(all. 1 - art. 1) (parte 1)
                DIREZIONE GENERALE DELLA PREVENZIONE
               (gia' -DIPARTIMENTO DELLA PREVENZIONE-)
                  Commissione oncologica nazionale

               Linee Guida concernenti la prevenzione,
               la diagnosi e l'assistenza in oncologia

                               Parte I

            GLI OBIETTIVI DI SALUTE DEL PIANO ONCOLOGICO
                              NAZIONALE

PREMESSA

   Il  cancro  e'  una  delle  patologie piu' complesse e diffuse nel
panorama epidemiologico clinico attuale.
   La  complessita'  della  patologia  oncologica  dipende  da alcune
caratteristiche  biologiche  e cliniche peculiari dei tumori maligni,
quali  l'eziologia  multifattoriale,  l'eterogeneita'  biologica,  la
variabilita'  delle  manifestazioni  cliniche e della storia naturale
della malattia, l'estrema diversificazione della risposta terapeutica
ai  diversi  trattamenti,  in  particolare  alla  terapia  medica, in
funzione del tipo istologico e delle proprieta' bio-molecolari, della
sede  d'insorgenza  della  neoplasia  e,  infine,  la  gravita' delle
problematiche  assistenziali,  psicologiche  e  sociali sollevate dal
riconoscimento della malattia e dall'evoluzione della stessa verso la
cronicita' o verso la fase terminale.
   La   diffusione   della   malattia  rappresenta  inoltre  un  dato
quantitativo  che,  al  pari  della complessita' biologica e clinica,
pone l'esigenza del controllo del cancro fra le priorita' assolute in
tema di tutela della salute.

IMPATTO COMPLESSIVO DELLA PATOLOGIA ONCOLOGICA

   I  dati  epidemiologici di maggior rilievo riguardano l'incidenza,
la  mortalita'  e  la  prevalenza  della  malattia  nella popolazione
italiana.
   La  misura  dell'incidenza  e'  un  indicatore  del  fabbisogno di
risorse  diagnosticoterapeutiche nella fase d'esordio della malattia.
L'incidenza  stimata dei tumori maligni in Italia e' pari a 389.8 nei
maschi e 309.5 nelle femmine per 100.000 abitanti. Nel 1996, per 1000
abitanti,  i  tassi  complessivi  di mortalita' per cancro sono stati
3,14 nei maschi e 2,12 nelle femmine. ( fonte I.S.S.) La probabilita'
di  ammalare  di  cancro,  nel  corso  della propria vita, e' per gli
uomini di 1\3 e per le donne 1\4. Il cancro e' inoltre la prima causa
di anni di vita perduti.
   In  termini  assoluti,  in  Italia  i  nuovi  casi annui di tumore
maligno  assommano  a circa 270.000. I decessi, dovuti ogni anno alla
malattia,  sono  circa  150.000, pari al 24-25 % di tutte le cause di
morte  e  occupano il secondo posto dopo le malattie cardiovascolari.
Nel  1996  si  sono verificati 87.428 decessi per cancro nei maschi e
62.726 decessi nelle femmine. (fonte I.S.S.)
   I tassi di mortalita', compresi nella fascia di eta' tra i 35 ed i
64  anni,  si sono mantenuti piuttosto costanti, mentre e' aumentata,
nell'ultimo  decennio,  l'incidenza  della  patologia neoplastica. Il
dato  puo'  rappresentare un utile indicatore del miglioramento delle
potenzialita'  diagnostico-terapeutiche e degli assetti organizzativi
nel campo dell'assistenza ai malati oncologici.
   Se   per   alcune  neoplasie  (prostata  e  polmone)  l'incremento
dell'incidenza  puo'  correlarsi  al  prolungamento della vita media,
cio' non e' per altre patologie (mammella, colon retto, melanoma) per
le  quali  vi  e'  stato invece un significativo aumento, anche nelle
fasce di eta' piu' giovani, comprese tra i 35 ed i 64 anni.
   Il piu' frequente tumore nel sesso maschile e' quello del polmone,
che  colpisce  ogni anno 29.000. uomini; il piu' frequente tumore nel
sesso  femminile  e'  quello del seno, che colpisce ogni anno 31.000.
donne.

DISTRIBUZIONE GEOGRAFICA DEI TUMORI IN ITALIA.

   La   distribuzione   del   cancro   in  Italia  e'  caratterizzata
dall'elevata  differenza di incidenza e di mortalita' fra grandi aree
del  paese,  in particolare fra nord e sud. In entrambi i sessi e per
la  maggior  parte  delle  singole  localizzazioni  tumorali,  ed  in
particolare per i tumori a maggiore frequenza, il rischio di ammalare
e' molto superiore al nord che al sud del paese. Questo dato e' unico
tra  i  paesi  industrializzati  europei, dove si hanno, fra regioni,
differenze meno marcate.
   Questi  dati  sembrano  d'altronde essere coerenti con quanto noto
sulla   minore  presenza  di  fattori  di  rischio  di  tumore  nelle
popolazioni meridionali quali:

  -  livelli di consumo di tabacco e di alcool inferiori a quelli del
  nord del paese;
  -  profili  riproduttivi  di  cui  e' dimostrata l'associazione con
  ridotti livelli di rischio dei tumori della mammella;
  -  meno frequente esposizione a sostanze cancerogene in ambienti di
  vita e di lavoro;
  -  abitudini  alimentari ricche di vegetali freschi e relativamente
  povere di grassi animali.

I CONFRONTI INTERNAZIONALI

   Nel caso dei tumori piu' frequenti: polmone, colon-retto, mammella
e  vescica,  i  dati  italiani sono allineati ai livelli di frequenza
piu'  elevati  del  Nord  America  e  Nord  Europa; nel caso di altre
neoplasie  rilevanti,  quali  il  cancro dello stomaco, il cancro del
fegato  e  della  prostata, i profili di rischio sono comparabili con
quelli  propri di paesi a basso sviluppo economico. Tali osservazioni
collocano l'Italia ai livelli alti di frequenza, osservati nel mondo.

LA SOPRAVVIVENZA

   Nelle malattie croniche e nel caso specifico nei tumori, la durata
della   sopravvivenza   e'   considerata   la  misura  piu'  adeguata
dell'efficacia delle cure. Le differenze di sopravvivenza fra tipi di
tumori   e'   funzione  peraltro  di  numerose  variabili,  quali  la
possibilita'  di una loro diagnosi in fase asintomatica, attraverso i
test  di  screening,  la  probabilita'  di  una loro diagnosi in fase
sintomatica precoce, l'efficacia di specifici trattamenti.
   Per  alcune  neoplasie  si dispone di test di screening di provata
efficacia,   nel  consentire  trattamenti  precoci  che  riducano  la
letalita'. Per altre, al momento, non esistono simili strumenti ed il
trattamento dei casi sintomatici produce tuttora risultati deludenti.
L'osservazione  della  durata della sopravvivenza, a cinque anni, per
il complesso dei tumori, mostra che i risultati terapeutici osservati
in  Italia sono buoni e la situazione nel complesso puo' considerarsi
soddisfacente.  Le  differenze  riscontrabili  all'interno  del paese
indicano   che  vi  sono  comunque  margini  di  miglioramento  delle
possibilita'  di  trattamento per alcune forme tumorali. Il confronto
con  il  quadro  europeo  e'  buono. Infatti, i dati di sopravvivenza
rilevati in Italia sono uguali, superiori e, nei casi meno brillanti,
comunque non inferiori ai livelli minimi osservati in altri paesi.

LA PREVALENZA

   I dati di prevalenza esprimono il carico di una patologia presente
in una popolazione. Per quanto attiene le malattie neoplastiche, sono
quindi indicatori della domanda di servizi nelle fasi successive alla
fase acuta della malattia.
   La  prevalenza  stimata  delle  persone  che  vivono oggi avendo o
avendo avuto una storia di cancro e' di circa 1.400.000.
   I  dati  relativi all'incidenza e sopravvivenza dei tumori sono in
aumento,  cosi'  come  e'  in  crescita l'attesa di vita, anche nelle
persone  anziane.  Queste tendenze convergono nell'allargare la quota
di  casi  prevalenti  nella  popolazione.  Sono  quindi  evidenti  le
implicazioni  che  la  patologia  oncologica,  nelle  sue varie fasi,
comporta per il servizio sanitario e per la societa'.

OBIETTIVI PRIMARI

In   questo  scenario  epidemiologico-clinico,  il  Piano  Oncologico
Nazionale si propone di raggiungere i seguenti obiettivi primari:

1- riduzione dell'incidenza dei tumori;

2 - riduzione della mortalita';

3  -  aumento  della  sopravvivenza e miglioramento della qualita' di
vita dei malati di cancro.

   Gli  obiettivi  primari  del  Piano  Oncologico  Nazionale possono
essere  raggiunti  con un'appropriata metodologia, che consiste nella
realizzazione  di  una  concreta  strategia  globale di controllo del
cancro, da perseguire attraverso l'individuazione, la programmazione,
la  pianificazione  e  l'attuazione pratica di adeguati interventi di
sanita' pubblica in campo oncologico.
   Il  razionale sul quale si basa la strategia globale del controllo
del  cancro  deriva  dalla complessita' del fenomeno e dall'esigenza,
che  ne consegue, di utilizzare in modo integrato tutti gli strumenti
attualmente  disponibili  per  fronteggiare  i  diversi aspetti della
malattia, che sono di seguito elencati:

- epidemiologia;.br, - prevenzione primaria;
- diagnosi precoce;
- ricerca preclinica e clinica;
- diagnosi;
- terapia;
- realizzazione delle cure palliative in oncologia.

   La  condizione,  perche'  si  realizzi  un  efficace intervento di
controllo  del  cancro, e' che le relative azioni siano adeguatamente
coordinate    ed    integrate.    Solo   realizzando   l'integrazione
organizzativa  delle risorse dedicate alla prevenzione, alla diagnosi
e,  particolarmente,  di  quelle  dedicate specificatamente alle cure
oncologiche,  e'  prevedibile  il  miglioramento  dell'efficacia  dei
servizi sanitari.
   Infatti,  la  possibilita'  di  disporre  di tecnologie di elevata
qualita',    sia   a   livello   diagnostica   sia   terapeutico,   e
contestualmente il conseguimento delle migliori forme di integrazione
di  chirurgia,  chemioterapia  e  radioterapia consentono di ottenere
migliori  risultati  in  termini di sopravvivenza, come dimostrato da
studi  recenti  condotti  dai Registri Tumori di popolazione italiana
(ITACARE) ed europea (EUROCARE).
   Questi  studi  hanno  dimostrato  che  la  sopravvivenza  a  lungo
termine,  a  5 e a 10 anni dalla diagnosi, dei casi affetti da tumore
maligno,  e'  aumentata  significativamente  negli ultimi venti anni,
passando  da  valori  del  30-35  % a valori del 40-45% e, per alcuni
tumori, superando la soglia del 50%. Cio' ha comportato una riduzione
del  rischio  globale  di morte del 30% dal 1978 ad oggi. Il dato che
emerge   con   evidenza   dallo   studio   ITACARE  e'  che  esistono
significative  differenze  di  sopravvivenza  fra le diverse aree del
paese,  a sfavore delle regioni del centro-sud, rispetto a quelle del
nord  e  che  queste  differenze riguardano quasi esclusivamente quei
tumori che rispondono bene ai trattamenti convenzionali considerati.
   Cio'  dimostra  che  le  possibilita'  di  guarigione  e  di lunga
sopravvivenza dei malati affetti da tumore maligno dipendono, in gran
parte,  dalla  qualita' dei servizi diagnostici e terapeutici erogati
dai   presidi  di  oncologia,  dalla  loro  migliore  integrazione  e
dall'organizzazione  territoriale  delle  attivita' e delle strutture
oncologiche  di prevenzione, diagnosi e cura, in stretto collegamento
con i Dipartimenti di Prevenzione ed i Distretti di cui agli art. n.3
quater, 3 quinquies, 7bis, 7ter, 7quater del Decreto legislativo 229,
e  secondo  quanto  previsto  dal D.M. 24.4.2000 " Progetto obiettivo
materno infantile, pubblicato sulla G.U. n. 89 del 7.6.2000.
   Come  gia'  precedentemente  enunciato, in apparente contrasto con
questi  dati,  che riguardano la sopravvivenza ed il rischio relativo
di  morte  dei malati di cancro, sono i dati forniti dall'ISTAT e dal
sistema dei Registri Tumori sulle variazioni geografiche dei tassi di
incidenza  e  di mortalita' per tumore, che risultano quasi dimezzati
nelle regioni meridionali rispetto a quelle del nord.
   Il  fenomeno  sembra  chiamare  in  causa  il ruolo dei fattori di
rischio  legati  agli  stili  di vita ed alle condizioni ambientali e
lavorative nel determinismo della malattia neoplastica e sembra anche
dimostrare   come   ad   una   riduzione  dell'incidenza  corrisponda
necessariamente anche una riduzione di mortalita'.
   Ne  consegue che la strategia globale di controllo del cancro deve
tenere   conto   oltre   che   delle   potenzialita'  diagnostiche  e
terapeutiche   anche  delle  possibilita'  di  intervento  in  ambito
preventivo,  mirate  sia  alla modificazione degli stili di vita, che
comportano  un  maggior  rischio  di  ammalare  di  cancro,  sia alla
protezione,  quando  questa  sia possibile, dei singoli individui e/o
della  popolazione  generale,  dai  fattori  di  rischio ambientali o
lavorativi, di tumore maligno.

OBIETTIVI SPECIFICI INTERMEDI, MONITORAGGIO E CONTROLLO

   Da  quanto  sopra  espresso  deriva  che  il  raggiungimento degli
obiettivi  primari  del Piano Oncologico si puo' ottenere solo grazie
alla  realizzazione  degli  obiettivi  specifici intermedi di seguito
elencati  nei punti 1, 2 3, 4, 5, ed all'attivazione di un sistema di
monitoraggio  e  di  controllo  da  attuare  attraverso  le strategie
indicate nei punti 6, 7, 8.

   1)   Ottimizzazione   degli   standard  terapeutico-assistenziali,
   attraverso  la  razionalizzazione,  l'integrazione organizzativa e
   funzionale ed il potenziamento dei presidi oncologici con funzione
   di diagnosi e cura;
   2)  Attuazione,  sul  territorio nazionale, di una rete di presidi
   dedicati  alle  cure  palliative  e  di  programmi  di  assistenza
   domiciliare ai malati terminali;
   3)  Promozione di programmi di screening di documentata efficacia,
   per la diagnosi precoce dei tumori in tutte le regioni italiane;
   4)  Realizzazione di programmi di prevenzione primaria mirati alle
   patologie  per le quali l'efficacia degli interventi preventivi e'
   stata documentata;
   5) Potenziamento della ricerca clinica in oncologia, da realizzare
   tramite  l'allocazione di adeguate risorse e la predisposizione di
   un piano nazionale di settore.
   6)   Consolidamento   e   sviluppo   della  rete  di  monitoraggio
   epidemiologico basata sui registri tumori di popolazione;
   7) Attivazione di sistemi di controllo delle migrazioni sanitarie;
   8) Attivazione di programmi operativi di promozione e di controllo
   di qualita' delle attivita' diagnostiche e terapeutiche.

                              Parte II

                  GLI OBIETTIVI SPECIFICI INTERMEDI

                 Obiettivo specifico intermedio n. 1
OTTIMIZZAZIONE   DEGLI   STANDARD   ASSISTENZIALI  E  TERAPEUTICI  IN
                             ONCOLOGIA.

   Il S.S.N. assicura i livelli essenziali ed uniformi di assistenza,
definiti  dal  Piano sanitario nazionale, nel rispetto dei bisogni di
salute,  dell'equita' di accesso all'assistenza, della qualita' delle
cure  e  della  loro appropriatezza. Pertanto i livelli di assistenza
rappresentano  l'ambito  delle  garanzie  da  assicurare  in tutto il
territorio nazionale.
   Il Piano, nel precisare che la promozione e la tutela della salute
implicano   una   riorganizzazione   del  sistema,  che  consenta  un
riequilibrio   fra   i  diversi  settori  di  intervento,  rileva  il
necessario impegno nella riallocazione delle risorse, dalla cura alla
prevenzione, dalla generalita' della popolazione ai gruppi a rischio,
dall'assistenza  ospedaliera  all'assistenza  territoriale.  Il Piano
specifica  inoltre  che  le  strategie  da  porre  in essere, per una
razionalizzazione   del   sistema   medesimo,   devono  prevedere  il
coordinamento    intra    ed    interaziendale,    il   potenziamento
dell'assistenza   in   regime   di   day   hospital,   la  diffusione
dell'assistenza  domiciliare  integrata,  lo sviluppo di programmi di
screening.
   In  oncologia, l'invecchiamento della popolazione, la crescita del
numero  delle  persone  affette  da  tale  patologia,  il conseguente
aumento dei bisogni, con diversi livelli di complessita', per i quali
occorre   garantire   continuita'   dell'intervento  di  cura,  senza
tralasciare  le  variabili  psico-sociali,  in grado di contribuire a
migliorare  la  qualita'  di vita, richiedono la capacita' di erogare
risposte  integrate  e coordinate. Tale obiettivo presuppone non solo
l'integrazione  professionale,  ma  anche istituzionale e gestionale,
finalizzata  alla  realizzazione  di  un concreto coordinamento degli
interventi  nei diversi settori impegnati nella produzione di servizi
e  coinvolti,  a  diverso titolo, nella prevenzione, diagnosi, cura e
riabilitazione delle malattie oncologiche.
   Il   Piano  sanitario  nazionale  individua  i  livelli  uniformi,
essenziali ed appropriati di assistenza, definiti con riferimento a:

a)assistenza sanitaria collettiva in ambiente di vita e di lavoro;
b)assistenza distrettuale;
c)assistenza ospedaliera.

   Il  Piano,  oltre  a  definire  i livelli di assistenza, individua
anche  la  conseguente  attribuzione e riclassificazione dei compiti,
delle  attivita'  e  delle  prestazioni che ai diversi livelli devono
essere fornite e garantite.
   Il  presente  documento  rappresenta  la  formulazione delle linee
generali  su  cui  devono  articolarsi  e svilupparsi, in un processo
armonico   e   coordinato,   le   strategie   organizzative   sottese
all'implementazione  del  sistema  della rete dei servizi oncologici,
che  presuppone, in relazione ai bisogni assistenziali, interventi da
erogare  in  ambito  ospedaliero  e  territoriale, nella logica della
continuita' assistenziale, tenuto conto anche della loro intensita'.
   Presupposto irrinunciabile e' quindi una forte integrazione tra le
strutture  che erogano assistenza oncologica e quelle che si occupano
piu' specificamente degli esiti della patologia.
   I  miglioramenti  terapeutici ed assistenziali ed il miglioramento
della  qualita'  di  vita  sono  pertanto  strettamente connessi alla
definizione  di  specifici  percorsi,  tramite  i  quali le strutture
preposte  si  attivano, per garantire la presa in carico del paziente
oncologico,  durante  tutte  le  fasi  della  malattia, promuovendo e
realizzando   il   coordinamento   delle   attivita'   ospedaliere  e
territoriali.

Occorre peraltro preliminarmente sottolineare che:

  -  I  presidi  oncologici  di  diagnosi  e  cura  sono strutture di
  primaria  importanza  nella  strategia  globale  di  controllo  del
  cancro.
  - L'integrazione delle terapie chirurgiche, mediche, radioterapiche
  e'  in  grado di determinare la guarigione nel 55-60% dei malati di
  tumore maligno.
  -  La  corretta  applicazione  di  programmi  terapeutici  e  degli
  interventi   riabilitativi,   coerenti   con  i  migliori  standard
  nazionali  ed  internazionali,  e'  in  grado di ottenere risultati
  significativi,  non  solo  in  termini di guarigione definitiva, ma
  anche  in  termini  di  sopravvivenza,  di  remissione obiettiva di
  malattia e di miglioramento della qualita' di vita.
  -   Al  processo  assistenziale  concorrono  anche  le  prestazioni
  socio-sanitarie  ad elevata integrazione sanitaria, di cui all'art.
  3  septies  del  Decreto Legislativo n. 229 del 19 giugno 1999, con
  riferimento  all'area  delle  patologie  in  fase terminale e delle
  patologie cronico degenerative.

Cio'  premesso,  le  condizioni  per  il  raggiungimento  di ottimali
risultati clinico-terapeutico-assistenziali sono:

  - la predisposizione di una rete di presidi diagnostico-terapeutici
  e  riabilitativi,  adeguati  ai  bacini  di utenza e identificati a
  livello regionale nell'ottica, prevista dai livelli di cui al Piano
  sanitario nazionale.
  -  la  promozione e diffusione di protocolli validati, in base alle
  evidenze  scientifiche, per migliorare la tempestivita' diagnostica
  per le principali patologie;
  - la promozione di programmi di informazione per i malati di cancro
  e  le loro famiglie. Le informazioni devono riguardare la diagnosi,
  le  opzioni  terapeutiche, gli effetti collaterali della malattia e
  della  terapia,  le  prospettive  di  guarigione e i centri di cura
  specializzati.    Le    informazioni    dovranno   essere   chiare,
  comprensibili  e  disponibili  in  ogni  fase del trattamento dalla
  diagnosi in poi;
  - la garanzia di un tempestivo accesso alle prestazioni, rendendolo
  coerente  con la gravita' clinica e le necessita' assistenziali del
  singolo paziente;
  -  l'attuazione  dei principali percorsi assistenziali, per rendere
  agevolmente  fruibili  le  strutture  di  degenza  ordinaria  e  di
  day-hospital dedicate ai pazienti acuti in ambito ospedaliero;
  - la riduzione dell'inappropriatezza degli interventi;
  -   l'implementazione  di  programmi  di  assistenza  e  cura,  che
  garantiscano  la  continuita'  terapeutica-assistenziale  al malato
  oncologico,  dall'inizio  all'esito  della malattia, attraverso una
  coerente   integrazione   dei   diversi   livelli   di   assistenza
  extraospedaliera, ambulatoriale ed ospedaliera, da attuarsi tramite
  la definizione di protocolli di comportamento ospedale- territorio;
  -  la  definizione  di  assetti  organizzativi  delle  strutture di
  prevenzione,  diagnosi  e  cura,  articolati  su diversi livelli di
  complessita'   in   funzione  della  complessita'  della  patologia
  oncologica;
  -  l'integrazione  multidisciplinare,  che  garantisca un approccio
  globale alle cure dei malati oncologici;
  -  l'attivazione  di  strutture  dedicate alle cure palliative, per
  potenziare gli interventi di terapia palliativa ed antalgica, anche
  inseriti  in  un  contesto  ospedaliero,  quali  strutture per post
  acuti,   per   quei   pazienti   che,  seppur  non  piu'  curabili,
  necessitano,  per  brevi  periodi,  del  supporto  di una struttura
  ospedaliera  in  grado  di erogare assistenza complessa (in caso di
  episodi  di  emergenza intercorrente o di aggravamento con fenomeni
  di  pregnanza  clinica  nella  fase terminale), non realizzabile al
  domicilio del paziente o nelle strutture residenziali appositamente
  istituite.
  -   la   realizzazione   dell'assistenza  domiciliare  integrata  e
  dell'ospedalizzazione  domiciliare,  per quei pazienti che, secondo
  adeguati  criteri  clinico-biologici,  presentano  una  mediana  di
  sopravvivenza  attesa di novanta giorni e necessitano al domicilio,
  con  livelli  diversi  di  complessita', di terapia del dolore o di
  controllo di altri sintomi.
  -  la garanzia, per il paziente oncologico, della presenza costante
  di una struttura di riferimento.

   Con  preciso  riferimento ai livelli di assistenza individuati dal
Piano  sanitario  nazionale  l998\2000,  al  Dlgs  229  "Norme per la
razionalizzazione  dello  SSN" del 19 giugno 1999 ed alle linee guida
gia'  pubblicate dal Ministero della Sanita' sulla Gazzetta Ufficiale
n.  42  del  20  febbraio 1996, si forniscono in questa sede le linee
generali di indirizzo per l'assistenza ai paziente oncologico.

1) ASSISTENZA DISTRETTUALE

   Il  Piano sanitario Nazionale 98\2000 precisa che, nell'ambito del
nuovo  assetto  organizzativo del S.S.N,. il Distretto rappresenta un
centro  di  servizi  e  prestazioni,  in  cui la domanda di salute e'
affrontata  in  maniera  unitaria  e  globale.  Come  specificato dal
Decreto  Legislativo  229,  fatta  salva  l'autonomia organizzativa e
normativa  delle  singole  Regioni  prevista  dalle leggi vigenti, il
Distretto   e'   struttura  operativa  dell'Azienda  Usl,  dotata  di
autonomia  gestionale, realizzata nell'ambito dei programmi approvati
dall'Azienda,  tenendo  conto  dei  piani  per  la  salute  di zona e
dell'organizzazione  dei  servizi,  definiti  di comune intesa con le
amministrazioni  comunali.  Il  Distretto  garantisce  i  servizi  di
assistenza  primaria,  ivi  compresa  la  continuita'  assistenziale,
relativi  alle  attivita'  sanitarie  e  socio-sanitarie,  in  quanto
struttura  operativa  che  meglio  consente  di  governare i processi
integrati  tra  istituzioni.  L'art. 3 quater del Dlgs 229 stabilisce
inoltre   che   la  legge  regionale  disciplini  l'articolazione  in
Distretti  dell'Azienda sanitaria locale. Il Distretto e' individuato
dall'atto   aziendale,   L'Azienda   sanitaria   locale,  tramite  il
Distretto, svolge e garantisce i seguenti compiti:

  -   assicura  i  servizi  di  assistenza  primaria,  relativi  alle
  attivita'  sanitarie  e  socio-sanitarie, nonche', il coordinamento
  delle  proprie  attivita'  con  quelle  dei  dipartimenti e servizi
  aziendali, inclusi i presidi ospedalieri, inserendole organicamente
  nel  programma  delle  attivita' territoriali, basate sul principio
  dell'intersettorialita' degli interventi;
  -   permette   l'integrazione   funzionale   tra  il  territorio  e
  l'ospedale,   facilitando   l'iter   diagnostico   terapeutico   ed
  assistenziale  del  paziente,  al  quale deve essere assicurata una
  presenza costante di una struttura di riferimento;
  -  garantisce,  quindi,  la continuita' assistenziale e la presa in
  carico   medico-assistenziale   e   psicorelazionale  del  paziente
  oncologico  sin  dal  momento  della  comunicazione della diagnosi,
  attraverso    il    necessario    coordinamento    e    l'approccio
  multidisciplinare,  in ambulatorio ed al domicilio del paziente tra
  i  medici  di  medicina  generale  ed  i  servizi  specialistici ed
  ambulatoriali,  cosi'  come  tra i medici di medicina generale e le
  strutture  ospedaliere,  assicurando,  in tal modo, la circolarita'
  delle  informazioni  tra  specialisti,  medici  di base e personale
  sanitario e sociale.

Ruolo del medico di medicina generale

   Nell'ambito  dell'assistenza  sanitaria  di base, ricompresa nella
macroarea   dell'assistenza   distrettuale,  il  medico  di  medicina
generale ed il pediatra di libera scelta, nell'ambito della specifica
attivita'  clinica  prevista  dagli  accordi  collettivi  nazionali e
regionali,  devono  interagire,  a vari livelli, con le strutture che
svolgono   attivita'  in  campo  oncologico,  per  assicurare  l'iter
diagnosticoterapeutico e assistenziale del paziente oncologico, quali
referenti  che si devono integrare funzionalmente con gli specialisti
di  settore. In tale contesto possono pertanto rappresentare il punto
di   riferimento  per  l'assistito,  per  l'adeguata  immissione  nel
circuito   ospedaliero   e  la  continuita'  assistenziale,  dopo  la
dimissione.
   Il  medico di medicina generale assume un ruolo determinante nella
diagnosi  tempestiva  delle neoplasie, cui e' legata, in buona parte,
la  possibilita' di successo terapeutico. Il suo contributo e' quindi
strategico  nel  cercare  di  ridurre  le  diagnosi tardive. E' utile
inoltre,   a   tal   proposito,  prevedere  a  livello  regionale  la
definizione  e  adozione  dei  provvedimenti  necessari per ridurre i
tempi  di  attesa  degli  accertamenti  diagnostici  e  le consulenze
specialistiche  e,  piu'  in generale, per favorire la comunicazione,
tra   medici   di   medicina   generale  e  medici  specialistici,  e
l'integrazione assistenziale tra ospedale e territorio.
   Il  medico  di  medicina generale puo' svolgere un ruolo specifico
nei  programmi  di  follow-up dei pazienti oncologici, sempre tramite
una  stretta  integrazione  con gli specialisti del settore, anche al
fine  di  privilegiare  le  prescrizioni  di  procedure  diagnostiche
necessarie ed appropriate in termini di efficacia e di rispetto della
qualita' di vita.
   Per  quanto  attiene  il  ruolo  svolto  dal  medico  di  medicina
generale.  nei  confronti  delle iniziative di prevenzione primaria e
secondaria   e   delle  attivita'  connesse  all'implementazione  dei
programmi   di   assistenza  domiciliare  integrata,  si  rimanda  ai
rispettivi capitoli del presente Piano.

2) ASSISTENZA OSPEDALIERA

2a) Ospedali per acuti

   L'assistenza  ospedaliera,  alla  quale  e'  demandata la cura dei
pazienti oncologici, si realizza tramite le specialita' che, nel loro
insieme,  definiscono  l'oncologia clinica e precisamente l'oncologia
medica,  la  radioterapia,  la  chirurgia.  La terapia chirurgica dei
tumori  e'  di  primaria  importanza  nel  controllo  della  malattia
neoplastica.  Peraltro  la  complessita' delle strategie terapeutiche
richiede  la  massima  integrazione  fra  la  chirurgia  e  le  altre
discipline   implicate   nella   terapia  dei  tumori  maligni.  Tale
integrazione   puo'   realizzarsi   anche   favorendo,  in  strutture
ospedaliere  complesse,  l'istituzione  di  chirurgie particolarmente
dedicate  al  trattamento  dei  tumori  maligni,  quali  le chirurgie
oncologiche o le chirurgie ad orientamento oncologico.
   Per  quanto  attiene  gli  interventi  in  campo  diagnostico,  di
caratterizzazione   biologica  e  stadiazione,  di  riabilitazione  e
palliazione,  questi  sono  realizzati  attraverso  il  contributo di
ulteriori specialita', integrate con l'oncologia clinica in strutture
complesse quali i Dipartimenti oncologici.
   E'  molto  raccomandato  che  le  prestazioni integrate di terapia
oncologica  siano  erogate  mediante  attivita' clinico-assistenziali
delle   specialita'   di   oncologia   medica,   di  chirurgia  e  di
radioterapia.( vedi allegata n. 2)
   Con  riferimento ai livelli uniformi, essenziali ed appropriati di
assistenza ed all'articolazione organizzativa aziendale, prevista dal
Decreto  Legislativo  229,  di  cui  agli  articoli  3 comma 1-bis, 8
quater,  15  quinquies,  17 bis, le Regioni disciplinano, nell'ambito
dei  Piani  oncologici  regionali,  l'organizzazione  della  rete dei
servizi,  tenuto  conto  delle  articolazioni  in  ASL del territorio
regionale,   delle   necessarie  integrazioni  delle  specialita'  di
oncologia,  chirurgia,  radioterapia,  e  dell'adeguato  supporto  di
servizi, nonche' dell'attivazione dell'organizzazione Dipartimentale.
   E'  fortemente  raccomandata  la  realizzazione  di un efficace ed
organico  coordinamento  a  livello  regionale  di  tutta l'attivita'
oncologica,   per  garantire  qualita',  omogeneita'  ed  equita'  di
intervento,  per  promuovere il collegamento funzionale tra strutture
territoriali e strutture di ricovero, secondo il sistema di rete.
   Considerate   le   differenti   situazioni   locali,  fatta  salva
l'autonomia organizzativa e normativa delle singole Regioni, prevista
dalle  leggi  vigenti, per quanto attiene l'assistenza ospedaliera si
rimanda  all'Allegato  n. 1 al presente documento, fermo restando che
l'individuazione  dei  modelli organizzativi ivi indicati rappresenta
per  le  Regioni  un  indirizzo  orientativo da adattare alle proprie
esigenze di programmazione sanitaria.

3) LA RIABILITAZIONE ONCOLOGICA.

   Le  linee  guida  emanate  dal  Ministero  della  sanita'  per  le
attivita'  di  riabilitazione G.U. n. 124 del 3 0.5.1998) distinguono
la riabilitazione in due settori:

a) La riabilitazione intensiva, prevalentemente di tipo degenziale,
b)  La  riabilitazione  estensiva,  che puo' essere attuata in ambito
ospedaliero,  nei reparti di lungodegenza riabilitativa, in strutture
ambulatoriali,  al  domicilio  del  paziente  ed  infine in strutture
riabilitative.

   Le  succitate  linee  guida  individuano  anche  la  tipologia dei
pazienti  afferenti  alla riabilitazione specialistica (neuromotoria,
ortopedico-reumatologica, cardiologica, pneumologica).
   Pur    riconoscendo    l'indispensabilita'    di   un   intervento
riabilitativo  in  pazienti  oncologici,  per lo meno nella fascia di
coloro  i  quali  possono  beneficiare  di un recupero funzionale, al
momento  le  evidenze scientifiche non suggeriscono l'identificazione
di  un  settore  specialistico autonomo di riabilitazione oncologica,
mentre  e' prevedibile l'afferenza dei pazienti oncologici, con turbe
d'organo funzionali reversibili, ai diversi reparti di riabilitazione
specialistica,    eventualmente   ricorrendo   anche   all'intervento
riabilitativo multispecialistico.
   Occorre  quindi  garantire  e  promuovere  l'accesso  dei pazienti
neoplastici  ai reparti di riabilitazione, secondo lo specifico danno
d'organo anatomofunzionale.
   Premesso cio' e' importante che, per diversi livelli di intensita'
di  riabilitazione,  si  provveda  a  definire  opportuni  percorsi e
livelli di assistenza.
   Dalla  fase  intensiva,  ove  necessario, il paziente dovra' poter
accede    a   strutture   riabilitative   con   minore   complessita'
organizzativa.  L'ultima  tappa  del  processo  riabilitativo  dovra'
essere   garantita   attraverso  la  riabilitazione  ambulatoriale  e
domiciliare.
   Si  raccomanda  inoltre,  vista  la  specificita'  della  malattia
oncologica,  di  ricomprendere  nel  processo riabilitativo, che deve
essere  quanto piu' globale possibile, interventi atti a sostenere il
recupero psico-relazionale dei pazienti oncologici.

                 Obiettivo specifico intermedio no2

LE   CURE   EXTRAOSPEDALIERE   ALLE   PERSONE  AFFETTE  DA  PATOLOGIA
                            NEOPLSASTICA

PREMESSA

   Le  persone  affette  da  patologie  neoplastiche  necessitano  di
continuita' di cure dalla diagnosi fino alla guarigione o alla morte;
oltre  al  paziente  oncologico  l'attenzione deve essere dedicata ai
familiari dello stesso.
   Un'assistenza  di  buona  qualita'  deve consentire al paziente di
mantenere   la   sua   posizione  nell'ambiente  lavorativo  e  socio
familiare;  quando  cio'  non  e'  possibile  deve  essere accolto in
strutture    adeguate   alla   natura   dei   problemi.   Attualmente
l'organizzazione  dell'assistenza  ai  pazienti oncologici si scontra
con  il  problema  della  divisione  e  distribuzione  del  lavoro in
sottosistemi  piu'  o  meno  omogenei,  con  una frammentazione delle
responsabilita'  e delle referenze. L'esito e' un frequente accesso a
prestazioni non appropriate, in particolare ospedaliere, maggiormente
offerte  dal  sistema  assistenziale  e  piu'  radicate nella cultura
popolare.
   L'efficacia  dell'offerta  dipende  invece  dall'integrazione  dei
servizi  di  rete e dalla possibilita' di identificazione di percorsi
precisi  da parte dell'utenza e dal riconoscimento di un unico canale
di accesso per le cure extraospedaliere.
   Il Piano Sanitario Nazionale 1998-2000 affida al Distretto di base
il compito di ricomporre, con coerenza, il sistema di offerta durante
l'intero  percorso  di  salute, malattia, disabilita' e morte di ogni
malato.

A) LE DIMENSIONI DEL PROBLEMA

   In  Italia  i  tumori  rappresentano  circa  il 30% delle cause di
morte.  E'  possibile stimare in circa 270.000 i nuovi casi di tumore
diagnosticati ogni anno in Italia e in circa 1.400.000 i pazienti con
tumore.  La  sopravvivenza  a  cinque anni e' pari, per l'insieme dei
tumori maligni, al 40%" (PSN 1998-2000). L'elevato numero di pazienti
sottolinea la necessita' di prevedere percorsi che tengano conto:

  -  della  intensita'  diagnostica  e terapeutica espressa a livello
  ospedaliero, seppur non esclusivamente;
  -  della  durata  e delle manifestazioni della storia clinica della
  malattia   che,  intrecciandosi  largamente  e  lungamente  con  la
  quotidianita'   di   vita,  producono  riduzione  dell'autonomia  e
  dell'autosufficienza del malato.

Pertanto i problemi che possono presentarsi riguardano aspetti:


- sanitari;
- psicologici e relazionali (grado di consapevolezza, di
  accettazione o di rifiuto della malattia e della terapia in corso)
  (dinamiche familiari);
- informativi (offerta assistenziale);
- sociali (sostegno nelle attività quotidiane, tutela dei membri
  deboli della famiglia, supporto amministrativo economico)
- educativi (addestramento alla gestione del malato ed alla
  prevenzione dei problemi)
- spirituali.

La  complessita'  della  storia  delle  persone  affette da patologia
oncologica consiglia un approccio valutativo che preveda di:


- intercettare i bisogni espressi, cioè percepiti e comunicati
  chiaramente;
- individuare i bisogni inespressi, cioè non trasformati in domanda
  in quanto l'utente non li percepisce (bisogni latenti);
- individuare una risposta assistenziale adeguata (bisogni non
  comunicati);
- individuare il bisogno di aiuto (bisogni inespressi o repressi);
- prevenire i bisogni potenziali che potrebbero insorgere per
  l'evoluzione o gli esiti della patologia e dei problemi (bisogni
  non espressi chiaramente o rimasti inespressi.

B) GLI OBIETTIVI ASSISTENZIALI

   Il  ventaglio  dei  problemi  e la loro commistione hanno un ruolo
importante  nel  causare  una  riduzione  della  qualita' di vita dei
pazienti  oncologici  e  dei  loro  familiari  e  nel condizionare il
livello   di   adesione   al   programma   assistenziale.  I  servizi
socio-sanitari  devono,  quindi,  garantire  un sistema di protezione
integrato   e   duttile,  che  agevoli  la  dinamicita'  dell'offerta
assistenziale   imposta   dall'evoluzione  della  malattia,  seguendo
l'utente nel percorso di riabilitazione o di peggioramento. Occorre a
tal  proposito predisporre le opportune iniziative, atte a favorire i
passaggi  da  una tipologia assistenziale all'altra, con possibilita'
di  ripristino  della condizione precedente qualora il cambiamento si
riveli   inadeguato   ed  a  promuovere  la  flessibilita'  e  quindi
l'ottimizzazione  dell'utilizzo  delle  risorse  umane e strumentali,
conservando  una  referenza  esplicita  ed  accessibile  per tutta la
durata della malattia.

c) L'ASSETTO ORGANIZZATIVO

C1) PRINCIPI

   Per  rispondere  agli obiettivi di efficacia e continuita' di cure
ai  malati  oncologici,  devono  essere soddisfatti almeno i seguenti
principi, propri delle cure primarie:

  -  garanzia di una referenza unitaria e complessiva per il malato e
  per   la   sua   famiglia,  che  eviti  le  soluzioni  di  continuo
  nell'attuazione del programma assistenziale;
  -  competenza  ed esperienza per l'assistenza al malato neoplastico
  in  tutte  le  fasi  della  malattia, con un'attenzione particolare
  all'individuazione  dei  bisogni  inespressi  ed alla previsione di
  quelli potenziali;
  -   comportamenti  orientati  all'integrazione  e  alla  consulenza
  transdisciplinare;
  - sistema informativo destinato alla descrizione dei problemi e dei
  percorsi   assistenziali,   per   documentare   l'accessibilita'  e
  l'efficienza  dei  servizi,  nonche' per valutare la qualita' delle
  cure,    correlando    modalita'    organizzative    ed   efficacia
  assistenziale;
  -  attenzione,  per  garantire  al  malato  e  ai suoi familiari la
  possibilita' di espressione dei bisogni, delle emozioni degli stati
  d'animo, dei dubbi e delle difficolta';
  -  assicurare  la  partecipazione  del malato alle decisioni che lo
  riguardano,  rendendo disponibili informazioni precise, sufficienti
  e chiare;
  -  sostegno  delle  motivazioni  e  consolidamento delle conoscente
  degli   operatori,  per  limitare  o  prevenire  l'esaurimento  del
  personale (burn-out)

La  complessita',  la  variabilita'  individuale e la dinamicita' dei
problemi implicano l'approccio metodologico fondato su:

  - valutazione multidimensionale, razionalizzata mediante l'utilizzo
  di strumenti validati;
  -  pianificazione  integrata  e  personalizzata delle attivita', in
  coerenza  con le risorse disponibili e secondo l'equo perseguimento
  degli obiettivi programmatici di carattere generale;
  -   erogazione   degli   interventi   che   sia  transdisciplinare,
  tempestiva,  continua  e  di  intensita'  adeguata,  applicando  un
  processo    decisionale    improntato    alla    massima   coerenza
  assistenziale.

   A  tutela  del  malato  e  dei  suoi  familiari e' raccomandata la
costituzione di Unita' di Valutazione Multidimensionali (U.V.M.) che,
per  i  casi di particolare complessita' e gravita', nel rispetto del
diritto di libera scelta dell'utenza, garantiscano in ogni Distretto:

  - la valutazione dei problemi;
  - la proposta, la predisposizione e la verifica periodica del piano
  di cura nel corso dell'evoluzione della malattia;
  -   l'attuazione   di   un   programma   assistenziale   integrato,
  personalizzato e coordinato in funzione dei bisogni, che garantisca
  al  malato  e  ai  suoi  familiari,  conseguito  il  loro consenso,
  l'informazione e l'educazione, nonche' il sostegno psicologico;
  -  il  raccordo  con  le  strutture  ospedaliere,  gli hospice e le
  strutture residenziali;
  - il coinvolgimento, lo stimolo e il sostegno delle associazioni di
  volontariato attive nel settore dell'aiuto ai malati neoplastici.

   Considerando la numerosita' degli assistibili, la peculiarita' dei
contenuti  assistenziali  e  la  corredata  necessita'  di formazione
specifica  degli  operatori,  e' necessaria la costituzione di nuclei
transmurali,  dedicati  alle cure domiciliari e/o all'accoglimento in
hospice,  con modalita' organizzative ed erogative volte a conseguire
l'integrazione  del  Distretto con le altre componenti del sistema di
offerta.  Qualora  la  ristrettezza  delle  risorse non consenta tale
strutturazione,  si raccomanda di prevedere la costituzione di nuclei
interdistrettuali  o almeno l'impegno specialistico ripartito su piu'
Distretti.
   Per  assicurare  coerenza  tra  il  momento  valutativo  e  quello
erogativo,  le  competenze dei diversi operatori assistenziali devono
essere   presenti   nell'equipe   valutativa  della  U.V.M.,  secondo
necessita' in ragione della frequenza e della gravita' dei bisogni da
soddisfare,

C2) Modalita' assistenziali e criteri di eleggibilita'

   Tenuto  conto dei principi organizzativi, il sistema di protezione
socio-sanitaria  ai  malati  oncologici  si  realizza, lungo tutto lo
svolgimento della malattia, con diverse modalita' assistenziali.

C2.1) Dimissioni protette

   La   necessita'   di   continuazione   domiciliare  di  interventi
infermieristici,  di  prestazioni  assistenziali  non  sanitarie,  di
riabilitazione  fisica  e psicologica e di cure palliative, oltre che
la  fornitura  di  ausili  e  presidi  sono in genere prevedibili con
congruo   anticipo   rispetto  alla  dimissione,  rendendo  di  fatto
possibile,  nella  maggior parte dei casi, la preventiva segnalazione
al  medico  curante  ed  ai  Servizi  Distrettuali  deputati, secondo
procedure preventivamente concordate a livello locale.
   Durante  il  ricovero ospedaliero la segnalazione deve avvenire il
piu'   precocemente   possibile,  almeno  dall'insorgenza  della  non
autonomia non autosufficienza del paziente, al fine di consentire una
valutazione  tempestiva,  coerente  ed  integrata delle condizioni di
salute  e  dell'ambiente  di  vita  del  paziente,  per  garantire la
continuita' assistenziale.
   Il trasferimento del malato da un reparto di diagnosi e cura ad un
programma   di   assistenza  extraospedaliera  avviene  per  proposta
dell'ospedale e deve essere gestito secondo le procedure concordate a
livello  distrettuale,  che  dovranno prevedere il coinvolgimento del
medico  di medicina generale e del servizio accettante. Le dimissioni
protette  devono  essere  garantite almeno ai soggetti che soddisfano
simultaneamente i seguenti criteri:
   a) non autonomia / non autosufficienza, mediante l'applicazione di
uno strumento di valutazione multidimensionale validato;
   b)  necessita'  di  continuita'  di  cure e/o carenza di effettivo
supporto familiare e/o altre problematiche socio-ambientali gravi.
   Le dimissioni protette sono inoltre raccomandate per i malati che,
pur non soddisfacendo i precedenti criteri, necessitano di assistenza
continuativa  a  causa  di  uno  stato  di sofferenza psicologica e/o
spirituale.
.sp,  C2.2)  Integrazione valutativo-terapeutica durante l'assistenza
extra-ospedaliera

   Dopo  le  prime  fasi di approfondimento diagnostico e trattamento
ospedaliero, e' raccomandabile rivalutare la complessita' dei bisogni
al fine di limitare l'insorgenza o l'evoluzione di problemi correlati
alla  cura  della persona, alla gestione delle attivita' quotidiane e
alle relazioni interpersonali. In questa fase della vita del paziente
e  del  suo  decorso  clinico  si  raccomanda  la  circolarita' delle
informazioni  tra  medico  specialista, medico di medicina generale e
operatori distrettuali secondo un set minimo di dati che consegua:

- plausibilita' e coerenza terapeutica;
- continuita' nei trattamenti di supporto e nell'assistenza di base;
- coerenza dell'informazione al paziente e ai suoi familiari;
- rigorosita' ed essenzialita' nel follow-up.

   A  tal  fine  si  raccomanda  l'adozione  di  una cartella clinica
integrata.  La  continuita' di cura specialistica extraospedaliera e'
necessaria  anche  durante il trattamento della malattia in regime di
day-hospital,  ambulatoriale, domiciliare o residenziale ed assume le
caratteristiche   di   consulenza  specialistica,  sia  nel  caso  di
richiesta   estemporanea   del   medico  di  medicina  generale,  sia
all'interno  di  un  piano  di intervento preventivamene concordato a
livello  distrettuale, di Assistenza Domiciliare Integrata. I criteri
di eleggibilita' riguardano pazienti oncologici con:
   a)  necessita' di trattamenti di supporto (nutrizione artificiale,
terapia    antalgica    specialistica   ecc.)   o   di   monitoraggio
clinico-assistenziale e/o follow-up;
   b) fragilita' psico-sociale.
   Infine, per pianificare coerentemente gli interventi assistenziali
e'  consigliabile  almeno una visita socio-sanitaria al domicilio del
paziente,  da concordarsi con il medico di medicina generale e con il
paziente,   due   settimane  dopo  la  dimissione  ospedaliera.  Tale
procedura  e'  utile,  nonche'  gradita,  per  malati  oncologici che
rispondono simultaneamente ai seguenti criteri:

- esclusione dalla procedura per le dimissioni protette;
- eta' uguale o superiore a 60 anni;
- assenza o precarieta' del sostegno socio-familiare;
- diagnosi di neoplasia da meno di 6 mesi.

C2.3) Ammissione agevolata e protetta ai Servizi ospedalieri

   La  complessita'  dei bisogni dei pazienti oncologici consiglia la
creazione  di  corsie  preferenziali  per  l'eventuale  accesso  alle
strutture  ospedaliere,  caratterizzate  da modalita' facilitate, sia
nel  caso di ricovero ordinario, sia qualora si rendessero necessarie
prestazioni  specialistiche  di  diagnosi  e  cura,  parificando,  in
quest'ultimo  caso,  le  procedure  a  quelle riservate ai degenti in
ospedale.  In particolare, la procedura per le ammissioni protette e'
raccomandata  per  pazienti  che  ottemperino  contemporaneamente  ai
seguenti criteri:

  -  rischio  di  peggioramento  del  quadro  clinico  in  assistenza
  domiciliare o durante l'ospitalita' in strutture residenziali;
  -  rispondenza  ai criteri dei protocolli validati per la revisione
  dell'accesso e dell'utilizzo delle prestazioni ospedaliere.

C2.4) Cure palliative domiciliari

   Secondo   la   definizione  della  Organizzazione  Mondiale  della
Sanita',  per  cure  palliative  si  intende  una serie di interventi
terapeutici ed assistenziali finalizzati alla cura attiva, totale, di
malati  la  cui  malattia  di  base  non  risponde piu' a trattamenti
specifici. Fondamentale risulta il controllo del dolore e degli altri
sintomi e in generale dei problemi psicologici, sociali e spirituali.
L'obiettivo delle cure palliative e' il raggiungImento della migliore
qualita' di vita possibile per i malati e le loro famiglie.
   Le  cure  palliative  sono  attivamente offerte all'unita' di cura
malato-famiglia  attraverso  un  approccio transdisciplinare. Le cure
palliative sono indicate:

  - per i malati diagnosticati inguaribili, che quindi non rispondono
  piu'  ai  trattamenti  specifici,  lasciando al naturale decorso la
  malattia, lenendo le sofferenze e migliorando la qualita' di vita;
  -  in  altre fasi del decorso clinico, particolarmente per i malati
  sottoposti  a  trattamenti  impegnativi e disabilitanti, al fine di
  migliorare la qualita' di vita.

   Nel  caso  di  un  paziente  da  assistere  al  proprio domicilio,
conseguitone   il  consenso  e  verificata  la  disponibilita'  della
famiglia,  i  criteri  di  eleggibilita'  necessari e sufficienti per
iniziare le cure palliative a domicilio sono:

  - terapeutico: assenza, esaurimento o inopportunita' di trattamenti
  specifici volti alla gestione o al rallentamento della malattia;
  -  sintomatico:  presenza  di sintomi invalidanti con una riduzione
  del  performance-status uguale od inferiore al 50% secondo la Scala
  di Karnofsky;
  -  diagnosi di malattia neoplastica, certificata dal medico esperto
  in  oncologia  medica;  - impossibilita' ad utilizzare le strutture
  ambulatoriali  e  di  day hospital per la presenza di gravi sintomi
  invalidanti   e/o   per  l'assenza  di  sufficienti  supporti  (non
  autosufficienza/non autonomia del paziente);
  - ambiente abitativo idoneo e supporto familiare sufficiente.

   Nell'ambito  delle  cure  palliative,  alla famiglia del malato e'
offerto  un  adeguato  supporto  per affrontare meglio le difficolta'
dell'assistenza  continua  al  congiunto,  della riorganizzazione dei
ruoli,  dei compiti familiari, della preparazione al lutto. L'offerta
di  cure  palliative  non  puo' prescindere da alcune caratteristiche
organizzative   e  funzionali  prioritarie  ed  irrinunciabili  quali
un'ottimale   terapia   del  dolore  e  dei  principali  sintomi;  la
certificata competenza professionale da parte del personale coinvolto
nell'assistenza;   la   fornitura  tempestiva  di  ausili  e  presidi
appropriati,  rispetto  al  bisogno  della persona ed al contesto nel
quale  essi  devono  essere utilizzati; l'addestramento dei congiunti
all'assistenza  continua  del  malato,  sostenuta  da una particolare
capacita'  degli  operatori domiciliari nelle tecniche educative. Una
volta  consolidate  le  caratteristiche  precedenti,  si  auspica  la
realizzazione di:

  -  reperibilita'  infermieristica e medico-palliativa sulle 24 ore,
  per 7 giorni/settimana;
  - sostegno psicologico del malato e dei familiari;
  -  protezione  sociale  per i membri del nucleo familiare a maggior
  rischio  di  disagio  a  causa  delle  condizioni e del decesso del
  malato.

Le  cure  palliative  domiciliari  sono  offerte  secondo  i  livelli
essenziali di assistenza previsti e tra loro integrantesi:

- Assistenza Domiciliare integrata


   E'  la  modalita'  assistenziale da garantire prioritariamente. E'
erogata  sotto  la  responsabilita'  clinica  del  medico di medicina
generale,  attraverso  l'applicazione  della  dinamica  di  lavoro di
equipe,  che  preveda  il concorso di un gruppo composto almeno dallo
stesso  medico  di medicina generale dal personale distrettuale e dal
medico esperto in cure palliative.
   La permanenza nel proprio ambiente abituale di vita, con riduzione
delle  giornate  di  degenza ospedaliera, puo' essere conseguita piu'
facilmente  mediante  l'adozione  di un'organizzazione del lavoro che
contempli  la valutazione multidimensionale degli assistiti e preveda
periodiche riunioni d'equipe.

- Ospedalizzazione a domicilio


   E'  una  modalita'  assistenziale che garantisce l'effettuazione a
domicilio di interventi palliativi, caratterizzati da un piu' elevato
contenuto sanitario, conseguenti a situazioni cliniche di scompenso o
di particolare complessita', tali da rendere necessario un intervento
assistenziale,  che  copra  l'intero  arco  delle  24  ore. L'O.D. E'
subordinata  alla tenuta di una cartella clinica, con compilazione di
un  diario giornaliero, ed E' caratterizzata dalla erogazione diretta
delle  prestazioni diagnostiche eseguibili al domicilio, dei farmaci,
dei   presidi   ed   ausili  da  parte  delle  U.U.O.O.  ospedaliere.
L'attivazione   e   la  responsabilita'  del  servizio  competono  al
dirigente  medico  della  U.O. ospedaliera deputata, laddove presente
dell'U.O.  di cure palliative, che si raccorda a livello distrettuale
con   il  medico  di  medicina  generale,  potendosi  avvalere  della
collaborazione   del   personale  del  distretto  secondo  protocolli
operativi concordati.
   Allo  scopo  di  garantire  un appropriato utilizzo delle risorse,
l'ospedalizzazione  a  domicilio  andra'  attivata previa valutazione
congiunta  con  il  medico  di  medicina  generale  e il responsabile
dell'equipe   distrettuale  delle  effettive  possibilita'  operative
offerte dall'assistenza domiciliare integrata.

C2.5) Hospice


   L'Hospice e' una struttura dedicata "ai pazienti in fase terminale
che  necessitano  di cure finalizzate ad assicurare ad essi e ai loro
familiari   una   migliore   qualita'   della  vita"  (DM  28/9/1999)
L'accoglimento   in  un  hospice,  oltre  ad  essere  vincolato  alla
necessita'  di  trattamenti  che  non  richiedano  un ricovero presso
UU.00.  ospedaliere  per pazienti acuti, e' subordinato alla presenza
di almeno una delle seguenti condizioni:

- assenza o non idoneita' della famiglia;
- inadeguatezza della casa a trattamenti domiciliari;
- impossibilita' di controllo adeguato dei sintomi al domicilio.

L'erogazione    dell'assistenza    e'    garantita    da    un'equipe
transdisciplinare,  la  cui  composizione  minimale  e' rappresentata
dalle seguenti figure professionali:

- medico esperto di cure palliative;
- infermiere professionale;
- psicologo;
- addetto all'assistenza (O.S.S.);
- personale ausiliario.

   All'interno   dell'hospice   e'   auspicabile  che  sia  garantita
l'assistenza    spirituale    e   l'integrazione   del   volontariato
organizzato.   L'Hospice   ha   modalita'   organizzativo/strutturali
specifiche,   che  differiscono  da  quelle  vigenti  per  i  reparti
ospedalieri  per pazienti acuti, che sono definite nel D.M. 28/9/1999
e nel Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 20/1/2000
(Atto  di  indirizzo  e coordinamento recante requisiti strutturali e
tecnologici ed organizzativi minimi per i Centri Residenziali di Cure
Palliative)

D) I PROFILI DI RUOLO DEGLI OPERATORI

Gli  operatori  dedicati  alle  cure  extraospedaliere  rivolte  alle
persone  affette  da  malattia oncologica devono di base avere alcune
caratteristiche comuni:

  -  motivazione  chiara  ed esplicita ad assistere malati gravemente
  compromessi, anche con prognosi infausta a breve scadenza;
  -  conoscenza adeguata dei problemi specifici legati alla patologia
  oncologica;
  - sensibilita' psicologica e capacita' di relazione con il malato e
  con i familiari;
  - attitudine al lavoro in equipe;
  -  capacita'  nel produrre e rendere disponibili informazioni utili
  all'equipe.

Ferma  restando  la specificita' dei modelli organizzativi definiti a
livello  regionale  a  titolo  orientativo  sono descritti i seguenti
compiti attribuibili alle figure sottoelencate

Medico esperto in cure palliative:

  -  responsabilita'  clinica diretta per i pazienti, suscettibili di
  cure   palliative,   assistiti   in   regime   di  ospedalizzazione
  domiciliare;
  -  gestione  e  responsabilita'  clinica dei pazienti ricoverati in
  hospice;
  -   consulenza   clinica   per  gli  operatori  sanitari  impegnati
  nell'assistenza,  e, in modo particolare, per il medico di medicina
  generale;
  -  supervisione  e  formazione  continua del personale addetto alle
  cure palliative;
  -  partecipazione  alla  verifica  della  efficacia,  efficienza  e
  qualita'  delle  cure  erogate  dal  personale impegnato nelle cure
  palliative;
  - prescrizione collaudo di protesi e ausili;
  -  relazione  con  i  servizi  ospedalieri,  per  il  passaggio del
  paziente  dalla  fase  di  trattamento  a  quella  palliativa e per
  eventuali ricoveri programmati.

Oncologo medico:

  -  responsabilita'  clinica diretta per i pazienti, suscettibili di
  terapia    oncologica    specifica,    assistiti   in   regime   di
  ospedalizzazione domiciliare;
  -  consulenza  clinica  oncologica  per  i  pazienti  ricoverati in
  hospice;
  -   consulenza   clinica   per  gli  operatori  sanitari  impegnati
  nell'assistenza  e  in  modo  particolare per il medico di medicina
  generale;
  - supervisione e formazione continua del personale;
  -  partecipazione  alla  verifica  della  efficacia,  efficienza  e
  qualita'  delle  cure  erogate  dal  personale impegnato nelle cure
  palliative;
  -  relazione con gli operatori di cure palliative, per il passaggio
  del  paziente  dalla  fase di trattamento a quella palliativo e per
  eventuali ricoveri ospedalieri programmati.

Medico nutrizionista:

  -  valutazione  dei  bisogni nutrizionali del malato e studio delle
  modalita' di relativa copertura.

Medico di Medicina Generale:

  -   responsabilita'   clinica  diretta  dei  pazienti  assistiti  a
  domicilio  ad  esclusione  di  quelli in regime di ospedalizzazione
  domiciliare;
  - consulenza clinica per gli operatori sanitari domiciliari;
  - relazione con la famiglia.

Medico di sanita' pubblica:

- tutela metodologica nell'orientamento per problemi;
- tutela di equa accessibilita' alle risorse del servizio;
- valutazione economica del servizio,
- valutazione complessiva dell'efficacia del servizio;
- relazione con le strutture dell'Azienda - U.S.L. e con le strutture
specialistiche.

Infermiere professionale:


- assistenza infermieristica;
- addestramento e supervisione degli operatori addetti
  all'assistenza (O.S.S.);
- addestramento e supervisione dei congiunti per l'assistenza
continuativa al malato;
- educazione sanitaria al malato e ai congiunti.

Psicologo:

  - sostegno psicologico e relazione al malato e ai familiari;
  -  supervisione,  sostegno psicologico e contributo allo sviluppo e
  mantenimento  di  capacita' relazionali dell'equipe degli operatori
  preposti alle cure palliative domiciliari e residenziali;
  -  partecipazione alla selezione e alla supervisione dei volontari,
  attivi nell'equipe;
  - contributo nella formazione del personale di assistenza.

Fisioterapista:

  -  attivita'  riabilitativa  di 2o livello diretta, focalizzata sul
  recupero delle attivita' della vita quotidiana;
  -  adozione  di  tecniche  riabilitative  di  10 livello miranti al
  ripristino  o al mantenimento dell'autonomia e dell'autosufficienza
  della   persona,  indipendentemente  dal  completo  recupero  della
  singola funzione;
  -   addestramento  e  supervisione  degli  altri  operatori  e  dei
  familiari  per gli aspetti riabilitativi inerenti la mobilizzazione
  e la cura della persona;
  -   valutazione  e  riorganizzazione  dell'ambiente  di  vita,  con
  particolare  riferimento  all'accessibilita'  e alla fruibilita' di
  spazi e arredi.

Assistente sociale:

  -  analisi delle problematiche relative all'eventuale necessita' di
  sostegno economico e sociale del malato e della sua famiglia;
  -  valutazione  sulla  necessita'  di  tutela dei membri deboli del
  nucleo familiare;

Operatore addetto all' assistenza:


- cura della persona e degli ambienti di vita;
- supporto ai familiari nelle attività di base del malato;
- interventi di mobilizzazione e contributo alle attività sanitarie
  secondo competenza.

Volontario:

- sostegno al malato;
- sostegno ai familiari, anche nelle attivita' quotidiane;
- sostegno organizzativo all'equipe di cure palliative.

E) LIVELLI ESSENZIALI ASSISTENZIALI GARANTITI.

   L'organizzazione   dell'assistenza  extraospedaliera  ai  pazienti
oncologici  deve  garantire  almeno  le  cure palliative per i malati
terminali.  La  definizione di terminalita' e' data dal contemporaneo
rispetto dei seguenti criteri:

  - terapeutico: assenza, esaurimento o inopportunita' di trattamenti
  specifici volti alla gestione o al rallentamento della malattia;

                 Obiettivo specifico intermedio no 3

PROMOZIONE  DI PROGRAMMI DI SCREENING DI DOCUMENTATA EFFICACIA PER LA
                     DIAGNOSI PRECOCE DEI TUMORI

   Il   Piano   sanitario   nazionale   1998-2000   all'Obiettivo  II
"Contrastare   le  principali  patologie"  rileva  che,  al  fine  di
contribuire  a  contrastare  specifiche  forme  neoplastiche, sono da
sviluppare, nei piani regionali ed aziendali e da estendere, su tutto
il  territorio  nazionale,  campagne  di  screening,  di  documentata
efficacia, per la diagnosi di alcune patologie neoplastiche. Il Piano
rileva  inoltre  la  necessita'  che,  nell'attivazione  dei predetti
programmi,  siano  previsti il monitoraggio e la valutazione continua
degli  stessi;  che  sia  garantita  l'istituzione  di  un sistema di
controllo   di  qualita'  dei  programmi  medesimi,  i  quali  devono
prevedere,  tra  l'altro,  la  predisposizione  di linee guida per la
conferma diagnostica dei casi sospetti identificati ed il trattamento
tempestivo dei casi confermati.
   Il   Piano,  nel  fornire  indicazioni  sui  livelli  uniformi  di
assistenza, da assicurare in condizioni di uniformita' sul territorio
nazionale alla totalita' dei cittadini, ricomprende nelle prestazioni
che   devono   essere  erogate  dal  S.S.N.,  senza  oneri  a  carico
dell'utente  al  momento della fruizione del servizio, le prestazioni
di diagnostica strumentale e di laboratorio e le altre prestazioni di
assistenza   specialistica,   incluse  in  programmi  organizzati  di
diagnosi  precoce  e prevenzione collettiva, realizzati in attuazione
del  PSN  e  dei  PSR  o  comunque  promossi  o autorizzati, con atti
formali, dalle regioni o provincie autonome.
   A  tal  fine  e'  opportuno che a livello di ciascuna regione, sia
effettuata attivita' di:

- monitoraggio
- valutazione
- formazione
- coordinamento dell'attivita' di screening
-  definizione  dei  criteri  di  idoneita'  per  la  selezione delle
strutture preposte allo screening.

   Tali  attivita'  dovranno  essere  operativamente  effettuate  dal
Centro  Regionale  di  Prevenzione  Oncologica  ove  presente,  o  da
apposito  organismo  costituito in ambito regionale. A tale attivita'
deve  essere assicurato preventivamente un adeguato finanziamento per
garantirne  la  continuita',  rientrando l'attivita' di screening nei
livelli uniformi di assistenza.
   La   necessita'   di  migliorare  e  rendere  piu'  efficienti  le
prestazioni  diagnostiche  in  popolazione sintomatica e asintomatica
quindi  di  disporre  di  sufficienti  competenze per l'esecuzione di
approfondimenti nei casi selezionati dallo screening rende necessaria
inoltre  l'individuazione di idonee strutture di secondo livello. Una
rete  di  tali  strutture  uniformemente  distribuite  sul territorio
nazionale, potrebbe raffigurare il modello piu' valido per rispondere
in modo tempestivo e corretto al bisogno specialistico specifico.

A)  PROPOSTE  OPERATIVE  IN TEMA DI PREVENZIONE SECONDARIA DEI TUMORI
DELLA MAMMELLA

1) Premessa

   In  tutti  i paesi occidentali ed industrializzati il tumore della
mammella  ha raggiunto livelli di incidenza tali da rappresentare una
vera  e  propria  malattia  sociale.  In  Italia, nel 1994 sono morte
11.343  donne  per carcinoma mammario e si stima che ogni anno a piu'
di  31.000  donne  sia  diagnosticata  questa  malattia (dati forniti
dall'Associazione Italiana Registri Tumori).
   Le  attuali  conoscenze  sull'eziologia del carcinoma mammario non
consentono,  purtroppo, di attuare interventi di prevenzione primaria
tramite  la rimozione di fattori causali. E' invece stata dimostrata,
con   metodi  rigorosi,  l'efficacia  della  prevenzione  secondaria.
Numerosi  studi  controllati  hanno  dimostrato che, sottoponendo una
popolazione  femminile,  nelle  fasce  di  eta'  a maggior rischio di
carcinoma  mammario,  ad  un  controllo  mammografico  periodico,  la
mortalita'  per  questa  neoplasia diminuisce del 30-50%, grazie alla
maggiore  efficacia  del  trattamento  terapeutico  applicato in fase
precoce  di  malattia. Per questo motivo, negli ultimi venti anni, si
e'  data  particolare  importanza alla possibilita' di controllare la
mortalita'  per  carcinoma  mammario con un intervento sistematico di
diagnosi precoce.
   La   risposta   piu'   efficace  ed  efficiente  alla  domanda  di
prevenzione  per  il  carcinoma  della  mammella e' l'attivazione, in
tutto il territorio nazionale, di programmi di screening mammografico
di alta qualita', indirizzati alle donne nelle fasce d'eta' a maggior
rischio,  con  priorita'  per le donne in eta' compresa tra i 50 ed i
69anni.
   Le attivita' di diagnostica precoce, che richiedono l'integrazione
funzionale  di  tutti  i  servizi  connessi  alla  senologia, saranno
effettuate  in  stretta  collaborazione  con  le strutture della rete
oncologica   e   con   le   strutture   preposte   alla   valutazione
epidemiologica,  in  modo  da consentire il corretto monitoraggio dei
programmi  e  l'assistenza  adeguata  dopo  la  diagnosi.  E' inoltre
fortemente raccomandata la costituzione di un Gruppo di coordinamento
a livello regionale.

2. ATTUAZIONE DEL PROGRAMMA DI SCREENING

   E'  necessaria  l'attivazione  in tutto il territorio nazionale di
programmi  di  screening  mammografico  di alta qualita', indirizzati
alle donne nelle fasce d'eta' a maggior rischio, compresa tra 50 e 69
anni.  Per  eta'  inferiori  ai  50  anni,  sono  in  corso  progetti
dimostrativi  (Eurotrial-40) in diverse regioni italiane per valutare
flessibilita',  controlli  di qualita' e specificita' dello screening
in questo gruppo di popolazione. Pertanto, le indicazioni provenienti
dai  progetti  dimostrativi  potranno essere la base per l'estensione
dello screening nella fascia di eta' dai 40 ai 49 anni.
   L'obiettivo  principale  di  un  programma  di  screening  per  il
carcinoma  della  mammella  e'  ottenere  una riduzione significativa
della  mortalita'  specifica con il miglior rapporto costo beneficio.
Da   studi   condotti,   si  stima  che  un  programma  di  screening
mammografico,   esteso  a  tutto  il  territorio  nazionale,  per  la
popolazione  femminile  di eta' compresa tra 50 e 69 anni, eviterebbe
nell'arco  di  30  anni  circa  48.000 decessi per carcinoma mammario
nelle donne oltre i 50 anni, raggiungendo una riduzione di mortalita'
intorno al 13.5% su tutte le eta'. Cio' si tradurrebbe in un guadagno
medio  di  1650  vite per anno e di circa 14.500 anni di vita salvati
nello stesso periodo.
   Attuare  un  programma  di  screening  mammografico  articolato  a
livello  regionale,  che  coinvolga  gradualmente tutto il territorio
nazionale,   e'  una  proposta  concreta  e  percorribile.  E'  pero'
necessario  preliminarmente  verificare  l'esistenza  di  strutture e
personale  e  promuovere  le condizioni di fattibilita', efficienza e
qualita',  secondo  quanto noto. In base ad alcune stime di spesa, il
costo  medio  annuo di un programma di screening mammografico rivolto
alle  6.700.000  donne  in  eta'  compresa  fra  50  e  69  anni, con
periodicita'  biennale,  e' stimabile in un range compreso tra 93.6 e
107,1  miliardi di lire l'anno. Questo importo corrisponde a circa lo
0.20  %  della  spesa  sanitaria  nazionale, cioe' a circa 3.000 lire
pro-capite e quindi a meno del 5% delle risorse pro-capite, assegnate
dal  fondo  Nazionale  alle  Regioni per le attivita' di prevenzione.
Rapportando  il  costo  ai dati di efficacia sopra riportati, si puo'
stimare,  su  un  lungo periodo (30 anni) un costo medio compreso fra
6.6  e  11.5  milioni  di lire per anno di vita salvato e tra 60 e 90
milioni  per  vita  salvata.  Questo  intervento  sanitario,  se  ben
organizzato,  gestito  e  controllato,  presenta  quindi  un rapporto
costo/beneficio  verosimilmente  piu'  vantaggioso  rispetto ad altri
interventi   gia'  offerti  alla  popolazione  italiana.  La  domanda
spontanea  di  esami senologici di controllo e' in forte crescita nel
nostro  Paese  e  rappresenta  comunque  una  spesa  in  atto, con un
rapporto costi/benefici presumibilmente peggiore di quello ottenibile
con un programma nazionale ben organizzato.
   Nell'attuare il programma di screening, occorre adottare i criteri
illustrati nelle seguenti proposte operative.

2.1. Test di screening:

Mammografia convenzionale in due proiezioni ad intervallo biennale.

2.2.Copertura della popolazione bersaglio:

   Si raccomanda di ottenere una copertura almeno del 70% delle donne
residenti  nell'area,  di  eta'  compresa  tra 50 e 69 anni, rispetto
all'esecuzione di una mammografia ogni 2 anni.

2.3.  Analisi  delle risorse disponibili o acquisibili. .br. Presenza
nell'area di competenza di:

   a) strutture mammografiche;
   b)  personale  tecnico  addestrato  per  l'esecuzione  degli esami
   mammografici;  medici  radiologi  addestrati  per  la  lettura  di
   mammografie da screening;
   c) struttura senologica di 2o livello presso di cui poter eseguire
   gli esami di approfondimento indotti dallo screening;
   d) laboratorio di cito-isto-patologia per la lettura dei preparati
   citologici   (su  agoaspirato)  e  istologici  (esami  bioptici  e
   trattamenti chirurgici)
   e) strutture chirurgiche, radioterapiche e oncologiche in grado di
   garantire  diagnosi  e  terapie  adeguate  a tutte le donne che vi
   saranno indirizzate in seguito allo screening.

2.4.  Bacino  d'utenza  e  tipologia  delle  unita'  operative per lo
screening

   Allo  scopo di ottimizzare l'utilizzo delle risorse di personale e
strumentali,  e' necessario definire un numero medio annuo di test di
screening,  tenendo  conto  che volumi di attivita' bassi favoriscono
sprechi  e  non  consentono di diagnosticare un sufficiente numero di
casi,    mentre   un'eccessiva   centralizzazione   puo'   comportare
difficolta'   di   accesso   alla   popolazione.  E'  necessario  che
all'attivita'     di     screening     radiologico    sia    connessa
organizzativamente  e strutturalmente, un'unita' di senologia per gli
esami  di  approfondimento  diagnostico  sui  casi  selezionati  allo
screening.
   Per  definire  il  rapporto  tra  mammografi  fissi  e  mobili, la
dimensione  della  popolazione  generale, il bacino di utenza di ogni
unita'  di  mammografia,  bisogna tenere conto che circa il 30% della
popolazione  italiana vive in aree agricole, il rimanente 70% in aree
urbane, di cui circa il 25% in citta' con 500.000 o piu' abitanti.
   In generale i centri di screening tipo potrebbero essere dotati di
2-3 mammografi (di cui almeno una fisso e corredato di un microfuoco)
e  della  restante strumentazione, necessaria per gli approfondimenti
diagnostici  dei  casi positivi al test (ecografia, citologia, ecc.).
Il  volume  di attivita' dovrebbe essere compreso tra 10.000 e 20.000
esami  annui ed il bacino di utenza servito tra i 200.000 e i 500.000
abitanti.   Il   personale   deve  essere  quantificato  in  funzione
dell'accesso   dell'utenza  (ad  es.  eventuale  apertura  nelle  ore
preserali  e  di  sabato  mattino)  e  dell'utilizzo  delle strutture
disponibili  nell'arco  di  tutta  la  giornata.  Sono  da  prevedere
preferibilmente quindi doppi turni.
   In  accordo  con le linee guida europee, si raccomanda infine che,
tenendo  conto  dell'importanza degli approfondimenti diagnostici, al
fine  di  ottenere  un'elevata  predittivita' per carcinoma, nei casi
inviati  a  biopsia  chirurgica,  gli  approfondimenti  stessi  siano
effettuati prevedendo l'integrazione funzionale dei servizi coinvolti
nei  percorsi diagnostico-terapeutici di interesse senologico, con la
diretta  partecipazione  del  radiologo incaricato della refertazione
degli esami del programma di screening.

2.5. Struttura e gestione dei programmi di screening

   Le ASL e le strutture sanitarie identificate concorrono secondo le
competenze   specifiche   alla   programmazione  e  attuazione  degli
screening   oncologici.  In  particolare  l'ASL,  a  cui  compete  di
garantire  i  livelli  di  assistenza  definiti  dalla programmazione
sanitaria nazionale e regionale, ha il compito di:

  - promuovere, nell'ambito territoriale di competenza i programmi di
  screening,  coerenti con il contesto epidemiologico e scientifico e
  le linee di indirizzo regionali, nazionali ed internazionali;
  - assicurare le risorse necessarie per la loro attuazione;
  - assicurare il coinvolgimento dei medici di medicina generale;
  -   assicurare   l'informazione   e   la   sensibilizzazione  della
  popolazione    ed   il   coinvolgimento   delle   associazioni   di
  volontariato;
  -  assicurare la gestione e la valutazione dei programmi garantendo
  il   sistema   informativo   ed   il  coordinamento  operativo  dei
  professionisti e delle strutture coinvolte;
  -  programmare  l'attivita' formativa, secondo quanto contenuto nel
  capitolo specifico.

A  livello regionale, e' necessario garantire il coordinamento per la
pianificazione  e  la valutazione delle attivita' di screening, con i
seguenti compiti:

  -  pianificare  sul territorio regionale l'attivazione di programmi
  di screening di alta qualita';
  -   effettuare   la  loro  valutazione,  utilizzando  le  opportune
  competenze epidemiologiche;
  -  attuare  programmi  di  formazione  degli  operatori,  secondo i
  criteri stabiliti in sede nazionale;
  -  attivare  un  programma  di "controlli di qualita'" per le varie
  procedure  organizzative,  diagnostiche e terapeutiche cui dovranno
  attenersi i programmi di screening;
  -  definire  le  modalita'  di  controllo,  affinche'  i livelli di
  qualita' siano mantenuti nel corso dell'attivita' (assicurazione di
  qualita);
  -  stabilire le modalita' di esenzione dalla compartecipazione alla
  spesa sanitaria, conformemente alle indicazioni nazionali;
  - consultare i rappresentanti dell'utenza.

2.6. Risorse

   La  continuita' del finanziamento per la conduzione del programma,
per  spese di investimento e di gestione, deve poter essere garantita
prima  dell'avvio  dello stesso. Si raccomanda un accurato sistema di
monitoraggio,   con   documentazione   dei   costi   in   ogni   fase
dell'intervento.  Per  migliorare  l'organizzazione  e pianificare la
strategia   d'intervento   e'   necessario   definire   parametri  di
riferimento  quali  ad  esempio  il  costo  per  donna  sottoposta  a
screening.

2.7.    informazione    della    popolazione   e   promozione   della
partecipazione.

   La partecipazione della popolazione bersaglio e' uno dei requisiti
per  il  successo  di  un  programma di screening. Sforzi particolari
dovrebbero  essere  fatti  per coinvolgere le donne che non hanno mai
eseguito una mammografia in passato. La partecipazione allo screening
e'  diversamente  associata  con  l'eta',  lo  stato civile, lo stato
socioeconomico,  la  frequenza  di contatto con il sistema sanitario,
etc.  Paura  delle radiazioni o del dolore alla compressione del seno
durante  il  test,  ansieta'  per  il  risultato,  paura  del cancro,
mancanza  di  fiducia nell'efficacia dello screening e della terapia,
nel   sistema   sanitario,  sono  ostacoli  alla  partecipazione  che
dovrebbero   essere  valutati  anche  in  relazione  alle  differenti
situazioni  locali,  cosi'  come  le  barriere come la distanza o gli
orari, che diminuiscono l'accesso alle Unita' di screening.
   L'adesione  della  popolazione  ad  un programma di screening puo'
essere  aumentata  in  vari modi: adottando un invito personalizzato,
con  appuntamento  prefissato  ed a firma del medico di famiglia o di
altre  persone  altamente reputate in una comunita', incoraggiando le
non partecipanti ad aderire.
   L'uso  dei  mass-media  puo'  svolgere  un  ruolo  importante  per
rimuovere  le barriere alla partecipazione, informando la popolazione
bersaglio sul programma, sulla sua organizzazione, su i suoi vantaggi
ed   i   suoi   limiti.   In  piccole  citta'  e  in  zone  agricole,
l'organizzazione   della   vita   sociale   (associazioni,   circoli,
parrocchie   ecc.)   puo'   consentire   di  identificare  specifiche
opportunita'  per  informare le donne e promuovere la partecipazione.
La  pubblicita' attraverso i mass-media ha un effetto di breve durata
e dovrebbe essere pianificata a intervalli regolari per rinforzare il
messaggio.  Giornali e stazioni radiotelevisive possono offrire spazi
gratuiti  per  la  pubblicita'  e  si  possono  trovare  sponsor  per
finanziare l'informazione.
   Qualsiasi  effetto  di modifiche all'organizzazione del programma,
idealmente  dovrebbe  essere valutato attraverso studi randomizzati e
controllati.

2.8.Ruolo del medico di medicina generale

   Nell'ambito   di   un   programma  di  screening  mammografico  di
popolazione   l'informazione   e   l'educazione   sanitaria  sono  di
fondamentale  importanza.  Il medico di medicina generale (MMG) e' il
punto  di  riferimento  per  il  cittadino  e  quotidianamente riceve
richieste   di  informazioni,  chiarimenti  e  consigli  anche  sulle
possibili  iniziative  di  prevenzione; egli inoltre stabilisce con i
propri pazienti un rapporto fiduciario e continuo nel tempo.
   A  livello  europeo,  il  programma  "Europa  contro il cancro" ha
ripetutamente  raccomandato  il coinvolgimento dei m.m.g. nell'ambito
dei programmi di screening di popolazione.
   Studi  condotti  per  valutare gli effetti di diverse modalita' di
invito  hanno dimostrato che anche nella realta' italiana una lettera
a  firma  del  m.m.g.  puo'  ottenere  tassi  di  partecipazione piu'
elevati.
   In  Italia  la  convenzione  con  la  medicina generale prevede la
partecipazione dei m.m.g. ai programmi di screening.
   Schematizzando,  il  ruolo  dei  m.m.g. puo' essere riassunto come
segue:

  -   correzione  delle  liste  in  base  ai  criteri  di  inclusione
  (escludendo pazienti gia' affette da tumore o da gravi malattie);
  -  attiva  promozione  della  partecipazione  nei  confronti  delle
  proprie assistite;
  - informazione mirata alle donne non aderenti;
  -   "counselling"  in  tutte  le  fasi  del  programma  e  supporto
  psicologico,  in  particolare  per  le  donne risultate positive al
  test.

   L'esperienza  dei  Paesi  nord  europei  insegna  che  molte donne
decideranno  se  aderire al programma e se seguire l'iter diagnostico
suggerito dopo aver sentito il parere del proprio medico curante.
   L'attivazione  di  un  programma  di  screening  mammografico deve
essere  preceduta  da  un'adeguata  formazione dei medici di medicina
generale,  organizzata  secondo tecniche didattiche gia' sperimentate
dalla SIMG per la formazione continua dei professionisti.

2.9. Protocolli per il counselling ed il supporto psicologico

   Oltre   a   predisporre   gli   strumenti   per   incentivare   la
partecipazione  al test di screening, e' necessario mettere a punto e
disporre  di  strumenti per il counselling ed il supporto psicologico
per  le  donne  che  sono richiamate, per quelle che sono indirizzate
verso  accertamenti  diagnostici invasivi o a cui e' diagnosticato il
cancro.  I  livelli  di  ansieta'  determinati  da un richiamo devono
essere  adeguatamente  gestiti sin dalla comunicazione del richiamo e
durante l'iter diagnostico in stretta collaborazione con il medico di
medicina generale. Il medico di medicina generale ed il personale che
opera  nel servizio, adeguatamente formato, possono svolgere un ruolo
di adeguato supporto e consiglio.

2.10. Controlli di qualita'

   I  controlli  di qualita' devono essere applicati a tutte le varie
fasi  della  procedura  di screening, dal reclutamento e invito della
popolazione  target,  alla  esecuzione  dei test di screening e degli
esami  di approfondimento, alla applicazione di protocolli di terapia
e  follow-up  adeguati nei casi risultati positivi allo screening. Il
programma  "Europa  contro  il  cancro" ha pubblicato le "Linee guida
Europee per l'Assicurazione di Qualita' nello screening mammografico"
in  cui  si  sottolinea  che  "non  dovrebbe  essere intrapreso alcun
programma   di  screening  senza  averne  stabilito  chiaramente  gli
obiettivi,  o  se non si dispone di personale adeguatamente formato e
di un programma di Assicurazione di Qualita' adeguato" .

Aspetti organizzativi.

   Il  programma  di  controllo  di  qualita'  dovra'  verificare che
requisiti quali disponibilita' e accuratezza delle liste anagrafiche,
sistemi    di    invito-reinvito,   adesione   agli   approfondimenti
diagnostici,  follow-up  e qualita' della terapia siano soddisfatti e
mantenuti nel tempo.

Aspetti tecnici.

   Il   controllo   di   qualita'  dell'esame  mammografico  richiede
competenze  radiologiche  e fisiche ed un'adeguata strumentazione. Il
protocollo  operativo  e  la frequenza dei controlli di qualita' sono
chiaramente  stabiliti  nelle linee guida europee. La loro attuazione
richiede quindi la necessita' di istituire in ambito regionale Centri
di  riferimento  per  il  controllo  della dose e qualita' dell'esame
mammografico, a supporto delle attivita' di controllo di qualita' che
sono  svolte  dai  singoli  programmi  di  screening  e dalle Aziende
sanitarie secondo la normativa vigente.
Aspetti medici:

Gli aspetti medici del programma possono essere cosi' suddivisi:


a) informazione e educazione sanitaria (Medici di medicina generale);
b) test di screening (radiologo);
c) approfondimenti diagnosticano (oncologo - radiologo);
d) diagnosi istopatologica (patologo),
e) somministrazione della terapia adeguata (chirurgo, oncologo,
   radioterapista) nei casi identificati dal programma di screening.

   Per il radiologo che effettua la lettura dello screening, il primo
indicatore  di  qualita'  e'  costituito  dal  tasso  di richiamo per
successivi  approfondimenti  diagnostici.  Questi possono determinare
un'ingiustificata   ansia  nelle  donne  richiamate  per  alterazioni
falsamente  corrette  ed incidere sensibilmente sui costi complessivi
del programma di screening.
   Si  raccomanda  di  rispettare gli indicatori (proposti dal GISMa)
per le classi d'eta' 50\69 anni (vedi allegato no3 tab. n. 1)

2.11. Pianificazione e valutazione

   Elemento  fondamentale di un programma di screening e' la funzione
d'organizzazione e di valutazione. Possiamo distinguere tale funzione
a  livello  di  centri  di  screening,  riferiti  ad  una  data  area
geografica, e a livello di piu' Centri (ad esempio di una regione).

E' necessario che ogni centro di screening:

  - disponga di un sistema informativo con liste anagrafiche corrette
  e aggiornate di popolazione, possibilmente suddivisibili per medico
  di Medicina generale;
  -  organizzi  e  gestisca  un  sistema di appuntamenti e provveda a
  reinvitare le donne non aderenti;
  -  verifichi  che  le  donne  positive  al test siano sottoposte ad
  accertamenti  di  secondo  livello  e  che le donne con diagnosi di
  carcinoma mammario abbiano una terapia adeguata e tempestiva;
  -  raccolga le informazioni di follow-up clinico ed epidemiologico,
  sui  casi accertati; informazioni fondamentali per i casi di tumore
  della  mammella  sono:  - tipo di intervento chirurgico; - diagnosi
  istologica;  -  stadio patologico secondo la classificazione T.N.M.
  E'  importante  comprendere  nella  rilevazione  anche  i  casi  di
  intervallo,  vale  a  dire  i tumori insorti in donne negative alla
  mammografia e prima del successivo invito;
  - tenga i collegamenti con i centri di riferimento per la terapia e
  con  le  altre strutture coinvolte nello screening (ad es. Registri
  Tumori, ecc.);
  -  produca stime puntuali sull'adesione allo screening, sulle altre
  misure   di  processo  e  sugli  indicatori  precoci  di  efficacia
  riportati nella precedente tabella.

Definizione di un sistema informatico.

   Al  fine  di  svolgere  queste  attivita'  e'  necessaria definire
sistemi  informativi  e produrre programmi di gestione computerizzata
che,  tenendo  conto  delle  caratteristiche  specifiche  dei sistemi
informativi   esistenti   a   livello   regionale,  possano  produrre
indicatori   di  processo  confrontabili  a  livello  intra  e  inter
regionale.
   E'  probabile  che,  per  questioni  di  scala,  possa essere piu'
conveniente  produrre le stime relative a livello regionale piuttosto
che  a  livello  locale,  o utilizzare il lavoro gia' svolto da altre
strutture  per  l'intero  territorio  (ad  esempio  registri  tumori,
sistema regionale per la mortalita', dimissione ospedaliere, registri
di patologia, ecc.).
   Strumenti  utili  per la valutazione dei risultati di un programma
di  screening  mammografico  sono  i registri tumori, in subordine, i
registri   di  patologia,  e  sistemi  computerizzati  di  dimissione
ospedaliera.  Il  15%  della  popolazione  italiana  e'  coperta  dai
registri  tumori.  La  creazione  di Registri di patologia mammaria a
livello  di  popolazione  dovrebbe  essere presa in considerazione in
funzione della valutazione di programmi di screening.
   E'  necessario  predisporre una rilevazione della disponibilita' e
aggiornamento  di  anagrafi  automatizzate,  e  dell'integrazione tra
anagrafi ed elenco assistiti dai medici convenzionati con il Servizio
Sanitario Nazionale.
   Inoltre  l'adozione  del  Codice  fiscale  o  di  altro sistema di
identificazione  personale,  esteso  a tutto il territorio nazionale,
potrebbe   grandemente   favorire  il  linkage  tra  diversi  sistemi
informativi  e  di  conseguenza  le  attivita' di organizzazione e di
valutazione degli screening.

Sistemi di valutazione dell'intervento

   Devono  essere  individuati i centri di riferimento per la terapia
del  carcinoma  mammario,  cui  indirizzare  i  casi individuati allo
screening  tramite collegamenti funzionali. Tale organizzazione e' un
presupposto  per l'adozione di una terapia tempestiva attuata in base
a  validati  ed  espliciti  protocolli  dei  quali si devono dotare i
centri  di  riferimento,  in  modo  da non vanificare l'anticipazione
diagnostica,  conseguita  dalla  diagnosi  precoce,  e  ridurre,  con
trattamenti inadeguati, la potenziale efficacia dello screening sulla
qualita'  e durata della vita. In questo modo sono inoltre facilitati
il   follow-up   epidemiologico  dei  casi  e  l'accessibilita'  alla
documentazione clinica.

2.12. Formazione del personale

   Un'adeguata  formazione  degli  operatori e' un momento essenziale
per  l'attivazione dei programmi di screening. Deve essere ben chiaro
infatti  che  lo  screening  mammografico  e'  un  mezzo efficace nel
ridurre la mortalita' per carcinoma mammario con trascurabili effetti
negativi,   comunque   presenti   (p.es.   sovradiagnosi,  cancri  di
intervallo ecc.) a condizione che le varie procedure operative, dalla
programmazione  alla  diagnosi  e  terapia,  siano effettuate secondo
standard ottimali di qualita'.
   Lo    screening   mammografico   richiede   competenze   altamente
specifiche,   non   sempre   disponibili   all'interno  del  servizio
sanitario,   ove  normalmente  si  svolge  attivita'  diagnostica  ed
assistenziale  rivolta  a  pazienti  sintomatiche  e non a persone in
buono   stato   di   salute.   Infatti,   per  quanto  riguarda  piu'
specificatamente  il  test  di  screening  (mammografia), questo puo'
differire   dalla  mammografia  "clinica"  in  quanto  a  criteri  di
esecuzione  (proiezione  obliqua)  e,  senza  dubbio,  ne  differisce
sensibilmente  in  quanto  ai  criteri  interpretativi.  Il  test  di
screening  deve  essere altamente sensibile per le lesioni di piccolo
diametro,   per   garantire   l'efficacia   dei   programmi  rispetto
all'obiettivo   primario  della  riduzione  di  mortalita',  e  molto
specifico, al fine di contenere, entro limiti rigorosi, i costi e gli
effetti negativi.
   Va  inoltre  rilevato come il personale non medico assuma un ruolo
particolarmente  importante  nella  realizzazione  dei  programmi  di
screening e nel contatto con le donne partecipanti al programma. Gran
parte  del  lavoro  e'  svolto, infatti, da personale non medico e la
maggior  parte  delle  donne  avra'  un  rapporto  diretto  con  tali
operatori.

2.13. Criteri per la selezione dei centri di screening

   La necessita' di uniformare i programmi di screening italiani agli
standard  raccomandati  in  ambito  europeo impone la selezione delle
strutture,  in  modo  che  diano sufficienti garanzie di qualita'. In
fase  di  selezione si dovra' tenere conto anche della disponibilita'
di  strutture assistenziali qualitativamente adeguate, in particolare
per  la  terapia  di  forme  iniziali  diagnosticate  allo  screening
(trattamenti conservativi, radioterapia ecc.).
   Il gruppo tecnico di lavoro che coordina il programma di screening
avra'  cura  di  definire  a  priori  quale  sia  il numero minimo di
strutture  necessario,  in  funzione del valore atteso di rispondenza
della  popolazione,  i  criteri  per la loro individuazione nonche' i
requisiti e la composizione del gruppo tecnico che dovra' svolgere le
verifiche.
   L'invito  a  candidarsi ad operare come centro di screening potra'
coinvolgere  tutte  le  strutture  sanitarie  del  territorio dove e'
svolto  il  programma  senza  alcuna preclusione se non quella di una
fondata  verifica  di  inidoneita'  a svolgere le specifiche funzioni
dello screening. Contestualmente all'invito a candidarsi le strutture
sanitarie  saranno  informate  preventivamente  delle modalita' e dei
tempi  prescelti  per effettuare la verifica e riceveranno la griglia
di valutazione adottata.

2.14. Riservatezza dei dati

   Ogni  programma  di screening deve rispettare la normativa vigente
in  materia  di  trattamento  dei dati sensibili come stabilito dalla
legge  675  del  31  dicembre  1996  (Tutela delle persone e di altri
soggetti  rispetto  al  trattamento  di  dati personale), dal decreto
legislativo  135 del 11 maggio 1999 e dal decreto legislativo 282 del
30 luglio 1999:

..... Il presente decreto.....individua alcune rilevanti finalita' di
interesse  pubblico,  per  il  cui  perseguimento e' consentito detto
trattamento,  nonche'  le  operazioni eseguibili e i dati che possono
essere trattati.
                                 (DL 135, art. 1, comma 1, lettera b)
....si  considerano  di  rilevante  interesse  pubblico  le  seguenti
attivita'  rientranti  nei compiti del Servizio Sanitario Nazionale e
degli altri organismi sanitari pubblici.....
a)  la  prevenzione,  la  diagnosi,  la  cura e la riabilitazione dei
soggetti assistiti dal servizio sanitario nazionale.........
                                (DL 135, art. 17, comma 1, lettera a)

B)   PROPOSTE   OPERATIVE  IN  TEMA  DI  PREVENZIONE  SECONDARIA  DEL
CERVICO-CARCINOMA UTERINO.

1. PREMESSA

   La  mortalita'  per tumore dell'utero e' diminuita di oltre il 50%
negli ultimi 40 anni, passando da 14 casi ogni 100.000 donne nel 1955
a 6 casi ogni 100.000 donne nel 1990.
   I  dati ISTAT non differenziano tra morti attribuibili a carcinoma
della  cervice  uterina  e  morti  attribuibili a carcinoma del corpo
dell'utero. Tuttavia, analisi di popolazione effettuate tenendo conto
delle  coorti  di  nascita,  consentono  una  discriminazione  almeno
approssimativa,   in  quanto  il  tumore  della  cervice  uterina  ha
un'insorgenza  piu'  precoce  rispetto  al tumore dell'endometrio. La
riduzione  di  mortalita' e' stata osservata soprattutto nelle coorti
piu' giovani, suggerendo indirettamente che gran parte di essa sia da
attribuire   alla  diminuita  mortalita'  per  tumore  della  cervice
uterina.
   Attualmente  si  stima che ogni anno in Italia siano diagnosticati
circa  3.600  nuovi  casi  di  cervico-carcinoma  e che si registrino
almeno 1.700 morti per questo tumore.
   Al momento, non esistono indicazioni per interventi di prevenzione
primaria per i tumori della cervice uterina, mentre sono molto chiare
le indicazioni a favore di interventi di prevenzione secondaria.
   Il razionale per l'introduzione dello screening di popolazione per
il  cervicocarcinoma  si  basa  sulla  possibilita' di individuare la
malattia  in fase asintomatica, quando le probabilita' che questa sia
in fase preinvasiva o invasiva iniziale sono piu' elevate.
   L'unico test di screening per i tumori della cervice uterina e' il
Pap  test. L'impiego del Pap test consente l'identificazione non solo
di   lesioni   tumorali   molto   precoci,   ma   anche   di  lesioni
preneoplastiche.  Lo screening avrebbe pertanto il compito di ridurre
sia  la mortalita' per carcinoma, favorendone la diagnosi in una fase
in  cui  il  trattamento  puo' essere efficace, sia l'incidenza della
neoplasia    invasiva   attraverso   il   trattamento   delle   forme
preneoplastiche. Le evidenze dell'efficacia dello screening, mediante
Pap  test,  derivano  dall'osservazione di variazioni temporali della
mortalita'  per  tumore  della cervice uterina in aree geografiche in
cui  siano  stati  attuati  interventi attivi su fasce di popolazione
piu'  o  meno  ampie  e  da studi non randomizzati che hanno rilevato
un'importante  riduzione  di incidenza di tumori invasivi nelle donne
sottoposte a Pap-test.
   L'entita'  della  riduzione  della  mortalita' per carcinoma della
cervice  uterina  in  una  determinata area geografica e' in funzione
della  percentuale  di popolazione interessata dallo screening, della
fascia  d'eta' inserita nel programma e della partecipazione da parte
della  popolazione  invitata.  L'analisi  dei  diversi  intervalli di
re-screening  adottati  e  delle  diverse  fasce  d'eta' inserite nei
programmi  di  popolazione  ha  fornito  indicazioni  che  sono state
utilizzate  per calcolare l'efficacia teorica di diverse politiche di
screening.

2. LO SCREENING CERVICO-VAGINALE IN ITALIA. ATTUAZIONE DEL PROGRAMMA.

   In  Italia  l'attivita' organizzata di screening citologico per il
cervico-carcinoma  non  e'  uniformemente  distribuita sul territorio
nazionale.  Ugualmente  variegato  appare  il panorama all'interno di
ogni singola realta' regionale.
   Da  un'indagine  condotta nel 1997, emerge come in quell'anno solo
il  13,5%  delle donne italiane, tra i 25 e i 64 anni, fosse inserita
in   un  programma  organizzato  di  screening  citologico,  con  una
distribuzione  prevalente  al centro ed al nord Italia. La situazione
si  sta  rapidamente  evolvendo  grazie all'implementazione di alcuni
programmi  a  livello  regionale,  quest'estensione  dei programmi di
screening  dovrebbe  portare al 44,5 la percentuale di donne italiane
25-64enni  cui e' offerto gratuitamente, ogni 3 anni, un Pap-test per
la diagnosi precoce del cervico-carcinoma.
   Al  di fuori dei programmi organizzati di screening citologico, si
osserva la diffusione del cosiddetto screening spontaneo.
   E'  stato stimato che, mediamente, in Italia sono effettuati circa
3.5  -  4.0  milioni di Pap test ogni anno. Cio' potrebbe significare
che  ogni anno una, ogni tre-quattro donne, di eta' compresa tra 25 e
64  anni  esegue il test e che quindi il numero di test effettuati e'
quasi  sufficiente  a  garantire  la  copertura  nella  fascia d'eta'
passibile   di   screening,  adottando  un  intervallo  triennale  di
re-screening.
   In   realta',   la   quota   di   donne  che  esegue  il  Pap-test
periodicamente  e' ben piu' limitata e spesso questo gruppo fa un uso
eccessivo  dei  test  (test eseguiti annualmente o anche con maggiore
frequenza).  Esiste  quindi  una  quota consistente della popolazione
femminile   che  non  ha  mai  eseguito  il  test  o  che  lo  esegue
irregolarmente.  Questa  fascia  di  popolazione,  che proprio per il
fatto di non fare il Pap-test e' piu' a rischio di avere una diagnosi
di  carcinoma  della  cervice  uterina,  deve  rappresentare il primo
target di un programma di screening attivo.
   Di  conseguenza e' necessaria l'attivazione su tutto il territorio
nazionale  di  programmi  di  screening del cervico-carcinoma di alta
qualita',  favorendo  il  completamento  del  processo attualmente in
atto. A tal fine, e' necessario verificare l'esistenza di personale e
strutture  e  promuovere  le condizioni di fattibilita', efficienza e
qualita',  secondo  quanto  noto.  A  tal  proposito  si riscontra la
mancata  identificazione  di  una  specifica figura professionale cui
attribuire  le  funzioni  di citologo. Anche al fine di garantire una
miglior qualita' delle prestazioni, il Ministero della Sanita', entro
sei   mesi,   regolamentera'   l'attribuzione  di  quest'attivita'  e
precisera'  i  criteri per l'identificazione delle suddette funzioni,
provvedendo   all'identificazione   della  o  delle  relative  figure
professionali  idonee  a  svolgere  con  competenza  questa funzione.
Nell'attuare  il  programma  di  screening occorre adottare i criteri
illustrati  nelle  seguenti  proposte  operative. Esse sono formulate
sulla  base  delle  "European  Guidelines  for  quality  assurance in
cervical cancer screening - Europe against Cancer Programme" .

2.1. Test

   Il  Pap  test  e' l'unico test di screening per il carcinoma della
cervice uterina ed e' volto ad identificare le lesioni preinvasive ed
il  carcinoma  invasivo  iniziale  della  cervice uterina e non altre
affezioni dell'apparato genitale femminile.

2.2. Programma di screening

   Si raccomanda di attivare un programma che raggiunga una copertura
della  popolazione femminile italiana tra 25 e 64 anni, pari all'85%,
eseguendo  un  Pap  test  gratuito  ogni 3 anni. I test gratuiti, non
utilizzati  secondo queste indicazioni, sono sconsigliati. Questi non
devono  comunque  superare  il  10% del totale previsto dai programmi
organizzati e devono essere adeguatamente motivati.

2.3.  Situazione attuale degli screening in corso e loro integrazione
in un programma organizzato nel SSN.

   Prima  di  realizzare  un  programma  di screening organizzato, si
raccomanda  di  procedere  ad  un'analisi delle strutture esistenti a
livello  locale.  E'  necessario conoscere a priori la disponibilita'
di:

   a)  ambulatori  e/o  consultori  dei  distretti,  presso  i  quali
   effettuare il prelievo cervico vaginale;
   b)   personale  per  l'esecuzione  dei  prelievo  (preferibilmente
   ostetriche,   e,   in   assenza   di   tale  figura  professionale
   l'infermiera  addetta  al  Distretto, previa frequenza di un corso
   specifico di formazione teorico-pratica;
   c)  laboratori di cito-isto-patologia per la lettura dei preparati
   citologici  ed  istologici (esami di approfondimento - trattamenti
   chirurgici);
   d)  strutture  di  2o  livello  presso  di  cui  eseguire indagini
   colposcopiche;
   e) esistenza di canali di raccordo tra queste strutture;
   f)  strutture  assistenziali  in  grado di eseguire un trattamento
   adeguato alla patologia diagnosticata.

E'  bene  inoltre  tenere  presente che una "buona accoglienza" della
donna invitata ad effettuare il test di screening gioca sicuramente a
favore di un'immagine efficiente del programma.

2.4.Bacino di utenza


   Normalmente  il  bacino  di  utenza  di  un programma di screening
citologico  dovrebbe comprendere non meno di 250.000 abitanti. Bacini
di  utenza che offrano economie di scala ed efficienza amministrativa
comprendono  una  popolazione  variabile  tra i 400 mila e i 700 mila
abitanti.
   E'   necessario   che  il  bacino  di  utenza  del  programma  sia
sufficientemente vasto da garantire la stabilita' della popolazione e
da  includere  le  risorse  necessarie  non  soltanto per il prelievo
citologico,  ma  anche  per  tutte  le fasi successive del programma,
quali  la valutazione dei preparati, gli esami di approfondimento per
le  utenti  risultate  positive  al  test,  il follow-up dei casi con
alterazioni  e  valutazione  dei  risultati. Alternativamente occorre
identificare  specifici  centri  di riferimento collocati al di fuori
dell'area, con i quali stabilire rapporti di collaborazione.

2.5. Struttura e gestione dei programmi di screening


   Le ASL e le strutture sanitarie identificate concorrono secondo le
competenze   specifiche   alla   programmazione  e  attuazione  degli
screening   oncologici.  In  particolare  l'ASL,  a  cui  compete  di
garantire  i  livelli  di  assistenza  definiti  dalla programmazione
sanitaria nazionale e regionale, ha il compito di:

  - promuovere, nell'ambito territoriale di competenza i programmi di
  screening,  coerenti con il contesto epidemiologico e scientifico e
  le linee di indirizzo regionali, nazionali ed internazionali;
  - assicurare le risorse necessarie per la loro attuazione;
  - assicurare il coinvolgimento dei medici di medicina generale;
  -   assicurare   l'informazione   e   la   sensibilizzazione  della
  popolazione    ed   il   coinvolgimento   delle   associazioni   di
  volontariato;
  -  assicurare la gestione e la valutazione dei programmi garantendo
  il   sistema   informativo   ed   il  coordinamento  operativo  dei
  professionisti e delle strutture coinvolte;
  -  programmare  l'attivita' formativa, secondo quanto contenuto nel
  capitolo specifico.

A  livello regionale, e' necessario garantire il coordinamento per la
pianificazione  e  la valutazione delle attivita' di screening, con i
seguenti compiti:

  -  pianificare  sul territorio regionale l'attivazione di programmi
  di screening di alta qualita';
  -   effettuare   la  loro  valutazione,  utilizzando  le  opportune
  competenze epidemiologiche;
  -  attuare  programmi  di  formazione  degli  operatori,  secondo i
  criteri stabiliti in sede nazionale;
  -  attivare  un  programma  di "controlli di qualita'" per le varie
  procedure  organizzative,  diagnostiche e terapeutiche cui dovranno
  attenersi i programmi di screening;
  -  definire  le  modalita'  di  controllo  affinche'  i  livelli di
  qualita'  siano  mantenuti nel corso dell'attivita'; (assicurazione
  di qualita);
  - consultare i rappresentanti dei cittadini.

2.6. Risorse

   La  continuita' del finanziamento per la conduzione del programma,
per  spese  di  investimento  e  spese di gestione, deve poter essere
garantita  prima  dell'avvio  dello  stesso. Si raccomanda inoltre di
realizzare un sistema di monitoraggio per documentare i costi di ogni
fase.  Per  migliorare  l'organizzazione  e  pianificare la strategia
d'intervento,  e'  necessario definire parametri di riferimento quali
il costo per donna sottoposta a screening o per test effettuato.

2.7. Informazione della popolazione e partecipazione

   La  partecipazione  della  popolazione  bersaglio  e' un requisito
fondamentale  per  il  successo  di  un programma di screening. Bassi
tassi  di  adesione diminuiscono il beneficio in termini di riduzione
della  mortalita'  in tutta la popolazione piu' che lunghi intervalli
tra  test;  e'  quindi opportuno focalizzare l'attenzione soprattutto
sulle donne che non hanno mai effettuato un Pap-test in passato.
   La  partecipazione allo screening e' condizionata dall'eta', dallo
stato  civile, da quello socio-economico, dalla frequenza di contatto
con  il  sistema  sanitario,  ecc.  Paura  per l'esecuzione del test,
ansieta'  per  il  risultato,  paura  del cancro, mancanza di fiducia
nella   efficacia  dello  screening  e  della  terapia,  nel  sistema
sanitario  sono  ostacoli  alla  partecipazione che dovrebbero essere
valutati  anche  in  relazione  a differenti situazioni locali, cosi'
come  barriere  che  diminuiscono  l'accessibilita'  alle  unita'  di
screening quali la distanza, gli orari, ecc.
   L'adesione  della  popolazione  a  un  programma di screening puo'
essere  aumentata  in  vari  modi:  inviando  inviti  personali,  con
appuntamento  prefissato ed a firma del medico di famiglia o di altre
persone   di   riconosciuto  prestigio  nella  comunita'.  L'uso  dei
mass-media   puo'  svolgere  un  ruolo  importante  sia  cercando  di
rimuovere   le   barriere  alla  partecipazione,  sia  informando  la
popolazione  bersaglio  sul  programma e sulla sua organizzazione. In
piccole citta' e in zone agricole l'organizzazione della vita sociale
(associazioni,   circoli,   parrocchie,   ecc.)  puo'  consentire  di
identificare   specifiche  opportunita'  per  informare  le  donne  e
promuovere la partecipazione.
   La  pubblicita'  attraverso  i  mass-media ha effetto per un breve
periodo  e  dovrebbe  essere  pianificata  a  intervalli regolari per
rinforzare  il  messaggio. Giornali, stazioni radiotelevisive possono
offrire  spazi  gratuiti  per  la  pubblicita'  e  si possono trovare
sponsor  per  finanziare l'informazione. Ogni eventuale modificazione
dell'organizzazione del programma idealmente dovrebbe essere valutata
attraverso studi randomizzati e controllati.

2.8. Ruolo del medico di medicina generale


   L'informazione  e  l'educazione  sanitaria  sono  di  fondamentale
importanza  nell'ambito di un programma di screening cervico-vaginale
di  popolazione.  Il medico di medicina generale (m.m.g.) e' il punto
di riferimento per il cittadino e quotidianamente riceve richieste di
informazioni, chiarimenti e consigli anche sulle possibili iniziative
di  prevenzione;  egli  inoltre  stabilisce  con i propri pazienti un
rapporto fiduciario e continuo nel tempo. Il programma "Europa contro
il cancro" ha ripetutamente raccomandato il coinvolgimento dei m.m.g.
nell'ambito  dei  programmi di screening di popolazione. L'esperienza
dei Paesi nord europei insegna che molte donne decideranno se aderire
al  programma  e  se  seguire  l'iter diagnostico suggerito dopo aver
sentito il parere del proprio medico curante.
   Studi  condotti  per  valutare gli effetti di diverse modalita' di
invito  hanno  dimostrato come anche nella realta' italiana, il ruolo
del  m.m.g.,  nel  firmare la lettera di invito, sia determinante per
ottenere   tassi   di  partecipazione  piu'  elevati.  In  Italia  la
convenzione  con  la  medicina generale prevede la partecipazione dei
m.m.g.  ai  programmi  di screening. L'attivazione di un programma di
screening  cervico-vaginale  deve  essere  preceduta  da  un'adeguata
formazione  dei  medici  di  medicina  generale,  organizzata secondo
tecniche  didattiche  gia'  sperimentate dalla SIMG per la formazione
continua dei professionisti.

Schematizzando, il ruolo dei m.m.g. puo' essere riassunto come segue:

   a)  correzione  delle  liste  in  base  a criteri di eleggibilita'
   (escludendo pazienti gia' affette da tumore o da gravi malattie);
   b) attiva informazione nei confronti della popolazione;
   c)  informazione mirata sulle donne non responders, soprattutto se
   richiamate per un approfondimento;
   d)  "counselling"  e  supporto  psicologico  in  tutte le fasi del
   programma, in particolare per le donne positive al test;
   e) segnalazione dei cancri di intervallo

2.9.Protocolli per il counselling ed il supporto psicologico

   E'  necessario  predisporre  e  mettere  a  punto strumenti per il
counselling   ed   il  supporto  psicologico  delle  donne  che  sono
richiamate  per la ripetizione del test, per accertamenti diagnostici
di secondo livello o per essere indirizzate alla terapia.

2.10. Controlli di qualita' del prelievo citologico

   Si  raccomanda  che la percentuale di campioni inadeguati, a causa
dei   prelievo,  non  superi  il  5%.  A  tale  scopo  e'  necessario
effettuare, almeno annualmente, per ogni prelevatore, il monitoraggio
della  percentuale  di  campioni  inadeguati  e  predisporre un nuovo
training, per chi non rientri nello standard.
   E'   importante   che   il   personale  addetto  al  prelievo  sia
periodicamente   aggiornato   sull'andamento   del   programma,   con
particolare riferimento agli esiti qualitativi del proprio operato.

2.11. Garanzia del trattamento

   E' indispensabile instaurare un sistema che eviti qualsiasi errore
od  omissione (fail safe mechanism - sistema di sicurezza intrinseca)
nel  garantire  il  trattamento  ad  ogni  donna con una diagnosi che
comporti un intervento terapeutico.

A tal fine e' necessario che:

  -  Le  donne  ricevano  informazioni sul risultato del test e sulle
  azioni che e' necessario intraprendere direttamente, attraverso una
  comunicazione  scritta. Bisogna mirare a contenere l'intervallo tra
  prelievo e comunicazione del risultato entro 3 settimane.
  - Il programma di screening adotti espliciti protocolli diagnostici
  e  di  followup  dei  campioni citologici anormali. Un programma di
  screening  deve puntare al follow-up di tutti i campioni citologici
  anormali,  da  avviare  all'esame  colposcopico,  e insoddisfacenti
  entro  tre  mesi.  Si  raccomanda  che l'esame colposcopico avvenga
  presso  presidi  accreditati,  ove  operi  personale  addestrato  e
  sottoposto  ad un periodico controllo di qualita'. Si raccomanda di
  adottare l'attuale classificazione colposcopica internazionale.
  -  Il  programma di screening deve includere dettagliati protocolli
  per  il trattamento delle lesioni preinvasive e del tumore invasivo
  della  cervice.  Le linee guida devono garantire che il trattamento
  sia offerto a tutte le donne che ne hanno bisogno.
  -  Il  trattamento  ablativo e distruttivo deve essere preceduto da
  una  verifica  istologica.  Una  politica  di  ablazione con ansa a
  radiofrequenze, non preceduta da una biopsia mirata, e' accettabile
  solo  se  si  verifica  un'elevata conferma istologica a posteriori
  della  presenza  di  lesioni  intraepiteliali  (>90%). Le direttive
  devono  garantire,  inoltre, che il trattamento offerto sia il piu'
  conservativo  possibile,  in  misura accettabile dal punto di vista
  professionale, a parita' di risultati terapeutici.
  - Si deve assicurare il follow-up dopo il trattamento delle lesioni
  preinvasive, mediante la ripetizione periodica dei Pap test e della
  colposcopia,   tenendo  conto  che  la  maggioranza  dei  preparati
  citologici  anormali  si osserva entro due anni dal trattamento. Si
  deve  monitorare  l'adeguamento  del  trattamento e dei follow-up a
  questi  protocolli  e  fornire  spiegazioni per l'eventuale mancato
  adeguamento.

2.12.Organizzazione e valutazione del programma

   Per  una corretta organizzazione e al fine di valutare i risultati
del  programma  ed  il  rispetto  degli  standard  e  dei  protocolli
adottati, e' fondamentale disporre:

  -  di  liste  anagrafiche  complete  e aggiornate della popolazione
  bersaglio;
  -  di un sistema di registrazione dei risultati dei Pap test, delle
  colposcopie,  dei  referti  istologici relativi alle biopsie e alle
  lesioni preneoplastiche e neoplastiche avviate al trattamento.

   I  casi  di  carcinoma  invasivo,  che  si  verificano nell'intera
popolazione  bersaglio  devono essere rilevati, cosi' come i decessi,
al  fine  di  valutare  i  risultati del programma. La presenza di un
Registro  Tumori  di  popolazione  consente  di  disporre  di  questa
informazione con due o tre anni di latenza.
   Per svolgere adeguatamente queste attivita' e' necessario definire
sistemi  informativi  e produrre programmi di gestione computerizzata
che,  tenendo  conto  delle  caratteristiche  specifiche  dei sistemi
informativi   esistenti   a   livello   regionale,  possano  produrre
indicatori   di  processo  confrontabili  a  livello  intra  e  inter
regionale (vedere tabella allegata).
   L'elaborazione di tali indicatori, al momento oggetto di ulteriori
approfondimenti,  fa  riferimento  all'esperienza  dei vari programmi
nazionali ed alle Linee guida europee per i controlli di qualita' dei
programmi  di  screening  citologico  (nel  capitolo " Monitoring the
programme,  tabulation  of  parameters").  Si  raccomanda  a  tutti i
programmi di fare riferimento a questa documentazione per pianificare
e verificare la qualita' del proprio lavoro.

2.13. HPV

   L'uso  di  test per il virus del papilloma umano (HPV) mediante la
ricerca  del suo DNA in cellule cervicali esfoliate e' stato proposto
sulla base dell'evidenza del ruolo di tipi "ad alto rischio" (16, 18,
31,   33,  45,  51,  52,  56)  di  HPV  come  agente  eziologico  del
cervico-carcinoma  uterino. Il notevole aumento della validita' delle
tecniche  disponibili  ha consentito di dimostrare la presenza di HPV
ad  "alto  rischio" in una percentuale elevata sia di tumori invasivi
sia  di  lesioni  intraepiteliali  di  alto grado (CIN 2-3) mentre la
prevalenza pare bassa nella popolazione sana e moderata nelle lesioni
di basso grado (CIN 1). Gli usi piu' promettenti paiono essere:

  -  Come  metodo di selezione secondaria delle donne da avviare alla
  colposcopia  tra  quelle  con  citologia di basso grado (LSIL - Low
  Squamous  Intraepithelial  Lesion)  o  borderline (ASCUS - Atypical
  Squamous Cells of Undetermined Significance). La gestione di queste
  donne  e'  resa attualmente difficile dal fatto che una proporzione
  non  trascurabile di casi la cui citologia e' classificata di basso
  grado o borderline presenta di fatto alterazioni istologicamente di
  alto  grado.  Diversi  studi indicano in modo coerente la capacita'
  del  test  per l'HPV di individuare una percentuale elevata di tali
  donne.   Un'eventuale   raccomandazione  all'introduzione  di  tale
  approccio  nella pratica corrente dovra' essere il risultato di una
  valutazione   dei   costi  e  benefici,  basata  su  una  revisione
  sistematica  della  letteratura  e  sull'analisi delle specificita'
  della situazione italiana.
  -  la  tipizzazione  dell'HPV (mediante Hybrid capture II o PCR) in
  soggetti   citologicamente  negativi  per  la  ridefinizione  degli
  intervalli  di  screening.  Questo  approccio e' tuttora oggetto di
  ricerca  e  pertanto  e'  sconsigliato  al  di  fuori  di studi che
  comportino  un  rigoroso contesto di valutazione. E' indispensabile
  proseguire ricerche appropriate.

2.14. "Lettura automatica e preparati in strato sottile"

   Sono  stati  introdotti  sul  mercato  sistemi  di preparazione in
strato   sottile  della  citologia  cervico-vaginale.  Diversi  studi
dimostrano una sensibilita' non inferiore, e in generale superiore, a
quella degli strisci preparati in modo tradizionale.
   Sono stati inoltre introdotti sistemi automatizzati per la lettura
automatica di strisci cervico-vaginali preparati in modo tradizionale
oppure  in  strato  sottile.  Alcuni sistemi effettuano una selezione
automatica  di  una  quota  di strisci che possono essere considerati
come  negativi, senza ulteriori revisione da parte di citologi; altri
selezionano   i  campi  di  ogni  striscio  piu'  "sospetti";  alcuni
combinano  entrambi  gli  approcci. Tali sistemi hanno dimostrato una
sensibilita'  paragonabile  a  quella  della  lettura tradizionale ed
alcuni sono approvati dall'F.D.A. per lo screening primario.
   Si  ritiene  necessario  che  per entrambe tali tecnologie (strato
sottile  e  lettura automatica) sia svolta un'attivita' di technology
assessment  che  ne  determini il rapporto costo-beneficio al fine di
pervenire  a  raccomandazioni  sulla  loro  introduzione  o  meno  in
programmi organizzati di screening del cervico-carcinoma.

2.15.  Refertazione,  classificazione  e  archiviazione dei preparati
citologici ed istologici

   Si  raccomanda  di  classificare  i  preparati  citologici secondo
sistemi  accreditati  confrontabili  e quelli istologici in base alla
classificazione  OMS,  utilizzando  il  codice  SNOMED. E' opportuno,
inoltre,  adottare  ufficialmente  tabelle di conversione tra diversi
sistemi  di  classificazione.  Si  raccomanda  infine  di adeguare la
responsabilita' medica del referto alle direttive CEE.
   La  refertazione,  la registrazione, l'archiviazione dei preparati
devono  essere  automatizzate, utilizzando software e classificazioni
compatibili  e interfacciabili con i dati delle anagrafi dei comuni e
con le anagrafi sanitarie.
   Per quanto riguarda l'archiviazione, e' consigliabile conservare i
referti  negativi  per  5  anni  e  i  non-negativi  per  20 anni. E'
consigliabile conservare i preparati istologici per 20 anni.

2.16. Valutazione e miglioramento di qualita'

   Allo  scopo  di  garantire  una prestazione di laboratorio di alto
livello, si raccomanda di istituire procedure di controllo interno ed
esterno quali: re-screening selezionato, re-screening percentuale (il
sistema  deve tenere conto dell'esperienza e dell'affidabilita' delle
persone   coinvolte),   screening  doppio,  riesame  della  citologia
precedente, semina, correlazione citoistologica e scambio di vetrini.
   Per una buona "valutazione e miglioramento di qualita'" interna e'
essenziale   un   rapporto   numero   di   tecnici/carico  di  lavoro
soddisfacente.  Si  raccomanda che un citotecnico esegua lo screening
primario di almeno 10.000 campioni cervicali l'anno. E' necessaria la
presenza di un supervisore per ogni 3 esaminatori primari.
   Al  fine  di  garantire un'adeguata qualita', e in particolare per
garantire  che  ogni  screener  veda  un numero adeguato di preparati
positivi,  un  laboratorio non deve esaminare meno di 25.000 Pap-test
l'anno.  Tale  dimensione  puo'  essere  raggiunta  anche mediante il
consorziamento  di diversi laboratori, a condizione che si garantisca
la circolazione di tutti gli strisci positivi tra tutti gli screener,
frequenti  sessioni di revisione comune di preparati e la gestione in
comune delle attivita' di valutazione e miglioramento di qualita'. In
ogni  caso  laboratori  di grandi dimensioni permettono una riduzione
dei   costi   economici.  Come  controllo  di  qualita'  esterno,  si
raccomanda  di  estendere  la  sperimentazione  dei  test di profitto
avviata  in  Italia  nell'ambito  dello  "European Community training
programme for Cervical Cancer Screening".

2.17. Criteri per la selezione dei centri di screening

   Il gruppo tecnico di lavoro che coordina il programma di screening
avra'  cura  di  definire  a  priori  quale  sia  il numero minimo di
strutture  necessario,  in  funzione del valore atteso di rispondenza
della  popolazione,  i  criteri  per la loro individuazione nonche' i
requisiti e la composizione del gruppo tecnico che dovra' svolgere le
verifiche.
   L'invito  a  candidarsi ad operare come centro di screening potra'
coinvolgere  tutte  le  strutture  sanitarie  del  territorio dove e'
svolto  il  programma  senza  alcuna preclusione se non quella di una
fondata  verifica  di  inidoneita'  a svolgere le specifiche funzioni
dello   screening   .  Contestualmente  all'invito  a  candidarsi  le
strutture sanitarie saranno informate preventivamente delle modalita'
e  dei  tempi  prescelti  per effettuare la verifica e riceveranno la
griglia di valutazione adottata.

2.18.Formazione e aggiornamento del personale

   Al   fine  di  raggiungere  un  elevato  standard  qualitativo  ed
un'elevata   efficienza   dello   screening,   il  personale  medico,
ostetrico, infermieristico, tecnico e amministrativo, coinvolto nello
screening,  deve  possedere  una  formazione  di  alto  livello, deve
partecipare   a  programmi  di  controllo  di  qualita'  e  avere  un
aggiornamento permanente.
   Devono  essere  definiti contenuti e modalita' per l'attuazione di
corsi di formazione e devono essere identificati e accreditati centri
di  formazione,  in  base a specifici requisiti e criteri, in accordo
con le Linee Guida della CEE.

2.19. Riservatezza dei dati

   Ogni  programma  di screening deve rispettare la normativa vigente
in  materia  di  trattamento  dei dati sensibili come stabilito dalla
legge  675  del  31  dicembre  1996  (Tutela delle persone e di altri
soggetti  rispetto  al  trattamento  di  dati personale), dal decreto
legislativo  135 del 11 maggio 1999 e dal decreto legislativo 282 del
30 luglio 1999.

Il presente decreto......individua......alcune rilevanti finalita' di
interesse  pubblico,  per  il  cui  perseguimento e' consentito detto
trattamento,  nonche'  le  operazioni eseguibili e i dati che possono
essere trattati.

                                 (DL 135, art. 1, comma 1, lettera b)

.......si  considerano  di  rilevante  interesse pubblico le seguenti
attivita'  rientranti  nei compiti del servizio sanitario nazionale e
degli altri organismi sanitari pubblici.....
a)  la  prevenzione,  la  diagnosi,  la  cura e la riabilitazione dei
soggetti assistiti dal servizio sanitario nazionale....
                                (DL 135, art. 17, comma 1, lettera a)

C) PREVENZIONE SECONDARIA DEI TUMORI DEI COLON RETTO

Premessa

   Il  carcinoma  colon-rettale  (CCR)  e'  la  seconda neoplasia per
frequenza sia nei maschi sia nelle femmine. Nei Paesi della Comunita'
Europea  si  contano infatti circa 130.000 nuovi casi di CCR e 90.000
morti ogni anno sono attribuibili a tale patologia.
   In  Italia  (1994),  i  nuovi  casi  diagnosticati  ed  i pazienti
deceduti  per  anno  per questa neoplasia erano rispettivamente circa
36.000  e  19.000.  Le proiezioni per l'anno 2000 hanno ipotizzato un
aumento  sia dei casi incidenti, stimati intorno a 49.000 nuovi casi,
sia  della  prevalenza,  con  un  numero  di pazienti con diagnosi di
C.C.R. che salirebbe a 250.000.
   Benche' i risultati della terapia chirurgica siano buoni quando la
lesione  e'  ancora  confinata  nella parete intestinale (stadio A di
Dukes),  la  maggioranza dei pazienti sintomatici (80-85% dei totale)
presenta  tumori in stadio piu' avanzato, con conseguente diminuzione
della sopravvivenza. La sopravvivenza a 5 anni di pazienti con tumore
del  colon-retto,  globalmente  considerati, non supera il 40%. L'89%
dei pazienti con malattia localizzata alla parete intestinale e' vivo
a  5 anni, ma la sopravvivenza scende al 58% in presenza di metastasi
regionali  e  al  6% in caso di malattia disseminata. Si puo' stimare
che un paziente con CCR perda in media da 6 a 7 anni di vita rispetto
a  quanto  atteso.  Inoltre,  la  terapia  del  CCR  puo' determinare
l'insorgenza   di  patologie  invalidanti  e  una  diminuzione  della
qualita'  di vita per ablazioni d'organo, colostomie, chemioterapia e
radioterapia, cui possono associarsi sintomi marcati.
   L'insieme  di  questi  dati sottolinea la necessita' di realizzare
modelli  di  prevenzione  primaria  e  secondaria  e  di  diagnostica
precoce,  al  fine  di ridurre l'incidenza e la mortalita' per questo
tipo di neoplasia.
   Per  quanto  riguarda  le prospettive di interventi di prevenzione
primaria, l'evidenza disponibile, supportata dall'analisi descrittiva
dell'andamento  dell'incidenza del CCR nel corso degli ultimi decenni
nelle  diverse regioni italiane, suggerisce un ruolo eziologico della
dieta  nell'insorgenza  di  questo tumore. La tendenza alla riduzione
del rischio nelle coorti di eta' piu' giovani (<45 anni), evidenziata
dall'analisi  dei  dati  di  incidenza  italiani,  e'  attribuita  ai
mutamenti  delle  abitudini  alimentari  verificatisi nel corso degli
ultimi decenni.
   La  pianificazione  di  campagne miranti a modificare le abitudini
alimentari   della   popolazione   appare  pero'  complessa,  per  le
insufficienti  informazioni  sul ruolo dei singoli fattori eziologici
coinvolti.  Risulta  inoltre  difficile  trasferire  nella pratica le
informazioni  gia'  acquisite,  per l'insufficiente evidenza relativa
alle  metodologie  piu'  efficaci  e accettabili per la conduzione di
questo tipo di interventi.
   E' invece piu' concreta la possibilita' di realizzare programmi di
screening e diagnostica precoce capaci di incidere significativamente
sulla sopravvivenza e sulla mortalita' per CCR.

Caratterizzazione del rischio

   A)  Soggetti a rischio generico. L'incidenza di CCR e' molto bassa
   per  soggetti  di  eta' inferiore ai 50 anni. Oltre questa eta' il
   rischio  aumenta  progressivamente in entrambi i sessi. I soggetti
   di  eta'  uguale  o  superiore  a  50  anni, privi di sintomi o di
   specifici  fattori  di  rischio,  sono definiti soggetti a rischio
   generico  per lo sviluppo di CCR. In tali soggetti, all'eta' di 50
   anni,  le  probabilita'  di  sviluppare  un  CCR  sintomatico  nei
   successivi  12  mesi  e'  di  1  su 1800; all'eta' di 60 anni tale
   probabilita'  e' di 1 su 550, per gli uomini, e di 1 su 800 per le
   donne.  In generale, da 2 a 5 italiani su 100, a seconda del sesso
   e delle aree geografiche, si ammalano di CCR entro i 70 anni.
   B)  Categorie  a  rischio  elevato.  Sono  invece  da  considerare
   soggetti  ad alto rischio per CCR coloro che presentano specifiche
   condizioni   ereditarie:  poliposi  adenomatosa  familiare  (FAP),
   sindromi  ereditarie  non  poliposiche  (HNPCC) e la cancer family
   syndrome.  Questo gruppo rappresenta una quota compresa tra il 5 e
   il 10% di tutti i casi di CCR.
   Altri  gruppi  ad  alto rischio sono costituiti da soggetti con un
   familiare  di 1o grado con CCR o adenoma insorti in eta' inferiore
   a 45 anni, o con storia personale di polipi adenomatosi, di CCR, o
   di pancolite ulcerosa con durata di malattia superiore ai 10 anni.

   La  conoscenza  e  la diffusione dell'informazione su tali aspetti
rappresenta  un  elemento  di  primaria  importanza  per  definire la
strategia  di  screening e diagnostica precoce nei soggetti a rischio
generico e di sorveglianza nei soggetti a rischio elevato.

Priorita' operative

   Alla   luce   delle   sopracitate   realta'   epidermologiche,  in
considerazione  dei  piu'  recenti  dati  disponibili  attraverso  la
letteratura  scientifica  e  della realta' socioeconomica e sanitaria
del  nostro  Paese,  sono  state  identificate  le seguenti priorita'
operative:

   A)  delineare  raccomandazioni  per  lo  screening  per  il CCR in
   soggetti ad alto rischio;
   B)  definire  programmi  di screening per il CCR nella popolazione
   generale, che dovranno essere redatti tenendo conto:
  -  delle  piu'  recenti  acquisizioni  scientifiche  in  termini di
  riduzione  di  mortalita'  in  popolazioni  sottoposte  a screening
  mediante  il  test  per  la ricerca del sangue occulto nelle feci e
  successiva indagine colonscopica nei soggetti positivi;
  -  delle  linee  guida  stabilite  in  altri  Paesi della Comunita'
  Europea  ed  in  Paesi  extraeuropei  o  da  Organismi  Nazionali o
  Internazionali (Comunita' Europea, O.M.S.);
  - della necessita' di censire le Aziende Sanitarie nelle quali sono
  gia' state avviate iniziative preventive ed identificare quelle che
  intendono avviare nuove proposte;
  -   della  necessita'  di  elaborare  un  programma  di  intervento
  controllato  mediante  screening, da realizzare in aree selezionate
  dei  Paese,  in  accordo  con  un  modello  operativo rigorosamente
  definito;
  -  della  necessita'  di  verificare  la  compliance, l'efficacia e
  l'efficienza  della sigmoidoscopia "per se" nel ridurre l'incidenza
  e la mortalita' dei CCR;
   C)    della    necessita'    di   definire   l'impatto   derivante
   dall'introduzione  di  programmi  di  screening  organizzati sulla
   popolazione italiana e sulle strutture sanitarie in termini di:
  -  riduzione della mortalita' e/o della incidenza nella popolazione
  italiana  in  funzione  di  vari  protocolli  e  test  di screening
  adottabili;
  - costi e carichi di lavoro per i servizi (laboratorio, endoscopia,
  anatomia   patologica,   chirurgia,   oncologia  ed  epidemiologia)
  derivanti   dai   test  di  screening,  dai  test  di  accertamento
  diagnostico,   dalla   terapia,   dal  follow-up  clinico  e  dalla
  riabilitazione;
  -  rapporto  costi-benefici  dei  programmi organizzati di diagnosi
  precoce utilizzanti:
  - solo la ricerca del sangue occulto nelle feci;
  - solo la rettosigmoidoscopia;
  - l'una e l'altra in popolazioni o soggetti diversi.
   D)  della  necessita'  di  coinvolgere  a pieno titolo i medici di
   medicina   generale   oltre   alle   strutture  ospedaliere  nella
   realizzazione dei programmi di cui ai punti A e B.

Screening nella popolazione generale

A) Test di screening

   Metodi efficaci per lo screening del cancro colo-rettale includono
la  ricerca  del  sangue occulto nelle feci e la rettosigmoidoscopia.
Non vi e' un'evidenza sufficiente per determinare quale di questi due
metodi  sia  piu'  efficace,  o  se la combinazione della ricerca del
sangue  occulto  con la sigmoidoscopia produca maggiori benefici, che
l'uno dei due test da solo.
   Vi  e' una buona evidenza scientifica per suggerire la ricerca del
sangue occulto nelle feci con frequenza biennale. Studi controllati e
randomizzati   hanno   evidenziato  una  riduzione  significativa  di
mortalita'  per  CCR nei soggetti sottoposti a screening biennale con
test  al guaiaco. Tale riduzione e' piu' elevata (21%) utilizzando il
test  reidratato (che pero' induce un maggior numero di colonscopie),
mentre si colloca intorno al 15-18% nei gruppi sottoposti a screening
con test non reidratato.
   Una  riduzione del 33% della mortalita' per CCR e' stata osservata
in  uno di questi studi nel gruppo sottoposto a screening annuale con
test   al   guaiaco   reidratato.   L'evidenza,  derivante  da  studi
caso-controllo,  condotti  nell'ambito  di programmi che utilizzano i
piu'  recenti  test  immunologici,  e  da studi che hanno confrontato
direttamente  la  performance  di  questi test con quella del test al
guaiaco,   e'  suggestiva  per  una  maggiore  accuratezza  dei  test
immunologici. Questi ultimi risulterebbero piu' sensibili e specifici
rispetto  al  test  al guaiaco e garantirebbero un effetto protettivo
piu'   prolungato.   Questi   test   non  richiedono  inoltre  alcuna
restrizione dietetica.
   L'evidenza   disponibile  derivata  da  studi  osservazionali,  e'
suggestiva  per  un'efficacia  della  sigmoidoscopia come metodica di
screening.  Non  e'  al  momento  disponibile una stima precisa della
riduzione di mortalita' e d'incidenza ottenibile con un intervento di
screening   basato  sulla  sigmoidoscopia.  Inoltre  non  esista  una
evidenza  scientifica  adeguata  per  suggerire  con quale frequenza.
dovrebbe essere praticato lo screening sigmoidoscopico.
   E'  attualmente  in  corso il follow-up dei soggetti reclutati nel
trial  multicentrico  controllato  e  randomizzato  di valutazione di
efficacia  della  sigmoidoscopia  "una  tantum" (studio italo-inglese
SCORE).  Sulla  base  dei  risultati di questo studio sara' possibile
derivare  una  stima  quantitativa  piu' precisa dell'efficacia dello
screening sigmoidoscopico.

B) Programma di screening

   Pur essendoci evidenza di efficacia dello screening nel ridurre la
mortalita' per carcinoma colorettale, allo stato attuale non esistono
i  presupposti  per  proporre  un  unico  modello  di  intervento  da
estendere all'intero territorio nazionale.
   Le   conoscenze   sul  potenziale  impatto  derivante  da  diversi
protocolli  e  test  di  screening  adottabili, in termini di costi e
benefici, sono, infatti, insufficienti.
   Queste conoscenze sono indispensabili per definire con accuratezza
un  programma  di  screening  del  CCR  per  la popolazione italiana,
stimarne  le  implicazioni  organizzative  e  finanziarie e creare le
premesse  per  la  sua  realizzazione. La valutazione di tali aspetti
rappresenta  quindi  un  obiettivo da perseguire in modo coordinato a
livello nazionale.

C) Valutazione dell'impatto di diversi protocolli e test di screening

   In   base   alle   precedenti   considerazioni   e  alle  evidenze
disponibili,  si  raccomanda  di  promuovere  attivita'  integrate di
valutazione rispetto ai seguenti settori:

  -  stima  dell'effetto atteso sulla mortalita' e sull' incidenza di
  diversi  protocolli  e  test di screening, clinicamente validati in
  funzione   delle   diverse   caratteristiche   di   sensibilita'  e
  specificita'  dei  test,  della  adesione  e  della copertura della
  popolazione.  Tali  stime  richiedono  sia  un  impegno  sul  piano
  valutativo, che utilizzi le evidenze disponibili, sia la conduzione
  di studi di intervento finalizzati all'acquisizione di informazioni
  non disponibili in Italia.
  -  stima  del  carico  di  lavoro  e  dei  costi,  per le strutture
  sanitarie,   derivanti   dai   test   di  screening,  dai  test  di
  accertamento  diagnostico,  dalla  terapia, dal follow-up clinico e
  dalla  riabilitazione.  Analogamente,  tali  stime  necessitano  di
  informazioni  oggi  solo  parzialmente  disponibili,  da  acquisire
  attraverso attivita' pilota.
  -  stima  del  rapporto costo-beneficio, espresso nei termini degli
  usuali  indicatori  utilizzati in sanita' pubblica quali: costo per
  caso  evitato,  morte prevenuta, anno di vita salvato, anno di vita
  salvato  corretto  per qualita' della vita. Tale valutazione dovra'
  basarsi sulle risultanze delle prime due stime.

Sorveglianza nei soggetti a rischio elevato

   A)  In  questo  contesto  il  problema  essenziale  e'  quello  di
   identificare  soggetti appartenenti a famiglie affette da FAP o da
   HNPCC,  attraverso  l'estensione  e  l'ottimizzazione  di registri
   nazionali,  poiche'  il  rischio  di  CCR  per i figli di soggetti
   affetti  da  tali  patologie  e' molto elevato (50%). Accanto alla
   realizzazione  dei  test genetici, che al momento sono disponibili
   solo  per  la FAP e non in modo routinario, fondamentale appare la
   sorveglianza    endoscopica.   Nelle   FAP   si   raccomanda   una
   sigmoidoscopia  flessibile ogni anno, dall'eta' di 10-15 anni sino
   a  30-35  anni,  con  successivo  follow-up con colonscopia ogni 3
   anni.  Nell'HNPCC  si  raccomanda  una  colonscopia  ogni  2  anni
   dall'eta'  di  25  anni  o  iniziando  5  anni  prima dell'eta' di
   insorgenza  del  cancro  nel  membro  della  famiglia colpito piu'
   precocemente dall'affezione.
   B) Per soggetti con un parente di 1o grado (padre, madre, sorella,
   fratello,  figlia,  figlio)  affetto  da CCR diagnosticato in eta'
   inferiore a 45 anni, o con due parenti di 1o grado con CCR ad ogni
   eta'  (rischio  aumentato  di  6 volte) si raccomanda di valutare,
   anche  sulla  base delle recenti acquisizioni sperimentali di tipo
   genetico,   l'opportunita'  di  una  sorveglianza  mirata  le  cui
   caratterizzazioni  saranno  oggetto  di  definizione  da parte del
   gruppo operativo.
   C)  Nei  soggetti  con  storia  personale  di CCR, di adenoma o di
   malattia  infiammatoria  del colon, si raccomanda un follow-up con
   colonscopia   in   accordo   a  protocolli  di  sorveglianza  gia'
   codificati.  Per  soggetti  con  adenomi del colon, di particolare
   interesse    appaiono    i    modelli   di   intervento   mediante
   chemioprevenzione   ancora   in   fase  di  valutazione  in  studi
   sperimentali.

   In  sede  di  Commissione  oncologica nazionale, o in suo apposito
Gruppo  di  lavoro, saranno valutate nuove metodiche di screening con
riferimento  sia  ad  altre  patologie neoplastiche sia a quelle gia'
oggetto di screening.
   Tale  valutazione  sara' finalizzata a indicare la sperimentazione
necessaria,   anche   sotto   il   profilo   di  una  valutazione  di
costi-benefici,  per  l'eventuale  diffusione  di  altri  screening a
livello di popolazione.
   A questo proposito, si raccomanda che eventuali screening genetici
per  l'individuazione  di soggetti ad aumentato rischio di sviluppare
le  neoplasie  siano attentamente valutati ed applicati solo dopo che
ne sara' stata dimostrata l'efficacia.

                 Obiettivo specifico intermedio n. 4

                   PREVENZIONE PRIMARIA DEI TUMORI

                              Premessa

   La  ricerca  scientifica  degli  ultimi  anni ha messo in evidenza
diversi  fattori  di rischio, che hanno importanza nella comparsa dei
tumori.    L'insorgenza    del   cancro,   patologia   ad   eziologia
multifattoriale,  e'  ascrivibile  a  molteplici  fattori  esogeni ed
endogeni   interagenti  fra  di  loro.  Si  puo'  affermare  che  una
considerevole  frazione  dei  tumori  e'  attribuibile  ad  abitudini
personali, quali il fumo di sigaretta, l'alimentazione, l'esposizione
alle  radiazioni ultraviolette solari o artificiali, ad agenti virali
o ad esposizioni ambientali (cancerogeni in ambiente di lavoro, radon
negli  ambienti  domestici, radiazioni inquinamento atmosferico). Nel
complesso   una  quota  significativa  di  neoplasie  sarebbe  quindi
evitabile  modificando  gli  stili  di vita e riducendo l'esposizione
ambientale. Si stima, infatti, che solo 1/4 delle neoplasie incidenti
sarebbe inevitabile nell'ipotetica assenza di influenze ambientali.
   La  prevenzione primaria si fonda sul principio che, per diminuire
il  rischio  di  una  malattia,  occorre  evitare o ridurre al minimo
livello  possibile  l'esposizione agli agenti, che possono causare la
malattia  stessa o che possono contribuire ad aumentare il rischio di
contraria.  I risultati della prevenzione primaria nei riguardi delle
malattie  cronico  degenerative,  fra  cui  le malattie tumorali, non
possono che rimanere peraltro per lungo tempo dei non eventi, quindi,
per loro natura, non quantificabili. Questa condizione porta spesso a
minimizzare  l'importanza  della  prevenzione  primaria,  soprattutto
laddove  la  valutazione  quantitativa  dei rischi e dei benefici nei
confronti    dell'esposizione    a    specifiche   sostanze   risulta
difficoltosa.  Pur  non  essendovi  ragione  valida per sostenere che
l'attivita'   cancerogena   di   certe   sostanze   chimiche  rimanga
circoscritta  all'interno  delle fabbriche o quella del fumo limitata
all'aspirazione  volontaria  del  fumo  di tabacco, le difficolta' di
dimostrare  una  significativita'  statistica dei dati possono talora
essere addotte come prova sufficiente di un'assenza di nocivita'.
   Cio'   ha   avuto   come   conseguenza   che,  sebbene  l'evidenza
epidemiologica abbia suggerito che anche livelli di inquinamento medi
o  relativamente  bassi possono avere effetti nocivi sulla salute, si
sia   verificato  che  le  concentrazioni  ambientali  di  inquinanti
direttamente  correlati  alla  produzione  e consumo di energia, alle
attivita' di alcune industrie ed all'uso massiccio di alcuni prodotti
industriali, primo fra tutti l'automobile, continuino ad aumentare.
   Il progredire delle conoscenze scientifiche sui meccanismi sottesi
al  processo multifattoriale e a piu' stadi della cancerogenesi e' di
massima  utilita',  sia  per il miglioramento dei mezzi diagnostici e
terapeutici  sia  per  l'affinamento  delle iniziative di prevenzione
primaria.  E'  quindi  auspicabile che misure di prevenzione primaria
siano prese sulla base di tutti gli elementi conoscitivi disponibili.
Occorre  essere consapevoli che non si puo' aspettare di ottenere una
completezza  di informazioni e di dati, che la tecnologia attualmente
a  disposizione  non e' ancora in grado di fornire, per procrastinare
l'adozione  di  misure  di prevenzione. Infatti, occorre sottolineare
che  se  la disponibilita' di chiare prove di cancerogenicita' di una
esposizione   impone   un   intervento  preventivo,  prove  deboli  o
frammentarie   non   escludono   affatto   un'azione   preventiva   o
cautelativa,  se  vi  e'  fondato sospetto di effetti irreversibili a
lungo termine.

LE PRIORITA' IN TEMA DI PREVENZIONE PRIMARIA

Il  Piano  sanitario  nazionale 1998\2000 considera tra gli obiettivi
prioritari  la  promozione  di  comportamenti  e stili di vita per la
salute  ed  il  miglioramento  delle  condizioni ambientali ed indica
numerose  azioni  tese  alla  prevenzione  primaria  delle  malattie,
comprese le patologie oncologiche.
Con  specifico riferimento agli obiettivi, ed alle strategie indicate
nel  Piano  sanitario  nazionale,  saranno  di  seguito  trattati gli
aspetti  prioritari  per  l'attuazione  di  programmi  di prevenzione
primaria  dei  tumori,  ai  diversi  livelli  e  nelle  articolazioni
funzionali del Servizio Sanitario Nazionale (S.S.N.).
Occorre  peraltro  sottolineare  che  l'attuazione di tali interventi
presuppone  la predisposizione e l'attuazione dei Piani per la Salute
attraverso  un'adeguata  azione  concertata  dei  vari  settori delle
Amministrazioni  pubbliche,  in particolare Regioni e Comuni, nonche'
il  coordinamento  operativo  di tutte le strutture che compongono il
S.S.N.   ai   vari  livelli  (Ospedale,  Distretto,  Dipartimento  di
Prevenzione).   Si   sottolinea   in   particolare   l'importanza  di
concertazioni istituzionali sulla politica del tabacco e sulle misure
programmatiche  per  la protezione dei lavoratori e della popolazione
generale. a rischio di amianto, ovvero nello sviluppo di politiche di
trasporto  che  riducano  la  contaminazione  ambientale  delle  aree
urbane.
Si  sottolinea  inoltre  l'opportunita' che le attuali procedure e le
attivita'  che  le  strutture  del  S.S.N.  svolgono  nel campo della
prevenzione,  non  solo oncologica, siano sottoposte ad una revisione
periodica  dell'efficienza  ed  efficacia,  al fine di individuare un
corpo strategico di iniziative effettivamente utili. Nell'individuare
le   priorita'   degli   ambiti  d'intervento,  e  nel  formulare  le
conseguenti raccomandazioni specifiche, sono stati seguiti i seguenti
criteri:

   1.  Privilegiare  gli  interventi  di prevenzione specificatamente
   previsti dal P.S.N. 1998-2000.
   2.  Privilegiare gli interventi verso quei fattori di rischio, per
   i   quali  vi  e'  una  consolidata  evidenza  epidemiologica  e/o
   sperimentale    di   cancerogenicita'.   Cio'   non   esclude   la
   predisposizione  di  azioni  di  prevenzione in via precauzionale,
   anche  quando  l'evidenza scientifica non e' definitiva e le prove
   sono ancora parziali.
   3.  Privilegiare  quegli  interventi  di  prevenzione  per i quali
   esistono  prove scientifiche d'efficacia nel ridurre l'esposizione
   della  popolazione  e/o  nel  ridurre  la frequenza della malattia
   tumorale.  In mancanza di revisioni sistematiche sull'efficacia, o
   in   carenza   di   sperimentazioni   controllate,   e'   indicata
   l'opportunita'   di  produrre  valutazioni  sistematiche  di  tipo
   quantitativo,  ovvero  si  suggerisce  di condurre sperimentazioni
   controllate  nel  contesto italiano, anche se la disponibilita' di
   queste  ultime  non  puo'  essere  considerata  in  tutti  i  casi
   preliminare  rispetto all'organizzazione di azioni di prevenzione.
   Ne   discende   che   lo  spettro  degli  interventi  deve  essere
   continuamente espanso, non ridotto.
   4.  Affrontare  in  modo  prioritario il nodo delle diseguaglianze
   dello   stato   di   salute  e  ridurre  i  differenziali  sociali
   nell'esposizione agli agenti cancerogeni.

1) ABITUDINE AL FUMO

   Il  Piano  sanitario  Nazionale,  in  linea  con gli intenti degli
organismi   sanitari   internazionali,  ha  introdotto  la  lotta  al
tabagismo  tra  gli  obiettivi  diretti  a promuovere comportamenti e
stili  di  vita  per  la  salute.  Oltre  ad  auspicare  la  drastica
diminuzione  del  numero  dei fumatori attraverso il perseguimento di
alcuni  obiettivi,  il  Piano pone inoltre l'accento sulla necessita'
del rispetto della normativa esistente sul divieto di fumo.
   Dal  momento  che il fumo di sigaretta e' un importante fattore di
sperequazione  sociale nei confronti della salute, ogni intervento di
cessazione  del  fumo,  specialmente nei confronti dei gruppi sociali
meno  avvantaggiati,  risponde  all'obiettivo  della  riduzione delle
diseguaglianze previsto dal P.S.N.

La rilevanza del fumo in Italia

   La  prevalenza  dei  fumatori  attivi  in  Italia  e' ancora molto
elevata (33.1% - 17.3 % rispettivamente degli uomini e delle donne in
eta' superiore ai 14 anni, dati riferiti all'anno 1997).
   La  percentuale  dei fumatori tra i 14 ed i 24 anni e' addirittura
aumentata negli ultimi anni (17.4 % nel 1993 e 20.5% nel 1997) (ISTAT
1998).  Il  fumo  e' altresi' diffuso negli adolescenti di entrambi i
sessi.  Infatti, il 9% di loro sono fumatori abituali. L'abitudine al
fumo   dei   ragazzi  dipende  fortemente  dall'esempio  fornito  dai
genitori.  Inoltre, piu' del 50% dei bambini e' correntemente esposto
al  fumo passivo nelle mura domestiche, soprattutto nella famiglie di
condizione sociale piu' bassa.
   Sono  attribuibili al fumo di tabacco in Italia circa 90.000 morti
l'anno,  di  cui  oltre  il 25% e' compreso tra i 35 ed i 65 anni. Il
fumo attivo rimane la principale causa di morbosita' e mortalita' nel
nostro  Paese,  come  in  tutto  il  mondo  occidentale. Al fumo sono
attribuibili  circa  un  terzo  delle  morti  per  cancro. Il fumo e'
dannoso  ad  ogni  eta', ma il rischio ad esso correlato di contrarre
una  patologia  oncologica,  e' strettamente dipendente dalla data di
inizio  di tale abitudine. Infatti, una persona che inizia a fumare a
15  anni  ha  una  probabilita'  tre  volte superiore di ammalarsi di
tumore  rispetto  ad  un  individuo che inizi a fumare all'eta' di 20
anni.
   L'esposizione  a  fumo passivo e' causa di aumento del rischio per
tumore  polmonare,  infarto del miocardio e malattie respiratorie nei
bambini.  Il  fumo  delle  madri  durante  la  gravidanza  causa  una
significativa  riduzione  del peso alla nascita ed e' responsabile di
una  quota  considerevole  delle  morti  improvvise  del lattante, ha
inoltre gravi conseguenze per lo sviluppo del lattante.
   A  fronte  ditali  dati  epidemiologici,  la  consapevolezza degli
effetti  negativi del fumo in Italia e' ancora sottostimata sia nella
popolazione  generale  che  tra  il  personale sanitario. Infatti, la
prevalenza  di  fumatori tra i medici e' paradossalmente piu' elevata
di quella della popolazione generale.

L'efficacia degli interventi

In base alle evidenze disponibili, esistono valide prove di efficacia
su una serie di misure di controllo del tabagismo quali:


- la politica dei prezzi;
- l'abolizione della pubblicità diretta ed indiretta;
- i provvedimenti di restrizione del fumo nei luoghi pubblici e di
  lavoro, quando a questi si accompagna un adeguato controllo;
- il coinvolgimento dei mass-media nelle campagne educative;
- la raccolta dell'informazione individuale sull'abitudine al fumo
  in tutti i contatti con il servizio sanitario;
- l'effettuazione di un colloquio con il medico di base;
- la terapia sostitutiva con nicotina;
- gli interventi di supporto di gruppo.

Le strategie per l'intervento

   Gli interventi sul fumo gia' realizzati in Italia sono sicuramente
numerosi,  ma  hanno  avuto  carattere  locale,  poco integrato tra i
servizi  sanitari, educativi e di volontariato, che di volta in volta
ne  sono  stati promotori. I momenti diversi dell'iniziazione e della
dipendenza   dal  fumo  richiedono  azioni  coordinate  e  competenze
professionali  complementari  inserite  in percorsi predefiniti e ben
strutturati.
   Si  raccomanda  fortemente  pertanto, di programmare interventi di
carattere  nazionale,  che  coinvolgano  un  vasto numero di soggetti
rispetto  all'ambito  specifico  del  SSN,  che  affrontino in chiave
strategica  il  tema del fumo, concertino in modo organico le azioni,
forniscano   linee  di  indirizzo  tecnico,  individuino  le  risorse
occorrenti e monitorizzino i risultati.

In tal senso un "Piano nazionale di lotta al fumo" dovrebbe prevedere
azioni coordinate per:

- prevenire l'acquisizione dell'abitudine al fumo tra i giovani;
- favorire la cessazione del fumo tra i soggetti fumatori;
- proteggere i non fumatori dall'esposizione a fumo passivo.

Prevenire l'acquisizione dell'abitudine al fumo tra i giovani

   La politica del prezzo puo' avere sicuramente effetti positivi tra
i  giovani,  ma puo' indurre un incremento delle vendite dei prodotti
di   contrabbando,  che  deve  essere  contrastata  in  modo  deciso.
Occorrera'  inoltre  concertare  una  valutazione  di  efficacia  del
divieto  di vendita dei tabacchi ai minori di 16 anni. Gli interventi
informativi  e  educativi  in  ambito  scolastico  sono indubbiamente
importanti  per  informare  sugli  effetti  negativi del tabacco. Gli
interventi  di  prevenzione  per  i  giovani  saranno  efficaci se lo
stresso  articolato  mondo della scuola fornira' un esempio coerente,
tramite  l'assunzione  di  modelli  comportamentali che bandiscano il
fumo  dalle  mura  scolastiche,  se  le  strutture del SSN forniranno
immagini  negative  del  fumo, se i mezzi di comunicazione forniranno
uguali messaggi.
   Appare    opportuno   che   le   amministrazioni   regionali,   in
collaborazione  con  le  istituzioni scolastiche, promuovano piani di
interventi  di  educazione  alla salute, rivolte ai ragazzi a partire
dalla  scuola  dell'obbligo.  Sono  inoltre  auspicabili attivita' di
formazione  degli  insegnanti  anche  tramite la collaborazione delle
strutture  del  S.S.N. quali ad esempio i Dipartimenti di prevenzione
delle  A.S.L..  L'impostazione degli interventi educativo-informativi
rivolti  ai giovani dovra' puntare sugli aspetti positivi di una vita
libera  da  fumo,  piuttosto  che  sui  rischi  alla  salute  da esso
derivanti.

Favorire la cessazione del fumo tra i soggetti fumatori

   E'  affidata  alla  programmazione  regionale l'implementazione di
iniziative  o programmi volti a favorire la cessazione del fumo nella
pratica  clinica ordinaria ospedaliera e territoriale. E' proponibile
che,  nell'ambito  delle  strutture  del SSN, si costituiscano equipe
multidisciplinari  che  programmino  gli  interventi  e  coordinino i
percorsi  per  la  promozione  di  momenti formativi, educativi e del
trattamento dei soggetti fumatori.
   Un  ruolo specifico nel programma di cessazione del fumo e' svolto
dal  medico di medicina generale, nei confronti dei propri assistiti.
I  medici  di  medicina  generale vedono gran parte della popolazione
assistita  ogni  due  anni  e  possono  personalizzare e ripetere gli
interventi.  In considerazione della dipendenza farmacologica, di cui
soffrono  molti fumatori, che necessita' di terapia sostitutiva della
nicotina,  trattamento  la  cui  efficacia  e'  stata documentata, e'
affidato  al  medico  di base il compito di diagnosticare, con metodi
standardizzati,  lo  stato  di  dipendenza  da  nicotina  dei  propri
assistiti,  al  fine  di  indicare  la  terapia  piu' adeguata per la
disintossicazione.    Appare    peraltro    opportuno   adeguatamente
sensibilizzare  e  formare  i medici di medicina generale sui criteri
diagnostici  relativi  alle  caratteristiche della dipendenza e sulle
linee guida piu' adeguate per facilitare la cessazione dell'abitudine
al fumo.

Proteggere i non fumatori dall'esposizione a fumo passivo

   Si  rimanda  ad  un  apposito  e urgente intervento legislativo la
chiara  regolamentazione  del  divieto  di  fumo  anche nei luoghi di
frequentazione   pubblica,  esclusi  dalla  normativa  vigente  (bar,
ristoranti, luoghi di lavoro confinati non aperti al pubblico).
   Per  quanto  attiene  la normativa vigente sul divieto di fumo nei
luoghi  pubblici,  si  sottolinea  l'attuale non rispetto delle norme
nelle  strutture  del  S.S.N.  e  nelle  strutture  scolastiche  e di
istruzione superiore.

Raccomandazioni specifiche

   Nell'auspicare l'avvio di un Piano nazionale contro il tabacco, si
raccomanda   il   completamento   della   normativa  vigente  per  la
regolamentazione  del  divieto  di fumo negli esercizi pubblici (bar,
ristoranti) e nei luoghi di lavoro chiusi, non aperti al pubblico, al
fine  di  tutelare la salute dei lavoratori anche dall'esposizione al
fumo passivo.
   Le   Amministrazioni   competenti   dovrebbero  esercitare  idonee
attivita'  di  stimolo  e sorveglianza, al fine di garantire la piena
applicazione  ed  il  rispetto  delle  leggi vigenti. Si raccomandano
inoltre  interventi  che  assicurino  il  divieto di fumo in tutte le
strutture  sanitarie,  pubbliche  e  private,  in  tutte le scuole di
ordine  e  grado,  nonche'  il  rispetto  del  divieto  di vendita di
sigarette ai minori di 16 anni.
   Si  raccomanda  inoltre  l'avvio di campagne informativo-educative
attraverso  i  mass-media  e  la  scuola,  caratterizzate da messaggi
modulati a seconda della popolazione bersaglio.
   A livello regionale, dovrebbero essere definite le caratteristiche
specifiche  del piano di lotta al fumo delle strutture del S.S.N., in
modo  da  garantire  programmi  strutturati  di cessazione e l'idonea
attivita' di formazione per tutte le figure professionali del S.S.N..
E'  altresi'  importante  una  capillare  opera  di  informazione per
favorire l'uso della terapia sostitutiva (Scheda n. 1).
   Sarebbe  opportuno  prevedere  la  realizzazione  di iniziative di
formazione  e sensibilizzazione dei medici di medicina generale e dei
pediatri  di  base,  nonche'  di  tutto il personale sanitario, sulle
problematiche  del  tabagismo  e  sulle  modalita'  di  approccio  al
paziente tabagico.
   E',  infatti,  indispensabile che i medici di medicina generale, i
pediatri  di  base,  i  ginecologi,  e  tutti  gli operatori sanitari
informino  costantemente i pazienti sui danni del fumo e sui benefici
della  cessazione.  Ogni  intervento  e  suggerimento ai genitori nel
periodo della gravidanza e perinatale puo' avere un impatto rilevante
in  termini di protezione dei bambini e rappresentare uno stimolo per
smettere  di  fumare.  Appare  inoltre  necessario  concertare  con i
medici,  gli  operatori sanitari, organizzati nelle loro Associazioni
ed Ordini Professionali, la introduzione nella pratica clinica di:

  -  valutazione  e  registrazione  sistematica  nella documentazione
  clinica dell'abitudine al fumo dei pazienti;
  -   "counseling"  sistematico  per  tutti  pazienti  fumatori,  con
  adeguato  supporto  ed  assistenza  con  invito ai fumatori, quando
  necessario,  a  rivolgersi a centri specialistici per la cessazione
  del fumo;
  -  raccomandazione  ai fumatori che vogliono smettere l'adozione di
  un programma personalizzato di disassuefazione, consigliando quando
  necessario  l'uso  di  una  terapia  sostitutiva  della  nicotina e
  fornendo informazioni accurate su questo tipo di terapia;
  -  raccomandazione  alle  donne  di  smettere  di fumare durante la
  gravidanza, con assistenza a smettere, quando lo richiedono.

Per  i  Medici  Competenti  e  gli  operatori dei Servizi di Igiene e
Sicurezza nei Luoghi di Lavoro

   Tutto  il personale addetto alla sicurezza nei luoghi di lavoro ha
un  ruolo  importante  per la promozione della salute, anche per quel
che riguarda l'esposizione a fumo di tabacco ambientale. I lavoratori
dovranno  essere informati sui rischi attribuibili alla esposizione a
fumo  passivo  e  sulle  conseguenze  per la salute della esposizione
contemporanea  a  piu'  sostanze  cancerogene.  Il  datore di lavoro,
inoltre,  dovra'  essere  informato  degli  obblighi  derivanti dalla
normativa  vigente,  nello  specifico  l'art. 9 DPR 303/56, art. 9 L.
300/70, art. 1, 4, 31 D.Lgs 626/94.

SCHEDA I

Consigli per l'uso della terapia sostitutiva della nicotina

  -  Il  trattamento  con  la terapia sostitutiva della nicotina puo'
  aiutare i fumatori a smettere di fumare, anche se questi hanno gia'
  provato senza successo
  -  Interventi  clinici controllati hanno dimostrato che l'uso della
  terapia sostitutiva, da parte dei fumatori che vogliono smettere di
  fumare, raddoppia la probabilita' di successo
  - La terapia sostitutiva non e' una cura magica. Non sostituisce le
  sigarette  o la forza di volonta' di smettere di fumare. Durante il
  periodo  di  astinenza,  questa  terapia  aiuta  a non riprendere a
  fumare
  -  La terapia sostitutiva fornisce nicotina in maniera lenta e meno
  soddisfacente  rispetto  alle  sigarette  ma  e'  sicura e da' meno
  dipendenza
  -  La terapia sostitutiva contiene nicotina ma non contiene catrame
  o  monossido  di  carbonio  come  il  fumo di sigaretta. Non esiste
  nessuna evidenza che la nicotina sia causa del cancro
  -  La  terapia  sostitutiva  riduce  ma  non  elimina  i sintomi di
  irritabilita', depressione e desiderio di fumare tipici del periodo
  di astinenza
  -   Pochissime   persone   diventano   dipendenti   della   terapia
  sostitutiva.  Alcuni  ex-fumatori  continuano questa terapia per un
  anno, il che e' per lo piu' dovuto al timore di riprendere a fumare
  -  Per  raggiungere  risultati  ottimali,  la  terapia  sostitutiva
  dovrebbe   essere   usata   in  dosi  adeguate  e  per  un  periodo
  sufficientemente lungo. I fumatori dovrebbero seguire le istruzioni
  indicate  nel  foglietto  illustrativo  e  chiedere  al  farmacista
  informazioni piu' dettagliate sul prodotto

2) ALIMENTAZIONE ED ALCOOL

   Circa  le  abitudini alimentari il Piano sanitario nazionale fissa
specifici  obiettivi per adeguare l'Italia agli standard nutrizionali
internazionalmente  raccomandati,  in  quanto  fattori  in  grado  di
aumentare   la  capacita'  individuale  a  controllare,  mantenere  e
migliorare  lo stato di salute in generale e probabilmente, anche nei
confronti delle patologie neoplastiche.

Prove  sulla  cancerogenicita'  o  azione  protettiva  di costituenti
dell'alimentazione

   Non ancora del tutto esaurienti prove scientifiche indicano che ad
alcuni  comportamenti  alimentari  (es.  una dieta ricca in verdura e
frutta)  potrebbe  essere  associata  una  diminuzione importante del
rischio  di  cancro. La relativa concordanza tra gli studi per alcune
abitudini   alimentari   puo'  quindi  consentire  l'elaborazione  di
linee-guida di pratica applicazione pratiche.
   Al  contrario,  per quanto riguarda le integrazioni alimentari con
vitamine  e/o  elementi oligominerali, attualmente molto diffuse, non
vi  sono  prove della loro efficacia per la prevenzione dei tumori, o
addirittura  e'  dimostrato un effetto negativo. In ogni caso, non e'
appropriato  riportare  tra  le  indicazioni  di  questi preparati la
prevenzione del cancro.
   Per  quanto  riguarda le prove, relative all'effetto cancerogeno o
protettivo  di  diverse abitudini alimentari, si riporta nella scheda
n.  2  una valutazione di adeguatezza basata su rassegne sistematiche
pubblicate nella letteratura internazionale. Tale classificazione del
livello qualitativo delle prove puo' tradursi in raccomandazioni piu'
specifiche che sono qui di seguito riassunte:

  -  scegliere  prevalentemente  alimenti  di  origine  vegetale, con
  un'ampia varieta' di verdura e frutta, legumi e cereali;
  -  mangiare  diverse  porzioni  al  giorno  di  verdura e di frutta
  fresca, scegliendo varieta' di stagione;
  - mangiare diverse porzioni di cereali al giorno;
  -  preferire  prodotti  non  raffinati;  (es. zucchero e farina non
  raffinati)
  -  consumare  regolarmente  pesce,  riducendo  il  consumo di carne
  rossa;
  -  limitare il consumo di grassi, in particolare di origine animale
  (latte, burro, formaggio, carni);
  - evitare il consumo di cibi conservati sotto sale;
  -  non  lasciare  per  lungo  tempo  a  temperatura  ambiente  cibi
  deteriorabili;
  -  limitare  il  consumo di cibi cotti ad elevate temperature (alla
  griglia) o affumicati;
  - limitare il consumo di alcolici.

   A queste indicazioni si aggiunge la raccomandazione di controllare
il  peso,  evitando  sovrappeso  ed  obesita'  attraverso un adeguato
apporto calorico ed un appropriato livello di esercizio fisico.

SCHEDA 2


Livello qualitativo delle prove sulla relazione tra alcune abitudini
alimentari e prevenzione dei tumori

Livello qualitativo     Raccomandazione
delle prove

(A)                     adottare una dieta ricca di frutta e verdura
(A)                     consumare alcolici solo in quantità moderate
(B)                     adottare una dieta povera di grassi (meno
                        del 30% delle calorie totali)
(B)                     adottare una dieta povera di grassi saturi
                        (meno del 10% delle calorie totali)
(B)                     adottare una dieta povera di carne rossa
(B)                     mantenere il peso forma
(B)                     adottare una dieta ricca di fibre
(B)                     ridurre i nitriti, le carni affumicate e i
                        cibi conservati sotto sale
(E)                     non è suggerito assumere preparati
                        vitaminici, se non per patologie da carenza

Nota - Livelli qualitativi di prova:

A: un buon livello di prove suggerisce che l'intervento dovrebbe
   essere avviato
B: le prove sono incerte o incomplete, ma suggeriscono che
   l'intervento dovrebbe essere avviato
C: un livello insoddisfacente delle prove suggerisce che
   l'intervento non dovrebbe essere avviato, anche se può essere
   avviato sulla base di altre considerazioni (non scientifiche)
D: prove incerte o incomplete suggeriscono che l'intervento non
   dovrebbe essere avviato
E: un buon livello di prove suggerisce che l'intervento non dovrebbe
   essere avviato

Pesticidi ed additivi

   Oltre  alla  relazione  tra  nutrienti  e  rischio  di  cancro, va
considerato  anche  il  problema  dei pesticidi e degli additivi. Una
stima degli effetti dannosi alle concentrazioni abitualmente presenti
nei  cibi italiani e' estremamente complessa. Sulla base dell'attuale
legislazione  e  dei  controlli  effettuati  nei  paesi  europei,  la
presenza  di  additivi  o  pesticidi  non  e'  tale da contrastare il
suggerimento  di  mangiare  molte  porzioni  di  frutta  o verdura al
giorno.  Tuttavia le incertezze sono tali e il problema interessa una
popolazione  cosi' ampia, da richiedere specifici investimenti per la
ricerca  sulla  tossicita' a lungo termine dei pesticidi. Si puo' fin
da  ora  raccomandare,  ai  fini  di  riduzione  dell'esposizione  ad
antiparassitari,  in  particolare  per  le  fasce di popolazione piu'
vulnerabili  (come  i  bambini),  di  sbucciare  la  frutta fresca, o
lavarla  accuratamente,  e  di  privilegiare  il consumo di verdura e
frutta   coltivate   con  procedure  biologiche  o,  quantomeno,  con
procedure di lotta ai parassiti guidata o integrata.

Prove sull'efficacia degli interventi di educazione alimentare

   Il  problema  principale  dell'educazione alimentare e' costituito
dalla  difficolta' di valutarne l'efficacia e quantificarne l'effetto
sul  lungo  periodo.  Da  studi condotti, le strategie risultate piu'
efficaci sono le seguenti:

  -  prendere  in  considerazione  gruppi  a  rischio o con abitudini
  particolari;
  - utilizzare metodi di autovalutazione;
  - partecipazione attiva dei destinatari dei messaggi;
  -  la  disponibilita' di cibi salutari nei ristoranti e nelle mense
  rinforza l'efficacia di messaggi;
  -  la  maggiore  efficacia  di  una  campagna  si  raggiunge  se il
  programma  e'  orchestrato  su  diversi piani (politica dei prezzi,
  informazione univoca e chiara da parte dei mass-inedia, dei medici,
  della pubblicita)

Le strategie per l'intervento

   I  decreti  legislativi  502  e 517 ed il decreto legislativo 229,
agli  art.7  bis,  7  ter, 7 quater, identificano nei Dipartimenti di
Prevenzione  delle  ASL  le  strutture  deputate  alle  attivita'  di
prevenzione  primaria  e  di educazione alla salute. Inoltre, il D.M.
16/10/1998    "Approvazione    delle    linee    guida    concernenti
l'organizzazione  del  Servizio  di  Igiene  degli  Alimenti  e della
Nutrizione  (SIAN)  nell'ambito del Dipartimento di Prevenzione delle
Aziende  Sanitarie  Locali" gia' prevede che l'Area Funzionale Igiene
della  Nutrizione  svolga,  tra  l'altro,  interventi  di prevenzione
nutrizionale   anche  nell'ambito  della  ristorazione  collettiva  e
diffonda  le  linee  guida.  Affinche' tali strutture garantiscano il
rispetto  degli  obiettivi  posti dal Piano Sanitario Nazionale, sono
necessarie alcune tappe intermedie:

  -  la  definizione  di  obiettivi intermedi, entro i Piani Sanitari
  Regionali,   la  definizione  di  indicatori,  per  verificarne  il
  raggiungimento  (es. quale proporzione di persone, in diverse fasce
  di eta', sono state raggiunte da messaggi di educazione alimentare;
  quante  mense  sono  state  certificate  per la loro adesione ad un
  programma preventivo di efficacia dimostrata, ecc.)
  -  la definizione dei criteri di accreditamento dei Dipartimenti di
  Prevenzione,   che   includano   la   elaborazione  di  linee-guida
  articolate  e  basate sulle prove scientifiche, e di indicatori per
  la verifica della messa in atto delle linee-guida stesse.

   Non  va  peraltro sottovalutata l'esperienza specifica maturata in
alcuni   Dipartimenti   Materno-Infantili  sullo  specifico  problema
dell'alimentazione.  E' opportuno il coinvolgimento di tali strutture
per  la  progettazione  e  l'implementazione dei programmi educativi.
Nella  stesura  delle linee guida, e' necessario tenere presente che,
accanto  agli  interlocutori  obbligati rappresentati dal mondo della
scuola  e  della  ristorazione  collettiva, occorre coinvolgere nelle
attivita'   preventive,   dopo  una  fase  di  sperimentazione  e  di
fattibilita',  i  medici di medicina generale, soprattutto per quanto
riguarda  il  "counseling" nutrizionale nei soggetti ad alto rischio,
in  particolare  obesi  e  sovrappeso. A tal proposito occorre notare
che,  mentre  il  "counseling"  nei  soggetti sovrappeso puo' seguire
metodiche  analoghe  a  quello  dedicato  agli abituali fumatori (non
dipendenti) e ai bevitori non alcolisti, il trattamento dell'obesita'