LA CORTE DI GIUSTIZIA TRIBUTARIA DI SECONDO GRADO DELLA CAMPANIA 
 
 
                             Sezione 16 
 
    Riunita in udienza il  5  luglio  2024  alle  ore  11,00  con  la
seguente composizione collegiale: 
        Clemente Antonio, Presidente; 
        Serrao d'Aquino Pasquale, relatore; 
        Troncone Fulvio, giudice; 
    in data 5  luglio  2024  ha  pronunciato  la  seguente  ordinanza
sull'appello n. 1371/2024 depositato il 25 febbraio 2024 proposto  da
P. A. - difeso da Amalia Pantano - PNTMLA83E56D086U ed  elettivamente
domiciliato presso amaliapantano@pec.giuffre.it 
    contro Ag.  entrate-riscossione  -  Napoli,  difeso  da  Raffaele
Olacco - LCCRFL56H28F839B Maria Cristina Porcelli -  PRCMCR71T56F839D
ed            elettivamente            domiciliato             presso
raffaeleolacco@avvocatinapoli.legalmail.it 
    Avente ad oggetto l'impugnazione di: 
        pronuncia  sentenza  n.  10455/2023  emessa  dalla  Corte  di
giustizia tributaria Primo grado Napoli sez. 21 e  pubblicata  il  21
luglio 2023. 
    Atti impositivi: 
        avviso di intimazione n. ... intimazione ... 
        cartella di pagamento n. ... diritto annuale CCIAA ... 
        cartella di pagamento n. ... IRPEF  -  addizionale  regionale
... 
        cartella di pagamento n. ... IRPEF - addizionale comunale ... 
        cartella di pagamento n. ... IRPEF - altro ... 
        cartella di pagamento n. ... IVA - altro ... 
        cartella di pagamento n. ... IRAP ... 
        cartella di pagamento n. ... IRPEF  -  addizionale  regionale
... 
        cartella di pagamento n. ... IRPEF - addizionale comunale ... 
        cartella di pagamento n. ... IRPEF - altro ... 
        cartella di pagamento n. ... IRAP ... 
        cartella di pagamento n. ... diritto annuale CCIAA ... 
        cartella di pagamento n. ... IRPEF - altro ... 
 
                     Elementi in fatto e diritto 
 
    1. A. P., con ricorso indirizzato all'Agenzia per la riscossione,
ha impugnato l'intimazione  di  pagamento  n.  ...,  per  un  importo
complessivo pari ad euro ..., dei quali ... relativi a tributi ed  in
particolare: 
        1) cartella n. ... per mancato  pagamento  di  Irap  anno  di
riferimento ..., presumibilmente notificata al ricorrente in data  25
novembre 2016; 
        2) cartella n. ... per mancato  pagamento  dell'Irpef  e  Iva
anno di riferimento ..., presumibilmente notificata al ricorrente  in
data 30 dicembre 2016; 
        3) cartella n. ... per mancato pagamento dell'Irpef,  Iva,  e
Irap  anno  di  riferimento  ...,   presumibilmente   notificata   al
ricorrente in data 30 luglio 2018; 
        4) cartella n. ... per mancato pagamento dell'Irpef  anno  di
riferimento ..., presumibilmente notificata al ricorrente in  data  8
maggio 2019; 
        5) cartella n. ... per mancato pagamento dei diritti  annuali
Camera  di  commercio  anno  di  riferimento   ...,   presumibilmente
notificata al ricorrente in data 19 maggio 2019; 
        6) cartella n. ... per mancato pagamento dell'Irpef  anno  di
riferimento ..., presumibilmente notificata al ricorrente in data  1°
luglio 2019. 
    1.1. Il ricorso e' stato  articolato  in  quattro  motivi,  cosi'
titolati: 
        a) Nullita'/illegittimita' dell'intimazione di pagamento  per
violazione  dell'art.  7,  comma  1,  legge   n.   212/2000;   omessa
allegazione, omessa relata di notifica con conseguente  insanabilita'
del  vizio  attinente  un   atto   amministrativo   (intimazione   di
pagamento). Inesistenza della notifica della intimazione di pagamento
n. ... per impossibilita'  di  individuare  se  il  soggetto  che  ha
effettuato la notifica in uno dei soggetti a cio' abilitati  ex  art.
26/602; 
        b) Illegittimita' della pretesa - violazione art. 17  decreto
del Presidente della  Repubblica  n.  602/1973  prima  della  novella
introdotta con il decreto-legge n. 106/2005  che  lo  ha  abrogato  -
violazione di legge - prescrizione del  credito  -  mancata  notifica
degli atti presupposti  e  conseguente  nullita'  e/o  illegittimita'
dell'intimazione di pagamento; 
        c)  Omessa  indicazione  delle  modalita'  di  calcolo  degli
interessi e del tasso applicato; 
        d) Difetto di motivazione. 
    1.2. L' Agenzia delle entrate-riscossione  si  e'  costituita  in
giudizio  chiedendo  il  rigetto  del  ricorso   e   sostenendo   che
l'intimazione e' stata regolarmente notificata cosi'  come  anche  le
ultime quattro cartelle (n. ..., n. ..., n. ... e n. ...). Ha inoltre
evidenziato  che  le  prime  due  cartelle,  relative  all'anno  ...,
attengono a tributi che si prescrivono pacificamente in  dieci  anni.
Quanto al difetto di motivazione, ha  dedotto  che  l'intimazione  di
pagamento e' correttamente motivata in tutti  i  suoi  elementi,  ivi
compresa l'indicazione delle modalita' di  calcolo  degli  interessi,
come ben si evince dall'esame  dell'atto.  Ha  chiesto,  inoltre,  di
integrare il contraddittorio nei confronti dell'ente creditore. 
    1.3. Preliminarmente la Corte di giustizia  tributaria  di  Primo
grado  ha  rilevato  che,  secondo  un  principio  consolidato  nella
giurisprudenza di legittimita', l'atto amministrativo di sollecito di
pagamento e' autonomamente impugnabile. 
    In secondo luogo, ha rigettato la richiesta di  integrazione  del
contraddittorio «sia per la  sua  assoluta  genericita',  non  avendo
indicato l'Agenzia resistente  nemmeno  i  soggetti  da  chiamare  in
giudizio, sia per la tardivita' della richiesta». 
    La Corte di giustizia  tributaria  di  Primo  grado  ha  ritenuto
fondato il ricorso esclusivamente  con  riferimento  alle  prime  due
cartelle (la n. ... e la n. ...) per la mancata prova della notifica,
ritenendo le ulteriori cartelle ritualmente notificate. 
    2. Ha proposto appello il contribuente, con atto notificato il 30
gennaio 2024, chiedendo la riforma della sentenza con  riguardo  alla
ritualita' della notifica delle cartelle, come accertata dal  giudice
di primo grado, deducendo che, quanto alle cartelle n. ...;  n.  ...,
n. ...; n. ...; n. ..., dalla documentazione gia' versata in atti per
tali cartelle non risulta alcuna prova dell'avvenuta notifica. 
    Nel giudizio di primo grado l'Agenzia  delle  entrate-riscossione
si  e'  limitata  a  produrre  copia  delle  ricevute   dell'avvenute
notifiche nei confronti dell'odierno appellante delle cartelle n. ...
e della n.  ...,  dalle  quali  si  evince  che  la  prima  e'  stata
notificata nelle mani di un certo S. P. con dicitura  «convivente»  e
la  seconda  e'  stata   notificata   al   sig.   A.   F.,   fratello
dell'appellante. L'appellante, come ha  gia'  sostenuto  con  memorie
depositate nei termini di legge, in  relazione  alla  notifica  della
cartella n. ..., notificata nelle mani  del  sig.  S.  P.,  specifica
nuovamente che il soggetto che avrebbe ritirato il plico  in  nome  e
per conto del sig. A., non solo non risulta  conosciuto  allo  stesso
appellante, ma anche e soprattutto - come si evince  dal  certificato
storico di  famiglia  -  non  e'  mai  risultato  convivente  con  il
medesimo. 
    In ogni caso, anche a ritenere veridiche le firme apposte sia  da
tale S. P. sia del sig. A. F., la stessa notifica risulterebbe essere
affetta da nullita'. 
    2.1. L'Agenzia delle  entrate-riscossione  si  e'  costituita  in
appello deducendo che: 
        la cartella di pagamento n. ..., e' stata notificata mediante
consegna a mani di familiare convivente e risulta inviato l'avviso di
legge a mezzo racc. n. ... come da distinta in atti; 
        la cartella di pagamento n. ... e' stata notificata  mediante
consegna a mani di familiare convivente e risulta inviato l'avviso di
legge a mezzo racc. n. ... come da distinta in atti; 
        la cartella di pagamento n. ... e' stata notificata  mediante
consegna a mani di familiare convivente e risulta inviato l'avviso di
legge a mezzo racc. n. ... come da distinta in atti; 
        la cartella di pagamento n. ... e' stata notificata  mediante
consegna a mani di familiare convivente e risulta inviato l'avviso di
legge a mezzo racc. n. ... come da distinta in atti; 
        ad abundantiam la cartella  di  pagamento  n.  ...  e'  stata
notificata mediante consegna a mani di familiare convivente e risulta
inviato l'avviso di legge a mezzo racc. n. ... come  da  distinta  in
atti. 
    Quanto poi alla doglianza per la quale i consegnatari degli  atti
non siano vincolati  da  legame  di  parentela  con  il  destinatario
dell'atto, l'ufficio fa rilevare che la circostanza, non solo non  e'
dimostrata ma, quand'anche lo fosse, non priverebbe di  validita'  la
notificazione.   Infatti,   l'utilizzo   della   locuzione   generica
«familiare convivente» non  indica  necessariamente  un  rapporto  di
parentela, e in ogni caso la norma di riferimento, art.  60,  lettera
b)-bis  decreto  del  Presidente  della   Repubblica   n.   600/1973,
esplicitamente fa  riferimento  a  «familiare  convivente».  Inoltre,
risulta come tutti  i  consegnatari  dell'atto  convivessero  con  il
destinatario dell'atto, essendo rilevante, sul punto, la  coincidenza
della dimora del destinatario con il luogo della notificazione, fatto
confermato dalla circostanza che i soggetti  ivi  rinvenuti  in  ogni
occasione hanno ritirato gli atti. Rileva,  inoltre,  l'assolvimento,
da parte dell'ufficiale incaricato della notificazione, dell'invio di
avviso  di  consegna  dell'atto  a  mani  di  persona   diversa   dal
destinatario a mezzo raccomandata  (senza  necessita'  di  avviso  di
ricevimento  a  tenore  della   norma   sopra   richiamata),   avviso
regolarmente eseguito come da documentazione in atti. 
    2.2. Preliminarmente occorre rilevare che nel fascicolo di  primo
grado sono stati versati digitalmente quattro documenti: 
        il doc. 1 e' costituito dalla notifica della cartella n. ...; 
        il doc. 2 si riferisce ad una cartella estranea  al  presente
giudizio; 
        il doc. 4 e' costituito dalla notifica della cartella n. ...; 
        il doc. 5  contiene  l'intimazione  pagamento  impugnata  nel
presente giudizio. 
    Non sono presenti, pertanto, tutte le relate  di  notifica  delle
quattro  cartelle  che  il  giudice  di  primo  grado   ha   ritenuto
validamente  notificate  e   che   costituiscono   atti   presupposti
dell'intimazione di pagamento impugnata. 
    Nel presente giudizio di appello, l'Agenzia per la riscossione ha
prodotto oltre quindici  documenti  a  dimostrazione  della  notifica
delle cartelle sulla  cui  base  e'  stata  emessa  l'ingiunzione  di
pagamento. 
    Il contribuente con memoria depositata  il  24  giugno  2024,  ha
eccepito l'irritualita' di  tale  deposito,  stante  l'applicabilita'
dell'art. 58, comma terzo, del decreto legislativo 31 dicembre  1992,
n. 546 (Disposizioni sul  processo  tributario  in  attuazione  della
delega al Governo contenuta nell'art.  30  della  legge  30  dicembre
1991, n. 413) nella sua novellata formulazione. 
    3. Questa Corte di giustizia tributaria ritiene rilevante, e  non
manifestamente infondata, la questione di legittimita' costituzionale
del vigente art. 58, comma terzo, del decreto legislativo n. 546  del
1992 per violazione degli articoli 3, primo comma, 24, secondo comma,
102, primo comma, e 111, primo e secondo comma, della Costituzione. 
    3.1. L'art. 58 del decreto legislativo n. 546 del 1992, nel testo
previgente, prevedeva  due  regole  distinte  per  l'acquisizione  in
appello di nuove prove. Per le prove costituente  disponeva  che  «Il
giudice d'appello non puo' disporre nuove prove,  salvo  che  non  le
ritenga necessarie ai fini della decisione o che la parte dimostri di
non averle potute fornire nel precedente grado di giudizio per  causa
ad essa non imputabile.» Per le prove costituite,  invece,  disponeva
che «E' fatta  salva  la  facolta'  delle  parti  di  produrre  nuovi
documenti».  Secondo  il  diritto  vivente,  pertanto,   era   sempre
consentita la produzione nel giudizio di appello di nuovi  documenti,
in cio' derogando rispetto a quanto previsto dall'art. 345 codice  di
procedura civile nel testo vigente in seguito alle modifiche  operate
dalla legge 18 giugno 2009,  n.  69  (Disposizioni  per  lo  sviluppo
economico, la semplificazione, la competitivita' nonche'  in  materia
di processo civile). 
    3.2. L'articolo  in  questione,  tuttavia,  e'  stato  sostituito
dall'art. 1, comma 1, lettera bb) del decreto legislativo 30 dicembre
2023, n. 220, (Disposizioni in materia  di  contenzioso  tributario),
con effetto dal 4 gennaio 2024. 
    La disposizione trova applicazione anche ai giudizi in corso.  Il
decreto legislativo 30 dicembre 2023, n. 220 ha infatti disposto (con
l'art. 4, comma 2) che  «Le  disposizioni  del  presente  decreto  si
applicano ai giudizi instaurati, in primo e  in  secondo  grado,  con
ricorso  notificato  successivamente  al  1°  settembre  2024,  fatta
eccezione per quelle di cui all'art. 1, comma 1, lettere d), e),  f),
i), n), o), p), q), s), t), u), v), z), aa), bb), cc) e  dd)  che  si
applicano ai giudizi instaurati, in primo e in secondo grado, nonche'
in Cassazione, a  decorrere  dal  giorno  successivo  all'entrata  in
vigore del presente decreto». 
    Il nuovo testo dell'art. 58 prevede che «Non sono  ammessi  nuovi
mezzi di prova e non possono essere prodotti nuovi  documenti,  salvo
che il collegio li ritenga indispensabili  ai  fini  della  decisione
della causa ovvero che la parte dimostri di non aver potuto  proporli
o produrli nel  giudizio  di  primo  grado  per  causa  ad  essa  non
imputabile. 2. Possono essere proposti  motivi  aggiunti  qualora  la
parte venga a conoscenza di documenti, non prodotti dalle altre parti
nel giudizio di primo grado,  da  cui  emergano  vizi  degli  atti  o
provvedimenti impugnati. 3. Non e' mai consentito il  deposito  delle
deleghe, delle procure e degli altri atti di conferimento  di  potere
rilevanti ai fini della legittimita' della sottoscrizione degli atti,
delle  notifiche  dell'atto  impugnato  ovvero  degli  atti  che   ne
costituiscono presupposto di legittimita' che possono essere prodotti
in primo grado anche ai sensi dell'art. 14, comma 6-bis.». 
    Se il primo e il secondo comma dell'art. 58 ricalcano  in  parte,
l'attuale formulazione dell'art. 345 codice di  procedura  civile  in
tema di nuove prove in appello (mancando pero' nel codice di rito  il
riferimento ai documenti «indispensabili»), il comma 3 introduce  una
deroga significativa, relativamente alla  produzione  di  determinate
categorie di documenti. 
    Infatti, secondo il dato testuale, chiaramente  insuperabile  per
l'espressione utilizzata, dichiara deroga ai commi  precedenti  («Non
e' mai consentito»), i documenti descritti  dal  comma  3,  anche  se
indispensabili per la decisione o anche ove la parte dimostri di  non
averli  potuti  produrre  in  primo  grado  per  causa  ad  essa  non
imputabile,  non  possono  mai  essere  depositati  nel  giudizio  di
appello. 
    Ora, poiche' la norma e' applicabile anche ai giudizi di  appello
in corso, in quanto instaurati dopo  il  4  gennaio  2024,  la  parte
pubblica si e' oggettivamente trovata privata, in modo  imprevisto  e
imprevedibile, di una facolta' processuale  di  posticipazione  delle
prove che aveva a disposizione  allorche'  e'  stato  incardinato  il
giudizio  e  ha  dovuto  elaborare  le  proprie  scelte  processuali.
Infatti,  secondo  il  diritto  vivente  consolidatosi   nel   regime
previgente, «"nel processo tributario, le parti possono  produrre  in
appello  nuovi  documenti,  anche  ove  gli  stessi   comportino   un
ampliamento della materia del  contendere  e  siano  preesistenti  al
giudizio di primo grado, purche' cio' avvenga, ai fini  del  rispetto
del principio del contraddittorio nei confronti  delle  altre  parti,
entro il  termine  di  decadenza  di  cui  all'art.  32  del  decreto
legislativo n. 546 del 1992" (cfr., tra le  innumerevoli,  Cassazione
n. 17164 del  2018).  Ancora:  "nel  processo  tributario,  ai  sensi
dell'art. 58, comma 2, del decreto legislativo n. 546  del  1992,  la
parte  puo'  produrre  in  appello  prove   documentali,   anche   se
preesistenti al giudizio di primo grado e pure  se,  in  quest'ultimo
giudizio, era rimasta contumace" (cosi', ad es., Cassazione n.  17921
del 2021)»: cosi' Cassazione civile, ordinanza, 20 febbraio 2024,  n.
4510. 
    4. Proprio per tale ragione tale dettato  legislativo  presta  il
fianco a dubbi non manifestamente infondati di  costituzionalita'  in
riferimento a plurimi parametri costituzionali. 
    In punto  di  rilevanza,  valga  ribadire  che  la  questione  di
costituzionalita' riguarda una disposizione, il gia' richiamato testo
novellato dell'art. 58, comma 3 del decreto  legislativo  n. 546  del
1992 applicabile  nel  presente  giudizio  e  influente  per  la  sua
definizione. Si precisa che, stante il cennato  collegamento  con  il
presente giudizio, la questione  di  legittimita'  costituzionale  e'
attuale e, certamente, non meramente ipotetica (ordinanze n.  34  del
2016, n. 269 e n. 193 del  2015;  ordinanza  n. 128  del  2015),  ne'
prematura (ordinanze n. 176 del 2011, n. 26  del  2012,  n.  161  del
2015),  ne'  tantomeno  tardiva,  qual  e'   riferita   a   evenienze
sostanziali o processuali non ancora (o gia') verificatesi  (sentenze
n. 100 del 2015; ordinanza n. 162 del 201»). «Rilevante», dunque,  e'
la  norma  di  cui,  come  nel  caso  di  specie,  il  giudice  debba
necessariamente fare applicazione per decidere la controversia a  lui
sottoposta. 
    Sempre in punto di ammissibilita', si  evidenzia  che  il  tenore
letterale  della  disposizione  assolve  questo  giudice   rimettente
dall'onere  di  sperimentare  l'interpretazione  conforme  in  quanto
questo  tentativo  esegetico  e'  incompatibile   con   la   divisata
inequivocabile lettera della disposizione. Infatti,  codesto  Giudice
delle leggi ha piu' volte affermato che «l'onere  di  interpretazione
conforme  viene   meno,   lasciando   il   passo   all'incidente   di
costituzionalita', allorche' il giudice rimettente sostenga, come nel
caso di specie,  che  il  tenore  letterale  della  disposizione  non
consenta tale interpretazione» (da ultimo, le  sentenze  n.  110  del
2024, n. 55 del 2024, n. 4 del 2024; nello stesso senso, sentenze  n.
202, n. 178, n. 104 del 2023, ed ex  plurimis,  sentenze  n.  18  del
2022, n. 59 e n. 32 del 2021, n. 32 del  2020;  ma  si  v.  anche  la
sentenza  n.  253   del   2020,   secondo   cui:   «l'interpretazione
adeguatrice, orientata a rendere  conforme  il  dettato  normativo  a
Costituzione, ha pur sempre un insuperabile limite nel dato letterale
della disposizione»). 
    L'esigenza di rivolgersi a codesto Giudice delle leggi  e'  ancor
piu' pressante nella soggetta materia,  in  quanto  «l'affidabilita',
prevedibilita'  e  uniformita'   dell'interpretazione   delle   norme
processuali costituisce imprescindibile  presupposto  di  uguaglianza
tra i cittadini e di  giustizia  del  processo»  (Cassazione  civile,
Sezioni unite, ordinanza, 6 novembre 2014, n. 23675 - rv. 632845). 
    5. Passando al merito della questione sollevata, in primo  luogo,
si segnala il  contrasto  dell'art.  58,  terzo  comma,  del  decreto
legislativo n. 546 del 1992 con il canone della ragionevolezza di cui
all'art. 3, primo comma, della Costituzione. 
    Non ignora  questo  Collegio  che,  per  costante  giurisprudenza
costituzionale,  in  materia  processuale  compete   al   legislatore
un'ampia discrezionalita', il cui esercizio e' censurabile  solo  ove
decampi  nella  manifesta  irragionevolezza   o   nell'arbitrio   (ex
plurimis, sentenze n. 67 del 2023, n. 230 e n. 74 del 2022, n. 95 del
2020 e n. 155 del 2019). 
    Codesta Corte, gia' con la sentenza n. 89 del 1996, ha  insegnato
che il parametro della eguaglianza non esprime la concettualizzazione
di una categoria astratta, staticamente elaborata in funzione  di  un
valore immanente dal quale l'ordinamento  non  puo'  prescindere,  ma
definisce l'essenza di un  giudizio  di  relazione  che,  come  tale,
assume un risalto necessariamente dinamico, di modo che  il  giudizio
di eguaglianza e' in se' un giudizio di ragionevolezza, vale  a  dire
un apprezzamento di conformita' tra la regola introdotta e  la  causa
normativa  che  la  deve  assistere  e  che  va  apprezzata  con   un
orientamento marcato alla  concretezza,  ossia  tenendo  conto  degli
effetti applicativi della disciplina. 
    E, nel caso di specie, anche da un punto  di  vista  pratico,  si
reputa che la disposizione indubbiata esprima una scelta  legislativa
arbitraria che ineluttabilmente perturba il canone dell'eguaglianza. 
    Dunque,  senza  indulgere  in  un  inammissibile   sindacato   di
opportunita' o di plausibilita' della scelta  legislativa,  non  puo'
non evidenziarsi che il tessuto normativo denunciato, costituito  dal
terzo comma del piu' volte citato art. 58 siccome applicabile ratione
temporis, si connota per un'assenza di ratio intrinseca coerente a un
criterio  di  razionalita'  pratica,  che  e'  matrice   dell'equita'
(sentenza n. 74 del 1992; ma v. anche sentenza n. 172 del 1996). 
    A ben vedere, il primo comma del nuovo  art.  58  attribuisce  al
giudice il potere di svolgere un giudizio di indispensabilita'  della
documentazione  depositata  soltanto  in  secondo   grado.   E,   per
indispensabilita',  deve  intendersi,  secondo  l'insegnamento   gia'
elaborato dalla Corte di cassazione in relazione al  previgente  art.
345 codice di procedura civile a seguito della novella portata  dalla
legge n. 69 del 2009, una peculiare efficacia dei nuovi  elementi  di
prova, nel senso che si tratta di prove che appaiono idonee a fornire
un contributo essenziale all'accertamento  della  verita'  materiale,
per essere dotate di un grado di decisivita' e certezza tale che,  di
per se' sole, quindi anche a prescindere dal  loro  collegamento  con
altri elementi di prova e con altre indagini, conducano ad un  «esito
necessario»  della  controversia  (Cassazione  civile,  sentenza,  19
aprile 2006, n. 9120; Cassazione civile, ordinanza, 26  luglio  2012,
n. 13353; Cassazione civile, sentenza, 29  maggio  2013,  n.  13432).
Ora, su tali basi, deve ritenersi che sia  al  legislatore  precluso,
per un verso, con il primo comma  dell'art.  58  cit.  consentire  al
giudice di svolgere tal tipo di giudizio di  indispensabilita'  della
documentazione prodotta in giudizio solo in secondo grado e, poi, per
altro verso, al  terzo  comma  dell'art.  58,  impedire  al  medesimo
giudice  di  compiere  proprio  siffatta  attivita'  per  una   certa
tipologia di atti, ontologicamente indispensabili secondo l'anzidetta
accezione  (qual  e',  appunto,  la  documentazione   relativa   alle
notificazioni). 
    E' chiaro che il legislatore, nel novellare l'art. 58 del decreto
legislativo n. 546 del 1992, inserendo il denunciato terzo  comma  di
assoluto nuovo conio nel generale panorama processuale, e' incorso in
un'autoevidente  contraddizione:  priva  il  giudice  del  potere  di
delibazione che il primo comma gli concede.  Il  che  costituisce  un
indice sintomatico di irragionevolezza e illogicita' intrinseca della
disposizione, che, peraltro, come in seguito esplicitato, si  traduce
in un trattamento differenziato delle parti  in  lite  privo  di  una
valida ragione giustificativa. 
    Altrimenti detto, deve reputarsi che  il  legislatore,  sotto  le
spoglie del divieto di deposito di siffatta documentazione, non  puo'
compiere a monte egli stesso siffatto giudizio di  indispensabilita',
reso, peraltro,  in  senso  negativo  in  modo  imperscrutabile,  non
essendo  stato  osservato  alcun  criterio  di  razionalita'  pratica
ispirato all'id quod plerumque accidit. Neanche ab ovo si  comprende,
sotto  tale  profilo,  la  ratio  della   tassonomia   espressa   dal
legislatore nel delineare la categoria di documenti non depositabili,
i quali, al contrario,  trovano  il  loro  principale  tratto  comune
distintivo nella possibile decisivita' della loro tardiva  produzione
nel determinare l'esito della lite. 
    6. Tale perimetrazione in negativo della  potestas  iudicandi,  a
ben vedere, si sostanzia anche in  un'illegittima  intromissione  del
legislatore  in   un   ambito,   quello   della   valutazione   della
indispensabilita' del compendio istruttorio, riservato  all'autorita'
giudiziaria. Si specifica che il legislatore ben  puo'  tipizzare  il
valore probatorio di determinate prove, cosi'  come  avviene  per  le
prove legali.  Del  pari,  puo'  impedire  l'acquisizione  di  alcuni
determinati mezzi di prova, anche in appello. Ma cio' che non gli  e'
consentito e'  enucleare  una  serie  eterogenea  di  documentazione,
inibendo in relazione a essa - e non  anche  alla  generalita'  delle
prove precostituite - al  giudice  di  appello  l'esercizio  di  ogni
potere   delibativo   sul    punto,    senza    alcuna    ragionevole
giustificazione. Quanto precede sostanzia non solo la consumazione di
un vulnus alle funzioni attribuite al potere  giudiziario  dal  comb.
disp. articoli 102, primo comma (che  mutatis  mutandis  presidia  da
intromissioni esterne anche la funzione giurisdizionale esercitata in
materia tributaria da quest'organo speciale di  giurisdizione  optimo
iure e  non  solo  ai  limitati  fini  del  giudizio  incidentale  di
costituzionalita') - 111, primo comma, della Costituzione,  ma  norma
anche una menomazione del diritto  di  difesa  di  cui  all'art.  24,
secondo comma, della Costituzione, qualificato  dalla  giurisprudenza
costituzionale    come    «principio    supremo»     dell'ordinamento
costituzionale (sentenze n. 18 del 2022, n. 238 del 2014, n. 232  del
1989 e n. 18 del 1982) e «inteso come diritto al giudizio e con  esso
a quello alla prova»: v. sul punto la sentenza n. 41 del 2024, che, a
sua volta, richiama la sentenza n. 275 del 1990. 
    7. Accanto alla violazione dell'art. 3 della  Costituzione  e  al
delineato contrasto con il comb. disp.  di  cui  agli  articoli  102,
primo comma, 111, primo comma, 24, secondo comma, della Costituzione,
e' registrabile anche un'antinomia dell'art.  58,  terzo  comma,  del
decreto legislativo n. 546 del 1992 con l'art. 111, primo  e  secondo
comma, della  Costituzione,  secondo  la  declinazione,  di  recente,
offerta dalla sentenza n. 96 del 2024 per cui il  «giusto  processo»,
nel quale  si  attua  la  giurisdizione  e  si  realizza  il  diritto
inviolabile di difesa, comporta necessariamente che esso  «si  svolga
nel contraddittorio tra le parti», nonche' - prescrive  ulteriormente
l'art. 111, secondo comma, della Costituzione  -  «in  condizioni  di
parita', davanti a giudice terzo e imparziale». 
    Il  contraddittorio  e',  invero,  un  momento  fondamentale  del
giudizio  quale  cardine  della  ricerca  dialettica  della   verita'
processuale, condotta dal giudice con la collaborazione delle  parti,
volta alla pronuncia di una  decisione  che  sia  il  piu'  possibile
«giusta». 
    La qui censurata opzione legislativa, invero, ostacola il giudice
nel suo compito  (come  insegnano  autorevoli  autori  stranieri)  di
colmare il gap fra law and society, irragionevolmente impedendogli di
muoversi verso l'orizzonte teleologico proprio di qualsiasi processo:
pervenire a una decisione possibilmente  giusta.  E  a  tal  fine  e'
auspicabile   giungere   al   disvelamento,   sempre    nei    limiti
dell'esigibile e della comprensibilmente natura finita della  risorsa
giustizia, della verita' materiale. 
    Ne'  il  descritto  sacrificio  dell'esercizio   della   funzione
giurisdizionale e' giustificato  dall'esigenza  di  assicurare  piena
tutela  al  principio  della  ragionevole  durata.  Di  la'  che   la
delibazione dell'indispensabilita' di tutta la documentazione versata
in atti non comporta un apprezzabile dispendio di energie processuali
e di tempo, va rimarcato che, come chiarito da  autorevole  dottrina,
«funzione cognitiva del processo, imparzialita' del giudice,  diritto
di difesa, sono [...] i primari valori  di  giustizia»,  rispetto  ai
quali la  «ragionevole  durata  svolge  un  ruolo  sussidiario,  come
condizione di efficienza», da non intendere in  senso  riduttivo,  ma
resta fermo «un ordine logico,  una  cadenza  nella  definizione  dei
valori». D'altronde, il principio  di  ragionevole  durata  -  ha  di
recente ribadito la giurisprudenza costituzionale (sentenza n. 67 del
2023) - e' leso soltanto da «norme  procedurali  che  comportino  una
dilatazione dei tempi del processo  non  sorretta  da  alcuna  logica
esigenza». Senza  considerare  poi  che  la  durata  ragionevole  del
processo, in caso di ipotetico ampliamento dei tempi  di  definizione
del giudizio in  ragione  della  produzione  dei  documenti  indicati
dall'art.  58,  comma  3  potrebbe  essere  comunque  assicurata   da
specifiche disposizioni in tema di governo delle spese di lite. 
    8. Ma, ancora, l'art. 111, secondo comma, della  Costituzione  e'
violato la' dove si incrina il principio di eguaglianza fra le parti,
ravvisabile nel rilievo per cui situazioni omogenee sono disciplinate
in modo ingiustificatamente diverso (ex plurimis, sentenze n. 67  del
2023, n. 270 del 2022, n. 165 del 2020, n. 155 del 2014, n.  108  del
2006, n. 340 e n. 136 del 2004). 
    Risulta, infatti  evidente  la  violazione  del  principio  della
parita' delle parti nel processo,  che  trova  una  chiara  copertura
costituzionale  nell'art.  111,   primo   e   secondo   comma   della
Costituzione e nell'art. 24,  secondo  comma  della Costituzione  dal
momento che i loro poteri processuali in sede  di  gravame  risultano
disomogenei: mentre il privato puo'  produrre  nuovi  documenti,  sia
pure negli attuali limiti fissati dall'art. 58, commi 1 e 2, la parte
pubblica non puo' produrre i documenti di cui al comma 3 in  presenza
dei  medesimi  presupposti.  Non  puo'  ignorarsi,  infatti,  che  la
tipologia specifica dei  documenti  annoverati  dal  citato  comma  3
dell'art. 58, per le  caratteristiche  generali  del  diritto  e  del
processo tributario e secondo una  oggettiva  regola  di  esperienza,
riguardi gli atti che rendono legittima la pretesa  tributaria  della
parte pubblica e, quindi, attenga all'attivita'  difensiva  che  essa
ordinariamente svolge. 
    Secondo il dato  testuale,  peraltro,  la  produzione  dei  nuovi
documenti indicati al comma 3 non sarebbe possibile neppure quando la
necessita'  di  tale  versamento  derivi  dalle   difese   articolate
nell'appello da parte del contribuente e/o dal deposito di  documenti
effettuato in conformita' ai primi due commi dell'art. 58. 
    La produzione dei documenti allegati all'atto di  controdeduzioni
in appello risulta indispensabile, ma non e' consentita dall'art. 58. 
    Avendo  il  contribuente  impugnato  l'ingiunzione  per  l'omessa
notifica delle cartelle e per la prescrizione, e non quale  forma  di
tutela recuperatori per vizi delle cartelle stesse, l'atto  impugnato
risulterebbe viziato dalla mancata notifica degli atti presupposti. 
    La giurisprudenza di  legittimita'  (Cassazione  civile,  Sezioni
unite,  sentenza,  25  luglio  2007,  n.  16412),  infatti,  ha  gia'
affermato che la correttezza del  procedimento  di  formazione  della
pretesa tributaria e' assicurata mediante il rispetto di una sequenza
ordinata  secondo  una  progressione  di  determinati  atti,  con  le
relative notificazioni, destinati, con diversa e specifica  funzione,
a  farla  emergere  e  a  portarla  nella  sfera  di  conoscenza  dei
destinatari, allo scopo, soprattutto, di rendere possibile per questi
ultimi un efficace esercizio del diritto di  difesa.  Nella  predetta
sequenza, l'omissione della notificazione di un atto presupposto (nel
caso di specie cartella di pagamento) costituisce  vizio  procedurale
che comporta la nullita' dell'atto consequenziale (nel caso di specie
avviso di mora) notificato e tale nullita' puo' essere  fatta  valere
dal contribuente mediante la scelta o di impugnare, per tale semplice
vizio,  l'atto  consequenziale  notificatogli  -  rimanendo   esposto
all'eventuale successiva  azione  dell'amministrazione,  esercitabile
soltanto se siano ancora aperti  i  termini  per  l'emanazione  e  la
notificazione dell'atto presupposto - o di impugnare  cumulativamente
anche quest'ultimo (non notificato) per  contestare  radicalmente  la
pretesa tributaria: con la conseguenza che  spetta  al  giudice  -  i
merito - la  cui  valutazione  se  congruamente  motivata  non  sara'
censurabile  in  sede  di  legittimita'  -  interpretare  la  domanda
proposta dal contribuente al fine di verificare se egli abbia  inteso
far valere la nullita' dell'atto consequenziale  i'  base  all'una  o
all'altra opzione (nel caso di specie la Corte ha cassato la sentenza
di merito la quale aveva  ritenuto  che  la  mancata  notifica  della
cartella di pagamento non determinasse  la  nullita'  dell'avviso  di
mora e, decidendo nel merito, ha accolto il ricorso introduttivo  del
contribuente avverso l'avviso di mora).»  (conf.  Cassazione  civile,
ordinanza, 18 gennaio 2018, n. 1144 (R -. 646699 - 01). 
    8.1.  Gli  atti  di  cui  l'Agenzia  entrate-riscossione   chiede
l'acquisizione  risultano,  pertanto,  indispensabili  ai  fini   del
decidere, ma non possono essere acquisiti,  con  evidente  violazione
del principio della parita' delle armi. Infatti, non deve trascurarsi
che la stessa Corte costituzionale, nel  dichiarare  non  fondata  la
questione di legittimita' costituzionale  collegata  alla  diversita'
dei poteri processuali delle parti  nel  rito  tributario  (art.  58)
civile  (art.  345  codice  di  procedura  civile),  con   denunciata
violazione degli articoli 24 e 111 della Costituzione ha  evidenziato
che alle parti  del  giudizio  tributario  sono  riconosciuti  poteri
identici, affermando, piu' nel dettaglio, che  «nel  merito,  non  e'
fondata la censura di disparita' di  trattamento  tra  le  parti  del
giudizio, sostenuta sulla base del presunto "sbilanciamento a  favore
di quella  facultata  a  produrre  per  la  prima  volta  in  appello
documenti gia' in suo possesso nel grado  anteriore".  Sul  punto  e'
sufficiente rilevare che tale facolta' e' riconosciuta ad entrambe le
parti del giudizio, cosicche' non sussistono le ragioni del lamentato
"sbilanciamento"» (sentenza n. 199 del 2017). 
    Il comma 3 dell'art. 58 richiama poi il comma 6-bis dell'art. 14,
introdotto anch'esso dalla riforma del 2023, il quale dispone che «In
caso di vizi della notificazione eccepiti nei  riguardi  di  un  atto
presupposto emesso da un soggetto diverso da  quello  che  ha  emesso
l'atto impugnato, il ricorso e'  sempre  proposto  nei  confronti  di
entrambi i soggetti». Il litisconsorzio necessario previsto  da  tale
disposizione non  rende  ragionevole  la  diversita'  di  trattamento
rispetto alla parte privata, ove si consideri che una delle due parti
puo' restare contumace in quanto ciascuno dei litisconsorti necessari
di un giudizio ha una sua autonoma posizione processuale che non puo'
dipendere, quando al diritto di difesa, dalla  diligenza  processuale
dell'altro litisconsorte, anche se titolare di interessi analoghi. 
    8.2. Per quanto riguardo il caso di specie,  tale  disparita'  di
trattamento  e  pregiudizio  al  diritto  di  agire  e  resistere  in
giudizio, non trova  una  ragionevole  giustificazione  nella  natura
della parte pubblica. 
    Il giudizio tributario, infatti, non e' piu' un mero giudizio  di
natura  demolitoria,  imperniato  sulla  legittimita'  e  sulla  sola
correttezza motivazionale  dell'atto  impugnato,  ma  compendia  ampi
spazi di rilevanza del materiale probatorio circa la sussistenza  del
debito tributario e della sua entita'. 
    A riguardo deve osservarsi che il comma  5-bis  dell'art.  7  del
decreto legislativo n. 546 del 1992,  introdotto  dall'art.  6  della
legge n. 130 del 2022, in coerenza con tale linea di tendenza prevede
che «[l]'amministrazione prova in giudizio le  violazioni  contestate
con l'atto impugnato. Il giudice fonda la decisione sugli elementi di
prova che emergono nel giudizio e annulla  l'atto  impositivo  se  la
prova della sua  fondatezza  manca  o  e'  contraddittoria  o  se  e'
comunque  insufficiente  a  dimostrare,  in  modo  circostanziato   e
puntuale,  comunque  in  coerenza   con   la   normativa   tributaria
sostanziale, le ragioni  oggettive  su  cui  si  fondano  la  pretesa
impositiva  e  l'irrogazione  delle  sanzioni.  Spetta  comunque   al
contribuente fornire le ragioni della richiesta di  rimborso,  quando
non sia conseguente al pagamento di  somme  oggetto  di  accertamenti
impugnati». Ne consegue che, specie ove non  operino  le  presunzioni
proprie del diritto tributario sostanziale (cui fa comunque indiretto
riferimento la norma citata - cfr. Cassazione ordinanza n.  2746  del
30 gennaio 2024),  l'amministrazione  e'  tenuta  a  provare  la  sua
pretesa sostanziale  non  puo'  disporre  di  poteri  probatori  piu'
limitati rispetto alla controparte. 
    9.  Sia,  infine,  consentito  rispettosamente  rappresentare   a
codesta  Corte  la  particolare  urgenza  della  questione  sollevata
pendendo innanzi  a  questo  giudice  numerose  cause  involgenti  la
presente questione di legittimita' costituzionale.