TRIBUNALE DI SORVEGLIANZA DI BOLOGNA L'anno 2024 giorno 9 del mese di aprile in Bologna si e' riunito in Camera di Consiglio nelle persone dei componenti: dott.ssa Venturini Maria Letizia, Presidente; dott. Romano Ezio, giudice relatore; dott.ssa Forgione Margherita, esperta; dott.ssa Sozzi Anna, esperta; con la partecipazione della dott.ssa Starita Adele Sost. procuratore generale presso la Corte di Appello di Bologna per deliberare sul procedimento relativo alle domande di: detenzione domiciliare speciale, art. 47-quinquies O.P.; affidamento in prova al servizio sociale, art. 47 O.P.; semiliberta', art. 50 O.P.; Presentate da C M nato a il , detenuto presso la Casa circondariale di Ferrara in espiazione della pena di cui al cumulo SIEP n. 2023/187 emesso dalla Procura di Pordenone, pari ad anni 4, mesi 7 e giorni 12 di reclusione; decorrenza pena 10 settembre 2023; fine pena 21 agosto 2028. Osserva Il presente procedimento origina dalla richiesta di C M. volta ad ottenere le misure della semiliberta' o dell'affidamento in prova al servizio sociale in relazione alla pena di cui alla sentenza n. 3391/2019 emessa dalla Corte d'Appello di Bologna, pari a mesi 7 e giorni 15 di reclusione per il delitto di cui all'art. 640, 81, c. 2 codice penale commesso in nell'anno a fronte dell'emissione da parte della Procura generale della Repubblica di Bologna di ordine di carcerazione e decreto di sospensione. Successivamente, tuttavia, interveniva l'attuale titolo in espiazione e, dunque, era disposta la carcerazione del C. , associato all'istituto estense dal 10 settembre 2023. A fronte dell'esecuzione inframuraria della pena, con atto del 25 ottobre 2023 il difensore di fiducia del C ha avanzato in via provvisoria ed urgente ulteriore istanza di ammissione del proprio assistito alla misura della detenzione domiciliare speciale di cui all'art. 47-quinquies legge n. 354/1975 (d'ora innanzi anche O.P.), ai sensi della sentenza della Corte costituzionale n. 30/2022, ovvero anche la concessione del beneficio di cui all'art. 21-bis O.P. A sostegno, il difensore evidenziava che C e' padre di figli minorenni, che la madre ha abbandonato da tempo il nucleo familiare, che allo stato egli e' l'unica persona in grado di occuparsi dei figli, avendone ottenuto l'affido da parte del Tribunale per i Minorenni. L'istanza, e' stata rigettata per carenza di fumus dal Magistrato di sorveglianza di Bologna, sulla base della considerazione per cui l'art. 47-quinquies, comma 7 O.P., consente la concessione della detenzione domiciliare al padre di prole di eta' inferiore ad anni dieci o affetta da disabilita' solo laddove la madre risulti «deceduta o impossibilitata e non vi e' modo di affidare la prole ad altri che al padre». Nel caso di specie, infatti, i figli di C sono assistiti dalla sorella maggiore, che, al netto delle difficolta' nella gestione di piu' bambini, costituisce unitamente ai compagno un nucleo familiare idoneo e capace di prendersi cura dei figli del detenuto, come indicato anche dai servizi sociali. In via preliminare, il Tribunale di sorveglianza evidenzia che le originarie domande di semiliberta' ed affidamento in prova al servizio sociale risultano allo stato inammissibili. La domanda ex art. 47 O.P. risulta non passibile di vaglio nel merito in relazione all'attuale fine pena, ampiamente superiore agli anni quattro di espiazione residua. Quanto alla semiliberta', C non ha maturato la soglia di meta' della pena, rendendo parimenti tale domanda non valutabile dal Collegio. Parimenti non valutabile, sebbene proposta in sede di provvisoria, e' la domanda di cui all'art. 21-bis O.P., trattandosi di istituto modellato sull'art. 21 O.P. e, dunque, l'iniziativa circa l'ammissione al beneficio e' di competenza dell'Amministrazione penitenziaria. L'unica domanda astrattamente ammissibile, dunque, risulta essere quella avanzata ai sensi dell'art. 47-quinquies O.P., da intendersi ai sensi del comma 1-bis. Cio' premesso si osserva l'art. 47-quinquies O.P. disciplina una ipotesi di detenzione domiciliare che, in deroga ai limiti ordinari stabiliti dall'art. 47-ter O.P., puo' essere concessa dal Tribunale di sorveglianza alla madre di prole di eta' inferiore agli anni dieci con la stessa convivente, espiato un terzo della pena o almeno quindici anni per la persona condannata all'ergastolo, laddove sia possibile ripristinare la convivenza con i minori ed il giudice non rilevi un concreto pericolo di commissione di ulteriori delitti, in modo dai consentire alla madre di provvedere alla cura e all'assistenza dei figli. Laddove non sussista in concreto il pericolo di reiterazione di condotte delittuose o di fuga, inoltre, ai sensi del comma 1-bis della norma in esame, il Tribunale di sorveglianza puo' derogare ai limiti di pena indicati al comma 1, consentendo alla persona di espiare il terzo della sanzione o i quindici anni, per la condannata alla pena dell'ergastolo, in un domicilio protetto ovvero anche al proprio domicilio. Il comma settimo dell'articolo 47-quinquies, poi, stabilisce che la detenzione domiciliare speciale possa essere concessa, alle stesse condizioni della madre; al padre detenuto solo laddove la madre sia deceduta o impossibilitata e non vi e' modo di affidare la prole ad altri che al padre. La norma e' stata oggetto in epoca recente di diversi interventi della Corte costituzionale che ne hanno ampliato la portata, anzitutto stabilendo l'applicabilita' della disciplina de quo anche laddove il figlio, a prescindere dall'eta', sia affetto da handicap in condizioni di gravita' ai Sensi dell'art. 3, c. 3, legge n. 104/1992 (Sentenza della Corte costituzionale n. 18/2020), nonche' la possibilita' che la misura venga concessa in via provvisoria dal Magistrato di sorveglianza, laddove sussista un grave pregiudizio per il minore derivante dalla protrazione dello stato detentivo dei genitore (Sentenza della Corte costituzionale n. 30/2022). In tutte le pronunce citate, la Corte ha evidenziato come questa norma debba intendersi costituzionalmente sorretta dalla prioritaria necessita' di assicurare la tutela della prole bisognosa di assistenza genitoriale, precipitato dell'art. 31, c. 2 Costituzione, anche in consonanza con gli obiettivi internazionali di tutela del minore e del fanciullo, e realizzi tale scopo consentendo, a tassative e stringenti condizioni, di derogare ai limiti della detenzione domiciliare ordinaria. Dalla lettura della norma, tuttavia, emerge chiaramente, come alle suddette esigenze l'ordinamento dia una differente risposta laddove il richiedente sia la madre ovvero il padre. Mentre per valutare l'accesso alla misura della figura genitoriale femminile il Tribunale di sorveglianza si limitera' a compiere un vaglio sulla possibilita' di ripristinare la convivenza con la prole e sull'assenza in concreto del rischio di reiterazione di condotte di reato, per accogliere analoga richiesta del padre dovra' valutarsi altresi' se la madre sia morta (impedimento assoluto) o impossibilitata (impedimento relativo) e se la cura della prole non possa essere garantita da altri soggetti diversi dal genitore. Sul punto, peraltro, il diritto vivente e' particolarmente stringente. Sebbene la riflessione giurisprudenziale sulla norma si sia polarizzata in massima parte nella individuazione di una nozione piu' chiara di cosa debba intendersi per impossibilita' della madre, in particolare laddove la stessa presti attivita' lavorativa; tale condizione e' stata individuata in quella che - per l'emersione di oggettivi fattori impeditivi inerenti alla sfera di azione della medesima - determina il rischio concreto per la prole di un grave deficit assistenziale e di un'irreversibile compromissione del suo processo evolutivo ed educativo (cosi' Cass. Sez. 1, Sentenza n. 4796 del 10 dicembre 2020 Cc. (dep. 8 febbraio 2021) R.v 280789 - 01 (1) . La stessa Corte di legittimita', tuttavia, evidenzia le differenze strutturali tra l'art. 275, c. 4 del codice di procedura penale e l'art. 47-quinquies O.P., laddove la prima norma richiede che l'impossibilita' della madre sia assoluta e non reca l'ulteriore inciso per cui il Tribunale di sorveglianza deve escludere che «vi sia modo di affidare la prole ad altri che al padre» ed arresta la propria analisi alla mera sussistenza del requisito dell'impedimento della madre, senza approfondire in che termini debba intendersi il riferimento ai terzi. Cio' posto, il Tribunale di sorveglianza deve rilevare che la situazione dedotta dal C ed accertata nel corso dell'istruttoria, alla luce dell'attuale assetto normativa e giurisprudenziale, non consente l'accoglimento dell'istanza di detenzione domiciliare speciale. Sebbene la difesa abbia cercato di sostenere l'assoluto impedimento e financo l'incapacita' della madre a svolgere il ruolo di cura, dall'ordinanza del Tribunale per i Minorenni che ha concesso il collocamento dei minori presso il C. risulta che entrambi i genitori sono stati ritenuti idonei alla funzione genitoriale ed adeguati rispetto alle esigenze di vita ed affettive dei minori. Dunque la donna, secondo il calendario dei servizi, ha diritto di vedere i figli e mantenere un rapporto con gli stessi, seppur non continuativo. D'altro canto, si e' potuto appurare che la famiglia di C risultava costituita, gia' prima della carcerazione, oltre che dal detenuto ed i due figli minori, anche dalla figlia di primo letto dell'istante, C L , e dal compagno della giovane. I minori, dunque, sono rimasti in ambito familiare e stanno mantenendo le relazioni che caratterizzavano la loro vita gia' da prima della carcerazione dei padre; chiaramente, saranno esposti ad una sofferenza legata alla sua assenza, ma non pare al Collegio che tale condizione nella sua materialita' determini un grave deficit di tutela e cura per i figli del detenuto. Il nucleo familiare, pur in assenza del C , e' stato ritenuto dai servizi minorili capace di garantire idonea cura ed assistenza ai figli minori dell'istante, sicche' pur a fronte della non ,continuita' dei rapporto con la madre e', dunque, chiaramente «possibile affidare la prole ad altri che al padre». Milita in questo senso l'indicazione dei Servizi minorili, che, pur caldeggiando la ricostituzione del rapporto padre-figli ove possibile, indicano che i minori si recano a far visita al padre in istituto, e «vivono comunque in una situazione serena presso la famiglia della sorella». Anche se l'impegno della giovane donna viene descritto come gravoso, lo stesso non risulta tale da determinare una condizione di deficit di cura e di assistenza che consente l'ammissione alla misura richiesta. Ne' puo' accogliersi la tesi della difesa secondo cui, nella valutazione dell'assoluto impedimento della madre il supporto offerto da altri parenti e/o servizi non possa intendersi quale integralmente sostitutivo della presenza materna, ma debba essere inteso in senso meramente complementare alla cura offerta dalla madre. La giurisprudenza citata dal difensore, infatti, si e' espressa, per l'appunto, sull'art. 275, c. 4 del codice di procedura penale, che non contiene l'ulteriore locuzione «e non vi e' modo di affidare la prole ad altri che al padre». Se, dunque, nell'ermeneutica dell'art. 275 codice penale, in assenza di un espresso riferimento restrittivo, appare ragionevole non introdurre ulteriori requisiti quali l'assistenza sostitutiva offerta da terzi soggetti, ad analoga conclusione non puo' pervenirsi rispetto alla norma in esame. Quest'ultima, infatti, si esprime in termini differenti e adotta un linguaggio che fa riferimento non gia' alla mera possibilita' di cura integrativa dei terzi, ma al concetto di affidamento dei minori ad altri soggetti al di fuori del padre. La locuzione utilizzata dal legislatore, anche nella sua valenza tecnica, dunque, esprime una netta indicazione, a parere del Collegio, nel senso della volonta' di attribuire al terzo un ruolo di cura anche sostitutivo della madre, che rende il padre l'extrema ratio normativa. Il giudizio, in applicazione dell'attuale formulazione dell'art. 47-quinquies, c. 7 O.P., dovrebbe dunque concludersi con un rigetto dell'istanza, gia' su questi profili parzialmente preliminari. Tuttavia, Tribunale di sorveglianza non puo' non rilevare dubbi circa la compatibilita' costituzionale della disposizione di cui all'art. 47-quinquies, c. 7 O.P. nella parte in cui la norma, sotto un duplice profilo, opera una radicale discriminazione tra la madre ed il padre nell'accesso alla misura in esame. Cio' tanto in generale, stabilendo una differenziazione tra i ruoli genitoriali che non appare ragionevole alla luce delle evoluzioni sociali che hanno interessato l'ambito familiare, della letteratura scientifica in materia e del corretto bilanciamento tra le esigenze costituzionali in gioco; quanto, in via gradata, se confrontata con analoga disposizione prevista dall'art. 47-ter, c. 1, lett. b) O.P. e con quanto previsto in altre disposizioni dell'ordinamento (tra cui il gia' citato art. 275, c. 4 codice di procedura penale) in cui e' il legislatore ha operato differenti scelte in tema di bilanciamento tra le esigenze del processo penale ed assistenza alla prole in tenera eta'. I profili costituzionali che, a parere del Collegio, sarebbero violati, a vario livello, dalla norma in esame sono, anzitutto l'art. 3, c. 2 e gli artt. 29, 30 e 31 della Carta fondamentale, nonche' l'art. 117 quale parametro interposto rispetto agli artt. 14 CEDU, espressivo in ambito convenzionale del principio di non discriminazione, in relazione all'art. 8 CEDU, che stabilisce tutela della vita privata e familiare. I dubbi di costituzionalita' su brevemente esposti sono duplici e, come anticipato, da intendersi in via gradata. Pertanto, ai fini di una maggiore chiarezza espositiva, appare opportuno condurre una analisi separata degli stessi. Un primo profilo di incostituzionalita' della disciplina. in esame si ritiene sussistente in ragione della scelta legislativa di operare a monte una differenziazione tra te due figure genitoriali, padre e madre, nella cura del minore (o del figlio affetto da handicap) stabilendo una cornice normativa evidentemente piu' favorevole per le detenute di sesso femminile rispetto ai detenuti di sesso maschile, in cui l'elemento discretivo e' dato esclusivamente dal genere del genitore. Tale scelta, per i motivi di cui si dira' appresso, si traduce in urta discriminazione della cui ragionevolezza e' lecito dubitare, specialmente in relazione alla norma in esame, in cui l'interesse costituzionale prevalente non e' tanto quello della tutela della maternita', bensi' quello di garantire assistenza al soggetto bisognoso di cura in modo da non pregiudicarne lo sviluppo psico-affettivo. E' chiaro che tale opzione normativa poggi su dei dati empirici e tradizioni culturali che assegnano alla donna, ed in particolare alla madre, un generale e prioritario lavoro di cura a tutela dei soggetti deboli, tra cui in primis i figli; ma tale impostazione risulta a parere del Collegio non adeguatamente giustificabile rispetto al prioritario interesse costituzionale sotteso alla norma in esame, ne' attuale rispetto ai mutamenti sociali che hanno interessato l'ambito familiare. Per meglio comprendere quanto qui asserito, appare utile ripercorrere, per sommi capi, l'evoluzione normativa del fenomeno detentivo femminile e di quello inerente il rapporto tra le esigenze di cura della prole e la carcerazione dei genitori, in cui la giurisprudenza costituzionale ha avuto un ruolo tutt'altro che secondario. In origine, infatti, il tema della detenzione femminile e del bilanciamento tra gli interessi sottesi al fenomeno - pretesa punitiva dello Stato ed esigenze di tutela della collettivita' da un lato, tutela della maternita', dell'infanzia e del corretto sviluppo dei minori dall'altro - era stato affrontata dal legislatore nell'ambito della detenzione domiciliare di cui all'art. 47-ter, c. 1 O.P., stabilendo che la detenuta che dovesse espiare una pena inferiore ai quattro anni potesse essere ammessa alla misura detentiva domiciliare laddove fosse «donna incinta o che allatta la propria prole ovvero madre di prole di eta' inferiore a tre anni con la stessa convivente» (primigenia formulazione dell'art. 47-ter, c. 1 O.P. introdotta con legge 16 ottobre 1986, n. 663). La norma, per converso, non conteneva alcun riferimento al padre sicche' fu compito della Consulta aprire uno spiraglio per la figura genitoriale maschile, con la Sentenza n. 215/1990. La pronuncia di incostituzionalita' fu costruita dalla Consulta in quella sede ai sensi degli artt. 3, 29, 30 e 31, c. 2, quale corollario dei principi di eguaglianza morale e giuridica dei coniugi e di tutela dell'infanzia, evidenziando come la scelta legislativa fosse irragionevole nel non riconoscere alcuno spazio alla figura maschile. A sostegno, la Corte richiamo' gli arresti della propria giurisprudenza in materia di estensione al padre di alcune norme previdenziali in origine pensate a tutela della sola maternita', ma che la Corte aveva riconosciuto carenti rispetto alle esigenze di tutela dello sviluppo psico-affettivo del minore (2) nella parte in cui non riconoscevano al padre quantomeno un ruolo di supplenza nella cura dei figli (3) . La Corte costituzionale, evidenziando l'omogeneita' degli interessi costituzionali in gioco, ed in particolare sottolineando come in entrambi i settori, oltre al generico rispetto del principio di uguaglianza sostanziale tra i coniugi, venisse in rilievo primario anche hi tutela della prole, concluse dichiarando la norma illegittima nella parte in cui non prevedeva che la detenzione domiciliare potesse essere concessa, nelle stesse condizioni previste per la madre, anche al padre detenuto, «qualora la madre fosse deceduta o altrimenti assolutamente impossibilitata a dare assistenza alla prole» (Corte costituzione Sentenza n. 215/1990). E', dunque, sul terreno della normativa giuslavoristica e previdenziale degli anni '70 tesa alla tutela della donna lavoratrice che si rinviene la matrice originaria della locuzione normativa che da' rilievo, seppur ancillare, alla figura genitoriale maschile; locuzione poi transitata, attraverso il ponte costruito dalla giurisprudenza costituzionale, in materia di esecuzione penale, fatta propria dal legislatore e riprodotta in analoghe disposizioni in materia. La successiva evoluzione normativa ha visto, poi, una modifica sostanziale della disciplina di settore, in massima parte sospinta dalla volonta' legislativa di dare maggiore tutela al fenomeno della maternita', evitando l'ingresso in carcere dei minori al seguito delle madri. Un primo intervento organico si e' avuto con legge n. 40/2001, ispirato dalla ratio di incentivare forme di esecuzione penale esterna a favore delle detenute incinte o alle madri nei primissimi anni di vita del minore, in cui il rapporto con la figura femminile (anche per esigenze biologiche) e' stato dal legislatore ritenuto primario. La legge citata, anzitutto, ha introdotto nel codice penale nuove ipotesi di differimento della pena agli arti. 146 e 147 del codice penale, a tutela della donna incinta (art. 146, n. 1 del codice penale), della madre di prole di eta' inferiore agli anni uno (ad. 146, n. 2 del codice penale), nonche' della madre di prole di eta' inferiore agli anni tre (art. 147, n. 3 del codice penale). Tali norme tutelano in maniera diretta la maternita' ed il puerperio, assicurando l'obiettivo di evitare l'ingresso delta madre e del minore in carcere, giungendo sino a differire l'esecuzione della pena o a consentirne l'espiazione, ai sensi dell'art. 47-ter, c. 1-ter O.P., nelle forme della detenzione domiciliare surrogatoria. La novella normativa del 2001, inoltre, e' particolarmente importante ai fini della presente analisi in quanto ha introdotto l'art. 47-quinquies O.P., con l'obiettivo dichiarato di consentire anche al di fuori dei limiti di cui all'art. 47-ter, c. 1 O.P. l'accesso a misura domiciliare, in un'ottica di rafforzamento della tutela garantita alle esigenze costituzionali di tutela della prole sottese alla disciplina in esame. Il punto di bilanciamento tra tali esigenze e quelle di sicurezza pubblica e' stato individuato dal legislatore del 2001 nell'assenza del rischio di commissione di ulteriori delitti da parte della madre e .nella fissazione, in assenza di rigidi limiti di pena, di una quota di espiazione minima della stessa; pari ad un terzo della pena temporanea ovvero quindici anni per le detenute condannate all'ergastolo. Da ultimo, sempre la legge n. 40/2001, a completamento degli obiettivi di tutela assunti dal legislatore, ha introdotto l'art. 21-bis O.P., che consente alle detenute madri di proludi eta' non superiore agli anni dieci di poter garantire cura ed assistenza ai minori, secondo le modalita' di cui all'art. 21 O.P. Il legislatore, in quella sede, stabili' sia per l'art. 47-quinquies O.P. sia per l'art. 21-bis O.P., che le misure ivi previste potessero essere concesse anche al padre laddove la madre risulti «deceduta o impossibilitata e non vi e' modo di affidare la prole ad altri che al padre». Parallelamente, la detenzione domiciliare ordinaria di cui all'art. 47-ter, c. 1 O.P. e' stata in massima parte ridisegnata quale misura prevalentemente tesa alla tutela non tanto della madre, quanto piuttosto del minore, soggetto debole ed estraneo al processo penale, ma che rischia di subire dalla vicenda giudiziaria del genitore gravose conseguenze sul proprio sviluppo psico-affettivo, venendo .deprivato delle cure necessarie. Anzitutto e' scomparso il riferimento all'allattamento; e' stata innalzata l'eta' da tre a dieci anni della prole convivente; e' stata inserita, alla lettera b) una speciale ipotesi (precipitato della sentenza 250/1990 della Consulta) che consente l'accesso alla misura anche al padre laddove la madre sia «deceduta o assolutamente impossibilitata». La modifica della norma in esame da disciplina volta alla tutela della maternita' in senso stretto a norma prioritariamente tesa alla tutela del minore-soggetto richiedente cura e' stata, peraltro, riconosciuta dalla stessa Corte costituzionale, con sentenza 350/2003. Con la citata sentenza, infatti, la Consulta ha esteso l'applicabilita' della detenzione anche laddove il figlio cui occorre apprestare cura sia maggiore di anni dieci ma affetto da handicap in condizioni di gravita' ai sensi dell'art. 3, c. 3, legge n. 104/1992, proprio sul presupposto dell'omogeneita' delle situazioni sostanziali che caratterizzano il minore di anni dieci ed il gravemente disabile sotto il profilo della necessita' di cura (4) . Ulteriore sviluppo della normativa lato sensu dedicata alla tutela della maternita' e dei minori nell'ambito della vicenda penale in rapporto alla carcerazione del genitore si e' avuto con legge n. 62/2011, con cui il Parlamento e' intervenuto tanto in materia cautelare quanto in materia di esecuzione pena. All'art. 47-quinquies O.P. e' stato inserito il comma 1-bis a mente del quale, laddove non sussista il rischio concreto di commissione di ulteriori delitti o pericolo di fuga, le quote pena indicate al comma 1 possono essere espiate dalla madre (e, dunque, anche dal padre) in strutture protette o anche al domicilio, di fatto rendendo operativa la norma de qua anche prima che maturino le soglie di ammissibilita' stabilite dal comma precedente. Lo stesso intervento normativo, poi, ha introdotto gli artt. 21-ter O.P. (5) , 275 c. 4 (6) e 285-bis del codice di procedura penale (7) ; tutte norme in cui si e' complessivamente stabilito di dare primario rilievo alla tutela dei soggetti bisognosi di cura (minori-figli affetti da handicap) rispetto ad esigenze special-preventive e cautelari, salvo che le stesse non risultino particolarmente intense. Per quanto di interesse, tutte le norme da ultimo indicate trovano primaria applicazione nei confronti della madre, mentre sono estese al padre «qualora la madre sia deceduta o assolutamente impossibilitata a dare assistenza alla prole». Dalla disamina sin qui condotta e' possibile trarre alcune linee guida per l'inquadramento delle scelte normative che hanno determinato l'attuale assetto del rapporto tra fenomeno detentivo e cura della prole e, dunque, vagliarne l'attuale compatibilita' con il dettato costituzionale sotto il profilo della intrinseca ragionevolezza. In generale, l'intera disciplina attribuisce tutela in via prioritaria al ruolo genitoriale della madre-donna ed assegna al padre una funzione subalterna e sussidiaria. L'origine di tale opzione normativa si colloca negli anni '70, quale scelta previdenziale sorretta dal primario obiettivo garantire tutela della maternita' della donna lavoratrice. Successivamente, gia' il legislatore del 1971 ha avvertito la necessita' di distinguere quelle norme esclusivamente dettate a favore delta madre in quanto incinta-partoriente-puerpera (appannaggio delle sole donne per evidente infungibilita' biologica del ruolo gestazionale) da quelle che, viceversa, avevano una funzione piu' marcatamente orientata a tutelare l'esigenza di esercizio della genitorialita' quale attivita' di cura ed educazione della prole nell'interesse di quest'ultima. In questo secondo ambito di norme, dunque, e' emersa l'opportunita' di riconoscere un molo attivo alla figura genitoriale di sesso maschile, quale soggetto compartecipe delle funzioni e dei doveri discendenti dalla responsabilita' genitoriale. Tuttavia, con un occhio sulla societa' italiana degli anni '70, ed in un contesto di fatto in cui il lavoro di cura era culturalmente prerogativa della madre-donna, il legislatore ha scelto di non realizzare una esatta parificazione tra i due sessi, attribuendo al padre un ruolo di mera supplenza rispetto alla madre. Cosi' come formatasi nell'ambito settoriale di pertinenza, l'opzione normativa della non esatta parificazione e' transitata per mano della Consulta in ambito penale, venendo sostanzialmente reiterata senza particolari innovazioni sino ad oggi. Il Tribunale di sorveglianza ritiene che proprio il mancato adeguamento della scelta di fondo alle evoluzioni della societa' e del fenomeno familiare sia indice della inattualita' dell'opzione normativa, al punto da metterne in discussione l'intrinseca ragionevolezza, soprattutto se riferita a misura quale la detenzione domiciliare speciale in cui l'esigenza primaria non e' tanto quella di tutelare la maternita' stricto sensu intesa, ma piuttosto quella di garantire la cura della prole in condizioni di sviluppo/fragilita' rispetto a situazioni in cui, nel merito, il genitore non esprima alcuna pericolosita' sociale. In tale contesto, una differenziazione nell'accesso alla misura fondata esclusivamente sul sesso del genitore e, dunque, slegata da qualsiasi valutazione in ordine alla capacita' dello stesso di adempiere al ruolo di cura, non appare giustificabile. Circa la ritenuta omogeneita' e fungibilita' del ruolo genitoriale del padre e della madre all'interno delta famiglia, giova evidenziare che da tempo la letteratura scientifica ha messo in discussione l'assunto per cui le funzioni dei genitori siano biologicamente determinate in ragione del genere del soggetto accudente (o caregiver). Se e' pur vero, infatti, che nella maggior parte delle societa' umane in genere e' una donna - ma non sempre la madre biologica - o un gruppo di donne ad occuparsi dei bambini, si' sono registrate anche opzioni sociali differenti, in cui il ruolo di cura della prole (parenting) e' o affidato direttamente al padre (raramente) o modellato su una cooperazione tra i genitori, fino a forme di intercambiabilita' diffusa tra le figure genitoriali, eventualmente anche a prescindere dal rapporto di filiazione (8) . Sebbene non possa negarsi che la madre puo' avere, quantomeno in una fase iniziale dello sviluppo del bambino, un ruolo di cura primario, legato prevalentemente all'allattamento al seno, successivamente le differenze nel rapporto di interazione tra le figure genitoriali e la prole risultano piu' propriamente condizionate da condizioni ecologiche (da intendersi quale ecologia sociale) e da costrutti sociali-ambientali, piuttosto che dal sesso del genitore. Ed anche sull'allattamento al seno, in verita', possono ben verificarsi condizioni per cui la madre biologica non sia in grado di provvedervi: non e' prassi estranea alla cultura occidentale quella delle balie o, in epoca piu' recente, quella della somministrazione di latte artificiale; situazioni che dimostrano come l'idea culturale della infungibilita' del ruolo Materno non possa essere intesa in termini cosi' assoluti. Si e' cosi' osservato che nelle societa' in cui gli uomini sono molto partecipi alla gestione pratica della famiglia e all'educazione dei figli, accresce il livello di intercambiabilita' tra i genitori nel parenting, evidenziandosi come la peculiarita' della specie umana, rispetto agli altri mammiferi ed agli altri primati-ominidi, e' proprio la «assoluta plasticita' delle relazioni, che possono persino prescindere dal genere del genitore (come avviene nelle coppie omosessuali) o dal legame biologico dei figli (come avviene nei genitori adottivi e affidatari)» (9) . D'altro canto, gli studi piu' recenti hanno evidenziato come l'ambiente piu' confacente all'armonico sviluppo della personalita' del minore e' quello in cui si realizza il cosiddetto coparenting, vale a dire la cooperazione tra i ruoli genitoriali fondata sulla intercambiabilita' e' condivisione del ruolo di cura, piuttosto che su una rigida separazione di funzioni fondata sul genere. Ambiente la cui costruzione passa necessariamente attraverso l'attivo coinvolgimento dei padri nella funzione di accadimento ed il superamento della tradizionale attribuzione di compiti statici ancorati al sesso (10) . Il riconoscimento dell'incidenza positiva del coparenting e dell'assunzione di un ruolo di cura attivo condiviso da entrambe le figure genitoriali sull'armonico sviluppo psico-affettivo del minore (o del soggetto bisognoso di cura), lungi dall'esaurirsi nell'ambito delle scienze sociali, ha anche trovato consacrazione in fonti normative, ponendoli alla base di importanti statuizioni di principio che hanno riconosciuto un generale diritto del minore alla c.d. bigenitorialita', quale corollario del dovere di entrambi i genitori di garantire cura ed educazione alla prole. Si considerino, in ambito sovranazionale, le diverse disposizioni stabilite nella Convenzione sui diritti del Fanciullo fatta a New York il 20 novembre 1989 (ratificata dall'Italia con legge del 27 maggio 1991, n. 176) (11) , nonche', in ambito nazionale, le norme in materia di diritto di famiglia (12) , in cui e' chiaramente espresso il principio per cui le autorita' statali, ed il giudice, devono assicurare soluzioni normative e decisioni che, laddove non sussistano esigenze superiori, consentano di mantenere il rapporto tra la prole ed entrambi i genitori. Cio' che si ritiene rilevante evidenziare e' come gli atti normativi citati facciano riferimento alla necessita' del mantenimento del rapporto tra il fanciullo-minore ed entrambe le figure del genitore-caregiver, senza distinzioni o gradazioni legate al sesso. Transitando dal terreno delle scienze sociali sul piano piu' propriamente assiologico, il Tribunale di sorveglianza osserva poi che in tema di differenziazione del trattamento normativo in base al sesso, importanti statuizioni di principio possono trarsi non solo nell'ormai consolidata giurisprudenza della Corte costituzionale sull'art. 3, c. 2 Costituzione (13) , ma anche in quella emersa in seno alla Corte di Strasburgo rispetto all'art. 14 della CEDU, a sua volta espressivo del principio di uguaglianza sostanziale, letto in relazione all'art. 8 CEDU. La Corte EDU, infatti, partendo dall'assunto che la parita' di genere rappresenta uno degli obiettivi primari all'interno del Consiglio d'Europa, in numerose pronunce ha ritenuto che per poter giustificare una differenziazione di trattamento normativo sulla base del sesso dei soggetti destinatari, i riferimenti alle tradizioni, ad assunti generali o ad attitudini sociali prevalenti in un dato paese non siano sufficienti (cosi' con giurisprudenza costante dal caso Konstantin Markin v. Russia GC, 2012, § 127), ma che le differenziazioni sulla base de sesso debbano essere sorrette da ragioni particolarmente pregnanti (14) . Si tratta di una copiosa giurisprudenza, tra cui si ritiene di dover citare, per esempio, la Sentenza Beeler v. Switzerland (GC, 2022, § 113), in cui la Corte ha ritenuto che la legislazione svizzera sull'accesso alla pensione di reversibilita', che stabiliva una differenziazione tra uomini e donne, non fosse conforme all'art. 14 CEDU, in relazione all'art. 8 CEDU in quanto iterativa di pregiudizi e stereotipi riguardanti la natura ed il ruolo della donna all'interno della societa' e fosse svantaggiosa e svilente tanto del lavoro femminile quanto della vita familiare degli uomini. Ancora, recentissimamente, con sentenza del 19 marzo 2024 resa nel caso B. v Russia, la Corte ha dato ulteriore applicazione dei principi enunciati dalla Grande Camera in Konstantin Markin v. Russia, ribadendo che la differenziazione di genere in materia di congedo parentale tra uomini e donne non sia adeguatamente giustificabile in ragione del mero sesso del genitore, reiterando stereotipi sui ruoli in ambito familiare che non trovano sufficiente ragionevolezza. Il caso appare interessante, pur con gli adattamenti del caso, in quanto nella sentenza da ultimo citata la legislazione russa in materia di congedo parentale previsto per il personale di polizia e' stata giudicata contraria agli artt. 14-8 CEDU nella parte in cui prevede che il congedo parentale sia fruibile dalla madre incondizionatamente, laddove, a contrario, lo stesso puo' essere riconosciuto al padre solo laddove la madre sia impossibilitata a fornire assistenza alla prole (15) . La Corte, inoltre, in un paragrafo particolarmente pregnante ai fini della questione in discussione (§ 38), ribadisce che il congedo parentale rappresenta un istituto distinto rispetto a quelli volti alla cura della maternita' in senso stretto, essendo primariamente diretto a garantire assistenza alla prole in eta' di sviluppo nei periodi successivi a quelli di prime cure, in cui la madre ha un ruolo biologico primario. Superata questa fase, dunque, secondo la Corte di Strasburgo, i genitori, uomo e donna, rispetto alle esigenze di cura dell'infante sono in una posizione sostanzialmente comparabile ed omogenea (16) . Mutatis mutandis, i principi richiamati sembrano potersi applicare anche al terreno in cui ci si muove in questa sede; si e' gia' detto, infatti, che l'opzione normativa della cui legittimita' costituzionale si dubita e' trasmigrata nel sistema dell'esecuzione penale proprio dalla legislazione in materia. di congedo parentale, su spinta della Corte costituzionale, che ha ravvisato, con gli adattamenti del caso, una medesima esigenza di fondo, di rango costituzionale, alle due discipline, vale a dire la tutela della prole in eta' di sviluppo. Leggere la normativa italiana cercando di valutarne l'adeguatezza anche rispetto al Parametro emergente nella giurisprudenza di Strasburgo (i cui due poli sono: uguaglianza sostanziale nel ruolo di cura della prole tra i genitori dopo i primi mesi; necessita' di serie e motivate ragioni per introdurre differenziazioni sulla base del sesso degli stessi), dunque, appare non solo possibile ma, invero, doveroso. La citata giurisprudenza EDU, infatti, in quanto espressa piu' volte dalla Grande Camera e reiterata nelle piu' recenti pronunce, soddisfa i requisiti indicati dalla Sentenza 49/2015 della Corte costituzionale e, dunque, puo' essere assunta quale parametro interposto di costituzionalita', rappresentando un'ermeneutica convenzionale ormai consolidatasi e stabile. Esaminando la disciplina de quo alla luce della letteratura scientifica, dei principi sovranazionali, nonche' della giurisprudenza costituzionale e convenzionale, non puo' non osservarsi come la inesatta parificazione del padre e della madre detenuti per l'accesso alla detenzione domiciliare speciale sia il frutto di una scelta intrinsecamente irragionevole e fondata su una tradizione culturale priva di effettivo portato empirico, che assegna alla madre il principale ruolo di cura in ambito familiare. Posto, infatti, che la tutela della maternita' in senso stretto e' assicurata da altre norme dell'ordinamento, quali le ipotesi di differimento della pena di cui agli artt. 146 e 147 del codice penale, l'art. 47-quinquies O.P. deve essere letto quale istituto primariamente teso alla tutela della prole (art. 31 Costituzione) ed all'assolvimento di un ruolo di cura (parenting) da parte dei genitori, ai fine di evitare che la sottoposizione a pena dello stesso riverberi effetti negativi sullo sviluppo psico-fisico ed affettivo del minore o del figlio affetto da handicap. La preferenza accordata in questa sede alla cura del soggetto debole rispetto alle istanze punitive trova una sua giustificazione e punto di equilibrio alla luce di un giudizio di merito particolarmente pregnante, in cui non ci si limita a valutare l'idoneita' della misura a prevenire la ricaduta nel reato o ad assicurare il reinserimento sociale della persona, ma deve escludersi in radice il rischio concreto di reiterazione di condotte illecite. In altri termini, in assenza di pericoli per la collettivita', un'esecuzione penale esterna che mediante il ripristino. della convivenza con il figlio bisognoso di cura consenta l'esercizio della genitorialita', e' da ritenersi costituzionalmente preferibile ad una esecuzione inframuraria che, irragionevolmente, sacrifichi la tutela della prole in eta' di sviluppo e dei soggetti affetti da handicap. Rispetto a tale equilibrio, che si condivide in quanto espressivo di un bilanciamento congruo degli interessi in gioco, una differenziazione uomo-donna appare ingiustificata rispetto all'oggetto di tutela, ritenendo il Collegio che la figura maschile e quella femminile siano adeguatamente in grado di assolvere al ruolo genitoriale di cura, a prescindere dal sesso e dalla declinazione del ruolo quale padre-madre. In questo senso, la norma di cui all'art. 47-quinquies, c. 7 O.P., a parere del Collegio, risulta non conforme agli artt. 3, c. 2 Costituzione, 29, 30 e 31, c. 2 e 117 Costituzione, in relazione agli articoli 114-8 CEDU nella parte in cui prevede che la detenzione domiciliare sostitutiva possa essere concessa al padre detenuto «se la madre e' deceduta o impossibilitata e non vi e' modo di affidare la prole ad altri che al padre». Le censure di costituzionalita' si evidenziano, anzitutto, rispetto all'art. 3 e. 2 Costituzione, in quanto la scelta normativa finisce col trattare situazioni che si -ritengono equivalenti in modo diseguale; ma tale differenziazione riverbera i propri effetti anche su altri interessi costituzionalmente rilevanti ai sensi degli artt. 2, 29, 30 e 31, c. 2 Costituzione. Quanto alla incompatibilita' con l'art. 3 c. 2, rispetto agli artt. 29, 30 e 31, c. 2 Costituzione dell'attuale disciplina, si e' gia' argomentato come la norma determini una disparita' di trattamento normativa tra padre e madre, introducendo una previsione di favore per la donna, non giustificabile rispetto alle esigenze di tutela della famiglia (art. 29 Costituzione), della genitorialita' e della parita' tra coniugi-genitori (art. 30 Costituzione) e della protezione della gioventu' (art. 31, c. 2 Costituzione). Il parametro costituzionale di cui all'art. 2 Costituzione, viceversa, viene in rilievo laddove si considerino gli effetti della disciplina in esame in relazione alle cosiddette famiglie di fatto o omogenitoriali, la cui tutela costituzionale e' stata dalla Consulta ricondotta nell'alveo di quelle formazioni sociali in cui si esplica la personalita' degli individui. D'altro canto, la stessa appare incongrua anche rispetto al parametro convenzionale dell'art. 14 CEDU in relazione all'art. 8 CEDU, stabilendo una differenziazione normativa fondata esclusivamente sul sesso del richiedente e non sorretta da certi elementi che giustifichino tale disparita'; in tal senso, la norma si pone in termini antinomici rispetto all'art. 117 Costituzione, in relazione agli articoli 114-8 CEDU. Per meglio comprendere gli effetti distorsivi della disciplina per come vigente si pensi a come questa incide sulla vicenda umana dei figli bisognosi di cura (art. 31, c. 2 Costituzione) nonche' degli gessi genitori e della famiglia (artt. 29 e 30 Costituzione) in termini di disparita' di trattamento e di tutela. Si consideri, per primo, il caso del padre di prole bisognosa di cura. la cui moglie/compagna sia detenuta. A fronte della carcerazione della partner egli sperimentera', senz'altro, delle oggettive difficolta' nel conciliare impegni lavorativi e cura della prole, in una condizione di monogenitorialita' di fatto. Tuttavia, laddove sussistano le condizioni di merito, potra' ragionevolmente attendersi che la moglie/compagna ottenga la detenzione domiciliare speciale, venendo cosi' sollevato dalle maggiori difficolta' date dal dover essere l'unico punto di riferimento del nucleo familiare, con effetti positivi anche sulla sua capacita' lavorativa. E cio' senza che il Tribunale di sorveglianza si interroghi circa l'eventuale suo decesso, impedimento nella cura della prole o sulla sussistenza di un congruo supporto da parte di terzi soggetti, ma solo in ragione del ruolo di madre della propria compagna. La famiglia, nel suo complesso, ne sara' certamente agevolata e parimenti sara' agevolata la genitorialita' del padre e della madre condannata (artt. 29 e 30 Costituzione). Quanto al figlio o ai della coppia, questi potranno beneficiare in via ordinaria di una condizione di bigenitorialita' in cui, pur con i limiti dell'esecuzione penale esterna, manterranno contatti con entrambi i genitori, vedendo massimamente tutelata la loro condizione di minori in eta' di sviluppo (art. 31, c. 1 Costituzione). Assai diversa la condizione che si realizza per la madre lavoratrice il cui compagno/marito sia detenuto. Quest'ultima, infatti, avra' maggiori difficolta' nel poter fare affidamento circa il rientro al domicilio dei partner, dovendo Tribunale di sorveglianza, infatti, per poter accogliere la domanda del marito/compagno, effettuare uno scrutinio di merito piu' gravoso, nel quale anche l'assistenza eventualmente offerta da terzi soggetti potra' incidere in termini negativi. La madre-lavoratrice, dunque, dovra' farsi carico tanto del ruolo di cura della prole quanto di quello di mantenimento economico della famiglia, eventualmente sacrificando la propria capacita' lavorativa in favore degli impegni familiari. Per converso, i figli della coppia «madre libera-padre detenuto» avranno molte meno chances, in condizioni ordinarie, di poter vedere ricostruita l'unita' del nucleo familiare, rispetto alla coppia «padre libero-madre detenuta». E cio', solo in ragione del fatto che il genitore detenuto sia un padre. Ma v'e' di piu'; se gli effetti distorsivi dell'attuale assetto normativo si rivelano incongrui rispetto alle esigenze di tutela costituzionale dell'infanzia gia' nell'ambito della cosiddetta famiglia tradizionale, essi assumono caratteri di ancora maggiore irragionevolezza in relazione alle famiglie omosessuali ed famiglie di fatto monogenitoriali, esponendo, a parita' di condizioni, i figli di una unione civile tra due uomini ad una disciplina deteriore di quella riservata ai figli di una unione civile tra due donne. Infatti, laddove una di quest'ultime si trovi ad esser detenuta, venendo in ragione del sesso qualificata madre, potra' avere accesso alla misura senza che sia necessario valutare gli ulteriori requisiti attualmente previsti per il padre, consentendo alla prole della coppia di godere di una condizione di bigenitorialita'. Al contrario, laddove sia la parte di una unione civile tra due nomini ad essere detenuta, la discriminazione sulla base del sesso incidera' nell'aggravare la regola di giudizio, rendendo residuale la possibilita' per i figli della coppia di avere la presenza di entrambi i genitori. Da ultimo, in presenza delle medesime condizioni di merito, il padre detenuto unico genitore di fatto i cui figli possano ricevere congrua assistenza da altri membri della famiglia (come nel caso di C ) vedra' rigettata la propria istanza,. mentre la madre detenuta unico genitore di fatto potra' avervi accesso a prescindere dalla circostanza che le esigenze di cura dei figli siano nei fatti assicurate da altri parenti. In conseguenza, la prole del primo si vedra' privata del rapporto quotidiano con l'unica figura genitoriale di riferimento, mentre i figli della seconda potranno beneficiare tanto dell'assistenza di altri familiari che di quella del genitore. In tutte le situazioni descritte, a parere del Collegio, e' la differenziazione del ruolo sulla base del sesso del genitore ad introdurre un trattamento disomogeneo ed irragionevole di condizioni materialmente sovrapponibili ed in cui sussiste un'egualmente intensa istanza di tutela costituzionale della prole bisognosa di cure, con lesione dei parametri costituzionali su citati (art. 3, c. 2, 2, 29, 30, 31, c. 2 Costituzione), svilendo anche la necessaria parita' tra i due generi senza specifiche e motivate ragioni, in contrasto coni riferimenti convenzionali richiamati (art. 117 Costituzione in relazione agli artt. 14-8 CEDU). A fronte di tale discrasia, le opzioni normativamente praticabili e ragionevoli costituzionalmente potrebbero, a parere del Collegio, essere due: o omologare la condizione della madre a quella del padre, valutando se l'assenza del genitore donna pregiudichi in concreto lo sviluppo dei figli a fronte della presenza dell'altro partner uomo o di terzi in grado di assicurare assistenza; o (ed e' quel che qui si auspica) parificare la condizione del padre a quella della madre, garantendo il mantenimento del, rapporto di cura con entrambi i genitori, laddove non sussistano, in concreto, pericoli per la collettivita' e consentendo di tutelare Massimamente l'interesse di cura della prole di cui all'art. 31, c. 2 della Carta costituzionale. E' chiaro che la prima opzione, pur valutabile in astratto, porterebbe a richiedere in concreto alla Corte una pronuncia additiva in malam partem in una materia, l'accesso a misure alternative, cui e' stata ormai pacificamente riconosciuta natura sostanzialmente penale (17) , sicche' la questione prospettata si porrebbe sotto questo profilo in termini di manifesta inammissibilita'. Ma, sotto altro profilo, nel merito, si ritiene che le peculiarita' della misura in esame, concedibile solo a fronte di un penetrante vaglio che escluda in radice la pericolosita' sociale del soggetto, spingono a ritenere preferibile e ,costituzionalmente vincolata solo la seconda opzione prospettata, scegliendo, nel bilanciamento tra gli interessi coinvolti, quella che a parita' di tutela del primo (salvaguardia della collettività-esecuzione della pena) garantisce, la massima espansione del secondo (tutela della prole bisognosa di cure). L'effetto auspicato potrebbe efficacemente essere raggiunto manipolando il testo dell'art. 47-quinquies c. 7 O.P., provvedendo ad eliminare la locuzione «se la madre e' deceduta o impossibilitata e non vi e' modo di affidare la prole ad altri che al padre». In questo modo, il padre potrebbe avere accesso alla misura, almeno in astratto, alle medesime condizioni previste per la madre: dunque al solo fine di dar cura ai minori, ripristinando la convivenza con gli stessi ed esclusivamente laddove venga ritenuto in concreto non socialmente pericoloso. La disciplina risultante, a giudizio del Collegio, non arrecherebbe pregiudizio alle esigenze di esecuzione penale o di tutela della collettivita', adeguatamente salvaguardate (come espresso supra) dagli altri requisiti di merito, che consentono la concessione della misura solo a fronte dell'assenza concreta del rischio di reiterazione di condotte delittuose, secondo il puntuale vaglio effettuato dalla Magistratura di sorveglianza. La questione cosi' posta, per le ragioni esaminate supra, e' certamente non manifestamente infondata e rilevante nel caso di specie, in quanto, laddove venisse accolta la prospettazione del Tribunale di sorveglianza, l'iter argomentativo e valutativo nella vicenda del C non dovrebbe confrontarsi su diversi temi quali l'impedimento (assoluto o relativo) della madre e la disponibilita' di terzi in grado di fornire equivalente assistenza ai suoi figli. E cio' si ritiene sufficiente, a prescindere da un vaglio circa l'eventuale accoglimento nel merito dell'istanza di C - a ritenere integrato il primo requisito di ammissibilita'. E' noto, infatti, che la Corte costituzionale ha ormai affermato una nozione di rilevanza della questione che prescinde dall'eventuale diretta incidenza sull'esito del giudizio a quo, descritta come rilevanza giuridica (18) . Secondo tale orientamento, ormai maggioritario e condiviso, il requisito di rilevanza sussiste anche qualora la decisione della Corte sia idonea ad incidere nel giudizio a quo anche solo nel senso di imporre al giudice un diverso percorso logico-giuridico-argomentativo, pur rimanendo in ipotesi identico l'esito del giudizio. Peraltro, proprio pronunciandosi sulla norma in esame, la Consulta, nel ribadire tale nozione di rilevanza, ha altresi' sottolineato come anche eventuali evenienze successive, che evidenzino l'infondatezza dell'istanza in relazione alla quale e' sorto il dubbio di costituzionalita', non esplicano effetti sul giudizio incardinato innanzi alla Corte (19) . Per mera completezza, tuttavia, appare opportuno segnalare che gli ulteriori elementi istruttori acquisiti circa l'effettiva assunzione di un ruolo di cura della prole da parte di C negli anni successivi al (data in cui ha ottenuto la collocazione presso. di se' dei minori) e l'assenza, da allora in avanti, di segnalazioni o rimarchi potrebbe gia' in questa sede adombrare l'effettiva ricorrenza delle condizioni per la concessione del beneficio, laddove venisse accolta la questione. Il dubbio di costituzionalita', inoltre, non risulta emendabile mediante una interpretazione costituzionalmente conforme, essendo il dato letterale della norma particolarmente chiaro nell'attribuire al padre un ruolo piu' che sussidiario nella cura della prole, intervenendo solo laddove ne' la madre ne' altre persone (altri familiari e/o servizi territoriali) possano assolvere al compito di assistenza dei soggetti fragili. In questo senso, il Tribunale di sorveglianza di Bologna ritiene debba sollevarsi questione di legittimita' costituzionale dell'art. 47-quinquies c. 7 O.P., a parere del Collegio, risulta non conforme agli artt. 3, c. 2 Costituzione, 3 comma 2 in relazione agli artt. 29, 30 e 31, c. 2 e 117 Costituzione, in relazione agli articoli 114-8 CEDU nella parte in cui prevede che la detenzione domiciliare sostitutiva possa essere concessa al padre detenuto «se la madre e' deceduta o impossibilitata e non vi e' modo di affidare la prole ad altri che al padre». In via subordinata, laddove non si dovessero ritenere fondati i dubbi suesposti, giudicandosi sufficientemente ragionevole la scelta normativa di non realizzare in questo ambito una esatta parificazione tra le due figure genitoriali, nondimeno l'art. 47-quinquies, c. 7 O.P. presenta a parere del Collegio ulteriori profili di incompatibilita' costituzionale con gli artt. 3, c. 2 Costituzione, 29, 30 e 31, c. 2 e 117 Costituzione, in relazione agli articoli 114-8 CEDU, nella parte in cui prevede che in condizioni di assenza per decesso o impedimento della madre il Tribunale di sorveglianza possa concedere la misura solo se «non vi e' modo di affidare la prole ad altri che al padre». Tale ulteriore requisito previsto dalla norma in esame, infatti, frustra inevitabilmente e senza evidenti ragioni il ruolo familiare del padre, anche in condizioni in cui lo stesso venga a rappresentare l'unico valido riferimento genitoriale per la prole a fronte di un materiale impedimento assoluto o relativo della madre, attribuendogli rilevanza solo quale extrema ratio normativa nell'affidamento dei figli. L'irragionevolezza di tale scelta appare patente non solo da un punto di vista intrinseco rispetto alla tutela degli interessi sottesi alla norma in esame, ma si giudica ancor piu' non tollerabile rispetto al tertium comparationis rappresentato dalla disciplina della detenzione domiciliare ordinaria di cui all'art. 47-ter, c. 1, lett. b) O.P. e da quella delle altre norme di tenore analogo, tra cui l'art. 275, c. 4 codice di procedura penale. La Corte costituzionale, infatti, ha piu' volte ribadito che nelle forme di detenzione domiciliare funzionali alla tutela dell'interesse del minore «tale interesse puo' recedere di fronte alle esigenze di difesa sociale solo quando la sussistenza e la consistenza delle stesse sia verificata in concreto, non gia' quando sia collegata a indici solo presuntivi, che impediscono al giudice di apprezzare le singole situazioni», sostenendo anche che la identita' di ratio che accomuna l'art. 47-ter, c. 1 e l'art. 47-quinquies O.P. imporrebbe l'allineamento delle relative discipline laddove necessario (cosi in particolare Corte costituzionale 30/2022) (20) Si e' gia' indicato supra in punto di ermeneutica della norma in esame, come nell'affronto tra l'art. 47-quinquies O.P. e le disposizioni normative citate non possa non tenersi conto delle differenze testuali che connotano, in positivo o in negativo, le due diverse fattispecie. Tali peculiarita', a parere del Collegio, impediscono di pervenire ad una interpretazione costituzionalmente orientata della norma de qua in relazione alla persona del padre detenuto. L'art. 47-ter, c. 1, lett. b), infatti, consente la concessione della misura al padre esercente la responsabilita' genitoriale con lui convivente laddove la madre sia deceduta o altrimenti assolutamente impossibilitata a dare assistenza alla prole. La norma, dunque, testualmente, si applica solo al padre che conviva gia' con i figli, che abbia gia' assunto nei loro confronti un ruolo di cura mediante l'esercizio della responsabilita' genitoriale, a condizione che la madre risulti assolutamente impossibilitata o perche' deceduta o per altre ragioni particolarmente gravi. L'art. 47-quinquies O.P., viceversa, si applica al padre senza che sia necessario che questi abbia gia' assunto funzioni attive di cura della prole ed a condizione che rappresenti l'unico cui gli stessi possano essere affidati a fronte della morte o di altro impedimento, sebbene non assoluto della madre. La norma, dunque, in astratto, potrebbe applicarsi ad una platea piu' ampia di soggetti, che include, ma non si esaurisce in quella dei potenziali destinatari di cui all'art. 47-ter, c. 1, lett. b) O.P. In concreto, pero', l'operativita' delle due norme e' evidentemente in larga parte sovrapponibile, come dimostra la casistica giurisprudenziale su esaminata. Eppure, la norma pensata per ampliare le maglie della disciplina ordinaria al fine di tutelare maggiormente l'interesse dei minori presenta dei requisiti di accesso piu' stringenti, laddove contiene l'ulteriore inciso della possibilita' di affidamento dei minori, prima che al padre, anche a terzi soggetti. Ne' puo' sostenersi che tale indicazione possa essere giustificata nell'alveo dell'art. 47-quinquies O.P. dalla necessita' di controbilanciare, rispetto all'art. 47-ter, c. 1, lett. b) O.P., l'assenza di limiti di pena o il rilievo dato all'impedimento, anche non assoluto, della madre: tali argomenti, infatti, si pongono sul terreno della valorizzazione delle esigenze di esecuzione della pena e veicolano un pensiero ispirato alla preoccupazione di evitare che l'accesso ad una forma di esecuzione penale esterna discenda dal solo fatto di avere dei figli bisognosi di assistenze. Preoccupazione che, per verita', era emersa anche in relazione alla figura della madre, come puo' cogliersi da un esame degli atti parlamentari che hanno portato all'introduzione dell'art. 47-quinquies O.P., e che pare in parte esser figlia anche di una certa concezione dell'esecuzione penale per cui o la pena e' carceraria o non e' pena. Ma, se l'impostazione culturale cui risponde una logica siffatta e' in massima parte smentita dalla stessa. prospettiva in cui si colloca la Costituzione con l'art. 27, c. 3 Costituzione e che ha ispirato gli ultimi decenni di normativa in materia di esecuzione penale, in cui si sono succedute numerose riforme tutte protese all'abbandono della piu' tradizionale impostazione carcerocentrica verso forme esecutive esterne al contesto detentivo, a tali obiezioni e' agevole ribattere (come gia' individuato sopra), che nel bilanciamento tra gli interessi coinvolti, deve sempre darsi priorita' alla soluzione che, a parita' di tutela garantita alle esigenze di esecuzione della pena, garantisce la massima espansione della tutela della prole bisognosa di cure. In questo senso, prevedere che, nonostante il padre risulti non pericoloso e possa eseguire all'esterno la propria pena, il suo ruolo di cura venga postergato, a quello fornito dai terzi appare scelta illogica che sacrifica sull'altare di esigenze securitarie astratte il rapporto genitoriale contro l'interesse e del padre (con lesione degli artt. 3, c. 2 e 30 Costituzione rispetto alla madre) e del minore-figlio (con lesione dell'art. 31, c. 2 Costituzione). D'altro canto, che il ruolo del padre non possa ragionevolmente essere reso sussidiario rispetto a terzi soggetti e' stato chiaramente affermato anche dalla Corte di Cassazione in relazione ad altra norma che, pur con le specificita' della materia, si occupa del bilanciamento tra esigenze di tutela della collettivita' e quelle della prole: l'art. 275, c. 4 codice di procedura penale. La norma, infatti, stabilisce che la custodia cautelare in carcere possa essere disposta nei confronti di padre di prole di eta' inferiore agli anni sei, la cui madre sia deceduta o assolutamente impossibilitata, solo laddove sussistano esigenze cautelari di particolare intensita'. Lo schema normativo, dunque, non contiene indicazione circa l'eventuale intervento di terzi nella cura della prole; tuttavia, parte della giurisprudenza di merito aveva inteso dare rilievo alla presenza di altri familiari capaci di sopperire alle esigenze di cura dei minori per giustificare il mantenimento della cautela estrema. Rispetto a tale esito, tuttavia, la Cassazione, nella sentenza n. 29355 del 30 aprile 2014 ha opportunamente precisato che «Una volta infatti che sia stata accertata l'assoluta impossibilita' della madre a dare assistenza alla prole e sia stato escluso il ricorrere di esigenze cautelari di eccezionale rilevanza, il giudice non puo' giustificare il mantenimento della misura intramurale prendendo in esame l'eventuale presenza di altri familiari, in quanto ad essi il legislatore non riconosce alcuna funzione sostitutiva, considerato che la formazione del bambino puo' essere gravemente pregiudicata dall'assenza di una figura genitoriale, la cui infungibilita' deve, pertanto, fin dove possibile, essere assicurata, trovando fondamento nella garanzia che l'articolo 31 Costituzione accorda all'infanzia (Sez V 9-11-2007, n 41626, rv. n. 238209; Sez IV 19-11-2004, n. 6691, rv. n. 230931)». Cio' che rileva, a parere del Collegio, anche nel caso di specie e' la notazione che la citata sentenza effettua circa la infungibilita' del ruolo genitoriale e la non surrogabilita' dello stesso da parte di terzi; infungibilita' che la norma in esame, art. 47-quinquies O.P., viceversa sacrifica in toto, assegnando al padre-genitore una posizione assolutamente residuale, esclusivamente in ragione del proprio genere. A fronte di tale condizione, appare evidente al Tribunale di sorveglianza che per ricondurre a sistema costituzionale la norma, il riferimento alla condizione di non impossibilita' di affidare i minori ad altri che al padre dovrebbe essere espunto dal testo dell'art. 47-quinquies O.P. La rimozione di tale locuzione (pur se all'interno di un quadro normativa che il Collegio ritiene comunque non soddisfacente, in quanto vulnerato da una irragionevole distinzione di fondo tra genitore uomo e genitore donna), consentirebbe un piu' ponderato punto di equilibrio tra le varie esigenze costituzionali, non postergando la tutela della genitorialita' (art. 30 Costituzione) e della prole (art. 31, c. 2 Costituzione) ad un requisito eccessivamente mortificante rispetto alla figura paterna-maschile e che, a fronte della impossibilita' della madre, determina una condizione di pregiudizio per lo sviluppo dei minori, privati dell'unico riferimento genitoriale idoneo. In questo senso, laddove non venisse ritenuta fondata la prima questione posta quale principale, il Tribunale di sorveglianza di Bologna giudica la norma di cui all'art. 47-quinquies, c. 7 O.P. parimenti non conforme agii artt. 3, c. 2 Costituzione, 29, 30 e 31, c. 2 e 117 Costituzione, in relazione agli articoli 114-8 CEDU nella parte in cui prevede che la detenzione domiciliare sostitutiva possa essere concessa al padre detenuto in caso di morte o impedimento della madre solo ove «non vi e' modo di affidare la prole ad altri che al padre». Alla luce della disamina sin qui condotta, il Tribunale di sorveglianza di Bologna ritiene necessario ai fini del decidere risolvere i dubbi di costituzionalita' della norma di cui all'art. 47-quinquies, c. 7 O.P., giudicati in questa sede non manifestamente infondati in relazione agli artt. 3, c. 2 Costituzione, 3 comma 2 in relazione agli artt. 29, 30 e 31, c. 2 Costituzione e 117 Costituzione in relazione agli artt. 114-8 CEDU. Prima di concludere, sia concesso sottoporre altresi' all'attenzione della Corte l'opportunita', nel caso in cui ritenesse di accogliere le questioni prospettate, di estendere la declaratoria di incostituzionalita' eventualmente ritenuta anche all'art. 21-bis, c. 3 O.P., come effetto conseguenziale di quella principale ai sensi dell'art. 27, c. 2, legge n. 87/1953. L'art. 21-bis O.P., infatti, come si e' gia' visto supra, presenta al comma terzo la medesima formulazione dell'art. 47-quinquies, c. 7 O.P. («La misura dell'assistenza all'esterno puo' essere concessa, alle stesse condizioni, anche al padre detenuto, se la madre e' deceduta o impossibilitata e non vi e' modo di affidare la prole ad altri che al padre») ed e' istituto introdotto con la stessa legge n. 40/2001, a completamento degli obiettivi di tutela assunti dal legislatore, quale strumento intermedio e sussidiario rispetto alla detenzione domiciliare speciale. In particolare, mentre l'art. 47-quinquies O.P. consente l'ammissione ad una forma di esecuzione penale esterna derogatoria, controbilanciata da un penetrante giudizio di assenza di pericolosita' sociale, l'art. 21-bis O.P. non prevede tale requisito, potendo essere concesso, dunque, anche laddove un residuo dubbio sulla tenuta esterna della persona possa in concreto ancora sussistere. Tuttavia, nella scelta tra la totale espiazione intramuraria che sacrifichi in radice la tutela dei minori e la totale apertura data dall'art. 47-quinquies O.P., la norma richiamata, modellata sull'art. 21 O.P. risulta estremamente funzionale per consentire che, con le cautele del caso (es. la predisposizione di scorta ove necessario ex art. 21, c. 2 O.P.), vi sia modo di garantire una forma di assistenza alla prole da parte del genitore. In questo senso, l'allineamento delle due discipline apparirebbe logica conseguenza dell'eventuale declaratoria di incostituzionalita' dell'art. 47-quinquies, c. 7 O.P. sotto due profili: sotto il profilo sostanziale, potendo muoversi all'art. 21-bis, c. 3 O.P. le medesime censure mosse alla norma principalmente in discussione, cui si rimanda per brevita'; sotto il profilo dell'opportunita' di sistema, apparendo al Collegio significativo che i due istituti siano stati frutto di una medesima volonta' legislativa ed individuino due distinti e gradati punti di bilanciamento tra gli interessi costituzionali in gioco, volti a modulare la tutela degli stessi secondo le circostanze del caso. (1) «In tema di concessione della detenzione domiciliare speciale ex art. 47-quinquies ord pen., come inciso dalla sentenza della Corte costituzionale n. 18 del 2020, a detenuto padre di prole affetta da "handicap" grave quando la madre versi nell'impossibilita' di prestarle assistenza e non vi sia altro modo di affidarla ad altri che al padre, la nozione di siffatta condizione di impossibilita' della madre deve identificarsi con quella che - per l'emersione di oggettivi fattori impeditivi inerenti alla sfera di azione della medesima - determina il rischio concreto per la prole di un grave "deficit" assistenziale e di un'irreversibile compromissione del suo processo evolutivo ed educativo». (2) In particolare, un precedente rilevante e' indicato nella Sentenza n. 1/1987, in cui la Corte, pur dubitando a monte della ragionevolezza delle norme che prevedevano la concessione alla sola madre dei riposi giornalieri, aveva affermato che l'irragionevolezza divenisse manifesta nei casi in cui la madre non fosse assente o impedita, come gia' stabilito dal legislatore all'art. 7 della legge 31 dicembre 1977, n. 903 che aveva riconosciuto al lavoratore padre la possibilita' di usufruire - in alternativa alla madre o quando il figlio fosse a lui solo affidato - della astensione facoltativa dal lavoro per la durata di sei mesi nel primo anno di vita del bambino. Si veda Corte costituzionale, Sent. 1/1987 § 8, «Si afferma cosi' l'esigenza di una partecipazione di entrambi i genitori alla cura ed al! educazione della prole: non viene certo meno la funzione essenziale della madre nei rapporti con il bambina, ma si riconosce seminai, con notevole chiarezza, che anche il padre e' idoneo a prestare assistenza materiale e supporto affettivo al minore: sulla scorta, del resto, delle norme del diritto di famiglia che hanno conferito ad entrambi i genitori compiti di mantenimento, educazione ed istruzione dei figli (art. 143 codice civile), la pari potesta' sugli stessi (art. 316 codice civile), e la titolarita' esclusiva di detta potesta' di ciascun genitore, in caso di assenza, incapacita' od ulteriore impedimento dell'altro (art. 317 codice civile). Proprio in ragione di tale Presupposto, il legislatore ha esteso anche al padre lavoratore alcuni dei benefici gia' riconosciuti alla madre dalla legge n. 1204 del 1971. Gli altri (l'astensione obbligatoria ed i riposi), invece, sono rimasti riservati alla madre. E' verosimile, in proposito, che il legislatore abbia ritenuto che i due istituti, pur in diversa misura, fossero finalizzati e alla garanzia degli interessi della prole e alla tutela della salute della madre naturale. Tale presumibile ragia dell'esclusione (gia' in se' piuttosto debole nel caso dei riposi giornalieri, che lo stesso legislatore - come si e' gia' detto -sgancia in larga misura dalle condizioni personali della donna) non vale piu', tuttavia, quando - come nei casi oggetto dei giudizi nei quali questo della Corte e' incidente - l'assistenza della madre sia resa impossibile a seguito della morte o del grave impedimento fisico della stessa. hi casi di tal genere, il solo interesse che gli istituti di cui agli arti. 4 e 10 della legge n. 1204 del 1971 possono e debbono mirare a tutelare e' quello del minore, ed e' rispetto a questo interesse-guida che andrebbe disegnato il loro funzionamento, e' proprio quell'interesse, invece, che non viene tenuto in adeguata considerazione dal legislatore nel momento in cui questi esclude l'estensione anche al padre dei benefici goduti dalla madre lavoratrice in funzione di garanzia di un'adeguata assistenza al minore. Posto infatti che, come si e' visto, la astensione dal lavoro nei primi tre mesi e il diritto al riposo' nel primo anno di vita. riconosciuti dalla legge 1201 a favore della madre, tutelano, in concorrenza con la salute di questa, anche il bisogno del bambino di una piu' intensa presenza della madre per la necessaria assistenza, non vi e' ragione di negare al padre - che proprio in funzione di tale assistenza puo' avvalersi della stessa astensione facoltativa il diritto di avvalersi altresi', in caso di mancanza o grave malattia della madre, della astensione c.d. obbligatoria nei primi tre mesi, e dei riposi giornalieri nel primo anno di vita del bambino.». (3) Si veda Corte costituzionale, Sent. 215/1990, § «Il riconoscimento della eguaglianza morale e giuridica dei coniugi, su cui e' ordinata il matrimonio, e il riconoscimento stesso dei diritti della famiglia (art. 29), il dovere e il diritto dei genitori di mantenere ed educare i figli, e soprattutto, le provvidenze che la legge deve disporre affinche' siano assolti i compiti dei genitori nei casi di loro incapacita' (art. 30, la protezione che la Carta fondamentale accorda all'infanzia, sollecitando la Repubblica a favorire gli istituti necessari a tale scopo (art. 32), rappresentano un complesso di eminenti valori che, mentre rendono intollerabile la denunciata discriminazione, fondano .a loro volta specifiche incompatibilita'. La previsione, infatti, dell'art. 47-ter secondo cui soltanto alla madre viene riconosciuto, mediante la concessione della detenzione domiciliare, il diritto-dovere di assistere la prole infratreenne, nega implicitamente al genitore l'esercizio dello stesso diritto e l'adempimento dell'identico dovere per il caso in cui la madre manchi o sia assolutamente impossibilitata ad espletare quel compito: eppure si tratta di compiti doverosi che la Costituzione affida, invece, alla pari responsabilita' dei genitori». (4) Si veda Corte costituzionale n. 350/2003 «la norma censurata e' in contrasto con il principio di ragionevolezza in quanto prevede un sistema rigido che preclude al giudice, ai fini della concessione della detenzione domiciliare, di valutare l'esistenza delle condizioni necessarie per un'effettiva assistenza psico-fisica da parte della madre condannala nei confronti del figlio portatore di handicap accertato come totalmente invalidante. Cio' determina un trattamento difforme rispetto a situazioni familiari analoghe ed equiparabili fra loro, quali sono quella della madre di un figlio incapace perche' minore degli anni dieci, ma con un certo margine di autonomia, almeno sul piano fisico, e quella della madre di un figlio disabile e incapace di provvedere da solo anche alle sue piu' elementari esigenze, il quale, a qualsiasi eta'; ha maggiore e continua necessita' di essere assistito dalla madre rispetto ad un bambino di eta' inferiore agli anni dieci». (5) Comma 2: «La condannata, l'imputata o l'internata madre di un bambino di eta' inferiore a dieci anni, anche se con lei non convivente, ovvero il padre condannato, imputato o internato, qualora la madre sia deceduta o assolutamente impossibilitata a dare assistenza alla prole, sono autorizzati, con provvedimento da rilasciarsi da parte del giudice competente non oltre le ventiquattro ore precedenti alla data della visita e con le modalita' operative dallo stesso stabilite, ad assistere figlio durante le visite specialistiche, relative a gravi condizioni di salute». (6) «Quando imputati siano donna incinta o madre di prole di eta' non superiore a sei anni con lei convivente, ovvero padre, qualora la madre sia deceduta o assolutamente impossibilitata a dare assistenza alla prole, non puo' essere disposta ne' mantenuta la custodia cautelare in carcere, salvo che sussistano esigenze cautelari di eccezionale rilevanza. Non puo' essere disposta la custodia cautelare in carcere, salvo che sussistano esigenze cautelari eccezionale rilevanza, quando imputato sia persona che ha superato l'eta' di settanta anni». (7) «Nelle ipotesi di cui all'articolo 275, comma 4, se la persona da sottoporre a custodia cautelare sia donna incinta o madre di prole di eta' non superiore a sei anni, ovvero padre, qualora la madre sia deceduta o assolutamente impossibilitata a dare assistenza alla prole, il giudice puo' disporre la custodia presso un istituto a custodia attenuata per detenute madri, ove le esigenze cautelari di eccezionale rilevanza lo consentano». (8) Si veda, sul punto, Parenting - Psicologia dei legami genitoriali, L. Benedetto-M. Ingrassia Carocci Editore, Roma, 2010, pagg. 117 e ss. (9) Cfr. Parenting - Psicologia dei legami genitoriali, L. Benedetto M. Ingrassia cit. pag. 120. (10) Cfr. Fathers' perceptions and expriences of support to b a parenting partner during the perinatal period: A scoping review, su Journal of Clinical Nursing 32 (13-14), 3378-3396, 2023. (11) In particolare, si vedano gli artt. 2, 3 e 9. (12) Si consideri l'articolo 337-ter codice civile, in cui si prevede che «Il figlio minore ha il diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori, di ricevere cura, educazione, istruzione e assistenza morale da entrambi e di conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale» e che a tal fine «il giudice adotta i provvedimenti relativi alla prole con esclusivo riferimento all'interesse morale e materiale di essa. Valuta prioritariamente la possibilita' che i figli minori restino affidati a entrambi i genitori oppure stabilisce a quale di essi i figli sono affidati, determina i tempi e le modalita' della loro presenza presso ciascun genitore, fissando altresi' la misura e il modo con cui ciascuno di essi deve contribuire al mantenimento, alla cura, all'istruzione e all'educazione dei figli». (13) Tra le piu' recenti ed importanti sentenze sul tema si pensi a Corte costituzionale Sent. n. 131 del 2022, in cui la consulta ha dichiarato l'illegittimita', in riferimento agli artt. 2, 3 e 117, comma 1, Costituzione, quest'ultimo in relazione agli artt. 8 e 14 CEDU, dell'articolo 262, primo comma del codice civile. «nella parte in cui prevede, con riguardo all'ipotesi del riconoscimento effettuato contemporaneamente da entrambi i genitori, che il figlio assume il cognome del padre, anziche' prevedere che il figlio assume i cognomi dei genitori, nell'ordine dai medesimi concordato, fatto salvo l'accordo, al momento del riconoscimento, per attribuire il cognome di uno di loro soltanto». (14) Si veda ECHR, case Beeler v. Switzerland § 93 e ss. «The advancement of gender equality is today a major goal in the member States of the Council of Europe (see Konstantin Markin, cited above, Beeler v. Switzerland Judgment 28 § 127, and Ünal Tekeli v. Turkey, no. 29865196, § 59, ECHR 2004-X (extracts)). The Court has repeatedly held that differences based exclusively on sex require "very weighty reasons", "particularly serious reasons" or, as it is sometimes said, "particularly weighty and convincing reasons" by way of justification (see Stec and Others (judgment), § 52; Vallianatos and Others, § 77; and Konstantin Markin, § 127, all cited above). In particular, references to traditions, general assumptions or prevailing social attitudes in a particular country are insufficient justification for a difference in treatment on grounds of sex (see Konstantin Markin, cited above, §§ 126-27; X and Others v Austria [GC], no. 19010/07, § 99, ECHR 2013; and Khamtokhu and Aksenchik, cited above §§ 77-78). For example, States cannot impose traditions deriving from the idea that the man plays a predominant role and the woman a secondaty role in the family (see Ünal Tekeli, cited above, § 63). 96 It follows that although the Contracting States must be afforded a margin of appreciation in deciding on the timing of the introduction of legislative changes and in assessing whether and to what extent differences in otherwise similar situations justify a difference in treatment, where a difference in treatment is based on sex the State's margin of appreciation is narrow (see X and Others v. Austria, § 99, and Vallianatos and Others, § 77, both cited above).» (15) Si vedano i § 40 e 41: «40 The Court notes that, unlike the complete exclusion of male military personnel from entitlement to parental leave, Russian law provides that male police personnel are entitled to apply for parental leave if their children are left without maternal care for objective reasons (see paragraphs 25-26 above). The entitlement of male police officers to parental leave is therefore conditional upon lack of maternal care for their children for objective reasons, while policewomen are unconditionally entitled to such leave. 41. The Court has previously examined this difference in treatment between male and female police personnel and carne to the conclusion that it was not objectively and reasonably justified under Article 14 of the Convention.» (16) cfr. § 38 «The Court also found that, as regards parental leave and parental leave allowances, men were in a comparable situation to women. Indeed, in contrast to maternity leave, which was intended to enable the woman to recover from childbirth and to breastfeed her baby if she so wished, parental leave and parental leave allowances related to the subsequent period and were intended to enable the parent concerned to stay at home to look after an infant personally. Whilst being aware of the differences which might exist between the mother and the father in their relationship with the child, the Court concluded that, as regards the role of taking care of the child during the period corresponding to parental leave, men and women were "similarly placed"». (17) Sia sufficiente citare la celeberrima sentenza n. 32/2020 con cui la Corte costituzionale ha inteso procedere «ad una a una complessiva rimeditazione della portata del divieto di retroattivita' sancito dall'art. 25, secondo comma, Costituzione, in relazione alla disciplina dell'esecuzione della pena,» (anche) alla luce delle affermazioni di principio contenute nella Sentenza della Grande Camera della Corte EDU nel caso Del Rio Prada v. Spain, il cui punto di partenza era la ritenuta attrazione all'interno della matiere penale di tutte quelle norme capaci di incidere in concreto sulla qualita' della privazione della liberta' personale, disciplinando l'alternativa tra il dentro ed il fuori dal carcere. (18) Con le parole della Consulta, «anche nella prospettiva di un piu' diffuso accesso al sindacalo di costituzionalita' (messa in risalto, tra le pronunce piu' recenti, dalla sentenza n. 77 del 2018) e di una piu' efficace garanzia della conformita' a Costituzione della legislazione (profilo valorizzato, da ultimo, nella sentenza n. 174 del 2019), il presupposto della rilevanza non si identifica con l'utilita' concreta di cui le parti in causa potrebbero beneficiare a seguito della decisione (sentenza n. 20 del 2018)»; cosi' Corte costituzionale 254/2020. (19) Si veda, in particolare Corte costituzionale 30/2022 laddove e' affermato che «Per costante giurisprudenza di questa Corte, la rilevanza della questione incidentale si configura come necessita' di applicare la disposizione censurata, senza identificarsi nell'utilita' concreta per la parte del giudizio principale (ex plurimis, sentenze n. 236, n. 172 e n. 59 del 2021, n. 254 del 2020 e n. 174 del 2019). 3. - Lo scrutinio di merito delle questioni sollevate dall'ordinanza di rimessione non e' impedito neppure dalle circostanze sopravvenute riferite nell'atto di costituzione della parte, cioe' che la minore abbia nel frattempo superato i dieci anni d'eta' e che l'istanza di applicazione della misura alternativa sia stata infine respinta dal competente tribunale di Sorveglianza; circostanze, queste, valorizzate dalla difesa statale in sede di discussione in pubblica udienza, quali ulteriori ragioni di inammissibilita' delle questioni per difetto di rilevanza nel giudizio a quo. Per l'autonomia che lo caratterizza, il giudizio incidentale di legittimita' costituzionale non risente delle vicende di fatto successive all'ordinanza di rimessione, sicche' la rilevanza delle questioni deve essere vagliata ex ante, con riferimento al tempo della prospettazione (da ultimo, sentenze n. 22 e n. 7 del 2022, n. 127 del 2021, n. 270, n. 244 e n. 85 del 2020). L'avvenuta decisione, da parte del tribunale di sorveglianza, di reiezione dell'istanza presentata dal condannato, non puo' avere dunque alcun effetto sulle questioni sollevate dal magistrato di sorveglianza, giacche', come chiarito, esse concernono la mancata previsione del potere di quest'ultimo di disporre la detenzione domiciliare speciale allorquando sussistano ragioni che, nella ricorrenza dei presupposti stabiliti dalla disposizione censurata, rendano necessaria la valutazione del preminente interesse del minore. La decisione del tribunale di sorveglianza non incide sulla rilevanza delle questioni, cristallizzata al momento della rimessione, come non vi incide la sorte che quella stessa decisione avra' in sede di impugnazione». (20) Cfr. Corte costituzione 30/2022, § 5.2 laddove si afferma «Nonostante la diversita' delle fattispecie regolate, connessa alla differente entita' della pena da espiare, le due misure alternative perseguono la stessa finalita', cioe' quella di evitare, fin dove possibile, che l'interesse del bambino sia compromesso dalla perdita delle cure parentali, determinata dalla permanenza in carcere del genitore, danno riflesso noto come "carcerizzazione dell'infante". L'identita' finalistica delle due specie di detenzione domiciliare e' stata ripetutamente sottolineata da questa Corte, che ne ha quindi assimilato le discipline, laddove il preminente interesse del minore non ammetteva che esse restassero distinte: cosi', per il margine di tolleranza degli allontanamenti ingiustificati del genitore accudente (sentenze n. 211 del 2018 e n. 177 del 2009); cosi', per l'eliminazione della preclusione triennale della misura a causa dell'avvenuta revoca di altro beneficio (sentenza n. 187 del 2019; cosi', ancora, per l'affrancamento dal carattere ostativo dei titoli di reato di "prima fascia" ex art. 4-bis ordin penit. (sentenza n. 239 del 2014). Entrambe le specie di detenzione domiciliare sono state estese a protezione del figlio ultradecenne gravemente invalido (sentenze n. 18 del 2020 e n. 350 del 2003). In disparte l'estensione a beneficio del figlio inabile, relativa ad uno stato di bisogno slegato dalla minore eta', la progressiva assimilazione delle due misure e' stata sorretta dall'identita' dello scopo di tutelare l'interesse dei minori in tenera eta' nel loro essenziale rapporto con i genitori (sentenze n. 211 del 2018 e n. 177 del 2009), interesse del quale si e' evidenziata la centralita' alla luce dell'art. 31 Costituzione, arricchita dalla qualificazione di "preminenza" di cui alle fonti sovranazionali (sentenze n, 187 del 2019 e n. 239 del 2014).».