TRIBUNALE DI NOLA Sezione GIP/GUP Il giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Nola, dott. Raffaele Muzzica, in funzione di giudice dell'esecuzione ha pronunciato la seguente Ordinanza nel procedimento penale nei confronti di D A , nato a il elettivamente domiciliato ex art. 161 c.p.p. in Afragola via Niccolo' Paganini n. 6, difeso di fiducia dall'avv. Biagio Bianco, del foro di Napoli Nord imputato: A) del delitto p. e p. dagli artt. 56-110 629 commi 1 e 2 e p. in riferimento all'art. 628 comma 3 n1 c.p. perche' in unione e concorso con altra persona in corso di identificazione al fine di trarne un ingiusto profitto mediante minaccia consistita nel rappresentare a P M che per poter rientrare in possesso dell'autovettura tg avrebbe dovuto consegnargli la somma di euro , compiva atti idonei diretti in modo non equivoco a costringere la predetta p.o. a pagare la somma anzidetta. Evento non verificatosi per cause indipendenti dalla sua volonta' (intervento delle forze dell'ordine). Con l'aggravante di aver commesso il fatto in piu' persone riunite. In il B) del delitto p. e p. dagli art. 61 n. 2 110- 648 c. p. per avere in concorso con altra persona in corso di identificazione ed al fine di trame un profitto acquistato o comunque ricevuto l'autovettura tg di illecita provenienza a lui nota in quanto provento di furto in danno di P M denunciato in data 19 ottobre 2023. Con l'aggravante di aver commesso il fatto al fine di eseguire il reato di cui sub a). In in epoca anteriore e prossima al nei confronti di: P M , nata a , il , ivi residente in n . (non costituita parte civile), per sollevare questione di legittimita' costituzionale dell'art. 442 comma 2-bis c.p.p. nella parte in cui non prevede che il giudice dell'esecuzione possa concedere la sospensione condizionale della pena e la non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale, ove la diminuzione automatica di pena per la mancata impugnazione della sentenza di condanna emessa in sede di giudizio abbreviato comporti l'applicazione di una pena contenuta nei limiti di legge di cui all'art. 163 c.p. e ricorrendone gli ulteriori presupposti, per violazione degli artt. 3, 27, commi 1 e 3, 111, 117 Cost. in riferimento all'art. 6 CEDU 1. Svolgimento del procedimento Il GIP in sede emetteva, su richiesta del PM, decreto di giudizio immediato nei confronti di D A in data 19 gennaio 2024, notificato all'imputato il 24 gennaio 2024. Con richiesta del 5 febbraio 2024 il difensore dell'imputato, munito di procura speciale, chiedeva definirsi il procedimento nelle forme del rito abbreviato. Questo giudice fissava l'udienza del 4 aprile 2024 per la delibazione sulla scelta del rito. Sentite le parti, ritenuto possibile decidere allo stato degli atti, questo giudice ammetteva il rito prescelto, in presenza dell'imputato regolarmente autorizzato stante il regime degli arresti domiciliari cui era sottoposto, ed invitava le parti a rassegnare le loro conclusioni. Al termine della discussione questo giudice si ritirava in Camera di consiglio per la decisione, pubblicando il dispositivo allegato al verbale d'udienza, con contestuale redazione dei motivi. Questo giudice dichiarava D A colpevole dei reati a lui ascritti e, esclusa la contestata aggravante di cui all'art. 628 comma 3 n. 1 c.p., riconosciute le circostanze attenuanti generiche equivalenti rispetto alla contestata aggravante di cui all'art. 61 n. 2 c.p., riconosciuti i reati avvinti dal vincolo della continuazione applicata la riduzione per il rito, lo condannava alla pena finale di . Con dichiarazione del 16 aprile 2024 l'imputato personalmente e per il tramite del suo difensore munito di procura speciale rinunciava all'atto di gravame, al fine di ottenere l'ulteriore diminuente prevista dall'art. 442 comma 2-bis c.p.p. Contestualmente il difensore istante chiedeva revocarsi la misura cautelare degli arresti domiciliari applicata nei confronti del D , nonche' concedere in suo favore il beneficio della sospensione condizionale della pena. In subordine rispetto a quest'ultima richiesta, il difensore chiedeva sollevarsi questione di legittimita' costituzionale in relazione al disposto dell'art. 442 comma 2-bis c.p.p., nella parte in cui non consente al giudice dell'esecuzione di concedere il beneficio, ove la diminuzione automatica di pena comporti l'applicazione di una pena contenuta nei limiti di legge di cui all'art. 163 c.p. Il giudice provvedeva con separati provvedimenti sulla richiesta di revoca della misura cautelare in atti e di applicazione della diminuente ex art. 442 comma 2-bis c.p.p., sollevando con la presente ordinanza questione di legittimita' costituzionale. 2. La rilevanza della questione La questione di legittimita' costituzionale e' rilevante nel caso di specie nei termini che seguono. Con ordinanza emessa in data 26 aprile 2024, questo giudice, su richiesta di parte, preso atto dell'intervenuta irrevocabilita' della sentenza di condanna emessa in sede di giudizio abbreviato nei confronti del prevenuto, applicava in suo favore la diminuente ex art. 442 comma 2-bis c.p.p. rideterminando la pena inflitta in quella di Il quantum di pena ottenuto, come osservato dal difensore istante, consentirebbe al D di poter godere del beneficio della sospensione condizionale della pena. Ricorrono, inoltre, ulteriori elementi idonei a fondare una prognosi favorevole circa l'astensione, da parte del D , dalla commissione di ulteriori reati. L'imputato, soggetto non piu' in giovanissima eta', era incensurato all'epoca dei fatti e non annovera ulteriori precedenti diversi da quello riportato nel presente procedimento. Come gia' documentato in atti, l'imputato sta partecipando ad un percorso di recupero della sua dipendenza dal gioco e si e' mostrato sin da subito collaborativo nei primi contatti con le forze dell'ordine. Nonostante il regime cautelare domiciliare cui e' stato sottoposto fin dal 24 ottobre 2023, non risultano segnalazioni o violazioni della misura a suo carico, fino alla revoca della misura cautelare disposta da questo giudice dopo il passaggio in giudicato della sentenza di condanna. Cio' premesso, questo giudice non ignora che, quanto alla possibile concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena da parte del giudice dell'esecuzione, il consolidato diritto vivente, enucleato dalle Sezioni unite della Suprema Corte di cassazione, stabilisce che «il giudice dell'esecuzione puo' compiere proprie autonome valutazioni, sempre che queste non contraddicano quelle del giudice della cognizione (Cass., Sez. I, 20 maggio 1994, rv. 198342; Sez. VI, 14 marzo 1994, ; rv. 197801)» e che «l'intervento a concessione del beneficio si giustifica solo se nel pregresso giudizio l'unico motivo della mancata applicazione del beneficio e' identificabile non nella presenza di una valutazione prognostica della pericolosita' dell'imputato, ma nel solo effetto preclusivo della sentenza di condanna successivamente revocata per intervenuta abolizione del reato» (Sez. Un. 20 dicembre 2005, n. 4687, rv. 232610). Nel caso di specie questo giudice, in veste di giudice della cognizione, si limitava ad attestare l'insussistenza del margine (edittale) per il riconoscimento della sospensione condizionale della pena (dato di per se' autosufficiente ed assorbente), motivando in ordine alla (diversa) prognosi correlata alla potenziale applicazione delle pene sostitutive previste dall'ordinamento. Ne consegue, dunque, che non appare ostativa la parte motivazionale contenuta nella sentenza di condanna («Non vi e' margine, infatti, per il riconoscimento della pena sospesa nei confronti del D ne' per alcuna delle pene sostitutive previste dall'ordinamento, stante il quantum di pena inflitto, l'allarme sociale e la gravita' dei fatti, nonche' l'assenza di ogni richiesta in tal senso proveniente dall'imputato - peraltro tuttora sottoposto a regime cautelare peri fatti in contestazione - ne' da/suo difensore, non munito all'uopo di procura speciale»); D'altronde, a tutto voler concedere, come insegnato dalle sezioni unite prima citate, il giudice dell'esecuzione puo' effettuare il «Favorevole giudizio prognostico richiesto dall'art. 164, comma primo, codice penale, sulla base non solo della situazione esistente al momento in cui era stata pronunciata la condanna in questione, ma anche degli elementi sopravvenuti». Occorre valorizzare, in tal senso, il comportamento processuale del D che, a fronte di una condanna a pena detentiva non sospesa, prestava acquiescenza e non presentava appello: cio' costituisce ulteriore elemento che, in uno con quelli gia' evidenziati (il D non ha tuttora interrotto la frequenza del suo percorso di recupero trattamentale e non ha realizzato violazioni della misura cautelare su di lui gravante), consentirebbe al giudice di effettuare positivamente il vaglio richiesto dall'art. 164 c.p. 3. L'impossibilita' di una interpretazione costituzionalmente conforme Tanto premesso in punto cli rilevanza della questione, ritiene lo scrivente che l'impossibilita' per il giudice dell'esecuzione di valutare la concedibilita' della sospensione condizionale della pena nei confronti del prevenuto che, a seguito della diminuente ex art. 442 comma 2-bis c.p.p., risulti condannato a pena infrabiennale, sia contraria al principio di ragionevolezza (art. 3 Cost.), in relazione alla finalita' rieducativa della pena (art. 27, comma 3 Cost.), nonche' alla regola della ragionevole durata del processo (art. 111 Cost. e 6 CEDU, per il tramite dell'art. 117 Cost.). Mutatis mutandis, onde evitare inutili ripetizioni, le ragioni che di seguito si esporranno con riferimento all'istituto della sospensione condizionale della pena si devono intendere estese altresi' al similare e affine istituto della non menzione della condanna nel casellario giudiziale. Cio' nonostante, questo giudice ritiene impraticabile una interpretazione costituzionalmente orientata della norma. La concedibilita' della sospensione condizionale della pena in fase esecutiva costituisce un'acquisizione pacifica nell'attuale sistema processuale. Non solo il codice di rito prevede espressamente tale possibilita' nel caso in cui il giudice dell'esecuzione riconosca il beneficio del cumulo giuridico connesso agli istituti della continuazione o del concorso formale (art. 671 comma. 3 c.p.p. 3. - «Il giudice dell'esecuzione puo' concedere altresi' la sospensione condizionale della pena e la non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale, quando cio' consegue al riconoscimento del concorso formale o della continuazione. Adotta infine ogni altro provvedimento conseguente») ma la giurisprudenza di legittimita' delle Sezioni unite ha riconosciuto analogo potere in ulteriori ambiti del giudizio esecutivo, mediante una sapiente applicazione della cd. «teoria dei poteri impliciti». In altri termini, dall'ordito argomentativo delle pronunce della Suprema Corte si desume il principio secondo il quale, una volta dimostrato che la legge processuale demanda al giudice una determinata funzione, allo stesso giudice deve essere conferita la titolarita' di tutti i poteri necessari all'esercizio di quella medesima attribuzione: sicche' e' consequenziale inferirne che l'eliminazione dell'effetto ostativo alla concessione della sospensione condizionale della pena comporta necessariamente la titolarita' dei poteri funzionali al conseguimento di tale risultato. Pertanto, sulla base di questo principio, la Suprema Corte di cassazione ha riconosciuto che «Il giudice dell'esecuzione, qualora, in applicazione dell'art. 673 codice procedura penale, pronunci per intervenuta «abolitio criminis» ordinanza di revoca di precedenti condanne, le quali siano state a suo tempo di ostacolo alla concessione della sospensione condizionale della pena per altra condanna, puo', nell'ambito dei provvedimenti conseguenti» alla suddetta pronuncia, concedere il beneficio, previa formulazione del favorevole giudizio prognostico richiesto dall'art. 164, comma primo, codice penale, sulla base non solo della situazione esistente al momento in cui era stata pronunciata la condanna in questione, ma anche degli elementi sopravvenuti. «(Sez. Un., Sentenza n. 4687 del 20 dicembre 2005 Cc. (dep. 6 febbraio 2006) Rv. 232610-01). Piu' di recente, ribadendo il precedente orientamento, la Suprema Corte ha statuito che «Il giudice della esecuzione, nel rideterminare la pena applicata con sentenza irrevocabile ex art. 444 codice procedura penale, divenuta illegale a seguito della sentenza n. 32 del 2014 della Corte costituzionale, puo' disporre la sospensione condizionale della pena. (In motivazione la Corte ha chiarito che al giudice, in presenza di una pena nuovamente , incordata dalle patti ai sensi dell'att. 188 disp. att. codice procedura generale, qualora ritenga di non applicare le sospensioni condizionali della pena, non puo' respingere il nuovo accordo, ma deve comunque recepirlo escludendo il beneficio)» (Sez. Un. , Sentenza n. 37107 del 26 febbraio 2015 Cc. (dep. 15 settembre 2015) Rv. 264859-01), precisando, nella parte motivazionale che «anche nelle residuali ipotesi di autonoma rideterminazione della pena il giudice dell'esercitazione possa disporre la sospensione condizionale della pena» Sulla falsariga dell'autorevole avallo delle Sezioni unite, le Sezioni semplici della Suprema Corte hanno chiarito che anche «in caso di annullamento senza rinvio di uno o piu' capi di condanna, spetta al giudice dell'esecuzione provvedere sulla istanza di sospensione condizionale, avanzata una non valutata nel giudizio di cognizione in quanto la pena complessivamente irrogata risultava superiore al limite di legge perla concedibilita' del beneficio» (Sez. 1, n. 16679 del 1° marzo 2013, Rv. 254570). In senso analogo, e' stato statuito «Il giudice dell'esecuzione, qualora, in applicazione dell'art. 669, comma 8, cod. proc. pen. , pronunci ordinanza di revoca del capo di una sentenza di condanna per essersi formato, sullo stesso fatto e contro la stessa persona, un giudicato assolutorio, puo', nel ridetermina: la penc. 1, disporne la sospensione condizionale, costituendo l'adozione dei provvedimenti conseguenti a tale decisione esplicazione di un potere coessenziale a quello di porre nel nulla il giudicato.» (Sez. 1, Sentenza n. 51692 del 30 ottobre 2018 Cc. (dcp. 15 novembre 2018) Rv. 274547 - 01). Dalla sintetica disamina del diritto vivente formatosi sul punto risulta evidente come l'attribuzione del potere di concedere la sospensione condizionale in executivis non scalfisce le statuizioni irrevocabili del giudice della cognizione ed ha una funzione meramente integrativa del titolo esecutivo. Infatti, se nel pregresso giudizio l'unico motivo della mancata applicazione del beneficio e' identificabile in un effetto preclusivo «esterno» - la sentenza di condanna successivamente revocata per intervenuta abolizione del reato, il quantum di pena ostativo - non puo' certamente ravvisarsi alcun reale vulmus al giudicato qualora quel giudizio prognostico che non e' stato compiuto dal giudice della cognizione sia compiuto, poi, dal giudice dell'esecuzione, eventualmente mediante una conoscenza ancor piu' approfondita ed estesa altresi' a fatti sopravvenienti. Nonostante tale assetto del diritto vivente, ritiene questo giudice che non sia praticabile alcuna interpretazione costituzionalmente conforme del dato normativo rappresentato dall'art. 442 comma 2-bis c.p.p., che si tradurrebbe, peraltro, in un'applicazione analogica del disposto dell'art. 671 comma 3 c.p.p. Le gia' citate sezioni unite della Suprema Corte (sentenza 20 dicembre 2005, n. 4687) hanno infatti affermato che la concessione della sospensione condizionale, nell'ipotesi di revoca della condanna per abolitio criminies, e' resa possibile esclusivamente dalla previsione, contenuta nell'art. 673, comma 1, c.p.p.., in forza della quale il giudice dell'esecuzione adotta tutti «i provvedimenti conseguenti» alla revoca stessa: previsione da collegare al principio di cui all'art. 2, secondo comma, c.p., in tema di cessazione degli effetti penali della condanna, tra i quali rientra quello impeditivo di una ulteriore concessione della sospensione condizionale della pena. Nella citata sentenza, la Suprema Corte, di contro, ha espressamente escluso che a siffatta conclusione possa pervenirsi sulla base di una applicazione analogica dell'art. 671, comma 3, c.p.p., sia pure «in nome dell'interpretazione secundum Constitutionem». Come osservato dalla Suprema Corte, «una simile operazione ermeneutica risulterebbe infatti impedita dalla natura eccezionale di detta norma, la quale deroga al principio generale secondo cui il giudizio prognostico sulla futura condotta del reo - costituente il presupposto per la concessione della sospensione condizionale - e' ordinariamente riservato al giudice della cognizione, che ha accertato la responsabilita' del soggetto per il fatto cui il beneficio andrebbe applicato». La praticabilita' di un'applicazione analogica costituzionalmente conforme e' preclusa dallo sbarramento segnato dall'art. 14 delle Disposizioni sulla legge in generale, che vieta di applicare le leggi che fanno eccezione a regole generali oltre i casi in esse considerate. Invero, conformemente all'opinione consolidata della giurisprudenza di legittimita', la (tendenziale) immodificabilita' del giudicato corrisponde ad un principio generale dell'ordinamento derogabile solo nei casi previsti dalla legge (Sez. Un. , sent. 24 ottobre 2013, n. 18821; Sez. un. pen. , 29 maggio 2014 (dep. 14 ottobre 2014) n. 42858). Nel caso di specie, nessun appiglio normativo consente al giudice dell'esecuzione, nel rideterminare la pena ex art. 442 comma 2-bis c.p.p., di «adottare i provvedimenti conseguenti», ovvero di delibare il possibile riconoscimento della sospensione condizionale della pena nei confronti del condannato, ormai destinatario di una pena infrabiennale, stante il completo silenzio del legislatore sul punto. 4. La non manifesta infondatezza della questione: una lacuna normativa intrinsecamente irragionevole in relazione alla funzione rieducativa della pena Preliminarmente, la giurisprudenza di legittimita' che ha avuto modo di pronunciarsi finora sull'ambito applicativo dell'istituto di cui all'art. 442 comma 2-bis c.p.p., ne ha riconosciuto la pacifica natura sostanziale (Sez. 2, Sentenza n. 4237 del 17 novembre 2023 Ud. (dep. 31 gennaio 2024) Rv. 285820 - O), sulla falsariga dei precedenti arresti delle Sezioni unite in casi analoghi (cfr. Sez. un. , n. 2977 del 6 marzo 1992, ; Sez. Un. , n. 18821 del 24 ottobre 2013, ), affermando che puo', dunque, in conclusione affermarsi che e' ormai acquisito nel nostra sistema giuridico il principio secondo cui trattamento sanzionatorio, anche laddove collegato alla scelta del rito, finisce sempre con avere ricadute sostanziali». D'altronde, e' altrettanto pacifica la funzione special preventiva della sospensione condizionale della pena (Sez. 5, n. 21557 del 2 febbraio 2015, , Rv. 263675; Sez. 2, n. 22342 del 15 febbraio 2013, Rv. 255665 - 01; Sez. 5, n. 4527 del 3 novembre 2010, dep. 2011, Rv. 249248), come riconosciuto testualmente, piu' di recente, da Sez. 5, Sentenza n. 46834 del 12 ottobre 2022 Ud. (dep. 12 dicembre 2022) Rv. 283902-0 secondo cui «In vero, l'ubicazione della disciplina della sospensione condizionale nell'ambito del titolo VI del Libro Primo del codice penale, rubricato «Della estinzione della reato e della pena)), oltre ad essere criticata oltremodo in dottrina, non osta comunque a ritenere che anche l'istituto della sospensione condizionale debba essere ricondotto nell'ambito del trattamento sanzionatorio, in quanto incidente sulla effettiva commisurazione e afflittivita' della pena». Ed infatti, attraverso il riconoscimento o meno della sospensione condizionale della pena si ha l'applicazione nel caso concreto della sanzione, laddove il giudice ne ritenga necessaria, a fini rieducativi, la materiale esecuzione o la mera minaccia (Sez. 3, n. 28690 del 9 febbraio 2017, Rv. 270588-01; Sez. 1, n. 53632 dell'11 luglio 2017, Rv. 271820-01, Sez. 4, n. 21238 del 2 ottobre 2014, dep. 21 maggio 2015, , Rv. 263851-01, Sez. 3, n. 11091 del 27 gennaio 2010, ,Rv. 246440-01). La finalita' special preventiva dell'istituto della sospensione condizionale e' stata ribadita da ultimo anche da Sez. Un. , n. 37503 del 23 giugno 2022, , Rv. 283577 - 01, che in tema di fissazione del termine previsto dall'art. 165, comma 6 c.p. hanno chiaramente statuito che «l'applicazione di siffatti «obblighi» risponda all'esigenza di rafforzare la funzione special-preventiva che la sospensione condizionale della pena esplica nell'ambito del sistema sanzionatorio». D'altronde, la stessa Relazione illustrativa del decreto legislativo 150 del 2022 si mostra ben consapevole del ruolo e della funzione rappresentata dalla sospensione condizionale della pena nel nostro ordinamento, quale piu' antico istituto espressivo della cd. «lotta alla pena detentiva breve», in quanto «E' infatti da tempo diffusa e radicata, nel contesto internazionale, l'idea secondo etti una detenzione di breve durata comporta costi individuali e sociali maggiori rispetto ai possibili risultati attesi, in termini di risocializzazione dei condannati e di riduzione dei tassi di recidiva.» (pag. 351 della relazione illustrativa di accompagnamento del decreto legislativo 150 del 2022). Esplicitamente, la relazione cli accompagnamento si prefigge «un ragionevole coordinamento tra istituti diversi - sospensione condizionale della pena e pene sostitutive -, entrambi volti a contrastare l'esecuzione in carcere di pene detentive brevi». (pag. 385 della Relazione illustrativa di accompagnamento del decreto legislativo 150 del 2022). Cio' premesso, questo giudice non ignora che il legislatore conserva un margine di discrezionalita' nell'intervenire nell'ambito del sistema sanzionatorio (cfr. ordinanza Corte cost. n. 238 del 2019). Tuttavia, anche in tali ambiti le scelte legislative devono rispettare il limite della ragionevolezza, come pure la stessa Corte costituzionale ha piu' volte ribadito [ex multis, sentenza n. 185 del 2015: «Secondo la costante giurisprudenza costituzionale, l'individuazione delle condotte punibili e la configurazione del relativo trattamento sanzionatorio rientrano nella discrezionalita' legislativa, il cui esercizio non puo' formare oggetto di sindacato, sul piano della legittimita' costituzionale, salvo che si traduca in scelte manifestamente irragionevoli o arbitrarie (ex multis: sentenze n. 68 del 2012, n. 41 del 2010, n. 161 del 2009, n. 22 del 2007 e n. 394 del 2006)»]. Ebbene, come subito piu' dettagliatamente si illustrera' facendo applicazione dei suddetti criteri direttivi tracciati dalla Corte, l'attuale impossibilita' di valutare il riconoscimento della sospensione condizionale della pena a seguito dell'applicazione della diminuente ex art. 442 comma 2-bis c.p.p. sembra costituire una di quelle «manifeste ragioni di irrazionalita' o discriminazioni prive di fondamento giuridico, che sole potrebbero consentire di sindacare [l'] ampio potere discrezionale riservato al legislatore» (Sent. 175 del 1997, ma anche 416 del 1996; nn. 295 e 188 del 1995), in riferimento alla quale sarebbe consentita alla Corte «una valutazione di legittimita' costituzionale [...] fondata soltanto su una irrazionalita' manifesta, irrefutabile)) (Sent. n. 46 del 1993, ma anche n. 236 del 2008, n. 81 del 1992, 206 del 1999). L'impossibilita' di riconoscere il beneficio della sospensione condizionale della pena nel caso di applicazione della diminuente ex art. 442 comma 2-bis c.p.p. produce di per se' effetti distonici rispetto agli scopi prefissati dal legislatore e, pertanto, sproporzionati ed irragionevoli, nell'accezione del giudizio di ragionevolezza fatta propria dalla giurisprudenza della Corte costituzionale («il giudizio di ragionevolezza, lungi dal comportare il ricorso a criteri di valutazione assoluti e astrattamente prefissati, si svolge attraverso ponderazioni relative alla proporzionalita' dei mezzi prescelti dal legislatore nella sua insindacabile discrezionalita' rispetto alle esigenze obiettive da soddisfare o alle finalita' che intende, Perseguire. tenuto conto delle circostanze e delle limitazioni concretamente sussistenti» cfr. Corte cost. sent. 1130 del 1988; Corte cost. sent. 264 del 1996). D'altronde, come da tempo la stessa Corte costituzionale ha inequivocabilmente affermato «Il principio di proporzionalita' [va] inteso [... ] anche e soprattutto, quale "criterio generale" di congruenza degli strumenti normativi rispetto alle finalita' da perseguire» (Corte cost., sentenza n. 487 del 1989). In primo luogo, richiamando la natura sostanziale e special preventiva della sospensione condizionale della pena, il disposto normativo qui censurato istituzionalizza un vero e proprio «vuoto giurisdizionale», la cui esistenza e' di per se' indice manifesto della sua irragionevolezza. In altri termini, a legislazione invariata, nessuna autorita' giurisdizionale ha il potere di vagliare la sussistenza dei presupposti per la possibile applicazione della sospensione condizionale della pena nei confronti del soggetto in questione: non pote' farlo il giudice della cognizione, in quanto inibito dal quantum di pena (originariamente) inflitto; non puo' farlo il giudice dell'esecuzione che, a seguito della diminuente ex art. 442 comma 2-bis c.p.p., applica al condannato, autore di un comportamento processuale particolarmente meritevole, una pena infrabiennale. Tale meccanismo normativo comporta, come conseguenza pressocche' automatica, l'applicazione di una pena potenzialmente sproporzionata nei confronti del condannato, in astratto meritevole di un trattamento sanzionatorio alternativo quale quello rappresentato dalla sospensione condizionale. L'individualizzazione del trattamento sanzionatorio costituisce evidente attuazione del «mandato costituzionale di «personalita'» della responsabilita' penale di cui all'art. 27, primo comma, Cost.» (Corte cost., sentenza n. 222 del 2018); al contempo,«...una pena non proporzionata alla gravita' del fatto (e non percepita come tale dai condannato) si risolve in un ostacolo alla sua funzione rieducativa» (Corte cost., ult. cit.; ma v. gia', ex multis, sentenza n. 236 del 2016 e n. 68 del 2012). E come ormai da tempo la Corte, superando la concezione c.d. polifunzionale della pena, ha inequivocabilmente affermato, il rispetto della finalita' rieducativa della pena di cui all'art. 27 comma 3 della Costituzione, implica e al contempo impone un «"principio di proporzione" tra qualita' e quantita' della sanzione, da una parte, e offesa, dall'altra» e, «lungi dal rappresentare una mera generica tendenza riferita ai solo trattamento, indica invece proprio una delle qualita' essenziali e generali che caratterizzano la pena nel suo contenuto ontologico e l'accompagnano da quando nasce, nell'astratta previsione normativa, fino a quando in concreto si estingue» (Corte cost., sentenza n. 313 del 1990). Da ultimo, la giurisprudenza costituzionale ha vigorosamente rimarcato «...allorche' le pene comminate appaiano manifestamente sproporzionate rispetto alla gravita' del fatto previsto quale reato, si profila un contrasto con gli artt. 3 e 27 Cost., giacche' una pena non proporzionata alla gravita' del fatto si risolve in un ostacolo alla sua funzione rieducativa (ex multis, sentenze n. 236 del 2016, n. 68 del 2012 e n. 341 del 1994). I principi di cui agli artt. 3 e 27 Cost. "esigono di contenere la privazione della liberta' e la sofferenza inflitta alla persona umana nella misura minima necessaria e sempre allo scopo di favorirne il cammino di recupero, riparazione, riconciliazione e reinserimento sociale" (sentenza n. 179 del 2017) in vista del "progressivo reinserimento armonico della persona nella societa', che costituisce l'essenza della finalita' rieducativa" della pena (da ultimo, sentenza n. 149 del 2018). Al raggiungimento di tale impegnativo obiettivo posto dai principi costituzionali e' di ostacolo l'espiazione di una pena oggettivamente non proporzionata alla gravita' del fatto, quindi, soggettivamente percepita come ingiusta e inutilmente vessatoria e, dunque, destinata a non - realizzare lo scopo rieducativo verso cui obbligatoriamente deve tendere» (sentenza n. 40 del 2019; v., da ultimo, sentenza n. 102/2020). Pertanto, l'impossibilita' di sospendere condizionalmente una sanzione che, all'esito della diminuente ex art. 442 comma 2-bis c.p.p., risulterebbe sospendibile comporta l'applicazione di un trattamento sanzionatorio sproporzionato in se', in quanto non necessario per il perseguimento delle finalita' di risocializzazione di cui all'art. 27, comma 3 Cose., nulla apportando alla concreta tutela dei diritti fondamentali dei soggetti coinvolti. 5. La non manifesta infondatezza della questione: una lacuna normativa intrinsecamente irragionevole in relazione alla ragionevole durata del processo Come puo' desumersi agevolmente dalla lettura della Relazione illustrativa al decreto legislativo 150 del 2022, l'introduzione - fedele e pedissequa attuazione del corrispondente criterio direttivo della legge delega - dell'istituto di cui all'art. 442 comma 2-bis c.p.p. e' stata ispirata ad una «ratio deflattiva dell'intervento - che collega alla totale acquiescenza, e al connesso risparmio di tempo e risorse processuali, l'ulteriore trattamento premiale in relazione alla pena inflitta». Ma uno sguardo piu' ampio sull'intero portato della riforma - spesso definita, non a caso, una riforma «di sistema» - consente di delineare un quadro piu' sinergico e composito delle finalita' prefissate da legislatore, animato dal plurimo obiettivo di apportare «...interventi sul sistema sanzionatorio, sinergici con quelli relativi al processo, (che) consentono di: ridurre le impugnazioni (inappellabilita' delle sentenze di condanna alla pena sostitutiva del lavoro di pubblica utilita'); rendere piu' efficiente il procedimento penale nella fase dell'esecuzione (riduzione delle misure alternative alla detenzione per i condannati in stato di liberta', in favore di pene sostitutive applicate dal giudice di cognizione, con conseguente riduzione del numero e ridimensionamento della patologica situazione dei c.d. liberi sospesi, cioe' dei condannati a pena detentiva che attendono talora per anni, in stato di liberta', la decisione dell'istanza di concessione di una misura alternativa alla detenzione)...» (pag. 8 della relazione). In altri termini, l'obiettivo «ultimo» del legislatore delegato e' stato quello di consentire «...una anticipazione dell'alternativa al carcere all'esito del giudizio di cognizione» mediante la riconosciuta possibilita' «....al giudice di cognizione di applicare pene, diverse da quella detentiva, destinate a essere eseguite immediatamente, dopo la definitivita' della condanna, senza essere «sostituite» con misure alternative da parte del tribunale di sorveglianza, spesso a distanza di molto tempo dalla condanna stessa (come testimonia l'allarmante fenomeno dei c.d. liberi sospesi).» (pag. 186 della relazione illustrativa al decreto legislativo n. 150 del 2022). Non occorre trascurare, inoltre, che la stessa sospensione condizionale della pena svolge da sempre un importante ruolo deflattivo, sostanzialmente depotenziando enormemente la fase esecutiva del trattamento, appannaggio prevalente del procedimento di sorveglianza. Le statistiche del Ministero della giustizia, riportate dalla Relazione illustrativa di accompagnamento al decreto legislativo 150 del 2022 confermano il successo applicativo dell'istituto: il 50% delle condanne a pena detentiva di qualsiasi ammontare, nel decennio 2011-2021, e' infatti rappresentato da condanne a pena sospesa. Orbene, cio' premesso, la lacuna normativa qui censurata si pone altresi' in contrasto con il principio di ragionevole durata del processo e, cli conseguenza, con la finalita' di deflazione processuale posta a fondamento sia dell'art. 442 comma 2-bis c.p.p. sia della sospensione condizionale della pena. Come sostenuto dalla giurisprudenza costituzionale, la ragionevole durata e' oggetto, «oltreche' di un interesse collettivo, di un diritto di tutte le parti, costituzionalmente tutelato non meno di quello ad un giudizio equo e imparziale, come oggi espressamente risulta dal dettato dell'art. 111 co. 2 Cost; (C. cost., 21 marzo 2002 n. 78, altresi' C. cost., 26 aprile 2018 n. 88). La garanzia in esame e' funzionale, come piu' volte affermato anche dalla giurisprudenza sovranazionale, a tutelare il relativo titolare «dal rischio cli restare troppo a lungo nell'incertezza della propria sorte» (C. euro 10 novembre 1969, § 5: («in criminal matters, especially, il is designed to avoid that a person charged should remain too long in a state of uncertainty about his fate»;), sul presupposto che tale condizione nel processo penale - a prescindere dall'esito piu' o meno fausto - sia cli per se' fonte di sofferenza individuale. Il principio, come e' noto, affonda le sue radici non solo nell'art. 111 co. 2 Cost., ma altresi' in una congerie di norme internazionale, parimenti violate dal combinato disposto qui censurato (artt. 6 CEDU per il tramite dell'art. 117 Cast., art. 47 CDFUE, nonche' art. 14 lett. c del Patto internazionale sui diritti civili e politici) e, per pacifica giurisprudenza costituzionale e convenzionale, si estende non solo a tutela dell'indagato che abbia avuto conoscenza del procedimento a suo carico (C. cost., 23 luglio 2015 n. 184) e dell'imputato (Corte EDU, 15 luglio 1982, ,§ 73, secondo cui i termini «charge» e «charged» alludono a: «the official notification given to an individual by the competent authority of an allegation that he has committed a criminal offence, a difinition that also corresponds to the test whether "the situation of the [suspect] has been substantially affected"». V. anche C. eur., 10 dicembre 1982, , §34. Piu' di recente, Corte EDU, 5 ottobre 2017, ,§ 36: «The Court reiterates that in criminal matters, the "reasonable time" referred to in Article 6 § 1 begins to run as soon as a person is "charged": A "criminal charge" exists from the moment that an individual is officially notified by the competent authority of an allegation that he has committed a criminal offence, or from the point at which his situation has been substantially affected by actions taken by the authorities as a result of a suspicion against him»; cfr. anche, da ultimo, Corte EDU, 20 giugno 2019, § 44) ma anche alla fase esecutivo - trattamentale del processo. Il principio della ragionevole durata del processo, come interpretato dalla giurisprudenza convenzionale, obbliga gli Stati membri, in primo luogo, «a organizzare il loro sistema giudiziario in modo che le giurisdizioni possano assolvere all'esigenza di celebrare i processi in termini ragionevoli» (C. eur., GC, 29 marzo 2006, , cit., in particolare §§ 183-187), prescrivendo al legislatore di porre le condizioni. ordinamentali, organizzative e processuali piu' idonee al conseguimento degli obiettivi connessi ad un congruo accertamento processuale. Cio' premesso, l'inibizione per il giudice dell'esecuzione di valutare il riconoscimento della sospensione condizionale della pena nei confronti del soggetto che, ormai condannato in via definitiva, a seguito dell'applicazione della diminuente ex art. 442 comma 2-bis c.p.p., si trovi destinatario di una pena infrabiennale, tramuta quest'ultimo - in esatta antitesi a quanto propugnato dalla Riforma Cartabia, che mirava ad eliminare il fenomeno - in un cd. «libero sospeso», il cui trattamento sanzionatorio - con ogni probabilita', extracarcerario stante il quantum di pena - dovra' essere supervisionato e gestito dalla Magistratura di sorveglianza, previa emissione di un ordine di carcerazione da parte del PM, eventualmente sospeso ove ne ricorrano le condizioni. Laddove, in caso contrario, non sussistano i presupposti per il riconoscimento della sospensione dell'ordine di esecuzione addirittura il trattamento sanzionatorio del soggetto in questione sara' veicolato attraverso un nocivo e temporaneo contatto con il carcere, in completo dispregio della necessita' di evitare il cd. fenomeno delle «porte girevoli», anticamera degli effetti desocializzanti delle pene detentive brevi, che pure il legislatore delegato mirava a contenere. Dalle ragioni sovraesposte, dunque, appare evidente che la lacuna normativa censurata non solo non consente di raggiungere le finalita' rieducative e di deflazione processuale connesse agli istituti coinvolti, ma si pone in chiave antagonista rispetto a queste ultime, ostacolando la realizzazione di trattamenti sanzionatori alternativi al carcere gia' in fase di cognizione ed inflazionando in misura deteriore il gia' gravato procedimento di sorveglianza. Tutto cio' premesso,