(all. 1 - art. 1)
                                                           Allegato A

1. Premessa.
    L'art.  1  del  decreto  legislativo  del 22 giugno 1999, n. 230,
stabilisce  che  i detenuti e gli internati, al pari dei cittadini in
stato di liberta', hanno diritto alla erogazione delle prestazioni di
prevenzione,  diagnosi,  cura  e  riabilitazione previste nei livelli
essenziali  e  uniformi di assistenza individuati nel piano sanitario
nazionale, nei piani sanitari regionali e in quelli locali.
    Il  successivo  art. 5 prevede l'adozione di un apposito Progetto
obiettivo  per  la tutela della salute in ambito penitenziario, della
durata  di  un  triennio,  ai  fini  della  rimozione  degli ostacoli
ambientali ed organizzativi che caratterizzano l'assistenza sanitaria
alla  popolazione  detenuta,  mediante  la  formulazione di criteri e
indirizzi  per  l'attivazione  di  una  rete  di presidi e di servizi
sanitari volti a soddisfare la domanda di assistenza, a migliorare la
qualita'  delle  prestazioni  di  diagnosi,  cura e riabilitazione, a
garantire  il raggiungimento degli obiettivi di salute negli istituti
penitenziari.
    Per qualificare e umanizzare l'assistenza sanitaria nelle carceri
e  per  rendere  piu'  efficaci  le  risposte  sanitarie, il Servizio
sanitario  nazionale e l'amministrazione penitenziaria realizzano una
sistematica  collaborazione  mediante  la  definizione  di  programmi
sanitari a livello nazionale, regionale e locale.
    Le indicazioni contenute nel presente Progetto obiettivo, che per
legge  hanno  durata triennale, sono suscettibili di modificazioni ed
integrazioni,  piu'  o  meno  ampie,  a  seconda  degli  esiti  della
sperimentazione  prevista  dall'art. 8 del decreto legislativo n. 230
del  1999. In sostanza, sara' la fase sperimentale, ed in particolare
i  risultati che emergeranno da tale fase, ad indicare l'opportunita'
di intervenire sulle misure previste nel presente Progetto.
    Nella  programmazione di nuove sedi di istituti penitenziari e le
modifiche  strutturali  che  comportano un aumento della ricettivita'
delle sedi esistenti, l'amministrazione penitenziaria tiene conto dei
contenuti del presente progetto obiettivo.
2. Lo stato di salute nelle carceri.
    Pur  non  esistendo  un  sistema  di  rilevazione nazionale delle
patologie  in  ambito penitenziario, si riporta, di seguito, un breve
quadro  generale  della  situazione  sanitaria inerente allo stato di
salute  nelle carceri e alla indicazione delle patologie maggiormente
diffuse.
    Le  persone detenute sono attualmente circa 50.000 (47.000 uomini
e   3.000   donne),   nonostante   le   infrastrutture   abbiano  una
disponibilita'   di   35.000   posti  distribuiti  nei  200  istituti
esistenti. Dei suddetti 50.000 detenuti, 13.000 sono extracomunitari,
15.000  tossicodipendenti, 2.500 sieropositivi per l'HIV, oltre 4.000
i sofferenti di turbe psichiche anche molto gravi.
    Le  patologie infettive, psichiatriche e gastroenterologiche sono
quelle maggiormente  diffuse.  In particolare malattie infettive come
epatiti, tubercolosi, AIDS, sono motivo di grande impegno economico e
per  farvi fronte l'amministrazione penitenziaria ha utilizzato circa
il 40% del finanziamento per l'approvvigionamento dei farmaci.
    Le  patologie dell'apparato cardiovascolare colpiscono in carcere
classi  di  eta'  relativamente  piu'  basse  rispetto  alla societa'
esterna    (40-50   anni).   Frequenti   sono   anche   le   malattie
osteoarticolari  e  le  bronco-pneumopatie  croniche  ostruttive  (la
stragrande maggioranza dei detenuti consuma in media dalle venti alle
quaranta sigarette al giorno). Di difficile gestione in carcere sono,
inoltre,  le  malattie  metaboliche  e  del ricambio, come il diabete
mellito   di  tipo  I  e  II  che  comportano  l'osservazione  di  un
determinato regime di vita (dieta, moto, autogestione dei farmaci).
3. Gli obiettivi di salute.
    L'art.  5,  comma  3,  del decreto legislativo 22 giugno 1999, n.
230,  prevede  che nel Progetto obiettivo sono definiti gli indirizzi
alle  regioni, volti a garantire gli obiettivi di salute dei detenuti
e  degli  internati  secondo  i  livelli  essenziali  e  uniformi  di
assistenza previsti dal Piano sanitario nazionale.
    Tenuto  conto  della specificita' della condizione penitenziaria,
il Progetto obiettivo individua le aree prioritarie di intervento per
la  tutela  della  salute dei detenuti e degli internati, indicando i
programmi  per  la  prevenzione,  la  cura  e la riabilitazione delle
malattie   maggiormente   diffuse,   volti   al  superamento  e/o  al
contenimento  degli  stati di invalidita' e di cronicita' determinati
da eventi interni o esterni alla condizione detentiva.
3.1. Le attivita' di prevenzione.
    E'  noto  che  il  carcere, per molti aspetti, e' causa di rischi
aggiuntivi  per  la  salute  fisica  e  psichica  dei detenuti, degli
internati e del personale addetto alla sorveglianza e all'assistenza.
Nella  condizione di restrizione della liberta' personale, i problemi
della  quotidianita'  risultano  determinanti per lo stato di salute,
inteso come benessere psico-fisico di ciascuno e di tutti. I problemi
ambientali  costituiscono, pertanto, il primo campo di intervento per
la  tutela della salute dei detenuti e degli internati. Non a caso il
decreto  legislativo  n.  230 del 1999 prevede il trasferimento delle
funzioni  di  prevenzione prima di tutte le altre, a decorrere dal 1o
gennaio 2000.
    Il  regime  alimentare,  gli  ambienti  malsani,  la  mancanza di
movimento e di attivita' sociale, l'inedia, gli atti di violenza e di
autolesionismo  sono  le  questioni  cui  con  priorita'  deve essere
rivolta l'attenzione e l'iniziativa dei servizi sanitari.
    Anche  lo  stato  delle  strutture  edilizie,  con vecchi edifici
impropriamente  adattati a carceri e degradati dal tempo e dall'uso e
con stabilimenti di piu' recente costruzione ma ugualmente inadatti e
nocivi,  costituisce  una  specificita'  cui deve rivolgersi l'azione
preventiva del Servizio sanitario nazionale.
    In   ragione  di  queste  specifiche  condizioni,  e'  necessario
definire programmi di prevenzione primaria finalizzati alla riduzione
o  rimozione di una sofferenza che ha radici strutturali, dando piena
attuazione  anche  in  ambito penitenziario alla normativa vigente in
materia di:
      igiene pubblica nelle sue diverse articolazioni, in particolare
i settori di profilassi e di igiene urbana;
      igiene degli alimenti e della nutrizione;
      strutture sanitarie;
      igiene degli ambienti di vita e di lavoro, anche in riferimento
all'applicazione del decreto legislativo n. 626/1994.
    Entro  tre  mesi dall'entrata in vigore del Progetto obiettivo, i
dipartimenti   di   prevenzione   delle   aziende   sanitarie  locali
predispongono  per  gli  istituti  penitenziari  ubicati nei relativi
ambiti  territoriali, coinvolgendo anche gli operatori penitenziari e
i  detenuti,  una  ricognizione  dei  rischi  per la tutela salute in
ambito  carcerario,  con  l'obiettivo  di  realizzare  gli interventi
strutturali   necessari  per  il  ripristino,  eventuale,  di  idonee
condizioni ambientali e ai fini della individuazione di soluzioni che
incidano  sul miglioramento della qualita' della vita in carcere, ivi
compreso  il regime alimentare. In particolare, si ritiene importante
verificare  l'applicazione  della  normativa  sulla  sicurezza  negli
ambienti  di  lavoro in un ambito, quale quello penitenziario, in cui
devono essere conciliati ordinamenti diversi.
    Le  aziende  sanitarie  locali  predispongono,  sulla  base delle
informazioni  e  dei dati disponibili, programmi mirati di educazione
alla  salute,  con particolare riguardo alle malattie infettive (come
esplicitato  nel  paragrafo  3.2.6)  e parassitarie, alla prevenzione
della  tossicodipendenza,  della  sofferenza  mentale  dell'abuso  di
psicofarmaci,  del  fumo  e dell'alcoldipendenza e delle piu' diffuse
patologie  sociali  sensibilizzando  la  popolazione  detenuta  e gli
operatori sanitari e penitenziari.
    Le  suddette aziende attivano, altresi', programmi pluriennali di
prevenzione   secondaria,   articolati   annualmente,  con  screening
riguardanti  le  malattie  infettive  e  psichiatriche,  i tumori, le
malattie  cerebro e cardiovascolari, il diabete, ecc., con il fine di
raggiungere  gli  obiettivi  di  salute  indicati nel Piano sanitario
nazionale.
3.2. Le attivita' di cura.
    Le  aziende  sanitarie  locali  nel  cui  ambito  territoriale e'
ubicato  uno  o  piu'  istituti  penitenziari individuano, secondo le
indicazioni  regionali,  modelli  organizzativi atti ad assicurare il
soddisfacimento  della domanda di cura dei detenuti e degli internati
e  organizzano percorsi terapeutici che garantiscano la tempestivita'
degli interventi, la continuita' assistenziale, l'appropriatezza e la
qualita'   delle   prestazioni,  la  verifica  dei  risultati,  anche
attraverso apposite linee-guida.
    Le principali aree di intervento sono:
      1) la medicina generale;
      2) la medicina specialistica;
      3) la medicina d'urgenza;
      4) l'assistenza ai detenuti tossicodipendenti;
      5) l'assistenza sanitaria alle persone immigrate detenute;
      6) le patologie infettive;
      7) la tutela della salute mentale.
3.2.1. La medicina generale.
    L'assistenza   medico-generica   deve   poter   essere  applicata
superando l'attuale frazionamento degli interventi secondo un modello
che preveda:
      1) visite mediche e colloquio con l'operatore di salute mentale
per tutti i nuovi giunti al loro ingresso in istituto;
      2)  visite  programmate  alle  persone detenute che ne facciano
richiesta;
      3)   il   raccordo   con  la  medicina  generale  presente  sul
territorio,  anche  mediante  la  redazione  puntuale  della cartella
clinica  del  detenuto durante la permanenza in carcere e la raccolta
delle  indicazioni che consentano di proseguire idonei ed appropriati
trattamenti  in  altri istituti o al ritorno in liberta' ed anche con
un'  apposita scheda di trattamento sanitario che viene consegnata al
detenuto ad opera del medico;
      4) strumenti idonei a rilevare i dati necessari ad alimentare i
flussi   informativi   sanitari   nella   logica   della  continuita'
assistenziale garantita dalle strutture previste dai livelli uniformi
ed essenziali di assistenza.
3.2.1-bis Assistenza farmaceutica.
    Ai  detenuti  e  internati  deve  essere  assicurata l'assistenza
farmaceutica  necessaria  sulla base delle prescrizioni del medico di
medicina  generale o dello specialista. Le aziende sanitarie locali e
gli  istituti  penitenziari  individuano le modalita' piu' idonee per
agevolare  il  reperimento  e  l'erogazione  dei  farmaci  in modo da
assicurare gli interventi di cura prescritti.
3.2.2. La medicina specialistica.
    In  stretta  correlazione  con  l'assistenza  medico-generica, la
medicina   specialistica   deve  garantire  gli  interventi  di  tipo
specialistico  su  indicazione  e  richiesta  del  medico di medicina
generale.
    Gli obiettivi specifici sono:
      1)  uniformare  in tutti gli istituti penitenziari gli standard
di assistenza specialistica;
      2)  garantire  interventi immediati in sintonia con le esigenze
di salute;
      3)  integrare le singole e specifiche competenze nell'ambito di
una   visione   globale   del   paziente   detenuto,   anche  tramite
l'organizzazione  di  momenti  di  raccordo  e confronto tra le varie
figure specialistiche;
      4)  avviare programmi di trattamento adeguati e compatibili con
lo stato di detenzione.
3.2.3.  La  medicina  d'urgenza.      La  popolazione detenuta per la
eterogeneita'  e per l'alta prevalenza di stati morbosi necessita che
vengano assicurati gli interventi urgenti.
    Sulla  base  di  tale  considerazione  e'  possibile  definire  i
seguenti obiettivi specifici:
      garantire  la  possibilita' di un pronto intervento nell'ambito
del sistema di emergenza-urgenza;
      effettuare,  quando  necessario,  iniziative  di  aggiornamento
obbligatorio del personale in tema di patologie urgenti;
      prevedere l'integrazione tra le strutture intramurarie e quelle
esterne per la medicina d'urgenza;
      disporre   di   adeguate   attrezzature   che   consentano   di
fronteggiare le urgenze senza dover ricorrere con frequenza all'avvio
in luoghi esterni di cura.
3.2.4. L'assistenza ai tossicodipendenti.
    I  tossicodipendenti  sono,  secondo  i  dati del Ministero della
giustizia, circa il 30% dei detenuti presenti nelle carceri italiane.
L'assistenza ai detenuti tossicodipendenti ha fino ad ora avuto luogo
mediante  l'integrazione  tra  i  servizi  territoriali di assistenza
(SerT)  e  gli  analoghi  presidi  intramurari.  Il  trattamento  del
tossicodipendente  prevede  l'attuazione delle misure di prevenzione,
diagnostiche  e terapeutiche che riguardano sia l'aspetto della sfera
psicologica che quello clinico.
    I   programmi  da  sviluppare  devono  garantire  la  salute  del
tossicodipendente   detenuto  e  assicurare,  contemporaneamente,  la
tutela   complessiva   della   salute   all'interno  delle  strutture
carcerarie; cio' comporta la ridefinizione del modello assistenziale,
in  un'ottica  che concili le strategie piu' tipicamente terapeutiche
con quelle preventive e di riduzione del danno.
    Tra  gli  obiettivi  di lungo periodo si pone, in primo luogo, la
formulazione  di  percorsi  capaci di una corretta individuazione dei
bisogni  di  salute,  in  particolare  tramite  la  raccolta  di dati
attendibili:
      sulle  reali  dimensioni  della  popolazione  tossicodipendente
detenuta, ottenuti con metodologie scientificamente accreditate;
      sul "turnover" della popolazione tossicodipendente detenuta;
      sull'incidenza  dell'alcolismo  e di problemi correlati all'uso
di sostanze (patologie psichiatriche, malattie infettive);
      sullo   stato   dei   presidi   per  l'assistenza  ai  detenuti
tossicodipendenti  presenti  negli istituti penitenziari, compreso il
personale ivi operante.
    Tra  gli obiettivi di assistenza da garantire primariamente vanno
ricordati:
      l'immediata  presa  in  carico  dei  detenuti da parte del SerT
competente  sull'istituto  penitenziario,  al fine di evitare inutili
sindromi   astinenziali   ed  ulteriori  momenti  di  sofferenza  del
tossicodipendente,     assicurando    la    necessaria    continuita'
assistenziale;
      la  implementazione  di  specifiche  attivita'  di prevenzione,
informazione  ed  educazione  mirate  alla  riduzione  del rischio di
patologie correlate all'uso di droghe;
      la richiesta ed effettuazione delle indagini chimico-cliniche e
sierologiche ritenute importanti ai fini diagnostici e/o di screening
(prelievi  ematici,  dosaggi  urinari), previo consenso dei detenuti,
quando richiesto dalla legge;
      la  effettuazione  di  ogni  eventuale intervento specialistico
necessario per l'approfondimento diagnostico;
      la  predisposizione  di  programmi  terapeutici personalizzati,
predisposti  a partire da una accurata diagnosi multidisciplinare dei
bisogni   del   detenuto,   in  particolare  per  quanto  riguarda  i
trattamenti farmacologici (metadone, ecc.), anche di mantenimento;
      la  disponibilita'  di  trattamenti  farmacologici  sostitutivi
tenendo   conto  del  principio  della  continuita'  terapeutica  (in
particolare  per  le  persone  che entrano in carcere essendo gia' in
trattamento),   concordati   e  condivisi  con  il  tossicodipendente
detenuto;
      la  attuazione  di  trattamenti  farmacologici con antagonisti,
quando   indicati,   in   particolare  nella  fase  di  avviamento  e
preparazione all'assistenza post-detentiva.
    Per  quanto  riguarda  il  modello  organizzativo  dovra'  essere
individuato dalla azienda sanitaria locale competente per territorio,
sulla  base  delle  indicazioni regionali, tenendo conto dei seguenti
elementi:
      la  titolarita'  dell'intervento  terapeutico da parte del SerT
competente sull'istituto, da coordinare, tramite i dipartimenti delle
dipendenze,  con  il  complesso  degli  interventi  territoriali  sui
tossicodipendenti   e   assicurando,  altresi',  la  possibilita'  di
comunicazione   rapida   ed   efficace   tra  servizi  intramurari  e
territoriali;  la  sistematica  segnalazione  al  SerT,  da parte dei
sanitari  addetti  alle  visite dei nuovi giunti, dei possibili nuovi
utenti;
      la  costituzione  di  un'area di osservazione necessaria ad una
migliore  capacita'  diagnostica  dei  bisogni  del detenuto; in ogni
caso,  la  individuazione  di  locali adeguati allo svolgimento delle
attivita' terapeutico riabilitative intra-murarie e ad esse riservati
in via esclusiva;
      l'indirizzo  dei  detenuti,  ovunque indicato e compatibilmente
con  le  caratteristiche  dei  singoli,  a  istituti  penitenziari "a
custodia attenuata", idonei per setting terapeutici piu' efficaci; in
ogni  caso dovranno essere previsti precisi meccanismi per facilitare
l'accesso  ai  colloqui  e/o  visite  del  detenuto  da  parte  degli
operatori.
    Il modello organizzativo dovra', altresi', consentire un migliore
coordinamento  con  programmi  svolti all'esterno, in particolare con
quelli svolti in regime di misura alternativa alla detenzione.
    Un  elemento,  infine, di notevole rilevanza per il conseguimento
di   un   costante   miglioramento   qualitativo   della   assistenza
penitenziaria  ai tossicodipendenti dovra' essere la realizzazione di
iniziative  di  formazione  permanenti che coinvolgano congiuntamente
sia  i  dipendenti  delle  aziende  sanitarie  locali  che quelli del
Ministero della giustizia.
3.2.5. L'assistenza sanitaria alle persone immigrate detenute.
    La popolazione immigrata detenuta (P.I.D.), ha subito nell'ultimo
decennio  un  incremento  sostanziale  legato  anche alla presenza di
frange  di  criminalita'  proveniente dagli ambienti degli immigrati.
Molti  di questi soggetti vengono a contatto per la prima volta nella
loro  vita  con un sistema sanitario organizzato solo all'ingresso in
carcere.  L'entita'  del  fenomeno suggerisce di prevedere specifiche
raccomandazioni per gli immigrati detenuti.
    In   primo  luogo  e'  necessario  che  le  conoscenza  circa  le
condizioni  di salute della P.I.D vengano al piu' presto approfondite
con adeguate indagini conoscitive.
    Propedeutico a qualsiasi intervento migliorativo delle condizioni
di salute degli immigrati in carcere e', infatti, la conoscenza delle
caratteristiche   della   popolazione  di  cui  trattasi.  E'  quindi
necessario:
      1)  conoscere  i  reali  bisogni  di  carattere sanitario della
popolazione immigrata detenuta;
      2) rendere fruibili le risorse sanitarie esistenti;
      3)  adottare  i  programmi  di  prevenzione  esistenti  per  le
malattie  trasmissibili  in  carcere tenendo conto della specificita'
della P.I.D..
    Tra  i  punti  critici  da  superare  e su cui occorre incentrare
l'attenzione si evidenziano:
      la  pressoche'  totale  mancanza  di  conoscenze sullo stato di
salute  degli immigrati detenuti, eccezion fatta per alcune patologie
(tubercolosi,  lue, HIV), oggetto di una pur parziale sorveglianza da
parte del Ministero della giustizia;
      la   carenza,   anche   nella  letteratura  internazionale,  di
esperienze  specifiche di prevenzione o studio che possano costituire
modelli di riferimento;
      la carenza, nella maggior parte degli istituti penitenziari, di
protocolli organizzativi volti ad una gestione sanitaria mirata della
P.I.D.;
      l'assenza  di  formazione specifica del personale sanitario, di
custodia,  di  supporto  (educatori,  assistenti  sociali, psicologi)
negli istituti penitenziari;
      la  non comprensione della lingua italiana di molti detenuti al
loro primo ingresso in carcere;
      la   non   conoscenza  delle  lingue  straniere  da  parte  del
personale;
      la  non conoscenza dell'immigrato delle norme e dei regolamenti
che disciplinano le attivita' sanitarie negli istituti penitenziari;
      l'assenza  di  informazioni  relative alle opportunita' offerte
dalla legislazione sanitaria italiana alle persone detenute malate di
uscire  dal  carcere (affidamento in prova per i tossicodipendenti ai
servizi  sociali,  ai  SerT, alle comunita' terapeutiche, gli arresti
domiciliari in caso di AIDS o di altre gravi patologie);
      la  scarsita'  e la non uniformita' sul territorio nazionale di
aiuti esterni su cui contare una volta usciti dall'istituzione;
      la   frammentarieta'   e  la  disomogeneita'  degli  interventi
(opuscoli  informativi  multilingue, sportelli d'ascolto ecc.) spesso
di iniziativa regionale, a volte addirittura locale;
      l'assenza di mediatori culturali.
    Su  base  regionale, ovvero di provincia autonoma, vanno promossi
accordi  locali  tra  regione  o  provincia autonoma, amministrazione
penitenziaria, aziende sanitarie locali e comuni per l'individuazione
congiunta  di  percorsi  coordinati atti a superare i succitati punti
critici.
3.2.6. Le patologie infettive.
    Le  malattie  infettive  costituiscono  un  problema rilevante in
tutte  le  comunita' chiuse. Assumono una particolare rilevanza nelle
condizioni   particolari   che   si   determinano   nelle   comunita'
penitenziarie in cui si verificano situazioni abitative, alimentari e
comportamentali  che  facilitano la diffusione e l'acquisizione delle
infezioni/malattie    infettive.   Inoltre,   l'eterogeneita'   della
provenienza   della   popolazione  detenuta  costituisce  un  rischio
rilevante  per l'importazione e la successiva diffusione di patologie
non presenti o non piu' attuali/comuni nel nostro Paese.
    Va  anche  considerata  la  difficolta'  di  inquadramento  e  di
attribuzione etiologica di segni e sintomi che entrano nella diagnosi
differenziale  delle  malattie  infettive,  ma  che potrebbero essere
determinati  da  altri  fattori,  tra  cui vanno ricordati l'abuso di
sostanze e la simulazione.
    L'analisi delle patologie infettive piu' frequentemente segnalate
in carcere indicano che:
      a) la  prevalenza  massima  di  infezioni  e' determinata dalle
epatiti  virali  non  A  e  dall'infezione da HIV in diversi stadi di
evoluzione;
      b) le  malattie  piu'  frequenti in carcere sono la scabbia, le
dermatofitosi, la pediculosi, l'epatite A e la tubercolosi;
      c) le  sintomatologie  associate  ad  etiologie  infettive sono
febbre e diarrea.
    L'analisi   del   tempo  di  incubazione  e  delle  modalita'  di
trasmissione  delle  patologie  sopra  riportate  fornisce importanti
informazioni ai fini della definizione degli interventi necessari.
    Le  patologie  del gruppo a) sono prevalentemente acquisite al di
fuori   del   carcere,  anche  se  casi  di  trasmissione  potrebbero
verificarsi  durante  la detenzione attraverso, scambio di siringhe e
rapporti sessuali, procedure di tatuaggio taglienti, etc.
    Le  patologie  del  gruppo  b)  sono prevalentemente acquisite in
carcere  per trasmissione persona-persona a seguito dell'ingresso nel
sistema di un soggetto infetto/infestato (con o senza segni e sintomi
di infezione al momento dell'ingresso).
    Le    malattie   infettive   del   gruppo   c)   possono   essere
prevalentemente   correlate   nel   primo   caso   alla  circolazione
all'interno   della   comunita'  carceraria  di  influenza  ed  altre
infezioni  respiratorie  acute a carattere epidemico, e nel secondo a
problemi    legati    all'igiene   dell'alimentazione,   inclusa   la
conservazione di cibi all'interno delle celle.
    L'analisi    sopra    riportata,   l'esperienza   della   estrema
pericolosita'  della  circolazione  in  ambito carcerario di malattie
come  la tubercolosi multiresistente, la circolazione di nuovi agenti
infettivi  o  di  agenti  gia'  noti con nuove modalita' o veicoli di
trasmissione  confermano  la  rilevanza  del fenomeno e l'esigenza di
attuare interventi efficaci di prevenzione e controllo.
    Gli  obiettivi  specifici  da  raggiungere  possono  essere cosi'
sintetizzati:
      predisporre  strumenti  di informazione per i detenuti e per il
personale (con particolare riferimento agli addetti alla preparazione
e distribuzione dei cibi) sulle infezioni/malattie infettive, al fine
di      ridurre      comportamenti     che     possano     facilitare
l'acquisizione/diffusione di patologie infettive;
      costruire   mappe  di  rischio  per  le  diverse  modalita'  di
trasmissione  delle infezioni al fine di sviluppare ed attuare misure
di   prevenzione   efficaci   per  controllare/ridurre  le  patologie
infettive.  La  mappatura  dei rischi deve contenere un'analisi degli
aspetti  che  vanno dalla salubrita' degli ambienti alla ventilazione
degli   stessi   per  le  patologie  aereotrasmesse,  dalla  densita'
abitativa   delle  celle  alla  disponibilita'/idoneita'  di  servizi
igienici  per  le  infezioni/infestazioni  cutanee  e  le infezioni a
trasmissione   oro-fecale,   fino  alle  modalita'  di  preparazione,
distribuzione   e  conservazione  degli  alimenti  per  le  infezioni
trasmesse attraverso il cibo;
      definire  procedure  standardizzate  di  valutazione  dei nuovi
ingressi  prima  dell'immissione  nel  sistema  penitenziario,  anche
attraverso  una  osservazione  attenta,  per quanto possibile, per un
periodo  pari  a  quello  di  incubazione  delle principali patologie
infettive;
      sperimentare  procedure  di screening per l'identificazione dei
soggetti   infetti  al  momento  dell'ingresso,  attuando  anche  una
valutazione costo-efficacia delle procedure adottate;
      sviluppare  protocolli  per l'inquadramento e la gestione delle
infezioni/malattie   infettive   clinicamente   evidenti,   con   una
dettagliata  guida  delle  misure  di  barriera  e delle procedure di
isolamento;
      garantire  ai  detenuti  l'accesso  ai trattamenti antinfettivi
(compresi  quelli  appartenenti  alla  fascia  H) anche attraverso il
ricorso a strutture esterne specializzate per le malattie infettive;
      sperimentare  la  fattibilita'  di interventi di immunizzazione
primaria  e  di  terapie  preventive  per  soggetti  gia' infetti (ad
esempio   per   la   tubercolosi),  attuando  anche  una  valutazione
costo-efficacia;
      adottare  attraverso  il  ricorso a strutture specialistiche in
diagnostica    molecolare   delle   malattie   infettive,   procedure
diagnositiche    che   consentano   di   definire   la   trasmissione
intracarceraria  delle  infezioni,  anche  al  fine  di  identificare
precocemente  possibili cluster di infezioni e mettere prontamente in
atto misure per bloccare eventi epidemici;
      sviluppare  un  sistema di sorveglianza che consenta di fornire
informazioni attendibili sul piano epidemiologico ed etiologico;
      costruire modelli di intervento psico-sociale e comportamentale
per  far  aumentare  la  consapevolezza  dei rischi di infezione, per
favorire  la  riduzione dei comportamenti a rischio e per determinare
una maggiore aderenza alle prescrizioni terapeutiche.
3.2.7. La tutela della salute mentale.
    E'  ormai riconosciuta a livello internazionale l'esistenza di un
disagio  psichico maggiore e diffuso negli istituti penitenziari. Nel
nostro  Paese  non  esistono  stime  epidemiologiche  attendibili, ma
l'esperienza  dei  medici  psichiatri  che  operano negli istituti da
tempo  evidenzia  il problema, sollecitando piu' mirati interventi di
prevenzione, cura e riabilitazione dei disturbi mentali.
    La  promozione  e  la  tutela della salute mentale negli istituti
penitenziari  vanno riguardate come obiettivi che nell'immediato e in
ogni  caso  il  Servizio  sanitario nazionale deve porsi, non solo ai
fini  piu'  strettamente  sanitari,  ma anche ai fini della sicurezza
negli  istituti.  Un maggiore  benessere  psichico, consentito da una
risposta  complessivamente  piu' consona alla domanda che i cittadini
del  carcere  formulano,  non  potra'  che  ridurre lo stillicidio di
piccole  e  grandi  emergenze  che  soffocano la vita penitenziaria e
danno  luogo  ad  un incessante disordine operativo. Il miglioramento
del  servizio  reso  nel settore della salute mentale, ad esempio, ha
potenzialmente  un  ruolo  decisivo nella prevenzione dei fenomeni di
autolesionismo  piu'  o  meno  gravi  e della protesta che il disagio
sostiene, con indiscutibili effetti positivi anche sulla custodia.
    Cio'  premesso, occorre pensare ad una risposta in questo settore
che  attraversi  l'intero assetto sanitario del carcere, coinvolgendo
tutte  le  professionalita' a vario titolo chiamate a rispondere alle
esigenze  di  cura  e  trattamento  delle  persone recluse (agenti di
polizia  pentienziaria,  assistenti sociali, educatori professionali,
infermieri,  psicologi,  medici,  psichiatri e neuropsichiatri) in un
progetto di complessiva presa in carico e in stretto collegamento con
gli  assetti  della  salute  mentale  esterni,  specifici delle varie
realta'.   Un  collegamento  funzionale  e  organizzativo  necessario
affinche'  il  carcere  assuma una identita' sanitaria in tale ambito
non separata dal resto del territorio, con cui dovra' inevitabilmente
articolarsi.
    Fatta  questa  breve  premessa  si  riportano,  di  seguito,  gli
obiettivi da raggiungere nel triennio:
      1)  valutare  con  urgenza entita' e distribuzione dei disturbi
mentali  nella  popolazione  reclusa  nei  diversi luoghi, compito da
affrontare  quanto prima, attraverso progetti concordati tra Servizio
sanitario     nazionale     e    Dipartimento    dell'amministrazione
penitenziaria,   ad  iniziare  dalle  regioni  coinvolte  nella  fase
sperimentale;
      2)  curare  la  formazione  e  l'aggiornamento  degli operatori
coinvolti  secondo  moduli  che  tengano conto delle specificita' del
contesto in cui si opera;
      3)  assicurare  che  l'attivita'  di  tutela e promozione della
salute  mentale  sia coordinata dal Dipartimento della salute mentale
del    territorio    di    appartenenza,   individuando   un'apposita
articolazione  organizzativa.  Cio' affinche' anche i malati detenuti
possano  usufruire  di tutte le possibilita' di cura e riabilitazione
garantite dai servizi del territorio;
      4)   adottare   in   carcere   strumenti   che   consentano  la
domiciliazione   della   cura,   il   lavoro   multidisciplinare,  la
formulazione  di  progetti di trattamento individuali, la continuita'
del  trattamento, la presa in carico personalizzata del caso in luogo
della risposta limitata all'urgenza;
      5) prevedere che vengano istituite, per i soggetti con disturbi
mentali,  sia  zone  di  osservazione  e  intervento  clinico  sia di
riabilitazione,  tali  da  non determinare una separazione, bensi' da
consentire un livello maggiore di integrazione;
      6)  ricercare  strumenti di cooperazione tra Servizio sanitario
nazionale  e  Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria al fine
di  favorire  l'assegnazione dei soggetti con disturbi mentali a sedi
penitenziarie  ubicate  nello  stesso  ambito  regionale o confinante
rispetto alla residenza che avevano prima di essere reclusi;
      7)  attivare  scambi  e  cooperazione tra area sanitaria e area
trattamentale, al fine di evitare, fin dove possibile, duplicazioni e
sovrapposizioni  sfavorevoli  al  benessere psichico. Uno dei terreni
sui quali sperimentare questa possibilita' e' costituito dal servizio
nuovi  giunti,  dove  gli  psicologi  che  vi  operano lavoreranno di
concerto  con  gli  psichiatri.  Sara'  da  completare l'attivazione,
comunque,  in  ogni istituto, di un'area nella quale la questione del
trattamento  incontri  quella  della  tutela e della promozione della
salute mentale, al fine di definire la forma migliore di trattamento,
nell'interesse della persona e dell'istituzione;
      8)    Considerando   necessario   un   riordino   del   settore
dell'internamento    psichiatrico    giudiziario   occorre   definire
protocolli  e  modalita'  di  collaborazione  tra  gli  operatori del
Dipartimento  di  salute  mentale  e  gli  operatori del Dipartimento
dell'amministrazione  penitenziaria,  ai  fini  della  definizione di
interventi terapeutici e riabilitativi a favore degli internati.
3.2.7.1. Istituti o sezioni speciali per infermi e minorati psichici.
Centri di osservazione e istituti minorili.
    Sono  assegnati  agli  istituti  o servizi speciali per infermi e
minorati  psichici  gli  imputati  e i condannati, ai quali nel corso
della  misura  detentiva  sopravviene una infermita' psichica che non
comporti, rispettivamente, l'applicazione provvisoria della misura di
sicurezza   del  ricovero  in  ospedale  psichiatrico  giudiziario  o
l'ordine  di ricovero in O.P.G. o in case di cura o custodia nonche',
per  l'esecuzione  della pena, i soggetti condannati a pena diminuita
per vizio parziale di mente.
    Sono  da  prevedere,  per  questi luoghi, una speciale attenzione
alla  salute mentale degli ospiti e quindi una specifica dotazione di
risorse  e  una  stretta  integrazione con le strutture deputate alla
tutela della salute mentale.
    I  centri  di  osservazione,  oltre  a  svolgere  le attivita' di
osservazione   previste   dall'ordinamento   penitenziario,  ospitano
periziandi e svolgono attivita' di ricerca scientifica.
    Sono  da  prevedere,  per  questi luoghi, una speciale attenzione
alla  salute  mentale  degli  ospiti,  qualora  sottoposti  a perizia
psichiatrica  e  comunque  affetti  da  turbe  psichiche,  in stretto
collegamento  con  gli  assetti  organizzativi  esterni  della salute
mentale  specifici di un certo territorio, da estendere al territorio
carcere, nonche' forme di collaborazione dei Ministeri della sanita',
della  giustizia  e  dell'universita'  e  della  ricerca scientifica,
finalizzate  alla ricerca nei settori delle carenze psichiche e delle
cause di disattivamento sociale e queste riferibili.
    Anche  per  gli  istituti minorili la tutela della salute mentale
deve  prevedere una speciale attenzione e il collegamento stretto con
gli  assetti  organizzativi esterni specifici di un certo territorio,
da estendere al territorio carcere.
3.3. Le attivita' di riabilitazione.
    Le  condizioni di prevalente immobilita' proprie della condizione
carceraria,   gli   stati   di  invalidita'  congenita  o  acquisita,
richiedono  una  ricognizione  dei  bisogni  riabilitativi in ciascun
istituto  penitenziario,  in modo da predisporre programmi mirati che
prevedano,  comunque, un approccio multidisciplinare e l'integrazione
di   interventi  di  diverse  professionalita'  (sanitarie,  sociali,
educative)  avendo  a  riferimento  l'unitarieta'  della persona e il
principio  della  continuita'  e  della  integrazione dei trattamenti
sanitari.
    La   riorganizzazione   e   l'implementazione   delle   attivita'
riabilitative  (spesso  assenti),  richiedono  uno specifico progetto
elaborato  d'intesa tra gli assessorati alla sanita' delle regioni ed
i  provveditorati  dell'amministrazione penitenziaria, per realizzare
in  ogni  istituto  penitenziario spazi attrezzati per lo svolgimento
delle attivita' di riabilitazione.
    Qualora i trattamenti riabilitativi dovessero svolgersi in centri
esterni,  si  applicano  le  procedure  previste  per  i  ricoveri in
day-hospital o in regime ordinario esterni al carcere.
    Le aziende sanitarie locali valutano l'entita' del lavoro svolto,
il  livello e l'adeguatezza tecnica e tecnologica delle strutture, la
qualita'  delle  prestazioni  erogate,  i  risultati  ottenuti  anche
coinvolgendo  nella  valutazione  i  soggetti  interessati,  avendo a
riferimento  le  linee-guida  del  Ministero  della  sanita'  per  le
attivita'   di  riabilitazione,  approvate  con  provvedimento  della
Conferenza Stato-regioni del 7 maggio 1998.
4. I modelli organizzativi.
    Il decreto legislativo n. 230 del 1999, prevede che gli obiettivi
per  la  tutela  della  salute  dei  detenuti  e degli internati sono
precisati  nei  programmi  delle  regioni  e  delle aziende sanitarie
locali  e  realizzati  mediante l'individuazione di specifici modelli
organizzativi,   anche   di  tipo  dipartimentale,  differenziati  in
rapporto   alla   tipologia   e   alla   consistenza  degli  istituti
penitenziari ubicati in ciascuna regione.
    Ai    fini    di    promuovere    l'individuazione   di   modelli
organizzativi-funzionali  al  perseguimento degli obiettivi di salute
richiamati,  si  forniscono  indicazioni  sui  possibili  modelli  da
adottare,  tenendo  conto  delle  diverse tipologie e caratteristiche
degli istituti penitenziari:
      a) per gli istituti penitenziari con una popolazione fino a 200
detenuti,   alla   data  del  30 giugno  1999,  l'indicazione  e'  di
istituire, nell'ambito del distretto sanitario, un servizio sanitario
multiprofessionale,  diretto  da un dirigente medico nominato secondo
le   procedure   previste  dalla  normativa  vigente  in  materia  di
conferimento  degli  incarichi  dirigenziali.  Il medico responsabile
coordina  le  prestazioni  erogate  dalle  strutture  e dal personale
dell'azienda,   il   servizio  assicura  le  prestazioni  di  base  e
specialistiche.
      b) per  gli istituti penitenziari con una popolazione ristretta
da 200 a 700 detenuti, alla data del 30 giugno 1999, l'indicazione e'
di  istituire  una  unita'  operativa  multiprofessionale,  ovvero un
dipartimento  funzionale,  ai fini della erogazione delle prestazioni
di  base  e  specialistiche.  L'unita'  operativa  e'  diretta  da un
dirigente   medico  nominato  secondo  le  procedure  previste  dalla
normativa  vigente  in  materia  di  conferimento degli incarichi, il
medico   responsabile   coordina   la   medicina  generale  e  quella
specialistica,  promuove  gli  interventi  necessari  da  parte delle
competenti   articolazioni   organizzative  delle  aziende  sanitarie
locali, assicura l'integrazione tra le prestazioni sanitarie e quelle
sociali in collaborazione con il responsabile dei servizi sociali.
      c) per  gli  istituti penitenziari con oltre 700 detenuti, alla
data  del  30 giugno  1999, o per piu' istituti penitenziari anche di
diversa   tipologia   (minorili,   femminili),  l'indicazione  e'  di
istituire  un  apposito  dipartimento strutturale per la tutela della
salute  dei  detenuti, articolato in piu' unita' operative, dotato di
uno  specifico  budget,  con un direttore responsabile, con personale
medico,  tecnico  e infermieristico nonche' con psicologi, assistenti
sociali  e  educatori professionali. Il direttore del dipartimento e'
nominato  dal  direttore generale secondo le procedure previste dalla
normativa  vigente  in  materia di conferimento degli incarichi. Egli
predispone  il  programma  annuale,  coordina  le attivita' di base e
specialistiche,   promuove  gli  interventi  delle  strutture  e  del
personale.
      d) per  gli  istituti penitenziari minorili l'indicazione e' di
istituire nell'ambito del dipartimento per la tutela della salute dei
detenuti,  ove  esistente, una specifica unita' operativa, ovvero, in
assenza  del  dipartimento, uno specifico servizio multidisciplinare.
L'unita'  operativa o il servizio multidisciplinare comprendono tutte
le  professionalita' necessarie allo svolgimento dello specifico tipo
di  assistenza  e collaborano con i servizi sociali dell'istituto con
il compito precipuo di sottrarre il minore al circuito penitenziario.
      e) per  gli istituti penitenziari femminili l'indicazione e' di
istituire,  nell'ambito  del  dipartimento per la tutela della salute
dei   detenuti,   ove   esistente,  una  specifica  unita'  operativa
multidisciplinare  ovvero, in assenza del dipartimento, uno specifico
servizio    multiprofessionale,   tenuto   conto   delle   specifiche
professionalita' che tale tipo di assistenza richiede.
    Le  regioni  e  province  autonome dettano indirizzi alle aziende
sanitarie locali, per la definizione dei modelli organizzativi.
    In  ogni  caso,  qualunque sia il modello organizzativo adottato,
l'azienda  sanitaria  locale  deve  garantire, in analogia con quanto
prescritto per i cittadini in stato di liberta' dall'art. 8, comma 1,
lettera  e),  del  decreto  legislativo  n. 229 del 1999, l'attivita'
assistenziale  per  l'intero arco della giornata e per tutti i giorni
della    settimana,   attraverso   il   coordinamento   operativo   e
l'integrazione  professionale  tra  i  medici di medicina generale, i
medici   specialisti  ambulatoriali  e  le  strutture  operative  del
Servizio  sanitario  nazionale.  Tale Servizio si avvale di mediatori
culturali  per  le  attivita'  sanitarie destinate ai detenuti o agli
internati stranieri.
    Al  termine  della fase sperimentale, prevista dall'art. 8, comma
2,   del   decreto   legislativo   n.   230   del  1999,  sulla  base
dell'esperienza  e  dei  risultati  conseguiti,  si  procedera'  agli
eventuali interventi di ridefinizione dei modelli organizzativi.
5. Il ricovero nelle unita' operative di degenza.
    Il ricovero in una unita' operativa di degenza esterna al carcere
e'  previsto  per  la cura degli stati acuti di malattia dei soggetti
detenuti.
    Le  ragioni  della  sicurezza  dell'amministrazione penitenziaria
evidenziano  l'esigenza di limitare il ricorso al ricovero esterno ai
soli   casi   necessari   e   l'impegno   a   qualificare  in  misura
sempre maggiore  la  rete dei servizi diagnostici e terapeutici e dei
presidi all'interno degli istituti penitenziari.
    La   regione,   sentito  il  provveditorato  dell'amministrazione
penitenziaria, secondo quanto previsto dall'art. 8-quater del decreto
legislativo   n.   502   del   1992   e  successive  modificazioni  e
integrazioni,  stabilisce  i  requisiti  per  l'accreditamento  delle
strutture  e  dei  presidi  di ricovero interni al carcere, a partire
dagli  esistenti  reparti  clinici  e chirurgici dell'amministrazione
penitenziaria  (cosidetti  Centri diagnostici e terapeutici). In ogni
caso,  mai  le  ragioni  della sicurezza possono mettere a rischio la
salute e la vita dei detenuti.
    Anche  in  riferimento  alle  particolari  responsabilita'  e  ai
gravosi  impegni  di  traduzione, di trasferimento e di piantonamento
che il ricovero esterno richiede all'amministrazione penitenziaria il
ricovero  ospedaliero,  fatte  salve  le  competenze  della Autorita'
giudiziaria  e della suddetta amministrazione, deve essere motivato e
coordinato dal Servizio sanitario nazionale.
    Nell'immediato,  per  il  ricovero  all'esterno  del  carcere  va
utilizzata   la   rete   dei  presidi  ospedalieri  o  delle  aziende
ospedaliere  esterni;  a  medio  termine,  ci  si  avvarra'  anche di
"sezioni ospedaliere specifiche" ricavate negli ospedali.
    Entro  sei mesi dall'entrata in vigore del Progetto obiettivo per
la  tutela della salute in ambito penitenziario, le regioni di intesa
con  il  Ministero  della  sanita'  e  il  Ministro  della giustizia,
individuano  i presidi ospedalieri o le aziende ospedaliere nei quali
istituire  appositi  reparti riservati ai detenuti che abbisognano di
cure in ambito ospedaliero.
    Del  pari  alle  strutture  sanitarie, il Ministero della sanita'
censisce  e verifica le strutture a custodia attenuata, programmando,
d'intesa  con  il  Ministero della giustizia, l'attivazione di almeno
una struttura in ogni regione.
6.   L'organizzazione   per   il  governo  della  sanita'  in  ambito
penitenziario.      Il  trasferimento dell'assistenza sanitaria negli
istituti  penitenziari  al  Servizio sanitario nazionale, consente di
superare  una  separatezza  storica tra culture ed esperienze diverse
che  hanno una finalita' comune: la salute delle persone, sempre e in
ogni   caso,   tenendo  conto  della  specificita'  delle  condizioni
ambientali.
    La  ricomposizione  di  questa  separatezza  consente,  oggi,  di
mettere  a  disposizione  dei  programmi per la salute dei detenuti e
degli internati tutto il potenziale del Servizio sanitario nazionale,
dalla  ricerca alla sperimentazione, dalla formazione degli operatori
alla  rete  dei servizi territoriali e ospedalieri, dalla prevenzione
alla riabilitazione.
    Cionondimeno,   deve   essere   salvaguardato  il  patrimonio  di
esperienze  e  di  conoscenze fino ad oggi acquisite dal personale in
materia di assistenza sanitaria negli istituti penitenziari.
    Il  governo  della  sanita'  in carcere deve trovare una puntuale
organizzazione  a livello nazionale, nella individuazione di comitati
tecnici  interministeriali  per  indirizzare e coordinare l'attivita'
sanitaria in ambito penitenziario. A livello regionale, le regioni si
impegnano ad istituire analoghi comitati di indirizzo e coordinamento
e   assicurano   la   propria   collaborazione  ai  comitati  tecnici
interministeriali suddetti.
    Il  Ministero  della  sanita' si impegna ad istituire, secondo la
normativa vigente e senza ulteriori oneri a carico del bilancio dello
Stato,  uno  specifico Ufficio ai fini dell'indirizzo e coordinamento
del processo di riordino della sanita' penitenziaria.
7. Compiti dello Stato, delle regioni e delle aziende sanitarie.
7.1 Lo Stato.
    Il  Ministero  della  sanita'  esercita  le competenze di rilievo
nazionale o interregionale, in materia di programmazione, indirizzo e
coordinamento   del   Servizio  sanitario  nazionale  negli  istituti
penitenziari.
    Per  le  attivita'  previste  nel Progetto obiettivo, utilizza le
risorse  finanziarie  trasferite  dal  bilancio  del  Ministero della
giustizia   secondo  quanto  previsto  dall'articolo  7  del  decreto
legislativo n. 230 del 1999.
    Le  risorse  sono  trasferite  annualmente  dal  Ministero  della
sanita'  alle  regioni,  sulla  base di criteri concordati in sede di
Conferenza  Stato-regioni,  tenendo conto degli istituti penitenziari
presenti  in ciascuna regione, della consistenza e della composizione
della  popolazione  detenuta  e  internata, dei presidi e dei servizi
sanitari  interni  agli istituti penitenziari presenti nella regione,
con  particolare  riferimento  ai  reparti clinici e chirurgici degli
istituti  medesimi, agli ospedali psichiatrici giudiziari, ai reparti
ospedalieri  per  detenuti,  ai  presidi per l'assistenza ai detenuti
tossicodipendenti, ai malati di mente e ai malati di AIDS.
    Il  Ministero  della  sanita'  provvede  a  rendere  disponibili,
nell'ambito  delle  risorse destinate all'adeguamento delle strutture
di  ricovero,  apposite  risorse  per la ristrutturazione dei presidi
all'interno  degli istituti penitenziari e per l'istituzione di nuovi
reparti per detenuti nei presidi e nelle aziende ospedalieri esterni.
    A  livello  nazionale  e  regionale  e' assicurata la rilevazione
epidemiologica  dello  stato  di  salute della popolazione detenuta e
internata,  dei  rischi,  della  morbilita'  e  delle cause di morte,
finalizzato  a  rendere  disponibile  al Servizio sanitario nazionale
ogni  informazione  utile  alla  programmazione  e  al  governo delle
attivita' di prevenzione, di cura e riabilitazione in carcere.
    In  applicazione  dell'art.  5,  comma  3  lettera c) del decreto
legislativo   n.   230/1999,   il   Ministero   della   sanita',   in
collaborazione con quello della giustizia, promuove iniziative per la
formazione  specifica e l'aggiornamento degli operatori sanitari, del
personale   dell'amministrazione   penitenziaria   e   dei  mediatori
culturali che operano in carcere.
    La  relazione  sullo  stato  sanitario del Paese che il Ministero
della  sanita'  e' tenuto a presentare al Parlamento in base all'art.
1,  comma  10 del decreto legislativo n. 229/1999 prevede un apposito
capitolo  riguardante  lo stato di salute negli istituti penitenziari
italiani,  a  norma  dell'art. 5, comma 7, del decreto legislativo n.
230/1999.
7.2 Le regioni.
    Le  regioni  esercitano  le competenze in ordine alle funzioni di
programmazione   e  di  organizzazione  dei  servizi  sanitari  negli
istituti  penitenziari  e  il controllo sul funzionamento dei servizi
medesimi.
    A tale scopo la regione:
      a) approva,   entro   sessanta   giorni  dall'approvazione  del
Progetto   obiettivo   per   la   tutela   della   salute  in  ambito
penitenziario,   sentito   il   Provveditorato   dell'amministrazione
penitenziaria, il Progetto obiettivo regionale. Tale Progetto, indica
gli  obiettivi  di  salute  da  raggiungere  nel  triennio, i modelli
organizzativi  da  adottare  in  ciascuno degli istituti penitenziari
presenti  nella  regione, anche di tipo dipartimentale; gli strumenti
di  supporto  alle  aziende  e  il  controllo  per  la verifica della
qualita'  e  dell'efficacia delle prestazioni; le procedure e i tempi
che  le aziende sanitarie locali devono seguire nella predisposizione
del  piano attuativo locale per la tutela della salute dei detenuti e
degli internati;
      b) prevede  le  risorse  finanziarie  da assegnare alle aziende
sanitarie  locali  per la costituzione e il funzionamento dei modelli
organizzativi  per  la salute dei detenuti e degli internati e per la
realizzazione del piano attuativo locale;
      c) organizza il piano di riordino della rete ospedaliera per il
ricovero dei detenuti;
      d)  predispone  il  programma  dei  corsi  di  formazione  e di
aggiornamento  del  personale  sanitario,  sociale  e  dei  mediatori
culturali,    nonche',    previa   intesa   con   il   Provveditorato
dell'amministrazione        penitenziaria,        del       personale
dell'amministrazione penitenziaria;
      e) redige  una  relazione  sullo  stato di salute nelle carceri
presenti  nella  regione.  La relazione e' inviata al Ministero della
sanita' e all'amministrazione penitenziaria;
      f) esercita  il  controllo sull'operato delle aziende sanitarie
interessate;
      g) concorda    con   il   Provveditorato   dell'amministrazione
penitenziaria  le  sedi  territoriali  ove  e' piu' opportuno avviare
iniziative  di  custodia  attenuata,  sia come istituti riservati che
come sezioni annesse a grandi strutture penitenziarie.
7.3 I compiti delle aziende sanitarie locali.
    In  riferimento  agli  obiettivi  di salute indicati nel Progetto
obiettivo  nazionale  e  in  quello  regionale,  le aziende sanitarie
locali  svolgono  compiti  di  gestione  e  di  controllo dei servizi
sanitari che operano negli istituti penitenziari.
    A tale scopo il direttore generale:
      a) predispone,     sentito     il    direttore    dell'istituto
penitenziario,  nell'ambito  del  piano  attuativo  locale, specifici
progetti  di  intervento  nelle  carceri, coinvolgendo il comune o la
conferenza dei sindaci nell'esame e nella definizione;
      b) approva  i  modelli  organizzativi  individuati nei progetti
obiettivo nazionale e regionale e nomina i responsabili;
      c) formula  alla  regione,  sentito  il direttore dell'istituto
penitenziario  interessato,  le  proposte di riordino delle strutture
sanitarie   interne   ed   esterne   al   carcere,   ai   fini  della
predisposizione del piano di riordino dei presidi sanitari e del loro
ammodernamento strutturale e tecnologico;
      d) attua   le   intese   con   la   direzione   degli  istituti
penitenziari;
      e) assicura  che le risorse finanziarie assegnate dalla regione
siano  correttamente  ed  esclusivamente  impiegate  per l'assistenza
sanitaria in ambito penitenziario;
      f) approva la carta dei servizi per i detenuti e gli internati,
previa  consultazione  con le loro rappresentanze, ai sensi dell'art.
1, comma 3, del decreto legislativo n. 230 del 1999.
8. La formazione e l'informazione.
    Nell'ambito   del   processo   di  trasferimento  delle  funzioni
sanitarie al Servizio sanitario nazionale, una importanza particolare
riveste la formazione permanente e specifica degli operatori sanitari
e del personale di polizia penitenziaria.
    I  programmi di formazione del suddetto personale dovranno essere
tenuti  nella  massima  considerazione  alla luce della rilevanza del
rapporto  quotidiano  con i detenuti ed in particolare con le persone
portatrici  di  sofferenza psichica. Una formazione reale ed efficace
dovra'   prevedere   nella   verifica   il   momento  quotidianamente
privilegiato,  soprattutto  se questa sara', come auspicabile, estesa
ed  omogenea  su tutto il territorio nazionale e non incentrata sulle
iniziative locali.
    In   particolare,   nell'ambito   dei  programmi  di  prevenzione
dell'infezione  da HIV e dell'abuso di droghe deve essere prevista la
messa  in  atto  di  opportuni  momenti  di  informazione  attraverso
l'utilizzazione  di adeguati supporti, non rigidamente connessi ad un
unico   modello,  ma  applicabili  e  modificabili  secondo  esigenze
differenziate.
    Opportuni  programmi  di  educazione  sanitaria in tema di droga,
alcool, AIDS e salute mentale, appaiono essere prioritari nell'ambito
della comunita' detenuta.
    L'informazione    su   questi   temi   attraverso   un'opera   di
sensibilizzazione   diretta   rappresenta   un  valido  strumento  di
prevenzione.
    I programmi informativi dovranno privilegiare forme differenziate
di  comunicazione  se  indirizzate  a  detenuti italiani o stranieri,
tenendo conto delle specifiche esigenze etniche e religiose.
    E'  auspicabile  la  sempre maggiore  presenza  della  figura del
mediatore  culturale,  persona, questa qualificata sul piano non solo
linguistico  ma  soprattutto  culturale,  che consenta di superare le
difficolta'   nei  rapporti  con  i  detenuti  provenienti  da  paesi
stranieri. Tali persone vanno formate in modo sempre piu' appropriato
al procedere delle conoscenze.
9.  Applicazione.      Il Progetto obiettivo trova applicazione piena
nelle regioni che attuano la sperimentazione ai sensi dell'art. 8 del
decreto   legislativo  230/1999.  Nelle  altre  regioni  il  Progetto
obiettivo  si  applica  con  riferimento alle funzioni effettivamente
trasferite e costituisce orientamento generale sulla materia.