LA CORTE DI GIUSTIZIA TRIBUTARIA DI SECONDO GRADO DEL LAZIO Sezione 12 Riunita in udienza il 18 giugno 2024 alle ore 11,30 con la seguente composizione collegiale: Ciampelli Valeria, Presidente; Brigante Roberto Antonio, Relatore; Dongiovanni Daniele, Giudice; in data 18 giugno 2024 ha pronunciato la seguente ordinanza sull'appello n. 960/2022 depositato il 18 febbraio 2022; Proposto da: Unilever Italy Holdings S.r.l. - 04542210960; Difeso da: Alberto Trabucchi - TRBLRT70R20H501N; Lorenzo Trinchera - TRNLNZ82P13F839F; Rappresentato da Daniele Ciolfi - CLFDNL81B16E958S ed elettivamente domiciliato presso alberto.trabucchi@pec.it Unilever Italia Mkt Operations S.r.l. - 06397510964; Difeso da: Alberto Trabucchi - TRBLRT70R20H501N; Lorenzo Trinchera - TRNLNZ82P13F839F; Rappresentato da Daniele Ciolfi - CLFDNL81B16E958S ed elettivamente domiciliato presso alberto.trabucchi@pec.it Unilever Italia Manufacturing S.r.l. - 06397540961; Difeso da: Alberto Trabucchi - TRBLRT70R20H501N; Lorenzo Trinchera - TRNLNZ82P13F839F; Rappresentato da Daniele Ciolfi - CLFDNL81B16E958S ed elettivamente domiciliato presso alberto.trabucchi@pec.it Contro: Agenzia entrate Direzione regionale Lazio elettivamente domiciliato presso dr.lazio.gtpec@pce.agenziaentrate.it Avente ad oggetto l'impugnazione di: pronuncia sentenza n. 7695/2021 emessa dalla Commissione Tributaria Provinciale Roma sez. 39 e pubblicata il 24 giugno 2021; Atti impositivi: DINIEGO RIMBORSO IRES-ALTRO 2014; DINIEGO RIMBORSO IRES-ALTRO 2015; A seguito di discussione in pubblica udienza LA CORTE Esaminati gli atti ed i documenti di causa; Udito il Relatore Dott. Roberto Antonio Brigante nella Camera di consiglio del giorno 18 giugno 2024 e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; A scioglimento della riserva assunta all'udienza del 18 giugno 2024 Osserva 1. Il giudizio a quo 1.1 Le societa' Unilever Italy Holdings S.r.l. (consolidante), Unilever Italia Manufacturing S.r.l. e Unilever Italia MKT. Operation S.r.l. (consolidate) hanno proposto ricorso dinanzi la Commissione Tributaria Provinciale di Roma nei confronti dell'Agenzia delle entrate - D.R. del Lazio avverso il silenzio-rifiuto formatosi sulla propria istanza di rimborso IRES per gli anni d'imposta 2014 e 2015 dell'importo di euro 397.142,02 esponendo: di aver corrisposto a titolo di IMU riferibile ad immobili strumentali l'importo di euro 835.717,00 nel 2014 e 845.150,00 nel 2015 (Unilever Manifacturing), euro 12.443,00 nel 2014 e 12.442,00 nel 2015 (Unilever MKT); di aver fatto concorrere la predetta IMU, tutta relativa a immobili strumentali, alla formazione del proprio reddito imponibile IRES per i periodi d'imposta 2014 e 2015 in misura pari all'80% (e quindi per gli importi complessivi di euro 678.528,00 per il 2014 ed euro 686.073,60 per il 2015) per un totale di euro 1.364.601,60 come risulta dalle dichiarazioni IRES presentate per gli anni d'imposta 2014 e 2015 ai sensi dell'art. 14, comma 1, decreto legislativo n. 23/2011 vigente ratione temporis; che tale condotta ha comportato un maggior esborso in termini di IRES del medesimo, secondo l'aliquota pro tempore applicabile del 27,5%, complessivamente di euro 186.595,20 per il 2014 e di euro 188.670,24 per il 2015, per un totale di euro 375.265,44; che, sempre conformemente all'art. 14, comma 1, cit. vigente ratione temporis, le consolidate hanno inoltre fatto concorrere l'IMU alla determinazione del proprio valore della produzione netta rilevante ai fini IRAP, operando nelle rispettive dichiarazioni IRAP per gli anni d'imposta 2014 e 2015 una variazione in aumento (al rigo IC46) corrispondente all'intero importo dell'IMU imputata a conto economico; che, in virtu' della generale indeducibilita' dell'IRAP dall'imponibile IRES sancita dall'art. 1 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, cio' ha implicato il concorso alla formazione del reddito imponibile IRES delle consolidate anche dell'importo del tributo regionale riferibile all'IMU indeducibile, per un ammontare complessivo di euro 39.529,49 per il 2014 ed euro 40.021,72 per il 2015 (corrispondenti al prodotto tra l'IMU indeducibile imputata a conto economico da ciascuna Consolidata e l'aliquota media IRAP propria delle medesime), per un totale di euro 79.551,22; che, quindi, l'indeducibilita' dell'IMU agli effetti del tributo regionale ha finito quindi col gravare per una seconda volta sull'imponibile del consolidato per un importo corrispondente, con conseguente maggior esborso in termini di IRES del medesimo, secondo l'aliquota pro tempore applicabile del 27,5%, rispettivamente, di euro 10.870,61 per il 2014 (corrispondente al 27,5% di euro 39.529,49) e di euro 11.005,97 per il 2015 (corrispondente al 27,5% di euro 40.021,72), per un totale di euro 21.876,58; di ritenere palesemente incostituzionale la predetta indeducibilita' dell'IMU dall'imponibile IRES - discendente, in via diretta, dall'art. 14, comma 1, del decreto legislativo n. 23 del 2011 -, nonche', in via indiretta, dal combinato disposto di tale ultima norma e dell'art. 1 del decreto legislativo n. 446 del 1997 per contrasto con gli artt. 3, 53, 41 e 42 della Costituzione sotto il profilo di violazione del principio di capacita' contributiva, di uguaglianza e ragionevolezza, di libera concorrenza, di liberta' di iniziativa economica e di tutela della proprieta' privata, richiamando la pronuncia della Corte costituzionale n. 262 del 4 dicembre 2020 che ha dichiarato la illegittimita' costituzionale dell'art. 14, comma 1, decreto legislativo n. 23/2011 nella versione vigente per l'anno d'imposta 2012; di aver quindi presentato in data 3-6 maggio 2019 un'istanza di rimborso con la quale e' stata chiesta la restituzione della maggiore IRES di cui sopra versata per i periodi d'imposta 2014 e 2015 e non dovuta, rispettivamente, di euro 197.465,81 per il 2014 e di euro 199.676,21 per il 2015, per complessivi euro 397.142,02, oltre accessori di legge. 1.1.1 Resisteva al ricorso l'Agenzia delle entrate - D.R. del Lazio. 1.1.2 La Commissione Tributaria Provinciale di Roma respingeva il ricorso e compensava le spese del grado osservando come - infondata la prospettata questione di legittimita' costituzionale dell'art. 14, comma 1, decreto legislativo n. 23/2011 - sia «la legge che determina il metodo di calcolo delle imposte, limitando la deducibilita' di costi che, come il caso di specie, hanno subito, nel tempo, diverse variazioni, passando percentuali basse ad altre piu' elevate, ma che valgono sempre e solo per i periodi d'imposta successivi alle emanazione delle rispettive norme». 1.2 Le societa' Unilever Italy Holdings S.r.l. (consolidante), Unilever Italia Manufacturing S.r.l. e Unilever Italia MKT. Operation S.r.l. (consolidate), quindi, hanno impugnato la detta sentenza deducendo, per quanto rilevante in questa fase incidentale, i seguenti motivi: 1) infondatezza e illegittimita' della sentenza impugnata per mancato riconoscimento dell'illegittimita' del rifiuto tacito al rimborso sulla base dei principi affermati dalla Corte costituzionale, da ultimo nella sentenza n. 262 del 2020 emessa in relazione agli stessi fatti di cui e' causa per il periodo d'imposta 2012; 2) sussistenza, in ogni caso, di ragioni di rilevanza e non manifesta infondatezza per promuovere una nuova questione di legittimita' costituzionale. 1.2.1 Resiste anche all'appello l'Agenzia delle entrate - D.R. del Lazio. 1.2.2 Le contribuenti, anche alla luce della sentenza n. 21/2024 della Corte costituzionale, sostengono che la declaratoria di inammissibilita' delle questioni di legittimita' costituzionale affermata in quell'arresto non osti alla loro riproposizione affinche' siano esaminate nel merito con riferimento alla conformita' costituzionale dell'art. 14, comma 1, del decreto legislativo n. 23/2011, nella versione vigente negli anni dal 2014 al 2018, nella parte in cui limita la deducibilita' al 20 per cento dell'IMU pagata sugli immobili strumentali dalla base imponibile dell'IRES e la totale indeducibilita' dell'IMU sui beni strumentali dall'IRAP. 1.2.3 Allo stato non si pone, invece, alcuna questione in relazione alla indeducibilita' dell'IMU sui beni strumentali dall'IRAP in quanto decisa nel merito, rigettandola, con la richiamata sentenza n. 21/2024 della Corte costituzionale. 2. La questione di legittimita' costituzionale qui sollevata 2.1 Con la sentenza n. 21/2024 la Corte costituzionale ha ritenuto le questioni di legittimita' costituzionale sollevate dai giudici di merito inammissibili per difetti contenuti nelle rispettive ordinanze di rimessione; in particolare: a) con riferimento all'ordinanza n. 34/2023 della C.G.T. di I grado di Como, la Corte ha concluso nel senso che «deve essere dichiarata l'inammissibilita' per difetto di motivazione sulla rilevanza delle questioni» (cfr. par. 7.1), in considerazione di un'omessa valutazione da parte del giudice a quo sull'effettiva strumentalita' degli immobili all'attivita' esercitata dal ricorrente; b) con riferimento alle ordinanze di rimessione n. 38/2023 della C.G.T. di I grado di Genova e n. 154/2023 di quella di Torino, che hanno superato il vaglio di ammissibilita' rispetto al tema della rilevanza (conseguente alla prova della strumentalita' degli immobili), la Corte ha ritenuto inammissibile la questione per insufficiente motivazione in relazione al requisito della non manifesta infondatezza della questione in quanto i giudici di merito, nel richiamare nelle rispettive ordinanze di rimessione i principi espressi dalla medesima Corte nella sentenza n. 262/2020, non hanno motivato autonomamente i dubbi di legittimita' costituzionale rispetto alla normativa sopravvenuta, «come se le questioni attinenti alle norme da esse censurate fossero esattamente identiche» (cfr. par. 8). 2.1.1 Alla luce di quanto precede, quindi, appare necessario sollevare una nuova questione di legittimita' costituzionale relativamente al contrasto dell'art. 14, comma 1, del decreto legislativo n. 23/2011 vigente nel 2014 e 2015 con gli artt. 3, 53 e 41 della Costituzione, che tenga conto degli specifici profili di inammissibilita' ravvisati nella sentenza n. 21/2024 e valorizzi - come dalla stessa evocato - le argomentazioni delle succitate ordinanze n. 38/2023 e n. 154/2023. 3. Sulla rilevanza della prospettata questione di legittimita' costituzionale 3.1 In fatto questa Corte rimettente rileva come le societa' appellanti abbiano chiesto il rimborso dell'IRES riferibile all'IMU corrisposta e non dedotta in relazione ai soli immobili strumentali «per natura» (e con esclusione prudenziale di quelli «per destinazione»), la cui strumentalita' e' presunta per legge (cfr. art. 43, comma 2, decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917 e successive modificazioni ed integrazioni, di seguito semplicemente TUIR) ed e' stata provata in giudizio sulla base della produzione delle visure catastali degli immobili cui afferisce il richiesto rimborso (con prospetto che evidenzia l'imposta assolta su ciascun fabbricato) e dalle quali si evince la strumentalita' degli stessi essendo classati catastalmente in categoria D/1 e A/10. 3.1.1 In particolare: e' incontestato in giudizio come l'imposta chiesta a rimborso si riferisca ad immobili strumentali (cfr. al riguardo le quietanze di versamento IMU degli anni 2014 e 2015 di cui ai docc. 5-8 appellante effettuate utilizzando i codici tributo relativi per l'appunto a immobili strumentali per natura); la strumentalita' per natura degli immobili de quibus (desumibile dalla categoria catastale «D» e «A10») si evince dalle visure catastali degli immobili (docc. 10.1, 10.2, 10.3 e 10.4 appellante) con riferimento all'IMU dei quali e' stata formulata l'istanza di rimborso; vi sono in atti (docc. 9.1 e 9.2 appellante) dei prospetti di dettaglio di ogni singolo immobile oggetto dell'istanza di rimborso IMU per cui e' causa con la specificazione del codice tributo degli immobili strumentali, del comune di ubicazione e dei dati catastali (che fungono da raccordo con le visure catastali in atti) e con indicazione degli importi versati a titolo di IMU per ciascun immobile sia in acconto che a saldo. 3.2 In punto di diritto si osserva come - da un lato - la decisione della controversia non possa prescindere dall'applicazione dell'art. 14 del decreto legislativo n. 23/2011 pro tempore vigente, che - per gli anni dal 2014 al 2018, stabilisce la parziale deducibilita' dell'IMU dall'IRES (nella misura del 20 per cento), e cio' in deroga all'art. 99, comma 1 TUIR - e - dall'altro lato - come non appaia percorribile una interpretazione costituzionalmente orientata della norma, tale da escluderne una pronuncia di incostituzionalita', poiche' ogni interpretazione adeguatrice, anche se costituzionalmente orientata, appare preclusa per l'univoco tenore letterale della disposizione il quale si appalesa insuperabile anche per quanto statuito nella giurisprudenza costituzionale (espressa inapplicabilita' della sentenza n. 262/2020, riferentesi a diverso anno d'imposta, per come anche ribadito dalla successiva sentenza n. 21/2024). 3.2.1 Infatti, in quest'ultima sentenza (n. 21/2024 - par. 8.1), il Giudice costituzionale ha ricordato come il precedente di cui alla sentenza n. 262/2020 chiarisse come non sussistessero i presupposti di una estensibilita' «d'ufficio in via consequenziale» della dichiarazione di illegittimita' costituzionale alle annualita' successive al 2012 e che la suddetta sentenza n. 262/2020 non contenesse alcun decisum nel senso della legittimita' costituzionale delle discipline entrate in vigore dopo il 2012: in particolare, esaminando la questione di cui alla sentenza n. 262/2020, la Corte costituzionale non aveva l'obbligo di pronunciarsi sulle normative sopravvenute e diverse da quella impugnata in quello specifico procedimento (cioe' quella vigente nel 2012) stante la mancanza dei requisiti per estendere la pronuncia a periodi diversi dal 2012 rilevato il difetto di "«sostanziale identita' di contenuto» (sentenza n. 131 del 2022), oppure una «stretta connessione» (sentenza n. 113 del 2023), ovvero l'essere «espressiva della stessa logica» (sentenza n. 73 del 2023), nonche' una «identita' dei vizi di legittimita'» (sentenza n. 232 del 1975)". 4. Sulla non manifesta infondatezza della prospettata questione di legittimita' costituzionale 4.1 Per quanto attiene alla non manifesta infondatezza della questione, il Giudice costituzionale (sentenza n. 21/2024 - par. 8.1) ha ricordato - onde non incorrere in nuove pronunce di inammissibilita' - che il Giudice rimettente si confronti sulla diversita' delle formulazioni dell'art. 14, decreto legislativo n. 23/2011 nella versione vigente per i periodi d'imposta qui in discussione (i.e. 2014 e 2015) e quella dichiarata incostituzionale in vigore nel periodo d'imposta 2012. 4.1.1 Queste le due formulazioni dell'art. 14, comma 1, decreto legislativo n. 23/2011: nella versione vigente nel periodo d'imposta 2012: «L'imposta municipale propria e' indeducibile dalle imposte erariali sui redditi e dall'imposta regionale sulle attivita' produttive»; nella versione vigente negli anni d'imposta 2014-2015 per effetto delle modifiche operate dall'art. 1, comma 715, della legge 27 dicembre 2013: «L'imposta municipale propria relativa agli immobili strumentali e' deducibile ai fini della determinazione del reddito di impresa e del reddito derivante dall'esercizio di arti e professioni nella misura del 20 per cento. La medesima imposta e' indeducibile ai fini dell'imposta regionale sulle attivita' produttive». 4.1.2 Tralasciando l'ultimo periodo della norma, relativo all'indeducibilita' ai fini IRAP, dal suddetto confronto traspare come la versione della norma valevole per i periodi d'imposta 2014-2015 si caratterizzi, anziche' per l'integrale indeducibilita' dell'IMU, per una forfettizzazione della deducibilita' prevista nella misura del 20 per cento. 4.2 Occorre dunque chiedersi preliminarmente se la previsione di una tale (in)deducibilita' forfettaria nella misura dell'80 per cento consenta di superare i profili di illegittimita' costituzionale ravvisati con riguardo alla totale indeducibilita' della medesima. Al riguardo, e' fondamentale osservare che la limitazione della deduzione al 20 per cento dell'IMU pagata (misura pro tempore applicabile) e', nel caso di specie, del tutto ingiustificata e arbitraria, e cio' per almeno due ordini di motivi. 4.3 In primo luogo, occorre rilevare che il TUIR conosce invero altre ipotesi di limitazione forfettaria della deducibilita' di taluni costi, ma cio' si verifica con riguardo a costi la cui parziale riferibilita' all'attivita' di impresa ne rendono opinabile l'inerenza (ad es., le spese per i servizi di telefonia, ammesse in deduzione nella misura dell'80 per cento ex art. 102, comma 9, del TUIR; i «costi auto», deducibili nella misura del 20 per cento ex art. 164, comma 1, lettera b), del TUIR). Una limitazione forfettaria della deducibilita' dell'IMU potrebbe ritenersi dunque eventualmente ammissibile e ragionevole se e nei limiti in cui cio' rappresentasse una forfettizzazione dell'ammontare dell'imposta che, afferendo ad immobili ad uso c.d. «promiscuo» (i.e., destinati ad attivita' da cui derivano sia ricavi imponibili che non imponibili), risultasse effettivamente inerente alla produzione del reddito. Tale non e' tuttavia il caso in esame. Difatti, la circostanza che l'art. 14 in commento stabilisca la (parziale) deducibilita' dell'IMU relativa ai soli immobili strumentali gia' assicura il rispetto del nesso di inerenza integrale dell'onere connesso a tale imposta con l'attivita' d'impresa che ne dovrebbe giustificare la (piena) deducibilita', trattandosi per l'appunto di immobili che partecipano al processo produttivo. Inoltre, ammesso pure (ma non concesso per quanto detto) che una qualche forma di forfettizzazione fosse ammissibile, nel caso di specie la previsione sarebbe in ogni caso irragionevole e arbitraria, poiche' e' del tutto oscuro quale sarebbe stato il ragionamento logico e matematico che ha condotto il legislatore a determinare nella percentuale (del tutto irrisoria) del 20 per cento - e non in un diverso ammontare, come pure avvenuto in seguito (vedi infra) - l'ammontare dell'imposta deducibile ai fini della base imponibile IRES. Prova ne sia che la predetta percentuale di deducibilita' e' stata, com'e' noto: a) dapprima incrementata dal 20 al 40 per cento a decorrere dal 1° gennaio 2019 ad opera della legge 31 dicembre 2018, n. 145 (i.e., legge di bilancio 2019); b) successivamente, ulteriormente innalzata al 50 per cento ad opera del decreto-legge 30 aprile 2019, n. 34 (convertito, con modificazioni, dalla legge 28 giugno 2019, n. 58 - di seguito, il «Decreto crescita»), con cui e' stato contestualmente disposto il progressivo aumento della medesima deducibilita' negli anni a venire fino a raggiungere il 100 per cento a decorrere dal periodo d'imposta 2023 (successivamente a sua volta anticipato al 2022 ad opera della legge 27 dicembre 2019, n. 160 - i.e., legge di bilancio 2020). Tutti questi mutamenti normativi sono avvenuti in modo tale da rendere non intellegibile la ratio sottesa alla scelta legislativa, con cio' denotando una irragionevolezza della limitazione della deducibilita' in commento, che e' stata continuamente modificata senza comprendere le ragioni se non le esigenze di gettito fiscale. Esigenze cui, tuttavia, come riportato nella sentenza n. 21/2024, le parti private e gli amici curiae ritenevano che il legislatore debba «rispondere in modo trasparente, aumentando l'aliquota dell'imposta principale» e non «attraverso incoerenti manovre sulla deducibilita', che si risolvono in discriminatori, sommersi e rilevanti incrementi della base imponibile a danno solo di alcuni contribuenti», cosi' come affermato dalla precedente sentenza n. 262/2020. Cio' posto, permangono quindi anche con riguardo alla versione della norma qui in discussione quei medesimi vizi di illegittimita' costituzionale censurati dalla Corte costituzionale, nella sentenza n. 262/2020, che portano a ritenere la questione non manifestamente infondata. In particolare, nell'assunto che «una volta che il legislatore nella sua discrezionalita' abbia identificato il presupposto [dell'IRES] nel possesso del reddito complessivo netto, ... non puo', senza rompere un vincolo di coerenza, rendere indeducibile un costo fiscale chiaramente e interamente inerente»: anche la versione della norma qui in discussione si pone in contrasto con gli artt. 3 e 53 della Costituzione. Difatti, anche l'IMU versata - in relazione a immobili strumentali - nei periodi d'imposta in questione, rappresenta un costo inerente all'attivita' d'impresa che, in virtu' della generale deducibilita' delle imposte dal reddito ex art. 99 TUIR, sarebbe da ritenersi deducibile in assenza dell'illegittima norma di cui e' causa. Ne consegue proprio la rottura di quel vincolo di coerenza rispetto al presupposto impositivo del tributo - individuato dal legislatore stesso proprio nel reddito al netto dei costi di produzione inerenti - che, per espressa affermazione della Corte costituzionale, il legislatore e' tenuto ad osservare. Peraltro, l'ammissibilita' e fondatezza della questione di legittimita' costituzionale dell'art. 14, decreto legislativo n. 23/2011 trova riscontro proprio nell'arresto n. 21/2024, ove la Corte, in relazione al diverso tema della deducibilita' dell'IMU dall'IRAP, ha riconosciuto come «... il principio della necessaria deducibilita' dell'IMU sugli immobili strumentali» sia stato «affermato da questa Corte in relazione all'IRES» (par. 10.2). 4.4 Ed ancora, anche con riguardo alla versione dell'art. 14, decreto legislativo n. 23/2011, nella versione vigente nei periodi d'imposta 2014 e 2015 qui in discussione, si (ripro)pongono le medesime esigenze di salvaguardia del principio di capacita' contributiva stigmatizzate dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 262/2020 con riguardo alla versione della norma in vigore per il 2012. Infatti, al pari della versione vigente per il 2012, anche per effetto della norma in questione la tassazione finisce col gravare su un reddito lordo, anziche' netto, e colpisce una capacita' contributiva meramente figurativa, in quanto il maggior reddito assoggettato a tassazione per effetto dell'indeducibilita' dell'IMU e' di fatto insussistente, in quanto consumato da un costo che, soltanto a livello fiscale, non ottiene riconoscimento: da qui il contrasto con l'art. 53 della Costituzione per la violazione del principio di capacita' contributiva. 4.5 Inoltre, ritenere che l'indeducibilita' dell'IMU, incostituzionale per il 2012, tale non sia anche per le annualita' successive significherebbe che soltanto in relazione alle predette annualita' dovrebbe ritenersi tollerata la penalizzazione di quei contribuenti che abbiano deciso di «investire gli utili nell'acquisto della proprieta' degli immobili strumentali» anziche' prenderli in locazione (da qui il contrasto con l'art. 41 della Costituzione), nonostante tale penalizzazione sia stata reputata inaccettabile dalla Corte costituzionale (sentenza n. 262/2020, e cio' senza alcuna discriminante logica che giustifichi perche' una disparita' di trattamento ritenuta inammissibile per un periodo d'imposta dovrebbe considerarsi giustificata per quelli successivi): da qui il contrasto con l'art. 3 della Costituzione (sotto il profilo del rispetto del principio di uguaglianza formale e di liberta' di iniziativa economica privata). In definitiva, la ravvisata incostituzionalita' dell'art. 14, decreto legislativo n. 23/2011 permane fintanto che persiste la violazione dei principi sopra enunciati per via dell'indeducibilita' (anche parziale) dell'IMU «strumentale» dall'IRES, e dunque appare sussistere anche nella versione della norma in vigore per le annualita' successive al 2012, da cui discende la non manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale prospettata in questo procedimento. 4.5.1 Affermare, infatti, che in relazione al 2012 sia incostituzionale una norma che sancisce l'indeducibilita' dal reddito d'impresa di un costo inerente (IMU), ma che tale incostituzionalita' non valga per le successive annualita', significherebbe riconoscere che il principio di coerenza del legislatore rispetto al presupposto impositivo, nonche' il divieto di assolvere ad esigenze di gettito mediante la modulazione della base imponibile anziche' agendo sulle aliquote (principi affermati nella sentenza n. 262/2020), varrebbero a fasi alterne, solamente per alcuni anni e non per altri, con evidente compromissione della certezza del diritto. 4.6 Cosi' come va a fortiori rilevato come una giustificazione al diverso trattamento valevole per i periodi d'imposta successivi al 2012, rispetto a quest'ultimo, non puo' nemmeno trovare fondamento nel presunto «virtuoso percorso» che il legislatore avrebbe nel tempo intrapreso nell'aumentare progressivamente la deducibilita' dell'IMU. 4.6.1 Ed infatti una tale questione si potrebbe semmai porre - in via meramente ipotetica - solo a partire dal decreto crescita (art. 3, decreto-legge n. 34/2019, convertito dalla legge n. 58/2019), con cui e' stato disposto il progressivo aumento della deducibilita' fino a raggiungere il 100 per cento a decorrere dal periodo d'imposta 2023 (successivamente a sua volta anticipato al 2022 ad opera della legge 27 dicembre 2019, n. 160 - i.e., legge di bilancio 2020), mentre nessun incremento progressivo era previsto nella versione della norma in vigore per le annualita' qui in discussione (e fino al 2018), in cui e' stato fissato in maniera costante in misura pari al 20 per cento. 4.6.2 Al riguardo appare dunque dirimente quanto affermato dal Giudice costituzionale (sentenza n. 262/2020) nel punto in cui ha reputato non giustificata l'integrale indeducibilita' disposta dalla norma pro tempore vigente per via della temporaneita' dell'imposizione, non essendo tale carattere «propriamente riferibile ... alla norma censurata, nella cui struttura l'integrale indeducibilita' e' stata prevista come permanente e solo accidentalmente, per effetto di discrezionali e successivi interventi del legislatore, e' risultata limitata all'anno 2012». 4.6.3 Altrettanto dicasi con riguardo alla norma qui in discussione - di cui si sollecita un nuovo sindacato di costituzionalita' - dal momento che, parimenti, la limitata deducibilita' era originariamente prevista come permanente e solo «accidentalmente», per effetto dei successivi interventi normativi, essa e' stata poi «incrementata». 4.7 Da ultimo, e per completezza di analisi, anche per scongiurare una ulteriore pronuncia di inammissibilita', pare evidente che non possono assumere di certo rilievo asserite esigenze di equilibrio di bilancio tali da limitare la deducibilita' di un costo palesemente e interamente inerente in contrasto con i principi costituzionali sopra richiamati e con il presupposto impositivo dell'IRES cosi' come pure indicato dalla Corte costituzionale. 4.7.1 Cio', invero, oltre che per quanto sopra detto - secondo cui il legislatore e' tenuto a porre rimedio alle esigenze di gettito unicamente operando sull'aliquota e non stravolgendo il presupposto impositivo - soprattutto in considerazione del fatto che e' evidente che il principio costituzionale dell'equilibrio di bilancio rappresenta un principio meramente programmatico, che non pare possa essere validamente invocato a bilanciamento degli ulteriori principi costituzionali. 4.7.2 In definitiva, giustificare la violazione di principi costituzionali (uguaglianza, ragionevolezza e capacita' contributiva) sulla base di un diverso principio (equilibrio di bilancio) non assolverebbe al pur legittimo bilanciamento di plurimi interessi costituzionali, ma significherebbe, di contro, attribuire al principio dell'equilibrio del bilancio una totale e assoluta supremazia rispetto agli ulteriori precetti costituzionali violati, la cui affermazione risulterebbe priva di ogni effettivita', poiche' destinati sempre a recedere di fronte a quest'ultimo. Ma e' evidente che cosi' non puo' essere, anche perche' l'equilibrio (programmatico) del bilancio puo' essere assicurato anche in caso di pronuncia di incostituzionalita' mediante i «meccanismi di correzione» di cui alla legge n. 243/2012. 5. Conclusioni 5.1 Per tutti i motivi sopra richiamati - ritenuta rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale illustrata in parte motiva e constatata l'impossibilita' di un'interpretazione costituzionalmente orientata dell'art. 14, comma 1, del decreto legislativo n. 23/2011, nella versione vigente nel 2014 e 2015 (per effetto delle modifiche operate dall'art. 1, comma 715, della legge 27 dicembre 2013) - questa Corte solleva la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 14, comma 1, del decreto legislativo n. 23/2011, nella versione vigente nel 2014 e 2015 (per effetto delle modifiche operate dall'art. 1, comma 715, della legge 27 dicembre 2013), per violazione degli artt. 3, 53 e 41 della Costituzione. 5.2 Ai sensi dell'art. 23, comma 2, della legge 11 marzo 1953, n. 87, il presente giudizio e' sospeso fino alla definizione dell'incidente di costituzionalita'. 5.3 Ai sensi dell'art. 23, commi 4 e 5, della legge 11 marzo 1953, n. 87, la presente ordinanza sara' comunicata alle parti costituite, notificata al Presidente del Consiglio dei ministri nonche' comunicata al Presidente del Senato della Repubblica e al Presidente della Camera dei deputati. 5.4 Ogni ulteriore statuizione in rito, nel merito ed in ordine alle spese resta riservata alla decisione definitiva.