LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE Seconda sezione civile Composta dagli ill.mi sigg.ri magistrati: dott. Felice Manna - Presidente; dott. Mario Bertuzzi - consigliere; dott.ssa Milena Falaschi - consigliere rel.; dott. Riccardo Guida - consigliere; dott. Remo Caponi - consigliere; ha pronunciato la seguente ordinanza interlocutoria sul ricorso 243 - 2022 proposto da: T. T. , rappresento e difeso dall'avvocato Marco Ripamonti, con procura speciale in calce al ricorso ed elettivamente domiciliato all'indirizzo PEC del difensore iscritto nel REGINDE e in Viterbo - piazza San Francesco n. 2 - presso lo studio dello stesso ricorrente; contro Agenzia delle dogane e dei monopoli, in persona del direttore pro tempore, rappresentata e difesa ex lege dall'Avvocatura generale dello Stato (C.F. 80224030587) ed elettivamente domiciliata presso gli uffici della stessa in Roma - via dei Portoghesi, n. 12 - controricorrente; avverso la sentenza n. 663/2021 della Corte di appello di Lecce depositata il 27 maggio 2021 e non notificata; udita la relazione della causa svolta nell'udienza pubblica del 9 gennaio 2024 dal consigliere relatore dott.ssa Milena Falaschi; sentite le conclusioni del pubblico ministero in persona del sostituto Procuratore generale, dott. Corrado Mistri, nel senso del rigetto del ricorso; sentiti gli avvocati Marco Ripamonti, per parte ricorrente, e Francesca Soprani, per parte contro ricorrente. Svolgimento del processo Con ricorso del 2 luglio 2018 T. T., titolare della «. . .» denominata «. . .», proponeva - dinanzi al Tribunale di Lecce - opposizione avverso ordinanza-ingiunzione (n. . . . del . . .) emessa dall'Agenzia delle dogane e monopoli (ADM) - Ufficio dei monopoli per la Puglia, con cui gli era stato ingiunto il pagamento della sanzione di euro 20.000,00 per violazione dell'art. 7, comma 3-quater, decreto-legge 13 settembre 2012, n. 158 (convertito con modificazioni nella legge 8 novembre 2012, n. 189) per essere stato accertato dai funzionari, nel corso di una verifica effettuata nei locali della sala giochi, la presenza di un apparecchio di intrattenimento denominato «internet point» che consentiva la libera connessione ai siti di gioco on-line. Instaurato il contraddittorio, nella resistenza dell'Agenzia delle dogane e dei monopoli, il giudice adito, con sentenza n. 1781 del 2020, accoglieva l'opposizione, ritenendo che il mero collegamento del personal computer ad una piattaforma di gioco on-line e la semplice visualizzazione della rispettiva schermata non comportava di per se' la consumazione della condotta sanzionata dalla suddetta fattispecie. In virtu' di impugnazione interposta dall'ADM, la Corte d'appello di Lecce, nella resistenza del sanzionato, con sentenza n. 633 del 2021, accoglieva il gravame e per l'effetto riformava la decisione di prime cure, con condanna alle spese dell'appellato. A sostegno della decisione, la Corte distrettuale riteneva violato, da parte dell'opponente, l'art. 7, comma 3-quater, decreto-legge n. 158/2012 gia' con la mera «messa a disposizione» di un'apparecchiatura che consentisse, come nella specie, la connessione a siti di gioco on-line, senza che fosse necessariamente in atto, ai fini della punibilita' della condotta, un'azione di gioco da parte di alcun avventore sul dispositivo. Inoltre, il giudice di merito aggiungeva che, ai fini della violazione della disposizione citata, non vi si poteva attribuire una diversa interpretazione, neanche alla luce della circolare n. 19453 del 6 marzo 2014 dell'ADM. Tale atto interno all'Amministrazione, in effetti, puntualizzava che la violazione del divieto di cui all'art. 7 si sarebbe concretizzata nei soli casi in cui i dispositivi elettronici erano messi a disposizione dei clienti con la sola finalita' di consentire la connessione ai siti di gioco e non anche quando la disponibilita' avveniva per finalita' diverse come la libera navigazione sul web. Ciononostante, il giudice collegiale riteneva non provata, da parte dell'opponente, la circostanza di un utilizzo dell'internet point diverso dal gioco on-line, mentre riconosceva adempiuto l'onere probatorio circa l'effettiva possibilita' di una connessione dell'apparecchiatura a piattaforme di gioco on-line, secondo quanto verificato dai funzionari dell'ADM e riportato nel verbale di accertamento corredato da rilievi fotografici. Avverso la sentenza della Corte di appello di Lecce ha proposto ricorso per cassazione l'originario opponente T. T. , affidandolo a tre motivi, cui ha resistito con controricorso l'Agenzia delle dogane e Monopoli. Il ricorso e' stato inizialmente avviato per la trattazione in Camera di consiglio, e all'esito dell'adunanza camerale, fissata il 3 ottobre 2023, e con ordinanza interlocutoria n. 28832/2023 depositata il 17 ottobre 2023, il procedimento e' stato rimesso dal Collegio alla pubblica udienza in considerazione della esigenza di definire la natura delle apparecchiature utilizzate per l'organizzazione, l'esercizio e la raccolta a distanza di scommesse. In prossimita' dell'udienza pubblica la sola parte ricorrente ha curato il deposito di memoria ex art. 378 del codice di procedura civile. Considerato in diritto Le questioni centrali della controversia attengono all'applicabilita' alla fattispecie in esame del disposto dell'art. 7, comma 3-quater, decreto-legge n. 158/2012, convertito con modificazioni dalla legge n. 168/2012, nonche' dell'art. 1, comma 923 della legge n. 208/2015 per i quali la Corte ritiene siano rilevanti e non manifestamente infondati le questioni di legittimita' costituzionale per violazione dell'art. 3 della Costituzione, in combinato disposto con gli articoli 25, 41, 42 e 117, primo comma della Costituzione in relazione all'art. 1, prot. addiz. CEDU, firmato a Parigi il 20 marzo 1952, e agli articoli 16 e 17 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea (CDFUE), proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e adattata a Strasburgo il 12 dicembre 2007, sotto il duplice profilo. Quanto all'argomento centrale dell'impugnata sentenza sopra esposto, del perimetro di applicazione dell'art. 7, comma 3-quater, decreto-legge n. 158/2012, convertito con legge 8 novembre 2012, n. 189, il ricorrente lo censura con tutti e tre i motivi articolati nei termini di seguito illustrati. Con il primo motivo il ricorrente lamenta la violazione e la falsa applicazione dell'art. 7, comma 3-quater, decreto-legge n. 158/2012, convertito con legge 8 novembre 2012, n. 189, dell'art. 21 della Costituzione, degli articoli 3 e 4 del decreto legislativo n. 259/2003, dell'art. 10 del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, convertito con legge 9 agosto 2013, n. 98, nonche' la violazione e la falsa applicazione degli articoli 12 e 15 delle preleggi, in relazione all'art. 360, primo comma, n. 3) del codice di procedura civile, per avere la Corte d'appello interpretato la disciplina in oggetto nel senso di vietare gia' solo la mera «messa a disposizione» dell'apparecchiatura «Totem» nel locale. Il giudice di merito, secondo il ricorrente, avrebbe proceduto ad un'interpretazione rigida e letterale, avulsa da valutazioni sistematiche, giungendo cosi' ad un risultato interpretativo in contrasto con quanto previsto dalle disposizioni sopracitate, nella parte in cui garantiscono il diritto all'informazione e incoraggiano lo sviluppo delle comunicazioni digitali. Per questo, la Corte di appello avrebbe dovuto condividere l'interpretazione del giudice di prime cure ed affermare che l'installazione dei personal computer per la navigazione in rete internet e' di per se' lecita, a meno che tali postazioni vengano utilizzate esclusivamente e direttamente per attivita' di gioco su apposite piattaforme on-line, mediante navigazione vincolata e senza possibilita' di scelta alcuna in capo all'utente. Cosicche', il giudice collegiale avrebbe dovuto condividere l'impostazione secondo cui lo stesso collegamento con la piattaforma di gioco (lecito, atteso che le piattaforme non autorizzate vengono inibite a monte da SOGEI) sia irrilevante ai fini sanzionatori, laddove sia il risultato di una scelta consapevole e libera del cliente che, del resto, potra' interagire con la stessa soltanto se in possesso di credenziali e di un conto di gioco. Con il secondo motivo, ai sensi dell'art. 360, primo comma, n. 3) del codice di procedura civile, si deduce violazione e falsa applicazione dell'art. 3 della legge n. 689/1981, nonche' l'omessa motivazione sul punto, per non avere il giudice di merito preso in considerazione il principio di colpevolezza, quale presupposto necessario per l'irrogazione della sanzione. Infatti, alla luce delle dichiarazioni del ricorrente, la Corte d'appello di Lecce avrebbe dovuto valorizzare l'elemento probatorio costituito dalla propria dichiarazione, resa gia' ai funzionari dell'ADM, con cui il sanzionato affermava che l'apparecchiatura veniva utilizzata a sua insaputa per il collegamento alla piattaforma di gioco on-line, essendo la stessa adibita alla libera navigazione sul web. Con il terzo motivo, in relazione all'art. 360, primo comma, n. 3) del codice di procedura civile, il ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione dell'art. 57 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, dell'art. 12, par. 1 della direttiva 2000/31/CE, dell'art. 1 della direttiva 98/34/CE e della direttiva 98/48/CE, nonche' dei principi di diritto sanciti dalla sentenza della Corte di giustizia del 15 settembre 2016, causa C-484/14, chiedendo alla Corte di sollevare questione pregiudiziale ai sensi dell'art. 267 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, circa la compatibilita' dell'art. 7 del decreto-legge n. 158/2012 con l'art. 57 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea e le sopracitate norme dell'ordinamento europeo. Nello specifico, il ricorrente chiede di verificare la conciliabilita' di una norma come l'art. 7, comma 3-quater del decreto-legge n. 158/2012 con la normativa eurounitaria, nella misura in cui essa possa contemplare il divieto assoluto della mera messa a disposizione di postazioni internet (personal computer) che, in regime di libera navigazione web, risultino astrattamente e potenzialmente idonee a consentire la navigazione su siti di gioco; oltre che, nella parte in cui essa imponga un obbligo di vigilanza costante - in capo a colui che mette a disposizione tali postazioni internet - sulle condotte degli utenti che accedono alle predette postazioni idonee alla libera navigazione. Per poter procedere all'esame delle questioni di diritto poste dal ricorrente e' opportuno precisare il quadro normativo nazionale ed eurounitario nei quali circoscrivere la fattispecie de qua. L'art. 7, comma 3-quater, decreto-legge n. 158 del 2012, recante «Disposizioni urgenti per promuovere lo sviluppo del Paese mediante un piu' alto livello di tutela della salute», convertito con integrazioni e modificazioni dalla legge n. 189 del 2012, vieta la messa a disposizione presso qualsiasi esercizio commerciale di apparecchiature che attraverso la connessione telematica consentono agli avventori di giocare sulle piattaforme di gioco offerte dai concessionari on-line da soggetti autorizzati all'esercizio dei giochi a distanza ovvero da soggetti privi di qualsiasi titolo concessorio o autorizzatorio rilasciato dalle competenti autorita', facendo salve le sanzioni previste nei confronti di chiunque eserciti illecitamente attivita' di offerta di giochi con vincita in denaro. Sul piano sistematico, il comma 3-quater dell'art. 7 costituisce una delle «misure di prevenzione per contrastare la ludopatia», cui si dedica l'intero art. 7 contenente «Disposizioni in materia di vendita di prodotti del tabacco, misure di prevenzione per contrastare la ludopatia e per l'attivita' sportiva non agonistica». La lotta alla ludopatia, d'altronde, costituisce una delle misure che il decreto Balduzzi adotta al fine di «promuovere lo sviluppo del Paese mediante un piu' alto livello di tutela della salute». Nella relazione illustrativa del decreto, infatti, viene osservato come le misure introdotte dall'art. 7 siano volte a promuovere l'adozione di un corretto e sano stile di vita, «il cui mancato controllo genera patologie per una larga fascia di cittadini ed incremento di spesa per il SSN»; con particolare riferimento alla ludopatia, viene sottolineato che la diffusione della c.d. sindrome da gioco con vincita di denaro configura una vera e propria emergenza a carattere epidemico. Tuttavia, nel testo originario del decreto in questione, non erano previste norme sanzionatorie analoghe a quella di cui in esame, ma venivano predisposte unicamente misure di natura sanzionatoria in relazione alle attivita' di promozione e pubblicizzazione di attivita' di gioco d'azzardo in luoghi pubblici sensibili perche' frequentati o potenzialmente frequentabili da soggetti minorenni. Il comma 3-quater e' stato infatti introdotto in sede di conversione dalla legge n. 189/2012. La lettura della norma e' complessa: in primo luogo la disposizione che prevede il divieto inizialmente non contemplava la sanzione che e' stata introdotta dell'art. 1, comma 923 della legge n. 208 del 2015, che ha previsto la sanzione amministrativa pecuniaria in misura «fissa» di euro 20.000,00; in secondo luogo, la norma configura in capo al concessionario una forma di responsabilita' omissiva ed oggettiva. Invero, la parola «apparecchiature» ex art. 7, comma 3-quater, decreto-legge n. 158/2012 convertito in legge n. 189/2012 non indica i soli totem (cioe' i dispositivi dedicati in modo stabile ed esclusivo ai giochi on-line), ma si presta a ricomprendere anche i personal computer dotati di connessione telematica, che una volta messi a disposizione possono collegarsi alle piattaforme di concessionari di gioco on-line. Orbene, la finalita' di ordine pubblico di contrasto del gioco illegale, a tutela della salute pubblica, specialmente di minorenni, impone un'interpretazione rigorosa del divieto, ma allo stesso tempo deve essere rispettosa e bilanciarsi con la tutela delle liberta' degli individui. Fra gli argomenti di supporto alla interpretazione estensiva della norma in questione viene citata la circolare dell'Agenzia delle dogane e dei monopoli (6 marzo 2014), ove le apparecchiature sono descritte come apparecchi terminali connessi ad internet o funzionanti tramite intranet con collegamenti che abilitano una navigazione a circuito chiuso. La circolare precisa che tali apparecchiature sono costituite per lo piu' dai totem, ma non esclude che si diano altre apparecchiature per mezzo delle quali si possa giocare on-line. Al fine di definire la disciplina sanzionatoria in un settore in rapida evoluzione tecnologica, l'art. 7, comma 3-quater, decreto-legge n. 158/2012 convertito in legge n. 189/2012 sembra avere la funzione di norma «di chiusura» diretta a colpire l'utilizzo concreto per il gioco illecito di tutti i tipi di videoterminali idonei a cio'. Cio' pero' non dovrebbe comportare che sia sanzionata la semplice messa a disposizione di personal computer o di apparecchi simili. E' sanzionata la provata utilizzabilita' come apparecchi di intrattenimento, in virtu' della loro collocazione, dell'assenza di accorgimenti tecnici che impediscano di accedere a siti di gioco on-line o di altre circostanze di fatto da apprezzare in concreto caso per caso. Nel caso di specie, il fatto che il personal computer non fosse esclusivamente dedicato al gioco, ma potesse essere utilizzato anche per la generica navigazione in internet viene ritenuta dalla norma giuridicamente irrilevante, mentre in punto di fatto durante il sopralluogo effettuato dagli ispettori dell'ADM risultava la messa a disposizione, da parte del ricorrente, di un apparecchio di intrattenimento denominato «internet point» che consentiva la libera connessione alla rete ed ai siti di gioco on-line, in quanto sul suo monitor vi era aperta la schermata di differenti piattaforme di gioco on-line. Il ricorso pone dunque la questione del significato normativo - in questo contesto - della nozione di «apparecchiatura» rispetto al significato diffuso nel linguaggio della tecnica, cioe', come un complesso d'impianti, di comandi e di strumenti fra loro coordinati, adibiti ad un certo servizio o anche ad una determinata lavorazione; la distinzione tra semplice messa a disposizione dell'apparecchiatura e concreta utilizzabilita' per finalita' illecite; gli indici menzionati per ravvisare il profilo della concreta utilizzabilita' per illeciti, ossia se sia necessario il carattere permanente ed esclusivo della destinazione, oppure se sia sufficiente una destinazione dell'apparecchiatura transitoria (o comunque reversibile) e promiscua; fattori questi che inciderebbero sul carattere relativamente elastico della fattispecie ex art. 7, comma 3-quater, decreto-legge n. 158/2012 convertito in legge n. 189/2012. Sul piano della normativa eurounitaria e sua applicazione, la Corte di giustizia C-390/12 del 2014 ha chiarito che l'art. 56 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea e' da interpretare nel senso che esso osta a una normativa nazionale del tipo di quella oggetto di applicazione, solo se essa non persegue effettivamente l'obiettivo della tutela dei giocatori d'azzardo o della lotta alla criminalita'. Ancora, la finalita' di tutela della salute pubblica, con particolare riguardo ai minori, e la necessita' di provvedere con urgenza in tale materia esclude inoltre, in base all'art. 6, comma 7, direttiva 2015/1535/UE, l'obbligo della previa comunicazione alla Commissione del testo delle disposizioni oggetto di applicazione. Inoltre, questa interpretazione dell'art. 56 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea , confermata dalla sentenza della Corte di giustizia dell'Unione europea del 14 giugno 2017, resa nella causa C-685/15, deve essere intesa anche nel senso che la libera prestazione dei servizi on osta ad un sistema processuale nazionale, in cui, nell'ambito dei procedimenti amministrativi «a carattere penale», il giudice chiamato a pronunciarsi sulla conformita' al diritto dell'Unione di una normativa restrittiva dell'esercizio di una liberta' fondamentale prevista dai trattati, come la limitazione della liberta' di prestazione di servizi in favore della tutela della salute, e' tenuto a istruire d'ufficio gli elementi di prova della controversia di cui e' investito nel contesto della verifica dell'esistenza degli illeciti amministrativi, purche' con tale attivita' non si determini una sua sostituzione alle autorita' competenti dello Stato membro interessato, sulle quali incombe l'onere di fornire gli elementi di prova necessari per consentire al giudice interno la giustificazione della restrizione. A tale riguardo, infatti, un certo numero di motivi imperativi di interesse generale, quali gli obiettivi di tutela dei consumatori, di prevenzione della frode e dell'incitazione dei cittadini ad una spesa eccessiva collegata al gioco, nonche' di prevenzione di turbative all'ordine sociale in generale sono stati ammessi dalla giurisprudenza a giustificazione di una normativa restrittiva di una liberta' fondamentale prevista dai Trattati dell'Unione, come la libera prestazione di servizi, messa in discussione nel caso di specie (v., in tal senso, sentenze 24 marzo 1994, causa C-275/92, Schindler, Racc. pag. I-1039, punti 57-60; 21 settembre 1999, causa C-124/97, Läärä e a., Racc. pag. I-6067, punti 32 e 33; . . . , citata, punti 30 e 31, nonche' . . . e a., citata, punto 67). Rimane, comunque, onere dello Stato membro che abbia introdotto la normativa piu' restrittiva fornire elementi di prova intesi a dimostrare l'esistenza degli obiettivi idonei a legittimare l'ostacolo ad una liberta' fondamentale garantita dal Trattato sul funzionamento dell'Unione europea e il suo carattere proporzionato, di modo che, nell'inadempimento di tale onere probatorio, il giudice nazionale deve poter trarre tutte le conseguenze derivanti da tale mancanza (sentenza CGUE del 28 febbraio 2018, Sporting Odds Ltd, causa C-3/17). E, per di piu', secondo la Corte di giustizia, l'art. 56 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea deve essere interpretato anche nel senso che non si puo' constatare che uno Stato membro non abbia adempiuto il proprio onere probatorio giustificativo di una misura restrittiva, per il solo fatto di non avere fornito alcuna analisi degli effetti di tale misura alla data dell'introduzione di essa nella normativa nazionale o alla data dell'esame della misura da parte del giudice nazionale (sentenza CGUE del 28 febbraio 2018, Sporting Odds Ltd, causa C-3/17, punto 63 e giurisprudenza ivi citata). Sono diversi, pertanto, i parametri cui il giudice nazionale deve fare riferimento nel verificare la proporzionalita' della restrizione della liberta' di prestazione dei servizi, effettuando una valutazione globale delle circostanze alla base dell'adozione della normativa nazionale controversa e verificandone gli obiettivi effettivamente perseguiti. In particolare, deve tenere conto delle concrete modalita' di applicazione della normativa restrittiva, assicurandosi che questa risponda veramente all'intento di ridurre le occasioni di gioco, di limitare le attivita' in tale settore e di combattere la criminalita' in maniera coerente e sistematica (sentenza CGUE del 14 giugno 2017, Online Games Handels GmbH e a., causa C-685/15, punti 51-52; sentenza CGUE del 28 febbraio 2018, Sporting Odds Ltd, causa C-3/17, punto 64). Infatti, una norma restrittiva di una liberta' fondamentale riconosciuta dal Trattato sul funzionamento dell'Unione europea e' compatibile con il diritto dell'Unione soltanto qualora ricada nell'ambito di una norma derogatoria espressa, come l'art. 52 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, ossia della tutela dell'ordine pubblico, della pubblica sicurezza e della sanita' pubblica (sentenza CGUE del 28 febbraio 2018, Sporting Odds Ltd, causa C-3/17, punto 39 nonche' la giurisprudenza ivi citata). Pertanto, ritenuto pacifico che, in considerazione dell'assenza di contatto diretto tra consumatore e operatore, i giochi d'azzardo accessibili via internet comportano rischi di natura differente e di entita' accresciuta rispetto ai mercati tradizionali di tali giochi, anche per eventuali frodi commesse dagli operatori a danno dei consumatori, la norma restrittiva in questione, deve comunque rispettare il carattere di un divieto proporzionato secondo i criteri previsti dalla giurisprudenza della Corte di giustizia (sentenza CGUE del 28 febbraio 2018, Sporting Odds Ltd, causa C-3/17, punto 41 e la giurisprudenza ivi citata). Tanto precisato, nella specie, il giudizio non puo' essere risolto prescindendo dall'applicazione della norma della cui legittimita' si dubita. Il giudizio di merito ha infatti avuto ad oggetto l'applicazione della sanzione relativa alla violazione dell'art. 7, comma 3-quater. Da una parte, il giudice di primo grado, in effetti, ha escluso la sua applicabilita' sulla base della risultanza fattuale che il mero collegamento dell'apparecchio ad una piattaforma di gioco on-line, qualora lo stesso fosse adibito alla navigazione libera in rete, non comportava la violazione della condotta prevista dall'art. 7, comma 3-quater. Di converso, considerato l'inadempimento dell'onere probatorio da parte del sanzionato circa la possibilita' di un utilizzo alternativo rispetto al gioco on-line dell'internet point, la Corte d'appello ha ritenuto che la collocazione all'interno della sala giochi di un personal computer connesso liberamente alla rete internet, sul quale era stato verificato il precedente collegamento a siti di gioco on-line, costituisse la condotta vietata della messa a disposizione di un'apparecchiatura idonea la gioco on-line prevista dalla disciplina in esame. Il giudice del gravame ha cosi' ritenuto legittima l'ordinanza ingiunzione con la quale e' stata irrogata la sanzione in virtu' della mera messa a disposizione delle suddette apparecchiature, applicando quindi la norma in contestazione. Risulta in questo caso violata l'unica condotta illecita nella mera messa a disposizione degli utenti di personal computer a navigazione libera. Irrilevante, ai fini della applicazione della misura sanzionatoria, risulta essere la verifica dell'effettivo ed attuale collegamento a siti di gioco on-line, sanzionando, la norma, la semplice messa a disposizione del mezzo idoneo al collegamento. La prima questione di legittimita' costituzionale che si vuole prospettare alla Corte riguarda l'art. 7, comma 3-quater del decreto-legge n. 158/2012 convertito con modificazioni dall'art. 1 della legge n. 189/2012, nella parte in cui prevede che sia vietata la messa a disposizione, presso qualsiasi pubblico esercizio, di apparecchiature che, attraverso la connessione telematica, consentano ai clienti di giocare sulle piattaforme di gioco messe a disposizione dai concessionari on-line, da soggetti autorizzati all'esercizio dei giochi a distanza. Il dubbio interpretativo concerne sia la nozione di apparecchiature cui si riferisce la disposizione sia il tipo di condotta che si vuole sanzionare. Quanto al primo elemento, una interpretazione restrittiva consentirebbe, infatti, di ritenere «apparecchiature» solo quelle che impongono, perche' a cio' esclusivamente destinate attraverso sistemi di preimpostazione o di restrizioni di navigazione, il gioco on-line (i c.d. totem). Al contrario, una interpretazione estensiva determina l'inclusione, in tale nozione, di qualsiasi apparecchiatura potenzialmente idonea al collegamento a siti di gioco on-line, compresi personal computer, tablet o strumenti analoghi. Questa Corte, per le ragioni che seguono, ritiene di dover privilegiare tale seconda interpretazione. Sul piano strettamente letterale, infatti, la condotta sanzionabile consiste nella semplice messa a disposizione dei clienti di un esercizio pubblico di qualsiasi genere di apparecchiatura che consenta, e quindi non impedisca, di collegarsi, anche in piena autonomia, a siti di gioco on-line dotati di concessione. Alla medesima conclusione si perviene attraverso una interpretazione sistematica, non potendo, anche alla luce del diritto vivente formatosi sul tema (da ultimo, Cassazione n. 42036/2021), ricondurre le apparecchiature di cui all'art. 7, comma 3-quater, decreto-legge n. 158/2012, convertito in legge n. 189/2012, ai soli apparecchi videoterminali di cui all'art. 110, comma 6, lettera b), TULPS, la cui messa a disposizione comporta l'applicabilita' della sanzione di cui all'art. 110, comma 9 f-ter, TULPS, determinandosi, in caso contrario, una irragionevole sovrapposizione di condotte sanzionabili. La stessa Agenzia delle dogane e monopoli, d'altronde, non esclude che i personal computer a libera navigazione possano essere inclusi nella nozione di apparecchiature ai sensi della disposizione in parola (v. circolare 6 marzo 2014). Ancora, a suffragio di tale tesi vale anche il richiamo alla giurisprudenza penale sviluppatasi in materia di raccolta illecita di scommesse, secondo cui «La sola predisposizione presso qualsiasi esercizio di apparecchiature che, attraverso la connessione telematica, consentono ai clienti di giocare sulle piattaforme di gioco messe a disposizione dai concessionari on-line in violazione del divieto dell'art. 7, comma 3-quater, del decreto-legge n. 158/2012 non configura la contravvenzione di cui all'art. 4 della legge n. 401/1989, essendo al contrario necessaria la predisposizione di personale e mezzi conformati in modo tale da concretare la condotta di organizzazione, esercizio e raccolta a distanza di giochi richiesta da tale disposizione» (Cassazione, sez. terza penale, 1° ottobre 2013, n. 40624). Cio' significa che, a contrario, la condotta consistente nella mera messa a disposizione del mezzo, irrilevante sul piano della responsabilita' penale, rileva invece quale responsabilita' amministrativa. Fatte salve, quindi, le norme che prevedono specifiche sanzioni per la messa a disposizione di apparecchiature dotate di caratteristiche tecniche determinate, l'art. 7, comma 3-quater, assolve la funzione di norma di chiusura che, secondo l'interpretazione che si ritiene di condividere, al fine di tutelare la salute soprattutto dei soggetti minori e di evitare che il divieto di gioco illecito possa essere aggirato, consente di punire, grazie al suo carattere elastico, la messa a disposizione di qualsiasi strumento dotato di collegamento telematico che anche solo potenzialmente sia idoneo al collegamento ai siti di gioco on-line. D'altra parte, la prassi applicativa della norma in questione si e' consolidata nel senso di ritenere sanzionabile la condotta di chi mette a disposizione apparecchiature idonee nel caso in cui dalle ispezioni svolte risulti che, in concreto, vi siano stati collegamenti ai siti di gioco on-line. Anche tale prassi applicativa suscita perplessita' sotto un duplice profilo: in primo luogo perche', alla luce di quanto su esposto, questa interpretazione restrittiva si scontra con il dato testuale della disposizione; in secondo luogo, perche' la norma non disciplina in modo determinato quali condotte dell'esercente possano considerarsi idonee ad esimerlo dalla responsabilita' amministrativa. Interpretare la disposizione nel senso di ritenere sussistente nei confronti dell'esercente un obbligo di vigilanza avendo riguardo ai siti ai quali i singoli clienti si collegano all'interno dell'esercizio, d'altronde, si porrebbe in evidente contrasto con la tutela dei dati personali. Lo stesso Garante privacy ha precisato che, a seguito dell'abrogazione del decreto Pisanu (decreto-legge n. 144/2005), che imponeva l'obbligo di registrazione con identificazione degli utenti a carico degli esercenti dei c.d. internet point, non solo l'identificazione dell'utente si poneva in contrasto con il diritto alla privacy, ma anche ogni genere di attivita' di controllo o monitoraggio dell'esercente sugli indirizzi internet ai quali gli utenti si collegavano. Il compito di richiedere (per il conseguente utilizzo) i dati personali degli avventori, come la registrazione dei loro documenti, e' stata vietata dal Garante della privacy anche nei pubblici esercizi, come ristoranti e bar, che possono mettere a disposizione dei clienti oltre il wi-fi, anche dispositivi per navigare sul web con richiesta di utilizzo di connettivita' internet, ribadendo come i dati personali dei clienti non possano essere utilizzati senza apposito consenso. Uno degli strumenti attraverso cui l'esercente potrebbe evitare di incorrere nella sanzione de qua e' costituito dalla impostazione di filtri di accesso a determinati siti internet all'interno delle apparecchiature messe a disposizione degli utenti. Tuttavia, un tale obbligo non pare ricavabile da alcuna disposizione normativa, neppure in via implicita. Ne' rileva l'eventuale sussistenza di autorizzazioni di cui potrebbe essere dotato l'esercente all'esercizio di giochi a distanza, punendo, la norma, la mera messa a disposizione del mezzo anche da parte di esercenti concessionari o dotati di autorizzazione. La norma, quindi, risulta applicabile sia al caso in cui siano stati messi a disposizione strumenti quali, ad esempio, i c.d. totem, nei quali non vi e' facolta' di scelta dell'utente in ordine al sito al quale collegarsi, essendo tali strumenti caratterizzati da una preimpostazione di schermata che indirizza direttamente l'utente al sito di gioco concessionario (che peraltro nella prassi fornisce all'esercente anche lo strumento fisico), sia al caso in cui siano stati messi a disposizione strumenti a navigazione libera, nei quali e' l'utente che sceglie l'indirizzo internet al quale collegarsi, potendo quindi collegarsi anche, ma non solo, ai siti di gioco on-line con le proprie credenziali e con un proprio conto di gioco. Posto, quindi, che in relazione alla nozione di «apparecchiature» deve privilegiarsi una interpretazione estensiva, l'altro elemento letterale che necessita di interpretazione consiste nell'espressione «che consenta». L'espressione, che si riferisce inequivocabilmente, in ragione della costruzione grammaticale della disposizione, alle apparecchiature, fa riferimento alla loro idoneita' al collegamento a siti di gioco on-line. Risulterebbero idonee, quindi, tutte le apparecchiature dotate di un sistema di collegamento a internet, essendo cio' sufficiente a garantire il raggiungimento di siti on-line. La prassi applicativa di cui sopra, tuttavia, sembrerebbe presupporre una diversa interpretazione, che sposta il concetto di idoneita' dello strumento in astratto sul comportamento dell'esercente, le cui omissioni, in concreto, consentono l'effettivo collegamento al sito di gioco. Cio' determina l'insorgere di un obbligo di vigilanza, con conseguente rilevanza di condotte omissive, in capo all'esercente. Volendo propendere per tale lettura, tuttavia, la norma non sfugge ai dubbi di costituzionalita', non essendo descritta in alcun modo la condotta omissiva rilevante, lasciando spazio ad un margine di discrezionalita' dell'amministrazione del tutto contrastante con i principi costituzionali in materia di potere sanzionatorio della pubblica amministrazione. In conclusione, dovendosi escludere la possibilita' di una interpretazione conforme a Costituzione, la norma appare incostituzionale sia in termini di determinatezza sia in termini di ragionevolezza, dovendo, la tutela del diritto alla salute che la sottende, come riconosciuto dalle stesse pronunce della Corte di giustizia sopra richiamate, subire un ragionevole bilanciamento con il diritto di liberta' di impresa nonche' con il diritto alla privacy degli utenti. Infine, la norma appare incostituzionale anche in termini di colpevolezza, punendo il solo oggettivo comportamento consistente nella messa a disposizione del mezzo stesso. La seconda disposizione della cui legittimita' si dubita e' l'art. 1, comma 923 della legge n. 208/2015, secondo cui «in caso di violazione dell'art. 7, comma 3-quater, del decreto-legge 13 settembre 2012, n. 158, convertito, con modificazioni, dalla legge 8 novembre 2012, n. 189, il titolare dell'esercizio e' punito con la sanzione amministrativa di euro 20.000; la stessa sanzione si applica al proprietario dell'apparecchio». La norma, la cui rilevanza appare del tutto evidente costituendo il fondamento normativo di applicazione della sanzione nel caso di specie, prevede una sanzione a misura fissa che, secondo la giurisprudenza costituzionale in materia di sanzioni amministrative, determina la violazione dell'art. 3 della Costituzione, in combinato disposto con gli articoli 42 e 117, primo comma, della Costituzione, in relazione all'art. 1, prot. addiz. CEDU. La sanzione, infatti, non appare in alcun modo modulabile in relazione all'entita' della violazione, da desumersi, ad esempio, dal numero delle apparecchiature messe a disposizione, dall'effettivo collegamento riscontratosi, ovvero dalla gradazione dell'elemento soggettivo dell'esercente in relazione al suo obbligo di vigilanza. Assai di recente la Corte costituzionale, con la sentenza n. 185 del 2021, ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l'art. 7, comma 6, secondo periodo, del decreto-legge 13 settembre, n. 158, convertito, con modificazioni, nella legge 8 novembre 2012, n. 189, «per violazione dell'art. 3 della Costituzione, in combinato disposto con gli articoli 42 e 117, primo comma, della Costituzione, in relazione all'art. 1, prot. addiz. CEDU», il quale puniva con la sanzione amministrativa pecuniaria di euro 50.000 la mancata osservanza delle disposizioni di cui al comma 4 del medesimo articolo, le quali impongono a coloro che offrono giochi o scommesse con vincite in denaro, una pluralita' di obblighi informativi, cosi' d'avvertire il fruitore dei rischi di ludopatia. La Corte costituzionale, riprendendo la sua giurisprudenza, premette che la fissita' della sanzione amministrativa impone accorta disamina al fine di superare il dubbio di illegittimita' costituzionale, da escludersi solo laddove essa, in risposta a infrazioni di disomogenea gravita', punisca infrazioni tuttavia connotate da un disvalore tale da non renderla manifestamente sproporzionata. Con la conseguenza che essa Corte aveva «ritenuto costituzionalmente illegittima la previsione di sanzioni amministrative rigide e di rilevante incidenza sui diritti dell'interessato per ipotesi di gravita' marcatamente diversa (sentenza n. 88 del 2019), o suscettibili, comunque sia, di condurre, nella prassi applicativa, a risultati sanzionatori palesemente eccedenti il limite della proporzionalita' rispetto all'illecito commesso (sentenza n. 112 del 2019)». Nell'ipotesi riportata accerta l'incostituzionalita' della norma, giudicando che la fissita' del trattamento sanzionatorio non teneva conto della gravita' in concreto dei singoli illeciti, esemplificativamente ripresi dalla sentenza ed era foriera di manifesta sproporzionalita' per eccesso della risposta sanzionatoria rispetto al concreto disvalore «di fatti pure ricompresi nella sfera applicativa della norma». Reputa questa Corte che nel caso in esame il dubbio di illegittimita' costituzionale per violazione dei medesimi parametri non appaia manifestamente infondato. L'entita' della sanzione, anche in questo caso determinata nella misura fissa di euro 20.000, risulta di significativo rilievo, anche rapportandola alla capacita' economica modesta di imprese di minime dimensioni, quali sono solitamente i gestori di internet point. In altri termini, qualunque scostamento a prescrizioni viene punita con la medesima sanzione pecuniaria fissa di euro 20.000. Ne deriva che, anche in questo caso, come gia' affermato dalla stessa Corte costituzionale nella sentenza n. 185/2021 citata, «la fissita' del trattamento sanzionatorio impedisce di tener conto della diversa gravita' concreta dei singoli illeciti» e «la reazione sanzionatoria [puo'] risultare manifestamente sproporzionata per eccesso rispetto al disvalore concreto di fatti pure ricompresi nella sfera applicativa della norma». Va, infine, soggiunto che il tenore della disposizione, che introduce la sanzione fissa, senza prevedere alcuno strumento individualizzante rispetto al concreto disvalore dell'illecito, ne' individua fattispecie capaci d'incidere sull'entita' di essa, non consente di superare il dubbio attraverso un'interpretazione costituzionalmente orientata. Una tale interpretazione, infatti, non puo' che operare attraverso estensione, anche analogica, di modelli che debbano poter essere rinvenuti all'interno del contesto normativo di riferimento, che qui non lascia alternativa praticabile. Conclusivamente, in punto di rilevanza delle questioni di legittimita' costituzionale, il Collegio rimettente rileva che la lettera dell'art. 7, comma 3-quater, del decreto-legge 13 settembre 2012, n. 158, convertito, con modificazioni, dalla legge 8 novembre 2012, n. 189, impone di ritenere, in definitiva, esclusa qualunque ipotesi di interpretazione analogica difettando manifestamente i relativi presupposti; ai fini della soluzione della vicenda dedotta nel presente giudizio non e' infatti necessario colmare alcuna lacuna normativa; si veda, in proposito, Cassazione SSUU n. 38596/2021, § 5.2.3, ove si precisa che «l'analogia postula, anzitutto, che sia correttamente individuata una "lacuna", tanto che al giudice sia impossibile decidere, secondo l'incipit del precetto ("se una controversia non puo' essere decisa con una precisa disposizione ...")». L'art. 12, comma 2, preleggi si spiega storicamente soltanto nel senso di evitare, in ragione del principio di completezza dell'ordinamento giuridico, che il giudice possa pronunciare un non liquet, a causa la mancanza di norme che disciplinino la fattispecie. La regola, secondo cui l'applicazione analogica presuppone la carenza di una norma nella indispensabile disciplina di una materia o di un caso (cfr. art. 14 preleggi), discende dal rilievo per cui e', altrimenti, la scelta di riempire un preteso vuoto normativo sarebbe rimessa all'esclusivo arbitrio giurisdizionale, con conseguente compromissione delle prerogative riservate al potere legislativo e del principio di divisione dei poteri dello Stato. Onde non semplicemente perche' una disposizione normativa non preveda una certa disciplina, in altre invece contemplata, costituisce ex se una lacuna normativa, da colmare facendo ricorso all'analogia ai sensi dell'art. 12 preleggi». Ne' al risultato ermeneutico propugnato dal ricorrente potrebbe pervenirsi adottando una interpretazione asseritamente estensiva nel senso restrittivo del precetto - ma, in effetti, eversiva - del significato della formulazione letterale del comma 3-quater, dell'art. 7, decreto-legge n. 158/2012 convertito in legge n. 189/2012. Secondo l'insegnamento delle Sezioni unite di questa Corte, infatti, «l'interpretazione giurisprudenziale non puo' che limitarsi a portare alla luce un significato precettivo (un comando, un divieto, un permesso) che e' gia' interamente contenuto nel significante (l'insieme delle parole che compongono una disposizione, il carapace linguistico della norma) e che il giudice deve solo scoprire. L'attivita' interpretativa, quindi, non puo' superare i limiti di tolleranza ed elasticita' dell'enunciato, ossia del significante testuale della disposizione che ha posto, previamente, il legislatore e dai cui plurimi significati possibili (e non oltre) muove necessariamente la dinamica dell'inveramento della norma nella concretezza dell'ordinamento ad opera della giurisprudenza» (cosi' Cassazione SSUU n. 24413 del 2021, dove si aggiunge: «Proprio detti limiti, in definitiva, segnano la distinzione dei piani sui quali operano, rispettivamente, il legislatore e il giudice, cosicche' il "precedente" giurisprudenziale, pur se proveniente dalla Corte della nomofilachia [e, dunque, integrativo del parametro legale: art. 360-bis, n. 1, del codice di procedure civile], non ha lo stesso livello di cogenza che esprime, per statuto, la fonte legale [cfr. anche Corte costituzionale, sentenza n. 230 del 2012], alla quale [soltanto] il giudice e' soggetto [art. 101, secondo comma, della Costituzione]. E' in tal senso, pertanto, che la funzione assolta dalla giurisprudenza e' di natura "dichiarativa", giacche' riferita ad una preesistente disposizione di legge, della quale e' volta a riconoscere l'esistenza e l'effettiva portata, con esclusione di qualunque efficacia direttamente creativa»). Esclusa, dunque, la possibilita' di pervenire, tramite una interpretazione costituzionalmente orientata, al risultato ermeneutico di definire la condotta sanzionabile che non sia, secondo l'inequivocabile tenore letterale, la mera messa a disposizione della clientela delle apparecchiature di qualsiasi genere idonee al collegamento on-line anche a siti di gioco, pure nel caso di soggetto titolare di autorizzazione alla promozione del gioco con vincita di denaro, disposizione che suscita un dubbio di legittimita' costituzionale, con riferimento al principio di ragionevolezza emergente dall'art. 3 della Costituzione, con gli articoli 25, 41, 42 e 117, primo comma della Costituzione, in relazione all'art. 1, prot. addiz. CEDU, nella parte in cui esso non prevede, appunto, che la sanzione sia bilanciata con gli altri diritti in gioco, come il diritto di impresa ed il diritto alla privacy, sotto il profilo dell'effettiva sussistenza di un rapporto di connessione razionale e di proporzionalita' tra il mezzo predisposto dal legislatore e il fine che lo stesso ha inteso perseguire, avuto riguardo alle rilevanti conseguenze sul piano della tutela dei diritti coinvolti (per i principi di equivalenza, comparazione ed effettivita'). La disposizione in esame, infatti, discrimina gli esercenti di internet point dai gestori di pubblici esercizi in genere, come ristoranti e bar, che possono mettere a disposizione dei clienti non solo il wi-fi, ma anche dispositivi per navigare sul web con richiesta di utilizzo di connettivita' internet, e i criteri individuati dal legislatore al riguardo risultano meramente formali. La seconda disposizione della cui legittimita' si dubita e' dell'art. 1, comma 923 della legge n. 208/2015. La sanzione, infatti, non appare in alcun modo modulabile in relazione all'entita' della violazione, da desumersi, ad esempio, dal numero delle apparecchiature messe a disposizione, dall'effettivo collegamento riscontratosi, ovvero dalla gradazione dell'elemento soggettivo dell'esercente in relazione al suo obbligo di vigilanza. Devono, pertanto, rimettersi alla Corte costituzionale le questioni di legittimita' costituzionale, che si rilevano d'ufficio, dell'art. 7, comma 3-quater, decreto-legge n. 158/2012, convertito con modificazioni dalla legge n. 168/2012, e dell'art. 1, comma 923 della legge n. 208/2015, secondo cui «in caso di violazione dell'art. 7, comma 3-quater, del decreto-legge 13 settembre 2012, n. 158, convertito, con modificazioni, dalla legge 8 novembre 2012, n. 189, il titolare dell'esercizio e' punito con la sanzione amministrativa di euro 20.000; la stessa sanzione si applica al proprietario dell'apparecchio», per le quali la Corte ritiene siano rilevanti e non manifestamente infondate le questioni di legittimita' costituzionale per violazione dell'art. 3 della Costituzione, in combinato disposto con gli articoli 25, 41, 42 e 117, primo comma della Costituzione in relazione all'art. 1, prot. addiz. CEDU, firmato a Parigi il 20 marzo 1952, e agli articoli 16 e 17 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea (CDFUE), proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e adattata a Strasburgo il 12 dicembre 2007. Il giudizio e' sospeso per legge (art. 23, comma 2, legge n. 87 del 1953).