LA CORTE DI GIUSTIZIA TRIBUTARIA DI SECONDO GRADO DEL LAZIO 
                             Sezione 12 
 
    Riunita in udienza il 18  giugno  2024  alle  ore  11,30  con  la
seguente composizione collegiale: 
        Ciampelli Valeria, Presidente; 
        Brigante Roberto Antonio, Relatore; 
        Dongiovanni Daniele, Giudice; 
    in data 18 giugno  2024  ha  pronunciato  la  seguente  ordinanza
sull'appello n. 960/2022 depositato il 18 febbraio 2022; 
    Proposto da: 
        Unilever Italy Holdings S.r.l. - 04542210960; 
    Difeso da: 
        Alberto Trabucchi - TRBLRT70R20H501N; 
        Lorenzo Trinchera - TRNLNZ82P13F839F; 
    Rappresentato   da   Daniele   Ciolfi -    CLFDNL81B16E958S    ed
elettivamente domiciliato presso alberto.trabucchi@pec.it 
        Unilever Italia Mkt Operations S.r.l. - 06397510964; 
    Difeso da: 
        Alberto Trabucchi - TRBLRT70R20H501N; 
        Lorenzo Trinchera - TRNLNZ82P13F839F; 
    Rappresentato   da   Daniele   Ciolfi -    CLFDNL81B16E958S    ed
elettivamente domiciliato presso alberto.trabucchi@pec.it 
        Unilever Italia Manufacturing S.r.l. - 06397540961; 
    Difeso da: 
        Alberto Trabucchi - TRBLRT70R20H501N; 
        Lorenzo Trinchera - TRNLNZ82P13F839F; 
    Rappresentato   da   Daniele   Ciolfi -    CLFDNL81B16E958S    ed
elettivamente domiciliato presso alberto.trabucchi@pec.it 
    Contro: 
        Agenzia  entrate  Direzione  regionale  Lazio   elettivamente
domiciliato presso dr.lazio.gtpec@pce.agenziaentrate.it 
    Avente ad oggetto l'impugnazione di: 
        pronuncia sentenza  n.  7695/2021  emessa  dalla  Commissione
Tributaria Provinciale Roma sez. 39 e pubblicata il 24 giugno 2021; 
    Atti impositivi: 
        DINIEGO RIMBORSO IRES-ALTRO 2014; 
        DINIEGO RIMBORSO IRES-ALTRO 2015; 
    A seguito di discussione in pubblica udienza 
 
                              LA CORTE 
 
    Esaminati gli atti ed i documenti di causa; 
    Udito il Relatore Dott. Roberto Antonio Brigante nella Camera  di
consiglio del giorno 18 giugno 2024 e uditi per le parti i  difensori
come specificato nel verbale; 
    A scioglimento della riserva assunta all'udienza  del  18  giugno
2024 
 
                               Osserva 
 
1. Il giudizio a quo 
    1.1 Le societa' Unilever Italy  Holdings  S.r.l.  (consolidante),
Unilever Italia Manufacturing S.r.l. e Unilever Italia MKT. Operation
S.r.l. (consolidate) hanno proposto ricorso  dinanzi  la  Commissione
Tributaria Provinciale  di  Roma  nei  confronti  dell'Agenzia  delle
entrate - D.R. del Lazio avverso il silenzio-rifiuto formatosi  sulla
propria istanza di rimborso IRES per gli anni d'imposta 2014  e  2015
dell'importo di euro 397.142,02 esponendo: 
        di aver corrisposto a titolo di IMU  riferibile  ad  immobili
strumentali l'importo di euro 835.717,00 nel 2014  e  845.150,00  nel
2015 (Unilever Manifacturing), euro 12.443,00 nel  2014  e  12.442,00
nel 2015 (Unilever MKT); 
        di aver fatto concorrere la predetta IMU,  tutta  relativa  a
immobili strumentali, alla formazione del proprio reddito  imponibile
IRES per i periodi d'imposta 2014 e 2015 in misura  pari  all'80%  (e
quindi per gli importi complessivi di euro 678.528,00 per il 2014  ed
euro 686.073,60 per il 2015) per un totale di euro 1.364.601,60  come
risulta dalle dichiarazioni IRES presentate per  gli  anni  d'imposta
2014 e 2015 ai sensi dell'art. 14, comma 1,  decreto  legislativo  n.
23/2011 vigente ratione temporis; 
        che tale condotta ha comportato un maggior esborso in termini
di IRES del medesimo, secondo l'aliquota pro tempore applicabile  del
27,5%, complessivamente di euro 186.595,20 per  il  2014  e  di  euro
188.670,24 per il 2015, per un totale di euro 375.265,44; 
        che, sempre conformemente all'art. 14, comma 1, cit.  vigente
ratione temporis, le consolidate hanno inoltre fatto concorrere l'IMU
alla  determinazione  del  proprio  valore  della  produzione   netta
rilevante ai fini IRAP, operando nelle rispettive dichiarazioni  IRAP
per gli anni d'imposta 2014 e 2015 una variazione in aumento (al rigo
IC46) corrispondente all'intero importo  dell'IMU  imputata  a  conto
economico; 
        che,  in  virtu'  della  generale  indeducibilita'  dell'IRAP
dall'imponibile IRES sancita dall'art. 1 del decreto  legislativo  15
dicembre 1997, n. 446, cio' ha implicato il concorso alla  formazione
del reddito imponibile IRES delle consolidate anche dell'importo  del
tributo regionale riferibile all'IMU indeducibile, per  un  ammontare
complessivo di euro 39.529,49 per il 2014 ed euro  40.021,72  per  il
2015 (corrispondenti al prodotto tra l'IMU  indeducibile  imputata  a
conto economico da  ciascuna  Consolidata  e  l'aliquota  media  IRAP
propria delle medesime), per un totale di euro 79.551,22; 
        che, quindi,  l'indeducibilita'  dell'IMU  agli  effetti  del
tributo regionale ha finito quindi col gravare per una seconda  volta
sull'imponibile del consolidato per un  importo  corrispondente,  con
conseguente maggior esborso in termini di IRES del medesimo,  secondo
l'aliquota pro tempore applicabile  del  27,5%,  rispettivamente,  di
euro  10.870,61  per  il  2014  (corrispondente  al  27,5%  di   euro
39.529,49) e di euro 11.005,97 per il 2015 (corrispondente  al  27,5%
di euro 40.021,72), per un totale di euro 21.876,58; 
        di  ritenere   palesemente   incostituzionale   la   predetta
indeducibilita' dell'IMU dall'imponibile IRES - discendente,  in  via
diretta, dall'art. 14, comma 1, del decreto  legislativo  n.  23  del
2011 -, nonche', in via indiretta, dal  combinato  disposto  di  tale
ultima norma e dell'art. 1 del decreto legislativo n.  446  del  1997
per contrasto con gli artt. 3, 53, 41 e 42 della  Costituzione  sotto
il profilo di violazione del principio di capacita' contributiva,  di
uguaglianza e ragionevolezza, di libera concorrenza, di  liberta'  di
iniziativa  economica  e  di   tutela   della   proprieta'   privata,
richiamando la pronuncia della Corte  costituzionale  n.  262  del  4
dicembre 2020 che  ha  dichiarato  la  illegittimita'  costituzionale
dell'art. 14, comma 1, decreto legislativo n. 23/2011 nella  versione
vigente per l'anno d'imposta 2012; 
        di aver quindi presentato in data 3-6 maggio 2019  un'istanza
di rimborso con la quale  e'  stata  chiesta  la  restituzione  della
maggiore IRES di cui sopra versata per i  periodi  d'imposta  2014  e
2015 e non dovuta, rispettivamente, di euro 197.465,81 per il 2014  e
di euro 199.676,21 per il  2015,  per  complessivi  euro  397.142,02,
oltre accessori di legge. 
    1.1.1 Resisteva al ricorso l'Agenzia delle  entrate  -  D.R.  del
Lazio. 
    1.1.2 La Commissione Tributaria Provinciale di Roma respingeva il
ricorso e compensava le spese del grado osservando come  -  infondata
la prospettata questione di legittimita' costituzionale dell'art. 14,
comma 1, decreto legislativo n. 23/2011 - sia «la legge che determina
il metodo di calcolo delle imposte,  limitando  la  deducibilita'  di
costi che, come il caso di specie, hanno subito, nel  tempo,  diverse
variazioni, passando percentuali basse ad altre piu' elevate, ma  che
valgono sempre  e  solo  per  i  periodi  d'imposta  successivi  alle
emanazione delle rispettive norme». 
    1.2 Le societa' Unilever Italy  Holdings  S.r.l.  (consolidante),
Unilever Italia Manufacturing S.r.l. e Unilever Italia MKT. Operation
S.r.l. (consolidate),  quindi,  hanno  impugnato  la  detta  sentenza
deducendo,  per  quanto  rilevante  in  questa  fase  incidentale,  i
seguenti motivi: 
        1) infondatezza e illegittimita' della sentenza impugnata per
mancato riconoscimento  dell'illegittimita'  del  rifiuto  tacito  al
rimborso   sulla   base   dei   principi   affermati   dalla    Corte
costituzionale, da ultimo nella sentenza n. 262 del  2020  emessa  in
relazione agli stessi fatti di cui e' causa per il periodo  d'imposta
2012; 
        2) sussistenza, in ogni caso, di ragioni di rilevanza  e  non
manifesta  infondatezza  per  promuovere  una  nuova   questione   di
legittimita' costituzionale. 
    1.2.1 Resiste anche all'appello l'Agenzia delle  entrate  -  D.R.
del Lazio. 
    1.2.2 Le contribuenti, anche alla luce della sentenza n.  21/2024
della  Corte  costituzionale,  sostengono  che  la  declaratoria   di
inammissibilita'  delle  questioni  di  legittimita'   costituzionale
affermata  in  quell'arresto  non  osti  alla   loro   riproposizione
affinche' siano esaminate nel merito con riferimento alla conformita'
costituzionale dell'art. 14, comma  1,  del  decreto  legislativo  n.
23/2011, nella versione vigente negli anni dal 2014  al  2018,  nella
parte in cui limita la deducibilita' al 20 per cento dell'IMU  pagata
sugli immobili strumentali  dalla  base  imponibile  dell'IRES  e  la
totale indeducibilita' dell'IMU sui beni strumentali dall'IRAP. 
    1.2.3 Allo  stato  non  si  pone,  invece,  alcuna  questione  in
relazione  alla  indeducibilita'  dell'IMU   sui   beni   strumentali
dall'IRAP  in  quanto  decisa  nel  merito,  rigettandola,   con   la
richiamata sentenza n. 21/2024 della Corte costituzionale. 
2. La questione di legittimita' costituzionale qui sollevata 
    2.1 Con  la  sentenza  n.  21/2024  la  Corte  costituzionale  ha
ritenuto le questioni di legittimita'  costituzionale  sollevate  dai
giudici  di  merito  inammissibili  per   difetti   contenuti   nelle
rispettive ordinanze di rimessione; in particolare: 
        a) con riferimento all'ordinanza n. 34/2023 della C.G.T. di I
grado di Como, la Corte  ha  concluso  nel  senso  che  «deve  essere
dichiarata  l'inammissibilita'  per  difetto  di  motivazione   sulla
rilevanza delle questioni» (cfr.  par.  7.1),  in  considerazione  di
un'omessa valutazione da  parte  del  giudice  a  quo  sull'effettiva
strumentalita'   degli   immobili   all'attivita'   esercitata    dal
ricorrente; 
        b) con riferimento alle ordinanze di  rimessione  n.  38/2023
della C.G.T. di I grado di Genova e n. 154/2023 di quella di  Torino,
che hanno superato il vaglio di ammissibilita' rispetto al tema della
rilevanza  (conseguente  alla  prova   della   strumentalita'   degli
immobili), la  Corte  ha  ritenuto  inammissibile  la  questione  per
insufficiente  motivazione  in  relazione  al  requisito  della   non
manifesta infondatezza della questione in quanto i giudici di merito,
nel richiamare nelle rispettive ordinanze di  rimessione  i  principi
espressi dalla medesima Corte nella sentenza n. 262/2020,  non  hanno
motivato  autonomamente  i  dubbi  di   legittimita'   costituzionale
rispetto alla normativa sopravvenuta, «come se le questioni attinenti
alle norme da esse censurate  fossero  esattamente  identiche»  (cfr.
par. 8). 
    2.1.1 Alla luce di  quanto  precede,  quindi,  appare  necessario
sollevare  una  nuova  questione   di   legittimita'   costituzionale
relativamente  al  contrasto  dell'art.  14,  comma  1,  del  decreto
legislativo n. 23/2011 vigente nel 2014 e 2015 con gli artt. 3, 53  e
41 della Costituzione, che tenga conto  degli  specifici  profili  di
inammissibilita' ravvisati nella sentenza n. 21/2024  e  valorizzi  -
come  dalla  stessa  evocato  -  le  argomentazioni  delle  succitate
ordinanze n. 38/2023 e n. 154/2023. 
3.  Sulla  rilevanza  della  prospettata  questione  di  legittimita'
costituzionale 
    3.1 In fatto questa Corte  rimettente  rileva  come  le  societa'
appellanti abbiano chiesto il rimborso dell'IRES  riferibile  all'IMU
corrisposta e non dedotta in relazione ai soli  immobili  strumentali
«per  natura»  (e  con  esclusione   prudenziale   di   quelli   «per
destinazione»), la cui strumentalita' e'  presunta  per  legge  (cfr.
art. 43, comma 2, decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre
1986, n. 917 e successive modificazioni ed integrazioni,  di  seguito
semplicemente TUIR) ed e' stata provata in giudizio sulla base  della
produzione delle visure catastali degli  immobili  cui  afferisce  il
richiesto rimborso (con prospetto che evidenzia l'imposta assolta  su
ciascun fabbricato) e dalle quali si evince la  strumentalita'  degli
stessi essendo classati catastalmente in categoria D/1 e A/10. 
    3.1.1 In particolare: 
        e' incontestato in giudizio come l'imposta chiesta a rimborso
si riferisca ad immobili strumentali (cfr. al riguardo  le  quietanze
di versamento IMU degli  anni  2014  e  2015  di  cui  ai  docc.  5-8
appellante effettuate  utilizzando  i  codici  tributo  relativi  per
l'appunto a immobili strumentali per natura); 
        la  strumentalita'  per  natura  degli  immobili  de   quibus
(desumibile dalla categoria catastale «D» e «A10»)  si  evince  dalle
visure catastali degli  immobili  (docc.  10.1,  10.2,  10.3  e  10.4
appellante) con riferimento all'IMU  dei  quali  e'  stata  formulata
l'istanza di rimborso; 
        vi sono in atti (docc. 9.1 e 9.2 appellante) dei prospetti di
dettaglio di ogni singolo immobile oggetto dell'istanza  di  rimborso
IMU per cui e' causa con la specificazione del codice  tributo  degli
immobili strumentali, del comune di ubicazione e dei  dati  catastali
(che fungono da raccordo con le  visure  catastali  in  atti)  e  con
indicazione degli  importi  versati  a  titolo  di  IMU  per  ciascun
immobile sia in acconto che a saldo. 
    3.2 In punto di diritto si  osserva  come  -  da  un  lato  -  la
decisione della controversia non possa prescindere  dall'applicazione
dell'art. 14 del decreto legislativo n. 23/2011 pro tempore  vigente,
che -  per  gli  anni  dal  2014  al  2018,  stabilisce  la  parziale
deducibilita' dell'IMU dall'IRES (nella misura del 20 per  cento),  e
cio' in deroga all'art. 99, comma 1 TUIR - e - dall'altro lato - come
non  appaia  percorribile  una   interpretazione   costituzionalmente
orientata  della  norma,  tale  da  escluderne   una   pronuncia   di
incostituzionalita', poiche' ogni interpretazione adeguatrice,  anche
se costituzionalmente orientata, appare preclusa per l'univoco tenore
letterale della disposizione il quale si appalesa insuperabile  anche
per quanto statuito  nella  giurisprudenza  costituzionale  (espressa
inapplicabilita' della sentenza n. 262/2020,  riferentesi  a  diverso
anno d'imposta, per come anche ribadito dalla successiva sentenza  n.
21/2024). 
    3.2.1 Infatti, in quest'ultima sentenza (n. 21/2024 - par.  8.1),
il Giudice costituzionale ha ricordato come il precedente di cui alla
sentenza n. 262/2020 chiarisse come non sussistessero  i  presupposti
di  una  estensibilita'  «d'ufficio  in  via  consequenziale»   della
dichiarazione  di  illegittimita'  costituzionale   alle   annualita'
successive al 2012  e  che  la  suddetta  sentenza  n.  262/2020  non
contenesse alcun decisum nel senso della legittimita'  costituzionale
delle discipline entrate in vigore  dopo  il  2012:  in  particolare,
esaminando la questione di cui alla sentenza n.  262/2020,  la  Corte
costituzionale non aveva l'obbligo di  pronunciarsi  sulle  normative
sopravvenute e  diverse  da  quella  impugnata  in  quello  specifico
procedimento (cioe' quella vigente nel 2012) stante la  mancanza  dei
requisiti per estendere la  pronuncia  a  periodi  diversi  dal  2012
rilevato  il  difetto  di  "«sostanziale  identita'   di   contenuto»
(sentenza  n.  131  del  2022),  oppure  una  «stretta   connessione»
(sentenza n. 113 del 2023), ovvero l'essere «espressiva della  stessa
logica» (sentenza n. 73 del 2023), nonche' una «identita' dei vizi di
legittimita'» (sentenza n. 232 del 1975)". 
4. Sulla non manifesta infondatezza della  prospettata  questione  di
legittimita' costituzionale 
    4.1 Per quanto attiene  alla  non  manifesta  infondatezza  della
questione, il Giudice costituzionale (sentenza n. 21/2024 - par. 8.1)
ha  ricordato  -  onde   non   incorrere   in   nuove   pronunce   di
inammissibilita' - che  il  Giudice  rimettente  si  confronti  sulla
diversita' delle formulazioni dell'art. 14,  decreto  legislativo  n.
23/2011 nella  versione  vigente  per  i  periodi  d'imposta  qui  in
discussione (i.e. 2014 e 2015) e quella  dichiarata  incostituzionale
in vigore nel periodo d'imposta 2012. 
    4.1.1 Queste le due formulazioni dell'art. 14, comma  1,  decreto
legislativo n. 23/2011: 
        nella versione vigente nel periodo d'imposta 2012: «L'imposta
municipale propria e' indeducibile dalle imposte erariali sui redditi
e dall'imposta regionale sulle attivita' produttive»; 
        nella versione vigente negli  anni  d'imposta  2014-2015  per
effetto delle modifiche operate dall'art. 1, comma 715,  della  legge
27  dicembre  2013:  «L'imposta  municipale  propria  relativa   agli
immobili strumentali e' deducibile ai fini della  determinazione  del
reddito di impresa e del reddito derivante dall'esercizio di  arti  e
professioni nella misura del 20 per cento.  La  medesima  imposta  e'
indeducibile  ai  fini   dell'imposta   regionale   sulle   attivita'
produttive». 
    4.1.2  Tralasciando  l'ultimo  periodo  della   norma,   relativo
all'indeducibilita' ai fini IRAP,  dal  suddetto  confronto  traspare
come la  versione  della  norma  valevole  per  i  periodi  d'imposta
2014-2015 si caratterizzi, anziche' per  l'integrale  indeducibilita'
dell'IMU, per una forfettizzazione della deducibilita' prevista nella
misura del 20 per cento. 
    4.2 Occorre dunque chiedersi preliminarmente se la previsione  di
una tale (in)deducibilita' forfettaria nella misura dell'80 per cento
consenta di  superare  i  profili  di  illegittimita'  costituzionale
ravvisati con riguardo alla totale indeducibilita' della medesima. 
    Al riguardo, e' fondamentale osservare che la  limitazione  della
deduzione al  20  per  cento  dell'IMU  pagata  (misura  pro  tempore
applicabile) e', nel caso  di  specie,  del  tutto  ingiustificata  e
arbitraria, e cio' per almeno due ordini di motivi. 
    4.3 In primo luogo, occorre rilevare che il TUIR  conosce  invero
altre ipotesi  di  limitazione  forfettaria  della  deducibilita'  di
taluni costi, ma cio'  si  verifica  con  riguardo  a  costi  la  cui
parziale riferibilita' all'attivita' di impresa ne rendono  opinabile
l'inerenza (ad es., le spese per i servizi di telefonia,  ammesse  in
deduzione nella misura dell'80 per cento ex art. 102,  comma  9,  del
TUIR; i «costi auto», deducibili nella misura del  20  per  cento  ex
art. 164, comma 1, lettera b), del TUIR). 
    Una limitazione forfettaria della deducibilita' dell'IMU potrebbe
ritenersi dunque eventualmente ammissibile e  ragionevole  se  e  nei
limiti in cui cio' rappresentasse una forfettizzazione dell'ammontare
dell'imposta che, afferendo  ad  immobili  ad  uso  c.d.  «promiscuo»
(i.e., destinati ad attivita' da cui derivano sia  ricavi  imponibili
che  non  imponibili),  risultasse   effettivamente   inerente   alla
produzione del reddito. 
    Tale non e' tuttavia il caso in esame. 
    Difatti, la circostanza che l'art. 14 in commento  stabilisca  la
(parziale)  deducibilita'  dell'IMU   relativa   ai   soli   immobili
strumentali gia' assicura il rispetto del nesso di inerenza integrale
dell'onere connesso a tale imposta con l'attivita' d'impresa  che  ne
dovrebbe  giustificare  la  (piena)  deducibilita',  trattandosi  per
l'appunto di immobili che partecipano al processo produttivo. 
    Inoltre, ammesso pure (ma non concesso per quanto detto) che  una
qualche forma di forfettizzazione  fosse  ammissibile,  nel  caso  di
specie la previsione sarebbe in ogni caso irragionevole e arbitraria,
poiche' e' del tutto  oscuro  quale  sarebbe  stato  il  ragionamento
logico e matematico che ha  condotto  il  legislatore  a  determinare
nella percentuale (del tutto irrisoria) del 20 per cento - e  non  in
un diverso ammontare, come pure avvenuto in seguito  (vedi  infra)  -
l'ammontare dell'imposta deducibile ai  fini  della  base  imponibile
IRES. 
    Prova ne sia che la  predetta  percentuale  di  deducibilita'  e'
stata, com'e' noto: 
        a) dapprima incrementata dal 20 al 40 per cento  a  decorrere
dal 1° gennaio 2019 ad opera della legge 31  dicembre  2018,  n.  145
(i.e., legge di bilancio 2019); 
        b) successivamente, ulteriormente innalzata al 50  per  cento
ad opera del decreto-legge 30 aprile 2019,  n.  34  (convertito,  con
modificazioni, dalla legge 28 giugno 2019, n. 58  -  di  seguito,  il
«Decreto crescita»), con cui e'  stato  contestualmente  disposto  il
progressivo aumento della medesima deducibilita' negli anni a  venire
fino a raggiungere il 100 per cento a decorrere dal periodo d'imposta
2023 (successivamente a sua volta anticipato al 2022 ad  opera  della
legge 27 dicembre 2019, n. 160 - i.e., legge di bilancio 2020). 
    Tutti questi mutamenti normativi sono avvenuti in  modo  tale  da
rendere non intellegibile la ratio sottesa alla  scelta  legislativa,
con cio'  denotando  una  irragionevolezza  della  limitazione  della
deducibilita' in commento,  che  e'  stata  continuamente  modificata
senza comprendere le ragioni se non le esigenze di gettito fiscale. 
    Esigenze cui, tuttavia, come riportato nella sentenza n. 21/2024,
le parti private e gli amici curiae  ritenevano  che  il  legislatore
debba  «rispondere  in  modo   trasparente,   aumentando   l'aliquota
dell'imposta principale» e non «attraverso incoerenti  manovre  sulla
deducibilita',  che  si  risolvono  in  discriminatori,  sommersi   e
rilevanti incrementi della base imponibile a  danno  solo  di  alcuni
contribuenti», cosi' come  affermato  dalla  precedente  sentenza  n.
262/2020. 
    Cio' posto, permangono quindi anche con  riguardo  alla  versione
della norma qui in discussione quei medesimi vizi  di  illegittimita'
costituzionale censurati dalla Corte costituzionale,  nella  sentenza
n. 262/2020, che portano a ritenere la questione  non  manifestamente
infondata. 
    In particolare, nell'assunto che «una volta  che  il  legislatore
nella  sua  discrezionalita'  abbia   identificato   il   presupposto
[dell'IRES] nel possesso del reddito complessivo netto, ... non puo',
senza rompere un vincolo di coerenza, rendere indeducibile  un  costo
fiscale chiaramente e interamente inerente»: anche la versione  della
norma qui in discussione si pone in contrasto con gli artt.  3  e  53
della Costituzione. 
    Difatti,  anche  l'IMU  versata  -  in   relazione   a   immobili
strumentali - nei periodi  d'imposta  in  questione,  rappresenta  un
costo inerente all'attivita' d'impresa che, in virtu' della  generale
deducibilita' delle imposte dal reddito ex art. 99 TUIR,  sarebbe  da
ritenersi deducibile in assenza  dell'illegittima  norma  di  cui  e'
causa. 
    Ne consegue proprio  la  rottura  di  quel  vincolo  di  coerenza
rispetto al presupposto  impositivo  del  tributo -  individuato  dal
legislatore  stesso  proprio  nel  reddito  al  netto  dei  costi  di
produzione inerenti - che,  per  espressa  affermazione  della  Corte
costituzionale, il legislatore e' tenuto ad osservare. 
    Peraltro,  l'ammissibilita'  e  fondatezza  della  questione   di
legittimita' costituzionale  dell'art.  14,  decreto  legislativo  n.
23/2011 trova riscontro  proprio  nell'arresto  n.  21/2024,  ove  la
Corte, in relazione al  diverso  tema  della  deducibilita'  dell'IMU
dall'IRAP, ha riconosciuto come «... il  principio  della  necessaria
deducibilita'  dell'IMU  sugli  immobili   strumentali»   sia   stato
«affermato da questa Corte in relazione all'IRES» (par. 10.2). 
    4.4 Ed ancora, anche con riguardo  alla  versione  dell'art.  14,
decreto legislativo n. 23/2011, nella versione  vigente  nei  periodi
d'imposta 2014 e  2015  qui  in  discussione,  si  (ripro)pongono  le
medesime  esigenze  di  salvaguardia  del  principio   di   capacita'
contributiva stigmatizzate dalla Corte costituzionale nella  sentenza
n. 262/2020 con riguardo alla versione della norma in vigore  per  il
2012. 
    Infatti, al pari della versione vigente per il  2012,  anche  per
effetto della norma in questione la tassazione finisce col gravare su
un  reddito  lordo,  anziche'  netto,  e   colpisce   una   capacita'
contributiva meramente  figurativa,  in  quanto  il  maggior  reddito
assoggettato a tassazione per effetto  dell'indeducibilita'  dell'IMU
e' di fatto insussistente, in  quanto  consumato  da  un  costo  che,
soltanto a livello fiscale, non ottiene  riconoscimento:  da  qui  il
contrasto con l'art. 53 della  Costituzione  per  la  violazione  del
principio di capacita' contributiva. 
    4.5   Inoltre,   ritenere   che    l'indeducibilita'    dell'IMU,
incostituzionale per il 2012, tale non sia anche  per  le  annualita'
successive significherebbe che soltanto in  relazione  alle  predette
annualita' dovrebbe ritenersi tollerata  la  penalizzazione  di  quei
contribuenti che abbiano deciso di «investire gli utili nell'acquisto
della proprieta' degli immobili strumentali»  anziche'  prenderli  in
locazione (da qui il contrasto con  l'art.  41  della  Costituzione),
nonostante tale penalizzazione sia stata reputata inaccettabile dalla
Corte costituzionale (sentenza  n.  262/2020,  e  cio'  senza  alcuna
discriminante  logica  che  giustifichi  perche'  una  disparita'  di
trattamento ritenuta inammissibile per un periodo d'imposta  dovrebbe
considerarsi giustificata per quelli successivi): da qui il contrasto
con l'art. 3 della Costituzione (sotto il profilo  del  rispetto  del
principio  di  uguaglianza  formale  e  di  liberta'  di   iniziativa
economica privata). 
    In definitiva, la  ravvisata  incostituzionalita'  dell'art.  14,
decreto legislativo n.  23/2011  permane  fintanto  che  persiste  la
violazione dei principi sopra enunciati per via  dell'indeducibilita'
(anche parziale) dell'IMU «strumentale» dall'IRES,  e  dunque  appare
sussistere  anche  nella  versione  della  norma  in  vigore  per  le
annualita' successive al 2012,  da  cui  discende  la  non  manifesta
infondatezza   della   questione   di   legittimita'   costituzionale
prospettata in questo procedimento. 
    4.5.1  Affermare,  infatti,  che  in  relazione   al   2012   sia
incostituzionale una norma che sancisce l'indeducibilita' dal reddito
d'impresa di un costo inerente (IMU), ma che tale incostituzionalita'
non valga per le successive annualita',  significherebbe  riconoscere
che il principio di coerenza del legislatore rispetto al  presupposto
impositivo, nonche' il divieto di assolvere ad  esigenze  di  gettito
mediante la modulazione della base imponibile anziche'  agendo  sulle
aliquote (principi affermati nella sentenza n. 262/2020),  varrebbero
a fasi alterne, solamente per  alcuni  anni  e  non  per  altri,  con
evidente compromissione della certezza del diritto. 
    4.6 Cosi' come va a fortiori rilevato come una giustificazione al
diverso trattamento valevole per i periodi  d'imposta  successivi  al
2012, rispetto a quest'ultimo, non puo'  nemmeno  trovare  fondamento
nel presunto «virtuoso percorso» che il legislatore avrebbe nel tempo
intrapreso nell'aumentare progressivamente la deducibilita' dell'IMU. 
    4.6.1 Ed infatti una tale questione si potrebbe semmai porre - in
via meramente ipotetica - solo a partire dal decreto  crescita  (art.
3, decreto-legge n. 34/2019, convertito dalla legge n. 58/2019),  con
cui e' stato disposto il progressivo aumento della deducibilita' fino
a raggiungere il 100 per cento a decorrere dal periodo d'imposta 2023
(successivamente a sua volta anticipato al 2022 ad opera della  legge
27 dicembre 2019, n. 160 - i.e.,  legge  di  bilancio  2020),  mentre
nessun incremento progressivo era previsto nella versione della norma
in vigore per le annualita' qui in discussione (e fino al  2018),  in
cui e' stato fissato in maniera costante in misura  pari  al  20  per
cento. 
    4.6.2 Al riguardo appare dunque dirimente  quanto  affermato  dal
Giudice costituzionale (sentenza n. 262/2020) nel  punto  in  cui  ha
reputato non giustificata l'integrale indeducibilita' disposta  dalla
norma   pro   tempore   vigente   per   via    della    temporaneita'
dell'imposizione, non essendo tale carattere «propriamente riferibile
...  alla  norma   censurata,   nella   cui   struttura   l'integrale
indeducibilita'  e'   stata   prevista   come   permanente   e   solo
accidentalmente, per effetto di discrezionali e successivi interventi
del legislatore, e' risultata limitata all'anno 2012». 
    4.6.3  Altrettanto  dicasi  con  riguardo  alla  norma   qui   in
discussione  -  di  cui  si   sollecita   un   nuovo   sindacato   di
costituzionalita'  -  dal  momento  che,   parimenti,   la   limitata
deducibilita' era originariamente prevista  come  permanente  e  solo
«accidentalmente», per effetto dei successivi  interventi  normativi,
essa e' stata poi «incrementata». 
    4.7  Da  ultimo,  e  per  completezza  di  analisi,   anche   per
scongiurare  una  ulteriore  pronuncia  di   inammissibilita',   pare
evidente che non possono assumere di certo rilievo asserite  esigenze
di equilibrio di bilancio tali da limitare  la  deducibilita'  di  un
costo palesemente e interamente inerente in contrasto con i  principi
costituzionali sopra  richiamati  e  con  il  presupposto  impositivo
dell'IRES cosi' come pure indicato dalla Corte costituzionale. 
    4.7.1 Cio', invero, oltre che per quanto sopra  detto  -  secondo
cui il legislatore e' tenuto a porre rimedio alle esigenze di gettito
unicamente operando sull'aliquota e non stravolgendo  il  presupposto
impositivo - soprattutto in considerazione del fatto che e'  evidente
che  il  principio   costituzionale   dell'equilibrio   di   bilancio
rappresenta un principio meramente programmatico, che non pare  possa
essere validamente invocato a bilanciamento degli ulteriori  principi
costituzionali. 
    4.7.2 In  definitiva,  giustificare  la  violazione  di  principi
costituzionali (uguaglianza, ragionevolezza e capacita' contributiva)
sulla base di un  diverso  principio  (equilibrio  di  bilancio)  non
assolverebbe al pur  legittimo  bilanciamento  di  plurimi  interessi
costituzionali,  ma  significherebbe,  di   contro,   attribuire   al
principio  dell'equilibrio  del  bilancio  una  totale   e   assoluta
supremazia rispetto agli ulteriori precetti  costituzionali  violati,
la cui affermazione risulterebbe priva di ogni effettivita',  poiche'
destinati sempre a recedere di fronte a quest'ultimo. 
    Ma  e'  evidente  che  cosi'  non  puo'  essere,  anche   perche'
l'equilibrio (programmatico)  del  bilancio  puo'  essere  assicurato
anche  in  caso  di  pronuncia  di  incostituzionalita'  mediante   i
«meccanismi di correzione» di cui alla legge n. 243/2012. 
5. Conclusioni 
    5.1 Per tutti i motivi sopra richiamati -  ritenuta  rilevante  e
non   manifestamente   infondata   la   questione   di   legittimita'
costituzionale   illustrata   in   parte    motiva    e    constatata
l'impossibilita' di un'interpretazione  costituzionalmente  orientata
dell'art. 14, comma 1, del  decreto  legislativo  n.  23/2011,  nella
versione vigente nel 2014 e 2015 (per effetto delle modifiche operate
dall'art. 1, comma 715, della legge 27 dicembre 2013) - questa  Corte
solleva la questione di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  14,
comma 1, del decreto legislativo n. 23/2011, nella  versione  vigente
nel 2014 e 2015 (per effetto delle  modifiche  operate  dall'art.  1,
comma 715, della legge 27 dicembre 2013), per violazione degli  artt.
3, 53 e 41 della Costituzione. 
    5.2 Ai sensi dell'art. 23, comma 2, della legge 11 marzo 1953, n.
87,  il  presente  giudizio  e'   sospeso   fino   alla   definizione
dell'incidente di costituzionalita'. 
    5.3 Ai sensi dell'art. 23, commi 4 e  5,  della  legge  11  marzo
1953, n. 87,  la  presente  ordinanza  sara'  comunicata  alle  parti
costituite, notificata  al  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri
nonche' comunicata al Presidente del Senato  della  Repubblica  e  al
Presidente della Camera dei deputati. 
    5.4 Ogni ulteriore statuizione in rito, nel merito ed  in  ordine
alle spese resta riservata alla decisione definitiva.