorrono cause d'inammissibilita' dell'appello. Spetterebbe poi all'autorita' amministrativa il compito di dare attuazione al disposto - ispirato al principio di legalita', considerata la natura comunque punitiva dell'illecito amministrativo - di cui all'art. 8, comma 3, decreto legislativo n. 8/2016 secondo cui «Ai fatti commessi prima della data di entrata in vigore del presente decreto non puo' essere applicata una sanzione amministrativa pecuniaria per un importo superiore al massimo della pena originariamente inflitta per il reato, tenuto conto del criterio di ragguaglio di cui all'art. 135 del codice penale». 1.4 Ad analogo esito questo giudice dovrebbe giungere qualora fosse accolta la questione sollevata in via subordinata, con la quale si chiede alla Corte costituzionale di dichiarare l'illegittimita' costituzionale dell'art. l decreto legislativo n. 7/2016 nella parte in cui non prevede l'abrogazione, trasformandolo in illecito amministrativo, del reato previsto dall'art. 10-bis decreto legislativo n. 25 luglio 1998, n. 286. Ove detta questione fosse accolta, questo giudice, in riforma della pronuncia di primo grado, dovrebbe pronunciare sentenza di assoluzione perche' il fatto non e' previsto dalla legge come reato. L'applicazione della sanzione amministrativa non rientrerebbe nella competenza di questo giudice, per cui l'entita' della sanzione non e' strettamente rilevante ai fini del presente processo (si ritiene comunque che la previsione piu' ragionevole - in assenza di altri parametri di riferimento nell'ambito del decreto legislativo n. 7/2016 - sarebbe quella di una sanzione amministrativa pecuniaria compresa tra euro 5.000 ed euro 10.000). 2. Non manifesta infondatezza: la violazione dell'art. 76 Cost. 2.0 Questo giudice sospetta dell'illegittimita' costituzionale, per violazione dell'art. 76 Cost., dell'art. 1 comma 4 decreto legislativo n. 8/2016 nella parte in cui prevede che la disposizione dell'art. l, comma 1, decreto legislativo n. 8/2016 non si applichi ai reati di cui al decreto legislativo n. 286/1998, nonche' dell'art. 1 decreto legislativo n. 7/2016 nella parte in cui non prevede l'abrogazione, trasformandolo in illecito amministrativo, del reato previsto dall'art. 10-bis decreto legislativo n. 286/1998. Le due questioni presentano significativi profili di analogia; quindi - per quanto sollevate la prima in via principale, la seconda in via subordinata - verranno trattate congiuntamente nell'ambito del presente paragrafo. Occorre infine premettere che una questione per certi versi simile e' stata sollevata dal giudice di pace di Macerata con ordinanza del 5 dicembre 2017, ma la stessa e' stata dichiarata manifestamente inammissibile con ordinanza della Corte costituzionale n. 64 del 2019 per vizi inerenti alla descrizione della fattispecie concreta e alla motivazione circa la rilevanza; lo scrutinio del merito della questione e' risultato quindi precluso alla Corte. 2.1 La legge 28 aprile 2014 n. 67 - nell'ambito di una piu' ampia riforma ispirata ad una logica di ricorso minimo al diritto penale e di razionalizzazione del sistema giustizia - all'art. 2 comma 1 delegava il Governo «ad adottare, entro i termini e con le procedure di cui ai commi 4 e 5, uno o piu' decreti legislativi per la riforma della disciplina sanzionatoria dei reati e per la contestuale introduzione di sanzioni amministrative e civili, in ordine alle fattispecie e secondo i principi e criteri direttivi specificati nei commi 2 e 3». I successivi comma 2 e 3 delineavano poi differenti principi e criteri direttivi in relazione alla riforma della disciplina sanzionatoria delle fattispecie previste nell'ambito dei due singoli commi sopra specificati. 2.2 In particolare l'art. 2 comma 2 cosi' recitava: «La riforma della disciplina sanzionatoria nelle fattispecie di cui al presente comma e' ispirata ai seguenti principi e criteri direttivi: a) trasformare in illeciti amministrativi tutti i reati per i quali e' prevista la sola pena della multa o dell'ammenda, ad eccezione delle seguenti materie: 1) edilizia e urbanistica; 2) ambiente, territorio e paesaggio; 3) alimenti e bevande; 4) salute e sicurezza nei luoghi di lavoro; 5) sicurezza pubblica; 6) giochi d'azzardo e scommesse; 7) armi ed esplosivi; 8) elezioni e finanziamento ai partiti; 9) proprieta' intellettuale e industriale; b) [...]; c) [...]; d) [...]; e) prevedere, per i reati trasformati in illeciti amministrativi, sanzioni adeguate e proporzionate alla gravita' della violazione, alla reiterazione dell'illecito, all'opera svolta dall'agente per l'eliminazione o attenuazione delle sue conseguenze, nonche' alla personalita' dello stesso e alle sue condizioni economiche; prevedere come sanzione principale il pagamento di una somma compresa tra un minimo di euro 5.000 ed un massimo di euro 50.000; prevedere, nelle ipotesi di cui alle lettere b) e d), l'applicazione di eventuali sanzioni amministrative accessorie consistenti nella sospensione di facolta' e diritti derivanti da provvedimenti dell'amministrazione; f) indicare, per i reati trasformati in illeciti amministrativi, quale sia l'autorita' competente ad irrogare le sanzioni di cui alla lettera e), nel rispetto dei criteri di riparto indicati nell'art. 17 della legge 24 novembre 1981, n. 689; g) prevedere, per i casi in cui venga irrogata la sola sanzione pecuniaria, la possibilita' di estinguere il procedimento mediante il pagamento, anche rateizzato, di un importo pari alla meta' della stessa». 2.3 Il successivo comma 3 dell'art. 2 (legge n. 67/2014) cosi' recitava: «La riforma della disciplina sanzionatoria nelle fattispecie di cui al presente comma e' ispirata ai seguenti principi e criteri direttivi: a) abrogare i reati previsti dalle seguenti disposizioni del codice penale [...]; b) abrogare, trasformandolo in illecito amministrativo, il reato previsto dall'art. 10-bis del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, conservando rilievo penale alle condotte di violazione dei provvedimenti amministrativi adottati in materia; c) fermo il diritto al risarcimento del danno, istituire adeguate sanzioni pecuniarie civili in relazione ai reati di cui alla lettera a); d) prevedere una sanzione pecuniaria civile che, fermo restando il suo carattere aggiuntivo rispetto al diritto al risarcimento del danno dell'offeso, indichi tassativamente: 1) le condotte alle quali si applica; 2) l'importo minimo e massimo della sanzione; 3) l'autorita' competente ad irrogarla; e) prevedere che le sanzioni pecuniarie civili relative alle condotte di cui alla lettera a) siano proporzionate alla gravita' della violazione, alla reiterazione dell'illecito, all'arricchimento del soggetto responsabile, all'opera svolta dall'agente per l'eliminazione o attenuazione delle sue conseguenze, nonche' alla personalita' dello stesso e alle sue condizioni economiche». 2.4 In definitiva, sia il secondo comma sia il terzo comma dell'art. 2, legge n. 67/2014 prevedevano - con tecniche diverse - che il legislatore delegato depenalizzasse il reato ex art. 10-bis decreto legislativo n. 286/1998: l'art. 2 comma 2 prevedendo alla lettera a) in via generale la trasformazione in illeciti amministrativi di tutti i reati per i quali era prevista la sola pena pecuniaria (per il reato ex art. 10-bis decreto legislativo n. 286/1998 e' prevista la sola pena dell'ammenda da 5.000 euro a 10.000 euro) e facendo salve alcune materie tra le quali non e' compresa quella dell'immigrazione; l'art. 2 comma 3 prevedendo espressamente alla lettera b) l'abrogazione, con trasformazione in illecito amministrativo, del reato previsto dall'art. 10-bis decreto legislativo n. 286/1998, conservando viceversa rilievo penale alle condotte di violazione dei provvedimenti amministrativi adottati in materia. 2.5 Il Governo disattendeva i citati principi direttivi tanto nel decreto legislativo n. 8/2016, con cui dava attuazione alla delega di cui all'art. 2 legge n. 67/2014 con riguardo al citato comma 2, quanto nel decreto legislativo n. 7/2016, con cui viceversa dava attuazione alla delega in relazione all'art. 2, comma 3. 2.5.1 In particolare il decreto legislativo n. 8/2016 all'art. 1 comma 1, ricalcando il testo dell'art. 2, comma 2, lettera a), legge n. 67/2014, prevedeva che «Non costituiscono reato e sono soggette alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma di denaro tutte le violazioni per le quali e' prevista la sola pena della multa o dell'ammenda». Lo stesso art. 1 al successivo comma 3 escludeva dall'ambito applicativo della citata depenalizzazione i reati previsti dal codice penale (in ossequio a quanto previsto dall'art. 2, comma 2, lettera a, legge n. 67/2014 e fatto salvo quanto poi previsto dal successivo art. 2 decreto legislativo n. 8/2016) e i reati compresi nell'elenco allegato allo stesso decreto legislativo (di cui alle materie oggetto di espressa eccezione da parte dell'art. 2, comma 2, lettera a, legge n. 67/2014: edilizia e urbanistica; ambiente, territorio e paesaggio; alimenti e bevande; salute e sicurezza nei luoghi di lavoro; sicurezza pubblica; giochi d'azzardo e scommesse; armi ed esplosivi; elezioni e finanziamento ai partiti; proprieta' intellettuale e industriale). Il successivo quarto comma dell'art. 1 decreto legislativo n. 8/2016 introduceva un ulteriore eccezione all'ambito applicativo della depenalizzazione: «La disposizione del comma 1 non si applica ai reati di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998 n. 286». A differenza di quelle previste al precedente comma 3 si tratta pero' di un'eccezione che non era contemplata nella legge delega e che anzi - come si vedra' - contraddice il percorso dei lavori parlamentari che avevano condotto all'approvazione della legge n. 67/2014. La relazione di accompagnamento alle Camere, per l'espressione del previsto parere, dello schema di decreto legislativo (Atto di Governo n. 245) cosi' motivava la scelta di non procedere alla depenalizzazione del reato ex art. 10-bis decreto legislativo n. 286/1998 (e di due ulteriori reati): «le ragioni politiche sottese alla scelta di non attuare le direttive di depenalizzazione in riguardo ai sopra menzionati reati sono di agevole comprensione: si tratta di fattispecie che intervengono su materia "sensibile" per gli interessi coinvolti, in cui lo strumento penale appare come indispensabile per la migliore regolazione del conflitto con l'ordinamento innescato dalla commissione della violazione». Considerazioni simili erano poi svolte nella relazione illustrativa del decreto legislativo n. 8/2016. 2.5.2 Analogamente il decreto legislativo n. 7/2016 - pur dando attuazione alla delega con riguardo alle previsioni dell'art. 2, comma 3, legge n. 67/2014 nel cui ambito alla lettera b) era prevista espressamente tra i principi e criteri direttivi l'abrogazione con trasformazione in illecito amministrativo, del reato ex art. 10-bis decreto legislativo n. 286/1998 - ometteva ogni riferimento a tale reato. 2.6 Ad avviso di chi scrive il Governo in entrambi i decreti legislativi ha violato i principi e criteri direttivi fissati dalla legge delega: nel decreto legislativo n. 8/2016 con riguardo all'art. 2, comma 2, lettera a), legge n. 67/2014 e nel decreto legislativo n. 7/2016 con riguardo all'art. 2, comma 3, lettera b), legge n. 67/2014. 2.7 Il Legislatore delegato nella citata relazione di accompagnamento dello schema di decreto legislativo (che sarebbe diventato il decreto legislativo n. 8/2016) nella dichiarata consapevolezza dei possibili dubbi di illegittimita' costituzionale ha cercato di fugarli sostenendo che «ciascuna previsione di depenalizzazione ha autonomia strutturale rispetto all'intero contesto di prescrizioni impartite al legislatore delegato. Questi, pertanto, nel momento in cui ritiene di svolgere una precisa opzione di opportunita' politica, non esercitando la delega in riguardo ad uno o piu' dei reati oggetto delle previsioni di depenalizzazione, da' luogo ad un parziale recepimento della stessa, per esercizio frazionato del potere devolutogli che non intacca la conformita' alle direttive nella parte in cui, invece, la delega e' attuata». La Commissione giustizia della Camera, nel formulare il proprio parere sullo schema di decreto legislativo, condivideva l'assunto secondo cui si sarebbe trattato non di violazione dei principi di delega, bensi' di mancato esercizio della delega su uno specifico punto; esprimeva comunque parere favorevole a condizione che fosse trasformato in illecito amministrativo il reato previsto dall'art. 10-bis decreto legislativo n. 286/1998, secondo quanto previsto dalla legge delega. Il decreto legislativo n. 8/2016, come si e' gia' sottolineato, non procedeva comunque alla citata depenalizzazione (1) 2.8 La tesi sostenuta dal Legislatore delegato non pare persuasiva. Nel caso in esame, infatti, non viene in rilievo un mancato esercizio della delega ne' un esercizio solo parziale della stessa, cio' che «non comporta di per se' violazione degli articoli 76 e 77 della Costituzione (sentenze n. 218 del 1987 e n. 41 del 1975), salvo che cio' non determini uno stravolgimento della legge di delegazione» (sentenza della Corte costituzionale n. 149 del 2005). A venire in rilievo e' viceversa la violazione di uno specifico principio e criterio direttivo fissato dalla legge delega, quello di cui all'art. 2, comma 2, lettera a), legge n. 67/2014. 2.9 Al fine di valutare la conformita' del decreto legislativo al parametro interposto di costituzionalita' costituito dalla legge delega, «e' richiesto lo svolgimento di un duplice processo ermeneutico, condotto in parallelo: l'uno, concernente la norma che determina l'oggetto, i principi e i criteri direttivi della delega; L'altro, relativo alla norma delegata, da interpretare nel significato compatibile con questi ultimi. Nel determinare il contenuto della delega si deve tenere conto del complessivo contesto normativo nel quale si inseriscono la legge delega e i relativi principi e criteri direttivi, nonche' delle finalita' che la ispirano, che costituiscono non solo la base e il limite delle norme delegate, ma anche gli strumenti per l'interpretazione della loro portata» (sentenza n. 153 del 2014). Nel caso in esame l'attenzione si deve concentrare in particolare sulla legge delega, piu' agevole essendo l'interpretazione del decreto delegato. 2.10 Un primo argomento nel senso che la depenalizzazione dei reati in materia di immigrazione puniti con la sola pena pecuniaria costituisse uno dei principi e criteri direttivi fissati dalla legge n. 67/2014 si ricava dal tenore letterale della legge delega. E' infatti l'art. 2, comma 2, legge n. 67/2014 a qualificare espressamente come «principi e criteri direttivi» le indicazioni date nel successivo elenco, tra cui - alla lettera a) - la trasformazione in illeciti amministrativi di tutti i reati puniti con la sola pena pecuniaria, ad eccezione di quelli di cui alle materie ivi enumerate (tra le quali non figura quella dell'immigrazione). 2.11 Che si tratti di violazione di un principio e criterio direttivo emerge anche da un'ulteriore considerazione, di ordine logico-concettuale: il legislatore delegato non ha omesso di esercitare in parte la delega, ma ha esercitato compiutamente la stessa in relazione all'art. 2, comma 2, legge n. 67/2014, prevedendo all'art. 1, comma 1, decreto legislativo n. 8/2016 la trasformazione in illeciti amministrativi di tutti i reati puniti con la sola pena pecuniaria - cosi' ricalcando il testo dell'art. 2, comma 2, lettera a) - salvo introdurre arbitrariamente un'eccezione ulteriore (la materia dell'immigrazione) rispetto a quelle previste dalla legge delega. 2.12 Utili elementi si traggono altresi' dai lavori preparatori della legge delega. Per la parte in esame la legge delega traeva origine dal disegno di legge A.S. 110, d'iniziativa dei senatori Palma e Caliendo, che prevedeva all'art. 2 lettera a) la trasformazione in illeciti amministrativi di tutti i reati per i quali era prevista la sola pena della multa o dell'ammenda, ad eccezione delle materie ivi elencate, tra le quali - al n. 3) - figurava quella dell'immigrazione. In Commissione in sede referente il disegno di legge in questione era congiunto ad altri disegni di legge aventi la medesima logica ispiratrice, vale a dire l'attuazione del principio del ricorso minimo al diritto penale e la razionalizzazione e accelerazione dei tempi del processo penale; in particolare era assunto a testo base il disegno di legge 925 (d'iniziativa della deputata Ferranti piu' altri). Nel testo del ddl 925 confluiva attraverso l'emendamento 1.0.100 il testo del ddl 110. Nel corso della seduta del 9 ottobre 2013, tuttavia, era approvato il subemendamento 1.0.100/5 che prevedeva - nell'ambito dell'emendamento 1.0.100 - la soppressione, al comma 2 lettera a), del numero 3). La materia dell'immigrazione era cioe' eliminata dall'elenco di materie per le quali non doveva operare la trasformazione in illecito amministrativo dei reati puniti con la sola pena pecuniaria. Lo stesso subemendamento 1.0.100/5 prevedeva inoltre che al comma 3, dopo la lettera a), fosse prevista l'abrogazione dei reati previsti dall'art. 10-bis) decreto legislativo n. 286/1998. Nel corso del successivo dibattito assembleare ampio spazio era dedicato alla depenalizzazione/abolizione dei reati in materia di immigrazione. Dai resoconti stenografici si evince come il punto in questione avesse assunto un'importanza essenziale nell'ambito della delega al Governo, sia sul piano strettamente contenutistico, sia su quello del risalto immediato da dare o meno all'abolizione/depenalizzazione del reato di cui all'art. 10-bis) decreto legislativo n. 286/1998. Era infatti espressamente evidenziato - a piu' riprese (si vedano tra gli altri, gli interventi del senatore Palma, presentatore del ddl 110, (2) e del senatore Casson, relatore di maggioranza (3) ) - che l'eliminazione operata in Commissione della materia dell'immigrazione dall'elenco delle materie oggetto di esclusione da parte dell'art. 2, comma 2, lett. a) rendeva ultronea un'espressa previsione - all'art. 2, comma 3, lettera b) - concernente il reato di cui all'art. 10-bis) decreto legislativo n. 286/1998. Ciononostante, si decideva di mantenere in vita entrambe le previsioni e - nell'ambito della seduta del 21 gennaio 2014 - era approvato l'emendamento 2.800 presentato dal Governo, per effetto del quale all'art. 2, comma 3, lettera b), si prevedeva l'abrogazione, con trasformazione in illecito amministrativo, del reato ex art. 10-bis decreto legislativo n. 286/1998, fatto salvo il rilievo penale delle condotte di violazione dei provvedimenti amministrativi adottati in materia. Da tale ricostruzione emerge, in definitiva, come il tema della depenalizzazione del reato ex art. 10-bis decreto legislativo n. 286/1998 sia stato uno di quelli piu' centrali nell'ambito della discussione assembleare e avesse assunto una valenza essenziale nell'economia della legge delega. 2.13 Del resto, la depenalizzazione del reato in questione (e degli altri reati in materia di immigrazione puniti con la sola pena pecuniaria) rispondeva perfettamente alla logica ispiratrice dell'intera legge n. 67/2014, vale a dire l'attuazione del principio del ricorso minimo al diritto penale e la razionalizzazione e accelerazione dei tempi del processo penale. Come sottolineato in vari interventi nel corso del dibattito parlamentare (4) , la previsione come reato dei fatti di cui all'art. 10-bis decreto legislativo n. 286/1998 appariva unicamente come una fonte di aggravi per gli uffici giudiziari: da tempo la dottrina e i pratici delle aule di Tribunale avevano infatti evidenziato che l'espulsione dello straniero irregolare sul territorio poteva essere eseguita anche in via amministrativa e che le ammende previste per tale reato erano destinate a rimanere solo sulla carta (5) . 2.14 Puo' giovare infine richiamare quanto osservato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 223/2019. Il giudice rimettente lamentava che - in violazione dei principi e criteri direttivi della legge delega n. 103/2017 (6) - il legislatore delegato con il decreto legislativo n. 36/2018 non avesse previsto la procedibilita' a querela per il reato di lesioni personali stradali di cui all'art. 590-bis, comma 1, c.p., pur punito con una pena compresa nella forbice edittale per la quale il legislatore delegante aveva previsto l'introduzione della condizione di procedibilita' della querela. L' Avvocatura dello Stato, intervenendo, eccepiva l'inammissibilita' della questione ritenendo che il giudice a quo, dolendosi di un «eccesso di delega in minus», avesse omesso di considerare il margine di discrezionalita' spettante al Governo nell'esercizio della delega. La Corte, prima di esaminare il merito della questione (che avrebbe poi ritenuto non fondata), rilevava: «il giudice rimettente non lamenta qui un mancato esercizio della delega da parte del legislatore, ne' un suo parziale esercizio: ipotesi, queste, che secondo la costante giurisprudenza di questa Corte possono si' determinare una responsabilita' politica del Governo verso il Parlamento, ma non una violazione dell'art. 76 Cost., a meno che il mancato parziale esercizio della delega stessa non comporti uno stravolgimento della legge di delegazione (sentenze n. 304 del 2011, n. 149 del 2005, n. 218 del 1987, n. 8 del 1977 e n. 41 del 1975; ordinanze n. 283 del 2013 e n. 257 del 2005). Il giudice a quo lamenta, invece, la non corretta osservanza di uno specifico criterio di delega - quello di cui all'art. 1, comma 16, lettera a), della legge n. 103 del 2017 - che il Governo ha deciso di esercitare mediante il decreto legislativo n. 36 del 2018, che ha per l'appunto previsto la procedibilita' a querela di una serie di delitti contro la persona e contro il patrimonio previsti dal codice penale e puniti con pena detentiva non superiore a quattro anni. Nell'esercitare tale delega, il Governo avrebbe - nella prospettiva del rimettente - arbitrariamente omesso di prevedere la procedibilita' a querela del delitto di cui all'art. 590-bis, primo comma, codice penale, anche se tale delitto prevede pene detentive inferiori nel massimo al limite di quattro anni indicato dalla legge delega, e nonostante non ricorra - secondo il giudice a quo - alcuna delle ipotesi eccezionali nelle quali doveva, in base al citato art. 1, comma 16, lettera a), della legge n. 103 del 2017, conservarsi la regola previgente della procedibilita' d'ufficio. Come e' accaduto nella recente sentenza n. 127 del 2017, la Corte e' dunque chiamata a valutare se il Governo, nell'esercitare in parte qua la delega conferitagli dal Parlamento, abbia o meno errato nel dare applicazione ai principi e ai criteri direttivi il cui rispetto condiziona, in forza dell'art. 76 Cost., la legittimita' costituzionale del decreto legislativo. Ove risultasse che il Governo abbia interpretato e applicato in maniera non corretta il criterio di delega in parola, e abbia quindi indebitamente omesso di prevedere la procedibilita' a querela del delitto di cui all'art. 590-bis, primo comma, codice penale, tale omissione si risolverebbe in una violazione dell'art. 76 Cost.: non diversamente, del resto, da cio' che accadrebbe ove il Governo avesse previsto la procedibilita' a querela di un'ipotesi delittuosa che, secondo le indicazioni del legislatore delegato, doveva invece restare procedibile d'ufficio.» Ebbene, la vicenda ora in esame pare porre una problematica simile, suscettibile di essere risolta secondo lo stesso percorso logico descritto dalla Corte costituzionale nella citata sentenza e sopra riportato. In quel caso il criterio di delega era quello di prevedere la procedibilita' a querela per i reati contro la persona puniti con la sola pena edittale pecuniaria o con la pena edittale detentiva non superiore nel massimo a quattro anni, sola, congiunta o alternativa alla pena pecuniaria, fatte salve talune eccezioni ivi elencate; in questo caso il criterio di delega e' quello di prevedere la trasformazione in illeciti amministrativi di tutti i reati puniti con la sola pena edittale pecuniaria, fatte salve talune eccezioni ivi elencate. 2.15 In via subordinata, si chiede alla Corte costituzionale di di dichiarare l'illegittimita' costituzionale dell'art. 1, decreto legislativo n. 7/2016 - nella parte in cui non prevede l'abrogazione, trasformandolo in illecito amministrativo, del reato previsto dall'art. 10-bis decreto legislativo n. 286/1998 - per violazione del criterio di delega di cui all'art. 2, comma 3, lettera b), legge n. 67/2014 e quindi dell'art. 76 Cost. Al riguardo, si deve rilevare che il Governo ha proceduto alla trasformazione di numerosi reati in illeciti amministrativi con il decreto legislativo n. 8/2016, ma quest'ultimo aveva particolare riguardo all'art. 2, comma 2, legge n. 67/2014 (espressamente citato); era viceversa con il decreto legislativo n. 7/2016 che il Governo dava attuazione alla delega ricevuta in relazione all'art. 2, comma 3, legge n. 67/2014. Quindi, benche' la materia della depenalizzazione del reato ex art. 10-bis decreto legislativo n. 286/1998 sia piu' affine al contenuto del decreto legislativo n. 8/2016 (il decreto legislativo n. 7/2016 si occupa invece di abrogare talune norme incriminatrici e di prevedere per i fatti ivi gia' previsti delle sanzioni pecuniarie civili), si reputa piu' corretto individuare il provvedimento da censurare nel decreto legislativo n. 7/2016 ed in particolare nel relativo art. 1 che ha previsto l'abrogazione di alcune norme incriminatrici. 2.16 Valgono, con riguardo al vizio qui denunciato, considerazioni analoghe a quelle sopra esposte con riguardo al decreto legislativo n. 8/2016 in relazione all'art. 2, comma 2, lettera a), legge n. 67/2014. Il Legislatore delegato non si e' limitato a esercitare solo in parte la delega ricevuta, ma ha esercitato la delega violando uno specifico principio e criterio direttivo, dal significato letterale inequivoco e la cui importanza emergeva chiaramente dai lavori preparatori della legge delega. 2.17 Qualora fosse accolta tale questione subordinata, ad avviso di questo giudice occorrerebbe in via consequenziale dichiarare l'illegittimita' costituzionale altresi' dell'art. 10-bis decreto legislativo n. 286/1998 nella parte in cui prevede la pena dell'ammenda da 5.000 a 10.000 euro anziche' la sanzione amministrativa da 5.000 a 10.000 euro. Quanto alla cornice della sanzione pecuniaria, la stessa viene individuata nel range tra 5.000 euro e 10.000 euro e non in quello tra 5.000 euro e 30.000 euro (previsto dall'art. l, comma 5, decreto legislativo n. 8/2016) in ragione del fatto che il criterio di delega di cui all'art. 2, comma 2, lettera e), legge n. 67/2014 (di cui il citato art. 1, comma 5, decreto legislativo n. 8/2016 ha costituito attuazione) ha riguardo per l'appunto alla depenalizzazione prevista dall'art. 2, comma 2, legge n. 67/2014 e non pare poter trovare applicazione con riguardo all'attuazione dell'art. 2, comma 3, legge n. 67/2014. In mancanza di altro parametro, pare quindi potersi mantenere la cornice edittale gia' prevista dall'art. 10-bis decreto legislativo n. 286/1998, fatta salva la natura amministrativa pecuniaria della sanzione anziche' penale. 2.18 Tanto con riguardo al decreto legislativo n. 8/2016 (censurato in via principale) quanto con riguardo al decreto legislativo n. 7/2016 (censurato in via subordinata), non pare possibile un'interpretazione conforme. Il testo dei due provvedimenti non e' infatti interpretabile in modo compatibile con i due criteri di delega fissati dall'art. 2, comma 2, lettera a) e dall'art. 2, comma 3, lettera b), legge n. 67/2014. (1) Cosi' la relazione illustrativa: «Nonostante la condizione posta dalla Commissione giustizia della Camera dei deputati non si ritiene di esercitare la delega anche con riferimento al reato di cui all'art. 10-bis del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286. Ribadita l'argomentazione sopra esposta sulla assenza di infedelta' alla delega, le ragioni politiche sottese alla scelta di non attuare le direttive di depenalizzazione vanno parimenti ricercate nel carattere particolarmente sensibile degli interessi coinvolti dalle fattispecie in esame: per tali materie, in assenza di un intervento sistematico di piu' ampio respiro, lo strumento repressivo penale appare, invero, indispensabile ai fini della composizione del conflitto innescato dalla commissione dell'illecito». (2) Seduta del 16 gennaio 2014, pag. 13 del resoconto stenografico. (3) Seduta del 21 gennaio 2014, pag. 89 del resoconto stenografico. (4) Si vedano in particolare gli interventi del senatore Buccarella (primo presentatore in Commissione referente del subemendamento 1.0.100/5, che aveva incontrato il parere favorevole del relatore di maggioranza e, una volta approvato, aveva comportato nel testo proposto dalla commissione l'eliminazione della materia dell'immigrazione dall'elenco delle materie escluse dalla depenalizzazione e la previsione espressa nel comma 3 dell'abrogazione del reato ex art. 10-bis decreto legislativo n. 286/1998) e del senatore Buemi (nel corso della seduta del 21 gennaio 2014, rispettivamente a pag. 101 e 103 del resoconto stenografico). (5) Si tratta in sostanza dei motivi che sono stati anche posti a base delle questioni di costituzionalita' dell'art. 10-bis decreto legislativo n. 286/1998 sotto il profilo della violazione del principio di ragionevolezza di cui all'art. 3 Cost., che la Corte costituzionale - allorche' e' giunta a vagliare il merito della questione - ha ritenuto non sussistente, trattandosi di aspetti attinenti ad una valutazione di politica criminale e giudiziaria rientrante nella discrezionalita' del legislatore non sindacabile dalla Corte. Cosi la sentenza n. 250 del 2010: «e' ben vero, in effetti, che le condotte che integrano il reato di cui si discute, costituendo nel contempo violazioni della disciplina sull'ingresso e il soggiorno dello straniero nello Stato, erano e restano sanzionate, in via amministrativa, con l'espulsione disposta dal prefetto ai sensi dell'art. 13, comma 2, del decreto legislativo n. 286 del 1998: onde si riscontra una sovrapposizione - tendenzialmente completa - della disciplina penale a quella amministrativa. E' altrettanto vero che, alla luce della complessiva configurazione della norma in esame, il legislatore mostra di considerare l'applicazione della sanzione penale come un esito "subordinato" rispetto alla materiale estromissione dal territorio nazionale dello straniero ivi illegalmente presente. [...] Tale assetto normativo - che trova la sua ratio precipuamente <<nel diminuito interesse dello Stato alla punizione di soggetti ormai estromessi dal proprio territorio>> [...] non comporta ancora, tuttavia, che il procedimento penale per il reato in esame sia destinato, a priori, a rappresentare un mero "duplicato" del procedimento amministrativo di espulsione (di norma, per giunta, piu' celere): e cio', a tacer d'altro, per la ragione che - come l'esperienza attesta - in un largo numero di casi non e' possibile, per la pubblica amministrazione, dare corso all'esecuzione dei provvedimenti espulsivi. La stessa sostituzione della pena pecuniaria con la misura dell'espulsione da parte del giudice - configurata, peraltro, dall'art. 16, comma 1, del decreto legislativo n. 286 del 1998 come soltanto discrezionale (<<puo>>) - resta espressamente subordinata alla condizione che non ricorrano le situazioni che, ai sensi dell'art. 14, comma 1, del medesimo decreto legislativo, impediscono l'esecuzione immediata dell'espulsione con accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica (necessita' di procedere al soccorso dello straniero, ad accertamenti supplementari in ordine alla sua identita' o nazionalita', all'acquisizione di documenti per il viaggio, ovvero indisponibilita' di vettore o di altro mezzo di trasporto idoneo). E' pure difficilmente contestabile, per altro verso, che - come da piu' parti criticamente rimarcato - la pena dell'ammenda, applicabile nei casi di mancata esecuzione (o eseguibilita' immediata) dell'espulsione, presenti una ridotta capacita' dissuasiva: e cio', a fronte della condizione di insolvibilita' in cui assai spesso (ma, comunque, non indefettibilmente) versa il migrante irregolare e della difficolta' di convertire la pena rimasta ineseguita in lavoro sostitutivo o in obbligo di permanenza domiciliare (art. 55 del decreto legislativo n. 274 del 2000), stante la problematica compatibilita' di tali misure con la situazione personale del condannato, spesso privo di fissa dimora e che, comunque, non puo' risiedere legalmente in Italia. Simili valutazioni - al pari di quella attinente, piu' in generale, al rapporto fra "costi e benefici" connessi all'introduzione della nuova figura criminosa, rapporto secondo molti largamente deficitario (tanto piu' in un sistema che gia' prevede, in caso di mancata esecuzione immediata dell'espulsione, l'ordine di allontanamento del questore, che innesca la piu' energica tutela penale predisposta dall'art. 14, comma 5-ter, del decreto legislativo n. 286 del 1998) - attengono, tuttavia, all'opportunita' della scelta legislativa su un piano di politica criminale e giudiziaria: piano di per se' estraneo al sindacato di costituzionalita'». (6) Art. 1 comma 16: Il Governo e' delegato ad adottare, nel termine di un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge, decreti legislativi per la modifica della disciplina del regime di procedibilita' per taluni reati e delle misure di sicurezza personali e per il riordino di alcuni settori del codice penale, secondo i seguenti principi e criteri direttivi: a) prevedere la procedibilita' a querela per i reati contro la persona puniti con la sola pena edittale pecuniaria o con la pena edittale detentiva non superiore nel massimo a quattro anni, sola, congiunta o alternativa alla pena pecuniaria, fatta eccezione per il delitto di cui all'art. 610 del codice penale, e per i reati contro il patrimonio previsti dal codice penale, salva in ogni caso la procedibilita' d'ufficio qualora ricorra una delle seguenti condizioni: 1) la persona offesa sia incapace per eta' o per infermita'; 2) ricorrano circostanze aggravanti ad effetto speciale ovvero le circostanze indicate nell'art. 339 del codice penale; 3) nei reati contro il patrimonio, il danno arrecato alla persona offesa sia di rilevante gravita'; [...]