(all. 1 - art. 1)
                       MINISTERO DELLA SANITA'
  DIPARTIMENTO DELLA PREVENZIONE - UFFICIO VI CENTRO OPERATIVO AIDS
                 PROGETTO OBIETTIVO AIDS 1998-2000
Premessa
    L'articolo  1, comma 1, lettera b), della legge 5 giugno 1990, n.
135,   espressamente  prevede  l'aggiornamento  degli  interventi  in
materia  di  AIDS  sulla  base delle periodiche indicazioni formulate
dalla  Commissione  nazionale  per la lotta contro l'AIDS, sentita la
Conferenza  permanente  per  i rapporti tra lo Stato, le regioni e le
province  autonome,  in  relazione  alle previsioni epidemiologiche e
alle conseguenti esigenze assistenziali. Il presente provvedimento e'
stato  redatto  secondo  le  indicazioni della suddetta Commissione e
sulla base delle osservazioni formulate dalle regioni.
    Il  triennio  trascorso, ha visto da una parte il consolidarsi di
tendenze  gia'  evidenti  negli  anni  precedenti, quali ad esempio i
cambiamenti   nelle   caratteristiche   dell'epidemia,  e  dall'altra
considerevoli  progressi  nel  campo delle conoscenze, in particolare
della terapia, con la scoperta di nuovi farmaci antiretrovirali.
    I grandi cambiamenti intervenuti, poi, nella riorganizzazione del
Servizio sanitario nazionale, da ultimo con il decreto legislativo n.
229 del 1999, hanno avuto ed avranno i loro effetti anche nel settore
delle malattie infettive.
    La  risposta  alle  problematiche poste dall'infezione da HIV non
potra'  che  essere  allora,  come in passato, articolata, atteso che
tale  patologia  continua a rivestire implicazioni di diversa natura,
coinvolge  molteplici istituzioni (scuola, carceri, ecc.), attraversa
trasversalmente  diverse discipline dell'area medica (infettivologia,
immunologia,   virologia   ecc.),   necessita   del   supporto  delle
organizzazioni  del  privato sociale e del volontariato, abbisogna di
essere   indirizzata   verso  una  pluralita'  di  settori  quali  la
prevenzione, l'assistenza, la ricerca e la terapia.
    Inoltre,  dopo oltre dieci anni di programmazione nazionale degli
interventi,  ai quali si sono affiancate iniziative di pianificazione
a  livello  regionale,  e'  auspicabile che tutte le regioni adottino
presto un proprio Progetto Obiettivo.
    Prima  di  fornire  gli  indirizzi  per l'attuazione delle misure
connesse alla lotta contro l'AIDS si e' ritenuto opportuno fornire un
quadro  sintetico  in  ordine  alla attuazione del Progetto Obiettivo
1994-96.
1. SINTESI  SULLO  STATO  DI  ATTUAZIONE  DEL PROGETTO OBIETTIVO AIDS
1994-96 NELLE REGIONI E NELLE PROVINCE AUTONOME DI TRENTO E BOLZANO
    Alla  data  del 30 maggio 1997 da una ricognizione effettuata dal
Ministero  della  sanita'  in  ordine  allo  stato  di attuazione del
Progetto Obiettivo AIDS 1994-96 e' emerso quanto segue:
      tutte  le  regioni  e  le  province  autonome hanno recepito la
normativa  nazionale  di  settore, adottando provvedimenti formali di
programmazione e di attuazione, anche in osservanza di apposite leggi
regionali.
    In  particolare,  si  e'  rilevato che tutti gli assessorati alla
sanita'  hanno  attivato  un  sistema informativo di sorveglianza dei
casi  di  AIDS e alcune regioni anche un sistema di notifica dell'HIV
in  taluni  casi  limitato  a  specifiche  categorie di popolazione o
nell'ambito di appositi studi epidemiologici.
    Alla   gestione   delle   problematiche   connesse   all'AIDS  e'
solitamente  preposto  un  servizio  o  un ufficio di igiene pubblica
ovvero  una  unita' operativa di malattie infettive, ovvero ancora un
osservatorio epidemiologico regionale (O.E.R.).
    Nell'ambito  della  prevenzione  sono  stati effettuati, da parte
delle regioni e delle province autonome, interventi nell'area:
      della  tossicodipendenza,  con programmi da strada e con misure
di  facilitazione  per  l'accesso  ai  SERT  (in 16 regioni e nelle 2
province autonome);
      della   prostituzione,   con   il   contributo   attivo   delle
associazioni  di  volontariato  e  con  la  diffusione  di  materiale
informativo sul rischio comportamentale (in 10 regioni);
      della  popolazione  carceraria (in 9 regioni e nelle 2 province
autonome),  in  quanto,  nonostante  nella popolazione degli istituti
penitenziari si riscontri una significativa prevalenza dell'infezione
da  HIV,  sono state evidenziate notevoli difficolta' di accesso alle
strutture, attesi evidenti motivi di sicurezza.
    Anche  nell'ambito  dell'informazione e dell'educazione sessuale,
mirate  alla  popolazione  in  generale, sono state adottate apposite
misure in 14 regioni e nelle 2 province autonome, dirette a mantenere
elevata l'attenzione dell'opinione pubblica sull'epidemia.
    Relativamente  alla  edificazione  e/o ristrutturazione dei posti
letto   nei   reparti   di   ricovero   per   malattie   infettive  e
all'istituzione  o  al potenziamento dei laboratori di microbiologia,
virologia ed immunologia, la legge 5 giugno 1990, n. 135 prevedeva un
impegno di risorse economiche pari a circa lire 2.100 miliardi.
    Difficolta' di vario genere hanno causato ritardi nell'attuazione
di  tale  programma.  Per  quanto  riguarda la realizzazione di posti
letto,  infatti,  si  sono attivate solo, in parte, cinque regioni su
ventuno.
    Relativamente all'istituzione e/o al potenziamento dei laboratori
dedicati,  e'  stato  riscontrato  che  8 regioni hanno istituito e/o
potenziato  i  laboratori di microbiologia, virologia ed immunologia,
mentre le altre non hanno ancora concluso gli interventi.
    Per quanto attiene all'espletamento delle pubbliche selezioni per
soli  titoli  di  cui  all'articolo  4,  comma  1, della citata legge
135/1990, vi hanno provveduto 17 regioni.
    In riferimento al trattamento a domicilio, la maggior parte delle
regioni ha adottato un preciso modello organizzativo.
    Per  la  realizzazione  degli  spazi  da adibire all'attivita' di
ospedale  diurno (day-ospital), prescritti dalla legge 135/1990 e dal
P.O.  AIDS,  si  e'  riscontrato  che in 15 regioni e nella provincia
autonoma  di Trento sono stati adottati i previsti interventi. Non in
tutte  le  regioni, comunque, il grado di attivazione dei posti letto
in regime di D.H. risulta essere quello prescritto.
    Solo  12  regioni hanno stipulato convenzioni con le associazioni
di   volontariato   pubbliche   e   private  per  l'erogazione  delle
prestazioni  domiciliari  ai  pazienti  con  AIDS.  In  larga  parte,
l'adozione  di  tali  misure  e'  stata delegata alle singole aziende
sanitarie di appartenenza.
    Tutte  le  regioni  e  le  province autonome hanno organizzato ed
effettuato  i  corsi  di  formazione e di aggiornamento professionale
diretti al personale operante nei reparti di malattie infettive.
    La  partecipazione  ai  suddetti  corsi  non  e' stata, di norma,
estesa  anche  agli  operatori  sanitari  dei  reparti assimilati e a
quelli  delle strutture che si trovano, comunque, a gestire procedure
e  materiali  biologici  nell'ambito  dell'infezione  da HIV, secondo
quanto esplicitato sia nell'articolo 1, comma 1, punto b) della legge
135/1990 che nel Progetto Obiettivo AIDS 1994-96.
    Il  disposto  dell'articolo  9,  comma 2 della legge n. 135/1990,
relativo  alla  istituzione dei Centri di riferimento regionali AIDS,
ha trovato una sostanziale attuazione in diciassette regioni.
    Sulla   scorta  di  quanto  rilevato  nel  corso  delle  indagini
conoscitive  effettuate  presso gli Assessorati alla sanita' delle 19
regioni e delle 2 province autonome, e' possibile pervenire ad alcune
conclusioni  che  evidenziano, da un lato gli sforzi e gli interventi
messi   in   atto   dalle   regioni  piu'  colpite  dalla  diffusione
dell'infezione,  dall'altro  anche evidenti lacune nell'attuazione di
alcuni aspetti del Progetto Obiettivo AIDS 1994-96.
    In  alcuni casi, infatti, e' stato riscontrato un congruo impegno
legislativo, di programmazione e attuativo e, per alcune regioni, ben
prima  dell'approvazione  della  legge  n.  135/1990,  gia'  al primo
verificarsi della forma epidemica nel Paese.
    Per  quanto  riguarda  invece  le carenze rilevate, si sottolinea
che,  nell'ambito  della informazione e della prevenzione, la maggior
parte  degli  interventi  compiuti  hanno  avuto  scarsa incisivita',
unitamente  ad  una  generale mancanza di valutazione dell'impatto in
termini di salute sulle popolazioni bersaglio, soprattutto ai fini di
una effettiva modifica dei comportamenti a rischio.
    Gli  sforzi piu' rilevanti sono stati riscontrati nell'area della
tossicodipendenza,   mentre  altri  settori;  quali  prostituzione  e
carceri,  hanno  trovato  minor  spazio  nella  programmazione  degli
interventi di prevenzione regionali.
    Per  quanto  riguarda  l'informazione  dei  giovani  in  ambiente
scolastico,  non  sempre  i  gia'  pochi  protocolli  d'intesa  con i
provveditorati  agli  studi  hanno avuto, nelle varie realta' locali,
l'auspicato  seguito  applicativo  ed  ottenuto  i  risultati  attesi
nell'ambito  informativo  ed  educativo  dell'apprendimento  e  della
modifica dei comportamenti.
    Per  quanto  riguarda  l'implementazione  di  forme di assistenza
extraospedaliera,  che  costituiscono  un  importante  obiettivo,  va
sottolineato  che  la maggior parte delle regioni e province autonome
ha   recepito   modelli   di   trattamento   extraospedaliero  ed  ha
formalizzato  con  appositi  atti  deliberativi  la  stipula,  con le
associazione   di  volontariato,  di  apposite  convenzioni,  la  cui
attuazione e' stata demandata alle singole aziende sanitarie.
    Da  ultimo,  e'  importante  rilevare  che la maggior parte delle
regioni   ha   definito  quali  Centri  di  riferimento  AIDS,  enti,
strutture,  uffici  o  servizi gia' esistenti, prevedendo una stretta
collaborazione   con   gli  assessorati  regionali  per  le  funzioni
prescritte  dall'articolo  9, comma 2 della legge 135/1990. Tuttavia,
e'  stato  rilevato  che,  nonostante la formale istituzione di detti
Centri,  spesso  essi  non  svolgono tutti i compiti prescritti dalla
suddetta legge.
2. L'EPIDEMIOLOGIA DELL'INFEZIONE DA HIV/AIDS
    Per  una  piu'  completa  comprensione  delle  dinamiche relative
all'epidemia  di  infezione  da  HIV  e  della  malattia  di AIDS, e'
probabilmente utile una schematica descrizione dei modelli epidemici.
Occorre, innanzitutto, tener conto che un'epidemia si puo' sviluppare
nelle  popolazioni a condizione che Ro (tasso di base di riproduzione
dell'infezione)  >1,  cioe'  che ogni persona infetta, durante la sua
vita,  infetti  piu'  di  una  persona.  Ro  e' determinato da alcuni
fattori  principali,  specifici di ciascuna modalita' di trasmissione
dell'infezione:
      probabilita'  di  trasmissione per singolo contatto tra persone
infette e suscettibili;
      tasso di acquisizione di nuovi contatti per unita' di tempo;
      durata dell'infezione/contagiosita'.
    Ad un tempo determinato dell'epidemia assumono inoltre rilievo:
      la  prevalenza  di  infezione,  cioe'  la  probabilita',  in un
contatto potenzialmente efficace, di incontrare una persona infetta;
      la frazione di popolazione esposta alle specifiche modalita' di
trasmissione.
    Come  per  tutte  le  infezioni  trasmissibili  per via ematica e
sessuale,  e'  noto che la diffusione dell'epidemia nella popolazione
generale  dipende  essenzialmente dal ruolo di una o piu' popolazioni
"serbatoio",  nelle  quali  Ro  abbia  valori elevati. La frazione di
popolazione  esposta  alle modalita' di trasmissione che caratterizza
le  popolazioni  "serbatoio", e' quindi rilevante nel condizionare le
dinamiche epidemiche; oltre a cio', rilievo progressivamente maggiore
acquistano  le  dinamiche  di  contatto tra popolazioni "serbatoio" e
popolazione generale, il cosiddetto "mixing pattern".
    In  Italia  la  popolazione  delle  persone  tossicodipendenti ha
indubbiamente  svolto  la funzione di popolazione "serbatoio", mentre
un  ruolo  minore e' stato svolto dalle persone di sesso maschile che
hanno  avuto  rapporti sessuali con persone dello stesso sesso. Nelle
fasi  iniziali  dell'epidemia,  l'incidenza  di infezione HIV, che ha
raggiunto  la  maggiore  diffusione  tra  il 1986 e il 1987, e' stata
soprattutto sostenuta dalla popolazione dei tossicodipendenti.
  Tale popolazione e' caratterizzata da un rapporto maschi/femmine di
circa  4,5/1,  ed  ha  frequenti rapporti sessuali con la popolazione
generale.   In  particolare,  i  tossicodipendenti  maschi  hanno  in
maggioranza   partner   sessuali   stabili   tra   le   persone   non
tossicodipendenti.  Inoltre,  la  prostituzione  di  maschi e femmine
tossicodipendenti,  costituisce  un importante canale di contatto tra
tossicodipendenti  e  non.  Pertanto,  in  occasione  di  un contatto
sessuale  casuale,  per  una donna in popolazione generale e' circa 5
volte   piu'   probabile   incontrare   un   partner   che  e'  stato
tossicodipendente  di quanto non lo sia per un maschio in popolazione
generale.
    Nell'infezione  da  HIV,  come  in tutte le malattie sessualmente
trasmissibili,  la  probabilita' di trasmissione nel rapporto maschio
infetto-femmina   suscettibile  e'  maggiore,  rispetto  al  rapporto
femmina infetta-maschio suscettibile.
    Queste    due   condizioni   fanno   in   modo   che   i   maschi
tossicodipendenti   abbiano   un  ruolo  dominante  nella  diffusione
dell'infezione tra le donne non tossicodipendenti.
    E'  possibile  affermare  che  anche  oggi la maggior parte delle
nuove  infezioni  da  HIV  di  persone  non tossicodipendenti avviene
attraverso  rapporti  sessuali  con  persone  che  sono  o sono state
tossicodipendenti. Non e' possibile verificare invece con sufficiente
validita'  l'ipotesi che oggi l'epidemia di infezione da HIV si possa
autosostenere  nella  popolazione generale, abbia cioe' un Ro >1, per
la  modalita'  di  trasmissione  sessuale.  La  possibilita'  di  una
"autonomia" dell'epidemia in popolazione generale dipende anche dalla
prevalenza attuale di infezione nella stessa popolazione generale.
    E'   possibile  affermare  con  sufficiente  validita';  che  fin
dall'inizio  degli  anni `90 interventi efficaci di prevenzione nella
popolazione  dei  tossicodipendenti avrebbero impedito il diffondersi
dell'epidemia nella popolazione generale.
2.1  L'  efficacia  dei  trattamenti  antiretrovirali  e le dinamiche
epidemiche
    E'  necessario valutare con attenzione il possibile effetto sulle
dinamiche epidemiche dei trattamenti disponibili.
    Esistono   chiare   evidenze   di  efficacia  di  un  trattamento
antiretrovirale  perinatale nella riduzione del tasso di trasmissione
verticale  dell'infezione  da  HIV.  Al  di  la' di possibili ipotesi
plausibili biologicamente, manca ancora l'evidenza di efficacia della
capacita'  dei  trattamenti antiretrovirali di ridurre l'infettivita'
delle   persone  con  infezione  da  HIV.  E',  altresi',  ampiamente
dimostrato  che  alcuni  trattamenti  possono  invece  migliorare  la
qualita'   della   vita   delle  persone  infette  e  prolungarne  la
sopravvivenza.
    Tali   effetti  hanno  la  conseguenza  di  aumentare  la  durata
dell'infettivita',   quindi   sono   determinanti   di  un  possibile
incremento  dell'incidenza  di  infezione  da  HIV, in assenza di una
modifica   della  probabilita'  di  trasmissione.  E'  possibile  che
all'aumento  di  durata  dell'infettivita', possa corrispondere pero'
una  riduzione  della  contagiosita'  data la riduzione della viremia
indotta  da  chemioterapia efficace nel ridurre la trasmissione, come
accade in altri modelli.
    Il contatto con strutture di cura puo' essere efficace, in misura
peraltro  non dimostrata, solo se accompagnato da adeguati interventi
di counselling.
    Occorre,  pertanto,  tener  conto  che una maggiore efficacia dei
trattamenti, nel migliorare la qualita' della vita e la sopravvivenza
delle  persone con infezione da HIV, potrebbe comportare una maggiore
incidenza  di  infezione da HIV nella popolazione. Cio' significa che
ad un'eventuale maggiore disponibilita' di trattamenti efficaci, deve
corrispondere   un   incremento   ed  una  maggiore  efficacia  degli
interventi di prevenzione.
2.2 Le dinamiche dell'epidemia
    Per   una   efficace   analisi  dello  stato  e  delle  dinamiche
dell'epidemia sono rilevanti le conoscenze sui seguenti parametri:
      incidenza di infezione da HIV;
      prevalenza di infezione da HIV;
      incidenza di AIDS;
      prevalenza di AIDS.
    Sino  ad  oggi si sono verificati oltre 41.000 casi cumulativi di
AIDS  ed  un  totale  di  circa  95-125.000 infezioni. Le persone con
infezione  da HIV attualmente in vita si stima siano circa 80.000, di
cui almeno 12.000 con AIDS.
    E',   inoltre,  rilevante,  la  stima  di  tali  parametri  nella
popolazione generale e nei sottogruppi di popolazione a rischio ed in
tempi  diversi.  Per  quanto  riguarda  le dinamiche epidemiche, sono
possibili  alcune  affermazioni caratterizzate da un diverso grado di
incertezza:
      e'  certo  che  l'incidenza  osservata  di  casi  di AIDS e' in
apparente decremento, in contrasto con quanto atteso sulla base delle
dinamiche  di  incidenza  di  infezione  da  HIV  negli anni passati.
Continuano   ad   essere   presenti,   inoltre,  forti  eterogeneita'
geografiche  nella  incidenza e prevalenza dei casi di AIDS, peraltro
rilevate sin dall'inizio dell'epidemia.
    E'   probabile   che  l'incidenza  di  nuove  infezioni  si  stia
stabilizzando.  Cio' e' evidenziato anche dai sistemi di sorveglianza
delle nuove infezioni, attualmente attivi solo in alcune regioni, che
dimostrano,  dopo  un  certo  declino  durato anni, una inversione di
tendenza.   Nell'allegato   1  e'  riportata  circostanziatamente  la
situazione dei casi di AIDS aggiornata al 30 giugno 1999 (All. 1).
    E'  probabile  che  la  prevalenza  di  casi  di  AIDS, come oggi
definita,  sia stabile o in lieve diminuzione, dal momento che fino a
pochi  mesi  fa  non  si  era  notato  un significativo aumento della
sopravvivenza  osservata, a causa probabilmente di una posticipazione
della  diagnosi di AIDS a livelli molto bassi di CD4. Si tratta pero'
di  rilievi  che  necessitano di nuove verifiche su dati maggiormente
aggiornati.
    E'  abbastanza  certo  che l'incidenza di infezione da HIV sia in
diminuzione nella popolazione dei tossicodipendenti;
    E'  abbastanza  certo  che  la prevalenza di infezione da HIV sia
tendenzialmente stabile nella popolazione dei tossicodipendenti;
    E'  incerto  che  l'incidenza di infezione da HIV sia in aumento,
inferiore alle previsioni, nelle donne di popolazione generale.
    E'  incerto  che  la  prevalenza di infezione da HIV sia in lieve
aumento nelle donne di popolazione generale.
    La  diminuzione dei casi di AIDS dovuta all'effetto delle terapie
combinate e l'incertezza sull'attuale durata del tempo d'incubazione,
rendono  problematica  l'applicazione  di modelli matematici, di tipo
"back-calculation",  per  la  stima  dell'andamento dell'infezione da
HIV. Cio' rende necessaria l'utilizzazione di sistemi di sorveglianza
delle nuove infezioni a livello regionale.
    In  conclusione,  si  puo' prevedere nel prossimo futuro un lieve
incremento  di  persone  infette,  una  tendenza al cambiamento delle
caratteristiche  della  popolazione  infetta,  con la diminuzione dei
tossicodipendenti, e l'aumento della trasmissione per via sessuale.
    Le  nuove strategie terapeutiche impongono una rapida valutazione
dei  possibili  effetti  su alcuni parametri importanti per lo studio
delle   dinamiche   epidemiche,   dal   tempo   di  incubazione  alla
probabilita' di trasmissione. La riformulazione di stime e proiezioni
e la valutazione di quelle effettuate in passato, assume una notevole
importanza   in  termini  di  programmazione  sanitaria,  accesso  al
trattamento e strategie di prevenzione.
3. LA PREVENZIONE
    La  continuita'  e la visibilita' delle iniziative di prevenzione
costituiscono,   anche   nelle   raccomandazioni  dell'Organizzazione
mondiale della sanita', un fattore di fondamentale importanza ai fini
della   efficacia   degli   interventi   e  della  modificazione  dei
comportamenti  a  rischio.  Premessa  di  tali iniziative e' che esse
devono  essere  concertate  fra  le varie istituzioni, onde garantire
l'efficienza  e l'efficacia dei programmi di intervento, nel rispetto
di un approccio multidimensionale del problema. Dal momento, poi, che
le  modalita'  di  trasmissione  dell'infezione  da HIV coinvolgono i
comportamenti   strettamente   privati,   deve   essere  prevista  la
indispensabile cooperazione degli individui e delle famiglie, secondo
le  raccomandazioni  dell'Organizzazione  mondiale  della sanita' che
gia'  nel  1988  invitava  gli  Stati  membri  ad assumere iniziative
finalizzate   ad   evitare   atteggiamenti   di   discriminazione   o
stigmatizzazione nei confronti delle persone sieropositive.
    Il  processo di aziendalizzazione e la puntuale definizione di un
assetto   organizzativo  che  prevede  la  separazione  fra  soggetti
acquirenti  e  produttori  di  servizi  sanitari  nonche',  in questa
particolare area, una forte interazione fra interventi sanitari e non
sanitari, sia sul versante degli acquirenti che dei produttori, rende
necessario,   sulla   base  delle  indicazioni  fornite  dai  modelli
epidemiologici,   assicurare  la  corrispondenza  fra  le  azioni  di
prevenzione  delle  diverse  istituzioni,  secondo  la  logica  della
cooperazione  fra  pubblico,  privato  sociale  e  volontariato, e le
priorita'  evidenziate. Dette azioni sono a loro volta correlate alle
risorse.  Azioni,  risorse  e priorita', sono inoltre correlate anche
alle caratteristiche dell'area geografica di riferimento.
    Il  riferimento  istituzionale presso il Ministero della sanita',
ove  vengono definite le strategie di prevenzione, e' il Dipartimento
della  prevenzione  che  assolvera' una funzione di coordinamento nei
confronti   delle   altre   amministrazioni   centrali   e  regionali
interessate  dal  problema  AIDS.  Inoltre  la  pianificazione  delle
iniziative   non   potra'   non   prevedere  a  livello  centrale  il
coinvolgimento  dell'Istituto  superiore  di  sanita',  del Consiglio
nazionale  delle  ricerche,  delle  universita'  e  degli istituti di
ricovero e cura a carattere scientifico.
    Il   riferimento   istituzionale   a  livello  degli  assessorati
regionali  alla  sanita'  e'  rappresentato  dalle  rispettive unita'
organizzative  competenti in materia di prevenzione, che assolveranno
una funzione di coordinamento delle istanze subregionali.
    Nell'ambito   delle   aziende  sanitarie  locali  il  riferimento
istituzionale  e'  rappresentato  dai  distretti,  i quali operano in
stretta  collaborazione con tutte le strutture che svolgono attivita'
di  prevenzione nei confronti dell'infezione da HIV, tra le quali, in
primo luogo, i SERT.
    Nell'ottica  dell'integrazione  tra  gli  interventi  sanitari  e
quelli a valenza sociale, previsti dal recente decreto legislativo n.
229  del  1999,  va tenuto conto dell'importanza del ruolo degli enti
locali nelle attivita' di prevenzione e promozione della salute.
    Infine,  non  certo  per  importanza, va segnalato il ruolo della
famiglia  nell'opera  di  prevenzione e di educazione dei giovani sul
tema dell'AIDS.
3.1 Le priorita' degli interventi di prevenzione
    Sulla  base delle evidenze epidemiologiche disponibili si possono
individuare le seguenti priorita' dei programmi di prevenzione:
      sviluppare,  diffondere  e  potenziare i programmi di riduzione
del   danno   nella   popolazione  delle  persone  tossicodipendenti,
soprattutto  con  l'aumento  dell'offerta  e  della accessibilita' ai
trattamenti farmacologici di mantenimento, al materiale iniettivo, ai
profilattici,  alle  unita'  da strada per il contatto con le persone
tossicodipendenti che non frequentano i relativi servizi territoriali
di assistenza, in accordo con i comuni e le aziende sanitarie;
      potenziare  nell'ambito  dei progetti di educazione alla salute
quelli    relativi    al    superamento    della   condizione   della
tossicodipendenza;
      sviluppare,  diffondere  e  potenziare i programmi di riduzione
del  danno  nelle  persone  che  si  prostituiscono,  soprattutto con
l'aumento  dell'offerta  dei  profilattici,  con la organizzazione di
unita'  da  strada  per  il contatto e l'informazione delle medesime,
nonche' i centri di accoglienza per coloro che si trovano in maggiori
difficolta';
      indirizzare  i  programmi  di  prevenzione verso la popolazione
generale,    curando    in    particolare    l'informazione    e   la
sensibilizzazione  sui dati relativi all'andamento dell'infezione tra
donne  e  uomini  di  popolazione  generale,  e  sulla  necessita' di
adottare comportamenti precauzionali adeguati;
      concentrare    gli   sforzi   educativi,   informativi   e   di
sensibilizzazione  alla  prevenzione  dell'infezione  da  HIV e delle
altre  malattie sessualmente trasmissibili tra i giovani, in tutta la
fase  pre-adolescenziale, e sui gruppi di giovani che non frequentano
la  scuola  o  che vivono in ambienti sociali fortemente degradati ed
emarginati;
      rimarcare  nelle campagne informative desinate alla popolazione
generale   l'importanza   dei   comportamenti   solidaristici  e  non
discriminatori nei confronti delle persone sieropositive.
    E'  necessario,  inoltre, che tutti gli interventi ed i programmi
di  prevenzione  e  di educazione prevedano sistemi di valutazione di
impatto e di efficacia.
    L'area  della prevenzione e' sempre stata considerata nei diversi
aspetti   dell'informazione,   dell'educazione   alla  salute,  della
formazione  e  dell'aggiornamento professionale. Per ognuno di questi
settori vengono di seguito formulate apposite proposte di intervento.
3.2 L'informazione
    Dal  1988  ad oggi sono state realizzate sei campagne informative
sull'AIDS,  che  hanno costituito la principale azione di prevenzione
su  larga  scala  a  livello  istituzionale  e il principale punto di
riferimento per le diverse iniziative attuate a livello locale.
    Gli  interventi  previsti  dalle  campagne hanno sufficientemente
raggiunto  gli  obiettivi di informazione della popolazione generale,
tranne  quello  relativo  alla  riduzione dei comportamenti a maggior
rischio.
    Si  tratta  ora  di  rafforzare ulteriormente tali cognizioni, di
mantenere   desta  l'attenzione  della  opinione  pubblica  verso  il
problema, di non abbassare la guardia nella lotta contro la malattia,
di  continuare  ad  effettuare  iniziative  di  informazione verso le
persone  con comportamenti a rischio (tossicodipendenti, omosessuali,
bisessuali  ecc.)  nonche'  verso le persone con infezione da HIV, di
avere   maggiore   attenzione  verso  il  fenomeno  dell'immigrazione
proveniente da paesi ad alta endemia di infezione da HIV, di ottenere
quella  modifica  dei  comportamenti che solo nel lungo periodo e con
iniziative informative continue sono raggiungibili.
    Occorre,  inoltre, una informazione permanente sulle metodiche di
protezione  dall'infezione  da  HIV  e  sul rischio dell'aggravamento
determinato  dalle  patologie  ad  essa  correlate, come le infezioni
opportunistiche,  e  dagli  stili  di vita che maggiormente espongono
alla  malattia. Tale tipo di informazione va diffusa non solo tramite
campagne  sui  mezzi di comunicazione, ma anche attraverso canali tra
piccoli gruppi, come la scuola e il mondo del lavoro.
    Il  quadro  epidemiologico  indica  chiaramente  che in futuro le
iniziative  di informazione dovranno essere a carattere mirato, e non
piu'  solo  nei  riguardi  dei  gruppi  presso i quali la malattia e'
maggiormente diffusa, ma anche nei confronti di quelli che presentano
una  piu'  elevata  probabilita'  di seguire comportamenti a rischio,
cioe'  i giovani, le donne non tossicodipendenti e gli adulti, uomini
e  donne  "single",  rimarcando l'importanza dell'esecuzione del test
per  la  ricerca  degli anticorpi anti-HIV. Una corretta informazione
sul  rischio  di  trasmissione  verticale  va, altresi', fornita alle
donne che decidono di intraprendere una gravidanza.
    Tutte   le   iniziative,   inoltre,  devono  essere  attraversate
trasversalmente   da   messaggi   improntati  alla  solidarieta'  nei
confronti   delle   persone   sieropositive,  al  fine  di  eliminare
pregiudizi riprovevoli e timori infondati.
    Infine,    e'   importante   individuare   nuove   strategie   di
comunicazione.
3.3 L'educazione alla salute
    Gli   interventi  da  attuare  in  tale  settore  sono  destinati
soprattutto ai giovani ed hanno lo scopo di ridurre l'incidenza delle
infezioni trasmissibili per via ematica e sessuale.
    Nella   quarta   e   nella  quinta  campagna  informativa  si  e'
provveduto, mediante lo svolgimento di corsi di formazione destinati,
rispettivamente,  ai  presidi  delle scuole secondarie superiori e ai
docenti  referenti per la educazione alla salute, ad affidare ai capi
di  istituto  e agli insegnanti le attivita' educative ed informative
nei  confronti  dei  giovani  in  eta'  scolare,  con  l'apporto e il
contributo delle strutture sanitarie.
    In  una  prospettiva  di  continuita'  puo'  essere  considerata,
nell'ambito  della  predisposizione  di  uno  specifico  piano di cui
andra'  valutato  l'impatto,  l'attivazione  di  una  rete di docenti
referenti  che  operano  a livello provinciale e d'istituto, estesa a
tutti   gli   insegnanti   interessati   e   a  tutti  gli  operatori
socio-sanitari, al fine di valutare e documentare l'attivita' svolta,
laddove  la  stessa  risulti  connotata  da unitarieta' progettuale e
complessivamente formativa.
    Tale  iniziativa  puo'  costituire  il  punto  di partenza di una
formazione  integrata  che  coinvolga  tutte  le figure professionali
interessate   alle   iniziative   nonche'   i   genitori   o  i  loro
rappresentanti,   da   realizzarsi   attraverso   momenti  comuni  di
riflessione sugli specifici ruoli e funzioni ed affiancata da momenti
operativi di progettazione condivisa. Essa trova piena legittimazione
e  supporto  nella  direttiva  n. 600/96 del Ministero della pubblica
istruzione e nei programmi di educazione alla salute e di prevenzione
elaborati dallo stesso Ministero.
    Al  fine  poi  di  operare  un proficuo scambio di esperienze, di
procedere   ad   una  comparazione  qualitativa  delle  attivita'  di
prevenzione  ed  individuare  modelli  trasferibili  in altre realta'
istituzionali  ed educative, si propone che periodicamente (due volte
all'anno  e  se  del  caso allargando il confronto a livello europeo)
siano  organizzati incontri tra operatori della scuola, della sanita'
e   dell'assistenza  impegnati  nella  realizzazione  delle  suddette
attivita' di promozione alla salute.
    Le proposte che perverranno dalle singole istituzioni scolastiche
potranno   costituire,   altresi',   la   base  per  programmare  gli
interventi, cosi' da garantire incisivita' ed efficacia.
    Si  ritiene  opportuno, inoltre, la progettazione e realizzazione
di  linee guida di prevenzione prodotte attraverso una contrattazione
formativa  tra  adulti  e  giovani  che  consenta  a questi ultimi di
sentirsi  garantiti rispetto a un processo formativo che e' interesse
comune  e  obiettivo  individuale,  articolato nelle seguenti fasi di
intervento:
      formazione  in  servizio  dei docenti referenti e del personale
socio-sanitario   per   ripensare   la   prevenzione   attraverso  un
riequilibro  dei  ruoli,  delle  persone operatori e delle rispettive
funzioni;
      avvio  di attivita' di ricerca condotte dai docenti, da esperti
delle  aziende  sanitarie  e  da  studenti in alcune citta' campione,
finalizzate  ad  elaborare  linee-guida  di  prevenzione prodotte dai
ragazzi;
      valutazione del prodotto e sua diffusione.
    Resta  da  approfondire l'azione nei riguardi dei giovani che non
frequentano  le  istituzioni  scolastiche, presenti soprattutto nelle
periferie  delle  grandi aree urbane, i quali rappresentano un gruppo
ad   alto   rischio.   Un  mezzo  appropriato  per  raggiungere  tale
popolazione  si  ritiene possa essere quello del contatto diretto nei
luoghi  di maggiore  concentrazione  o aggregazione, anche attraverso
operatori   sociali,   educatori   professionali   e   volontari,  in
particolare negli ambienti di lavoro e nel mondo dello sport.
    Ampia  attenzione  va  inoltre  dedicata ai giovani che non hanno
ancora  iniziato  l'attivita'  sessuale  o che stanno avendo le prime
esperienze   sessuali,  anche  mediante  l'istituzione  di  corsi  di
educazione sessuale.
    E'  necessario,  ai  fini  della efficacia degli interventi nelle
scuole, che la collaborazione tra il Ministero della sanita' e quello
della  pubblica  istruzione si rafforzi a livello centrale attraverso
la  predisposizione  di  forme  adeguate di coordinamento, controllo,
valutazione  e  documentazione delle iniziative attivate, e migliori,
comunque,  anche a livello periferico, al fine di evitare che possano
verificarsi  ritardi nella attuazione delle iniziative di prevenzione
ovvero  sovrapposizioni  tra  gli interventi stabiliti centralmente e
quelli definiti a livello locale.
3.4 La formazione e l'aggiornamento professionale
    E' opportuno che i corsi di formazione di base di tutte le figure
professionali  coinvolte negli interventi prevedano momenti formativi
adeguati.
    La  vasta  attivita'  formativa svolta dall'Istituto superiore di
sanita'   con   il   Piano  nazionale  di  formazione  per  la  lotta
all'infezione  da  HIV  (P.F.H.),  ha  consentito dal 1990 al 1996 di
realizzare 118 corsi (di cui 99 organizzati a livello centrale e 19 a
livello   periferico)  che  hanno  formato  oltre  3300  partecipanti
appartenenti   a   diverse   categorie   di  operatori  professionali
interessati a vario titolo all'infezione da HIV.
    Gli  ultimi  due  anni  hanno  visto  l'attivita'  di  formazione
particolarmente    dedicata    ai   settori   della   prevenzione   e
dell'assistenza ai malati.
    La  strategia  di  formazione  a  cascata  Stato-regioni  ha dato
risultati discordanti nell'ambito delle stesse, rivelando difficolta'
degli  enti  regionali nell'ottimale utilizzo delle risorse formative
costituite  a  livello  centrale,  nonche'  limiti  di  azione  e  di
strategia   del   Piano   nazionale   di   formazione  per  la  lotta
all'infezione da HIV.
    Analogamente  e'  apparso  sempre  piu' chiaro che l'attivita' di
controllo  e  di  prevenzione  dell'infezione  da  HIV, fortemente si
embrica  con  quella riguardante le altre malattie infettive mediante
il   coinvolgimento   a   livello   periferico  delle  stesse  figure
professionali.
    Essenziale  resta  l'aggiornamento  del  personale  sanitario che
opera   nei   reparti  di  malattie  infettive  e,  in  quei  reparti
prevalentemente impegnati, secondo i piani regionali, nell'assistenza
alle persone con AIDS.
    Il  finanziamento  di  tali  corsi  di formazione e aggiornamento
professionale  previsti  dalla legge n. 135 del 1990, per complessive
lire  35  miliardi annue, ha consentito fino ad oggi di formare circa
1000  medici,  3500 infermieri e 1200 unita' di altro personale. Tale
finanziamento  non  e'  confluito  come per le risorse destinate agli
altri  interventi,  previsti  dalla citata legge, nel Fondo sanitario
nazionale,  bensi'  e'  stato  vincolato  alla presentazione da parte
delle regioni di una relazione sulla modalita' di utilizzazione delle
somme  loro  assegnate comprovante l'effettivo svolgimento dei corsi,
che  devono  essere  realizzati  dappertutto,  sulla base della nuova
disciplina  emanata  con  il  decreto  ministeriale  25 luglio  1995,
coinvolgendo  anche il personale che svolge l'assistenza domiciliare.
E'  opportuno  che  vengano previsti, nell'ambito dei suddetti corsi,
programmi volti al miglioramento della qualita' dell'assistenza.
    Si    ritiene,    inoltre,   necessario,   rendere   obbligatorio
l'insegnamento  della  disciplina  delle malattie infettive nei corsi
per l'acquisizione del diploma universitario per infermiere.
    Infine,  si e' dell'avviso che gli interventi di formazione, dopo
circa  dieci  anni  di  distanza dall'avvio delle prime iniziative di
aggiornamento,  vadano  ridefiniti  ed  orientati  sulla  base  degli
obiettivi  e  della  programmazione regionali nonche' con riferimento
alle  espenenze  acquisite ed ai risultati ottenuti a livello locale,
coinvolgendo, comunque, tutti i profili sociali coinvolti.
4. LA QUALITA' DELL'ASSISTENZA
    La  legge  n. 135 del 1990 ha autorizzato un articolato programma
di   interventi  finalizzato  al  potenziamento  degli  organici  del
personale, alla formazione degli operatori sanitari, al potenziamento
dei  servizi  di assistenza ai tossicodipendenti e all'attivazione di
servizi  per il trattamento a domicilio delle persone affette da AIDS
e   patologie  correlate,  per  l'attuazione  del  quale  sono  stati
ripartiti  finanziamenti  specifici,  a  carico  del  Fondo sanitario
nazionale,  tra  le  regioni  e  province  autonome  con  vincolo  di
destinazione ai settori indicati.
    L'attuazione  degli interventi previsti dalla legge nelle diverse
regioni  presenta  significative differenziazioni per quanto riguarda
l'attuazione  del  programma di costruzione o di ristrutturazione dei
posti  letto  nei  reparti malattie infettive, l'istituzione di posti
nelle  case  alloggio,  l'attivazione  dell'assistenza  domiciliare o
l'ospedalizzazione  domiciliare,  il  potenziamento  delle  attivita'
diagnostiche.
    Vi  sono,  infatti,  regioni  che hanno realizzato gli interventi
previsti,   regioni   che   hanno   attuato   detti  interventi  solo
parzialmente e regioni che non hanno realizzato alcun intervento.
    Sulla  base dei dati epidemiologici disponibili, e' opportuna una
ridefinizione  del  numero  dei posti letto previsti dal programma di
cui  all'articolo  2  della  legge  n.  135  del  1990, privilegiando
l'aumento   dei   letti  di  day  hospital,  il  potenziamento  degli
ambulatori  dei  reparti  di  malattie  infettive, l'adeguamento e la
ristrutturazione dei reparti esistenti di malattie infettive, a volte
non   idonei   a  mantenere  livelli  adeguati  di  assistenza  e  di
efficienza.
    A questo proposito e' fondamentale sottolineare l'urgenza di tale
adeguamento strutturale soprattutto in riferimento alla diffusione di
infezioni   tubercolari  da  ceppi  multiresistenti  in  persone  con
infezione da HIV, oltre che alla necessita' di ricoverare persone con
altre  malattie infettive, ricordando, in particolare, la necessita',
di   far   fronte   alle   emergenze  infettivologiche  con  speciale
riferimento alle patologie da importazione.
    La   qualita'  dell'assistenza  non  riguarda  esclusivamente  le
strutture    assistenziali    ma    richiede   anche   una   verifica
dell'adeguatezza del tipo di assistenza offerta (disponibilita' delle
risorse,  tempestivita'  dell'intervento  terapeutico, accessibilita'
alle  tecniche  diagnostiche  e  ai  presidi  terapeutici  necessari,
integrazione     tra     servizi,     continuita'    dell'assistenza,
professionalita'   del   personale,   informazione   e  consenso  sui
differenti  interventi  sia diagnostici che terapeutici, rispetto dei
diritti dell'utente ecc.).
    L'adeguatezza  del livello assistenziale dovra' essere verificata
mediante  lo  strumento  dell'accreditamento: a questo scopo potrebbe
essere  utile  inserire nelle relative procedure un settore specifico
per  l'infezione  da  HIV  che  permetta  di  graduare, in base ad un
punteggio,  la  tipologia  di assistenza erogata dalle singole unita'
operative.
    L'assistenza  alle  persone  con  infezione  da  HIV richiede una
continuita'   assistenziale   che   preveda  anche  il  potenziamento
dell'assistenza  extra-ospedaliera.  Le  singole  regioni  e province
autonome  determineranno,  in  relazione  alle specifiche esigenze, i
settori, i modelli e il livello di detto potenziamento.
    La rete assistenziale puo' cosi' configurarsi:
      strutture  del  territorio  di primo livello (SERT, consultori,
ambulatori, centri per le malattie a trasmissione sessuale);
      ambulatori dei reparti di malattie infettive;
      day hospital dei reparti di malattie infettive;
      reparti di ricovero di malattie infettive;
      assistenza    domiciliare    integrata    e    ospedalizzazione
domiciliare;
      case   alloggio   e   residenze  collettive  per  pazienti  con
necessita'  anche di tipo sociale non necessariamente gia' affetti da
AIDS;
      "hospice" per pazienti in fase terminale.
    In  particolare,  i  SERT  dovrebbero  svolgere  un  ruolo ed una
funzione  orientati  verso  interventi  di  prevenzione  piu'  che di
assistenza,    in    considerazione    dell'aumentata    complessita'
assistenziale  e  dell'elevato  grado  di  specializzazione richiesto
dalla somministrazione e dal monitoraggio dei nuovi farmaci.
    Per   cio'   che  concerne  l'assistenza  domiciliare  integrata,
l'ospedalizzazione   a   domicilio   e  gli  "hospice"  e'  opportuno
potenziarle  e  definire linee guida che prendano in considerazione i
seguenti punti:
      a) criteri di eleggibilita' del paziente;
      b) requisiti dell'e'quipe;
      c) prestazioni  da  erogare  sia di tipo strettamente sanitario
che di tipo psico-sociale;
      d) aspetti  organizzativi,  comprendenti  anche i vari soggetti
che contribuiscono all'erogazione dell'assistenza stessa;
      e) criteri di verifica;
      f) tariffe differenziate.
    Fermo   restando   le   caratteristiche  dell'ospedalizzazione  a
domicilio, secondo quanto previsto dal precedente "Progetto Obiettivo
AIDS 1994-1996", bisognera' realizzare l'assistenza a domicilio nella
forma   dell'assistenza   domiciliare   integrata.   Tale   attivita'
assistenziale  potra' essere assicurata organizzando e coordinando le
attivita'  in termini dipartimentali, con l'impiego del personale dei
presidi  ospedalieri (segnatamente delle unita' operative di malattie
infettive)  e  dei  servizi delle aziende sanitarie, ivi compresi gli
operatori  del servizio di guardia medica e di emergenza territoriale
nonche'  con  il  concorso,  per  quanto di competenza, dei medici di
medicina generale.
    In  quest'ottica  la  ridefinizione del contenuto del mansionario
infermieristico,  ed  in  particolare  la  rimozione  delle norme che
impediscono  agli  infermieri  di poter svolgere anche a domicilio le
attivita'  che  ordinariamente svolgono in ambito ospedaliero, assume
particolare significato.
    Questo per quanto attiene alla parte piu' strettamente sanitaria,
per  quanto  riguarda invece quella sociale, e' opportuno che vengano
promosse  forme  di  integrazione tra l'assistenza sanitaria e quella
sociale,   coinvolgendo,   ove   possibile,   le  organizzazioni  del
volontariato, del privato sociale e i comuni.
    A proposito delle suddette organizzazioni si ritiene che:
      a) le  attivita'  svolte sia dalle associazioni di volontariato
sia   dalle  organizzazioni  assistenziali  private,  debbano  essere
integrative  e  complementari,  e  non  sostitutive rispetto a quelle
istituzionali   pubbliche.  In  tal  senso  si  devono  ricercare  le
occasioni   di  lavoro  congiunto,  favorendo  la  presenza  di  tali
organizzazioni  nell'ambito delle strutture, per tutte le attivita' a
favore del malato e, in generale, di tutti gli utenti;
      b) le  attivita'  svolte  dalle  associazioni di volontariato e
dalle  organizzazioni assistenziali private devono essere previste in
specifici  programmi  dalle  istituzioni  competenti e periodicamente
verificate e valutate;
      c) le  assegnazioni  di  contributi  pubblici,  direttamente  o
indirettamente  concessi  alle organizzazioni assistenziali private e
del  volontariato,  devono  essere  prioritariamente finalizzate alla
erogazione di specifiche prestazioni o di servizi definiti;
    L'introduzione  di  nuovi  farmaci  attivi  verso l'infezione e/o
verso  le  patologie  correlate, le maggiori conoscenze scientifiche,
nonche'   le   minori   disponibilita'  finanziarie,  evidenziano  la
necessita' di attuare compiutamente le attivita' di cui sopra.
    Il  coinvolgimento della famiglia appare fortemente necessario ed
altrettanto il sostegno alla stessa.
4.1  L'assistenza  alle  donne  gravide e ai bambini con infezione da
HIV/AIDS
    Ai  fini  di  una  idonea  ed  adeguata assistenza ai bambini con
infezione  da HIV/AIDS, si ritiene opportuno fornire le sottoindicate
indicazioni  che  devono, trovare attuazione nell'assistenza dei casi
di cui trattasi:
      a)   profilassi,   in   gravidanza,   aggiornata   alle   nuove
combinazioni terapeutiche;
      b) formulazione pediatrica dei farmaci inibitori delle proteasi
e protocolli specifici per il loro uso compassionevole;
      c) disponibilita'  delle piu' avanzate metodologie diagnostiche
di monitoraggio della infezione;
      d) possibilita'  di  istituire  tempestivamente terapie, tenuto
conto  che  nel  bambino  si  conosce con relativa precisione l'epoca
della infezione;
      e) riduzione    della   medicalizzazione   e   dell'invasivita'
terapeutica;
      i) aggiornamento      clinico-terapeutico     del     personale
infermieristico data la peculiarita' delle condizioni pediatriche;
      g) attuazione di terapie del dolore;
      h) coinvolgimento   dei   diversi   operatori   sanitari  nella
comunicazione  al  bambino,  della  diagnosi  e  del  counselling nei
confronti della famiglia;
      i) tutela  e  cura  dei  bambini  sieronegativi  figli di madri
sieropositive, problematica questa ancora poco conosciuta e sommersa,
e  quindi individuazione di criteri socio-assistenziali specifici per
la  integrazione di tali bambini, spesso orfani od abbandonati, in un
contesto sociale che permetta una normale evolutivita'.
5. IL VOLONTARIATO
    L'elevata  eterogeneita' e il crescente numero delle associazioni
di volontariato che sono sorte per effetto del fenomeno AIDS riguarda
non  solo la forma giuridica, ma anche le ideologie, le dimensioni, i
settori  di  intervento, le metodologie di approccio ai bisogni degli
ammalati,  il  reperimento delle risorse finanziarie, il rapporto con
gli  altri  gruppi.  Tutto  cio',  se  da una parte ha costituito una
grande  risorsa  a  disposizione  delle  istituzioni  pubbliche e dei
malati potrebbe rappresentare, in assenza di regole che consentano di
selezionare  quelle  organizzazioni che sole hanno maturato nel corso
di questi anni nel settore una comprovata esperienza e sviluppata una
certa  capacita'  di  azione,  un  serio rischio per l'affidamento di
efficaci programmi di prevenzione e di assistenza.
    Sulla  base  di  quanto  avviene  a  livello  nazionale,  con  la
costituzione   di  una  Consulta  del  volontariato  per  i  problemi
dell'AIDS  ai  fini  dell'approfondimento  delle  questioni  relative
all'infezione  da  HIV,  a  livello  locale  si  ritiene opportuno la
istituzione  di  consulte  regionali  per  la  lotta contro l'AIDS, o
comunali nelle grandi aree urbane.
    Si  segnala,  infine,  il  documento  predisposto  nel 1993 dalla
Commissione nazionale per la lotta contro l'AIDS e dalla Consulta per
i  problemi  dell'AIDS  in  merito alla disciplina delle attivita' di
volontariato in ambito ospedaliero.
6. LA RICERCA
    Il   presente   "Progetto   Obiettivo  AIDS"  e'  un  riferimento
importante  nell'organizzazione  e  negli  obiettivi  generali  della
ricerca  scientifica  condotta  sia sui temi della patologia AJDS che
sui   temi   dell'attenzione   sociale   del  paziente.  Se  condotta
propriamente,  la  ricerca ha un importante ricaduta per la soluzione
del   problema  AIDS,  sia  mediante  la  utilizzazione  diretta  dei
risultati  sperimentati  in  campo  diagnostico,  terapeutico e nella
qualita'  della  vita,  sia  per  la  diffusione di una nuova cultura
sull'AIDS   nella   formazione   dei   giovani   operatori   e  nella
riqualificazione  dei  quadri  sanitari  e  psico-sociali  attivi sul
territorio nazionale.
    Prima di procedere alla formulazione degli indirizzi da attuare e
degli  obiettivi da conseguire per il prossimo triennio nella ricerca
sull'AIDS,  si  ritiene  opportuno  ricordare  quanto fatto in questo
campo nell'ultimo decennio.
    Di  fatto, la ricerca sull'AIDS ha coinciso in larga parte con la
realizzazione   del  Progetto  nazionale  di  ricerca  sull'AIDS  del
Ministero  della  sanita' - Istituto superiore di sanita'. Coordinato
dal   predetto   Istituto  -  Laboratorio  di  virologia  -  esso  ha
rappresentato, per qualita' e quantita' delle ricerche realizzate, un
successo  scientifico  ed organizzativo che ha permesso all'Italia di
contribuire  in  modo  sostanziale  all'avanzamento  delle conoscenze
sull'infezione da HIV, nei settori dell'epidemiologia, dei fattori di
progressione  della  malattia,  della  patogenesi  e  delle infezioni
opportunistiche,   dei   tumori   e   delle   strategie  terapeutiche
antiretrovirali, della ricerca psico-sociale.
    Negli  ultimi  anni e' stato compiuto anche un serio tentativo di
condurre ricerche ed interventi nel campo sociale.
    Parallelamente  al  progressivo  aumento  del  numero  dei lavori
scientifici  apparsi  su  riviste  di  altissimo  livello, sono state
stabilite  importanti  collaborazioni  internazionali,  sia a livello
europeo, nell'ambito delle azioni concertate dall'Unione europea, che
a  livello  bilaterale,  tra  l'Italia  e Stati Uniti. Di particolare
rilievo scientifico ed etico sono anche le collaborazioni in atto tra
istituzioni  di  ricerca  italiane e quelle di alcuni paesi in via di
sviluppo,  nei  quali e' piu' drammatica la situazione dell'infezione
da HIV.
    Complessivamente,  le ricadute a livello di sanita' pubblica sono
state  rilevanti:  e'  noto  che,  in  modo particolare nella ricerca
sull'AIDS,  le  possibilita'  di  trasferimento  dei  risultati delle
attivita'  di  ricerca,  anche quelle di base, sono immediate anche a
livello della prevenzione e della cura delle persone.
    Alla base del successo scientifico del Progetto vi sono stati due
elementi di particolare rilevanza: da una parte il tentativo serio di
valutazione oggettiva delle proposte di ricerca, dall'altra, il fatto
che,  evitando  di  erogare  finanziamenti "a pioggia", l'entita' del
supporto  finanziario  per ogni proposta e' stata congrua, in modo da
permettere l'effettiva implementazione dei progetti di ricerca.
    Secondo   il   parere   di  due  delle  piu'  importanti  riviste
scientifiche  internazionali quali "Nature" e "Science", si tratta di
un  bilancio  generale  sicuramente  positivo,  tale  da porre questo
Progetto fra i migliori realizzati finora nelle scienze biomediche in
Italia.
    Accanto  a  tutto  questo,  inoltre,  e' importante evidenziare i
problemi emersi nel corso di quasi un decennio di ricerca, dipendenti
in  gran  parte dalla situazione di grave insufficienza organizzativa
della  ricerca biomedica italiana nel cui ambito, necessariamente, si
inserisce  la  ricerca  sull'AIDS.  Prima  di  indicare gli indirizzi
futuri,  e' forse opportuna anche un'analisi critica di quanto non ha
funzionato in passato:
      a) il  Progetto  di  ricerche sull'AIDS ha raggiunto, nella sua
articolazione  in  quattro  sottoprogetti  integrati,  una  eccessiva
complessita'  che  ne  ha  reso  difficile  la  gestione  ed ardua la
continua revisione degli obiettivi scientifici;
      b) il  coordinamento  tra  le  diverse competenze sperimentali,
tale   da   ottenere  risultati  complessivi  di maggior  valore,  va
potenziato rispetto al passato al fine di favorire l'integrazione fra
le  ricerche  di  base  nel  campo  della  immunologia,  virologia  e
patogenesi, e le ricerche cliniche;
      c) la  crescita  scientifica e culturale della ricerca italiana
di  base  e  clinica  e'  stata  certamente  favorita.  E' importante
prevedere  anche  iniziative  che  promuovano  su base organica e per
tutte  le  istituzioni  scientifiche,  indipendentemente  dalla  loro
qualita'  iniziale,  il  livello  di capacita' di condurre la ricerca
sull'AIDS  sia nella formazione immediatamente post-laurea, sia nella
riqualificazione dei livelli medio-alti responsabili della conduzione
delle ricerche;
      d) sebbene  un  numero  notevole  di  giovani ricercatori abbia
usufruito  di  borse  di studio in Italia e all'estero, e' mancata la
possibilita'  di  utilizzare  per la ricerca sull'AIDS ricercatori di
eta'  compresa  tra  i  30  e  i  40 anni, il periodo piu' creativo e
produttivo. Tale carenza risponde ad una situazione endemica di tutta
la   ricerca   italiana,   ad   eccezione  delle  scienze  fisiche  e
matematiche,  che  accompagna  ad  una oggettiva penuria di ruoli per
questa  fascia  di  eta',  la  tendenza ad umiliare la autonomia e le
capacita'  responsabili  dei  pochi giovani ricercatori adeguatamente
formati in Italia ed all'estero che trovano impiego nei laboratori;
      e) si   e'   osservata  una  certa  disparita'  fra  i  diversi
laboratori italiani, nella capacita' di utilizzare le tecnologie piu'
avanzate  ed  inoltre  la  tendenza  a  rivolgersi  frequentemente ai
laboratori   degli   Stati  Uniti  per  proporre  collaborazioni  per
metodologie  avanzate  di  ricerca  senza  considerare  le  capacita'
dimostrate dai laboratori italiani ed europei. In gran parte, cio' e'
dovuto  alla  mancanza  di  strumenti  agili come ad esempio borse di
studio  per  viaggi  per  brevi  permanenze  in Italia e nella Unione
europea,   finalizzate   all'apprendimento   di   tecnologie  o  alla
esecuzione di esperimenti in collaborazione;
      f) come  corollario  di  quanto  osservato  in  precedenza,  la
partecipazione   dei   laboratori   italiani  alle  ricerche  europee
sull'AIDS,  fatta  eccezione  per alcune punte, e' stata generalmente
bassa e comunque non adeguata al ruolo economico del nostro paese;
      g) mancano  dati  certi  sulle ricerche sull'AIDS finanziate da
enti  diversi dall'Istituto superiore di sanita', quali ad esempio il
C.N.R.,  il  M.U.R.S.T.,  le  regioni e l'Unione europea. Questi dati
sarebbero  importanti  per progettare la integrazione scientifica fra
le   diverse   linee   di  ricerca  e  per  stabilire,  nel  caso  di
sovrapposizione  degli  obiettivi proposti dagli stessi responsabili,
criteri di compatibilita' economica complessiva in rapporto al valore
delle ricerche condotte e dei risultati ottenuti;
      h) e'  importante  notare  una  certa  atipicita'  del Progetto
"sociale",  come  se l'unione della ricerca psico-sociologica con gli
interventi  nel  sociale rendesse difficile la partecipazione di tale
Progetto  al  processo  scientifico e lo facesse sfuggire alle regole
del  suo  rigore.  Questa  osservazione  prescinde  dalla serieta' di
coloro  che  conducono quelle ricerche e si basa in parte anche sulle
difficolta'  di  identificare  parametri, quali l'"impact factor" dei
lavori  pubblicati  su riviste internazionali, considerati validi per
le  scienze biomediche. Questo aspetto deve essere meglio individuato
per   dare  anche  a  questo  Progetto  la  pienezza  della  dignita'
scientifica e l'importanza che gli compete.
    Nel  1997  -  cosi'  come  e'  avvenuto  per analoghi progetti di
ricerca   sull'infezione   da  HIV  in  altri  paesi  particolarmente
impegnati  nella lotta all'AIDS - il Progetto di ricerche italiano ha
subito  una  parziale revisione delle caratteristiche organizzative e
un   aggiustamento  degli  obiettivi,  in  funzione  soprattutto  dei
cambiamenti  avvenuti  nell'epidemia  da HIV e dell'avanzamento delle
conoscenze  scientifiche.  Le  linee  guida del rinnovato Progetto di
ricerche  sull'AIDS  per  il  prossimo  triennio dovrebbero essere le
seguenti:
      1.  suddivisione  del  Progetto  generale  in  quattro distinti
progetti.   Il   Progetto   generale   deve   comunque  prevedere  il
coordinamento  fra  i  quattro  progetti  ed un finanziamento unico e
indiviso  da  ripartire  successivamente  sulla  base  delle proposte
presentate e della necessita' di incentivazione di temi specifici. Le
quattro  aree di intervento dovranno riguardare: a) l'epidemiologia e
lo  studio  di  nuovi  modelli  assistenziali;  b)  le manifestazioni
cliniche e degli aspetti terapeutici; c) i meccanismi, sia virologici
che  immunologici,  che determinano lo sviluppo della malattia, anche
in  prospettiva  della  messa  a punto di un vaccino; d) le infezioni
opportunistiche.
      2.  Individuazione  di modalita' di valutazione dei progetti di
ricerca  che  diano  le  massime garanzie di efficienza e di qualita'
nella  scelta.  Dovranno  essere individuati i "referees" italiani ed
esteri  con  la  migliore  qualificazione  scientifica, sia nei campi
generali della metodologia della ricerca che nei temi specifici, ed i
formulari  da  utilizzare  dovranno  rendere  ignoto  non soltanto il
"referee"  al proponente, ma anche, per quanto possibile, il nome del
proponente al "referee".
      3.  Revisione  degli  obiettivi e delle priorita' scientifiche,
con  particolare finalizzazione a quei settori nei quali piu' urgente
e'  il  raggiungimento  di  obiettivi  di  ricerca specifici, ad alta
trasferibilita',  con  relativa  riduzione del peso di alcuni settori
meno   rilevanti.   La   revisione   degli  obiettivi  dovra'  essere
prospettivamente  effettuata su base annuale, con il contributo della
Commissione  nazionale per la lotta contro l'AIDS e le altre malattie
infettive.
      4.   Implementazione  di  alcune  ricerche  sul  modello  delle
"concerted  actions"  per  facilitarne  la  finalizzazione,  su fondi
dedicati esplicitamente a questo scopo, nel coordinamento complessivo
dei  quattro  progetti.  In questo ambito dovranno essere promosse le
ricerche  integrate fra gruppi a finalita' clinica e gruppi impegnati
in   ricerche  biomediche  e  psico-sociologiche  e  dovranno  essere
coinvolti,  con  commesse specifiche per prodotti ad alta tecnologia,
gruppi di ricerca molto qualificati ma estranei al mondo AIDS.
      5.  Attribuzioni di bilancio con una estensione certa nell'arco
di  tre-cinque  anni,  per  permettere una reale programmazione della
crescita  scientifica  e  della ricerca. Parallelamente dovra' essere
intensificata la verifica dei risultati parziali, anche attraverso la
prassi "site visit".
      6.  Istituzione  di  contratti  di ricerca (diversi e superiori
alle  borse  di  studio)  di almeno tre anni, per giovani ricercatori
italiani  a  livello di dottorato o esperienza equivalente, meglio se
per  facilitare il rientro dall'estero. I contratti dovranno premiare
un progetto preciso di ricerca formulato dal ricercatore, sia di base
che  clinico,  e  dovranno  essere  fruibili  presso  una istituzione
italiana, coerente con il progetto stesso e di scelta del vincitore.
      7. Istituzione, accanto alle attuali borse che premiano giovani
gia'  esperti,  di  borse  annuali  di  formazione  per neo laureati,
rinnovabili  una  sola  volta,  presso  gruppi  che diano garanzie di
qualificazione scientifica, con valore retributivo analogo alle borse
di dottorato.
      8.  Istituzione di borse di viaggio e soggiorno per incentivare
brevi periodi di lavoro presso gruppi di ricerca italiani ed europei.
    9.  Integrazione  fra  l'attivita'  di  ricerca  effettuata dalle
universita'  e  dagli  istituti scientifici e quella svolta a livello
regionale.
    10.  Tutto  quanto  descritto  ai  punti  precedenti  si  applica
ovviamente  anche  al  Progetto  sociale. In particolare, i referenti
responsabili di quest'ultimo analizzeranno i criteri di efficacia dei
singoli  progetti e di coordinamento fra questi, per dare un maggiore
impulso  alla  realizzazione  della  educazione  alla  salute,  della
prevenzione  e  della limitazione della diffusione dell'infezione, ed
ottenere  un  miglioramento  nella  qualita' della vita delle persone
sieropositive  e dei pazienti con AIDS, e quindi un maggiore appoggio
al  successo  delle  terapie  cliniche,  soprattutto in rapporto alle
modifiche apportate dai recenti schemi terapeutici al decorso clinico
dei  pazienti,  con  particolare  attenzione  ai  gruppi  a  rischio.
Dovranno,   altresi',  essere  considerati  a  parte,  e  quindi  non
identificabili  con la ricerca, i finanziamenti per gli interventi di
carattere sociale.
    La   gestione   del   Progetto   scientifico  AIDS  sara'  curata
dall'Istituto  superiore  di  sanita', mentre altri aspetti (borse di
viaggio  a  breve  termine,  corsi,  contratti di ricerca) dovrebbero
avere  finanziamenti  aggiuntivi  rispetto  al Progetto scientifico e
potranno  avere  referenti  di  gestione  volta  per volta differenti
(aziende ospedaliere, dipartimenti universitari ecc.).
7. L'INFEZIONE DA HIV NELLE CARCERI
    Le  recenti  sentenze  della Corte costituzionale n. 438 e n. 439
del  1995,  con  le  quali  e'  stata dichiarata, rispettivamente, la
illegittimita' costituzionale degli articoli 146, primo comma, numero
3,  del  codice  penale,  e 286-bis, comma 1, del codice di procedura
penale,  hanno  posto  in  questi  ultimi  anni  molti  problemi alla
assistenza  sanitaria  negli  istituti penitenziari delle persone con
infezione  da  HIV.  Nelle  more della piena applicazione del decreto
legislativo  n.  230  del  1999  recante  norme per il riordino della
medicina penitenziaria e della legge n. 231 del 1999 riguardante, tra
l'altro, la nuova disciplina delle situazioni di incompatibilita' tra
la  condizione di AIDS conclamata o di grave deficienza immunitaria e
il  regime carcerario, si ritiene, in primo luogo, che debbano essere
garantiti  ai  detenuti  con infezione da HIV, ritenuti in condizioni
compatibili  con  lo  stato  di detenzione, interventi di prevenzione
primaria   e   secondaria,   di   profilassi,  di  diagnosi,  cura  e
riabilitazione,  secondo gli standard previsti dal Servizio sanitario
nazionale,   nonche'   facilita'   di   accesso   ai   nuovi  farmaci
antiretrovirali.  Particolare  attenzione  va  prestata  nei riguardi
della  problematica della promiscuita' nelle carceri che puo' causare
un    aumento   dell'infezione   e   l'aggravamento   delle   persone
sieropositive,   piu'  facilmente  vulnerabili  alla  contrazione  di
malattie in relazione alla loro condizione immunologica.
    Per   cio'  che  attiene  alla  individuazione  dei  presidi  ove
ricoverare  le persone detenute in condizione di incompatibilita' con
il  regime  carcerario, non puo' che confermarsi, in questa sede, che
ove si tratti di pazienti con malattia in fase acuta essi non possano
che  essere  ricoverati  nelle unita' operative di malattie infettive
accreditate,  in  conformita'  con quanto previsto dalla legge n. 135
del 1990.
    Si  ritiene,  infine,  che vada completata l'individuazione degli
ospedali  presso  i  quali  devono  essere  avviati  i detenuti e gli
internati  affetti  da  infezione  da  HIV, per i quali la competente
autorita'  abbia disposto il piantonamento, gia' in parte individuati
con il D.I. 22 aprile 1996.
8. LA  TERAPIA ANTIRETROVIRALE E LA PROFILASSI POST-ESPOSIZIONE DEGLI
OPERATORI SANITARI
8.1 La sperimentazione clinica
    E'  opportuno  accelerare  le  procedure per lo svolgimento delle
attivita'  di  sperimentazione  e  l'approvazione  delle  delibazioni
all'uso  dei  farmaci, ridefinendo in particolare l'uso e i limiti di
applicazione  delle  delibazioni  stesse.  E',  altresi',  opportuna,
l'istituzione  di  canali  preferenziali  per  la  valutazione  e  la
autorizzazione  ministeriale  alle  attivita'  di  sperimentazione di
nuovi   farmaci   antiretrovirali,   individuando  i  centri  clinici
"accreditati"  per  la  partecipazione  alle  suddette  attivita'. Le
sperimentazioni  proposte non in ambito industriale dovrebbero venire
attivate secondo una procedura preferenziale. L'accreditamento per la
partecipazione   a   studi  multicentrici  deve  tenere  conto  della
graduazione  delle  funzioni  dei  centri clinici di II e III livello
prevista nell'atto di intesa Stato-Regioni del 7 novembre 1991.
    Per  quanto  riguarda  la  metodologia  degli studi da promuovere
andranno    sicuramente    privilegiati   i   "trials"   randomizzati
controllati,   specie   nelle   situazioni   di   maggior  incertezza
terapeutica,  finanziando  separatamente su fondi di ricerca tutte le
attivita' diagnostiche e terapeutiche incluse in detti studi.
    Infine   vanno   definiti,   per  le  istituzioni  nazionali  che
coordinano   o   conducono   le  sperimentazioni,  ruoli  e  funzioni
trasparenti,  ed  una  regolamentazione  basata  su norme rigorose in
ordine ai potenziali conflitti di interesse.
    Per    quanto    attiene   alla   somministrazione   di   farmaci
antiretrovirali,  tenuto  conto  della complessita' della gestione di
detti   trattamenti,   e'   indispensabile  che  essi  siano  erogati
unicamente  dalle  strutture  di II e III livello indicate nel citato
atto di intesa Stato-Regioni.
8.2 Le linee-guida
    E'  necessario  procedere all'aggiornamento periodico delle linee
guida sulla utilizzazione dei farmaci antiretrovirali. Attualmente il
costo  medio  annuo della terapia antiretrovirale, inclusi i test per
l'HIV-RNA,  e'  circa 15-19 milioni nei casi in cui i farmaci vengono
assunti in modo continuativo, il che non sempre accade.
    L'obiettivo  e',  in  primo luogo, quello di conferire alle linee
guida  un  carattere  piu'  indicativo  che  vincolante  (ad  esempio
sottolineando il "minimum" terapeutico indispensabile), approfondendo
il  rapporto  costi-benefici  e  l'impatto  delle nuove strategie sui
bisogni  assistenziali  e  prevedendo  che  nell'ambito  del Servizio
sanitario nazionale, vengano utilizzati esclusivamente farmaci di cui
sia stata documentata l'efficacia in modo adeguato.
    Le  linee  guida  dovranno essere periodicamente aggiornate sulla
base  delle  acquisizioni  scientifiche  e  dei  dati  inerenti  alla
letteratura  internazionale  e  dovranno anche contenere una codifica
all'uso  clinico  dei marcatori immunologici e virologici attualmente
disponibili  ed  affrontare,  in  termini  appropriati  con l'attuale
evoluzione  della  strategia  terapeutica  e  della  storia  naturale
dell'infezione,   il   problema   della  profilassi  delle  infezioni
opportunistiche.
    Relativamente  all'uso  dell'HIV-RNA  come  marcatore di risposta
alla terapia, appare opportuna una verifica dell'affidamento dei vari
test  mediante  la  individuazione  di  laboratori  di  riferimento a
livello  regionale  o  provinciale  e  l'istituzione  di  sistemi  di
controllo   di   qualita',   nonche'  una  valutazione  del  rapporto
costo-beneficio dell'uso dell'HIV-RNA come marcatore di risposta alla
terapia.
    Ferma  restando  l'importanza  della determinazione della viremia
plasmatica,  in  particolare  prima  dell'inizio  della  terapia,  al
momento  del  cambio dello schema di trattamento, e nella definizione
degli  "end-point"  della  terapia  stessa, per il monitoraggio della
terapia  andra' utilizzata una combinazione di marcatori virologici e
immunologici.  A  tale  proposito  mancano  ancora  dati  comparativi
definitivi sul valore predittivo di diverse strategie di monitoraggio
e le scelte definitive andranno mirate su criteri di costi-benefici.
    Quanto   invece  ai  costi  delle  determinazioni  della  viremia
plasmatica sara' opportuno prevedere una contrattazione centralizzata
con  i  produttori  ai  fini  di  un  contenimento  dei  prezzi  e un
successivo controllo delle tariffe di rimborso.
    Infine,  per  cio' che attiene alle infezioni opportunistiche, e'
opportuno  un  aggiornamento  delle linee guida sulla terapia e sulla
profilassi.
8.3 La terapia in eta' pediatrica
    In   questo   settore  una  esigenza  primaria  e'  quella  della
formulazione  di  linee  guida  specifiche,  che  comprendano anche i
criteri  per  la  determinazione  ed  interpretazione dei CD4 e della
carica virale in rapporto all'eta' del bambino.
    Occorre adeguare le norme relative all'uso nel bambino di farmaci
attualmente   registrati   solo   per  gli  adulti  e  prevedere  una
conseguente  disponibilita'  degli  antiretrovirali  in  formulazione
pediatrica.  Si  ritiene,  altresi',  che vada regolamentata, in modo
piu'   rigido   ed   automatico,   la  introduzione  di  formulazioni
pediatriche gia' registrate in altri paesi europei.
    Per  quanto  riguarda  i farmaci inibitori delle proteasi in eta'
pediatrica,  occorre  definire  in modo piu' adeguato la modalita' di
somministrazione  di  tali  farmaci  ai  bambini di eta' minore di 12
anni,  valutando  in tale fascia di eta' la possibilita' di programmi
di  farmaco-sorveglianza  nonche'  pervenire  ad una regolamentazione
adeguata dell'uso compassionevole dei nuovi farmaci.
    Occorre,  altresi', definire la disciplina sul consenso informato
in  eta'  pediatrica, compresa la qualita', dell'informazione fornita
ai  bambini  e  ai genitori durante lo svolgimento delle attivita' di
sperimentazione.
    Per  quanto  riguarda  la  trasmissione verticale dell'infezione,
appare  prioritaria  la  predisposizione di linee guida di intervento
sulla  prevenzione,  in particolare sull'uso dell'AZT e delle terapie
combinate,  sulla terapia del neonato, sul tipo di parto. Un problema
ulteriore  e'  rappresentato  dalle indicazioni di terapia preventiva
della  trasmissione  verticale nelle donne pre-trattate con schemi di
combinazione  (con e senza IP) e che presentano durante la gravidanza
incrementi rilevanti del "viral load".
8.4 La profilassi post-esposizione negli operatori sanitari
    Le  linee  guida  di  profilassi post-esposizione negli operatori
sanitari   professionalmente   esposti   con   l'impiego  di  farmaci
antivirali sono state aggiornate nel dicembre 1996.
    E'  prevedibile  che  sara'  necessario, in futuro, rivedere tali
linee  guida  alla  luce  dei  dati scientifici sulla efficacia delle
profilassi  nella  tollerabilita' dei farmaci usati e di quelli sulle
resistenze.
9. LA TUTELA DEI DIRITTI DELLE PERSONE SIEROPOSITIVE
    Le  problematiche  poste dall'infezione da HIV e dalla cura delle
persone  sieropositive  hanno  reso  particolarmente  evidenti alcuni
conflitti  tra  valori,  diritti  e doveri iscritti nei comportamenti
relativi  alla  salute.  Affrontare  l'esigenza di riqualificare tali
valori  e  definire  la  relazione fra i vari diritti confliggenti e'
stata   la  sfida  dominante  nelle  prime  fasi  della  risposta  al
diffondersi  dell'infezione: gli aspetti ritenuti rilevanti in questa
fase  sono  stati  anzitutto l'informazione e i diritti delle persone
sieropositive,  che  hanno  trovato  nella  legge  n. 135 del 1990 un
assetto legislativo specifico.
    Sotto il profilo etico le questioni poste dall'AIDS e dalle altre
malattie  infettive vanno riferite al valore della salute in un senso
piu'  ampio,  vale a dire come bene rilevante della persona vista sia
individualmente,  sia inserita in una rete di relazioni significative
che  ne  definiscono l'identita'. In questa prospettiva, la salute e'
un bene che va tutelato e che, poiche' richiede l'aiuto competente di
altri per essere difeso e promosso, genera diritti esigibili come, in
primo luogo, il diritto alle cure. D'altra parte, esiste una generale
responsabilita'  per la salute in quanto bene rilevante sia a livello
di  collettivita',  la  quale  deve  predisporre  le strutture atte a
tutelarla,  sia  a  livello  individuale,  nel senso di un'attenzione
responsabile verso la salute propria e degli altri, in equilibrio con
altri  beni della persona, quali la liberta', gli affetti e le scelte
di fondo.
    L'insieme  dei  diritti generali della responsabilita' collettiva
verso  la  salute  e'  mediato  dal  diritto  generale  alle  cure  e
all'assistenza,  oltre  che  dal  riferimento  ai  diritti civili, in
particolare la liberta' individuale.
    Una prima e immediata forma di tale diritto e' quella del diritto
alla riservatezza circa le informazioni relative alla propria salute,
anche  nelle  procedure  amministrative.  Tale  diritto  e'  previsto
espressamente dalla legge n. 135 del 1990 e corrisponde alla generale
dottrina  del segreto professionale, alla quale vanno riferite alcune
tematiche  specifiche  per l'AIDS. Recentemente, inoltre, il predetto
diritto ha trovato ulteriore protezione nella legge 31 dicembre 1996,
n.  675,  sulla  tutela delle persone e di altri soggetti rispetto al
trattamento  dei  dati  personali. A tale proposito si ritiene che le
regioni  debbano  valutare  l'opportunita'  di  disciplinare nel modo
migliore  nell'ambito delle aziende sanitarie locali l'anonimato e il
monitoraggio, sempre anonimo, delle persone sieropositive.
    In  secondo  luogo  si  deve  parlare di un diritto delle persone
sieropositive  e  delle  persone  esposte  al  rischio (in pratica la
popolazione  in  generale, ma alcuni gruppi risultano particolarmente
vulnerabili)  all'informazione  sulla  malattia,  sulle  modalita' di
trasmissione  e  sulle terapie esistenti, cosi' come sulla ricerca in
corso.  La  difficolta'  a garantire questo diritto dipende sia dalla
complessita'  di  una  comunicazione  che sia completa ed efficace su
questo  punto,  sia dalla necessita' di coinvolgere le persone stesse
nel tradurre le informazioni offerte ai comportamenti conseguenti.
    Il  diritto  alle  cure,  inteso  piu'  precisamente come diritto
all'accesso  alle  cure  disponibili  e alle informazioni su di esse,
trova  applicazione  nella  rete  di  servizi  offerti  alle  persone
infette.
    Il  diritto  a  non  essere  discriminati si traduce invece nella
garanzia  di esistenza e nel divieto di far valere l'infezione da HIV
come  motivo  di  esclusione  nell'ambiente  scolastico e lavorativo,
secondo quanto previsto dalla legge n. 135 del 1990. A tale proposito
non  si puo' non rilevare che l'articolo 5 di detta legge non prevede
sanzioni   per   coloro   che   violano   i   diritti  delle  persone
sieropositive.
    Una  particolare tutela va riservata ad alcuni gruppi vulnerabili
per esposizione all'infezione, in particolare i bambini e le donne.
    Ai  diritti delle persone sieropositive corrisponde un insieme di
doveri,  che  si riferiscono in primo luogo alle professioni deputate
alla  cura e all'assistenza di tali persone. La legge n. 135 del 1990
ha  definito  senza  ambiguita' il dovere degli operatori sanitari di
prestare assistenza ad ogni persona che vengano a sapere infetta.
    Piu' in generale, il dovere di assistere si traduce nel dovere di
instaurare  una  comunicazione  autentica con il paziente anche al di
la'   della   formale   richiesta  del  consenso  informato,  benche'
quest'ultimo sia pur sempre necessario.
    Inoltre,  c'e'  il  dovere di non nuocere, che nel caso specifico
delle  malattie  infettive  si traduce nel dovere di informarsi sulle
caratteristiche  della  malattia e sulle modalita' di trasmissione di
mettere  in  atto  tutte  le  precauzioni  idonee  a  non trasmettere
l'infezione.
    Diritti  e  doveri  in  un  area delicata e complessa come quella
delle  malattie  infettive,  di  cui  l'AIDS  costituisce  una  sfida
particolarmente   impegnativa   e   un  esempio  paradigmatico,  sono
fortemente interconnessi e descrivono la trama delle relazioni fra le
persone  infette e coloro che le curano, le assistono o convivono con
esse.  Ciascuna  persona  indipendentemente  dall'essere o non essere
infetta, deve essere messa in condizione di affrontare le difficolta'
poste da questa malattia.
    Infine, allo scopo di verificare la qualita' dell'assistenza e il
trattamento  dei  pazienti  sieropositivi  nelle  unita' operative di
malattie  infettive,  e'  auspicabile che vengano effettuate apposite
ricognizioni.
10. GLI ASPETTI PSICOLOGICI E PSICHIATRICI DELL'INFEZIONE DA HIV/AIDS
    E'  ormai  consolidata  la  nozione  secondo  cui  la diagnosi di
sieropositivita' da HIV e l'andamento progressivo della malattia AIDS
hanno   effetto   destabilizzante   sull'equilibrio  psichico  e  sul
comportamento sociale delle persone portatrici dell'infezione.
    Il  drammatico  impatto  psicologico  della  sieropositivita'  e'
particolarmente  aggravato dalla frequente giovane eta' delle persone
e  dall'appartenenza  della  maggior  parte  di esse a gruppi sociali
tradizionalmente   stigmatizzati  ed  emarginati.  Si  rende  percio'
necessaria  l'attivazione  di  un  supporto psicologico e relazionale
diversificato,  profondo e continuativo, in tutte le strutture cui le
persone sieropositive afferiscono.
    Una  malattia  ad  amplificazione  sociale  come l'AIDS coinvolge
intensamente, accanto a coloro che ne sono affetti, anche congiunti e
familiari e produce un vasto alone di sofferenza.
    Nell'ambito  della  famiglia,  infatti,  si svolgono una serie di
fenomeni  dinamici  legati  alla sofferenza di una persona malata che
modificano  le  risposte  degli altri membri attraverso atteggiamenti
reattivi  e  fanno emergere stati di disagio o disturbi del carattere
preesistenti negli altri membri.
    Un  miglioramento  delle  modalita'  di relazione e comunicazione
intrafamigliare,  puo' quindi permettere alla persona sieropositiva o
al  malato  di  AIDS  di ricevere dalla famiglia i supporti affettivi
necessari  per  affrontare la malattia o per tentare di convivere con
essa.  Indispensabile  appare,  pertanto,  l'organizzazione  di forme
diversificate  di intervento d'informazione e di supporto psicologico
delle famiglie dei pazienti con infezione da HIV.
    Il  personale  medico  e  paramedico  che  si occupa dei pazienti
affetti  da  AIDS  e' sottoposto ad un carico emotivo particolarmente
stressante  a  causa di numerosi fattori dal, seppur modesto, rischio
professionale   di   contagio,   alla   prognosi   del   paziente,  a
problematiche  inerenti  la  sessualita'  o la tossicodipendenza. Per
tali  motivi  l'assistenza  alle  persone  sieropositive  o  con AIDS
esaurisce  le  risorse psichiche del personale sanitario determinando
la  cosiddetta  sindrome  del  "burn-out". Offrire la possibilita' di
poter  discutere in gruppo delle emozioni e dei problemi di relazione
con  questo  tipo  di  pazienti,  puo'  percio'  ridurre  la tensione
psichica  e  migliorare  cosi'  la  relazione  degli  operatori con i
pazienti, con vantaggi anche per gli stessi.