(all. 1 - art. 1)
                                                             Allegato

                   Al Presidente della Repubblica

    Il   Consiglio  comunale  di  Canicatti'  (Agrigento),  e'  stato
rinnovato nelle consultazioni amministrative del 16 aprile 2000.
    A  conclusione  di complesse indagini investigative, condotte dai
competenti  organi,  che hanno rilevato la presenza nel territorio di
una  forte  e radicata organizzazione mafiosa che mira a condizionare
la   vita   politico-amministrativa   ingerendosi  anche  nella  fase
preelettorale,  l'autorita'  giudiziaria  ha emesso, in data 18 marzo
2004,  ordinanza  di  custodia cautelare in carcere nei confronti del
sindaco di Canicatti', indagato per alcuni delitti contro la pubblica
amministrazione  commessi  con  l'aggravante  di  cui  all'art. 7 del
decreto-legge  13 maggio 1991, n. 152, convertito con legge 12 luglio
1991,  n.  203,  per aver tenuto comportamenti concludenti ai fini di
agevolare  l'attivita' di una organizzazione mafiosa, e nei confronti
di  due  funzionari  dell'ente  che avrebbero operato, nell'esercizio
delle loro funzioni, per il medesimo scopo.
    A  seguito  delle  dimissioni del sindaco e di oltre la meta' dei
consiglieri  comunali,  la gestione del comune e' stata affidata, con
decreto   in   data  11 giugno  2004  del  Presidente  della  Regione
Siciliana,  ad  un  commissario  per  l'esercizio  delle  funzioni di
sindaco, Giunta e Consiglio.
    Attesi  i  riscontri  derivanti dagli accertamenti giudiziari, il
prefetto  di Agrigento, nella relazione che da' avvio al procedimento
di  rigore,  ritiene  che  i collegamenti emersi siano sintomo di una
grave   compromissione   dell'amministrazione   dell'ente   nel   suo
complesso.
    Le  indagini hanno rilevato, infatti, la sussistenza di obiettivi
fattori di inquinamento dell'azione amministrativa del comune a causa
dell'influenza della criminalita' organizzata fortemente radicata nel
territorio  e  hanno  posto in risalto come l'uso distorto della cosa
pubblica  si sia concretizzato nel favorire gli interessi di soggetti
collegati direttamente o indirettamente con gli ambienti malavitosi.
    In  particolare,  la  condizione  di contiguita' emersa nel corso
delle  indagini  tra  il  sindaco,  gia' eletto nella medesima carica
nel maggio  del  1998,  e  un  esponente di spicco della criminalita'
organizzata  al  quale  l'amministratore  e'  legato  da  rapporti di
parentela,  ha  costituito  lo  strumento  attraverso  il quale si e'
determinata la strumentalizzazione delle scelte gestionali.
    Gli organi investigativi hanno posto in luce che la vicenda nella
quale  sono  emerse,  fin dalla passata consiliatura, pure capeggiata
dal  predetto  sindaco,  con  peculiare  evidenza  cointeressenze fra
apparato  amministrativo  e burocratico e criminalita' organizzata e'
quella relativa all'assegnazione dei terreni confiscati all'esponente
mafioso   cui   e'   legato  il  titolare  della  carica  di  vertice
dell'amministrazione.
    Dagli  accertamenti condotti si desume che sebbene il prefetto di
Agrigento  avesse  fin  dall'inizio  della  procedura  reiteratamente
richiamato  l'attenzione  del  sindaco sulla necessita' di provvedere
tempestivamente  a  dare attuazione alla legge in materia di confisca
dei  beni  e a destinare i predetti terreni a finalita' istituzionali
e/o  sociali, la condotta del capo dell'amministrazione, della Giunta
municipale, e di due funzionari del comune, lungi dall'essere diretta
verso  fini  istituzionali,  e'  stata  finalizzata  a lasciare nella
disponibilita'  dell'esponente  citato  e  della sua famiglia, i beni
patrimoniali  al  medesimo  confiscati,  e a sottrarli alle finalita'
previste dalla legge.
    Come  si  evince  dalla  documentazione  sulla  quale si fonda il
convincimento  della  necessita'  dell'applicazione in via preventiva
della  misura  di  rigore, cui si rinvia, sono infatti stati posti in
essere nel tempo, secondo un preciso disegno criminoso, comportamenti
dilatori, elusivi ed illegittimi volti ad agevolare l'affidamento dei
terreni  a soggetti giuridici appositamente costituiti per assicurare
alla famiglia l'utilizzo ed i proventi dei beni confiscati.
    I   terreni   in   questione,   infatti,   sono   rimasti   nella
disponibilita',  prima,  della  predetta famiglia e, poi, di societa'
cooperative  partecipate  e  controllate  da  componenti del medesimo
nucleo familiare, fino all'agosto del 2002.
    Gli  organi investigativi evidenziano che, gia' prima che venisse
resa  pubblica la notizia dell'avvio del procedimento di assegnazione
dei  terreni  confiscati,  era  pervenuta  al  comune la richiesta di
affidamento  in  gestione  di  quei  beni da parte di una cooperativa
appena  costituitasi, che annoverava tra i suoi soci e amministratori
persone  vicine  alla  predetta  famiglia mafiosa. Ritengono altresi'
sintomatica  del  forte potere di intimidazione esercitato dal citato
clan  mafioso  la  circostanza  che,  a  seguito  della pubblicazione
dell'avviso  pubblico  per la assegnazione dei terreni, nonostante la
allettante prospettiva di gestione, fosse pervenuta solo la richiesta
di  affidamento  della  predetta  cooperativa evidentemente priva dei
requisiti di legge.
    Subentrato,   inoltre,   all'inizio   del  2000,  nella  gestione
dell'ente   un   commissario   designato   dalla  Regione  a  seguito
dell'approvazione  di  una  mozione  di  sfiducia  nei  confronti del
sindaco,  lo  stesso  giorno in cui veniva indetta una gara informale
con  almeno  tre  ditte per l'affidamento in gestione provvisoria dei
terreni,  venivano  depositate le istanze, evidentemente formulate da
una  unica  mano,  da  parte  di  tre  cooperative riconducibili alla
famiglia  mafiosa  cui  i beni erano stati confiscati. La conclusione
cui  e'  pervenuta  l'autorita'  giudiziaria  e'  che  le tre offerte
fossero  frutto di un accordo con il quale pilotare l'assegnazione in
favore   di  quella  che  fra  di  esse  avanzava  una  offerta  piu'
vantaggiosa.
    Ed  in  effetti,  nonostante  il  parere contrario del segretario
comunale,  i  terreni  venivano  provvisoriamente  assegnati  ad  una
cooperativa priva dei requisiti richiesti dalla legge.
    Rieletto  il  sindaco, i terreni erano temporaneamente assegnati,
con delibera di Giunta, alla cooperativa che ne aveva originariamente
fatto richiesta, carente di fini sociali e di adeguata documentazione
progettuale,  nonche'  direttamente  riconducibile  alla famiglia cui
erano  stati confiscati i beni. Sulla base di un parere rilasciato da
un  consulente  del  comune,  di  cui  veniva  peraltro completamente
travisato  il  contenuto,  la  predetta  cooperativa  veniva  infatti
preferita ad un'altra, che al contrario della prima, aveva dimostrato
di  essere effettivamente costituita per l'impiego e il reinserimento
di  soggetti  svantaggiati e dei minori affidati e quindi in possesso
dei requisiti di legge.
    Con  successiva  delibera  di  Giunta,  in  accoglimento  di  una
richiesta avanzata spontaneamente, in tal senso, dal presidente della
cooperativa  gia'  assegnataria e senza alcuna verifica istruttoria e
preventiva  pubblicizzazione  della procedura di assegnazione, i beni
venivano affidati per dieci anni alla predetta cooperativa, priva dei
requisiti  di  legge. Successivamente veniva sottoscritta la relativa
convenzione.
    Il  sindaco,  tra  l'altro,  nonostante le reiterate richieste di
chiarimento  rivoltegli  dal  prefetto  di  Agrigento  in ordine alla
mancata destinazione dei terreni in questione secondo le finalita' di
legge,   informava   l'ufficio   territoriale   del   Governo   delle
determinazioni  assunte  dall'ente  al riguardo, solo ad assegnazioni
provvisorie  gia'  avvenute,  eludendo  in tal modo l'attivazione dei
dovuti controlli sulle cooperative affidatarie.
    Il  prefetto  comunicava  al  sindaco  che i riscontri anagrafici
effettuati   avevano  evidenziato  che  un  socio  della  cooperativa
affidataria  era legato da vincoli di affinita' al soggetto che aveva
subito  la  confisca.  Invitava  pertanto  il sindaco a riconsiderare
l'affidamento  dei  beni,  nel  frattempo  disposto  per  un  periodo
decennale.
    Il  sindaco  non  dava  riscontro  al  predetto richiamo e solo a
seguito  di  nuova  formale  contestazione,  la Giunta presieduta dal
vicesindaco,   in  assenza  del  sindaco,  revocava  la  delibera  di
affidamento.
    Dal rapporto degli organi investigativi emergono univoci elementi
che  consentono di affermare che la consorteria mafiosa locale sia in
grado di condizionare l'amministrazione dell'ente. I fatti riportati,
per  la  loro  consistenza  ed  effettivita'  e per l'allarme sociale
generato,   appaiono  infatti  idonei  a  determinare  uno  sviamento
dall'interesse  pubblico  che  necessariamente deve essere perseguito
dall'ente locale, titolare esponenziale degli interessi della propria
collettivita'.  Anche i diversi episodi intimidatori avvenuti a danno
di  esponenti politici locali di primo piano e la presenza di diversi
consiglieri comunali ai funerali di esponenti mafiosi o di soggetti a
questi  strettamente  imparentati,  sono stati ritenuti idonei a dare
contenuto probante al quadro delineato.
    Il  prefetto  di Agrigento, pertanto, con relazione del 22 giugno
2004,   che   qui  si  intende  integralmente  richiamata,  ritenendo
necessario  rafforzare  nell'opinione  pubblica  un  segnale di ferma
resistenza  da  parte  dello  Stato  nei confronti della criminalita'
organizzata e accreditare il ruolo di uno Stato forte ed attento alla
gestione  dell'interesse collettivo, ha proposto l'applicazione della
misura  di  rigore  prevista dall'art. 143 del decreto legislativo 18
agosto 2000, n. 267.
    L'applicazione  del  provvedimento  di rigore si rende necessaria
come extrema ratio per riportare l'azione dell'amministrazione locale
nell'alveo   della   legittimita'   amministrativa   o  comunque  per
prevenire,  a  fronte  dell'ordinario rinnovo elettorale, i rischi di
una  deriva  extraistituzionale derivanti dalle indebite interferenze
rilevate  nella  gestione  della  cosa  pubblica,  utilizzata  per il
perseguimento  di  fini  contrari  al  pubblico  interesse, che hanno
ingenerato  sfiducia  nella  legge  e  nelle istituzioni da parte dei
cittadini.
    La  descritta condizione di assoggettamento richiede che da parte
dello   Stato   siano   posti  in  essere  provvedimenti  incisivi  a
salvaguardia degli interessi della comunita' locale e per il recupero
della struttura pubblica al servizio dei suoi fini istituzionali.
    La  valutazione  della  situazione  in  concreto  riscontrata, in
relazione  alla  presenza ed all'estensione dell'influenza criminale,
rende  necessario  che  la  durata  della  gestione commissariale sia
determinata in diciotto mesi.
    Rilevato  che,  per  le  caratteristiche  che  lo configurano, il
provvedimento  dissolutorio previsto dall'art. 143 del citato decreto
legislativo puo' intervenire finanche in presenza di provvedimento di
affidamento    ad    un   commissario   della   gestione   dell'ente,
differenziandosene  per  funzioni  ed  effetti,  si  formula  rituale
proposta  per  l'adozione  della  misura  di rigore nei confronti del
comune  di  Canicatti' (Agrigento) con conseguente affidamento per la
durata  di  diciotto mesi della gestione dell'ente ad una commissione
straordinaria  cui, in virtu' dei successivi articoli 144 e 145, sono
attribuite   specifiche   competenze   e  metodologie  di  intervento
finalizzate   a   garantire  nel  tempo  la  rispondenza  dell'azione
amministrativa alle esigenze della collettivita'.
      Roma, 1° settembre 2004
                                     Il Ministro dell'interno: Pisanu