TRIBUNALE DI NOLA 
 
 
                           Sezione GIP/GUP 
 
    Il giudice per le indagini preliminari  del  Tribunale  di  Nola,
dott. Raffaele Muzzica, in funzione  di  giudice  dell'esecuzione  ha
pronunciato la seguente 
 
                              Ordinanza 
 
    nel procedimento penale  nei  confronti  di  D  A  ,  nato  a  il
elettivamente domiciliato ex art. 161 c.p.p. in Afragola via Niccolo'
Paganini n. 6, difeso di fiducia dall'avv. Biagio Bianco, del foro di
Napoli Nord imputato: 
      A) del delitto p. e p. dagli artt. 56-110 629 commi 1 e 2 e  p.
in riferimento all'art. 628 comma 3  n1  c.p.  perche'  in  unione  e
concorso con altra persona in corso di  identificazione  al  fine  di
trarne  un  ingiusto  profitto  mediante  minaccia   consistita   nel
rappresentare a P       M     che per  poter  rientrare  in  possesso
dell'autovettura tg avrebbe dovuto consegnargli la somma  di  euro  ,
compiva atti idonei diretti in modo non  equivoco  a  costringere  la
predetta p.o. a pagare la somma anzidetta. 
    Evento non verificatosi per cause indipendenti dalla sua volonta'
(intervento delle forze dell'ordine). 
    Con l'aggravante  di  aver  commesso  il  fatto in  piu'  persone
riunite. 
    In                  il 
      B) del delitto p. e p. dagli art. 61 n. 2 110- 648  c.  p.  per
avere in concorso con altra persona in corso di identificazione ed al
fine  di  trame  un   profitto   acquistato   o   comunque   ricevuto
l'autovettura tg  di  illecita  provenienza  a  lui  nota  in  quanto
provento di furto in danno di P M denunciato in data 19 ottobre 2023.
Con l'aggravante di aver commesso il fatto al  fine  di  eseguire  il
reato di cui sub a). 
    In               in     epoca      anteriore      e      prossima
al                       nei confronti di: 
      P                       M                        ,         nata
a                               ,       il                           
,                  ivi   residente    in                             
n .      (non costituita parte civile), per  sollevare  questione  di
legittimita' costituzionale dell'art. 442 comma  2-bis  c.p.p.  nella
parte in  cui  non  prevede  che  il  giudice  dell'esecuzione  possa
concedere la sospensione condizionale della pena e  la  non  menzione
della condanna nel certificato  del  casellario  giudiziale,  ove  la
diminuzione automatica di pena  per  la  mancata  impugnazione  della
sentenza di condanna emessa in sede di giudizio  abbreviato  comporti
l'applicazione di una pena contenuta  nei  limiti  di  legge  di  cui
all'art. 163 c.p.  e  ricorrendone  gli  ulteriori  presupposti,  per
violazione degli artt. 3,  27,  commi  1  e  3,  111,  117  Cost.  in
riferimento all'art. 6 CEDU 
    1. Svolgimento del procedimento 
    Il GIP in sede emetteva, su richiesta del PM, decreto di giudizio
immediato nei confronti di  D              A             in  data  19
gennaio 2024, notificato all'imputato il 24 gennaio 2024. 
    Con richiesta del 5 febbraio  2024  il  difensore  dell'imputato,
munito di procura speciale, chiedeva definirsi il procedimento  nelle
forme del rito abbreviato. 
    Questo giudice  fissava  l'udienza  del  4  aprile  2024  per  la
delibazione sulla scelta del rito. 
    Sentite le parti, ritenuto possibile decidere  allo  stato  degli
atti,  questo  giudice  ammetteva  il  rito  prescelto,  in  presenza
dell'imputato regolarmente autorizzato stante il regime degli arresti
domiciliari cui era sottoposto, ed invitava le parti a rassegnare  le
loro conclusioni. 
    Al termine della discussione questo giudice si ritirava in Camera
di consiglio per la decisione, pubblicando il dispositivo allegato al
verbale d'udienza, con contestuale redazione dei motivi. 
    Questo giudice dichiarava D                A            colpevole
dei reati a lui ascritti e, esclusa la contestata aggravante  di  cui
all'art.  628  comma  3  n.  1  c.p.,  riconosciute  le   circostanze
attenuanti generiche equivalenti rispetto alla contestata  aggravante
di cui all'art. 61 n.  2  c.p.,  riconosciuti  i  reati  avvinti  dal
vincolo della continuazione applicata la riduzione per  il  rito,  lo
condannava alla pena finale di                                   . 
    Con dichiarazione del 16 aprile 2024 l'imputato  personalmente  e
per  il  tramite  del  suo  difensore  munito  di  procura   speciale
rinunciava all'atto di  gravame,  al  fine  di  ottenere  l'ulteriore
diminuente prevista dall'art. 442 comma 2-bis c.p.p. 
    Contestualmente il difensore istante chiedeva revocarsi la misura
cautelare degli  arresti  domiciliari  applicata  nei  confronti  del
D                          ,  nonche'  concedere  in  suo  favore  il
beneficio della sospensione condizionale della pena. 
    In subordine rispetto  a  quest'ultima  richiesta,  il  difensore
chiedeva  sollevarsi  questione  di  legittimita'  costituzionale  in
relazione al disposto dell'art. 442 comma 2-bis c.p.p.,  nella  parte
in cui non  consente  al  giudice  dell'esecuzione  di  concedere  il
beneficio,  ove  la   diminuzione   automatica   di   pena   comporti
l'applicazione di una pena contenuta  nei  limiti  di  legge  di  cui
all'art. 163 c.p. 
    Il giudice provvedeva con separati provvedimenti sulla  richiesta
di revoca della misura cautelare in  atti  e  di  applicazione  della
diminuente ex art. 442 comma 2-bis c.p.p., sollevando con la presente
ordinanza questione di legittimita' costituzionale. 
    2. La rilevanza della questione 
    La questione di legittimita' costituzionale e' rilevante nel caso
di specie nei termini che seguono. 
    Con ordinanza emessa in data 26 aprile 2024, questo  giudice,  su
richiesta di parte, preso atto dell'intervenuta irrevocabilita' della
sentenza di condanna  emessa  in  sede  di  giudizio  abbreviato  nei
confronti del prevenuto, applicava in suo  favore  la  diminuente  ex
art. 442 comma 2-bis c.p.p. rideterminando la pena inflitta in quella
di 
    Il  quantum  di  pena  ottenuto,  come  osservato  dal  difensore
istante, consentirebbe al D                    di  poter  godere  del
beneficio della sospensione condizionale della pena. 
    Ricorrono, inoltre,  ulteriori  elementi  idonei  a  fondare  una
prognosi favorevole circa l'astensione, da parte del D              ,
dalla commissione di ulteriori reati. 
    L'imputato,  soggetto  non  piu'  in   giovanissima   eta',   era
incensurato all'epoca dei fatti e non annovera  ulteriori  precedenti
diversi da quello riportato nel presente procedimento. 
    Come gia' documentato in atti, l'imputato sta partecipando ad  un
percorso di recupero della sua dipendenza dal gioco e si e'  mostrato
sin  da  subito  collaborativo  nei  primi  contatti  con  le   forze
dell'ordine. Nonostante il regime cautelare domiciliare cui e'  stato
sottoposto fin dal 24 ottobre  2023,  non  risultano  segnalazioni  o
violazioni della misura a suo carico, fino alla revoca  della  misura
cautelare disposta da questo giudice dopo il passaggio  in  giudicato
della sentenza di condanna. 
    Cio'  premesso,  questo  giudice  non  ignora  che,  quanto  alla
possibile concessione del beneficio  della  sospensione  condizionale
della pena da  parte  del  giudice  dell'esecuzione,  il  consolidato
diritto vivente, enucleato dalle Sezioni unite della Suprema Corte di
cassazione, stabilisce che «il giudice dell'esecuzione puo'  compiere
proprie autonome valutazioni, sempre  che  queste  non  contraddicano
quelle del giudice della cognizione (Cass., Sez. I, 20 maggio  1994, 
rv. 198342; Sez. VI, 14 marzo 1994,        ;    rv.  197801)»  e  che
«l'intervento a concessione del beneficio si giustifica solo  se  nel
pregresso giudizio l'unico  motivo  della  mancata  applicazione  del
beneficio e' identificabile non nella  presenza  di  una  valutazione
prognostica della pericolosita' dell'imputato, ma  nel  solo  effetto
preclusivo della sentenza di condanna  successivamente  revocata  per
intervenuta abolizione del reato» (Sez.  Un.  20  dicembre  2005,  n.
4687, rv. 232610). 
    Nel caso di specie questo giudice,  in  veste  di  giudice  della
cognizione, si limitava  ad  attestare  l'insussistenza  del  margine
(edittale) per il riconoscimento della sospensione condizionale della
pena (dato di per se' autosufficiente ed  assorbente),  motivando  in
ordine alla (diversa) prognosi correlata alla potenziale applicazione
delle pene sostitutive previste dall'ordinamento. 
    Ne  consegue,  dunque,  che  non   appare   ostativa   la   parte
motivazionale contenuta  nella  sentenza  di  condanna  («Non  vi  e'
margine, infatti,  per  il  riconoscimento  della  pena  sospesa  nei
confronti del D                ne' per alcuna delle pene  sostitutive
previste  dall'ordinamento,  stante  il  quantum  di  pena  inflitto,
l'allarme sociale e la gravita' dei fatti, nonche' l'assenza di  ogni
richiesta in tal senso proveniente dall'imputato -  peraltro  tuttora
sottoposto a regime cautelare  peri  fatti  in  contestazione  -  ne'
da/suo difensore, non munito all'uopo di procura speciale»); 
    D'altronde, a tutto voler concedere, come insegnato dalle sezioni
unite prima citate, il giudice  dell'esecuzione  puo'  effettuare  il
«Favorevole  giudizio  prognostico  richiesto  dall'art.  164,  comma
primo, codice penale, sulla base non solo della situazione  esistente
al momento in cui era stata pronunciata la condanna in questione,  ma
anche degli elementi sopravvenuti». 
    Occorre valorizzare, in tal senso, il  comportamento  processuale
del D            che, a fronte di una condanna a pena  detentiva  non
sospesa,  prestava  acquiescenza  e  non  presentava  appello:   cio'
costituisce  ulteriore  elemento  che,  in  uno   con   quelli   gia'
evidenziati  (il  D                  non  ha  tuttora  interrotto  la
frequenza del  suo  percorso  di  recupero  trattamentale  e  non  ha
realizzato violazioni della misura cautelare  su  di  lui  gravante),
consentirebbe  al  giudice  di  effettuare  positivamente  il  vaglio
richiesto dall'art. 164 c.p. 
    3. L'impossibilita'  di  una  interpretazione  costituzionalmente
conforme 
    Tanto premesso in punto cli rilevanza della questione, ritiene lo
scrivente che l'impossibilita'  per  il  giudice  dell'esecuzione  di
valutare la concedibilita' della sospensione condizionale della  pena
nei confronti del prevenuto che, a seguito della diminuente  ex  art.
442 comma 2-bis c.p.p., risulti condannato a pena infrabiennale,  sia
contraria al principio di ragionevolezza (art. 3 Cost.), in relazione
alla finalita' rieducativa della  pena  (art.  27,  comma  3  Cost.),
nonche' alla regola della ragionevole durata del processo  (art.  111
Cost. e 6 CEDU, per il tramite dell'art. 117 Cost.). 
    Mutatis mutandis, onde evitare inutili  ripetizioni,  le  ragioni
che di seguito  si  esporranno  con  riferimento  all'istituto  della
sospensione  condizionale  della  pena  si  devono  intendere  estese
altresi' al similare e  affine  istituto  della  non  menzione  della
condanna nel casellario giudiziale. 
    Cio'  nonostante,  questo  giudice  ritiene   impraticabile   una
interpretazione costituzionalmente orientata della norma. 
    La concedibilita' della sospensione condizionale  della  pena  in
fase  esecutiva  costituisce  un'acquisizione  pacifica  nell'attuale
sistema processuale. 
    Non  solo  il  codice  di   rito   prevede   espressamente   tale
possibilita' nel caso in cui il giudice dell'esecuzione riconosca  il
beneficio  del  cumulo  giuridico  connesso   agli   istituti   della
continuazione o del concorso formale (art. 671 comma. 3 c.p.p.  3.  -
«Il giudice dell'esecuzione puo' concedere  altresi'  la  sospensione
condizionale  della  pena  e  la  non  menzione  della  condanna  nel
certificato  del  casellario  giudiziale,  quando  cio'  consegue  al
riconoscimento del concorso formale  o  della  continuazione.  Adotta
infine ogni altro provvedimento conseguente») ma la giurisprudenza di
legittimita' delle Sezioni unite ha riconosciuto  analogo  potere  in
ulteriori  ambiti  del  giudizio  esecutivo,  mediante  una  sapiente
applicazione della cd. «teoria dei poteri impliciti». 
    In altri termini, dall'ordito argomentativo delle pronunce  della
Suprema Corte si desume il principio  secondo  il  quale,  una  volta
dimostrato  che  la  legge  processuale  demanda   al   giudice   una
determinata funzione, allo stesso giudice deve  essere  conferita  la
titolarita' di tutti  i  poteri  necessari  all'esercizio  di  quella
medesima  attribuzione:  sicche'  e'  consequenziale  inferirne   che
l'eliminazione   dell'effetto   ostativo   alla   concessione   della
sospensione  condizionale  della  pena  comporta  necessariamente  la
titolarita' dei poteri funzionali al conseguimento di tale risultato.
Pertanto, sulla  base  di  questo  principio,  la  Suprema  Corte  di
cassazione ha riconosciuto che «Il giudice dell'esecuzione,  qualora,
in applicazione dell'art. 673 codice procedura penale,  pronunci  per
intervenuta «abolitio criminis» ordinanza  di  revoca  di  precedenti
condanne,  le  quali  siano  state  a  suo  tempo  di  ostacolo  alla
concessione della  sospensione  condizionale  della  pena  per  altra
condanna,  puo',  nell'ambito  dei  provvedimenti  conseguenti»  alla
suddetta pronuncia, concedere il beneficio, previa  formulazione  del
favorevole giudizio prognostico richiesto dall'art. 164, comma primo,
codice penale, sulla base non  solo  della  situazione  esistente  al
momento in cui era stata pronunciata la  condanna  in  questione,  ma
anche degli elementi sopravvenuti. «(Sez. Un., Sentenza n.  4687  del
20 dicembre 2005 Cc. (dep. 6 febbraio 2006) Rv. 232610-01). 
    Piu' di recente, ribadendo il precedente orientamento, la Suprema
Corte ha statuito che «Il giudice della esecuzione, nel rideterminare
la pena applicata  con  sentenza  irrevocabile  ex  art.  444  codice
procedura penale, divenuta illegale a seguito della  sentenza  n.  32
del 2014 della Corte costituzionale,  puo'  disporre  la  sospensione
condizionale della pena. (In motivazione la Corte ha chiarito che  al
giudice, in presenza di una pena nuovamente , incordata  dalle  patti
ai sensi dell'att. 188 disp. att. codice procedura generale,  qualora
ritenga di non applicare le sospensioni condizionali della pena,  non
puo'  respingere  il  nuovo  accordo,  ma  deve  comunque   recepirlo
escludendo il beneficio)» (Sez.  Un.  ,  Sentenza  n.  37107  del  26
febbraio  2015  Cc.  (dep.  15  settembre   2015)   Rv.   264859-01),
precisando, nella parte  motivazionale  che  «anche  nelle  residuali
ipotesi  di  autonoma  rideterminazione   della   pena   il   giudice
dell'esercitazione possa disporre la sospensione  condizionale  della
pena» 
    Sulla falsariga dell'autorevole avallo delle  Sezioni  unite,  le
Sezioni semplici della Suprema Corte hanno  chiarito  che  anche  «in
caso di annullamento senza rinvio di uno o  piu'  capi  di  condanna,
spetta  al  giudice  dell'esecuzione  provvedere  sulla  istanza   di
sospensione condizionale, avanzata una non valutata nel  giudizio  di
cognizione in quanto  la  pena  complessivamente  irrogata  risultava
superiore al limite di  legge  perla  concedibilita'  del  beneficio»
(Sez. 1, n. 16679 del 1° marzo 2013,  Rv. 254570). In senso  analogo,
e'  stato  statuito  «Il   giudice   dell'esecuzione,   qualora,   in
applicazione dell'art. 669, comma  8,  cod.  proc.  pen.  ,  pronunci
ordinanza di revoca del capo di una sentenza di condanna per  essersi
formato, sullo stesso fatto e contro la stessa persona, un  giudicato
assolutorio,  puo',  nel  ridetermina:  la  penc.  1,   disporne   la
sospensione condizionale, costituendo  l'adozione  dei  provvedimenti
conseguenti a tale decisione esplicazione di un potere coessenziale a
quello di porre nel nulla il giudicato.» (Sez. 1, Sentenza  n.  51692
del 30 ottobre 2018 Cc. (dcp. 15 novembre 2018) Rv. 274547 - 01). 
    Dalla sintetica disamina del diritto vivente formatosi sul  punto
risulta evidente come  l'attribuzione  del  potere  di  concedere  la
sospensione condizionale in executivis non scalfisce  le  statuizioni
irrevocabili  del  giudice  della  cognizione  ed  ha  una   funzione
meramente integrativa del titolo esecutivo. 
    Infatti, se nel pregresso giudizio l'unico motivo  della  mancata
applicazione del beneficio e' identificabile in un effetto preclusivo
«esterno» - la sentenza  di  condanna  successivamente  revocata  per
intervenuta abolizione del reato, il quantum di pena ostativo  -  non
puo' certamente ravvisarsi alcun reale vulmus  al  giudicato  qualora
quel giudizio prognostico che non e' stato compiuto dal giudice della
cognizione  sia   compiuto,   poi,   dal   giudice   dell'esecuzione,
eventualmente mediante una  conoscenza  ancor  piu'  approfondita  ed
estesa altresi' a fatti sopravvenienti. 
    Nonostante tale  assetto  del  diritto  vivente,  ritiene  questo
giudice   che   non   sia    praticabile    alcuna    interpretazione
costituzionalmente  conforme   del   dato   normativo   rappresentato
dall'art. 442 comma 2-bis c.p.p., che si  tradurrebbe,  peraltro,  in
un'applicazione analogica del disposto dell'art. 671 comma 3 c.p.p. 
    Le gia' citate sezioni unite della  Suprema  Corte  (sentenza  20
dicembre 2005, n. 4687) hanno infatti affermato  che  la  concessione
della sospensione condizionale, nell'ipotesi di revoca della condanna
per  abolitio  criminies,  e'  resa  possibile  esclusivamente  dalla
previsione, contenuta nell'art. 673, comma 1, c.p.p.., in forza della
quale  il  giudice  dell'esecuzione  adotta  tutti  «i  provvedimenti
conseguenti» alla revoca stessa: previsione da collegare al principio
di cui all'art. 2, secondo comma, c.p., in tema di  cessazione  degli
effetti penali della condanna, tra i quali rientra quello  impeditivo
di una ulteriore concessione  della  sospensione  condizionale  della
pena. 
    Nella  citata  sentenza,  la  Suprema  Corte,   di   contro,   ha
espressamente escluso che a  siffatta  conclusione  possa  pervenirsi
sulla base di una applicazione  analogica  dell'art.  671,  comma  3,
c.p.p.,   sia   pure   «in   nome    dell'interpretazione    secundum
Constitutionem». 
    Come  osservato  dalla  Suprema  Corte,  «una  simile  operazione
ermeneutica risulterebbe infatti impedita dalla natura eccezionale di
detta norma, la quale deroga al principio  generale  secondo  cui  il
giudizio prognostico sulla futura condotta del reo -  costituente  il
presupposto per la concessione della sospensione  condizionale  -  e'
ordinariamente  riservato  al  giudice  della  cognizione,   che   ha
accertato la  responsabilita'  del  soggetto  per  il  fatto  cui  il
beneficio andrebbe applicato». 
    La praticabilita' di un'applicazione analogica costituzionalmente
conforme e' preclusa dallo sbarramento  segnato  dall'art.  14  delle
Disposizioni sulla legge in generale, che vieta di applicare le leggi
che  fanno  eccezione  a  regole  generali  oltre  i  casi  in   esse
considerate. 
    Invero,    conformemente    all'opinione    consolidata     della
giurisprudenza di legittimita',  la  (tendenziale)  immodificabilita'
del giudicato corrisponde ad un principio  generale  dell'ordinamento
derogabile solo nei casi previsti dalla legge (Sez. Un.  ,  sent.  24
ottobre 2013, n. 18821; Sez. un. pen.  ,  29  maggio  2014  (dep.  14
ottobre 2014) n. 42858). 
    Nel caso di specie, nessun appiglio normativo consente al giudice
dell'esecuzione, nel rideterminare la pena ex art.  442  comma  2-bis
c.p.p., di «adottare i provvedimenti conseguenti», ovvero di delibare
il possibile riconoscimento della sospensione condizionale della pena
nei  confronti  del  condannato,  ormai  destinatario  di  una   pena
infrabiennale, stante il completo silenzio del legislatore sul punto. 
    4. La non manifesta  infondatezza  della  questione:  una  lacuna
normativa intrinsecamente irragionevole in  relazione  alla  funzione
rieducativa della pena 
    Preliminarmente, la giurisprudenza di legittimita' che  ha  avuto
modo di pronunciarsi finora sull'ambito applicativo dell'istituto  di
cui all'art. 442 comma 2-bis c.p.p., ne ha riconosciuto  la  pacifica
natura sostanziale (Sez. 2, Sentenza n. 4237 del 17 novembre 2023 Ud.
(dep.  31  gennaio  2024)  Rv.  285820  -  O),  sulla  falsariga  dei
precedenti arresti delle Sezioni unite in casi  analoghi  (cfr.  Sez.
un. , n. 2977 del 6 marzo 1992,            ; Sez. Un. , n. 18821  del
24 ottobre 2013,                      ), affermando che puo', dunque,
in conclusione affermarsi che e' ormai acquisito nel  nostra  sistema
giuridico il principio secondo cui trattamento  sanzionatorio,  anche
laddove collegato alla scelta del  rito,  finisce  sempre  con  avere
ricadute sostanziali». 
    D'altronde,  e'  altrettanto   pacifica   la   funzione   special
preventiva della sospensione condizionale  della  pena  (Sez.  5,  n.
21557 del 2 febbraio 2015, , Rv. 263675; Sez.  2,  n.  22342  del  15
febbraio 2013, Rv. 255665 - 01; Sez. 5, n. 4527 del 3 novembre  2010,
dep. 2011, Rv.  249248),  come  riconosciuto  testualmente,  piu'  di
recente, da Sez. 5, Sentenza n. 46834 del 12 ottobre 2022  Ud.  (dep.
12 dicembre 2022) Rv. 283902-0 secondo  cui  «In  vero,  l'ubicazione
della  disciplina  della  sospensione  condizionale  nell'ambito  del
titolo VI  del  Libro  Primo  del  codice  penale,  rubricato  «Della
estinzione della reato e della  pena)),  oltre  ad  essere  criticata
oltremodo in  dottrina,  non  osta  comunque  a  ritenere  che  anche
l'istituto della sospensione  condizionale  debba  essere  ricondotto
nell'ambito del trattamento sanzionatorio, in quanto incidente  sulla
effettiva commisurazione e afflittivita' della pena». 
    Ed infatti, attraverso il riconoscimento o meno della sospensione
condizionale della pena si ha l'applicazione nel caso concreto  della
sanzione,  laddove  il  giudice  ne  ritenga   necessaria,   a   fini
rieducativi, la materiale esecuzione o la mera minaccia (Sez.  3,  n.
28690 del 9 febbraio 2017, Rv. 270588-01; Sez. 1,  n.  53632  dell'11
luglio 2017, Rv. 271820-01, Sez. 4, n. 21238 del 2 ottobre 2014, dep.
21 maggio 2015,        , Rv. 263851-01,  Sez.  3,  n.  11091  del  27
gennaio 2010,          ,Rv. 246440-01). 
    La finalita' special preventiva dell'istituto  della  sospensione
condizionale e' stata ribadita da ultimo anche da Sez. Un. , n. 37503
del 23 giugno 2022, , Rv. 283577 - 01, che in tema di fissazione  del
termine previsto  dall'art.  165,  comma  6  c.p.  hanno  chiaramente
statuito  che  «l'applicazione  di   siffatti   «obblighi»   risponda
all'esigenza di rafforzare  la  funzione  special-preventiva  che  la
sospensione condizionale della pena esplica nell'ambito  del  sistema
sanzionatorio». 
    D'altronde,  la  stessa  Relazione   illustrativa   del   decreto
legislativo 150 del 2022 si mostra ben consapevole del ruolo e  della
funzione rappresentata dalla sospensione condizionale della pena  nel
nostro ordinamento, quale piu' antico istituto espressivo  della  cd.
«lotta alla pena detentiva breve», in quanto  «E'  infatti  da  tempo
diffusa e radicata, nel contesto internazionale, l'idea secondo  etti
una detenzione di breve durata comporta costi individuali  e  sociali
maggiori rispetto  ai  possibili  risultati  attesi,  in  termini  di
risocializzazione  dei  condannati  e  di  riduzione  dei  tassi   di
recidiva.» (pag. 351 della relazione illustrativa di  accompagnamento
del decreto legislativo 150 del 2022). 
    Esplicitamente, la relazione cli accompagnamento si prefigge  «un
ragionevole  coordinamento  tra  istituti   diversi   -   sospensione
condizionale della pena  e  pene  sostitutive  -,  entrambi  volti  a
contrastare l'esecuzione in carcere di pene detentive  brevi».  (pag.
385 della  Relazione  illustrativa  di  accompagnamento  del  decreto
legislativo 150 del 2022). 
    Cio' premesso, questo  giudice  non  ignora  che  il  legislatore
conserva un margine di discrezionalita' nell'intervenire  nell'ambito
del sistema sanzionatorio (cfr. ordinanza  Corte  cost.  n.  238  del
2019). 
    Tuttavia, anche in  tali  ambiti  le  scelte  legislative  devono
rispettare il limite della ragionevolezza, come pure la stessa  Corte
costituzionale ha piu' volte ribadito [ex multis, sentenza n. 185 del
2015:   «Secondo   la   costante    giurisprudenza    costituzionale,
l'individuazione delle condotte  punibili  e  la  configurazione  del
relativo trattamento sanzionatorio rientrano  nella  discrezionalita'
legislativa, il cui esercizio non puo' formare oggetto di  sindacato,
sul piano della legittimita' costituzionale, salvo che si traduca  in
scelte manifestamente irragionevoli o arbitrarie (ex multis: sentenze
n. 68 del 2012, n. 41 del 2010, n. 161 del 2009, n. 22 del 2007 e  n.
394 del 2006)»]. 
    Ebbene, come subito piu' dettagliatamente si illustrera'  facendo
applicazione dei suddetti criteri direttivi  tracciati  dalla  Corte,
l'attuale  impossibilita'  di  valutare   il   riconoscimento   della
sospensione condizionale della pena a seguito dell'applicazione della
diminuente ex art. 442 comma 2-bis c.p.p. sembra  costituire  una  di
quelle «manifeste ragioni di irrazionalita' o  discriminazioni  prive
di fondamento giuridico, che sole potrebbero consentire di  sindacare
[l'] ampio potere discrezionale riservato al legislatore» (Sent.  175
del 1997, ma anche 416  del  1996;  nn.  295  e  188  del  1995),  in
riferimento alla quale sarebbe consentita alla Corte «una valutazione
di  legittimita'  costituzionale  [...]  fondata  soltanto   su   una
irrazionalita' manifesta, irrefutabile)) (Sent. n. 46  del  1993,  ma
anche n. 236 del 2008, n. 81 del 1992, 206 del 1999). 
    L'impossibilita' di riconoscere il  beneficio  della  sospensione
condizionale della pena nel caso di applicazione della diminuente  ex
art. 442 comma 2-bis c.p.p. produce  di  per  se'  effetti  distonici
rispetto  agli  scopi  prefissati  dal   legislatore   e,   pertanto,
sproporzionati  ed  irragionevoli,  nell'accezione  del  giudizio  di
ragionevolezza  fatta  propria  dalla  giurisprudenza   della   Corte
costituzionale («il giudizio di ragionevolezza, lungi dal  comportare
il  ricorso  a  criteri  di  valutazione  assoluti  e   astrattamente
prefissati,  si  svolge   attraverso   ponderazioni   relative   alla
proporzionalita'  dei  mezzi  prescelti  dal  legislatore  nella  sua
insindacabile discrezionalita' rispetto alle  esigenze  obiettive  da
soddisfare o alle finalita' che  intende,  Perseguire.  tenuto  conto
delle circostanze e delle limitazioni concretamente sussistenti» cfr.
Corte cost. sent. 1130 del 1988; Corte cost.  sent.  264  del  1996).
D'altronde,  come  da  tempo  la  stessa  Corte   costituzionale   ha
inequivocabilmente affermato «Il principio di  proporzionalita'  [va]
inteso [... ] anche  e  soprattutto,  quale  "criterio  generale"  di
congruenza degli  strumenti  normativi  rispetto  alle  finalita'  da
perseguire» (Corte cost., sentenza n. 487 del 1989). 
    In primo luogo,  richiamando  la  natura  sostanziale  e  special
preventiva della sospensione condizionale  della  pena,  il  disposto
normativo qui censurato istituzionalizza un  vero  e  proprio  «vuoto
giurisdizionale», la cui esistenza e' di  per  se'  indice  manifesto
della sua irragionevolezza. 
    In altri termini, a  legislazione  invariata,  nessuna  autorita'
giurisdizionale  ha  il  potere  di  vagliare  la   sussistenza   dei
presupposti  per  la   possibile   applicazione   della   sospensione
condizionale della pena nei confronti del soggetto in questione:  non
pote' farlo il  giudice  della  cognizione,  in  quanto  inibito  dal
quantum di pena (originariamente) inflitto; non puo' farlo il giudice
dell'esecuzione che, a seguito della diminuente  ex  art.  442  comma
2-bis c.p.p., applica  al  condannato,  autore  di  un  comportamento
processuale particolarmente meritevole, una pena infrabiennale. 
    Tale meccanismo normativo comporta, come conseguenza  pressocche'
automatica, l'applicazione di una pena potenzialmente  sproporzionata
nei  confronti  del  condannato,  in  astratto   meritevole   di   un
trattamento  sanzionatorio  alternativo  quale  quello  rappresentato
dalla sospensione condizionale. 
    L'individualizzazione del trattamento  sanzionatorio  costituisce
evidente attuazione del  «mandato  costituzionale  di  «personalita'»
della responsabilita' penale di cui all'art. 27, primo comma,  Cost.»
(Corte cost., sentenza n. 222 del 2018); al contempo,«...una pena non
proporzionata alla gravita' del fatto (e non percepita come tale  dai
condannato) si risolve in un ostacolo alla sua funzione  rieducativa»
(Corte cost., ult. cit.; ma v. gia', ex multis, sentenza n.  236  del
2016 e n. 68 del 2012). E come ormai da tempo la Corte, superando  la
concezione c.d.  polifunzionale  della  pena,  ha  inequivocabilmente
affermato, il rispetto della finalita' rieducativa della pena di  cui
all'art. 27 comma 3 della Costituzione, implica e al contempo  impone
un  «"principio  di  proporzione"  tra  qualita'  e  quantita'  della
sanzione,  da  una  parte,  e  offesa,  dall'altra»  e,  «lungi   dal
rappresentare  una  mera   generica   tendenza   riferita   ai   solo
trattamento, indica invece proprio una delle  qualita'  essenziali  e
generali che caratterizzano la pena nel suo  contenuto  ontologico  e
l'accompagnano da quando nasce, nell'astratta  previsione  normativa,
fino a quando in concreto si estingue» (Corte cost., sentenza n.  313
del 1990). 
    Da ultimo,  la  giurisprudenza  costituzionale  ha  vigorosamente
rimarcato «...allorche' le  pene  comminate  appaiano  manifestamente
sproporzionate rispetto alla gravita' del fatto previsto quale reato,
si profila un contrasto con gli artt. 3 e 27 Cost., giacche' una pena
non proporzionata alla gravita' del fatto si risolve in  un  ostacolo
alla sua funzione rieducativa (ex multis, sentenze n. 236  del  2016,
n. 68 del 2012 e n. 341 del 1994). I principi di cui agli artt.  3  e
27 Cost. "esigono di contenere la  privazione  della  liberta'  e  la
sofferenza inflitta alla persona umana nella misura minima necessaria
e sempre allo scopo di favorirne il cammino di recupero, riparazione,
riconciliazione e reinserimento sociale" (sentenza n. 179  del  2017)
in vista del "progressivo reinserimento armonico della persona  nella
societa', che  costituisce  l'essenza  della  finalita'  rieducativa"
della pena (da ultimo, sentenza n. 149 del 2018).  Al  raggiungimento
di tale impegnativo obiettivo posto dai principi costituzionali e' di
ostacolo l'espiazione di una pena  oggettivamente  non  proporzionata
alla gravita'  del  fatto,  quindi,  soggettivamente  percepita  come
ingiusta e inutilmente  vessatoria  e,  dunque,  destinata  a  non  -
realizzare lo scopo  rieducativo  verso  cui  obbligatoriamente  deve
tendere» (sentenza n.  40  del  2019;  v.,  da  ultimo,  sentenza  n.
102/2020). 
    Pertanto, l'impossibilita'  di  sospendere  condizionalmente  una
sanzione che, all'esito della diminuente  ex  art.  442  comma  2-bis
c.p.p.,  risulterebbe  sospendibile  comporta  l'applicazione  di  un
trattamento  sanzionatorio  sproporzionato  in  se',  in  quanto  non
necessario per il perseguimento delle finalita' di  risocializzazione
di cui all'art. 27, comma 3 Cose.,  nulla  apportando  alla  concreta
tutela dei diritti fondamentali dei soggetti coinvolti. 
    5. La non manifesta  infondatezza  della  questione:  una  lacuna
normativa intrinsecamente irragionevole in relazione alla ragionevole
durata del processo 
    Come puo' desumersi agevolmente  dalla  lettura  della  Relazione
illustrativa al decreto legislativo 150 del  2022,  l'introduzione  -
fedele e pedissequa attuazione del corrispondente criterio  direttivo
della legge delega - dell'istituto di cui all'art.  442  comma  2-bis
c.p.p. e' stata ispirata ad una «ratio deflattiva  dell'intervento  -
che collega alla totale acquiescenza,  e  al  connesso  risparmio  di
tempo e risorse  processuali,  l'ulteriore  trattamento  premiale  in
relazione alla pena inflitta». 
    Ma uno sguardo piu' ampio sull'intero  portato  della  riforma  -
spesso definita, non a caso, una riforma «di sistema» -  consente  di
delineare un  quadro  piu'  sinergico  e  composito  delle  finalita'
prefissate da legislatore, animato dal plurimo obiettivo di apportare
«...interventi  sul  sistema  sanzionatorio,  sinergici  con   quelli
relativi al processo, (che) consentono di:  ridurre  le  impugnazioni
(inappellabilita' delle sentenze di condanna  alla  pena  sostitutiva
del  lavoro  di  pubblica  utilita');  rendere  piu'  efficiente   il
procedimento  penale  nella  fase  dell'esecuzione  (riduzione  delle
misure alternative alla detenzione  per  i  condannati  in  stato  di
liberta', in favore di pene  sostitutive  applicate  dal  giudice  di
cognizione, con conseguente riduzione del numero e  ridimensionamento
della patologica  situazione  dei  c.d.  liberi  sospesi,  cioe'  dei
condannati a pena detentiva che attendono talora per anni,  in  stato
di liberta', la decisione dell'istanza di concessione di  una  misura
alternativa alla detenzione)...» (pag. 8 della relazione). 
    In altri termini, l'obiettivo «ultimo» del  legislatore  delegato
e' stato quello di consentire «...una anticipazione  dell'alternativa
al  carcere  all'esito  del  giudizio  di  cognizione»  mediante   la
riconosciuta possibilita' «....al giudice di cognizione di  applicare
pene, diverse  da  quella  detentiva,  destinate  a  essere  eseguite
immediatamente, dopo la definitivita' della  condanna,  senza  essere
«sostituite»  con  misure  alternative  da  parte  del  tribunale  di
sorveglianza, spesso a distanza di molto tempo dalla condanna  stessa
(come testimonia l'allarmante fenomeno  dei  c.d.  liberi  sospesi).»
(pag. 186 della relazione illustrativa al decreto legislativo n.  150
del 2022). 
    Non  occorre  trascurare,  inoltre,  che  la  stessa  sospensione
condizionale  della  pena  svolge  da  sempre  un  importante   ruolo
deflattivo,  sostanzialmente  depotenziando   enormemente   la   fase
esecutiva del trattamento, appannaggio prevalente del procedimento di
sorveglianza. 
    Le statistiche del Ministero  della  giustizia,  riportate  dalla
Relazione illustrativa di accompagnamento al decreto legislativo  150
del 2022 confermano il successo  applicativo  dell'istituto:  il  50%
delle condanne a pena detentiva di qualsiasi ammontare, nel  decennio
2011-2021, e' infatti rappresentato da condanne a pena sospesa. 
    Orbene, cio' premesso, la lacuna normativa qui censurata si  pone
altresi' in contrasto con il  principio  di  ragionevole  durata  del
processo  e,  cli  conseguenza,  con  la  finalita'   di   deflazione
processuale posta a fondamento sia dell'art. 442 comma  2-bis  c.p.p.
sia della sospensione condizionale della pena. 
    Come   sostenuto   dalla   giurisprudenza   costituzionale,    la
ragionevole durata e' oggetto, «oltreche' di un interesse collettivo,
di un diritto di tutte le parti, costituzionalmente tutelato non meno
di quello ad un giudizio equo e imparziale, come  oggi  espressamente
risulta dal dettato dell'art. 111 co. 2 Cost;  (C.  cost.,  21  marzo
2002 n. 78, altresi' C. cost., 26 aprile 2018 n. 88). La garanzia  in
esame  e'  funzionale,  come  piu'  volte   affermato   anche   dalla
giurisprudenza sovranazionale, a tutelare il relativo  titolare  «dal
rischio cli restare troppo  a  lungo  nell'incertezza  della  propria
sorte» (C. euro  10  novembre  1969,  §  5:  («in  criminal  matters,
especially, il is designed to avoid  that  a  person  charged  should
remain too long in a state of  uncertainty  about  his  fate»;),  sul
presupposto che tale condizione nel processo penale -  a  prescindere
dall'esito piu' o meno fausto - sia cli per se' fonte  di  sofferenza
individuale. 
    Il principio, come e'  noto,  affonda  le  sue  radici  non  solo
nell'art. 111 co. 2 Cost., ma  altresi'  in  una  congerie  di  norme
internazionale,  parimenti  violate  dal   combinato   disposto   qui
censurato (artt. 6 CEDU per il tramite dell'art. 117 Cast.,  art.  47
CDFUE, nonche' art. 14 lett. c del Patto internazionale  sui  diritti
civili e politici) e, per pacifica  giurisprudenza  costituzionale  e
convenzionale, si estende non solo a tutela dell'indagato  che  abbia
avuto conoscenza del procedimento a suo carico (C. cost.,  23  luglio
2015 n. 184) e dell'imputato (Corte  EDU,  15  luglio  1982,  ,§  73,
secondo cui i termini «charge» e «charged» alludono a: «the  official
notification given to an individual by the competent authority of  an
allegation that he has committed a  criminal  offence,  a  difinition
that also corresponds to the  test  whether  "the  situation  of  the
[suspect] has been substantially affected"». V.  anche  C.  eur.,  10
dicembre 1982, , §34. Piu' di recente, Corte EDU, 5 ottobre 2017,  ,§
36: «The Court reiterates that in criminal matters,  the  "reasonable
time" referred to in Article 6 § 1 begins to run as soon as a  person
is "charged": A "criminal charge" exists  from  the  moment  that  an
individual is officially notified by the competent  authority  of  an
allegation that he has committed a  criminal  offence,  or  from  the
point at which his  situation  has  been  substantially  affected  by
actions taken by the authorities as a result of a  suspicion  against
him»; cfr. anche, da ultimo, Corte EDU, 20  giugno  2019,  §  44)  ma
anche alla fase esecutivo - trattamentale del processo. 
    Il  principio  della  ragionevole  durata  del   processo,   come
interpretato dalla giurisprudenza convenzionale,  obbliga  gli  Stati
membri, in primo luogo, «a organizzare il loro sistema giudiziario in
modo che le giurisdizioni possano assolvere all'esigenza di celebrare
i processi in termini ragionevoli» (C. eur., GC,  29  marzo  2006,  ,
cit., in particolare §§  183-187),  prescrivendo  al  legislatore  di
porre le condizioni. ordinamentali, organizzative e processuali  piu'
idonee al  conseguimento  degli  obiettivi  connessi  ad  un  congruo
accertamento processuale. 
    Cio' premesso, l'inibizione per  il  giudice  dell'esecuzione  di
valutare il riconoscimento della sospensione condizionale della  pena
nei confronti del soggetto che, ormai condannato in via definitiva, a
seguito dell'applicazione della diminuente ex art.  442  comma  2-bis
c.p.p., si trovi destinatario  di  una  pena  infrabiennale,  tramuta
quest'ultimo - in esatta antitesi a quanto propugnato  dalla  Riforma
Cartabia, che mirava ad eliminare il fenomeno -  in  un  cd.  «libero
sospeso», il cui trattamento sanzionatorio - con  ogni  probabilita',
extracarcerario  stante  il  quantum  di   pena   -   dovra'   essere
supervisionato e gestito dalla Magistratura di  sorveglianza,  previa
emissione di un ordine di carcerazione da parte del PM, eventualmente
sospeso ove ne ricorrano le condizioni. 
    Laddove, in caso contrario, non sussistano i presupposti  per  il
riconoscimento   della   sospensione   dell'ordine   di    esecuzione
addirittura il trattamento sanzionatorio del  soggetto  in  questione
sara' veicolato attraverso un nocivo e  temporaneo  contatto  con  il
carcere, in completo dispregio della necessita'  di  evitare  il  cd.
fenomeno   delle   «porte   girevoli»,   anticamera   degli   effetti
desocializzanti delle pene detentive brevi, che pure  il  legislatore
delegato mirava a contenere. 
    Dalle ragioni sovraesposte, dunque, appare evidente che la lacuna
normativa censurata non solo non consente di raggiungere le finalita'
rieducative  e  di  deflazione  processuale  connesse  agli  istituti
coinvolti, ma si pone in chiave antagonista rispetto a queste ultime,
ostacolando la realizzazione di trattamenti sanzionatori  alternativi
al carcere gia' in fase di  cognizione  ed  inflazionando  in  misura
deteriore il gia' gravato procedimento di sorveglianza. 
    Tutto cio' premesso,