Art. 33. (Legge 24 marzo 1921, n. 312, art. 27, commi 1°, 2° e 3°; R. decreto-legge 20 novembre 1927, n. 2525, art. 2, comma 5°). Chiunque peschi nelle acque di proprieta' privata, ovvero in quelle soggette a diritti esclusivi di pesca, o concesse a scopo di piscicoltura, senza il consenso del proprietario, possessore o concessionario, incorrera' nell'ammenda da lire 200 a L. 1000, senza pregiudizio delle piu' gravi sanzioni comminate dalle leggi vigenti per i delitti. Incorre nel reato punito dagli articoli 624 e seguenti del Codice penale chiunque peschi di frodo in dette acque qualora esse, per disposizione naturale o per opere manufatte, si trovino racchiuse in modo da impedire l'uscita del pesce tenutovi in allevamento, ancorche' siano comunicanti con acque pubbliche. Chi trasgredisca o concorra a far trasgredire le disposizioni contenute nell'art. 5, incorre nell'ammenda da lire 200 a L. 1000. Le infrazioni agli articoli 6, 1° comma, e 7, sono punite con pena pecuniaria da L. 500 a L. 1000. Incorre nell'ammenda da L. 30 a L. 200 chi trasgredisca al disposto del secondo comma dell'art. 6.