LA CORTE DI GIUSTIZIA TRIBUTARIA DI SECONDO GRADO DELLA CAMPANIA Sezione 16 Riunita in udienza il 5 luglio 2024 alle ore 11,00 con la seguente composizione collegiale: Clemente Antonio, Presidente; Serrao d'Aquino Pasquale, relatore; Troncone Fulvio, giudice; in data 5 luglio 2024 ha pronunciato la seguente ordinanza sull'appello n. 1371/2024 depositato il 25 febbraio 2024 proposto da P. A. - difeso da Amalia Pantano - PNTMLA83E56D086U ed elettivamente domiciliato presso amaliapantano@pec.giuffre.it contro Ag. entrate-riscossione - Napoli, difeso da Raffaele Olacco - LCCRFL56H28F839B Maria Cristina Porcelli - PRCMCR71T56F839D ed elettivamente domiciliato presso raffaeleolacco@avvocatinapoli.legalmail.it Avente ad oggetto l'impugnazione di: pronuncia sentenza n. 10455/2023 emessa dalla Corte di giustizia tributaria Primo grado Napoli sez. 21 e pubblicata il 21 luglio 2023. Atti impositivi: avviso di intimazione n. ... intimazione ... cartella di pagamento n. ... diritto annuale CCIAA ... cartella di pagamento n. ... IRPEF - addizionale regionale ... cartella di pagamento n. ... IRPEF - addizionale comunale ... cartella di pagamento n. ... IRPEF - altro ... cartella di pagamento n. ... IVA - altro ... cartella di pagamento n. ... IRAP ... cartella di pagamento n. ... IRPEF - addizionale regionale ... cartella di pagamento n. ... IRPEF - addizionale comunale ... cartella di pagamento n. ... IRPEF - altro ... cartella di pagamento n. ... IRAP ... cartella di pagamento n. ... diritto annuale CCIAA ... cartella di pagamento n. ... IRPEF - altro ... Elementi in fatto e diritto 1. A. P., con ricorso indirizzato all'Agenzia per la riscossione, ha impugnato l'intimazione di pagamento n. ..., per un importo complessivo pari ad euro ..., dei quali ... relativi a tributi ed in particolare: 1) cartella n. ... per mancato pagamento di Irap anno di riferimento ..., presumibilmente notificata al ricorrente in data 25 novembre 2016; 2) cartella n. ... per mancato pagamento dell'Irpef e Iva anno di riferimento ..., presumibilmente notificata al ricorrente in data 30 dicembre 2016; 3) cartella n. ... per mancato pagamento dell'Irpef, Iva, e Irap anno di riferimento ..., presumibilmente notificata al ricorrente in data 30 luglio 2018; 4) cartella n. ... per mancato pagamento dell'Irpef anno di riferimento ..., presumibilmente notificata al ricorrente in data 8 maggio 2019; 5) cartella n. ... per mancato pagamento dei diritti annuali Camera di commercio anno di riferimento ..., presumibilmente notificata al ricorrente in data 19 maggio 2019; 6) cartella n. ... per mancato pagamento dell'Irpef anno di riferimento ..., presumibilmente notificata al ricorrente in data 1° luglio 2019. 1.1. Il ricorso e' stato articolato in quattro motivi, cosi' titolati: a) Nullita'/illegittimita' dell'intimazione di pagamento per violazione dell'art. 7, comma 1, legge n. 212/2000; omessa allegazione, omessa relata di notifica con conseguente insanabilita' del vizio attinente un atto amministrativo (intimazione di pagamento). Inesistenza della notifica della intimazione di pagamento n. ... per impossibilita' di individuare se il soggetto che ha effettuato la notifica in uno dei soggetti a cio' abilitati ex art. 26/602; b) Illegittimita' della pretesa - violazione art. 17 decreto del Presidente della Repubblica n. 602/1973 prima della novella introdotta con il decreto-legge n. 106/2005 che lo ha abrogato - violazione di legge - prescrizione del credito - mancata notifica degli atti presupposti e conseguente nullita' e/o illegittimita' dell'intimazione di pagamento; c) Omessa indicazione delle modalita' di calcolo degli interessi e del tasso applicato; d) Difetto di motivazione. 1.2. L' Agenzia delle entrate-riscossione si e' costituita in giudizio chiedendo il rigetto del ricorso e sostenendo che l'intimazione e' stata regolarmente notificata cosi' come anche le ultime quattro cartelle (n. ..., n. ..., n. ... e n. ...). Ha inoltre evidenziato che le prime due cartelle, relative all'anno ..., attengono a tributi che si prescrivono pacificamente in dieci anni. Quanto al difetto di motivazione, ha dedotto che l'intimazione di pagamento e' correttamente motivata in tutti i suoi elementi, ivi compresa l'indicazione delle modalita' di calcolo degli interessi, come ben si evince dall'esame dell'atto. Ha chiesto, inoltre, di integrare il contraddittorio nei confronti dell'ente creditore. 1.3. Preliminarmente la Corte di giustizia tributaria di Primo grado ha rilevato che, secondo un principio consolidato nella giurisprudenza di legittimita', l'atto amministrativo di sollecito di pagamento e' autonomamente impugnabile. In secondo luogo, ha rigettato la richiesta di integrazione del contraddittorio «sia per la sua assoluta genericita', non avendo indicato l'Agenzia resistente nemmeno i soggetti da chiamare in giudizio, sia per la tardivita' della richiesta». La Corte di giustizia tributaria di Primo grado ha ritenuto fondato il ricorso esclusivamente con riferimento alle prime due cartelle (la n. ... e la n. ...) per la mancata prova della notifica, ritenendo le ulteriori cartelle ritualmente notificate. 2. Ha proposto appello il contribuente, con atto notificato il 30 gennaio 2024, chiedendo la riforma della sentenza con riguardo alla ritualita' della notifica delle cartelle, come accertata dal giudice di primo grado, deducendo che, quanto alle cartelle n. ...; n. ..., n. ...; n. ...; n. ..., dalla documentazione gia' versata in atti per tali cartelle non risulta alcuna prova dell'avvenuta notifica. Nel giudizio di primo grado l'Agenzia delle entrate-riscossione si e' limitata a produrre copia delle ricevute dell'avvenute notifiche nei confronti dell'odierno appellante delle cartelle n. ... e della n. ..., dalle quali si evince che la prima e' stata notificata nelle mani di un certo S. P. con dicitura «convivente» e la seconda e' stata notificata al sig. A. F., fratello dell'appellante. L'appellante, come ha gia' sostenuto con memorie depositate nei termini di legge, in relazione alla notifica della cartella n. ..., notificata nelle mani del sig. S. P., specifica nuovamente che il soggetto che avrebbe ritirato il plico in nome e per conto del sig. A., non solo non risulta conosciuto allo stesso appellante, ma anche e soprattutto - come si evince dal certificato storico di famiglia - non e' mai risultato convivente con il medesimo. In ogni caso, anche a ritenere veridiche le firme apposte sia da tale S. P. sia del sig. A. F., la stessa notifica risulterebbe essere affetta da nullita'. 2.1. L'Agenzia delle entrate-riscossione si e' costituita in appello deducendo che: la cartella di pagamento n. ..., e' stata notificata mediante consegna a mani di familiare convivente e risulta inviato l'avviso di legge a mezzo racc. n. ... come da distinta in atti; la cartella di pagamento n. ... e' stata notificata mediante consegna a mani di familiare convivente e risulta inviato l'avviso di legge a mezzo racc. n. ... come da distinta in atti; la cartella di pagamento n. ... e' stata notificata mediante consegna a mani di familiare convivente e risulta inviato l'avviso di legge a mezzo racc. n. ... come da distinta in atti; la cartella di pagamento n. ... e' stata notificata mediante consegna a mani di familiare convivente e risulta inviato l'avviso di legge a mezzo racc. n. ... come da distinta in atti; ad abundantiam la cartella di pagamento n. ... e' stata notificata mediante consegna a mani di familiare convivente e risulta inviato l'avviso di legge a mezzo racc. n. ... come da distinta in atti. Quanto poi alla doglianza per la quale i consegnatari degli atti non siano vincolati da legame di parentela con il destinatario dell'atto, l'ufficio fa rilevare che la circostanza, non solo non e' dimostrata ma, quand'anche lo fosse, non priverebbe di validita' la notificazione. Infatti, l'utilizzo della locuzione generica «familiare convivente» non indica necessariamente un rapporto di parentela, e in ogni caso la norma di riferimento, art. 60, lettera b)-bis decreto del Presidente della Repubblica n. 600/1973, esplicitamente fa riferimento a «familiare convivente». Inoltre, risulta come tutti i consegnatari dell'atto convivessero con il destinatario dell'atto, essendo rilevante, sul punto, la coincidenza della dimora del destinatario con il luogo della notificazione, fatto confermato dalla circostanza che i soggetti ivi rinvenuti in ogni occasione hanno ritirato gli atti. Rileva, inoltre, l'assolvimento, da parte dell'ufficiale incaricato della notificazione, dell'invio di avviso di consegna dell'atto a mani di persona diversa dal destinatario a mezzo raccomandata (senza necessita' di avviso di ricevimento a tenore della norma sopra richiamata), avviso regolarmente eseguito come da documentazione in atti. 2.2. Preliminarmente occorre rilevare che nel fascicolo di primo grado sono stati versati digitalmente quattro documenti: il doc. 1 e' costituito dalla notifica della cartella n. ...; il doc. 2 si riferisce ad una cartella estranea al presente giudizio; il doc. 4 e' costituito dalla notifica della cartella n. ...; il doc. 5 contiene l'intimazione pagamento impugnata nel presente giudizio. Non sono presenti, pertanto, tutte le relate di notifica delle quattro cartelle che il giudice di primo grado ha ritenuto validamente notificate e che costituiscono atti presupposti dell'intimazione di pagamento impugnata. Nel presente giudizio di appello, l'Agenzia per la riscossione ha prodotto oltre quindici documenti a dimostrazione della notifica delle cartelle sulla cui base e' stata emessa l'ingiunzione di pagamento. Il contribuente con memoria depositata il 24 giugno 2024, ha eccepito l'irritualita' di tale deposito, stante l'applicabilita' dell'art. 58, comma terzo, del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta nell'art. 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413) nella sua novellata formulazione. 3. Questa Corte di giustizia tributaria ritiene rilevante, e non manifestamente infondata, la questione di legittimita' costituzionale del vigente art. 58, comma terzo, del decreto legislativo n. 546 del 1992 per violazione degli articoli 3, primo comma, 24, secondo comma, 102, primo comma, e 111, primo e secondo comma, della Costituzione. 3.1. L'art. 58 del decreto legislativo n. 546 del 1992, nel testo previgente, prevedeva due regole distinte per l'acquisizione in appello di nuove prove. Per le prove costituente disponeva che «Il giudice d'appello non puo' disporre nuove prove, salvo che non le ritenga necessarie ai fini della decisione o che la parte dimostri di non averle potute fornire nel precedente grado di giudizio per causa ad essa non imputabile.» Per le prove costituite, invece, disponeva che «E' fatta salva la facolta' delle parti di produrre nuovi documenti». Secondo il diritto vivente, pertanto, era sempre consentita la produzione nel giudizio di appello di nuovi documenti, in cio' derogando rispetto a quanto previsto dall'art. 345 codice di procedura civile nel testo vigente in seguito alle modifiche operate dalla legge 18 giugno 2009, n. 69 (Disposizioni per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitivita' nonche' in materia di processo civile). 3.2. L'articolo in questione, tuttavia, e' stato sostituito dall'art. 1, comma 1, lettera bb) del decreto legislativo 30 dicembre 2023, n. 220, (Disposizioni in materia di contenzioso tributario), con effetto dal 4 gennaio 2024. La disposizione trova applicazione anche ai giudizi in corso. Il decreto legislativo 30 dicembre 2023, n. 220 ha infatti disposto (con l'art. 4, comma 2) che «Le disposizioni del presente decreto si applicano ai giudizi instaurati, in primo e in secondo grado, con ricorso notificato successivamente al 1° settembre 2024, fatta eccezione per quelle di cui all'art. 1, comma 1, lettere d), e), f), i), n), o), p), q), s), t), u), v), z), aa), bb), cc) e dd) che si applicano ai giudizi instaurati, in primo e in secondo grado, nonche' in Cassazione, a decorrere dal giorno successivo all'entrata in vigore del presente decreto». Il nuovo testo dell'art. 58 prevede che «Non sono ammessi nuovi mezzi di prova e non possono essere prodotti nuovi documenti, salvo che il collegio li ritenga indispensabili ai fini della decisione della causa ovvero che la parte dimostri di non aver potuto proporli o produrli nel giudizio di primo grado per causa ad essa non imputabile. 2. Possono essere proposti motivi aggiunti qualora la parte venga a conoscenza di documenti, non prodotti dalle altre parti nel giudizio di primo grado, da cui emergano vizi degli atti o provvedimenti impugnati. 3. Non e' mai consentito il deposito delle deleghe, delle procure e degli altri atti di conferimento di potere rilevanti ai fini della legittimita' della sottoscrizione degli atti, delle notifiche dell'atto impugnato ovvero degli atti che ne costituiscono presupposto di legittimita' che possono essere prodotti in primo grado anche ai sensi dell'art. 14, comma 6-bis.». Se il primo e il secondo comma dell'art. 58 ricalcano in parte, l'attuale formulazione dell'art. 345 codice di procedura civile in tema di nuove prove in appello (mancando pero' nel codice di rito il riferimento ai documenti «indispensabili»), il comma 3 introduce una deroga significativa, relativamente alla produzione di determinate categorie di documenti. Infatti, secondo il dato testuale, chiaramente insuperabile per l'espressione utilizzata, dichiara deroga ai commi precedenti («Non e' mai consentito»), i documenti descritti dal comma 3, anche se indispensabili per la decisione o anche ove la parte dimostri di non averli potuti produrre in primo grado per causa ad essa non imputabile, non possono mai essere depositati nel giudizio di appello. Ora, poiche' la norma e' applicabile anche ai giudizi di appello in corso, in quanto instaurati dopo il 4 gennaio 2024, la parte pubblica si e' oggettivamente trovata privata, in modo imprevisto e imprevedibile, di una facolta' processuale di posticipazione delle prove che aveva a disposizione allorche' e' stato incardinato il giudizio e ha dovuto elaborare le proprie scelte processuali. Infatti, secondo il diritto vivente consolidatosi nel regime previgente, «"nel processo tributario, le parti possono produrre in appello nuovi documenti, anche ove gli stessi comportino un ampliamento della materia del contendere e siano preesistenti al giudizio di primo grado, purche' cio' avvenga, ai fini del rispetto del principio del contraddittorio nei confronti delle altre parti, entro il termine di decadenza di cui all'art. 32 del decreto legislativo n. 546 del 1992" (cfr., tra le innumerevoli, Cassazione n. 17164 del 2018). Ancora: "nel processo tributario, ai sensi dell'art. 58, comma 2, del decreto legislativo n. 546 del 1992, la parte puo' produrre in appello prove documentali, anche se preesistenti al giudizio di primo grado e pure se, in quest'ultimo giudizio, era rimasta contumace" (cosi', ad es., Cassazione n. 17921 del 2021)»: cosi' Cassazione civile, ordinanza, 20 febbraio 2024, n. 4510. 4. Proprio per tale ragione tale dettato legislativo presta il fianco a dubbi non manifestamente infondati di costituzionalita' in riferimento a plurimi parametri costituzionali. In punto di rilevanza, valga ribadire che la questione di costituzionalita' riguarda una disposizione, il gia' richiamato testo novellato dell'art. 58, comma 3 del decreto legislativo n. 546 del 1992 applicabile nel presente giudizio e influente per la sua definizione. Si precisa che, stante il cennato collegamento con il presente giudizio, la questione di legittimita' costituzionale e' attuale e, certamente, non meramente ipotetica (ordinanze n. 34 del 2016, n. 269 e n. 193 del 2015; ordinanza n. 128 del 2015), ne' prematura (ordinanze n. 176 del 2011, n. 26 del 2012, n. 161 del 2015), ne' tantomeno tardiva, qual e' riferita a evenienze sostanziali o processuali non ancora (o gia') verificatesi (sentenze n. 100 del 2015; ordinanza n. 162 del 201»). «Rilevante», dunque, e' la norma di cui, come nel caso di specie, il giudice debba necessariamente fare applicazione per decidere la controversia a lui sottoposta. Sempre in punto di ammissibilita', si evidenzia che il tenore letterale della disposizione assolve questo giudice rimettente dall'onere di sperimentare l'interpretazione conforme in quanto questo tentativo esegetico e' incompatibile con la divisata inequivocabile lettera della disposizione. Infatti, codesto Giudice delle leggi ha piu' volte affermato che «l'onere di interpretazione conforme viene meno, lasciando il passo all'incidente di costituzionalita', allorche' il giudice rimettente sostenga, come nel caso di specie, che il tenore letterale della disposizione non consenta tale interpretazione» (da ultimo, le sentenze n. 110 del 2024, n. 55 del 2024, n. 4 del 2024; nello stesso senso, sentenze n. 202, n. 178, n. 104 del 2023, ed ex plurimis, sentenze n. 18 del 2022, n. 59 e n. 32 del 2021, n. 32 del 2020; ma si v. anche la sentenza n. 253 del 2020, secondo cui: «l'interpretazione adeguatrice, orientata a rendere conforme il dettato normativo a Costituzione, ha pur sempre un insuperabile limite nel dato letterale della disposizione»). L'esigenza di rivolgersi a codesto Giudice delle leggi e' ancor piu' pressante nella soggetta materia, in quanto «l'affidabilita', prevedibilita' e uniformita' dell'interpretazione delle norme processuali costituisce imprescindibile presupposto di uguaglianza tra i cittadini e di giustizia del processo» (Cassazione civile, Sezioni unite, ordinanza, 6 novembre 2014, n. 23675 - rv. 632845). 5. Passando al merito della questione sollevata, in primo luogo, si segnala il contrasto dell'art. 58, terzo comma, del decreto legislativo n. 546 del 1992 con il canone della ragionevolezza di cui all'art. 3, primo comma, della Costituzione. Non ignora questo Collegio che, per costante giurisprudenza costituzionale, in materia processuale compete al legislatore un'ampia discrezionalita', il cui esercizio e' censurabile solo ove decampi nella manifesta irragionevolezza o nell'arbitrio (ex plurimis, sentenze n. 67 del 2023, n. 230 e n. 74 del 2022, n. 95 del 2020 e n. 155 del 2019). Codesta Corte, gia' con la sentenza n. 89 del 1996, ha insegnato che il parametro della eguaglianza non esprime la concettualizzazione di una categoria astratta, staticamente elaborata in funzione di un valore immanente dal quale l'ordinamento non puo' prescindere, ma definisce l'essenza di un giudizio di relazione che, come tale, assume un risalto necessariamente dinamico, di modo che il giudizio di eguaglianza e' in se' un giudizio di ragionevolezza, vale a dire un apprezzamento di conformita' tra la regola introdotta e la causa normativa che la deve assistere e che va apprezzata con un orientamento marcato alla concretezza, ossia tenendo conto degli effetti applicativi della disciplina. E, nel caso di specie, anche da un punto di vista pratico, si reputa che la disposizione indubbiata esprima una scelta legislativa arbitraria che ineluttabilmente perturba il canone dell'eguaglianza. Dunque, senza indulgere in un inammissibile sindacato di opportunita' o di plausibilita' della scelta legislativa, non puo' non evidenziarsi che il tessuto normativo denunciato, costituito dal terzo comma del piu' volte citato art. 58 siccome applicabile ratione temporis, si connota per un'assenza di ratio intrinseca coerente a un criterio di razionalita' pratica, che e' matrice dell'equita' (sentenza n. 74 del 1992; ma v. anche sentenza n. 172 del 1996). A ben vedere, il primo comma del nuovo art. 58 attribuisce al giudice il potere di svolgere un giudizio di indispensabilita' della documentazione depositata soltanto in secondo grado. E, per indispensabilita', deve intendersi, secondo l'insegnamento gia' elaborato dalla Corte di cassazione in relazione al previgente art. 345 codice di procedura civile a seguito della novella portata dalla legge n. 69 del 2009, una peculiare efficacia dei nuovi elementi di prova, nel senso che si tratta di prove che appaiono idonee a fornire un contributo essenziale all'accertamento della verita' materiale, per essere dotate di un grado di decisivita' e certezza tale che, di per se' sole, quindi anche a prescindere dal loro collegamento con altri elementi di prova e con altre indagini, conducano ad un «esito necessario» della controversia (Cassazione civile, sentenza, 19 aprile 2006, n. 9120; Cassazione civile, ordinanza, 26 luglio 2012, n. 13353; Cassazione civile, sentenza, 29 maggio 2013, n. 13432). Ora, su tali basi, deve ritenersi che sia al legislatore precluso, per un verso, con il primo comma dell'art. 58 cit. consentire al giudice di svolgere tal tipo di giudizio di indispensabilita' della documentazione prodotta in giudizio solo in secondo grado e, poi, per altro verso, al terzo comma dell'art. 58, impedire al medesimo giudice di compiere proprio siffatta attivita' per una certa tipologia di atti, ontologicamente indispensabili secondo l'anzidetta accezione (qual e', appunto, la documentazione relativa alle notificazioni). E' chiaro che il legislatore, nel novellare l'art. 58 del decreto legislativo n. 546 del 1992, inserendo il denunciato terzo comma di assoluto nuovo conio nel generale panorama processuale, e' incorso in un'autoevidente contraddizione: priva il giudice del potere di delibazione che il primo comma gli concede. Il che costituisce un indice sintomatico di irragionevolezza e illogicita' intrinseca della disposizione, che, peraltro, come in seguito esplicitato, si traduce in un trattamento differenziato delle parti in lite privo di una valida ragione giustificativa. Altrimenti detto, deve reputarsi che il legislatore, sotto le spoglie del divieto di deposito di siffatta documentazione, non puo' compiere a monte egli stesso siffatto giudizio di indispensabilita', reso, peraltro, in senso negativo in modo imperscrutabile, non essendo stato osservato alcun criterio di razionalita' pratica ispirato all'id quod plerumque accidit. Neanche ab ovo si comprende, sotto tale profilo, la ratio della tassonomia espressa dal legislatore nel delineare la categoria di documenti non depositabili, i quali, al contrario, trovano il loro principale tratto comune distintivo nella possibile decisivita' della loro tardiva produzione nel determinare l'esito della lite. 6. Tale perimetrazione in negativo della potestas iudicandi, a ben vedere, si sostanzia anche in un'illegittima intromissione del legislatore in un ambito, quello della valutazione della indispensabilita' del compendio istruttorio, riservato all'autorita' giudiziaria. Si specifica che il legislatore ben puo' tipizzare il valore probatorio di determinate prove, cosi' come avviene per le prove legali. Del pari, puo' impedire l'acquisizione di alcuni determinati mezzi di prova, anche in appello. Ma cio' che non gli e' consentito e' enucleare una serie eterogenea di documentazione, inibendo in relazione a essa - e non anche alla generalita' delle prove precostituite - al giudice di appello l'esercizio di ogni potere delibativo sul punto, senza alcuna ragionevole giustificazione. Quanto precede sostanzia non solo la consumazione di un vulnus alle funzioni attribuite al potere giudiziario dal comb. disp. articoli 102, primo comma (che mutatis mutandis presidia da intromissioni esterne anche la funzione giurisdizionale esercitata in materia tributaria da quest'organo speciale di giurisdizione optimo iure e non solo ai limitati fini del giudizio incidentale di costituzionalita') - 111, primo comma, della Costituzione, ma norma anche una menomazione del diritto di difesa di cui all'art. 24, secondo comma, della Costituzione, qualificato dalla giurisprudenza costituzionale come «principio supremo» dell'ordinamento costituzionale (sentenze n. 18 del 2022, n. 238 del 2014, n. 232 del 1989 e n. 18 del 1982) e «inteso come diritto al giudizio e con esso a quello alla prova»: v. sul punto la sentenza n. 41 del 2024, che, a sua volta, richiama la sentenza n. 275 del 1990. 7. Accanto alla violazione dell'art. 3 della Costituzione e al delineato contrasto con il comb. disp. di cui agli articoli 102, primo comma, 111, primo comma, 24, secondo comma, della Costituzione, e' registrabile anche un'antinomia dell'art. 58, terzo comma, del decreto legislativo n. 546 del 1992 con l'art. 111, primo e secondo comma, della Costituzione, secondo la declinazione, di recente, offerta dalla sentenza n. 96 del 2024 per cui il «giusto processo», nel quale si attua la giurisdizione e si realizza il diritto inviolabile di difesa, comporta necessariamente che esso «si svolga nel contraddittorio tra le parti», nonche' - prescrive ulteriormente l'art. 111, secondo comma, della Costituzione - «in condizioni di parita', davanti a giudice terzo e imparziale». Il contraddittorio e', invero, un momento fondamentale del giudizio quale cardine della ricerca dialettica della verita' processuale, condotta dal giudice con la collaborazione delle parti, volta alla pronuncia di una decisione che sia il piu' possibile «giusta». La qui censurata opzione legislativa, invero, ostacola il giudice nel suo compito (come insegnano autorevoli autori stranieri) di colmare il gap fra law and society, irragionevolmente impedendogli di muoversi verso l'orizzonte teleologico proprio di qualsiasi processo: pervenire a una decisione possibilmente giusta. E a tal fine e' auspicabile giungere al disvelamento, sempre nei limiti dell'esigibile e della comprensibilmente natura finita della risorsa giustizia, della verita' materiale. Ne' il descritto sacrificio dell'esercizio della funzione giurisdizionale e' giustificato dall'esigenza di assicurare piena tutela al principio della ragionevole durata. Di la' che la delibazione dell'indispensabilita' di tutta la documentazione versata in atti non comporta un apprezzabile dispendio di energie processuali e di tempo, va rimarcato che, come chiarito da autorevole dottrina, «funzione cognitiva del processo, imparzialita' del giudice, diritto di difesa, sono [...] i primari valori di giustizia», rispetto ai quali la «ragionevole durata svolge un ruolo sussidiario, come condizione di efficienza», da non intendere in senso riduttivo, ma resta fermo «un ordine logico, una cadenza nella definizione dei valori». D'altronde, il principio di ragionevole durata - ha di recente ribadito la giurisprudenza costituzionale (sentenza n. 67 del 2023) - e' leso soltanto da «norme procedurali che comportino una dilatazione dei tempi del processo non sorretta da alcuna logica esigenza». Senza considerare poi che la durata ragionevole del processo, in caso di ipotetico ampliamento dei tempi di definizione del giudizio in ragione della produzione dei documenti indicati dall'art. 58, comma 3 potrebbe essere comunque assicurata da specifiche disposizioni in tema di governo delle spese di lite. 8. Ma, ancora, l'art. 111, secondo comma, della Costituzione e' violato la' dove si incrina il principio di eguaglianza fra le parti, ravvisabile nel rilievo per cui situazioni omogenee sono disciplinate in modo ingiustificatamente diverso (ex plurimis, sentenze n. 67 del 2023, n. 270 del 2022, n. 165 del 2020, n. 155 del 2014, n. 108 del 2006, n. 340 e n. 136 del 2004). Risulta, infatti evidente la violazione del principio della parita' delle parti nel processo, che trova una chiara copertura costituzionale nell'art. 111, primo e secondo comma della Costituzione e nell'art. 24, secondo comma della Costituzione dal momento che i loro poteri processuali in sede di gravame risultano disomogenei: mentre il privato puo' produrre nuovi documenti, sia pure negli attuali limiti fissati dall'art. 58, commi 1 e 2, la parte pubblica non puo' produrre i documenti di cui al comma 3 in presenza dei medesimi presupposti. Non puo' ignorarsi, infatti, che la tipologia specifica dei documenti annoverati dal citato comma 3 dell'art. 58, per le caratteristiche generali del diritto e del processo tributario e secondo una oggettiva regola di esperienza, riguardi gli atti che rendono legittima la pretesa tributaria della parte pubblica e, quindi, attenga all'attivita' difensiva che essa ordinariamente svolge. Secondo il dato testuale, peraltro, la produzione dei nuovi documenti indicati al comma 3 non sarebbe possibile neppure quando la necessita' di tale versamento derivi dalle difese articolate nell'appello da parte del contribuente e/o dal deposito di documenti effettuato in conformita' ai primi due commi dell'art. 58. La produzione dei documenti allegati all'atto di controdeduzioni in appello risulta indispensabile, ma non e' consentita dall'art. 58. Avendo il contribuente impugnato l'ingiunzione per l'omessa notifica delle cartelle e per la prescrizione, e non quale forma di tutela recuperatori per vizi delle cartelle stesse, l'atto impugnato risulterebbe viziato dalla mancata notifica degli atti presupposti. La giurisprudenza di legittimita' (Cassazione civile, Sezioni unite, sentenza, 25 luglio 2007, n. 16412), infatti, ha gia' affermato che la correttezza del procedimento di formazione della pretesa tributaria e' assicurata mediante il rispetto di una sequenza ordinata secondo una progressione di determinati atti, con le relative notificazioni, destinati, con diversa e specifica funzione, a farla emergere e a portarla nella sfera di conoscenza dei destinatari, allo scopo, soprattutto, di rendere possibile per questi ultimi un efficace esercizio del diritto di difesa. Nella predetta sequenza, l'omissione della notificazione di un atto presupposto (nel caso di specie cartella di pagamento) costituisce vizio procedurale che comporta la nullita' dell'atto consequenziale (nel caso di specie avviso di mora) notificato e tale nullita' puo' essere fatta valere dal contribuente mediante la scelta o di impugnare, per tale semplice vizio, l'atto consequenziale notificatogli - rimanendo esposto all'eventuale successiva azione dell'amministrazione, esercitabile soltanto se siano ancora aperti i termini per l'emanazione e la notificazione dell'atto presupposto - o di impugnare cumulativamente anche quest'ultimo (non notificato) per contestare radicalmente la pretesa tributaria: con la conseguenza che spetta al giudice - i merito - la cui valutazione se congruamente motivata non sara' censurabile in sede di legittimita' - interpretare la domanda proposta dal contribuente al fine di verificare se egli abbia inteso far valere la nullita' dell'atto consequenziale i' base all'una o all'altra opzione (nel caso di specie la Corte ha cassato la sentenza di merito la quale aveva ritenuto che la mancata notifica della cartella di pagamento non determinasse la nullita' dell'avviso di mora e, decidendo nel merito, ha accolto il ricorso introduttivo del contribuente avverso l'avviso di mora).» (conf. Cassazione civile, ordinanza, 18 gennaio 2018, n. 1144 (R -. 646699 - 01). 8.1. Gli atti di cui l'Agenzia entrate-riscossione chiede l'acquisizione risultano, pertanto, indispensabili ai fini del decidere, ma non possono essere acquisiti, con evidente violazione del principio della parita' delle armi. Infatti, non deve trascurarsi che la stessa Corte costituzionale, nel dichiarare non fondata la questione di legittimita' costituzionale collegata alla diversita' dei poteri processuali delle parti nel rito tributario (art. 58) civile (art. 345 codice di procedura civile), con denunciata violazione degli articoli 24 e 111 della Costituzione ha evidenziato che alle parti del giudizio tributario sono riconosciuti poteri identici, affermando, piu' nel dettaglio, che «nel merito, non e' fondata la censura di disparita' di trattamento tra le parti del giudizio, sostenuta sulla base del presunto "sbilanciamento a favore di quella facultata a produrre per la prima volta in appello documenti gia' in suo possesso nel grado anteriore". Sul punto e' sufficiente rilevare che tale facolta' e' riconosciuta ad entrambe le parti del giudizio, cosicche' non sussistono le ragioni del lamentato "sbilanciamento"» (sentenza n. 199 del 2017). Il comma 3 dell'art. 58 richiama poi il comma 6-bis dell'art. 14, introdotto anch'esso dalla riforma del 2023, il quale dispone che «In caso di vizi della notificazione eccepiti nei riguardi di un atto presupposto emesso da un soggetto diverso da quello che ha emesso l'atto impugnato, il ricorso e' sempre proposto nei confronti di entrambi i soggetti». Il litisconsorzio necessario previsto da tale disposizione non rende ragionevole la diversita' di trattamento rispetto alla parte privata, ove si consideri che una delle due parti puo' restare contumace in quanto ciascuno dei litisconsorti necessari di un giudizio ha una sua autonoma posizione processuale che non puo' dipendere, quando al diritto di difesa, dalla diligenza processuale dell'altro litisconsorte, anche se titolare di interessi analoghi. 8.2. Per quanto riguardo il caso di specie, tale disparita' di trattamento e pregiudizio al diritto di agire e resistere in giudizio, non trova una ragionevole giustificazione nella natura della parte pubblica. Il giudizio tributario, infatti, non e' piu' un mero giudizio di natura demolitoria, imperniato sulla legittimita' e sulla sola correttezza motivazionale dell'atto impugnato, ma compendia ampi spazi di rilevanza del materiale probatorio circa la sussistenza del debito tributario e della sua entita'. A riguardo deve osservarsi che il comma 5-bis dell'art. 7 del decreto legislativo n. 546 del 1992, introdotto dall'art. 6 della legge n. 130 del 2022, in coerenza con tale linea di tendenza prevede che «[l]'amministrazione prova in giudizio le violazioni contestate con l'atto impugnato. Il giudice fonda la decisione sugli elementi di prova che emergono nel giudizio e annulla l'atto impositivo se la prova della sua fondatezza manca o e' contraddittoria o se e' comunque insufficiente a dimostrare, in modo circostanziato e puntuale, comunque in coerenza con la normativa tributaria sostanziale, le ragioni oggettive su cui si fondano la pretesa impositiva e l'irrogazione delle sanzioni. Spetta comunque al contribuente fornire le ragioni della richiesta di rimborso, quando non sia conseguente al pagamento di somme oggetto di accertamenti impugnati». Ne consegue che, specie ove non operino le presunzioni proprie del diritto tributario sostanziale (cui fa comunque indiretto riferimento la norma citata - cfr. Cassazione ordinanza n. 2746 del 30 gennaio 2024), l'amministrazione e' tenuta a provare la sua pretesa sostanziale non puo' disporre di poteri probatori piu' limitati rispetto alla controparte. 9. Sia, infine, consentito rispettosamente rappresentare a codesta Corte la particolare urgenza della questione sollevata pendendo innanzi a questo giudice numerose cause involgenti la presente questione di legittimita' costituzionale.