LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE 
                       Seconda sezione civile 
 
    Composta dagli ill.mi sigg.ri magistrati: 
        dott. Felice Manna - Presidente; 
        dott. Mario Bertuzzi - consigliere; 
        dott.ssa Milena Falaschi - consigliere rel.; 
        dott. Riccardo Guida - consigliere; 
        dott. Remo Caponi - consigliere; 
    ha pronunciato la seguente ordinanza interlocutoria  sul  ricorso
243 - 2022 proposto da: 
        T. T. , rappresento e difeso dall'avvocato  Marco  Ripamonti,
con procura speciale in calce al ricorso ed elettivamente domiciliato
all'indirizzo PEC del difensore iscritto nel  REGINDE  e  in  Viterbo
- piazza  San  Francesco  n.  2  - presso  lo  studio  dello   stesso
ricorrente; 
    contro Agenzia delle  dogane  e  dei  monopoli,  in  persona  del
direttore pro tempore, rappresentata e difesa ex lege dall'Avvocatura
generale dello Stato (C.F. 80224030587) ed elettivamente  domiciliata
presso gli uffici della stessa in Roma - via dei Portoghesi, n. 12  -
controricorrente; 
    avverso la sentenza n. 663/2021 della Corte di appello  di  Lecce
depositata il 27 maggio 2021 e non notificata; 
    udita la relazione della causa svolta nell'udienza pubblica del 9
gennaio 2024 dal consigliere relatore dott.ssa Milena Falaschi; 
    sentite le conclusioni del  pubblico  ministero  in  persona  del
sostituto Procuratore generale, dott. Corrado Mistri, nel  senso  del
rigetto del ricorso; 
    sentiti gli avvocati Marco Ripamonti,  per  parte  ricorrente,  e
Francesca Soprani, per parte contro ricorrente. 
 
                      Svolgimento del processo 
 
    Con ricorso del 2 luglio 2018 T.  T.,  titolare  della  «.  .  .»
denominata «. . .», proponeva -  dinanzi  al  Tribunale  di  Lecce  -
opposizione avverso ordinanza-ingiunzione (n. . . . del . . .) emessa
dall'Agenzia delle dogane e monopoli (ADM) - Ufficio dei monopoli per
la Puglia, con cui gli era stato ingiunto il pagamento della sanzione
di  euro  20.000,00  per  violazione  dell'art.  7,  comma  3-quater,
decreto-legge 13 settembre 2012, n. 158 (convertito con modificazioni
nella legge 8 novembre 2012, n. 189) per essere stato  accertato  dai
funzionari, nel corso di una verifica  effettuata  nei  locali  della
sala  giochi,  la  presenza  di  un  apparecchio  di  intrattenimento
denominato «internet point» che consentiva la libera  connessione  ai
siti di gioco on-line. 
    Instaurato  il  contraddittorio,  nella  resistenza  dell'Agenzia
delle dogane e dei monopoli, il giudice adito, con sentenza  n.  1781
del  2020,  accoglieva   l'opposizione,   ritenendo   che   il   mero
collegamento del  personal  computer  ad  una  piattaforma  di  gioco
on-line e la semplice visualizzazione della rispettiva schermata  non
comportava di per se' la consumazione della condotta sanzionata dalla
suddetta fattispecie. 
    In virtu' di impugnazione interposta dall'ADM, la Corte d'appello
di Lecce, nella resistenza del sanzionato, con sentenza  n.  633  del
2021, accoglieva il gravame e per l'effetto riformava la decisione di
prime cure, con condanna alle spese dell'appellato. 
    A  sostegno  della  decisione,  la  Corte  distrettuale  riteneva
violato,  da  parte  dell'opponente,  l'art.   7,   comma   3-quater,
decreto-legge n. 158/2012 gia' con la mera «messa a disposizione»  di
un'apparecchiatura che consentisse, come nella specie, la connessione
a siti di gioco on-line, senza che fosse necessariamente in atto,  ai
fini della punibilita' della condotta, un'azione di gioco da parte di
alcun avventore  sul  dispositivo.  Inoltre,  il  giudice  di  merito
aggiungeva che, ai fini della violazione della  disposizione  citata,
non vi si poteva attribuire una diversa interpretazione, neanche alla
luce della circolare n. 19453 del 6 marzo 2014  dell'ADM.  Tale  atto
interno  all'Amministrazione,  in  effetti,  puntualizzava   che   la
violazione del divieto di cui all'art. 7 si sarebbe concretizzata nei
soli casi in cui i dispositivi elettronici erano messi a disposizione
dei clienti con la sola finalita' di  consentire  la  connessione  ai
siti di gioco e non  anche  quando  la  disponibilita'  avveniva  per
finalita' diverse come la libera navigazione sul web.  Ciononostante,
il giudice collegiale riteneva non provata, da parte  dell'opponente,
la circostanza di un utilizzo dell'internet point diverso  dal  gioco
on-line,  mentre  riconosceva  adempiuto  l'onere  probatorio   circa
l'effettiva possibilita' di una  connessione  dell'apparecchiatura  a
piattaforme  di  gioco  on-line,  secondo   quanto   verificato   dai
funzionari dell'ADM e riportato nel verbale di accertamento corredato
da rilievi fotografici. 
    Avverso la sentenza della Corte di appello di Lecce  ha  proposto
ricorso per cassazione l'originario opponente T. T. ,  affidandolo  a
tre motivi, cui ha resistito con controricorso l'Agenzia delle dogane
e Monopoli. 
    Il ricorso e' stato inizialmente avviato per  la  trattazione  in
Camera di consiglio, e all'esito dell'adunanza camerale, fissata il 3
ottobre 2023, e con ordinanza interlocutoria n. 28832/2023 depositata
il 17 ottobre 2023, il procedimento e'  stato  rimesso  dal  Collegio
alla pubblica udienza in considerazione della esigenza di definire la
natura  delle  apparecchiature   utilizzate   per   l'organizzazione,
l'esercizio e la raccolta a distanza di scommesse. 
    In prossimita' dell'udienza pubblica la sola parte ricorrente  ha
curato il deposito di memoria ex art. 378  del  codice  di  procedura
civile. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    Le    questioni    centrali    della    controversia    attengono
all'applicabilita' alla fattispecie in esame del  disposto  dell'art.
7,  comma  3-quater,  decreto-legge  n.  158/2012,   convertito   con
modificazioni dalla legge n. 168/2012, nonche' dell'art. 1, comma 923
della legge n. 208/2015 per i quali la Corte ritiene siano  rilevanti
e  non  manifestamente  infondati  le   questioni   di   legittimita'
costituzionale per violazione  dell'art.  3  della  Costituzione,  in
combinato disposto con gli articoli 25, 41, 42  e  117,  primo  comma
della Costituzione  in  relazione  all'art.  1,  prot.  addiz.  CEDU,
firmato a Parigi il 20 marzo 1952, e agli  articoli  16  e  17  della
Carta  dei  diritti   fondamentali   dell'Unione   europea   (CDFUE),
proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e adattata a Strasburgo  il  12
dicembre 2007, sotto il duplice profilo. 
    Quanto  all'argomento  centrale  dell'impugnata  sentenza   sopra
esposto, del perimetro di applicazione dell'art. 7,  comma  3-quater,
decreto-legge n. 158/2012, convertito con legge 8 novembre  2012,  n.
189, il ricorrente lo censura con tutti e tre i motivi articolati nei
termini di seguito illustrati. 
    Con il primo motivo il ricorrente  lamenta  la  violazione  e  la
falsa applicazione dell'art.  7,  comma  3-quater,  decreto-legge  n.
158/2012, convertito con legge 8 novembre 2012, n. 189, dell'art.  21
della Costituzione, degli articoli 3 e 4 del decreto  legislativo  n.
259/2003, dell'art. 10 del  decreto-legge  21  giugno  2013,  n.  69,
convertito con legge 9 agosto 2013, n. 98, nonche' la violazione e la
falsa  applicazione  degli  articoli  12  e  15  delle  preleggi,  in
relazione all'art. 360, primo comma, n. 3) del  codice  di  procedura
civile, per avere la Corte d'appello interpretato  la  disciplina  in
oggetto nel senso di vietare gia' solo la mera «messa a disposizione»
dell'apparecchiatura «Totem» nel locale. 
    Il giudice di merito, secondo il ricorrente, avrebbe proceduto ad
un'interpretazione  rigida  e  letterale,   avulsa   da   valutazioni
sistematiche, giungendo  cosi'  ad  un  risultato  interpretativo  in
contrasto con quanto previsto dalle disposizioni  sopracitate,  nella
parte in cui garantiscono il diritto all'informazione e  incoraggiano
lo sviluppo delle comunicazioni digitali. Per  questo,  la  Corte  di
appello avrebbe dovuto condividere l'interpretazione del  giudice  di
prime cure ed affermare che l'installazione dei personal computer per
la navigazione in rete internet e' di per se' lecita, a meno che tali
postazioni  vengano  utilizzate  esclusivamente  e  direttamente  per
attivita'  di  gioco  su  apposite  piattaforme   on-line,   mediante
navigazione vincolata e senza possibilita' di scelta alcuna  in  capo
all'utente.  Cosicche',  il   giudice   collegiale   avrebbe   dovuto
condividere l'impostazione secondo cui lo stesso collegamento con  la
piattaforma  di  gioco  (lecito,  atteso  che  le   piattaforme   non
autorizzate vengono inibite a monte da SOGEI) sia irrilevante ai fini
sanzionatori, laddove sia il risultato di una  scelta  consapevole  e
libera del cliente che, del resto, potra' interagire  con  la  stessa
soltanto se in possesso di credenziali e di un conto di gioco. 
    Con il secondo motivo, ai sensi dell'art. 360, primo comma, n. 3)
del  codice  di  procedura  civile,  si  deduce  violazione  e  falsa
applicazione dell'art. 3 della legge n.  689/1981,  nonche'  l'omessa
motivazione sul punto, per non avere il giudice di  merito  preso  in
considerazione  il  principio  di  colpevolezza,  quale   presupposto
necessario per l'irrogazione della sanzione. Infatti, alla luce delle
dichiarazioni del ricorrente, la Corte  d'appello  di  Lecce  avrebbe
dovuto valorizzare l'elemento  probatorio  costituito  dalla  propria
dichiarazione,  resa  gia'  ai  funzionari  dell'ADM,  con   cui   il
sanzionato affermava che l'apparecchiatura veniva  utilizzata  a  sua
insaputa per il  collegamento  alla  piattaforma  di  gioco  on-line,
essendo la stessa adibita alla libera navigazione sul web. 
    Con il terzo motivo, in relazione all'art. 360, primo  comma,  n.
3) del codice di procedura civile, il ricorrente lamenta violazione e
falsa  applicazione  dell'art.  57  del  Trattato  sul  funzionamento
dell'Unione europea, dell'art. 12, par. 1 della direttiva 2000/31/CE,
dell'art. 1 della direttiva  98/34/CE  e  della  direttiva  98/48/CE,
nonche' dei principi di diritto sanciti dalla sentenza della Corte di
giustizia del 15 settembre 2016, causa C-484/14, chiedendo alla Corte
di sollevare questione  pregiudiziale  ai  sensi  dell'art.  267  del
Trattato   sul   funzionamento   dell'Unione   europea,   circa    la
compatibilita' dell'art. 7 del decreto-legge n. 158/2012  con  l'art.
57  del  Trattato  sul  funzionamento  dell'Unione   europea   e   le
sopracitate  norme  dell'ordinamento  europeo.  Nello  specifico,  il
ricorrente chiede di verificare la conciliabilita' di una norma  come
l'art. 7,  comma  3-quater  del  decreto-legge  n.  158/2012  con  la
normativa eurounitaria, nella misura in cui essa possa contemplare il
divieto assoluto  della  mera  messa  a  disposizione  di  postazioni
internet (personal computer) che, in  regime  di  libera  navigazione
web, risultino astrattamente e potenzialmente idonee a consentire  la
navigazione su siti di gioco; oltre che,  nella  parte  in  cui  essa
imponga un obbligo di vigilanza costante - in capo a colui che  mette
a disposizione tali postazioni internet - sulle condotte degli utenti
che accedono alle predette postazioni idonee alla libera navigazione. 
    Per poter procedere all'esame delle questioni  di  diritto  poste
dal ricorrente e' opportuno precisare il quadro  normativo  nazionale
ed eurounitario nei quali circoscrivere la fattispecie de qua. 
    L'art. 7, comma 3-quater, decreto-legge n. 158 del 2012,  recante
«Disposizioni urgenti per promuovere lo sviluppo del  Paese  mediante
un  piu'  alto  livello  di  tutela  della  salute»,  convertito  con
integrazioni e modificazioni dalla legge n. 189 del  2012,  vieta  la
messa  a  disposizione  presso  qualsiasi  esercizio  commerciale  di
apparecchiature che attraverso la connessione  telematica  consentono
agli avventori di giocare sulle  piattaforme  di  gioco  offerte  dai
concessionari  on-line  da  soggetti  autorizzati  all'esercizio  dei
giochi a distanza  ovvero  da  soggetti  privi  di  qualsiasi  titolo
concessorio o autorizzatorio rilasciato dalle  competenti  autorita',
facendo salve le sanzioni previste nei confronti di chiunque eserciti
illecitamente attivita' di offerta di giochi con vincita in denaro. 
    Sul piano sistematico, il comma 3-quater dell'art. 7  costituisce
una delle «misure di prevenzione per contrastare la  ludopatia»,  cui
si dedica l'intero art. 7  contenente  «Disposizioni  in  materia  di
vendita  di  prodotti  del  tabacco,  misure   di   prevenzione   per
contrastare la ludopatia e per l'attivita' sportiva non  agonistica».
La lotta alla ludopatia, d'altronde, costituisce una delle misure che
il decreto Balduzzi adotta al fine di  «promuovere  lo  sviluppo  del
Paese mediante un piu' alto livello di tutela  della  salute».  Nella
relazione illustrativa del decreto, infatti, viene osservato come  le
misure introdotte dall'art. 7 siano volte a promuovere l'adozione  di
un corretto e sano stile di vita, «il cui  mancato  controllo  genera
patologie per una larga fascia di cittadini ed  incremento  di  spesa
per il  SSN»;  con  particolare  riferimento  alla  ludopatia,  viene
sottolineato che la diffusione  della  c.d.  sindrome  da  gioco  con
vincita di denaro configura una vera e propria emergenza a  carattere
epidemico. Tuttavia, nel testo originario del decreto  in  questione,
non erano previste norme sanzionatorie analoghe a quella  di  cui  in
esame,  ma  venivano  predisposte   unicamente   misure   di   natura
sanzionatoria  in  relazione   alle   attivita'   di   promozione   e
pubblicizzazione di attivita' di gioco d'azzardo in  luoghi  pubblici
sensibili  perche'  frequentati  o  potenzialmente  frequentabili  da
soggetti minorenni. Il comma 3-quater e' stato infatti introdotto  in
sede di conversione dalla legge n. 189/2012. 
    La  lettura  della  norma  e'  complessa:  in  primo   luogo   la
disposizione che prevede il divieto inizialmente non  contemplava  la
sanzione che e' stata introdotta dell'art. 1, comma 923  della  legge
n.  208  del  2015,  che  ha  previsto  la  sanzione   amministrativa
pecuniaria in misura «fissa» di euro 20.000,00; in secondo luogo,  la
norma  configura   in   capo   al   concessionario   una   forma   di
responsabilita' omissiva ed oggettiva. 
    Invero, la parola «apparecchiature» ex art.  7,  comma  3-quater,
decreto-legge n. 158/2012 convertito in legge n. 189/2012 non  indica
i soli totem  (cioe'  i  dispositivi  dedicati  in  modo  stabile  ed
esclusivo ai giochi on-line), ma si presta a  ricomprendere  anche  i
personal computer dotati di connessione  telematica,  che  una  volta
messi  a  disposizione  possono  collegarsi   alle   piattaforme   di
concessionari di gioco on-line. 
    Orbene, la finalita' di ordine pubblico di  contrasto  del  gioco
illegale, a tutela della salute pubblica, specialmente di  minorenni,
impone un'interpretazione rigorosa del divieto, ma allo stesso  tempo
deve essere rispettosa e bilanciarsi con  la  tutela  delle  liberta'
degli individui. 
    Fra gli argomenti  di  supporto  alla  interpretazione  estensiva
della norma in questione viene citata la circolare dell'Agenzia delle
dogane e dei monopoli (6 marzo 2014),  ove  le  apparecchiature  sono
descritte  come  apparecchi  terminali   connessi   ad   internet   o
funzionanti tramite  intranet  con  collegamenti  che  abilitano  una
navigazione  a  circuito  chiuso.  La  circolare  precisa  che   tali
apparecchiature sono costituite per lo piu' dai totem, ma non esclude
che si diano altre apparecchiature per mezzo  delle  quali  si  possa
giocare on-line. Al fine di definire la disciplina  sanzionatoria  in
un  settore  in  rapida  evoluzione  tecnologica,  l'art.  7,   comma
3-quater, decreto-legge n. 158/2012 convertito in legge  n.  189/2012
sembra avere la funzione di norma «di  chiusura»  diretta  a  colpire
l'utilizzo concreto  per  il  gioco  illecito  di  tutti  i  tipi  di
videoterminali idonei a cio'. Cio' pero' non dovrebbe comportare  che
sia sanzionata la semplice messa a disposizione di personal  computer
o di apparecchi simili. E' sanzionata la provata utilizzabilita' come
apparecchi di intrattenimento, in  virtu'  della  loro  collocazione,
dell'assenza di accorgimenti tecnici che impediscano  di  accedere  a
siti di gioco on-line o di altre circostanze di fatto  da  apprezzare
in concreto caso per caso. 
    Nel caso di specie, il fatto che il personal computer  non  fosse
esclusivamente dedicato al gioco, ma potesse essere utilizzato  anche
per la generica navigazione in internet viene  ritenuta  dalla  norma
giuridicamente irrilevante, mentre  in  punto  di  fatto  durante  il
sopralluogo effettuato dagli ispettori dell'ADM risultava la messa  a
disposizione,  da  parte  del  ricorrente,  di  un   apparecchio   di
intrattenimento denominato «internet point» che consentiva la  libera
connessione alla rete ed ai siti di gioco on-line, in quanto sul  suo
monitor vi era aperta la schermata di differenti piattaforme di gioco
on-line. 
    Il ricorso pone dunque la questione del significato  normativo  -
in questo contesto - della nozione di «apparecchiatura»  rispetto  al
significato diffuso nel linguaggio  della  tecnica,  cioe',  come  un
complesso d'impianti, di comandi e di strumenti fra loro  coordinati,
adibiti ad un certo servizio o anche ad una determinata  lavorazione;
la distinzione tra semplice messa a disposizione dell'apparecchiatura
e  concreta  utilizzabilita'  per  finalita'  illecite;  gli   indici
menzionati per ravvisare il profilo  della  concreta  utilizzabilita'
per illeciti, ossia se sia  necessario  il  carattere  permanente  ed
esclusivo  della  destinazione,  oppure  se   sia   sufficiente   una
destinazione    dell'apparecchiatura    transitoria    (o    comunque
reversibile)  e  promiscua;  fattori  questi  che  inciderebbero  sul
carattere relativamente elastico della fattispecie ex art.  7,  comma
3-quater, decreto-legge n. 158/2012 convertito in legge n. 189/2012. 
    Sul piano della normativa eurounitaria  e  sua  applicazione,  la
Corte di giustizia C-390/12 del 2014 ha chiarito che  l'art.  56  del
Trattato sul funzionamento dell'Unione europea e' da interpretare nel
senso che esso osta a una normativa  nazionale  del  tipo  di  quella
oggetto di applicazione, solo se  essa  non  persegue  effettivamente
l'obiettivo della tutela dei giocatori d'azzardo o della  lotta  alla
criminalita'. Ancora, la finalita' di tutela della  salute  pubblica,
con particolare riguardo ai minori, e la necessita' di provvedere con
urgenza in tale materia esclude inoltre, in base all'art. 6, comma 7,
direttiva 2015/1535/UE, l'obbligo  della  previa  comunicazione  alla
Commissione del testo delle disposizioni oggetto di applicazione. 
    Inoltre, questa interpretazione dell'art.  56  del  Trattato  sul
funzionamento dell'Unione europea , confermata dalla  sentenza  della
Corte di giustizia dell'Unione europea del 14 giugno 2017, resa nella
causa C-685/15, deve essere intesa anche  nel  senso  che  la  libera
prestazione dei servizi on osta ad un sistema processuale  nazionale,
in cui, nell'ambito  dei  procedimenti  amministrativi  «a  carattere
penale», il giudice chiamato  a  pronunciarsi  sulla  conformita'  al
diritto dell'Unione di una normativa  restrittiva  dell'esercizio  di
una liberta' fondamentale prevista dai trattati, come la  limitazione
della liberta' di prestazione di servizi in favore della tutela della
salute, e' tenuto a istruire d'ufficio gli elementi  di  prova  della
controversia  di  cui  e'  investito  nel  contesto  della   verifica
dell'esistenza  degli  illeciti  amministrativi,  purche'  con   tale
attivita' non  si  determini  una  sua  sostituzione  alle  autorita'
competenti  dello  Stato  membro  interessato,  sulle  quali  incombe
l'onere di fornire gli elementi di prova necessari per consentire  al
giudice  interno  la  giustificazione  della  restrizione.   A   tale
riguardo, infatti, un certo numero di motivi imperativi di  interesse
generale,  quali  gli  obiettivi  di  tutela  dei   consumatori,   di
prevenzione della frode e dell'incitazione dei cittadini ad una spesa
eccessiva collegata al gioco, nonche'  di  prevenzione  di  turbative
all'ordine   sociale   in   generale   sono   stati   ammessi   dalla
giurisprudenza a giustificazione di una normativa restrittiva di  una
liberta' fondamentale prevista  dai  Trattati  dell'Unione,  come  la
libera prestazione di servizi,  messa  in  discussione  nel  caso  di
specie (v., in tal senso, sentenze 24  marzo  1994,  causa  C-275/92,
Schindler, Racc. pag. I-1039, punti 57-60; 21 settembre  1999,  causa
C-124/97, Läärä e a., Racc. pag. I-6067, punti 32  e  33;  .  .  .  ,
citata, punti 30 e 31, nonche' . . .  e a., citata, punto 67). 
    Rimane, comunque, onere dello Stato membro che  abbia  introdotto
la normativa piu' restrittiva fornire  elementi  di  prova  intesi  a
dimostrare  l'esistenza  degli   obiettivi   idonei   a   legittimare
l'ostacolo ad una liberta' fondamentale garantita  dal  Trattato  sul
funzionamento dell'Unione europea e il suo  carattere  proporzionato,
di modo che, nell'inadempimento di tale onere probatorio, il  giudice
nazionale deve poter trarre tutte le conseguenze  derivanti  da  tale
mancanza (sentenza CGUE del 28  febbraio  2018,  Sporting  Odds  Ltd,
causa C-3/17). E, per di piu', secondo la Corte di giustizia,  l'art.
56 del Trattato sul funzionamento  dell'Unione  europea  deve  essere
interpretato anche nel senso che non si puo' constatare che uno Stato
membro non abbia adempiuto il proprio onere probatorio giustificativo
di una misura restrittiva, per il solo fatto  di  non  avere  fornito
alcuna   analisi   degli   effetti   di   tale   misura   alla   data
dell'introduzione di essa  nella  normativa  nazionale  o  alla  data
dell'esame della misura da parte del giudice nazionale (sentenza CGUE
del 28 febbraio 2018, Sporting Odds Ltd, causa  C-3/17,  punto  63  e
giurisprudenza ivi citata). 
    Sono diversi, pertanto, i parametri cui il giudice nazionale deve
fare riferimento nel verificare la proporzionalita' della restrizione
della  liberta'  di  prestazione   dei   servizi,   effettuando   una
valutazione globale delle circostanze alla base  dell'adozione  della
normativa  nazionale  controversa  e  verificandone   gli   obiettivi
effettivamente perseguiti. In particolare, deve  tenere  conto  delle
concrete  modalita'  di  applicazione  della  normativa  restrittiva,
assicurandosi che questa risponda veramente all'intento di ridurre le
occasioni di gioco, di limitare le attivita' in  tale  settore  e  di
combattere  la  criminalita'  in  maniera  coerente   e   sistematica
(sentenza CGUE del 14 giugno 2017, Online Games Handels  GmbH  e  a.,
causa C-685/15, punti 51-52; sentenza  CGUE  del  28  febbraio  2018,
Sporting Odds Ltd, causa C-3/17, punto 64). 
    Infatti, una  norma  restrittiva  di  una  liberta'  fondamentale
riconosciuta dal Trattato sul funzionamento  dell'Unione  europea  e'
compatibile  con  il  diritto  dell'Unione  soltanto  qualora  ricada
nell'ambito di una norma derogatoria espressa,  come  l'art.  52  del
Trattato sul funzionamento dell'Unione europea,  ossia  della  tutela
dell'ordine  pubblico,  della  pubblica  sicurezza  e  della  sanita'
pubblica (sentenza CGUE del 28  febbraio  2018,  Sporting  Odds  Ltd,
causa  C-3/17,  punto  39  nonche'  la  giurisprudenza  ivi  citata).
Pertanto, ritenuto pacifico che, in  considerazione  dell'assenza  di
contatto diretto tra consumatore  e  operatore,  i  giochi  d'azzardo
accessibili via internet comportano rischi di natura differente e  di
entita' accresciuta rispetto ai mercati tradizionali di tali  giochi,
anche per eventuali  frodi  commesse  dagli  operatori  a  danno  dei
consumatori,  la  norma  restrittiva  in  questione,  deve   comunque
rispettare il carattere di un divieto proporzionato secondo i criteri
previsti dalla giurisprudenza della Corte di giustizia (sentenza CGUE
del 28 febbraio 2018, Sporting Odds Ltd, causa C-3/17, punto 41 e  la
giurisprudenza ivi citata). 
    Tanto precisato,  nella  specie,  il  giudizio  non  puo'  essere
risolto  prescindendo  dall'applicazione  della   norma   della   cui
legittimita' si dubita. Il giudizio di merito  ha  infatti  avuto  ad
oggetto  l'applicazione  della  sanzione  relativa  alla   violazione
dell'art. 7, comma 3-quater. Da una parte, il giudice di primo grado,
in effetti,  ha  escluso  la  sua  applicabilita'  sulla  base  della
risultanza fattuale che il mero collegamento dell'apparecchio ad  una
piattaforma di gioco on-line, qualora lo stesso  fosse  adibito  alla
navigazione libera  in  rete,  non  comportava  la  violazione  della
condotta  prevista  dall'art.  7,  comma   3-quater.   Di   converso,
considerato  l'inadempimento  dell'onere  probatorio  da  parte   del
sanzionato circa la possibilita' di un utilizzo alternativo  rispetto
al gioco on-line dell'internet point, la Corte d'appello ha  ritenuto
che la collocazione all'interno della  sala  giochi  di  un  personal
computer connesso liberamente alla rete internet, sul quale era stato
verificato il  precedente  collegamento  a  siti  di  gioco  on-line,
costituisse  la  condotta  vietata  della  messa  a  disposizione  di
un'apparecchiatura idonea la gioco on-line prevista dalla  disciplina
in  esame.  Il  giudice  del  gravame  ha  cosi'  ritenuto  legittima
l'ordinanza ingiunzione con la quale e' stata irrogata la sanzione in
virtu'   della   mera   messa   a   disposizione    delle    suddette
apparecchiature, applicando quindi la norma in contestazione. Risulta
in questo caso violata l'unica condotta illecita nella mera  messa  a
disposizione degli utenti di personal computer a navigazione  libera.
Irrilevante, ai fini della applicazione della  misura  sanzionatoria,
risulta essere la verifica dell'effettivo ed attuale  collegamento  a
siti di gioco on-line, sanzionando, la norma,  la  semplice  messa  a
disposizione del mezzo idoneo al collegamento. 
    La prima questione di legittimita' costituzionale  che  si  vuole
prospettare  alla  Corte  riguarda  l'art.  7,  comma  3-quater   del
decreto-legge n. 158/2012 convertito con  modificazioni  dall'art.  1
della legge n. 189/2012, nella parte in cui prevede che  sia  vietata
la messa a disposizione,  presso  qualsiasi  pubblico  esercizio,  di
apparecchiature che, attraverso la connessione telematica, consentano
ai clienti di giocare sulle piattaforme di gioco messe a disposizione
dai concessionari on-line, da soggetti autorizzati all'esercizio  dei
giochi a distanza. 
    Il   dubbio   interpretativo   concerne   sia   la   nozione   di
apparecchiature cui si riferisce  la  disposizione  sia  il  tipo  di
condotta che si vuole sanzionare. 
    Quanto  al  primo  elemento,  una   interpretazione   restrittiva
consentirebbe, infatti, di ritenere «apparecchiature» solo quelle che
impongono, perche' a cio' esclusivamente destinate attraverso sistemi
di preimpostazione o di restrizioni di navigazione, il gioco  on-line
(i c.d. totem). Al contrario, una interpretazione estensiva determina
l'inclusione,  in  tale   nozione,   di   qualsiasi   apparecchiatura
potenzialmente idonea  al  collegamento  a  siti  di  gioco  on-line,
compresi personal computer, tablet o strumenti analoghi. 
    Questa Corte, per  le  ragioni  che  seguono,  ritiene  di  dover
privilegiare tale seconda interpretazione. 
    Sul  piano   strettamente   letterale,   infatti,   la   condotta
sanzionabile consiste nella semplice messa a disposizione dei clienti
di un esercizio pubblico di qualsiasi genere di  apparecchiatura  che
consenta, e quindi non  impedisca,  di  collegarsi,  anche  in  piena
autonomia, a siti di gioco on-line dotati di concessione. 
    Alla   medesima   conclusione   si   perviene   attraverso    una
interpretazione sistematica, non potendo, anche alla luce del diritto
vivente formatosi sul tema (da  ultimo,  Cassazione  n.  42036/2021),
ricondurre le apparecchiature di  cui  all'art.  7,  comma  3-quater,
decreto-legge n. 158/2012, convertito in legge n. 189/2012,  ai  soli
apparecchi videoterminali di cui all'art. 110, comma 6,  lettera  b),
TULPS, la cui messa a disposizione  comporta  l'applicabilita'  della
sanzione di cui all'art. 110, comma 9 f-ter,  TULPS,  determinandosi,
in caso contrario,  una  irragionevole  sovrapposizione  di  condotte
sanzionabili. 
    La stessa  Agenzia  delle  dogane  e  monopoli,  d'altronde,  non
esclude che i personal computer a libera navigazione  possano  essere
inclusi nella nozione di apparecchiature ai sensi della  disposizione
in parola (v. circolare 6 marzo 2014). 
    Ancora, a suffragio di tale tesi  vale  anche  il  richiamo  alla
giurisprudenza penale sviluppatasi in materia di raccolta illecita di
scommesse, secondo cui  «La  sola  predisposizione  presso  qualsiasi
esercizio  di  apparecchiature   che,   attraverso   la   connessione
telematica, consentono ai clienti di  giocare  sulle  piattaforme  di
gioco messe a disposizione dai concessionari  on-line  in  violazione
del  divieto  dell'art.  7,  comma  3-quater,  del  decreto-legge  n.
158/2012 non configura la contravvenzione di  cui  all'art.  4  della
legge n. 401/1989, essendo al contrario necessaria la predisposizione
di personale e  mezzi  conformati  in  modo  tale  da  concretare  la
condotta di organizzazione, esercizio e raccolta a distanza di giochi
richiesta da tale disposizione» (Cassazione, sez.  terza  penale,  1°
ottobre 2013, n. 40624). Cio' significa che, a contrario, la condotta
consistente nella mera messa a disposizione  del  mezzo,  irrilevante
sul  piano  della  responsabilita'  penale,   rileva   invece   quale
responsabilita' amministrativa. 
    Fatte salve, quindi, le norme che prevedono  specifiche  sanzioni
per  la  messa  a   disposizione   di   apparecchiature   dotate   di
caratteristiche  tecniche  determinate,  l'art.  7,  comma  3-quater,
assolve   la   funzione   di   norma   di   chiusura   che,   secondo
l'interpretazione che si ritiene di condividere, al fine di  tutelare
la salute soprattutto dei soggetti minori e di evitare che il divieto
di gioco illecito possa essere aggirato, consente di  punire,  grazie
al suo carattere elastico,  la  messa  a  disposizione  di  qualsiasi
strumento  dotato  di  collegamento   telematico   che   anche   solo
potenzialmente sia idoneo al collegamento ai siti di gioco on-line. 
    D'altra parte, la prassi applicativa della norma in questione  si
e' consolidata nel senso di ritenere sanzionabile la condotta di  chi
mette a disposizione apparecchiature idonee nel  caso  in  cui  dalle
ispezioni  svolte  risulti  che,  in   concreto,   vi   siano   stati
collegamenti ai siti di gioco on-line. Anche tale prassi  applicativa
suscita  perplessita'  sotto  un  duplice  profilo:  in  primo  luogo
perche', alla luce  di  quanto  su  esposto,  questa  interpretazione
restrittiva si scontra con il dato testuale  della  disposizione;  in
secondo luogo, perche' la norma non disciplina  in  modo  determinato
quali condotte dell'esercente possano considerarsi idonee ad esimerlo
dalla responsabilita' amministrativa. 
    Interpretare la disposizione nel senso  di  ritenere  sussistente
nei confronti dell'esercente un obbligo di vigilanza avendo  riguardo
ai  siti  ai  quali  i  singoli  clienti  si  collegano   all'interno
dell'esercizio, d'altronde, si porrebbe in evidente contrasto con  la
tutela dei dati personali. Lo stesso  Garante  privacy  ha  precisato
che, a seguito dell'abrogazione del decreto Pisanu (decreto-legge  n.
144/2005),   che   imponeva   l'obbligo    di    registrazione    con
identificazione degli  utenti  a  carico  degli  esercenti  dei  c.d.
internet point, non solo l'identificazione dell'utente si  poneva  in
contrasto con il diritto  alla  privacy,  ma  anche  ogni  genere  di
attivita' di controllo o monitoraggio dell'esercente sugli  indirizzi
internet ai quali gli utenti si collegavano. Il compito di richiedere
(per il conseguente utilizzo) i dati personali degli avventori,  come
la registrazione dei loro documenti, e'  stata  vietata  dal  Garante
della privacy anche nei pubblici esercizi, come ristoranti e bar, che
possono mettere a disposizione dei  clienti  oltre  il  wi-fi,  anche
dispositivi per  navigare  sul  web  con  richiesta  di  utilizzo  di
connettivita' internet, ribadendo come i dati personali  dei  clienti
non possano essere utilizzati senza apposito consenso. 
    Uno degli strumenti attraverso cui l'esercente  potrebbe  evitare
di incorrere nella sanzione de qua e' costituito  dalla  impostazione
di filtri di accesso a determinati siti  internet  all'interno  delle
apparecchiature messe a disposizione degli utenti. Tuttavia, un  tale
obbligo non pare ricavabile da alcuna disposizione normativa, neppure
in via implicita. 
    Ne' rileva  l'eventuale  sussistenza  di  autorizzazioni  di  cui
potrebbe  essere  dotato  l'esercente  all'esercizio  di   giochi   a
distanza, punendo, la norma, la mera messa a disposizione  del  mezzo
anche da parte di esercenti concessionari o dotati di autorizzazione. 
    La norma, quindi, risulta applicabile sia al caso  in  cui  siano
stati messi a disposizione strumenti quali, ad esempio, i c.d. totem,
nei quali non vi e' facolta' di scelta dell'utente in ordine al  sito
al quale collegarsi, essendo tali  strumenti  caratterizzati  da  una
preimpostazione di schermata che indirizza direttamente  l'utente  al
sito di gioco concessionario  (che  peraltro  nella  prassi  fornisce
all'esercente anche lo strumento fisico), sia al caso  in  cui  siano
stati messi a disposizione strumenti a navigazione libera, nei  quali
e' l'utente che sceglie l'indirizzo  internet  al  quale  collegarsi,
potendo quindi collegarsi anche,  ma  non  solo,  ai  siti  di  gioco
on-line con le proprie credenziali e con un proprio conto di gioco. 
    Posto, quindi, che in relazione alla nozione di «apparecchiature»
deve privilegiarsi una interpretazione  estensiva,  l'altro  elemento
letterale che necessita di interpretazione consiste  nell'espressione
«che consenta». 
    L'espressione, che si riferisce  inequivocabilmente,  in  ragione
della   costruzione    grammaticale    della    disposizione,    alle
apparecchiature, fa riferimento alla loro idoneita' al collegamento a
siti di  gioco  on-line.  Risulterebbero  idonee,  quindi,  tutte  le
apparecchiature dotate di un  sistema  di  collegamento  a  internet,
essendo cio'  sufficiente  a  garantire  il  raggiungimento  di  siti
on-line. 
    La  prassi  applicativa  di  cui  sopra,  tuttavia,   sembrerebbe
presupporre una diversa interpretazione, che sposta  il  concetto  di
idoneita'   dello   strumento   in   astratto    sul    comportamento
dell'esercente, le cui omissioni, in concreto, consentono l'effettivo
collegamento al sito di  gioco.  Cio'  determina  l'insorgere  di  un
obbligo di vigilanza, con conseguente rilevanza di condotte omissive,
in capo all'esercente. 
    Volendo propendere per  tale  lettura,  tuttavia,  la  norma  non
sfugge ai dubbi di costituzionalita', non essendo descritta in  alcun
modo la condotta omissiva rilevante, lasciando spazio ad  un  margine
di discrezionalita' dell'amministrazione del tutto contrastante con i
principi costituzionali in  materia  di  potere  sanzionatorio  della
pubblica amministrazione. 
    In  conclusione,  dovendosi  escludere  la  possibilita'  di  una
interpretazione   conforme   a   Costituzione,   la   norma    appare
incostituzionale sia in termini di determinatezza sia in  termini  di
ragionevolezza, dovendo, la tutela del diritto  alla  salute  che  la
sottende, come riconosciuto dalle  stesse  pronunce  della  Corte  di
giustizia sopra richiamate, subire un ragionevole  bilanciamento  con
il diritto di liberta' di impresa nonche' con il diritto alla privacy
degli utenti. Infine,  la  norma  appare  incostituzionale  anche  in
termini di colpevolezza,  punendo  il  solo  oggettivo  comportamento
consistente nella messa a disposizione del mezzo stesso. 
    La seconda disposizione  della  cui  legittimita'  si  dubita  e'
l'art. 1, comma 923 della legge n. 208/2015, secondo cui «in caso  di
violazione  dell'art.  7,  comma  3-quater,  del   decreto-legge   13
settembre 2012, n. 158, convertito, con modificazioni, dalla legge  8
novembre 2012, n. 189, il titolare dell'esercizio e'  punito  con  la
sanzione amministrativa di euro 20.000; la stessa sanzione si applica
al proprietario dell'apparecchio». 
    La norma, la cui rilevanza appare del tutto evidente  costituendo
il fondamento normativo di applicazione della sanzione  nel  caso  di
specie,  prevede  una  sanzione  a  misura  fissa  che,  secondo   la
giurisprudenza costituzionale in materia di sanzioni  amministrative,
determina la violazione dell'art. 3 della Costituzione, in  combinato
disposto con gli articoli 42 e 117, primo comma, della  Costituzione,
in relazione all'art. 1, prot. addiz. CEDU. La sanzione, infatti, non
appare in  alcun  modo  modulabile  in  relazione  all'entita'  della
violazione,   da   desumersi,   ad   esempio,   dal   numero    delle
apparecchiature messe  a  disposizione,  dall'effettivo  collegamento
riscontratosi,  ovvero  dalla  gradazione  dell'elemento   soggettivo
dell'esercente in relazione al suo obbligo di vigilanza. 
    Assai di recente la Corte costituzionale, con la sentenza n.  185
del 2021, ha  dichiarato  costituzionalmente  illegittimo  l'art.  7,
comma 6, secondo periodo, del decreto-legge  13  settembre,  n.  158,
convertito, con modificazioni, nella legge 8 novembre 2012,  n.  189,
«per violazione dell'art. 3 della Costituzione, in combinato disposto
con gli articoli 42  e  117,  primo  comma,  della  Costituzione,  in
relazione all'art. 1, prot. addiz. CEDU»,  il  quale  puniva  con  la
sanzione  amministrativa  pecuniaria  di  euro  50.000   la   mancata
osservanza  delle  disposizioni  di  cui  al  comma  4  del  medesimo
articolo, le quali impongono a coloro che offrono giochi o  scommesse
con vincite in denaro, una pluralita' di obblighi informativi,  cosi'
d'avvertire il fruitore dei rischi di ludopatia. 
    La  Corte  costituzionale,  riprendendo  la  sua  giurisprudenza,
premette che la fissita' della sanzione amministrativa impone accorta
disamina  al  fine  di   superare   il   dubbio   di   illegittimita'
costituzionale, da  escludersi  solo  laddove  essa,  in  risposta  a
infrazioni  di  disomogenea  gravita',  punisca  infrazioni  tuttavia
connotate  da  un  disvalore  tale  da  non  renderla  manifestamente
sproporzionata. Con la conseguenza che  essa  Corte  aveva  «ritenuto
costituzionalmente   illegittima   la    previsione    di    sanzioni
amministrative  rigide  e  di   rilevante   incidenza   sui   diritti
dell'interessato  per  ipotesi  di  gravita'   marcatamente   diversa
(sentenza n. 88 del 2019), o suscettibili, comunque sia, di condurre,
nella  prassi  applicativa,  a  risultati  sanzionatori   palesemente
eccedenti il  limite  della  proporzionalita'  rispetto  all'illecito
commesso (sentenza n. 112 del 2019)». 
    Nell'ipotesi riportata accerta l'incostituzionalita' della norma,
giudicando che la fissita' del trattamento sanzionatorio  non  teneva
conto   della   gravita'   in   concreto   dei   singoli    illeciti,
esemplificativamente  ripresi  dalla  sentenza  ed  era  foriera   di
manifesta sproporzionalita' per eccesso della risposta  sanzionatoria
rispetto al concreto disvalore «di fatti pure ricompresi nella  sfera
applicativa della norma». 
    Reputa  questa  Corte  che  nel  caso  in  esame  il  dubbio   di
illegittimita' costituzionale per violazione dei  medesimi  parametri
non appaia manifestamente infondato. 
    L'entita' della sanzione, anche in questo caso determinata  nella
misura fissa di euro 20.000, risulta di significativo rilievo,  anche
rapportandola alla capacita' economica modesta di imprese  di  minime
dimensioni, quali sono solitamente i gestori di internet point. 
    In altri termini,  qualunque  scostamento  a  prescrizioni  viene
punita con la medesima sanzione pecuniaria fissa di euro 20.000. 
    Ne deriva che, anche in questo caso, come  gia'  affermato  dalla
stessa Corte costituzionale nella sentenza n.  185/2021  citata,  «la
fissita' del trattamento sanzionatorio impedisce di tener conto della
diversa gravita'  concreta  dei  singoli  illeciti»  e  «la  reazione
sanzionatoria  [puo']  risultare  manifestamente  sproporzionata  per
eccesso rispetto al disvalore concreto di fatti pure ricompresi nella
sfera applicativa della norma». 
    Va, infine, soggiunto  che  il  tenore  della  disposizione,  che
introduce  la  sanzione  fissa,  senza  prevedere  alcuno   strumento
individualizzante rispetto al concreto disvalore  dell'illecito,  ne'
individua fattispecie capaci d'incidere  sull'entita'  di  essa,  non
consente  di  superare  il   dubbio   attraverso   un'interpretazione
costituzionalmente orientata. 
    Una  tale  interpretazione,  infatti,  non   puo'   che   operare
attraverso estensione, anche analogica, di modelli che debbano  poter
essere rinvenuti all'interno del contesto normativo  di  riferimento,
che qui non lascia alternativa praticabile. 
    Conclusivamente,  in  punto  di  rilevanza  delle  questioni   di
legittimita' costituzionale, il Collegio  rimettente  rileva  che  la
lettera dell'art. 7, comma 3-quater, del decreto-legge  13  settembre
2012, n. 158, convertito, con modificazioni, dalla legge  8  novembre
2012, n. 189, impone di ritenere, in  definitiva,  esclusa  qualunque
ipotesi di  interpretazione  analogica  difettando  manifestamente  i
relativi presupposti; ai fini della soluzione della  vicenda  dedotta
nel presente giudizio non e' infatti necessario colmare alcuna lacuna
normativa; si veda, in proposito, Cassazione SSUU  n.  38596/2021,  §
5.2.3, ove si precisa che «l'analogia  postula,  anzitutto,  che  sia
correttamente individuata una "lacuna",  tanto  che  al  giudice  sia
impossibile  decidere,  secondo  l'incipit  del  precetto  ("se   una
controversia non puo' essere  decisa  con  una  precisa  disposizione
...")». L'art. 12, comma 2, preleggi si spiega storicamente  soltanto
nel senso  di  evitare,  in  ragione  del  principio  di  completezza
dell'ordinamento giuridico, che il giudice possa pronunciare  un  non
liquet, a causa la mancanza di norme che disciplinino la fattispecie. 
    La regola, secondo cui  l'applicazione  analogica  presuppone  la
carenza di una norma nella indispensabile disciplina di una materia o
di un caso (cfr. art. 14 preleggi), discende dal rilievo per cui  e',
altrimenti, la scelta di riempire un preteso vuoto normativo  sarebbe
rimessa  all'esclusivo  arbitrio  giurisdizionale,  con   conseguente
compromissione delle prerogative riservate al  potere  legislativo  e
del  principio  di  divisione  dei  poteri  dello  Stato.  Onde   non
semplicemente perche' una  disposizione  normativa  non  preveda  una
certa disciplina, in altre invece contemplata, costituisce ex se  una
lacuna normativa, da colmare facendo ricorso  all'analogia  ai  sensi
dell'art. 12 preleggi». 
    Ne' al risultato ermeneutico propugnato dal  ricorrente  potrebbe
pervenirsi adottando una interpretazione asseritamente estensiva  nel
senso restrittivo del precetto -  ma,  in  effetti,  eversiva  -  del
significato  della  formulazione  letterale   del   comma   3-quater,
dell'art.  7,  decreto-legge  n.  158/2012  convertito  in  legge  n.
189/2012. Secondo l'insegnamento delle Sezioni unite di questa Corte,
infatti, «l'interpretazione giurisprudenziale non puo' che  limitarsi
a portare  alla  luce  un  significato  precettivo  (un  comando,  un
divieto,  un  permesso)  che  e'  gia'  interamente   contenuto   nel
significante (l'insieme delle parole che compongono una disposizione,
il carapace linguistico della norma)  e  che  il  giudice  deve  solo
scoprire. L'attivita' interpretativa, quindi,  non  puo'  superare  i
limiti  di  tolleranza  ed  elasticita'  dell'enunciato,  ossia   del
significante testuale della disposizione che ha  posto,  previamente,
il legislatore e dai cui plurimi significati possibili (e non  oltre)
muove necessariamente la dinamica dell'inveramento della norma  nella
concretezza dell'ordinamento ad opera  della  giurisprudenza»  (cosi'
Cassazione SSUU n. 24413 del 2021, dove si aggiunge:  «Proprio  detti
limiti, in definitiva, segnano la distinzione  dei  piani  sui  quali
operano, rispettivamente, il legislatore e il giudice,  cosicche'  il
"precedente" giurisprudenziale, pur se proveniente dalla Corte  della
nomofilachia [e,  dunque,  integrativo  del  parametro  legale:  art.
360-bis, n. 1, del codice di procedure  civile],  non  ha  lo  stesso
livello di cogenza che esprime, per statuto, la  fonte  legale  [cfr.
anche Corte costituzionale, sentenza n. 230  del  2012],  alla  quale
[soltanto] il giudice e' soggetto [art.  101,  secondo  comma,  della
Costituzione]. E' in tal senso, pertanto,  che  la  funzione  assolta
dalla giurisprudenza e' di natura "dichiarativa",  giacche'  riferita
ad una preesistente disposizione di legge, della  quale  e'  volta  a
riconoscere l'esistenza e  l'effettiva  portata,  con  esclusione  di
qualunque efficacia direttamente creativa»). 
    Esclusa,  dunque,  la  possibilita'  di  pervenire,  tramite  una
interpretazione   costituzionalmente    orientata,    al    risultato
ermeneutico di definire la condotta sanzionabile che non sia, secondo
l'inequivocabile tenore letterale, la mera messa a disposizione della
clientela  delle  apparecchiature  di  qualsiasi  genere  idonee   al
collegamento on-line anche a siti di gioco, pure nel caso di soggetto
titolare di autorizzazione alla promozione del gioco con  vincita  di
denaro,  disposizione  che  suscita   un   dubbio   di   legittimita'
costituzionale,  con  riferimento  al  principio  di   ragionevolezza
emergente dall'art. 3 della Costituzione, con gli articoli 25, 41, 42
e 117, primo comma della Costituzione, in relazione all'art. 1, prot.
addiz. CEDU, nella parte in cui esso non  prevede,  appunto,  che  la
sanzione sia bilanciata con gli  altri  diritti  in  gioco,  come  il
diritto di impresa ed il  diritto  alla  privacy,  sotto  il  profilo
dell'effettiva sussistenza di un rapporto di connessione razionale  e
di proporzionalita' tra il mezzo predisposto  dal  legislatore  e  il
fine  che  lo  stesso  ha  inteso  perseguire,  avuto  riguardo  alle
rilevanti conseguenze sul piano della tutela  dei  diritti  coinvolti
(per i principi di equivalenza, comparazione ed effettivita'). 
    La disposizione in esame, infatti, discrimina  gli  esercenti  di
internet point dai gestori  di  pubblici  esercizi  in  genere,  come
ristoranti e bar, che possono mettere a disposizione dei clienti  non
solo il  wi-fi,  ma  anche  dispositivi  per  navigare  sul  web  con
richiesta  di  utilizzo  di  connettivita'  internet,  e  i   criteri
individuati dal legislatore al riguardo risultano meramente formali. 
    La seconda disposizione  della  cui  legittimita'  si  dubita  e'
dell'art. 1, comma 923 della legge n. 208/2015. La sanzione, infatti,
non appare in alcun modo modulabile in  relazione  all'entita'  della
violazione,   da   desumersi,   ad   esempio,   dal   numero    delle
apparecchiature messe  a  disposizione,  dall'effettivo  collegamento
riscontratosi,  ovvero  dalla  gradazione  dell'elemento   soggettivo
dell'esercente in relazione al suo obbligo di vigilanza. 
    Devono,  pertanto,  rimettersi  alla  Corte   costituzionale   le
questioni di legittimita' costituzionale, che si rilevano  d'ufficio,
dell'art. 7, comma 3-quater, decreto-legge  n.  158/2012,  convertito
con modificazioni dalla legge n. 168/2012, e dell'art. 1,  comma  923
della legge n. 208/2015, secondo cui «in caso di violazione dell'art.
7, comma 3-quater, del  decreto-legge  13  settembre  2012,  n.  158,
convertito, con modificazioni, dalla legge 8 novembre 2012,  n.  189,
il titolare dell'esercizio e' punito con la  sanzione  amministrativa
di euro  20.000;  la  stessa  sanzione  si  applica  al  proprietario
dell'apparecchio», per le quali la Corte ritiene  siano  rilevanti  e
non   manifestamente   infondate   le   questioni   di   legittimita'
costituzionale per violazione  dell'art.  3  della  Costituzione,  in
combinato disposto con gli articoli 25, 41, 42  e  117,  primo  comma
della Costituzione  in  relazione  all'art.  1,  prot.  addiz.  CEDU,
firmato a Parigi il 20 marzo 1952, e agli  articoli  16  e  17  della
Carta  dei  diritti   fondamentali   dell'Unione   europea   (CDFUE),
proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e adattata a Strasburgo  il  12
dicembre 2007. 
    Il giudizio e' sospeso per legge (art. 23, comma 2, legge  n.  87
del 1953).